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educazione formazione e pedagogia in prospettiva interculturale, Appunti di Pedagogia

Riassunto completo del libroo!

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 03/12/2023

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emma-cominelli 🇮🇹

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Scarica educazione formazione e pedagogia in prospettiva interculturale e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Educazione, formazione e pedagogia in prospettiva interculturale Il tema delle migrazioni è stato affrontato in modo grossolano, le responsabilità sono molteplici: 1. Il mondo dei media 2. Il mondo politico 3. Il mondo degli intellettuali. I risultati sono: l’affermassi di un atteggiamento xenofobo, l’incapacità di interpretare i problemi, l’incapacità di pensare ad un progetto di società che abbia solidarietà, sviluppo e democrazia. I termini origini, radici, identità, cultura, tradizioni ecc.. sono parole che possono essere molto pericolose. Il problema è quello dell’ambiguità. Ad esempio, la metafora delle radici evoca una serie di elementi che permette di creare una serie di ideologie esclusiviste. Bisogna, quindi favorire una riflessione critica sulla nozione di identità culturale, sulla pluralità delle nostre appartenenze e sulla pericolosità dell’invenzione delle tradizioni. In chiave educativa si riparte da Delors, il quale dice che il nostro modello di sviluppo è un modello di sviluppo di crescita economica che si rivela non più sostenibile rispetto a due elementi: - il rapporto dell’uomo con l’ambiente; - i rapporti di esclusione sociale. Quindi, Delors segnalava la necessità di optare a un modello di sviluppo sostenibile; l’educazione dovrebbe favorire il passaggio dalla crescita economica a uno sviluppo umano. I cambiamenti devono poter rispondere ad alcune sfide: 1. la tensione tra globale e locale; 2. la tensione tra universale-particolare e la globalizzazione della cultura; 3. la tensione tra tradizione e modernità. C’è la necessità di un passaggio da comunità locale a società mondiale. La commissione Delors ha identificato 4 pilatri dell’educazione: - IMPARARE A CONOSCERE; - IMPARARE A FARE; - IMPARARE A ESSERE; - IMPARARE A VIVERE INSIEME E CON GLI ALTRI. CAPITOLO 1: L’Italia e le migrazione, una storia molto lunga L'Italia si presenta nel sistema migratorio internazionale con una storia del tutto particolare. Prima come terra di emigrazione e poi come paese di immigrazione. Le grandi migrazioni del secolo scorso e quelle in atto hanno coinvolto e continuano a coinvolgere il nostro Paese in una triplice prospettiva: • Terra di emigrazione: Dapprima come terra di emigrazione, con quasi 30 milioni di espatriati dall' Unita d'Italia a oggi oltre 60 milioni di oriundi italiani nel mondo e, attualmente, 5.288.281 cittadini italiani residenti all'estero iscritti all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero - AIRE al 1° gennaio 2019, pari all'8,8% dei più di 60 milioni di cittadini residenti in Italia. • Paese di immigrazione: Successivamente l’Italia si delinea come Paese di immigrazione e parallelamente come teatro di intensi spostamenti di popolazione interni. Il 1973 è l'anno in cui si è registrato, per la prima volta nella storia del Paese, un lieve "saldo migratorio" positivo. • Paese di migrazioni: Attualmente l'Italia è sia un Paese di emigrazione sia un Paese di immigrazione: in conseguenza di ciò appare più corretto e più coerente parlare di "migrazioni". Tale nozione consente di non dimenticare e di non trascurare la lunga vicenda delle "migrazioni interne" che oscilla tra fasi di rimozione e momenti di centralità mediatica. Le migrazioni interne hanno avuto un ruolo chiave nella storia italiana e sono strettamente legate ai cambiamenti sia economici che culturali e socio-demografici avvenuti nel Paese. Nel ventennio 1951-71 la distribuzione geografica della popolazione italiana ha subito uno sconvolgimento. L'emigrazione più massiccia ebbe luogo tra il 1955 e il 1963; la tendenza migratoria si bloccò brevemente a metà degli anni '60, ma riprese poi fortemente negli anni 1967-71. In tutto, fra il 1955 e il 1971, 9.140.000 italiani sono coinvolti in migrazioni interregionali. Gli spostamenti di popolazione all'interno dell'Italia si configurano come una presenza strutturale in tutta la storia unitaria. Si tratta di spostamenti migratori interni, nel corso del tempo hanno assunto caratteristiche differenti ma presentano alcune costanti. Il lavoro rappresenta il grande motore dei movimenti territoriali. Possiamo leggere la maggior parte delle migrazioni interne come una pulsione alla modifica delle proprie condizioni lavorative, intese nella loro accezione più ampia: • Presenza/Assenza di lavoro; • Guadagno; • Garanzie; • Durata; • Ambiente di Lavoro; • Salute; • Possibilità di Mobilità Sociale. L'andamento dei ritmi produttivi, le contrazioni e le espansioni dei settori economici, le esigenze specifiche dei vari mestieri hanno scandito tempi e modalità di buona parte degli spostamenti. Gli spostamenti a lunga percorrenza da sud a nord non sono diminuiti negli anni della crisi, anzi si sono confermati come un elemento consolidato nel sistema migratorio italiano. Oggi i soggetti più coinvolti nei processi di migrazione interna sono proprio i migranti giunti in Italia dall'estero. Scomponendo i dati per nazionalità viene ribadito come sono gli stranieri oggi in Italia la parte più mobile della società, quella che maggiormente modifica il luogo di vita inseguendo condizioni migliori. Diversamente dagli italiani gli spostamenti riguardano distanze minori. La divaricazione dei comportamenti migratori di italiani e stranieri ha in parte a che fare con il possesso di differenti stratificazioni di esperienze di mobilità. Il passato degli spostamenti interni della popolazione italiana ha lasciato uno stock di legami sociali a lunga distanza e un'attitudine a orientarsi verso il Centro-Nord per trovare lavoro. CAPITOLO 4: Narrazioni tossiche e dialogo interculturale La definizione di "narrazione tossica" è stata coniata da Wu Ming: «Per diventare "narrazione tossica"', una storia deve essere raccontata sempre dallo stesso punto di vista, nello stesso modo e con le stesse parole. Una narrazione tossica non si limita a giustificare l'esistente, ma è anche diversiva, cioè sposta