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Eneide - Virgilio (libro I e VI), Appunti di Letteratura latina

LETTERATURA LATINA. Appunti completi della spiegazione della professoressa Bruna Pieri (testo e traduzione, analisi e commento) MONOGRAFICO

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 21/08/2019

giorgiaspinali
giorgiaspinali 🇮🇹

4.7

(43)

29 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Eneide - Virgilio (libro I e VI) e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Proemio Eneide Commento: - «arma uirum»: si rifà ai due poemi omerici (arma = Iliade; uirum = Odissea): il lettore aprendo l’Eeneide si aspettava non solo il genere epico ma anche qualcosa che richiamasse i due poemi omerici. - «uirum» è gen., locuzione di tipo letterario del genere epico: non è collocato all’inizio del verso perché la ĭ è breve; un esametro non inizia mai con una sillaba breve(!), ma il saturnio si, infatti l’Odusia inizia con la parola “eroe”. - «cano»: più vicino all’Iliade (dove c’è un verbo di canto) che all’Odissea, dico qui sarebbe meno forte, mentre il verbo del canto disimpegnato è ludo. → Virgilio non invoca subito la musa, ma si mette lui a parlare (cano I pers.): non è una novità, è anche presente in Apollonio Rodio. - «Troiae» è bisillabo la i è consonantizzata - «primus»: primo aggettivo riferito ad Enea; molto significativo: ci dice il modo in cui Virgilio intende il poema epico e sul modo in cui vuole intenderlo: un poema che mette in collegamento il mito con la storia; e colloca il nostro eroe in una prospettiva del tempo lineare = il primo di una serie. Anche Enea parte da Troia, Altro elemento in comune con l’Odissea, è il fatto che anche Enea parte da Troia. Qui la città sta a indicare il punto di partenza di Enea MA a differenza di Odisseo non è un nostos, un ritorno, MA è un esilio, un viaggio verso l’esilio che è detto nel poema dal secondo aggettivo riferito ad Enea: «profugus». - i profughi sono i protagonisti della poesia virgiliana, con dei profughi si aprono anche le eglogle; Virgilio ha il merito di avere cantato l’epos dei profughi tanto che nelle letture moderne (caproni) Enea diventa il simbolo del migrante che va cercando fortuna - il tema della fuga (= non solo fuga, ma anche esilio, fuga dalla patria in latino) torna in tutto il II libro, con chiunque parla Enea riceve sempre l’indicazione di fuggire, per arrivare in Italia - «italiam uenit»: in questo caso Virgilio usa l’accusativo semplice per indicare il moto a luogo, (→ compl. di luogo) = Virgilio usa il lativo (acc. di luogo) anche con nomi di popoli (= licenza poetica) - «fato»: fatum è un’idea che si avvicina al logos degli stoici, indica un ordine provvidenziale degli eventi: l’Eneide NON è un poema stoico!!! Virgilio non è un filosofo al massimo segue la scuola epicurea. - «Lauinaque»: deriva da Lauinius, la città di Lavinio. Ārmă vĭrūmquĕ cănō, Troīaē quī prīmŭs ăb ōrīs Le armi e l’eroe io canto, che per primo dalle rive di troia («ab oris Troiaie») Ītălĭām fātō prŏfŭgūs Lāvīniăquĕ vēnīt venne profugo («venit profugo») per il suo destino («fato») in Italia e ai lidi di Lavinio («litora Lavinia») lītŏră, mūltum īlle ēt tērrīs iāctātŭs ĕt āltō, sbattuto («iactatus») per terra e per mare («et terris et alto») vī sŭpĕrūm, saēvaē mĕmŏrēm Iūnōnĭs ŏb īrām, dalla volontà dura degli dei («vi superum») a causa della vendetta («ob iram memorem», lett. ira che non dimentica) della crudele Giunone («saevae Iunonis») mūltă quŏque ēt bēllō pāssūs, dūm cōndĕrĕt ūrbēm dopo avere sofferto molto («passus multa») anche in guerra («quoque et bello»), finché («dum») fondasse una città («conderet urbem») īnfērrētquĕ dĕōs Lătĭō, gĕnŭs ūndĕ Lătīnūm e portare gli dei nel Lazio, di cui/di qui derivò la stirpe latina («unde genus Latinum») Ālbānīquĕ pătrēs ātque āltaē moēnĭă Rōmaē. e i padri Albani, di Albalonga e le mure dell’alta Roma. 1 È lezione riportata solo da un piccolo ramo della tradizione; tutto un altro ramo compreso altre fonti indirette presentano «lauiniaque»; normalmente questo aggettivo da Virgilio è notato come Lauinius, solo qui questo termine è senza la i. Se ci fosse la i e la leggessimo secondo le normali regole della sillabazione latina, avremmo una lunga e poi tre sillabe brevi che non potrebbero stare nell’esametro, MA il latino può in occorrenza fare la sinizesi, e cioè trasformare la i in consonante e ottenere un dattilo. Poiché la sinizesi è l’eccezione e non la regola, è facile pensare che quelle correzioni siano delle banalizzazioni, le letiones faciliores che servono a normalizzare il testo (per questo è si sceglie la lezione «Lauinaque»). - Prima Virgilio ci presenta genericamente dell’Italia e poi l’obiettivo, i lidi di Lavinio. → Il proemio dell’Eneide in 33 versi presenta 12 toponimi, e alcuni sono ripetuti; in pratica non c’è un testo in cui non vi è un termine geografico. L’effetto è quello di sbattere il lettore come Enea da un luogo a un altro del Mediterraneo come a creare lo stesso effetto di spaesamento che è dello stesso Enea. MA questi non sono solo toponimi, sono cronòtopi (come li chiama Bachtin): a questi luoghi corrisponde una definizione di tempi, che varia ogni volta che il nome viene ripetuto; in un verso è la città in un dato tempo storico e quando