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ENEIDE LIBRO IV: traduzione letterale completa, Traduzioni di Lingua Latina

Traduzione completa e il più possibile aderente al testo originale del quarto libro dell'Eneide di Virgilio.

Tipologia: Traduzioni

2019/2020

In vendita dal 14/05/2020

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Scarica ENEIDE LIBRO IV: traduzione letterale completa e più Traduzioni in PDF di Lingua Latina solo su Docsity! ENEIDE, Libro IV, Virgilio – traduzione letterale Ma la regina già da molto ferita da grave affanno la ferita nutre nelle vene ed è colta da un cieco fuoco. Ritorna molto nell’animo la grande virtù dell’eroe e il grande onore della stirpe; persistono fissi nel petto il volto e le parole, né l’affanno dà placida quiete alle membra. 5 L’aurora seguente illuminava le terre con la lanterna di Febo e l’umida ombra aveva allontanato dal cielo, quando così, insana, esorta la concorde sorella: “Sorella Anna, quali sogni terrorizzano me, incerta. Che straordinario ospite questo è giunto alla nostra dimora, 10 quale mostrandosi nel volto, quanto dal forte petto e armi. Credo davvero, non vana la fiducia, che sia di stirpe divina. Il timore rivela gli animi degeneri. Ahimè, da quali fati egli è trasportato. Quali guerre esaurite cantava. Se a me non stesse fisso e immobile nell’animo 15 di non volermi unire a alcuno con vincolo coniugale, dopo che il primo amore ingannò (me) illusa con la morte; se non fossi disgustata dal matrimonio e dalla fiaccola nuziale, forse a questa unica colpa potrei soccombere. Anna, confesserò infine, dopo la morte dell’infelice marito 20 Sicheo e i dispersi i penati per la strage fraterna egli solo toccò i miei sensi e l’animo che vacilla percosse. Conosco i segni dell’antica fiamma. Ma per me vorrei o che prima la terra profonda si apra o che il padre onnipotente mi spinga col fulmine alle ombre, 25 le ombre del pallido Erebo e la notte profonda, prima, pudore, che ti violi o annulli le tue leggi. Quello, che per primo mi giunse a sé, portò via i miei affetti; quello li abbia con sé e li serbi nel sepolcro”. Così enunciato colmò il seno di lacrime sgorgate. 30 Anna risponde: “O più cara della luce per tua sorella, sola passerai l’intera giovinezza affliggendoti, e non conoscerai i dolci figli né i premi di Venere? Credi che di questo si occupino le ceneri o i mani sepolti? E sia, un tempo nessun marito piegò te affranta, 35 non in Libia, non prima a Tiro; fu respinto Larba e tutti gli altri condottieri, che l’Africa terra ricca di trionfi nutre: combatterai anche un amore gradito? Né viene in mente nei territori di chi sei stabilita? Da una parte le città Getule, stirpe invincibile in guerra, 40 ti circondano e i Numidi senza freni e l’inospitale Sirti; dall’altra una regione deserta per la siccità e gli a lungo furenti Barcei. Cosa dirò delle guerre che sorgono da Tiro e delle minacce del fratello? Davvero credo che con gli auspici degli dèi e Giunone favorevole 45 questa rotta abbiano tenuto le navi troiane col vento. Quale tu, sorella, vedresti questa città, quali regni sorgere da tale matrimonio. Con l’unione delle armi dei Teucri a quali imprese si innalzerebbe la gloria cartaginese. Tu solo chiedi aiuto agli dèi, celebrati i riti sacri 50 indulgi nell’ospitalità e cerca pretesti per trattenerlo, finché sul mare imperversa l’inverno e il piovoso Orione, così di rimando rispose Venere: “Chi pazzo negherebbe queste cose o preferirebbe combattere con te in guerra? Solo se la fortuna segue l’evento che ricordi. Ma sono resa incerta dai fati, se Giove vuole che ci sia 110 una sola città per i Tiri e per i partiti da Troia, o approvi che si mischino i popoli o si stringano patti. Tu (sei) la sposa, a te è possibile tentare l’animo pregando. Procedi, seguirò”. Allora così rispose la regia Giunone: “Con me sarà questo lavoro. Ora ascolta, come possa 115 compiersi quello che preme insegnerò con poche (parole). Enea e insieme la tristissima Didone si preparano a andare nella selva per cacciare, appena il sole di domani avrà emesso i primi albori