Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Eneide II - Scansione metrica, Traduzione letterale, Appunti., Traduzioni di Letteratura latina

NB: sono presenti solo i versi seguenti: vv.1-56; 199-245; 268-298; 486-558. Scansione metrica (con quantità e cesure); Traduzione letterale (apposta puntualmente su ogni parola) , Appunti (ricavati da Eneide, lib. II, introduzione di A. La Penna, traduzione e note di R. Scarcia, Milano: Rizzoli BUR 2002; In partes tres. Per le Scuole superiori; Appunti prof. F. Citti.)

Tipologia: Traduzioni

2017/2018

In vendita dal 30/11/2018

souazione
souazione 🇮🇹

4.7

(95)

45 documenti

1 / 23

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Eneide II - Scansione metrica, Traduzione letterale, Appunti. e più Traduzioni in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Traduzione letterale, Scansione metrica,Appunti, Critica Filologica P. VERGILI MARONIS AENEIDOS LIBER SECVNDVS [vv.1-56; 199-245; 268-298; 486-558]
 Enea, giunto a Cartagine e accolto benignamente, alla fine del banchetto dato in suo onore narra su invito della regina Didone le proprie peripezie. Il racconto prende le mosse dall’ultimo giorno di Troia. Enea narra innanzi tutto di come i Greci abbiano finto di andarsene dopo aver lasciato sulla spiaggia un grande cavallo di legno, misterioso oggetto di cui i Tr o i a n i n o n s a n n o esattamente capire il senso. Il sacerdote di Nettuno Laocoonte invita i suoi concittadini a diffidare e scaglia la sua lancia nel fianco del cavallo. Tuttavia, secondo il piano ordito da Ulisse, giunge in quel momento, catturato da pastori, Sinone, un falso disertore greco. Costui racconta ai Troiani che i nemici hanno abbandonato il campo e sono ripartiti sulle navi alla volta della Grecia e che il cavallo (che in realtà accoglie i più forti tra gli eroi greci nella cavità del suo ventre) è un dono per Atena da trasportare in città. Mentre i Troiani sono incerti sul da farsi, due serpenti mostruosi escono dal mare, divorano i due giovani figli di Laocoonte e uccidono il sacerdote stesso, andando poi a rifugiarsi sotto la statua di Atena nel tempio sulla rocca della città. A questo punto il cavallo viene trasportato all’interno delle mura. Per Troia è l’inizio della fine: ben presto, con il favore delle tenebre, Sinone farà uscire i guerrieri nascosti nel ventre del cavallo e la presa della città avrà inizio. Il racconto di Enea alla regina Didone continua. Egli, come tutti i suoi concittadini, al calare della notte si è addormentato; gli appare però in sogno il defunto Ettore che lo avverte di ciò che sta accadendo e lo esorta ad abbandonare la patria portando con sé i Penati. Incurante del rischio, Enea cerca di contrastare i nemici e cerca dei compagni per opporre resistenza. Dopo alcune azioni compiute per le vie della città, si adopera assieme ad altri per respingere gli assalitori dal palazzo del re Priamo. Ogni resistenza, però, si dimostra vana: i Greci, guidati dal figlio di Achille, Pirro (Neottolemo), fanno irruzione e Enea assiste alla brutale uccisione di Priamo per mano di quest’ultimo. 
 [vv.1-56] IL CAVALLO DI LEGNO Tutti tacquero e attenti tenevano lo sguardo. Cṓntĭcŭḗre‿ōmnḗs   īntḗntīque‿ṓră tĕnḗbant. Pagina di 1 23 v. 1: L’incipit di Aen. II richiama alcuni versi di Omero: - Odissea XI, vv. 333-334: “Disse così e quelli restarono tutti in silenzio, furono soggiogati dall’incantesimo nella sala ombrosa. Fra essi prendeva parola Arete dalle candide braccia […]”. 