viene ripetuta in un altro verso indica un tempo storico diverso. I cronòtopi indicano che il contesto storico delle vicende è: • intradiegetico al racconto delle vicende • e quasi sempre extradiegetico, esterno, all’indietro, cioè pezzi del mito che non sono raccontati o in avanti = pezzi di mito che sono qui raccontati in prolessi Questo rende il proemio veramente difficile = l’accumulo di luoghi distanti nello spazio e nel tempo è la prima caratteristica dello stile epico soggettivo di Virgilio. Enea abita un tempo che in realtà non gli appartiene veramente, riceve gli ordii dal futuro, quello che deve fare, lo deve fare perché gli è imposto dalla storia, nella quale, tra l’altro, egli non avrà la sua parte. Enea non formerà né Roma né Albalonga, lui fonderà Lavinio. E in questo suo dovere è condizionato dalla sua storia mitica, e in questo quadro c’entra il suo rapporto con Didone che deve lasciare. Enea continuerà per tutto il poema a non capire: nello scudo che Enea riceve c’è la storia di Roma, ma lo Virgilio lo definisce un testo inenarrabile, inspiegabile, incomprensibile e il resto dello scudo è per Enea incomprensibile: qui siamo davanti a un eroe che si prende questo scudo, si prende carico della storia di Roma senza sapere, per scommessa. - «multum et terris et alto» ripresa dall’Odissea, per terra e per mare, riprende la contrapposizione tra le terre e le città che Odisseo visita, Ma qui abbiamo una inversione: prima Enea patisce per mare e poi per terra, nelle guerre del Lazio. - «iactatus»: è il primo verbo per indicare l’azione violenta degli dei su Enea = sballottare, sbattere Come passus è un perfetto indicativo con elessi del verbo sum, assai frequente in Virgilio, frequentativo da iacio. Traina dice che è possibile che sia participio congiunto perché questo consente una interpunzione non troppo forte dopo litora, preservando sì un primo lungo periodo di 7 versi da «Arma» fino a «Romae», perché in questo modo Virgilio replica la stessa struttura del proemio dell’Iliade che si apre con un periodo di 7 versi. - «vi superum»: superum è gen. plurale; entrano in gioco gli dei con le loro responsabilità, anche nell’Iliade e nell’Odissea vi è la funzione ritardante di un Dio, ma qui è presentato fin da subito. “I filosofi si ponevano la domanda: come è possibile che gli dei manifestino la loro ira contro questo eroe che possiede la pietas che un qualcosa di reciproco?” - «Iunonis»: qui è saevae = personaggio sempre ostinatamente contraria ai troiani - «ille»: non lo traduciamo, è pleonastico, è un uso poetico e qui si spiega con la ripresa del modello odissiaco (= modulo omerico) - «iram»: passione che i filosofi non volevano che fosse attributi agli dei; Lucrezio scrive che gli dei non sono toccati dall’ira. 2 • = TOPOTESIA si inizia a raccontare una vicenda dicendo per primo il luogo della vicenda («urbus fuit») • bisogna tradurre fuit come se fosse «erat»: spesso il latino preferisce usare il perfetto indicativo dove il italiano si usa l’imperfetto • qui abbiamo il primo cronòtopo insensato → c’era una città antica: detto di Cartagine può avere senso solo in riferimento al senso del lettore dell’Eneide e non al tempo di Giunone !! Cartagine non è antica, è una città nuova che sta nascendo in quel momento Virgilio chiede le cause dell’ira di Giunone alla Musa che lo rimanda al futuro: Cartagine, città ricchissima e fortissima nell’arte della guerra, era destinata a divenire regnum gentibus, al comando delle nazioni, si qua fata sinant, qualora i fati assentissero, ma i fati sono contrari, avevano prescelto Roma, e Cartagine viene distrutta dai romani (le cause sono nel futuro), ma questo stesso futuro è già antico per i lettori di Virgilio (le guerre puniche avvengono nel II sec. a.C., Virgilio vive in età augustea). Cartagine non è antica né per chi combatte le guerre puniche né tanto meno per chi vive le vicende raccontate dall’Eneide = bisogna distinguere il tempo del racconto e il tempo raccontato • «Tyrii»: è un altro cronotopo; Tiro è una città fenicia, la città da dove viene Didone, e i Feici avevano fondato una importante colonia cioè proprio Cartagine, Karthago, scritta con un arcaismo, con la K che in latino arcaico si usava quando la velare sorda era seguita da una a • «contra»: ha un duplice valore, geografico, ma anche di nemico, di ostile (in realtà più comune per contra) e ci rimanda alla Cartagine delle guerre puniche che non è il tempo dell’Eneide, ma è il passato storico del lettore e il futuro dell’Eneide • «longe» è un avverbio che traduciamo come un aggettivo perché qui Virgilio usa un costrutto greco che usa l’avverbio in funzione aggettivale • «ostia Tiberina» sono il luogo del l’approdo di Enea dove gli si dice che deve arrivare, siamo di nuovo nel presente mitico dell’Eneide • «diues opum» e «studiis belli» ritorniamo alla Cartagine delle guerre puniche • espressione superlativa («magis omnibus unam», ne bastava uno) • con «fertur» torniamo al tempo del mito raccontato da Virgilio, il tempo del narratore • «hic illius arma, hic currus fuit»: è topico dire che una dea ama un posto perché vi ha lasciato qualcosa di suo, si pensa che ci sia qualcosa di più concreto, cioè che ci fosse una statua di Giunone in armi a Cartagine Prōgĕnĭēm sĕd ĕnīm Trōiānō sānguĭnĕ dūcī 5 1 3 4 infinito presente PASS (= azione contemporanea) aūdĭĕrāt, Tўrĭās ōlīm quaē vērtĕrĕt ārcēs; 2 (progeniem quae) 6 Ma («sed enim», enim ha qui valore avversativo = e tuttavia) aveva saputo («audierat», lett. aveva sentivo dire) che dal sangue troiano («Troiano sanguine») stata discendendo («duci») una razza («progeniem») che («quae») un giorno («olim») avrebbe distrutto («vertetert») che le rocche di Tiro («Tyrias arces» = Cartagine); hīnc pŏpŭlūm lātē rēgēm bēllōquĕ sŭpērbūm 1 3 vēntūrum ēxcĭdĭō Lĭbўaē: sīc vōlvĕrĕ Pārcās. 