e illuminato la terra coi raggi. Io un nero acquazzone misto a grandine, 120 mentre le schiere trepidano e cingono le balze con la rete, riverserò su loro e scuoterò tutto il cielo con un tuono. Fuggiranno i compagni e saranno avvolti da un’opaca notte: nella stessa spelonca Didone e il capo Troiano si troveranno. Ci sarò e, se la tua volontà sarà sicura per me, 125 congiungerò in un vincolo stabile e la dirò propria. Queste saranno le nozze”. Non opponendosi a lei che parlava, annuì la Citerea e sorrise degli inganni scoperti. Intanto l’Aurora sorgendo lasciò l’oceano. sorto il sole la gioventù scelta esce dalle porte; 130 reti larghe, lacci, spiedi di largo ferro, corrono i cavalli Massili e la forza odorosa dei cani. La regina indugiante nella stanza presso la soglia aspettano i principi cartaginesi, insigne di porpora e oro sta scalpitante (il cavallo) e feroce morde i freni spumanti. 135 Finalmente avanza circondata da una grande schiera avvolta da un mandello sidonio dall’orlo ricamato; ha la faretra d’oro, sono annodati i capelli nell’oro, una fibbia aurea allaccia la veste purpurea. Anche i compagni frigi e il lieto Giulio 140 avanzano. Lo stesso Enea, fra tutti gli altri bellissimo, si offre compagno e congiunge le schiere. Quale quando lascia l’invernale Licia e le correnti dello Xanto, Apollo rivede la materna Delo e rinnova le danze e, mescolati attorno agli altari 145 Cretesi, Driopi e i tatuati Agatirsi fremono, lui stesso avanza per i gioghi del Cinto e con molle fronda lega la fluente chioma acconciando e la annoda con l’oro, le frecce risuonano sulle spalle; non meno lento di lui andava Enea, altrettanto onore splende sull’egregio volto. 150 Dopo essere giunti sugli alti monti e negli impervi colli, ecco le capre selvatiche cacciate dal vertice di una roccia correre per i gioghi; da un’altra parte le estese pianure attraversano a corsa i cervi e nella fuga polverosa riuniscono le turbe e abbandonano i monti. 155 Intanto il piccolo Ascanio in mezzo alle valli col vigoroso cavallo gioisce e in corsa oltrepassa ora questi ora quelli, e spera che sia dato tramite preghiere in mezzo alle innocue bestie un cinghiale spumante, o un fulvo leone che discenda dal monte. Intanto il cielo inizia a essere mosso con gran 160 fragore, segue un acquazzone misto a grandine, e senza pensarci i compagni Tiri e la gioventù troiana e il dardanide nipote di Venere sparpagliati nei campi cercano riparo con timore; corrono i torrenti dai monti. Didone e il comandante troiano alla stessa spelonca 165 giungono. E la Terra per prima e Giunone pronuba danno il segnale; rifulgono le saette e il cielo testimone del connubio e dal sommo vertice ulularono le ninfe. Quel giorno fu il primo di rovina e il primo causa di mali; infatti Didone non è più mossa dalla sua 170 buona fama né aspira più a un amore furtivo: lo chiama matrimonio, con questo nome nasconde la colpa. Subito la Fama va per le grandi città della Libia, la Fama, un male di cui nessun altro è più veloce: col movimento si accresce e acquisisce forza andando, 175 dapprima piccola per paura, si innalza poi nell’aria, procede sul suolo e il capo nasconde tra le nuvole. Quella la madre Terra irritata dall’ira contro gli dèi ultima, come raccontano, come sorella a Ceo ed Encelado la creò veloce nei piedi e dalle ali rapide, 180 un mostro orrendo, smisurato, cui stanno tante piume sul corpo, tanti vigili occhi al sotto, incredibile a dirsi, tante lingue, così tante bocche risuonano, tante orecchie tiene aperte. Di notte vola in mezzo al cielo e alla terra per l’ombra stridendo, né chiude gli occhi al dolce sonno; 185 di giorno siede vigilante o sulla sommità di un’altissima casa o su alte torri, e spaventa grandi città, Quindi prende la verga: con questa quello evoca le anime pallide dall’Orco, altre invia sotto il triste Tartaro, dà e toglie il sonno, e riapre gli occhi dalla morte. Fiducioso di quella spinge i venti e attraversa le torbide 245 nuvole. Già volante scorge la vetta e gli alti fianchi del duro Atlante che regge il cielo con la testa, Atlante, il cui capo folto