l'attenzione su un presunto pericolo incarnato dal “nemico pubblico”. E il nemico pubblico di turno, guarda caso, è sempre un oppresso, uno sfruttato, un discriminato, un povero». Le questioni relative alle migrazioni e alle cosiddette società multiculturali sono centrali per il mondo dell'educazione. La pedagogia si trova di fronte ancora a nuove sfide, tra cui quella di costruire le condizioni per il dialogo fra persone che fanno riferimento a sistemi culturali anche molto differenti. Costruire le condizioni per la convivenza positiva e per il dialogo è in primo luogo una questione educativa che deve fare i conti con una narrazione tossica molto potente portata avanti dagli “imprenditori della paura”. Tra le tante possibili risposte alla domanda "che cos'è il razzismo?" Sembrano particolarmente efficaci le analisi di Clelia Bartoli. Il razzismo è soprattutto una strategia sociale praticata non di rado anche da sedicenti progressisti e democratici per garantirsi un vantaggio nella competizione per le risorse materiali e simboliche. Iscriversi e rivendicare l'appartenenza al club della "razza superiore" sembrerebbe garantire l'esercizio del dritto di prelazione su risorse, privilegi e prestigio. Si tratta, in altri termini, di un sistema gerarchico di potere fondato sull’inferiorizzazione, sulla disumanizzazione dell'altro. A questo contribuiscono il linguaggio, le strutture urbanistiche segreganti, la tutela della cittadinanza fondata sul diritto di sangue. Alla base dell'idea di cittadinanza esclusiva, di inferiorizzazione dell'altro vi è un modello di rappresentazione dell'altro, un paradigma dominante che alcuni studiosi hanno individuato in modo molto preciso. L'intellettuale palestinese Edward Said definisce l'impostazione eurocentrica come una nozione collettiva tramite cui si identifica un "noi" europei in contrapposizione agli "altri" non europei. La riflessione sull'immigrazione rinvia al "pensiero di stato": pensare l'immigrazione significa pensare lo stato. Gestendo l'immigrazione lo Stato si rivela meccanismi di discriminazione: lo Stato riconosce e si riconosce in chi possiede la nazionalità; viceversa, chi non la possiede incarna l'esterno del confine dello Stato. Agendo in tale maniera, lo Stato può raggiungere una presunta omogeneità e può lasciare intatto l'ordine nazionale. Di conseguenza l'immigrazione è una minaccia da cui difendersi. L'unica strada perseguibile è quella della ricerca del dialogo a partire da ciò che accomuna le persone e i loro bisogni a prescindere dalle specifiche appartenenze culturali. Nel mondo di oggi e di domani gli incontri fra individui e comunità appartenenti a culture differenti sono destinati a diventare sempre più frequenti. Particolarmente utili paiono, nella prospettiva del dialogo interculturale, le considerazioni svolte da Todorov sul tema dell'identità. Secondo l'autore ognuno di noi possiede non una ma numerose identità culturali che si sovrappongono e si intersecano. Ogni individuo è di per sé pluriculturale. L'identità individuale deriva dall'incontro di molteplici identità collettive presenti nella medesima persona: ciascuna delle nostre numerose appartenenze contribuisce alla formazione dell’essere unico che siamo. Le persone non sono né tutte simili, né interamente diverse; ciascuna, essendo in sé plurale, condivide i suoi tratti costitutivi con gruppi molto diversi tra loro, ma li combina a modo suo. La coabitazione delle differenti appartenenze culturali in ciascuno di noi non pone di per sé alcun problema, cosa che, a sua volta, dovrebbe suscitare ammirazione: come un giocoliere, maneggiamo questa pluralità con la massima facilità. Ciascuno di noi ridefinisce continuamente gli equilibri delle differenti appartenenze. L'identità individuale è il frutto dell'incrocio tra diverse identità collettive. Tutte le culture sono miste, ibride, meticciate perché i contatti tra gruppi umani risalgono alle origini della specie. L'identità è divisione e separa "noi" dagli "altri. Il pericolo consiste nel considerare l'identità come sostanza, una sorta di nucleo stabile e permanente che deve essere difeso per impedire che venga modificato e, di conseguenza, ‘infettato’. Le identità possono, quindi, diventare pericolose, sanguinose e mortali così come può diventare pericolosa la reificazione della diversità: la diversità non è una proprietà oggettiva, di per sé connaturata alla struttura di una certa cultura, bensì è una qualità percepita di natura relativa e interattiva. Non si è intrinsecamente diversi, ma si è diversi agli occhi di qualcun altro e rispetto a un qualche punto di vista. La diversità non è una entità ma una relazione. Si tratta allora di ridefinire anche in ambito educativo i paradigmi stessi dell'educazione favorendo una riflessione critica: - Sulla nozione di identità culturale; - Sulla pluralità delle nostre appartenenze; - Sulla problematicità delle culture e delle storie nazionali; - Sulla pericolosità dell'invenzione delle tradizioni. Le culture e le identità non esistono e non rimangono mai uguali a sé stesse, sono un'invenzione. Un'altra caratteristica delle culture, infatti, è che sono in costante trasformazione, si modificano e cambiano più o meno rapidamente e per molteplici ragioni. Dal momento che ciascuna cultura ne incorpora altre o con altre si interseca, i suoi diversi elementi formano un instabile equilibrio. Le culture hanno quindi due caratteristiche che non possono essere tralasciate: 1. la pluralità; 2. la variabilità. Non va dimenticato in ogni caso che la cultura è una costruzione poiché si basa sulla memoria collettiva del gruppo che ne è portatore e la memoria è in sé stessa costruzione, cioè selezione degli avvenimenti del passato e loro gerarchizzazione secondo un ordine che gli viene assegnato dai suoi stessi membri. Ogni comunità umana seleziona alcuni avvenimenti e ne tralascia altri. L'essere umano nasce sempre all'interno di un sistema culturale, ma ciò non significa che sia destinato a rimanere prigioniero di esso. Ogni individuo ridefinisce continuamente e in modo originale il proprio rapporto con la sua cultura di origine in virtù: dell'educazione (formale, non formale e informale), dell'ambiente (naturale, storico e sociale), delle caratteristiche individuali. Le relazioni interculturali necessitano di alcuni requisiti di fondo che possono essere meglio definiti come condizioni di