 Arete nella sala ombrosa racconta del viaggio di Odìsseo, che nell’Odissea viene ripreso in più fasi, per la precisione tre narrazioni. - Odissea XII, vv. 1-2: “Disse così e quelli restarono tutti in silenzio, furono soggiogati dall’incantesimo nella sala ombrosa. E a lui Alcinoo replicava dicendo […]” L’Inizio del secondo libro dell’Eneide dunque non è casuale: Virgilio vuole ricordare Omero. Si ha inoltre un breve racconto, che può essere paragonato a quello di Odisseo: da una parte le sventure di Enea e dei troiani e dall’altra le sventure di Odisseo e quelle dei suoi compagni. Allora dall’alto letto così il padre Enea ha iniziato: Ī́ndĕ tŏrṓ  pătĕr Ǣ́nēā́s   sīc   ṓrsŭs ăb ā́lto: Cosa significa che “Enea cominciò a parlare dall’alto letto”? Innanzitutto ci troviamo all’interno di un simposio, con i lettini disposti a ferro di cavallo. Varrone dice che a banchetto ci stanno fra “il numero delle grazie” e “il numero delle muse”, cioè possono accomodarsi a tavola dalle 3 alle 9 persone. La posizione centrale nel letto triclinare è il posto d’onore riservato all’ospite. L’ “alto letto” è alto semplicemente perché cattura lo sguardo di tutti i presenti. L’aggettivo riflette uno stato psicologico. « Tu chiedi, o regina, di rinnovare un dolore indicibile, Ī́nfāndū́m,   rēgī́nă,   iŭbḗs   rĕnŏvā́rĕ dŏlṓrem, Il racconto di Enea si apre con la parola “infandum”, «indicibile». In un primo momento Enea , col definire “indicibile” ciò che lui stesso si sta apprestando a narrare, fa una riflessione di tipo metaletterario; in un secondo momento però il racconto si dipanerà ugualmente. Questo tipo di affermazione riecheggia Omero, che nell’Odissea, fa dire ad Odisseo: «E’ Difficile raccontare, oh regina, dal principio alla fine, perché gli dei del cielo me ne inflissero molte. Ma ti dirò quello che mi chiedi e domandi». All’inizio di Odissea IX c’è il racconto di Odisseo: Ma il tuo cuore s’è volto a chiedere delle mie dolorose sventure, perché piangendo io gema di più. Quale devo narrare per prima, quale per ultima? Quindi anche Omero, e Odisseo con lui, affrontano un problema letterario su come disporre il racconto, come a dire «Il racconto è costellato di fatti così drammatici che non so da dove partire». Pagina di 2 23 Quando Meandro vuole rappresentare un medico parla un dialetto diverso e vengono introdotti dei barbarismi per far evidenziare il lessico di questo. In conclusione è lingua dell’uso, ma comunque lingua letteraria.  Insomma “male” è un avverbio, ma indica un aggettivo: è un prefisso che nega l’aggettivo. Nel IV libro ad esempio abbiamo, al v. 8, in cui Didone parla della sorella Anna dice “malesana” (folle): anche qui “male” determina un aggettivo e ha funzione determinativa. spintesi qui [dagli accampamenti], si nascondono nella costa deserta. hū́c sē prṓvēctī́   dēsḗrto‿īn   lī́tŏrĕ cṓndunt; Noi abbiamo ritenuto che [loro] fossero partiti e con il favore del vento si fossero diretti verso Micene. nṓs ăbĭīśsĕ   răti‿ḗt   vēntṓ  pĕtĭīśsĕ Myc̆ḗnas. 25 Quindi tutta la [gente] Teucria si scioglie/si libera da un lungo dolore. ḗrgo‿ōmnī́s   lōngṓ  sōluī́t   sē   Tḗŭcriă lū́ctu; Si spalancano le porte; piace sia andare tra gli accampamenti dorici pā́ndūntū́r   pōrtǣ́,   iŭvăt ī́re‿ēt   Dṓrĭcă cā́stra sia vedere i luoghi deserti sia il litorale/lido abbandonato. dḗsērtṓsquĕ   vĭdḗrĕ   lŏcṓs   lītū́squĕ rĕlī́ctum: Qui la schiera di Dolopi, qui si accampava lo spietato Achille, hī́c Dŏlŏpū́m   mănŭs, hī́c   sǣvū́s   tēndḗbăt Ăchī́lles; qui il luogo delle flotte, qui solevano combattere schierati. clā́ssĭbŭs hī́c   lŏcŭs, hī́c   ăcĭḗ   cērtā́rĕ sŏlḗbant. 