2 (esse sott.) Infinito futuro che dipende da audierat da questa progenie («hinc») sarebbe venuto/derivato («uenturum (esse)») per distruggere la Libia («excidio Libyae») un popolo («populum») che avrebbe dominato ovunque («late regem», per esprimere l’allargarsi del potere di Roma) e superiore in guerra («belloque superbum»): così stavano filando le Parche («sic uoluere Parcas»). 5 Commento: Le cause dell’ira di Giunone si collocano nel futuro; l’idea che un giorno ci sarà un popolo che distruggerà la Libia, cioè Cartagine, ha un effetto nel presente mitico e rende Giunone nemica dei Troiani. • «olim»: avverbio temporale, lo usiamo riferito al passato, ma in realtà indica un tempo lontano, la radice di olim è la stessa di ille; indica un tempo enfaticamente lontano o nel passato o nel futuro, in questo caso nel futuro; • «vertere» non segue la consecutio, per renderla qui dovremmo usare, la perifrastica quindi il participio futuro più la voce del verbo sum al cong. imperfetto; qui sta per euerto, è il cosiddetto simplex pro composito (il verbo semplice in luogo del composto) caratteristico della lingua poetica ↓ CONSECUTIO TEMPORUM DEL CONGIUNTIVO t. principali: presente, futuro, futuro anteriore, perfetto logico t. storici: imperfetto, perfetto storico, piuccheperfetto - «belloque superbum»: nel diritto di guerra il superbo è colui che una volta indicato a restituire qualcosa che si è preso non legittimamente, si rifiuta, secondo il diritto di guerra allora si ha diritto a fare guerra; i romani considerano una guerra giusta una guerra contro i superbi; è un termine la cui etimologia è da super, cioè colui che sta sopra, questo spiega perché alle volte superibus significa semplicemente, come qui, superiore - «excidio Libyae» è proprio usato per dire la distruzione: DOPPIO DATIVO, il primo dativo è di FINE (excidio), il secondo dativo di INTERESSE (Libyae) Quando abbiamo un doppio dativo? Quando al dativo di interesse si abbina un dativo di fine, come qui, o un dativo di effetto. Il dativo di effetto di solito ha il verbo sum; il dativo dipende di sotto da verbi di movimento. - «sit uoluere Parcas»: verbo del girare, del fuso Questa allusione alle parche è una allusione a un carme di Catullo che Virgilio amava tantissimo e che aveva rivisto nella sua IV egloga, stiamo parlando del carme 64, la cui cornice si chiude con il canto delle Parche che cantano i fasti, la glorificazione di Achille figlio di Peleo e Teti, dove le Parche canteranno le sue gesta ma dicono anche che Achille morirà e sarà onorato perché uccideranno Polissena sulla sua tomba. L’aspetto che ci interessa qui, è l’allusione al modello. Nel carme 64, nel canto delle Parche si celebrava la sconfitta dei troiani e si esaltava Achille come colui che ha fatto strage di troiani, qui, nel proemio dell’Eneide, invece, si celebra la rivincita dei troiani dal cui sangue (che viene proprio citato nel carme 64) nasce questo nuovo popolo. Questo è il primo scarto rispetto al modello. Poi certamente, l’aspetto più interessante è il rapporto tra mito e storia che c’è nel carme 64. Traina, in un suo saggio, aveva messo in evidenza come il carme 64 sia costruito in un incastro di tempi, dove ogni tempo, passato present e futuro ha a sua volta un suo passato un suo presente e un suo futuro, e questo vale tanto per il mito che per il presente di Catullo. Chiaramente Virgilio ha in mente la struttura temporale del carme 64, salvo stravolgerla, nel carme 64 la struttura è lineare, in Virgilio, soprattutto nel proemio il tempo è centrifugato, nel senso che si passa dal presente al passato senza soluzione di continuità. Contemporaneità Anteriorità Posteriorità t. principali nescio cong. Presente quid agat cong. Perfetto quid egerit cong. presente della perifrastica attiva quid acturus sit t. storici nesciebam cong. Imperfetto quid ageret cong. piuccheperfetto quid egisset cong. imperfetto della perifrastica attiva quid acturus esset 6 Īd mĕtŭēns vĕtĕrīsquĕ mĕmōr Sātūrnĭă1 bēllī, Questo temeva («Id metuens» = temendo) la Saturnia («Saturnia») ed era memore («memor») dell’antica guerra («veterisque belli») prīmă quŏd ād Troīām prō cārīs gēssĕrăt Ārgīs: che aveva combattuto («quod gesserat»), per prima («prima», in prima fila, lei per prima) a favore della amata argo («pro caris Argis»), presso Troia («ad Troiam») 1 Saturnia detto di Giove perché è la figlia di Crono, per i latini Saturnio; questo ci porta all’età di Saturno che è equivalente all’età dell’oro in Virgilio, e quindi all’età di Augusto. nēcdum ĕtĭām caūsae īrārūm saēvīquĕ dŏlōrēs 1 ēxcĭdĕrānt ănĭmō; mănĕt āltā mēntĕ rĕpōstūm 2 iūdĭcĭūm Părĭdīs sprētaēque īniūrĭă fōrmaē ēt gĕnŭs īnvīsum1 ēt rāptī Gănўmēdĭs hŏnōrēs2: non si eran ancora dimenticata («necdum etiam exciderant animo») le cause dell’ira («causae irarum») e i feroci risentimenti («saevique dolores»); nel fondo del suo cuore («alta mente») rimane depositato («manet repostum») il giudizio di Paride («iudicium Paridis») e l’offesa della sua bellezza («iniuria formae») disprezzata («spretae») [= e il disprezzo della sua bellezza] e quella stirpe odiosa («et genus inuisum») e gli onori («honores» resi sott.) a Ganimede rapito («rapti Ganymedis»): = siamo nel passato rispetto al presente mitico dell’Eneide, sono le cause dell’odio di Giunone contro tutti i Troiani e non solo verso Enea, motivi per i quali aveva combattuto al fianco degli Argivi, i Greci, contro Troia. 