possibilità. Il dialogo per definirsi tale deve configurarsi come una relazione fra "pari" o meglio deve essere una relazione fra soggetti che sono in grado di far valere la propria soggettività. Per essere realmente efficace, il dialogo deve rispondere a una duplice esigenza: - Da un lato riconoscere la differenza delle voci impegnate nello scambio, senza prestabilire che una delle due costituisca la norma e l'altra rappresenti una deviazione, o un'arretratezza, o una cattiva volontà. Se non si è disposti a mettere in discussione le proprie convinzioni e le proprie certezze, a porsi provvisoriamente nella prospettiva dell'altro, il dialogo non può avvenire. - Dall'altro lato il dialogo non può raggiungere nessun risultato se coloro che vi partecipano non accettano un quadro formale comune condiviso per la loro discussione, se non si accordano sugli argomenti consentiti e sulla possibilità di ricercare insieme giustizia e verità. Il dialogo consente di rileggere la propria cultura destrutturandola alla luce di quanto si raccoglie dalla voce dell'altro. La convivenza, quindi, non è né facile né scontata e richiede un forte impegno pedagogico e politico. CAPITOLO 5: La prospettiva interculturale come proposta alternativa L’orientamento interculturale ha l'obiettivo di definire un progetto intenzionale di promozione del dialogo e del confronto culturale rivolto a tutti, autoctoni e stranieri. In questo modo, le diversità (culturali, genere, di classe sociale, biografiche, di orientamento politico, sessuale ecc), divengono un punto di vista privilegiato dei processi formativi, offendo l'opportunità a ciascuno di svilupparsi a partire da ciò che è. Oggi la proposta interculturale deve aumentare il proprio raggio di azione, incidere nella società e nella politica attraverso un cambio di strategia. Sono le politiche sociali, le politiche educative, le politiche abitative tout court, l'accesso ai diritti per tutti e per tutte che sono chiamati in causa. Oggi è necessario assumere uno sguardo diverso, interpretando i soggetti di origine straniera non più come portatori di bisogni, ma come portatori di diritti. La dimensione centrale oggi è rappresentata dal dialogo interculturale. C'è dialogo interculturale se c'è una simmetria di fatto tra migranti e no: oggi vi è una condizione di cittadinanza relativa dei soggetti della migrazione che vivono sulla loro pelle dei processi di "integrazione subalterna". A tale proposito risultano di particolare interesse i profili paradigmatici individuati da Aboubakar Soumahoro. Tre profili, tutti ispirati al concetto di "razzializzazione istituzionale", che hanno caratterizzato sin dalle origini le leggi sull'immigrazione e che continuano a informare l'attuale legislazione. I profili individuati sono: 1. Il paradigma dell'invasione e dell'emergenza; 2. Il paradigma utilitaristico ed economico; 3. Il paradigma quello securitario. Deve essere superata una visione gerarchica, assimilazionista e asimmetrica per assumere una prospettiva di co- educazione aperta alla presenza diretta delle culture migranti, inaugurando un percorso innovativo di "educazione dialogica" che si costruisce insieme, attraverso relazioni fondate su basi di uguaglianza, reciprocità e responsabilità. Ciò sarà possibile attraverso alcuni interventi finalizzati a: 1. Valorizzare il patrimonio linguistico-culturale di cui i migranti sono portatori, dando cittadinanza al plurilinguismo come risorsa, sostenendo e facendo crescere l'associazionismo delle comunità migranti come agente della mediazione interculturale e superando una concezione che interpreta le culture e le identità come delle realtà statiche o folkloristiche, dall'altra. Troppo spesso una malintesa educazione interculturale è condizionata da una visione folklorizzante, essenzialista e relativistica di esaltazione della differenza culturale in quanto tale, anziché da una visione costruttivista della diversità culturale e dalla ricerca di cittadinanza e coesione sociale. 2. Dare visibilità anche ai bisogni formativi e culturali dei migranti e non solo ai bisogni di primo livello (accoglienza), rimettendo al centro il tema della mediazione interculturale come prospettiva che tiene conto anche del ruolo delle cosiddette "seconde generazioni" dell'immigrazione. Occuparsi di "seconde generazioni" vuol dire innanzitutto interrogarsi a fondo su come si stia riconfigurando la composizione sociale di un Paese. Nell'ambito delle popolazioni immigrate, proprio la nascita e la socializzazione delle "seconde generazioni" rappresenta un momento decisivo per la presa di coscienza del proprio status di minoranze ormai insediate in un contesto diverso da quello della società d'origine. Sorgono così esigenze di definizione, rielaborazione e trasmissione del patrimonio culturale. I giovani delle "seconde generazioni " sono dei "mediatori culturali naturali", ma occorre che vi siano le condizioni per un loro sostegno ed empowerment nella scuola. 3. Incrementare le reti tra scuole, centri di educazione degli adulti, centri educativi e associazioni: La scuola è uno degli elementi chiave di un processo di inte(g)razione che passa attraverso il successo scolastico dei figli degli immigrati, l'inserimento lavorativo e sociale delle famiglie. L’approccio interculturale è un modo indispensabile per rispettare e valorizzare la diversità alla ricerca di valori comuni che permettano di vivere insieme. Una visione nuova delle relazioni tra le persone che fanno riferimento a diverse culture dovrebbe modificare e trasformare: - La struttura stessa dell'organizzazione scolastica e didattica; - I metodi di insegnamento e di formazione; - I metodi di valutazione; - Le relazioni tra insegnanti, alunni e famiglie nella scuola e nell'extrascuola; - La prospettiva con cui guardare ai saperi e alle discipline. Si tratta di ridefinire i paradigmi stessi dell’educazione favorendo una riflessione critica sulla nozione di identità culturale, sulla pluralità delle nostre appartenenze, sulla problematicità delle culture e delle storie nazionali. Urge riconoscersi in alcuni valori morali e politici. AMARTYA SEN afferma che le radici della democrazia sono globali e identificarle con una prospettiva esclusivamente occidentale rappresenta un’indebita appropriazione dovuta: 1. Da una parte alla disattenzione per la storia intellettuale delle società NON occidentali; 2. Dall’altra