di pini è continuamente cinto da nuvole nere e battuto da vento e pioggia, la neve sparsa copre le spalle, allora i fiumi dal mento 250 del vecchio precipitano e per il gelo è rigida l’ispida barba. Qui per prima cosa il Cillenio librandosi con ali spiegate si fermò; da qui con l’intero corpo a testa in giù verso le onde si lanciò, come uccello che intorno alle rive, intorno ai pescosi scogli vola basso vicino al mare. 255 Non diversamente volava tra cielo e terra verso il lido arenoso della Libia, e solcava i venti la prole cillena venendo dall’avo materno. Appena sfiorò le capanne coi piedi alati, vide Enea che fondava le rocche e rinnovava le 260 case. E a quello era una spada scintillante di fulvo diaspro e ardeva un mantello di porpora tiria scendendogli dalle spalle, doni che la ricca Didone aveva fatto, e aveva trapunto con sottile oro i tessuti. Subito assale: “Tu ora poni le fondamenta 265 dell’alta Cartagine e una bella città sottomesso alla moglie costruisci? Ahi dimentico del regno e delle tue imprese. Lo stesso re degli dèi mi invia a te dal luminoso Olimpo, che muove col suo potere cielo e e terra, lui stesso ordina di portare questi ordini veloce per l’aria: 270 cosa progetti? O con quale speranza indulgi in terre libiche? Se nessuna gloria di tanto grandi imprese ti smuove (né tu affronti la fatica per il tuo onore), guarda Ascanio che cresce e le speranze dell’erede Giulio, cui il regno d’Italia e la terra romana 275 sono destinati”. Il cillenio, parlato con tali parole, lasciò le sembianze mortali a metà discorso e svanì lontano dagli occhi nell’aria tenue. Ma in verità Enea ammutolì sconvolto alla vista, i capelli dritti per l’orrore e la voce gli restò in gola. 280 Arde di andare in fuga e lasciare le dolci terre, attonito a un così grande ammonimento e ordine degli dèi. Ahimè, che fa? Con che discorso adesso oserà blandire la regina furente? Quali parole sceglierà per prime? E divide l’animo veloce ora qua ora là, 285 lo trascina in varie direzioni e lo rivolge verso ogni cosa. Questa sembrò la decisione più consona a lui incerto: chiama Mnesteo Sergesto e il forte Seresto, che allestiscano taciti la flotta e radunino i compagni alla spiaggia, preparino le armi e quale sia la causa di queste nuove cose 290 dissimulino; lui intanto, poiché la buona Didone è ignara e non si aspetta che un tanto grande amore sia rotto, tenterà di avvicinarla e quali siano i migliori momenti per parlare, quale il modo favorevole all’impresa. Subito tutti obbediscono lieti al comando e eseguono gli ordini. 295 Ma la regina presentì gli inganni, chi potrebbe ingannare un amante?, e per prima intuì le mosse future temendo tutte le cose sicure. Le stesse cose a lei furente l'empia Fama riferì, che si allestiva la flotta e si preparava la partenza. Debole infuria nell'animo e sconvolta vaga per tutta la città 300 impazza, come una baccante eccitata dal movimento dei sacri arredi, quando udito il grido "Bacco!" la stimolano le triennali orgie e chiama con clamore il notturno Citerone. Infine per prima con queste parole assale Enea: "Speravi, perfido, di dissimulare anche una tanto grande 305 infamia, e di allontanarti silenzioso dalla mia terra? Né il nostro amore trattiene te né la destra concessa un tempo, né Didone destinata a morire di morte crudele? Anzi prepari la flotta anche sotto il cielo invernale e ti affretti a andare per l'alto in mezzo alle tempeste, 310 crudele? Perché, se verso terre straniere o dimore sconosciute non ti dirigessi, e Troia antica esistesse, Troia sarebbe cercata con le flotte per il tempestoso mare? Dunque fuggi me? Io per queste lacrime e per la tua destra poiché null'altro ho lasciato a me infelice 315 per la nostra unione, per le nozze iniziate, se ho meritato qualcosa di buono da te, o qualcosa di mio a te fu dolce, abbi pietà di una casa che crolla e abbandona, se ancora c'è qualche luogo per le preghiere, questo proposito. A causa tua le genti della Libia e i tiranni dei Nomadi 320 (mi) odiano, i Tiri ostili; sempre a causa tua è estinto l'onore e, per il quale solo raggiungevo le