1 il progenitore dei troiani è Dardano, nato da Elettra e da Giove, infedeltà che mise in odio la stirpe troiana a Giunone. 2 Giove invaghitosi del troiano Ganimede, lo fece rapire da un’aquila e trasportare sull’Olimpo, dove gli affidò le funzioni di coppiere degli dei in sostituzione della figlia di Giunone, Ebe, altra cosa che piacque poco a Giunone. hīs āccēnsă sŭpēr iāctātōs aēquŏrĕ tōtō ha valore avverbiale (= per di più) Trōās, rēlĭquĭās Dănăum ātque īmmītĭs Ăchīllī, ārcēbāt lōngē Lătĭō, mūltōsquĕ pĕr ānnōs 7 anni ērrābānt āctī fātīs mărĭa ōmnĭă cīrcūm. adirata oltremodo da queste cose («his accensa super»), teneva lontani dal Lazio («arcebat long Latio») i Troiani («Troas»), sbattuti per tutto il mare («iactatos aequore toto»), i sopravvissuti ai Danai («reliquias Danaum») e ad feroce Achille («atque immitis Achilli»), e da molti anni erravano («multosque per anno errabant»), spinti dal fato («acti fatis»), per tutti i mari («maria omnia circum»). = ritorniamo nel presente di Enea 7 RIPRENDIAMO: Proprio mentre Enea sta contemplano, nascosto su di una nube, tutte le immagini del tempio in onore a Giunone a Cartagine, arriva in tutta la sua maestosità la pulcerrima forma Dido. Per rappresentare il primo incontro tra Enea e Didone Virgilio fa ricorso alla indicazione di un passo dell’Odissea, questo è uno di quei casi in cui parliamo di modello genere di un testo, laddove Omero, in questo caso, funge da modello non solo per il confronto, ma funge da modello proprio del codice etico secondo il quale la bellezza femminile venga presentata con una similitudine, nello specifico con una dea. rēgīna ād tēmplūm, fōrmā pūlcērrĭmă Dīdō,* īncēssīt māgnā iŭvĕnūm stīpāntĕ cătērvā. la regina («regina») avanzò verso il tempio («incessit ad templum»), Didone («Dido»), bellissima per bellezza («pulcerrima forma») circondata da un affollato gruppo di giovani («magna caterva iuvenum stipante») *sono tutti spondei, serve a suggerire il passo di una regina = è interessante notare come il nome della regina non compaia subito, la prima cosa che si dice di lei è che è una regina. Anche l’suo di «incessit»: incedo, è detto di una regina che cammina come una dea, dà idea della solennità dell’arrivo di Giunone. In epica è frequente l’uso dei superlativi: «pulcerrima forma»: espressione ridondante, serve a suggerire un termine non adatto all’epica ma adatto a introdurre una storia d’amore, come si poteva dire bello in latino? pulcher o formosus. Quest'ultimo è un termine di registro basso, che ad esempio troviamo nelle bucoliche, è un termine elegiaco, che quindi trova fortuna nella poesia di argomento amoroso. Pulcher è il modo più elevato di dire bello in latino. 10 Quālĭs ĭn Eūrōtaē rīpīs aūt pēr iŭgă Cŷnthī Come sulle rive dell’Europa («Qualis in Eurotae ripis») o per i monti/ i passi del Cinto («aut per iuga Cynthi») ēxērcēt Dīānă chŏrōs, quām mīllĕ sĕcūtaē si riferisce a Diana hīnc ātque hīnc glŏmĕrāntŭr Ŏrēădĕs;⎜⎜ īllă phărētrām fērt ŭmĕrō grădĭēnsquĕ dĕās sŭpĕrēmĭnĕt ōmnīs Diana guida le danze («Diana exercet choros»), mille Oreadi («mille Oreades») che le stanno al seguito («quam secutae») si raccolgono («glomerantur») di qua e di là («hinc acque hinc»); quella («illa») porta («fert») sulle spalle («umero») una faretra («pharetram») e avanzando («gradiensque») sovrasta tutte le altre divinità («superminet deas omnis») (Lātōnaē tăcĭtūm pērtēmptānt gaūdĭă pēctūs): dat. (dice la partecipazione dell’eroe) A latona la gioia («gaudia») attraversa («pertemptant») il cuore muto/l’animo silenzioso («pectus tacitum») tālĭs ĕrāt Dīdō, tālēm sē laētă fĕrēbāt tale era Didone («talis erat Dido»), tale avanzava («talem se ferebat», se ferre = recarsi, portarsi, in poesia per esprimere l’idea di andare avanti) luminosa/maestosa («laeta») pēr mĕdĭōs īnstāns ŏpĕrī rēgnīsquĕ fŭtūrīs. dandosi da fare («instans», dobbiamo dare un valore finale a questo participio presente) per i lavori e per il regno che stava sorgendo («regnisque futuris», per il lavoro e i futuri regni = ENDIADI) v. 500: dopo Oreades abbiamo una dieresi bucolica quam: pronome relativo che si riferisce a Diana laeta: laetus = lieto; ha una origine contadina, indica la fertilità, secondariamente ha una connotazione di bellezza, di luce (Virgilio descrive nelle Georighe la primavera come laeta) instans: con valore finale = darsi da fare per Commento: In omero questa similitudine ricorre in un passo che viene qui, nel I libro, più volte rievocato ed è l’incontro tra Ulisse e Nausicaa. I grammatici antichi avevano detto che Virgilio era risultato penoso nel citare qui Omero. Perché? Perché