al difetto concettuale di considerare la democrazia quasi esclusivamente in termini di voti ed elezioni e non la prospettiva più ampia della discussione pubblica, del dialogo, della partecipazione CAPITOLO 8 – L’educazione interculturale nella scuola italiana: strategie e pratiche educative I processi di globalizzazione in atto e la configurazione in senso multiculturale delle diverse società interrogano profondamente sistemi educativi formativi che devono oggi mirare la formazione dei cittadini del mondo. La formazione interculturale degli insegnanti occupa in tale prospettiva un posto di tutto rilievo e solo a partire da una corretta impostazione del lavoro educativo della scuola che si può sperare di diffondere una sempre più necessaria cultura della convivenza. Proposta di un’educazione interculturale che si configura come la risposta in termini di prassi formativa alle sfide poste dal mondo delle interdipendenze. L’educazione interculturale non è una nuova disciplina che si aggiunge alle altre, ma un punto di vista, un’ottica diversa con cui guardare ai saperi attualmente insegnati. L’origine dell’educazione interculturale è da collegarsi allo sviluppo dei fenomeni migratori è possibile affermare che l’educazione interculturale si è mossa prevalentemente su due assi principali. Primo asse: Fare educazione interculturale significa lavorare per individuare, progettare e sperimentare le strategie educative e didattiche più idonee per favorire un positivo insegnamento degli allievi stranieri nella scuola e nella società. Ciò implica la predisposizione delle condizioni necessarie per garantire a tutti i soggetti di ottenere gli stessi tassi di successo scolastico. 1. ACCOGLIENZA: significa acquisire informazioni sui sistemi scolastici di provenienza e sulla scolarizzazione pregressa. (Didattica dell’accoglienza) 2. INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO COME L2: A chi è alfabetizzato in un’altra lingua è necessario insegnare l’italiano in modo diverso ma ciò non deve implicare la costruzione di luoghi separati. Ci deve essere la possibilità per l’alunno straniero di entrare in contatto con i coetanei dai quali apprenderà le forme linguistiche più immediate, ma anche le forma della comunicazione e le regole del gruppo di accoglienza. 3. VALORIZZAZIONE DELLA LINGUA E DELLA CULTURA D’ORIGINE: a. Plurilinguismo nella scuola: È necessario ripensare l’offerta generale delle LS includendo le lingue parlate dalle collettività più consistenti a seconda delle aree del Paese e prevedendo le relative abilitazioni b. Plurilinguismo individuale: Diritto dell’essere umano del mantenimento della lingua d’origine come strumento fondamentale 4. ATTIVITÀ INTERCULTURALI COMUNI: Promuovere tutte quelle attività che contribuiscono al dialogo e alla conoscenza reciproca per favorire sia le relazioni tra allievi stranieri e italiani in classe, sia con i pari nel tempo extra scolastico. Secondo asse: poiché l’educazione interculturale si rivolge a tuti anche agli autoctoni, assumere una prospettiva interculturalmente connotata significa impegnarsi rispetto all’obiettivo di favorire abiti di accoglienze degli italiani. 1. RILETTURA IN CHIAVE INTERCULTURALE DEI SAPERI INSEGNATI A SCUOLA: Non si tratta soltanto di far conoscere le storie dimenticate degli imperi africani e asiatici ma dimostrare i fili e legami nascosti che uniscono la storia degli uomini sulla terra. 2. ANALISI CRITICA DEI LIBRI DI TESTO: I libri di testo sono i primi mediatori. Pur a fronte dei cambiamenti registratisi negli ultimi anni urge riavviare indagini e approntare ricognizioni sulla rappresentazione che i libri offrono dei Paesi non europei e di alcuni avvenimenti cruciali nella storia del mondo. 3. FORMAZIONE INTERCULTURALE DEGLI INSEGNANTI, DEI DIRIGENTI E DEL PERSONALE SCOLASTICO NEL SUO COMPLESSO: Sono necessari investimenti significativi per dotare «coloro che accolgono» delle conoscenze sulle grandi e millenarie culture e religioni e delle competenze interculturali di base a cui oltre a quelle pedagogiche, si ascrivono quelle sociologiche, psicologiche, antropologiche, linguistiche. Si considerino 5 filoni individuati da Graziella Favaro entro cui ordinare le esperienze maggiormente conosciute e formalizzate secondo l’approccio interculturale: • La didattica dell’accoglienza: attuata nella fase iniziale di inserimento dello straniero. Per progettare in modo efficace l’accoglienza può essere fatto un protocollo di accoglienza. • La didattica per la promozione e il confronto delle culture: L’approccio interculturale più usato è quello della didattica per la promozione e il confronto delle culture. • La didattica per il decentramento dei punti di vista: si prendono in considerazione specifici temi ed elementi culturali al fine di evidenziare l’esistenza di una molteplicità di prospettive per uno stesso argomento. • La didattica per la prevenzione degli stereotipi e dei pregiudizi: abbattere i pregiudizi che si sono insediati nei vari sistemi di insegnamento • La didattica per il cambiamento delle discipline: indette selezionare nuovi contenuti e rivedere quelli già presenti. • La didattica dell’italiano come seconda lingua: gli alunni stranieri quando arrivano si devono confrontare con due diverse esigenze linguistiche: o La lingua per comunicare: linguaggio quotidiano. o La lingua dello studio: ovvero la lingua italiana specifica. CAPITOLO 10 - L'italiano L2 e l'apprendimento bilingue: creare contesti per l'apprendimento Nelle linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri è dedicato molto spazio alle questioni linguistiche, in un'ottica di ampio respiro, convergendo su una visione interculturale dell'educazione che inquadra il problema dell'italiano L2 nel contesto del più ampio apprendimento bilingue e considerandolo come uno dei presupposti essenziali per tutti gli altri apprendimenti, dunque per il successo scolastico e per la piena integrazione sociale. Le teorie dell'acquisizione/apprendimento delle lingue seconde hanno messo in luce nel tempo i diversi punti di vista e le diverse condizioni sociali e cognitive che caratterizzano il bilinguismo come fenomeno complesso e poliedrico. Un bilinguismo non può essere studiato in una prospettiva "unitaria", ma va analizzato in rapporto: • Ai soggetti che apprendono (in relazione alle loro condizioni, motivazioni, agli atteggiamenti); • Ai contesti