stelle, ora gli oracoli della Licia, e ora il messaggero degli dèi inviato dallo stesso Giove porta orribili ordini per le brezze. Si capisce che questo lavoro è per gli dèi, questa preoccupazione turba la loro quiete. Io non ti trattengo né ribatto le parole: 380 va', cerca l'Italia coi venti, cerca i regni attraverso le onde. Spero davvero che, se i giusti numi possono, che in mezzo agli scogli sconti la pena e il nome di Didone sarà spesso invocato. Seguirò lontana con nere fiaccole e, quando la fredda morte avrà separato le membra dall'anima, 385 sarò ombra in tutti i luoghi. Sconterai, malvagio, le pene. Sentirò e questa notizia mi verrà sotto i Mani profondi". Con queste parole interrompe a metà il discorso e la luce fugge afflitta e si allontana e si rifugia dagli occhi, lasciandolo molto esitante per la paura e desideroso di dire 390 molto. Le ancelle (la) raccolgono e le membra svenute portano sul talamo marmoreo e adagiano sui cuscini. Ma il pio Enea, nonostante desideri lenire lei dolente consolandola e allontanare gli affanni con parole, gemendo molto e turbato nell'animo dal grande amore 395 esegue tuttavia gli ordini degli dèi e rivede la flotta. Allora in verità i Teucri incombono e le eccelse navi portano su tutto il lido. Galleggia la catena unta, e remi frondosi portano dai boschi e legname non lavorato per il desiderio di partire. 400 Vedrsti affluire e precipitarsi da tutta la città: e come formiche quando un ingente mucchio di farro memori dell'inverno saccheggiano e ripongono nella tana, va la schiera bruna per i campi e la preda tra l'erba convogliano in sentiero angusto; una parte trascina enormi chicchi 405 con forti spalle, una parte radunano le schiere e castigano i ritardi, tutto il sentiero ferve di lavoro. Quali sentimenti, Didone, mentre vedevi tali cose, quali sospiri davi, mentre a largo ardere i lidi vedevi dall’alta rocca, e osservavi tutto 410 il mare essere mescolato da tanti clamori davanti agli occhi. Amore crudele, a cosa costringi i cuori non mortali. A andare ancora alle lacrime, ancora a tentare pregando è costretta e supplice a sottomettere i sentimenti all’amore, così che stando per morire invano non lasci qualcosa intentato. 415 “anna, vedi attorno a tutta la spiaggia (come) si affrettano: si radunano da ovunque; le vele già chiamano i venti, i lieti marinai pongono corone sulle poppe. Io se questo dolore così grande potei aspettarmi, anche sopportarlo, sorella, potrò. Tuttavia a me misera solo questo 420 esegui, Anna; infatti quel perfido te sola venerava, a te confidava anche i sentimenti più arcani; sola sapevi le vie adatte e i momenti dell’uomo. Vai, sorella, e supplice rivolgiti al nemico superbo: io non ho giurato con i Danai di distruggere il popolo troiano 425 in Aulide e non ho inviato una flotta a Pergamo, né ho profanato le ceneri e i Mani del padre Anchise: perché nega di accogliere le mie parole nelle sue crudeli orecchie? Dove corre? Dia questo estremo dono alla povera amante: aspetti una partenza facile e venti che (lo) portino. 430 Ormai non prego più il matrimonio antico, che tradì, né che si privi del bel Lazio e rinunci al regno; breve tempo chiedo, quiete e spazio per il furore, finché la mia fortuna insegni il soffrire a me vinta. Chiedo, abbi pietà della sorella, quest’ultima benevolenza, 435 la quale se a me darà ricambierò raddoppiata dalla morte”. Con tali parole pregava, e tali pianti l’infelicissima sorella porta e riferisce. Ma quello da nessun pianto è smosso o ascolta disposto alcuna voce: i fati si oppongono e un dio ostruisce le orecchie benevole dell’uomo. 440 E come quando i venti alpini ora qui ora là gareggiano tra loro a sradicare una robusta quercia di vecchio legno con delle raffiche; va lo stridore, e le alte fronde cospargono la terra, scosso il tronco; ma essa rimane sulla rupe e quanto s’innalza con la vetta 445 verso il cielo, tanto con la radice affonda nel Tartaro: non diversamente l’eroe qua e là da voci assidue è colpito, e sente chiaramente le angosce nel grande petto; la mente resta irremovibile, le lacrime scorrono