sottolineavano come a prevalesse nella similitudine virgiliana una certa idea di solennità del personaggio e mancasse l’allusione alla bellezza e al gioco. Mentre Artemide cacciatrice è presentata da Omero secondo i toni del divertimento e del gioco, qui, diceva Probo, si dice solo che Artemide ha la faretra sulla spalla. In più si dice che Didone spicca per la bellezza visto che è contornata solo da uomini, mentre Omero sottolineava la bellezza di Nausicaa rispetto alle ancelle. È più interessante, nell’analisi dello scarto dell’imitazione, cercare di capire in quale direzione va Virgilio: egli rappresenta una figura femminile che si distingue per tratti di dignità e potere che le conferisco un aspetto regale e, di fatto, maschile. => Didone è una figura che raccoglie molti dettagli che la orientano verso il genere maschile. L’incontro con Didone è immediatamente preceduto dalla presentazione della regina delle amazzoni, ed è evidente che c’è un contatto tra questi due episodi. Se consideriamo il rapporto dell’intertestualità dobbiamo tenere presente anche che Dione è quell’eroina che muore da uomo: Didone si trafigge con la spada, muore come muore Aiace; e il suo personaggio, estremamente complesso, = è una giovane donna ma anche una regina di polso; è insieme Nausicaa e Arete (moglie di Alcinoo), la regina dei Feaci; in questa sua complessità raccoglie l’eredità di un personaggio maschile che è Aiace. E ciò è evidente nell’ultimo passo dell’Eneide che è l’incontro negli Inferi. È la morte che suggella questa componente virile del personaggio di Didone, perché le donne non muoiono per spada: il suicidio femminile tradizionale è l’impiccagione. ⚠ La Fedra di Seneca muore di spada! Nell’imitazione di Omero da parte di Virgilio un altro tratto tipicamente romano è quello che noi chiamiamo espressionismo latino rispetto all’impressionismo greco. È indubbio che quando confrontiamo una riscrittura latina che abbia un originale certo (cioè un testo greco con cui abbia un senso un confronto), la cosa che si nota che i latini aumentano sempre il pathos. Questo lo vediamo nella parentesi dove ci si riferisce alla gioia di Latona, dove si vede una allitterazione iconica che serve ad essere la mimesi del battere del cuore di Latona che batte di gioia per la visione della figlia. Anche il verbo pertempto è un verbo forte che Virgilio usa per l’amore e la malattia = è un attraversare violentemente (pectus in questo caso è psiconimo); molto più semplicemente Omero diceva: gioisce lieto nell’animo. Non solo è più breve, ma si limita a dire che gioiva. => Qui la gioia è espressa con le sue caratteristiche fisiche, con il suo l’effetto fisico: il batticuore. L’Eurota è un fiume spartano; la Laconia, la regione di Sparta era celebre come regione di caccia. Didone qui è paragonata alla dea della caccia: la caccia ha un ruolo fondamentale perché è proprio durante una battuta di caccia che Didone incontra Enea (=> nel IV libro). Il monte Cinto è, invece, sull’isola di Delo, è il monte dell’isola di Delo, che ha dato i natali ad Apollo e Diana, tanto è vero che uno degli attributi di Apollo è Cinto (= tratto di imitazione della poesia alessandrina). 11 ⚠ La i di Diana è una ī: non è così scontato: una vocale davanti un’altra vocale tende ad abbreviarsi. Ancora: le Oreades, l’ultima è una ĕ, ma dovrebbe essere lunga in quanto NOM PLUR della III => è breve perché questa è una parola greca presa e messa qui (in greco è una epsilon). Le oreadi sono le ninfe dei monti. gradiens: gradior qui con ĕ che è il risultato di una apofonia: l‘uso di un verbo semplice al posto di un composto è tipico della poesia (dovrebbe essere grediens e non gradiens). Tūm fŏrĭbūs dīvaē, mĕdĭā tēstūdĭnĕ tēmplī, Alle porte della dea, in mezzo al tempio («media testuggine templi») = fa riferimento alla parte interna del tempio, la cella, parte inaccessibile a tutti: il trono di Didone era proprio davanti alle porte del tempio. «testudine»: SINEDDOCHE, la testudo indica probabilmente il tetto; c’è chi dice che indici il fatto che sia un tetto a spiovente, chi che indichi la volta del tetto. saēpta ārmīs sŏlĭōque āltē sūbnīxă rĕsēdīt. circondata dalle guardie («saepta armis») e si alzo («resedit») e andò a sedersi in alto sul trono («solio alte subnixa») «alte»: esempio di stile epico, nell’epica è tutto bello d’oro e tutto alto, l’altezza del trono è un immagine che deve dare l’idea della solennità della situazione Iūră dăbāt lēgēsquĕ vĭrīs ŏpĕrūmquĕ lăbōrēm pārtĭbŭs aēquābāt iūstīs aūt sōrtĕ trăhēbāt: legiferava/dava le leggi («iura dabat») e i diritti agli uomini («legesque viris», viris sono proprio i maschi) e distribuiva in parti eque («aequabat partibus iustis») o assegnava sulla base di un sorteggio («aut trahebat sorte») la fatica dei lavori («operumque laborem»): = qui si riferisce al fato che la Cartagine di questo periodo non è la Cartagine del III o II sec. a.C., è una Cartagine che nasce, è un cantiere piena di uomini che costruiscono edifici. La giustizia è una virtù politica: è una delle doti delle virtù del buon governante, è evidente che attraverso Didone, e così anche attraverso Enea, Virgilio suggerisce un ideale di buon governo. Scrive in un epoca in cui vi è una città che sorge, la Roma Augustea è una città che sorge