sociali entro cui l'apprendimento procede (il background socioculturale di provenienza, il contesto, l'età di arrivo o, nel caso delle seconde generazioni, le scelte linguistiche familiari); • Alle strategie implicite o esplicite, individuali o mediate, che si attivano nell'acquisizione/apprendimento della lingua di arrivo. La lingua diventa uno degli strumenti basilari per quella mediazione "di fatto" di ordine più generale che si pone come una condizione senza la quale i figli dei migranti possano emanciparsi, attraverso l'istruzione scolastica. In una prospettiva interculturale diventa necessario parlare di atteggiamento educativo. Uno degli impegni della pedagogia interculturale è stato quello di rivolgersi al problema lingua a partire dalla contestualizzazione dell'apprendimento/insegnamento linguistico entro un framework più ampio. L'apprendimento dell'italiano andrebbe dunque visto: 1. Oltre ogni logica di tipo emergenziale che risolva l'intera azione educativa entro l'ambito strettamente e "tecnicamente" linguistico; 2. Come problema "scientifico" che necessita dell'approfondimento di quelle teorie e ricerche nei più disparati campi a cui dare senso e significato pedagogico; 3. Come problema che coinvolge l'intera educazione linguistica e che quindi non diventa appannaggio soltanto degli studenti migranti, ma diventa il contenitore, lo sfondo, di cui usufruiscono anche e soprattutto gli italiani; 4. Nella consapevolezza che mentre si apprende una lingua, è anche necessario apprendere attraverso quella lingua nei diversi campi del sapere: la lingua diventa dunque anche lingua della matematica, della storia, della geografia ecc.; 5. Entro il quadro di un'educazione bilingue, che prende in considerazione le lingue d'origine degli immigrati. Molteplici teorie segnalano l'importanza che la prima lingua occupa nello sviluppo cognitivo dell'apprendente e la necessità di curare in situazioni di immigrazione gli apprendimenti delle lingue d'origine, soprattutto per quei ragazzi che hanno iniziato il percorso scolastico nel loro Paese di origine. Cummins sviluppa una visione dell’apprendimento ipotizzando da un lato il riconoscimento di un interdipendenza linguistica, dall’altro l’esistenza di un livello o soglia minima di riconoscimento della lingua d’orige, in base alla quale ci si può aspettare un miglioramento nell’apprendimento della seconda lingua. Il ruolo della L1 è, quindi, fondamentale per sostenere l'apprendimento della L2, ma anche per promuovere una corretta acquisizione dei concetti e favorire gli apprendimenti scolastici in generale. Nel caso degli studenti non italofoni la prima lingua deve essere ben sviluppata sia nelle abilità comunicative, quelle che ad esempio sono necessarie per salutare, giocare con i compagni, formulare semplici domande, sia in quelle che permettono di accedere ai linguaggi dell'istruzione e che rimandano alla capacità di sintesi, alla comprensione e produzione di testi argomentativi, all'uso e all'accesso a concetti astratti. Se vengono meno tali condizioni occorre porsi il problema di come insegnare (anche a soggetti che non hanno acquisito completamente la loro lingua di origine anche in funzione cognitiva) la lingua italiana cercando di rendere il più possibile efficace un tale insegnamento. Le abilità comunicative da sole non garantiscono una padronanza piena della lingua, che possa permettere tutti gli altri apprendimenti ed è questo uno dei principali motivi per cui molti studenti migranti non raggiungono una piena riuscita scolastica e incorrono in fenomeni di dispersione e abbandono. Si individuano differenti definizioni e tipologie di bilinguismo: • Bilinguismo aggiuntivo: è la situazione maggiormente auspicabile per gli studenti stranieri. Alla L1 si aggiungono una nuova lingua e cultura e in tal senso si acquisiscono gli strumenti per l'accesso nel gruppo autoctono senza perdere la possibilità di contatto e riferimento al gruppo di origine. • Bilinguismo sottrattivo: invece l'apprendimento della L2 è accompagnato dal logoramento, totale o parziale, delle competenze in L1, a partire dai fattori di percezione sociale e dal minore prestigio attribuito dagli autoctoni e talvolta dagli stessi soggetti immigrati alla lingua e alla cultura del gruppo di origine. • Semilinguismo: si verifica quando i soggetti non riescono a raggiungere livelli adeguati sia nel caso della L1 sia in quello della L2. Tale scenario si manifesta con la presenza di carenze di ordine qualitativo e quantitativo in entrambe le lingue di riferimento. Questo fenomeno è stato descritto in termini di deficit nelle seguenti sei aree di competenza: ricchezza di vocabolario, correttezza della lingua, processi inconsapevoli del linguaggio, "creatività" linguistica, padronanza delle funzioni del linguaggio, linguaggio figurato. Semilinguismo, bilinguismo sottrattivo, bilinguismo aggiuntivo vanno letti sempre in rapporto alla variabilità individuale, ma anche in rapporto alla variabilità delle situazioni contestuali "interne" al gruppo di appartenenza ed "esterne”. Nodi utili a chiarire meglio il ruolo e l'azione che la scuola può esercitare nel predisporre e migliorare l'intervento didattico: - È superata l'idea che la L1 funzioni da ostacolo all'apprendimento della L2; - La variabilità delle situazioni di apprendimento è estremamente ampia e questo dipende anche da fattori che "attraversano" i contesti degli apprendimenti e dalle relazioni sociali attraverso le quali la lingua stessa viene mediata; - Emerge sempre l'importanza della mediazione nell'apprendimento linguistico. Tra le "teorie" che gli attori formulano, risulta fortemente significativa la distinzione di Cummins tra immersione e sommersione. Con il termine Immersione si identifica la situazione nella quale l'insegnamento della L2 viene introdotto con gradualità e secondo le opportune metodologie glottodidattiche e rivolto a gruppi di studenti di minoranza omogenei rispetto al livello linguistico e alla provenienza. Nel caso dell’immersione l’assistenza conoscitiva è strutturata e organizzata all’interno di un percorso che tenti di costruire da zero le abilità linguistiche del discente. Si parla di Sommersione quando, senza alcuna competenza in L2, lo studente viene inserito in una classe con compagni autoctoni e ci si aspetta che impari al più presto, e in forma spontanea, la loro lingua, che permette tutte le