30 Una parte si stupisce del dono funesto della vergine Minerva, pā́rs stŭpĕt ī́nnūptǣ ́ dōnum‿ḗxĭtĭā́lĕ Mĭnḗrvæ e si meravigliano della mole del cavallo; e per primo Timete ḗt mōlḗm   mīrāńtŭr   ĕquī;́   prīmū́squĕ Thym̆œ́̄tes esorta a condurlo dentro le mura e a collocarlo sulla rocca, dū́ci‿īntrā́   mūrṓs   hōrtā́tŭr   ĕt   ā́rcĕ lŏcā́ri, o per inganno o perché così volevano i fati di Troia. sī́vĕ dŏlṓ  sēu iā́m   Trōiǣ́   sīc   fā́tă fĕrḗbant. A Timete, nobile troiano, nacque un figlio il medesimo giorno in cui nacque Paride, il secondogenito di Priamo (re di Troia); e poiché fu predetto che quel giorno sarebbe nato un bambino che avrebbe causato la rovina della città (sarebbe poi stato Paride a rapire Elena) Priamo fece sacrificare il figlio di Timete, il quale, a molti anni di distanza si sarebbe vendicato consigliando per primo di introdurre nella città il cavallo di legno, pur avendo compreso che si trattava di un inganno. Pagina di 5 23 Ma Capis e quanti avevano alla mente un pensiero migliore, āt́ Căpys̆, ḗt   quōrū́m   mĕlĭṓr   sēntḗntĭă mḗnti, 35 invitano o a gettare in mare l’insidia dei Danai e il [loro] dono sospetto ā́ut pĕlăgṓ  Dănăum‿ī́nsĭdĭā́s   sūspḗctăquĕ dṓna e bruciar[lo] con fiamme messe sotto, prǣ́cĭpĭtā́rĕ   iŭbḗnt   sūbiḗctīsque‿ū́rĕrĕ flā́mmis, oppure perforare le cavità del ventre ed esplorare i nascondigli. ā́ut tĕrĕbrā́rĕ   căvā́s   ŭtĕri‿ḗt   tēmptā́rĕ lătḗbras. In Odissea VIII, v. 504 si dice che i greci se ne andarono e bruciarono le tende. Quando i troiani portano il cavallo all’interno la gente si divise: o spaccare il cavallo, o tirarlo fino al dirupo e mandarlo allo sfacelo, o intenderlo come gran dono agli dei. Si scinde il popolo insicuro tra le opposte inclinazioni. scī́ndĭtŭr ī́ncērtū́m   stŭdĭa‿ī́n   cōntrā́rĭă vū́lgus. Per primo davanti a tutti, accompagnato da un grande seguito, Prī́mŭs ĭbi‿ā́nte‿ōmnī́s   māgnā́   cŏmĭtā́ntĕ cătḗrva 40 Laocoonte accorre ardente [d’ira] dalla sommità della rocca Lā́ŏcŏṓn   ārdḗns   sūmmā́   dēcū́rrĭt ăb ā́rce, e da lontano: « O sciagurati cittadini, cos’è questa grande follia? ḗt prŏcŭl 'ṓ  mĭsĕrī́,   quǣ tā́nta‿īnsā́nĭă, cī́ves? Credete i nemici partiti? O ritenete che alcun dono dei Danai crḗdĭtĭs ā́vēctṓs   hōstī́s?   āut   ū́llă pŭtā́tis sia privo di inganni? Così [è] noto Ulisse? dṓnă cărḗrĕ   dŏlī́s   Dănăū́m?   sīc   nṓtŭs Ŭlī́xes? qui chiusi dentro il legno si nascondono gli Achei, ā́ut hōc ī́nclūsī́   līgno‿ṓccūltā́ntŭr Ăchī́vi, 45 o questa macchina è stata fabbricata per le nostre mura ā́ut hǣc ī́n   nōstrṓs   făbrĭcā́tāst   mā́chĭnă mū́ros, destinata a spiare le case e destinata a sopraggiungere nella città dall’alto, ī́nspēctū́ră   dŏmṓs   vēntū́răquĕ   dḗsŭpĕr ū́rbi, o si nasconde un qualche altro inganno: Troiani, non credete al cavallo. ā́ut ălĭquī́s   lătĕt ḗrrŏr;   ĕquṓ  nē   crḗdĭtĕ, Tḗucri. Pagina di 6 23 vv. 46-47 Laocoonte sospetta che il cavallo possa essere una macchina per esplorare dall’altro di essa l’interno della città e per scalare le mura. Qualunque cosa esso sia, temo i Danai anche quando portano doni. quī́dquĭd ĭd ḗst,   tĭmĕṓ  Dănăṓs   ēt   dṓnă fĕrḗntis.’ Così detto, lanciò una grande asta con forze vigorose sī́c fātū́s   uălĭdī́s   īngḗntēm   vī́rĭbŭs hā́stam 50 nel fianco dell’[animale] feroce e nel ventre curvo per via delle giunture. ī́n lătŭs ī́nquĕ   fĕrī́   cūrvā́m   cōmpā́gĭbŭs ā́lvum Quella stette [infissa] tremando, per lo scotimento del ventre cṓntōrsī́t.   stĕtĭt ī́llă   trĕmḗns,   ŭtĕrṓquĕ rĕcū́sso le cavità risuonarono e le caverne diedero un gemito. ī́nsŏnŭḗrĕ   căvǣ́   gĕmĭtū́mquĕ   dĕdḗrĕ căvḗrnæ. E, se i fati degli dei, se la [nostra] mente non fosse stata mal disposta, ḗt, sī fā́tă   dĕū́m,   sī mḗns   nōn   lǣ́vă fŭī́sset, [ci] aveva spinto a lacerare col ferro le argoliche tane, īḿpŭlĕrāt́   fērro‿Ā́rgŏlĭcāś   fœ̄dāŕĕ lătḗbras, 55 Troia ora sarebbe ancora in piedi, e tu, rocca di Priamo, rimarresti alta. Trṓiăquĕ nū́nc   stārḗt,   Prĭămī́que‿ārx   ā́ltă mănḗres. Pagina di 7 23 PROBLEMA FILOLOGICO: MANERES O MANERET ? Staret, è documentato da Servio dal codice M. Servio, nel codice M, dice che “dopo staret ci deve essere maneret, la seconda persona”. Siccome “maneret” è terza persona e di fianco c’è scritto “seconda persona”, questo vuol dire che Servio, nel IV sec., documenta di avere sottocchio due versioni (una in seconda persona e una in terza): ciò significa che già nel IV sec. v’era incertezza. Le ipotesi, a questo punto, sono due: 1) Erano già corrotti i manoscritti all’eta di Virgilio 2) Visto che Virgilio ha fatto circolare più redazioni dell’Eneide, si può parlare di una variante d’autore.   