dalle sue ceneri, Augusto viene presentato come un nuovo fondatore, un nuovo Romolo, è simbolo della nuova nascita di Roma: questo è un messaggio politico (assistiamo qui alla morte ingiusta di una regina) che consiste nel far espiare al mito le colpe della storia. cūm sŭbĭto Aēnēās cōncūrsu āccēdĕrĕ māgnō Ānthĕă Sērgēstūmquĕ vĭdēt fōrtēmquĕ Clŏānthūm Teūcrōrūmque ălĭōs, ātēr quōs aēquŏrĕ tūrbō dīspŭlĕrāt pĕnĭtūsque ălĭās āvēxĕrăt ōrās. quando ecco che Enea vede («uidet») arrivare («accedere») di grande corsa («magno cuncursu») Anteo e Sergesto e il forte Cloanto («fortemque Cloanthum») e gli altri tra i Teucri («Teucrorumque alios») che la nera tempesta («quos ater turbo») aveva disperso («dispulerat») per mare («aequore») e trasportato («auexerat») dentro altre rive («penitusque alias oras»). «ater» è il nero brillante usato da Virgilio per i fenomeni meteorologici «turbo» è la tromba d’aria, nella sua radice vi è il senso del girare su se stessi e diventa qui la tempesta 12 ⚠ * questi tre versi si contraddistinguono per l’ordo verborum (per il modo in cui le parole sono collocate): da un lato con dei forti iperbati (ipsa genetrix) e dall’altro con degli enjambement (decoram-caesariem), dall’altro ancora per l’accostamento “sapiente” dei termini (nato genetrix = il figlio alla madre). => L’ordo verborum concorre alla semantica del testo!! Per apprezzare Virgilio bisogna osservare la posizione delle parole!! * genetrix: => v. 1 del De rerum natura sempre riferito a Venere honores: da honor ha la stessa radice di honestus, non è solo onesto, indica anche la bellezza => quindi compostezza e dignità dello sguardo caseariem: spesso usato anche per definire la chioma maschile iuventa: termine solenne (come quasi tutti i termini del verso) = giovinezza «purpureum»: in Virgilio è spesso associato alla giovinezza, è il rosso delle guance di Camilla o nelle Egloge 9 v. 40 associato all’idea della giovinezza metaforica della primavera per indicare la luce adloquor: regge l’accusativo che è voluto da ad: è il proverbio che fa si che abbia l’accusativo ! Adesso Enea si rivolge a Didone: Tūm sīc rēgīnam ādlŏquĭtūr cūnctīsquĕ rĕpēntĕ īnprōvīsŭs ăīt: "Cōrām, quēm quaērĭtĭs, ādsūm Trōĭŭs Aēnēās, Lĭbўcīs ērēptŭs ăb ūndīs. Allora («Tum») si rivolge («adloquitur) così («sic») alla regina («reginam») e a tutti improvvisamente («cunctisque repente») senza che nessuno lo avesse notato prima («inprovisus»; lett. non previsto) si rivolge («ait»): “Colui che cercate («quem quaeritis») sono io qui davanti a voi («adsum coram»), Enea di Troia («Troius Aeneas»), strappato alle onde di Libia/strappato dalla tempesta a largo della Libia («Libycis ereptus ab undis»). Ō sōla īnfāndōs Troīaē mĭsĕrātă lăbōrēs, quaē nōn, rēlĭquĭās Dănăūm, tērraēquĕ mărīsquĕ ōmnĭbŭs ēxhaūstōs iām cāsĭbŭs, ōmnĭum ĕgēnōs, da EXHAURIO ūrbĕ, dŏmō sŏcĭās, grātēs pērsōlvĕrĕ dīgnās nōn ŏpĭs ēst nōstraē, Dīdō, nēc quīdquĭd ŭbīque ēst GEN. PARTITIVO gēntīs Dārdănĭaē, māgnūm quaē spārsă pĕr ōrbēm. Tu, sola («O sola»*), provi compassione («miserata (est)») delle indicibili sofferenze dei Troiani («infandos labores Troiae» = dei dolori di Troia), noi gli avanzi dei greci («reliquias Danaum», apposizione), sfiniti ormai («exhaustos iam») da ogni vicenda («omnibus casibus») patita per terra e per mare («terraeque marisque» con polisindeto), bisognosi di tutto («egenos omnium») che ci accogli nella tua città («urbe socias»), nella tua casa («domo»), renderti («persolvere») il degno ringraziamento Didone («grates dignas, Dido») non è in nostro potere («non opis est nostrae» = non abbiamo i mezzi) né di chiunque della gente di Dardano («nec quidquid ubique est gentis Dardaniae»), che si trovi ovunque sparsa per il mondo («quae magnum sparsa per orbem»). = né io né nessun altro troiano sparso per il mondo (ad esempio sappiamo che in Italia c’è Anteporre, che viene da Troia) sarà in grado di ricompensarti per quello che ci hai dato 15 O […] Dido: vocativo completato 5 versi dopo; il ritardo con cui l’interiezione “O” è separata dal suo vocativo sta a dirci che Didone prima ancora che Didone è colei che ha avuto pietà dei troiani. => Questa è la lettura virgiliana del mito di Didone che è diversa da altre letture. socias: verbo della principale dignus (dignas): ha la stessa radice di decet: le grates dignas sono i ringraziamenti che si addicono al favore fatto => ⚠ Qui entra in gioco un tema cardine, quello della pietas, che è un sentimento reciproco: Didone dimostra di esercitare nei confronti dei Troiani una protezione (a metà tra la pietas e la fides) che nella sensibilità romana deve essere ricompensata. Per questo Enea è empius, non perché tradisce Didone, ma perché non le rende il dovuto ricompenso. infandus: è un dolore così grande che non trova le parole per essere espresso, qui è associato a labores, che sono le sofferenze reliquias Danaum = gli avanzi dei greci; espressione che era già nel proemio exhaustos: da exhaurio, haurio = attingere => prosciugati non opis est nostrae = non è proprio nei nostri mezzi => con il genitivo di pertinenza con il verbo sum con valore predicativo Di tibi, si qua pios respectant numina, si quid IPERBATO PSEUDO IPOTETICHE ūsquām iūstĭtĭae ēst, ēt mēns sĭbĭ cōnscĭă rēctī, praēmĭă dīgnă fĕrānt. Quaē tē tām laētă tŭlērūnt