invano. Allora veramente l’infelice Didone atterrita dai fati 450 prega la morte; la tedia guardare la volta del cielo. Perché di più si accenda il proposito e abbandoni la luce, vide, mentre poneva i doni sugli altari fumanti di incenso, orrendo a dirsi i liquori sacri diventare neri e i vini versati trasformarsi in sangue osceno; 455 visto questo non parlò a nessuno, neppure alla stessa sorella. Inoltre c’era nella dimora un tempio di marmo Aveva sparso anche liquidi falsi sulla fonte dell’Averno, e sono cercate mietute alla luce della luna con bronzee falci grasse erbe con succo di nero veleno; è cercato anche l’amore del cavallo nascente strappato alla fronte 515 e sottratto alla madre. Lei stessa la farina (sparge) e con le mani pie sopra gli altari sciolto un piede dalle calzature, slacciata nella veste, chiama testimoni gli dèi destinata a morire e le stelle consce del fato; allora, se c’è un dio giusto e riconoscente che abbia cura 520 chi ama non corrisposto, è pregato. Era notte e i corpi stanchi ottenevano un placido riposo sulle terre, e selve e il mare furioso erano quieti, quando a metà del corso le stelle si voltano, quando ogni campo tace, e greggi e uccelli variopinti, 525 e tutte che largamente distese d’acqua e campagne irte di cespugli abitano, posati sotto il sonno nella notte silenziosa. Ma non l’infelice nell’animo Fenicia, né mai è abbandonata al sonno o negli occhi o nel petto la notte accoglie: raddoppiano gli affanni e di nuovo risorgendo 530 infuria la passione e fluttua nel gran bollore d’ire. Così dunque insiste e così nel cuore con se stessa rimugina: “Ora, che faccio? Di nuovo derisa i pretendenti antichi tenterò, chiederò supplice i matrimoni dei Nomadi, quei mariti che io già tante volte ho sdegnato? 535 Seguirò dunque la flotta e gli ultimi comandi dei Teucri? Forse perché giova a chi prima sollevato da aiuto e presso i memori molto resta riconoscenza dell’antico fatto? Chi poi, se volessi, mi consentirebbe o sulle superbe navi odiata accoglierà? Non sai ahimè, sciagurata, non ancora 540 senti gli spergiuri della gente Laomedontea? Cosa allora? Sola nella fuga accompagnerei naviganti festanti? O attorniata dai Tirii e da tutta la schiera dei miei sarei mossa e, quelli che a stento dalla città Sidonia salvai, di nuovo condurrò per mare e ordinerò di dare le vele ai venti? 545 Piuttosto muori come è meritato, e allontana il dolore col ferro. Tu vinta dalle mie lacrime, tu per prima colma me impazzita, sorella, con questi mali e abbandona al nemico. Non fu concesso trascorrere la vita priva di nozze senza colpa come l’usanza di una bestia, né evitare queste sofferenze; 550 non preservata la fede promessa alla cenere di Sicheo”. Così tanto emetteva quella lamenti dal suo cuore. Enea in cima alla poppa già certo di partire fatti i preparativi di rito coglieva i riposi. A lui la visione del dio tornante con identico aspetto 555 si mostrò e di nuovo sembra che così ammonisse, simile in tutto a Mercurio, nella voce, nel colore, nei capelli biondi e nelle giovani membra splendenti: “Figlio di dèa, riesci a abbandonarti ai sonni in questo caso, né ti accorgi (di) quali pericoli ti stiano attorno d’ora in poi, 560 folle, e non senti soffiare gli Zefiri favorevoli? Quella volge inganni e atroce delitto nel cuore certa di morire, e variabili tempeste di ire suscita. Non fuggi di qua a precipizio, finché c’è possibilità di precipitarsi? Già vedrai il mare essere turbato da navi e di ostili 565 fiaccole risplendere, già ribollire i lidi di fiamme, se l’Aurora ti sorprenderà indugiante in queste terre. Forza, agisci, rompi gli indugi. Variabile e mutevole è sempre la donna”. Così detto, scomparve nella notte oscura. Allora davvero Enea atterrito dall’improvvisa ombra 570 scuote il corpo dal sonno e incalza i compagni precipitoso: “Svegliatevi, uomini, e appostatevi ai remi; sciogliete le vele rapidamente. Ecco un dio mandato dall’alto cielo a affrettare la fuga e tagliare le funi torte ci stimola nuovamente. Seguiamo te, santo fra gli dèi, 575 chiunque (tu) sia, e di nuovo obbediamo contenti all’ordine. Oh