Il problema della variante d’autore è molto rilevante per i filologi moderni, poiché per gli autori antichi non si possiedono manoscritti come si posseggono ad esempio quelli di Manzoni o di Leopardi. Di Virgilio non si ha una stampa di “ultima volontà dell’autore” , ma solo una serie di manoscritti. Fuggiamo di qua e di là esangui a quella vista. Quelli con marcia sicura dī́ffŭgĭmū́s   vīsu‿ḗxsānguḗs.   īlli‿ā́gmĭnĕ cḗrto si dirigono su Laocoonte; e dapprima l’uno e l’altro serpente Lā́ŏcŏṓntă   pĕtū́nt;   ēt prī́mūm   pā́rvă dŭṓrum avvolge in una stretta i piccoli corpi dei due figli, cṓrpŏră nā́tōrū́m   sērpḗns   āmplḗxŭs ŭtḗrque e divora le loro misere membra con un morso; ī́mplĭcăt ḗt   mĭsĕrṓs   mōrsū́   dēpā́scĭtŭr ā́rtus; 215 dopo lo stesso che accorreva in aiuto e che porta le armi pṓst īpsum‿ā́uxĭlĭṓ   sŭbĕū́ntem‿āc   tḗlă fĕrḗntem [lo] afferrano e lo avvinghiano con le grandi spire; e già cṓrrĭpĭū́nt   spīrī́squĕ   lĭgā́nt   īngḗntĭbŭs; ḗt iam due volte avvolti al mezzo due volte data la schiena squamosa intorno al collo bī́s mĕdĭum‿ā́mplēxī́,   bīs cṓllō  squā́mĕă cī́rcum sopravanzano con il capo e con le alte cervici. tḗrgă dătī́   sŭpĕrā́nt   căpĭte‿ḗt   cērvī́cĭbŭs ā́ltis. Quello allo stesso tempo tenta di rompere i nodi con le mani ī́llĕ sĭmū́l   mănĭbū́s   tēndī́t   dīvḗllĕrĕ nṓdos 220 cosparso di bava le bende e di nero veleno pḗrfūsū́s   sănĭḗ   vīttā́s   ātrṓquĕ vĕnḗno, allo stesso tempo leva alle stelle orrende urla, clā́mōrḗs   sĭmŭl hṓrrēndṓs   ād   sī́dĕră tṓllit: come i muggiti, quando un toro ferito fugge dall’altare quā́līs mū́gītū́s,   fūgī́t   cūm   sā́ucĭŭs ā́ram e ha scosso via dal collo la scure malcerta. tā́urŭs ĕt ī́ncērtam‿ḗxcūssī́t   cērvī́cĕ sĕcū́rim. La rappresentazione plastica del museo Vaticano ritrae il malefici serpenti che divorano i figli di Laocoonte. La scultura sembra essere anteriore a Virgilio stesso, e sembra che questi la conoscesse. Tuttavia fra Virgilio e questo gruppo plastico sembra esservi un’unica differenza: in Virgilio i rettili divorano il padre e i due figli, mentre nella scultura marmorea un figlio si salva. Nei versi successivi non è descritta direttamente la morte di Laocoonte, ma improvvisamente si passa oltre. È un elemento molto Pagina di 10 23 crudo per essere descritto. Laocoonte muore con grida altissime, simili a quelle di una vittima sacrificale (clamores horrendos). Nell’Èdipo di Seneca, Tiresia, per sapere quali sono le cause della peste, fa un sacrificio mostruoso: viene uccisa una giovenca e scopre che l’animale ha tutte le viscere rovesciate. Il sacrificio finisce male perché dietro c’è una storia incestuosa. Qui, in Virgilio, abbiamo una struttura abbastanza simile: si richiama qualcosa che è di cattivo auspicio; Virgilio sta descrivendo non un normale sacrificio, ma un sacrificio che andrà a finire male; infatti quello di Laocoonte non è il normale lamento dell’animale offerto in sacrificio. Intanto i serpenti gemelli strisciando si ritirano verso l’alto santuario ā́t gĕmĭnī́   lāpsū́   dēlū́bra‿ād   sū́mmă drăcṓnes 225 e si dirigono verso la rocca della crudele Tritonide; ḗffŭgĭū́nt   sǣvǣ́quĕ   pĕtū́nt   Trītṓnĭdĭs ā́rcem, s’appiattano sotto i piedi della [statua della] dea e sotto il cerchio dello scudo. sū́b pĕdĭbū́squĕ   dĕǣ́   clĭpĕī́quĕ   sŭb   ṓrbĕ tĕgū́ntur. Tritonide/Pallade/Minerva ritta teneva con la sinistra lo scudo a un’estremità, il quale toccava terra con l’altra; ai piedi spesso le posava un drago, che si considerava suo ministro. Tuttavia la presenza della statua di Minerva nella Troia di quei tempi è un fatto che cozza con la vicenda del furto del Palladio, un simulacro che, secondo le credenze dell'antichità, aveva