saēcŭlă? Quī tāntī tālēm gĕnŭērĕ părēntēs? Gli dei ti rendano («Di tibi ferant») l’adeguata ricompensa («praemia digna»), come è vero che ci sono dei che («si qua numina») si voltano a guardare le persone pie/giuste («respectant pios»), come è vero che («si quid») da qualche parte («usquam») c’è una giustizia («iustitiae est») e ha un valore («recti») l’animo consapevole della giustizia («mens sibi conscia»). = esplosione di gioia espressa in una forma che Virgilio riprende dall’Odissea VI v. 154 che consiste nell’elogiare la persona a partire dalla famiglia che l’aveva generata Quale epoca («Quae saecula») così felice («tam laeta») ha portato alla tua nascita («te tolerant»)? Quali tanti grandi genitori («Qui tanti parentes») hanno dato origine («genuere») a una tale persona («talem»)? Adinaton*: Īn frĕtă dūm flŭvĭī cūrrēnt, dūm mōntĭbŭs ūmbraē lūstrābūnt cōnvēxă, pŏlūs dūm sīdĕră pāscēt, sēmpĕr hŏnōs nōmēnquĕ tŭūm laūdēsquĕ mănēbūnt, quaē mē cūmquĕ vŏcānt tērraē". Sīc fātŭs ămīcūm Īlĭŏnēă pĕtīt dēxtrā laēvāquĕ Sĕrēstūm, pōst ălĭōs, fōrtēmquĕ Gўān fōrtēmquĕ Clŏānthūm. Finché i fiumi («dum fluvii») correranno («current») al mare («in freta»), finché le ombre («dum umbrae») correranno («lustrabunt») per cime dei monti («convexa montibus», con valore di ablativo prosecutivo), finché il cielo («polus dum») darà nutrimento («pascet») alle stelle («sidera»), rimarranno per sempre («sempre manebunt») il tuo onore («honos») e il nome («nomenque tuum») e la tua fama («laudesque») in qualunque terra («quae cumque terrae») io sarò chiamato («vocant me»). Quando ebbe parlato/Dopo aver detto così («Sic fatus») cerca con la destra l’amico Ilioneo («petit amicum Ilionea dextra») e con la sinistra Seresto («laevaque Serestum») e poi gli altri («post alios»), Gia il forte («fortemque Gyan») e il forte Cloanto («fortemque Cloanthum»). 16 Di […] ferant: il verbo retto da di si trova in iperbato ed è ferant seguito da delle pseudo ipotetiche: - si qua pios respectant numina - si quid ūsquām iūstĭtĭae ēst, - ēt mēns sĭbĭ cōnscĭă rēctī = come è vero che (stilema della preghiera) * Adynaton: dal greco ἀδύνατον, da α- (a-, mancanza, privazione) + δύναµαι (dynamai, "io posso”) = "cosa impossibile”; figura retorica, frequente nella poesia classica, che consiste nell’affermare l’impossibilità che una cosa avvenga, subordinandone l’avverarsi a un altro fatto ritenuto impossibile. => Questa gratitudine avviene tragiche una sorta di adynaton: finché il mondo resterà saldo sui principi e i principi sono … io per sempre ti sarà riconoscente. Non è raro nelle formule di preghiera trovare lunghi iperbati (di…ferant). si quid iustitia est: alcuni hanno sostituito iustita con iustitiae => si è creata una varia lectio; perché questa espressione è molto colloquiale (=> viene in mente l’inizio di una elegia di Properzio), si tratta di una espressione di registro più basso rispetto al resto. E poi questa espressione della riconoscenza: notiamo: triplice anafora del dum in un distico, struttura di ordo verborum frequente nell’Eneide. Questo periodo riferito a Didone, della gratitudine eterna riferito a un sovrano che si è prestato, richiama due egloghe diverse: I Egloga di Virgilio, dove Titiro esprime la sua degna riconoscenza per il iuvenis, il giovane Ottaviano, che lo ha salvato; si dice che per sempre lui gli sarà riconoscente. L’altra è l’Egloga 5, 78, dove questo verso è preso identico: questo verso si trova nella V Egloga che è quella della morte di Dafni => dietro la cui figura si nasconde un’altra figura storica, un altro re giusto che fa una brutta fine che è Cesare, il padre adottivo di Augusto di cui rimarrà l’honos, il nomen e il velates. Nell’associare Didone a queste figure maschili c’è forse anche la volontà di richiamare quel terribile vulnius che è stata la morte di Cesare: le vittime della storia, a morire sono alle volte i re, anche se sono giusti. La giustificazione di Cesare ha senso nel momento in cui è padre di Augusto. obstipuit: obstŭpesco, obstŭpescis, obstupui, obstŭpescĕre immanibus oris: rive disumane = immanibus più che gigantesco in latino è l’antonimo di umanimus; = bestiale, non umano, disumane. Ōbstĭpŭīt prīmo āspēctū Sīdōnĭă Dīdō, cāsū deīndĕ vĭrī tānto, ēt sīc ōrĕ lŏcūta ēst: Rimase di sasso al solo vederlo («Obstipuit primo aspectu»), Didone Sidonia (Sidonia è una città della Siria, come Tiro) e poi («deinde») per l’enorme destino di quell’uomo («casu viri tanto»,nel senso delle vicende che aveva subito ), così parlò («sic ore locuta est», PLEONASMO): "Quīs tē, nātĕ dĕā, pēr tāntă pĕrīcŭlă cāsūs īnsĕquĭtūr? Quaē vīs īmmānĭbŭs āpplĭcăt ōrīs? “Quale destino («Quis casus»), figlio della dea («nate dea»), ti insegue («insequitur) in mezzo a tante prove («per tanta pericula», il periculum è la prova)? Quale violenza/forza («Quae vis») ti fa approdare/sbattere («applicat») su rive disumane («immanibus oris»)? 