assistici e placido aiutaci e nel cielo stelle favorevoli porta”. Disse e dal fodero estrasse la spada fulminea e colpisce gli ormeggi impugnato il ferro. Lo stesso ardore prende tutti insieme, levano (le ancore) e fuggono; 580 lasciarono le coste, il mare scompare sotto le navi, torcono le onde con forza e solcano l’azzurro. E già la prima Aurora spargeva la terra di nuova luce lasciando il letto dorato di Titone. La regina appena dall’alta rocca albeggiare la prima luce 585 vide e la flotta procedere a vele spiegate, e si accorse che coste e porti erano vuoti senza rematori, tre volte e quattro volte battendosi il petto on la mano e strappandosi i capelli biondi “Per Giove, andrà questo” disse “straniero che ha deriso i nostri regni? 590 Altri non appresteranno le armi e da tutta la città arriveranno, e trarranno navi dagli arsenali? Andate, Qui, dopo che le iliache vesti e il noto letto osservò, un poco nelle lacrime e nel pensiero indugiando si gettò sul letto e disse queste estremissime parole: “Dolci spoglie, finché i fati e gli dèi permettevano, 650 prendete questa anima e liberate me da questi affanni. Vissi e qualsiasi sentiero la sorte mi abbia dato ho percorso, e ora andrà sotto la terra una grande immagine di me. Ho fondato una città nobile, ho visto le mie mura (crescere), ho vendicato il marito e inflitto la pena al fratello nemico, 655 felice, ahimè troppo felice, se soltanto le spiagge nostre le navi dardanie non avessero mai toccato”. Disse, e premendo la bocca sul letto, “morremo invendicate, ma morremo” dice. “Così, così giova andare sotto le ombre. Osservi con gli occhi dall’alto (mare) questo fuoco il crudele 660 dardano, e dalle nostre morti prenda il presagio della sua”. Aveva detto, e in mezzo a quelle parole la vedono le ancelle gettata sulla spada, e la spada spumante sangue e le mani sporche. Va il grido alle alte stanze: si propaga la Fama per la città commossa. 665 Di lamenti, di gemiti e di urla femminee fremono le case, risuona l’aria di immenso dolore, non altrimenti che se rovinasse tutta Cartagine invasa da nemici o l’antica Tiro, e le fiamme furenti si diffondessero per le case di uomini e dèi. 670 Udì sbigottita e atterrita in trepida corsa la sorella massacrante la faccia con unghie e il petto con pugni corre tra la folla, e chiama il nome della morente: “Era questo, sorella? Cercavi di ingannare me? Questo, questo rogo, questo i fuochi e gli altari mi preparavano? 675 Cosa per primo abbandonata lamenterò? Tua sorella come compagna disprezzasti morendo? Mi avessi chiamata alla medesima sorte, stesso dolore e stesso momento avrebbero preso entrambi col ferro. Con queste mani ho anche operato e ho chiamato a gran voce gli dèi patrii, così, crudele, ho lasciato sola te così collocata? 680 Hai estinto te e me, sorella, e il popolo e i principi sidonii e la tua città. Fate, che le ferite con acqua lavi e, se emette ancora qualche estremo respiro, lo colga con le labbra”. Così detto era salita per alti gradini, e abbracciata la sorella minore esamine la riscaldava 685 con gemiti e con la veste asciugava l’altro sangue. Quella tentando di sollevare di nuovo i pesanti occhi, sviene; stride la ferita profonda nel petto. Tre volte appoggiandosi sul gomito si leva a fatica, tre volte è ricaduta sul letto e gli occhi erranti verso l’alto 690 cielo cercò la luce e gemette nel vederla. Allora Giunone onnipotente, commossa dal lungo dolore e dalla faticosa morte, Iride mandò giù dall’Olimpo che sciogliesse l’anima lottante e le membra trattenenti. Infatti poiché non periva per fato né per morte meritata, 695 ma infelice prima del giorno e accesa da improvvisa pazzia, Proserpina non aveva ancora strappato il biondo capello dal capo e consacrato la sua testa all’Orco Stigio. Perciò Iride rugiadosa per il cielo con fulve ali riflettendo contro il sole mille vari colori giù 700 volò e si fermò sopra la testa. “Questo io a Dite rendo sacro, come ordinato, e sciolgo te da questo corpo”: così dice e con la destra taglia il capello, e tutto in un momento il calore si dissolve e la vita volò nel vento.