il potere di difendere un'intera città e che viene rubato da Ulisse e Diomede. Per tale motivo si pensa che esistessero più simulacri della dea. Allora in verità a tutti si insinua nei cuori sbigottiti un nuovo timore, tū́m vērṓ  trĕmĕfā́ctă   nŏvū́s   pēr   pḗctŏră cū́nctis e pensano che Laocoonte abbia espiato meritatamente il delitto, ī́nsĭnŭā́t   păvŏr, ḗt   scĕlŭs ḗxpēndī́ssĕ mĕrḗntem poiché ha violato con la punta il legno sacro Lā́ŏcŏṓntă   fĕrū́nt,   sācrū́m   quī   cū́spĭdĕ rṓbur 230 e [perché] ha scagliato l’asta scellerata nel fianco. lǣ́sĕrĭt ḗt   tērgṓ  scĕlĕrā́tam‿īntṓrsĕrĭt hā́stam. Nel narrare l’episodio di Laocoonte Virgilio introduce alcune variazioni rispetto alla versione tradizionale del mito; in particolare, è un’innovazione virgiliana il fatto che il lancio dell’asta nel fianco del cavallo venga interpretato dai Troiani come un gesto blasfemo e venga messo in relazione con la successiva morte di Laocoonte . Nella tradizione precedente del mito, Enea, assistendo alla morte del sacerdote, capiva che il destino di Troia era ormai irrimediabilmente segnato e per questo decideva di abbandonare la città . Pagina di 11 23 Gridano che si deve condurre al tempio il simulacro e pregare il nume della dea. dū́cēndum‿ā́d   sēdḗs   sĭmŭlā́crum‿ōrā́ndăquĕ dī́væ numina conclamant. Il «Simulacrum» è il cavallo di legno costruito dai Greci per ingannare i Troiani. Secondo il racconto menzognero di Sinone, il finto disertore greco, il cavallo era un’offerta dei Greci per Atena, in risarcimento del furto del Palladio (la statua della dea che Ulisse e Diomede avevano trafugato dal tempio di Atena ubicato sulla rocca di Troia). Dividiamo i palazzi e espandiamo le mura della città. dīv́ĭdĭmū́s   mūrṓs   ēt mœ́̄nĭă   pāńdĭmŭs ū́rbis. Tutti si accingono all’opera e pongono sotto ai piedi lo scorrere dei rulli ā́ccīngū́nt   ōmnḗs   ŏpĕrī́   pĕdĭbū́squĕ rŏtā́rum 235 e tendono le funi di stoppa al collo [del cavallo]; sū́bĭcĭū́nt   lāpsū́s,   ēt stū́ppĕă   vī́ncŭlă cṓllo la fatale macchina sale le mura ī́ntēndū́nt;   scāndī́t   fātā́līs   mā́chĭnă mū́ros gravida d’ armi. Giovinetti intorno e vergini fanciulle fḗta‿ārmī́s.   pŭĕrī́   cīrcum‿ī́nnūptǣ́quĕ pŭḗllæ cantano inni sacri e godono nel tenere la fune con la mano; sā́cră cănū́nt   fūnḗmquĕ   mănū́   cōntī́ngĕrĕ gā́udent; quella va e scivola minacciosa nel cuore della città. ī́llă sŭbī́t   mĕdĭǣ́quĕ   mĭnā́ns   īnlā́bĭtŭr ū́rbi. 240 Virgilio utilizza una tecnica narrativa simile a quella della tragedia, per cui non si ha un continuum narrativo, ma tanti quadri diversi. Il fatto, poi, che ci siano i campi di fanciulle vergini richiama i canti amebei di giovani uomini e donne, componimenti poetici in cui si alternano domanda e risposta, che sono tipici dei riti romani. Virgilio quindi attualizza, portando questo episodio verso i riti romani. Il lettore romano, augusteo, si identifica così nel popolo di Troia. Si potrà definire anacronismo, ma è solo uno dei modi in cui il mondo romano si apre al mondo greco. O patria, o Ilio, dimora degli dei e mura dei Dardanidi famose per la guerra! ṓ pătrĭa,‿ṓ  dīvū́m   dŏmŭs Ī́lĭum‿ĕt   ī́nclŭtă bḗllo Quattro volte s’arrestò proprio sul limitare della porta mœ́̄nĭă Dāŕdănĭdū́m!   quătĕr īṕso‿īn   līḿĭnĕ pṓrtæ Pagina di 12 23 Portando con se la barba trascurata, i capelli rappresi di sangue Squā́lēntḗm   bārbam‿ḗt   cōncrḗtōs   sā́nguĭnĕ crī́nis e quelle ferite, che ricevette infinite intorno alle mura patrie! vū́lnĕrăque‿ī́llă   gĕrḗns,   quǣ cī́rcūm   plū́rĭmă mū́ros Mi sembrava che io stesso, piangendo, per primo ā́ccēpī́t   pătrĭṓs.   ūltrṓ  flēns   ī́psĕ vĭdḗbar rivolgessi la parola all’eroe e proferissi le tristi parole: cṓmpēllā́rĕ   vĭrum‿ḗt   mǣstā́s   ēxprṓmĕrĕ vṓces: 280 All’interno del sogno Enea “sembra” fare qualcosa. Non dice «io mi rivolsi», ma dice «mi sembrava di rivolgermi». Quindi videor esprime un “sembrare” all’interno del sogno. «Oh luce Dardanide, oh speranza sicurissima dei Teucri, 'ṓ lūx Dā́rdănĭǣ́,   spēs ṓ  fīdī́ssĭmă Tḗucrum, quali grandi indugi [ti] trattennero? Da quali regioni vieni oh atteso Ettore? quǣ́ tāntǣ́   tĕnŭḗrĕ   mŏrǣ́?   quĭbŭs   Hḗctŏr ăb ṓris Come dopo molte uccisioni dei tuoi ḗxspēctā́tĕ   vĕnī́s?   ūt tḗ   pōst   mū́ltă tŭṓrum e molti travagli degli uomini e della città, fū́nĕră, pṓst   vărĭṓs   hŏmĭnū́mque‿ūrbī́squĕ lăbṓres 