forme di comunicazione quotidiana e, al tempo stesso, veicola gli apprendimenti disciplinari. Se l’idea che il bagno linguistico possa da sé favorire lo sviluppo di competenze in L2 risulta poco praticabile e poco convincente sul piano teorico e sulla base dei risultati della ricerca, è necessario studiare le forme di un processo di insegnamento/apprendimento che sostengano l'individuo cognitivamente e psicologicamente, prendendo in considerazione la dimensione contestuale. Nell'altro caso, se l'immersione può far salve certe condizioni per l'apprendimento, richiede logiche che potrebbero comportare forme di separazione. Una terza via tra immersione e sommersione è possibile e auspicabile nella misura in cui si cerca di mediare tra certe istanze di natura socioeducativa e altre di natura cognitiva. È possibile e auspicabile invece studiare approcci che puntino alla riduzione della sommersione anche attraverso l'organizzazione di momenti che consentano di pervenire a modalità organizzative miste. La didattica della L2 ridurrebbe la sommersione nella misura in cui riesca a prevedere momenti di immersione destinati all'acquisizione di competenze in cui si faccia ricorso a metodi adeguati, che gradualmente introducono gli studenti alla lingua e che consentono il superamento di eventuali distorsioni che l'acquisizione spontanea possono far insorgere. L'acquisizione e l'apprendimento dell'italiano rappresenta una componente essenziale del processo di integrazione: costituiscono la condizione di base per capire ed essere capiti, per partecipare e sentirsi parte della comunità, scolastica e non. CAPITOLO 11 - La mediazione interculturale come strategia educativa La mediazione viene sempre più utilizzata quale pratica innovativa orientata all'inclusione dei nuovi cittadini e alla coesione sociale anche se le fasi. Le riflessioni, le ricerche e le esperienze condotte sul dispositivo della mediazione culturale sono oggi numerose e composite. La mediazione interculturale è una strategia che deve essere adottata dai servizi e dalle istituzioni nel loro complesso a cui contribuiscono tutti gli operatori che sono chiamati a diventare i protagonisti delle relazioni fra le diversità presenti. Il mediatore interculturale costituisce una risorsa aggiuntiva per gestire nel miglior modo possibile le relazioni interculturali. Si presenta, quindi, come una pratica innovativa utile per agevolare il processo di integrazione tra la popolazione immigrata e la società di accoglienza. Un processo d'integrazione che non avviene naturalmente e casualmente ma che deve essere voluto. Nel corso degli ultimi anni i servizi pubblici hanno sempre più diffusamente richiesto e impiegato al loro interno i mediatori interculturali: educatori, insegnanti, operatori sociali e sanitari ecc. individuano in questa figura professionale una risorsa per facilitare le relazioni con le nuove utenze che si presentano nei servizi facendo riferimento a differenti sistemi culturali, valoriali, di organizzazione sociale e familiare. Favaro afferma che «Mediare, nel senso più ampio del termine, significa avvicinare, facilitare il contatto, includere, favorire l'interazione e lo scambio, promuovendo opportunità equivalenti nel rispetto delle diversità». La mediazione si presenta come un processo duplice e reciproco di decodifica della comunicazione che si realizza e si sviluppa a diversi livelli. La mediazione risulta essere un dispositivo linguistico e culturale che riduce le "distanze, le incomprensioni e le difficoltà tra l'utente e il servizio. In modo estremamente schematico è possibile sintetizzare le principali caratteristiche di questa pratica come segue: 1. Facilita la comunicazione tra l'utenza straniera e le istituzioni, permettendo la comprensione dei rispettivi codici culturali; 2. Sostiene condizioni di pari accesso e diritti per le minoranze; 3. Favorisce l'incontro, lo scambio, la contaminazione, la trasformazione di pratiche e costumi; 4. Sostiene l'inserimento delle persone immigrate nella società di accoglienza. Mediare implica lo "stare in mezzo" e il "condividere" il conflitto grazie alla presenza di un "terzo", che costruisce insieme alle parti un terreno culturale e semantico di reciproca comprensione per favorire il ripristino del dialogo. Il mediatore non cerca di annullare il conflitto, ma di trasformarlo in una presa di distanza che consenta di vedere la situazione da un altro punto di vista. L'intervento del mediatore rientra in una strategia più ampia che ha l'obiettivo di garantire a tutte le parti il ruolo di soggetti, col diritto di difendere la propria visione del mondo e di assumersi la responsabilità delle proprie decisioni. La mediazione in ambito scolastico è un compito che spetta alla scuola in quanto tale che deve divenire luogo di mediazione interculturale coinvolgendo tutte le sue componenti. Senza il coinvolgimento attivo di tutti e senza il sostegno del territorio il ruolo del mediatore culturale è del tutto privo di senso e il progetto di inserimento degli allievi stranieri rischia di naufragare. Un intervento di mediazione interculturale nella scuola richiede di ripensare curricoli e metodologie didattiche per acquisire le competenze necessarie a "spostare il centro del mondo". L'insegnamento tradizionale non sempre è riuscito a proporre il dialogo come strumento privilegiato nelle relazioni tra gli individui mentre sarebbe più opportuno oggi fare ricorso a metodologie che consentano agli studenti di sperimentare concretamente l'attività dialogica e la pratica democratica. Una vera e propria rivisitazione interculturale dell'educazione implica necessariamente oltre a una revisione del curricolo esplicito anche una seria "esplorazione" del curricolo "nascosto". Appare rilevante prendere in considerazione due dimensioni pedagogiche fondamentali nel favorire il dialogo interculturale a scuola: - Il clima scolastico, con gli atteggiamenti, i valori, le scelte degli allievi, nonché le modalità relazionali dei diversi soggetti del panorama scolastico; - Gli stili educativi degli insegnanti e le modalità con cui gestiscono le situazioni conflittuali in classe. CAPITOLO 13 - Le competenze interculturali di chi educa Il tema della formazione interculturale è strettamente connesso a quello delle competenze di chi si trova ad agire nei contesti educativi. Il programma di formazione si completa con