 [ci] rivediamo stremati! Quale indegna causa deturpò il tuo volto sereno? dḗfēssi‿ā́spĭcĭmū́s!   quǣ cā́usa‿īndī́gnă sĕrḗnos 285 O perché scorgo queste ferite?» fœ́̄dāvīt́   vūltū́s?   āut cū́r   hǣc   vū́lnĕră cḗrno?’ Enea non sembra cogliere un aspetto fondamentale: Errore è morto e non può essere una speranza per i Teucri. Tuttavia Virgilio vuole dare a intendere che trattasi di una narrazione di un sogno. È fatto un singolare, assistiamo ad un tentativo di rappresentazione dell’inconscio da parte di una cultura che non ha strumenti interpretativi per l'analisi dell’inconscio!  Ettore, nel sogno di Enea viene ancora considerato l'estremo ed unico baluardo della città. Fra l’altro questa locuzione è una citazione da Ennio, che inizia esattamente con lo stesso “lux dardanide”. quello non [risponde], né ferma me che domando cose vane, ī́llĕ nĭhī́l,   nēc mḗ   quǣrḗntēm   uā́nă mŏrā́tur, ma gravemente traendo un gemito dal profondo del petto, sḗd grăvĭtḗr   gĕmĭtū́s   īmṓ  dē   pḗctŏrĕ dū́cens, Pagina di 15 23 «Ah fuggi, figlio della dea» dice «e sottraiti da queste fiamme: 'hḗu fŭgĕ, nā́tĕ   dĕā́,   tēque‿hī́s'   ăĭt   'ḗrĭpĕ flā́mmis. Ettore ha la funzione di svegliare Enea, perché attorno a lui sta crollando tutta la città. La città è in fiamme e Enea è ignaro di tutto ciò; Ettore lo richiama alla realtà. il nemico ha le mura, Troia precipita dall’altro della rocca. hṓstĭs hăbḗt   mūrṓs;   rŭĭt ā́lto‿ā  cū́lmĭnĕ Trṓia. 290 E’ stato dato abbastanza alla patria e a Priamo: se una mano sā́t pătrĭǣ́   Prĭămṓquĕ   dătū́m:   sī   Pḗrgămă dḗxtra potesse difendere Pergamo, sarebbe già stata difesa con questa [mia mano]. dḗfēndī́   pōssḗnt,   ĕtĭam‿hā́c   dēfḗnsă fŭī́ssent. Troia ti affida i suoi arredi sacri e i Penati; sā́cră sŭṓsquĕ   tĭbī́   cōmmḗndāt   Trṓiă pĕnā́tis; prendi questi come compagni dei fati, con questi, ricerca le grandi mura, hṓs căpĕ fāt́ōrū́m   cŏmĭtḗs,   hīs   mœ́̄nĭă quǣ́re che infine costruirai, percorso il mare». mā́gnă pĕrḗrrātṓ  stătŭḗs   quǣ  dḗnĭquĕ pṓnto.' 295 Così dice/disse e portò le bende sulle mani e Vesta potente, sī́c ăĭt ḗt   mănĭbū́s   vīttā́s   Vēstā́mquĕ pŏtḗntem e l’eterno fuoco dalla parte più interna del tempio ǣ́tērnū́mque‿ădyt̆īś   ēffḗrt   pĕnĕtrāĺĭbŭs īǵnem. Nel sogno di Enea è Ettore stesso che prende le bende sacre di Vesta e il fuoco eterno. Questo è significativo perché si tratta di un rito tipicamente romano: il celeberrimo rito di Vesta, praticato dalle vestali dalle quali viene mantenuto un fuoco eterno. Orazio nell'ode 30 del III libro dice che la sua fama finirà solo quando le vestali non compieranno più il rito e non esisterà più Roma. Ettore dice che se fosse stato possibile avrebbe fermata lui la strage di Troia, ma siccome non ci è riuscito è impossibile salvarla. Udito ciò Enea prende la madre, il padre e si allontana. Quest’atto potrebbe essere interpretato come tradimento dalla mentalità romana; perché ciò non accada ed Enea non venga visto come un traditore, c’è allora bisogno di un evento straordinario, e cioè ci vuole qualcuno che venga dall'aldilà e che inciti a Enea ad andare: costui può essere solo un Dio - o Ettore, l'ultimo custode della città. Il sogno di Enea è peculiare: è caratterizzato da una mancanza di una immediata comprensione, di comunicazione, di una rivelazione del futuro al vivo. Una delle caratteristiche dei sogni è il contagio del pianto: Ettore compare e il primo aspetto che Enea coglie è che egli piange. Successivamente, nel v. 279, quando Enea inizia a parlare di se stesso dice che piangeva. Ettore morto contagia nel pianto Enea vivo. I Pagina di 16 23 critici