l'elaborazione del progetto d'intervento il cui scopo è di contribuire al miglioramento della qualità dell'educazione per tutti gli alunni e con lo sviluppo di competenze specifiche per l'educazione interculturale. Non è possibile poter intervenire in modo efficace in ambito interculturale senza una conoscenza delle diverse questioni pedagogiche. Si possono individuare alcuni assi principali di carattere teorico di cui gli insegnanti devono avere una cognizione minima: - Cultura, etnicità, identità, relativismo culturale e suo superamento; - Ostacoli alle relazioni interculturali: pregiudizi, discriminazioni, razzismo, antirazzismo; - Uguaglianza delle opportunità, dinamiche dell'esclusione e dell'emarginazione; - Nazione, stato, comunità, nazionalismo, liberalismo, democrazia pluralista, cittadinanza, educazione civica e alla democrazia; - Modelli di inserimento degli immigrati nelle società contemporanee: assimilazione, multiculturalismo, integrazione pluralista, politiche dell'immigrazione e dell'integrazione in Italia, in Europa e nel mondo. Oltre allo studio e alla lettura di testi gli insegnanti potrebbero consultare specialisti che possano consigliare letture adeguate per comprendere la situazione culturale, sociale, politica, economica e religiosa del Paese considerato. Sono essenziali scambi di opinione sui risultati delle ricerche tra gli insegnanti. La formazione interculturale deve fornire agli insegnanti anche strategie di intervento efficaci e indicazioni per affrontare positivamente le sfide del pluralismo culturale. Una formazione realmente interculturale dovrebbe dotare gli insegnanti anche di specifiche competenze: - Le competenze necessarie per formulare un giudizio critico sulle differenti tesi che si affrontano circa gli assi teorici sopra menzionati; - Le competenze utili per raccogliere dati etnografici sugli allievi, le loro famiglie e il loro ambiente socioculturale, per interpretarli ed elaborare strategie di collaborazione scuola-famiglia; - Le competenze legate alla gestione della classe secondo le strategie dell'apprendimento cooperativo; - Le competenze collegate alla valutazione del funzionamento dei gruppi di lavoro e delle produzioni individuali e collettive degli allievi; - Le competenze necessarie a gestire i conflitti di valori attraverso la deliberazione democratica, la mediazione interculturale e la negoziazione; - Le competenze utili all'elaborazione dei criteri per valutare il carattere democratico della gestione, il contenuto interculturale dei programmi, le procedure di valutazione e di orientamento, la presenza di stereotipi e pregiudizi nei programmi e nei materiali didattici, il clima interculturale della scuola. Per quanto concerne le competenze e le capacità da acquisire e sviluppare vanno segnalate alcune priorità: 1. Imparare ad assumere una prospettiva di "etnocentrismo critico" ed essere disponibili a decostruire le proprie rappresentazioni pregiudiziali→ La nozione di "etnocentrismo critico" si riferisce all'impossibilità e all'inutilità di uscire dalla propria tradizione culturale, dunque dal proprio etnocentrismo, che però deve farsi critico in quanto non dimentica mai la propria origine storica. L'etnocentrismo è ineliminabile nel senso che il giudizio che si formula sugli "altri" "non può non essere etnocentrico", fondato cioè su categorie nate all'interno di quella determinata civiltà; ciononostante deve essere critico, ossia non dogmatico e consapevole della limitatezza del proprio giudizio. 2. Assumere una prospettiva di decentramento cognitivo, affettivo e esistenziale→ Non è possibile immaginare un percorso formativo interculturale senza la capacità di assumere punti di vista diversi mettendosi nei "panni degli altri. Si tratta di favorire negli allievi la capacità di decentrarsi ma ciò è possibile solo a condizione che gli insegnanti stessi mettano in discussione se stessi. L'educazione deve rendere capaci di comprendere gli altri anche quando l'insieme dei fattori affettivi e delle tradizioni collettive fanno pressione impedendo di ragionare obiettivamente. 3. Essere consapevoli del proprio ruolo di mediatori interculturali e apprendere a mediare con il "metodo degli shock culturali→ Mediazione non significa neutralità asettica e priva di conflitti, indica piuttosto lo spazio del conflitto tra differenti tradizioni, tra molteplici orizzonti di senso, tra orientamenti di carattere morale, politico, economico. La mediazione così come l'educazione si configura quasi sempre all'interno di una relazione di potere asimmetrica. Ogni soggetto è di per sé diverso dagli altri e si confronta in modo diverso, autonomo, originale e critico con il proprio sistema culturale e valoriale di riferimento e le relazioni tra persone non possono mai essere standardizzate. Nell'approccio interculturale, le conoscenze teoriche sulle cosiddette altre culture non sono sufficienti e alle volte anche dannose se rimangono a livello folkloristico e superficiale. Nell'interazione con gli altri si possono verificare o provocare degli "shock culturali" che bisogna imparare a decodificare, a gestire e a disinnescare. Lo shock culturale può diventare fonte di apprendimento e di nuova attribuzione di senso per tutti consentendo una crescita umana, culturale e professionale che potrà garantire la realizzazione di una società aperta, realmente democratica e solidale. 4. Apprendere la competenza interculturale→ Il comportamento competente non scaturisce da un patrimonio di sapere immagazzinato da qualche parte nella mente di un individuo, ma dalla conoscenza in azione, dal fatto che nell' agire si ricerca insieme agli altri la strategia più adatta. L'ottica con cui ci poniamo a guardare le competenze interculturali ne mette in luce gli aspetti di: - Multidimensionalità: le competenze emergono da un'alchimia ogni volta differente di conoscenze, capacità, atteggiamenti e valori; - Relazionalità: difficilmente riconducibili a oggetti collocati in qualche luogo nella mente o a caratteristiche intrinseche alla persona, è la relazione con l'altro, il contesto, il punto di osservazione privilegiato; - Contestualità: per rilevarle, modificarle, bisogna rintracciarle nei processi della vita quotidiana, nelle situazioni concrete che ne permettono l'espressione. Secondo Erika Nardon-Schmid la competenza interculturale come una combinazione psicologico-linguistica, composta