hanno confrontato questo episodio con un sogno in particolare ed è il sogno del XXIII libro dell'Iliade: Patroclo che appare in sogno ad Achille. Egli è un morto non sepolto che chiede la sepoltura. Come Ettore rivela il suo fato ad Enea, così Patroclo rivela ad Achille la sua futura morte. Non v'è comunicazione; c'è solo il pianto, la consapevolezza che l'anima non abbia alcuna essenza, e che il vivo non possa abbracciare il morto. In Aen. XI Virgilio immagina un viaggio nell'aldilà. L’ Ade omerico è collocato al di là delle colonne d'Ercole. Ulisse deve andare lì per conoscere il proprio futuro. Omero immagina che Ulisse faccia un ecatombe di buoi e dal richiamo del sangue immagina che le anime escano. Il sangue da la forza alle anime per parlare. Riassunto di ciò che succede fra v. 298 e v. 486: [486-558] LA MORTE DI PRIAMO Ma l’interno del palazzo è sconvolto a causa di un gemito e di un triste tumulto, Ā́t dŏmŭs ī́ntĕrĭṓr   gĕmĭtū́   mĭsĕrṓquĕ tŭmū́ltu e più all’interno le stanze incavate ululano con pianti femminili: mī́scētū́r,   pĕnĭtū́squĕ   căvǣ́   plāngṓrĭbŭs ǣ́des il clamore ferisce le auree stelle. fḗmĭnĕī́s   ŭlŭlā́nt;   fĕrĭt ā́urĕă   sī́dĕră clā́mor. Allora le donne impaurite errano per le vaste sale tū́m păvĭdǣ́   tēctī́s   mātrḗs   īngḗntĭbŭs ḗrrant e tengono abbracciati gli stipiti e vi imprimono baci. ā́mplēxǣ́quĕ   tĕnḗnt   pōstī́s   ātque‿ṓscŭlă fī́gunt. 490 Insiste Pirro con la veemenza del padre: né le sbarre ī́nstāt vī́   pătrĭā́   Pȳrrhū́s;   nēc   clā́ustră nĕc ī́psi 298-317 Enea guarda dall’alto l’assalto e vuole scendere a combattere. 318-385 Panto racconta ad Enea degli scontri; Enea si unisce a dei compagni e va a combattere. 386-430 Corebo propone di indossare armi achee per ingannare i nemici; successi del gruppetto, ma poi sono bersagliati dalle frecce troiane e molti muoiono (tra cui Rifeo e lo stesso Corebo). 431-505 I superstiti vanno al palazzo di Priamo e provano a resistere all’assedio, ma Pirro e i Mirmidoni sfondano le porte: i Greci entrano e fanno strage. 506-558 Racconto della fine di Priamo, trucidato da Pirro. Pagina di 17 23 « il momento non ha bisogno né di tale aiuto né di questi difensori; 'nṓn tāli‿ā́uxĭlĭṓ   nēc dḗfēnsṓrĭbŭs ī́stis se ora ci fosse il mio stesso Ettore, non… tḗmpŭs ĕgḗt;   nōn, si‿īṕsĕ   mĕūś   nūnc   ā́dfŏrĕt Hḗctor. «Si […] Hector» periodo ipotetico in cui è implicita la apodosi (di cui resta solo “non”): v’è solo la protasi. Si tace la conclusione. Ciò non fa altro che richiamare ad Enea l’Ettore del proprio sogno, che gli aveva detto che sarebbe stato inutile rimanere a Troia e che se questa doveva essere difesa, sarebbe stato egli stesso a difenderla. Dunque vieni qua; quest’ara ci proteggerà tutti, hū́c tāndḗm   cōncḗde;‿hǣc ā́ră   tŭḗbĭtŭr ṓmnis, o morirai insieme [a noi].» Così grazie alle parole ritrasse ā́ut mŏrĭḗrĕ   sĭmū́l.'   sīc ṓre‿ēffā́tă rĕcḗpit a sé e collocò il vecchio nella sacra sede. ā́d sēse‿ḗt   sācrā́   lōngǣ́uum‿īn   sḗdĕ lŏcā́vit. 525 Ma ecco Polite sfuggito al massacro di Pirro, Ḗcce‿āutem‿ḗlāpsū́s   Pȳrrhī́   dē   cǣ́dĕ Pŏlī́tes, uno dei figli di Priamo, che fugge tra i dardi, tra i nemici ū́nūs nā́tōrū́m   Prĭămī́,   pēr   tḗlă, pĕr hṓstis per i lunghi porticati e gira intorno agli atri vuoti pṓrtĭcĭbū́s   lōngī́s   fŭgĭt ḗt   văcŭa‿ā́trĭă lū́strat ferito. Pirro ardente lo insegue, accanito dalla foga, sā́ucĭŭs. ī́llum‿ārdḗns   īnfḗstō  vū́lnĕrĕ Pȳ́rrhus e ormai lo tiene in mano e lo infilza con l’asta. īńsĕquĭtūŕ,  iām iāḿquĕ   mănū ́ tĕnĕt  ḗt prĕmĭt hā́sta. 530 Quando infine giunse dinanzi agli occhi e ai volti dei genitori, ū́t tāndem‿ā́nte‿ŏcŭlṓs   ēvā́sĭt   ĕt   ṓră părḗntum, cadde e effuse la vita con molto sangue. cṓncĭdĭt ā́c   mūltṓ  vītā́m   cūm   sā́nguĭnĕ fū́dit. Allora Priamo, sebbene già abbracciato dalla stretta della morte, hīć Prĭămūś,  quāmquam‿īń  mĕdĭā ́ iām  mṓrtĕ tĕnḗtur, tuttavia non si tenne lontano, e né risparmiò voce e ira: nṓn tămĕn ā́bstĭnŭī́t   nēc vṓci‿īrǣ́quĕ pĕpḗrcit: Pagina di 20 23 « A te per tale delitto» esclama « per tali sfrontatezze 'ā́t tĭbĭ prṓ  scĕlĕre,'‿ḗxclāmā́t,   'prō  tā́lĭbŭs ā́usis 535 gli dei, se nel cielo v’è qualche pietà che si curi di tali cose, dī́, sī quā́st   cǣlṓ  pĭĕtā́s   quǣ  tā́lĭă cū́ret, ti ricambino le degne grazie e rendano i premi pḗrsōlvā́nt   grātḗs   dīgnā́s   ēt   prǣ́mĭă rḗddant debiti, che mi hai fatto vedere apertamente la morte di mio figlio dḗbĭtă, quī́   nātī́   cōrā́m   mē   cḗrnĕrĕ lḗtum e hai deturpato il volto del padre con l’eccidio. fḗcīsti‿ḗt   pătrĭṓs   fœ̄dāśtī   fū́nĕrĕ vū́ltus. Ma quell’Achille, del quale ti menti seme, ā́t nōn ī́llĕ,   sătū́m   quō tḗ   mēntī́rĭs, Ăchī́lles 540 non fu tale con il nemico Priamo; ma si ebbe pudore dei diritti e della lealtà tā́lĭs ĭn hṓstĕ   fŭī́t   Prĭămṓ;   sēd   iū́ră fĭdḗmque del supplice e restituì il corpo esangue di Ettore al sepolcro sū́pplĭcĭs ḗrŭbŭī́t   cōrpū́sque‿ēxsā́nguĕ sĕpū́lcro e mi rimandò nella mia raggia.» rḗddĭdĭt Hḗctŏrĕū́m   mēque‿ī́n   mĕă   rḗgnă rĕmī́sit.’ Priamo allude al suo incontro con Achille, da cui fu accolto con rispetto, quando andò alla sua tenda chiedendogli la restituzione del corpo di Ettore per seppellirlo. Achille restituì il corpo di Ettore a Priamo, recandosi supplice nel suo accampamento sotto la guida di Mercurio; rispettò i giuramenti e la fides, avendo così rispetto per la sacralità del nemico. Quando il nemico diventa ospite, diventa sacro e come tale va rispettato. Così detto il vecchio lanciò un a dardo imbelle senza urto, sī́c fātū́s   sĕnĭṓr   tēlū́mque‿īmbḗllĕ sĭne‿ī́ctu dal suono sordo, che di seguito fu respinto dal bronzo cṓniēcī́t,   rāucṓ  quōd prṓtĭnŭs   ǣ́rĕ rĕpū́lsum, 545 e penzolò vanamente dalla sommità della borchia dello scudo. ḗt sūmmṓ  clĭpĕī́   nēquī́quam‿ūmbṓnĕ pĕpḗndit. A lui Pirro: «riferirai dunque questo e andrai messaggero cū́i Pȳrrhū́s:   'rĕfĕrḗs   ērgo‿hǣ́c   ēt   nū́ntĭŭs ī́bis Pagina di 21 23 dai genitori del Pelìde; Ricorderai di narrare loro le mie funesta gesta e Neottolemo degenerato. Pḗlīdǣ́   gĕnĭtṓri.‿īllī́   mĕă   trī́stĭă fā́cta dḗgĕnĕrḗmquĕ   Nĕṓptŏlĕmū́m   nārrā́rĕ mĕmḗnto. Pirro quindi gli dice «adesso tu muori e tutto quello che hai detto vallo a dire a mio padre!». Pirro è un personaggio iroso e arrogante, anche nelle Troiane di Seneca litiga con Agamennone e ne mette in dubbio il ruolo di comandante, perché in realtà il vero combattente è stato Achille, che appare in sogno a Pirro facendogli una richiesta; questo porta Pirro ad eccedere nelle sue caratteristiche e successivamente sfociare nell’empietà. Qui Pirro viene caratterizzato da due nomi “ares” (“fuoco”; del resto anche lo stesso nome “Pyrrus” dire “fuoco”) e “Neottolemo” (“colui che combatte in maniera nuova”; colui che affronta un nuovo combattimento, che combatte in maniera diversa da quella del padre). Qui viene considerato diverso da Achille. ora muori!» Così dicendo lo trascinò, verso lo stesso altare, tremante nūńc mŏrĕre.'‿hṓc  dīcḗns  āltāŕĭa‿ăd  īṕsă trĕmḗntem 550 e vacillante nel molto sangue del figlio, trā́xĭt ĕt ī́n   mūltṓ  lāpsā́ntēm   sā́nguĭnĕ nā́ti, gli afferrò la chioma con la sinistra e con la destra estrasse la spada lampeggiante ī́mplĭcŭī́tquĕ   cŏmā́m   lǣvā́,   dēxtrā́quĕ cŏrū́scum e gliela immerse nel fianco fino all’elsa. ḗxtŭlĭt ā́c   lătĕrī́   căpŭlṓ  tĕnŭs   ā́bdĭdĭt ḗnsem. Ci sono vari aspetti di empietà: Paride è vecchio (e si deve avere pietà per i vecchi); Priamo viene fatto annaspare nel molto sangue del figlio; il gesto è compiuto presso i sacri altari. Questa la fine dei destini di Priamo, questa morte fatale lo hǣ́c fīnī́s   Prĭămī́   fātṓrum,‿hīc   ḗxĭtŭs ī́llum portò via mentre vedeva Troia arsa e Pergamo crollata sṓrtĕ tŭlīt́  Trōiam‿īńcēnsam‿ḗt  prōlāṕsă vĭdḗntem 555 lui, un tempo superbo regnante di popoli e terre dell’Asia. Pḗrgămă, tṓt   quōndā́m   pŏpŭlī́s   tērrī́squĕ sŭpḗrbum Giace sul lido un grande tronco, rḗgnātṓrem‿Ăsĭǣ́.   iăcĕt ī́ngēns   lī́tŏrĕ trū́ncus, Pagina di 22 23