da: - Consapevolezza inerente alle strategie per l'identificazione e l'analisi di equivoci nella comunicazione sulla base di conoscenze inerenti alla cultura e la loro rilevanza sull' agire comunicativo e sul comportamento; - Consapevolezza che il modo di pensare, di agire e di atteggiamento e la competenza socio-pragmatica sono strettamente legati alla specifica cultura e agli schemi cognitivi; - Capacità e disponibilità di assumere la prospettiva dell'altra cultura; - Conoscenza delle dimensioni che differenziano le diverse culture; - Capacità di spiegare fenomeni inerenti all'agire e al comportamento nell'evento comunicativo determinati da cause culturali; - Consapevolezza dei principi ordinatori che governano la comunicazione interculturale; - Competenza di strategie comunicative con mezzi linguistici limitati; - Competenza di strategie per l'identificazione e l'analisi di equivoci all'interno dell'evento comunicativo sulla base della consapevolezza delle differenze culturali e il loro riflettersi sul comportamento e in ambito pragmatico; - Uso consapevole della lingua comune. La competenza interculturale è definita la capacità d'interagire efficacemente e in maniera appropriata in situazioni di carattere interculturale, è sostenuta da specifiche attitudini e peculiarità affettive, nonché da conoscenze, abilità e riflessioni (inter)culturali. La competenza interculturale non è né uno stato fisso, né la diretta conseguenza di un'esperienza di apprendimento distinta. Non viene acquisita necessariamente visitando un Paese straniero, né tantomeno ad hoc attraverso un'educazione e una formazione supplementare. Lo sviluppo della suddetta competenza è quindi un'operazione complessa e pluridimensionale e può assumere una grande varietà di forme. L'acquisizione della competenza interculturale può essere costruita come un processo dinamico continuo che implica diverse dimensioni mentre si sviluppa e si arricchisce. La spirale dell'apprendimento mostra che l'acquisizione della competenza interculturale richiede un apprendimento perenne e che è parte del continuo sviluppo personale. Una delle attitudini a beneficio dell'apprendimento interculturale è dunque rappresentata dall'apertura verso quest'ultimo, nonché dall'apprezzamento della diversità culturale e dalla capacità d'incontrare e trattare con individui provenienti da culture diverse in maniera aperta, curiosa e imparziale. Per quanto concerne le dimensioni didattica, gestionale e organizzativa vengono individuate le competenze che favoriscono l'inserimento della prospettiva interculturale nel percorso istituzionale e curricolare: - La predisposizione di un ambiente di apprendimento partecipativo e inclusivo; - L'individuazione di metodi di insegnamento a misura dei bisogni di formazione degli allievi; - L’analisi critica dei materiali didattici per individuare la presenza di eventuali messaggi svalorizzanti nei confronti delle diversità; - L'utilizzo di una pluralità di approcci didattici attenti alla dimensione culturale e la capacità di riflettere sistematicamente sulle proprie pratiche professionali valutandone l'impatto sugli allievi. Si tratta in primo luogo di ricordare che l'integrazione: a. è un concetto multidimensionale che ha a che fare con l'acquisizione di strumenti e di capacità ma anche con la relazione, la ricchezza e l'intensità degli scambi con gli adulti e con i pari, a scuola e fuori dalla scuola; b. significa anche integrità del Sé, che si esprime attraverso la possibilità di ricomporre la propria storia, lingua, appartenenza, in un processo dinamico di cambiamento e di confronto che permette a ciascuno di non essere "ostaggio" delle proprie origini e di non dovere negare componenti della propria identità per essere accettato e accolto; c. è un progetto e un processo che si costruisce giorno dopo giorno attraverso innumerevoli soste, balzi in avanti, ritorni indietro, nostalgie e speranze, timori e entusiasmi; d. è un progetto intenzionale e non avviene per caso, per forza di inerzia, ma deve essere voluto, seguito, sostenuto con attenzione e competenza da tutti i protagonisti dell'incontro. Per verificare l'efficacia del proprio lavoro si possono identificare alcuni indicatori di integrazione: - La situazione dell'inserimento scolastico e la qualità dei risultati scolastici, che consentono di progettare una prosecuzione degli studi; - La competenza nella lingua italiana, funzionale a dare risposta ai bisogni diversi; - La qualità delle relazioni in classe con i compagni e la possibilità di partecipazione alle interazioni e alle attività collettive; - La qualità e la quantità degli scambi nel tempo extrascolastico, le occasioni di partecipazione e di inserimento nelle attività ludiche e sportive, le opportunità di stabilire e mantenere scambi e amicizie; - Il rapporto con la lingua materna, praticata in casa e con i connazionali e il legame con le proprie origini, il Paese di provenienza, la propria storia passata; - La situazione di autostima, di fiducia nelle proprie possibilità, di accettazione delle sfide comuni ai compagni italiani e specifiche della propria storia di migrazione. La riflessione critica sulle pratiche didattiche appare una metodologia particolarmente efficace. Gli insegnanti lamentano spesso l'assenza di luoghi di riflessione, di confronto e di scambio spesso a causa dei troppi impegni. Si tratta allora di organizzare gruppi di lavoro e di ricerca di insegnanti (guidati da esperti) che riflettano criticamente sulle pratiche didattiche e sui contenuti disciplinari. Insegnare e apprendere interculturalmente significa in definitiva mettere in discussione il paradigma che ha orientato il sistema educativo e formativo italiano che non deve più mirare alla formazione del cittadino solo italiano, ma alla formazione di un cittadino del mondo. A tal fine diventa essenziale strutturare esperienze formative attraverso la costituzione di gruppi di lavoro di insegnanti per l'analisi e la revisione dei curricoli. Per un progetto di "educazione interculturale" diventa centrale una riflessione e una revisione non solo del "curricolo esplicito" ma anche del "curricolo implicito" e delle metodologie didattiche. È necessario quindi riflettere su: 1. Gli stili di insegnamento adottati (direttivi/non direttivi; autoritari/democratici); 2. Il clima di classe che si instaura (competitivo/cooperativo-collaborativo);