17 giovane Medea che deve ancora diventare Medea (per usare le parole di Seneca). Prima di diventare Medea era una ragazza che era stata fatta innamorare da Afrodite. => Una memoria che non è solo del genere epico, ma che intessa anche il dramma amoroso secondo quella modernizzazione dell’epica che Virgilio aveva ereditato (non era una sua invenzione) dai modelli alessandrini (in questo caso Apollonio Rodio). QUINDI: Omero e Apollonio … e dei modelli romani? Altri due modelli: - carme 64, dove si parla di una reggia, di un banchetto festoso dove si viene a sapere della vicenda della guerra di Troia perché le canteranno le Parche nel loro canto profetico sulla gloria di Achille. Questo è un altro modello che sta dietro il finale del libro I dell’Eneide, MA ⚠ non è solo una memoria: il carme 64 è un carme che chiude l’epillio con una riflessione storica (lo si cita sul rapporto del poema con la storia) sulla pietas, sul fatto che c’è stato un tempo mitico in cui gli uomini erano pii e non disprezzavano la pietas, e per questo gli dei sedevano a mensa con loro e li assistevano nella vita. Adesso, invece, la pietas è in crisi (carme 66 di Catullo): ha solo senso la pietas individuale. - C’è anche tanto Lucrezio: l’epos didascalico del finale del IV libro del De rerum natura che si conclude con una requisitoria quasi tragica contro la passione d’amore. È una critica feroce dell’amore e una esaltazione dell’amore come eros, come mera fisiologia. Sono due le “porte” dell’ispirazione lucreziana di Virgilio. Lucrezio nella sua requisitoria racconta proprio la situazione dell’innamorarsi a banchetto e proprio nel mezzo della festa surgit amari aliquid = sorge un qualcosa di amaro, la sensazione che mentre si è felici qualcosa sta per cambiare, e mandare a male la passione. L’altra “porta” Virgilio l’aveva gia aperta nel III libro delle Georgihe, laddove aveva ripreso la trattazione dell’amore di Lucrezio, descrivendo l’amore degli animali: niente è più fisiologico dell’amore degli animali. => Virgilio riesce a condannare in un libro dedicato all’allevamento anche l’amore tra gli animali e lo fa riprendendo tutte le metafore usate da Lucrezio e trasformandole in analogie: l’amore non è altro che pura fisiologia che serve per la riproduzione; quale fiamma, l’amore è il calore della vita che vuole continuare… Di questa trattazione lucreziana resta un’immagine fissa che ritorna spesso in Lucrezio: l’amore è l’unica cosa di cui l’uomo non riesce a saziarsi, a riempirsi (expleri), di vino, di acqua di cibo l’uomo si sazia, perché queste cose saziano delle sedi date, ma l’amore no, perché l’amore passa attraverso i suoi simulacra che sono talmente sottili che mai la mente se ne riempie, anzi più se ne prende più se ne vuole (finale IV libro). Questa immagine della sazietà ritorna nel finale del I libro: è tutto un saziarsi e bere vino chiamato, oltretutto, con lo stesso termine usato da Lucrezio e poi in nessun altro autore. E poi i tragici: Didone è qui insieme Medea e Fedra che è vittima esattamente come Didone degli inganni si Afrodite. È fondamentale tenere presente non solo i modelli epici ma anche i modelli tragici che Virgilio ha presente: la novità dell’epica virigliana sta anche nell'assunzione di modelli tragici all'interno dell’epica. È chiaro che raccontare dal punto di vista dell'autore tragico la stessa storia significa inserire il punto di vista del personaggio che invece nell'epica tradizionale mancava. 20 dal v. 712 Phoenissa: soggetto (ritardato al v. 3) infelix è l’epiteto di Didone = “sfortunata” e non infelice!! deuota: la scelta del verbo è significativa => è quando un uomo dava la sua vita per la patria, un atto grande di pietas, ma è anche il termine tecnico per indicare la fattura amorosa, la formula magica che si scriveva sulle tavolette il nome della persona che si doveva ammaliare => In realtà Didone prende entrambe le sfumature: è colei che è ammaliata da Cupido ma è anche colei che alla fine della vicenda si sacrificherà e morirà. Se Didone non muore ed Enea non lascia Cartagine, non si potrà compiere il suo destino. => La storia condiziona il mito! pestis: Catullo chiamava l’amore “peste” nel carme 76 che guarda caso è un carme sulla pietas, qui abbinato alla vicenda di Didone che è anche una vicenda politica.Virgilio nel III libro delle Georgiche aveva descritto l’amore degli animali negli stessi termini del fenomeno dell’epidemia della peste animale. L’amore non è una cosa positiva in Virgilio; non ci sono esempi di aggettivi positivi accostati alla parola amor, Se ci sono è perché si tratta di amori non intesi in senso erotico, come l’amore per la poesia. D’altra parte Virgilio nasce epicureo e frequentò la scuola epicurea. expleri mentem: essere saziata nella mente => mentem è accusativo di relazione nequit: neque it: non può, non riesce (Lo aveva detto Lucrezio! È impossibile saziarsi d’amore!) ardescit tuendo: questa è proprio una sfraghis lucreziana, non solo per l’immagine del saziarsi, ma perché - in IV 1068 - laddove si rappresenta il continuo ravvivarsi della fiamma d’amore, aveva usato lo stesso Praēcĭpŭe īnfēlīx, pēstī dēvōtă fŭtūraē, ēxplērī mēntēm nĕquĭt ārdēscītquĕ tŭēndō Phoēnīssa ēt părĭtēr pŭĕrō dōnīsquĕ mŏvētūr. Ma più di tutti («praecipue») sfortunata («infelix»), consacrata a futura rovina («deuota futurae pesti»), non riesce («nequit») a saziare («expleri») la mente e brucia sempre di più («ardescit») col guardare («tuendo»), la Fenicia, («Phoenissa») e si emoziona («movetur») allo stesso modo («pariter») per il bambino e i doni che porta. Īlle ŭbĭ cōmplēxu Aēnēaē cōllōquĕ pĕpēndīt 715 ēt māgnūm fālsi īmplēvīt gĕnĭtōrĭs ămōrēm, rēgīnām pĕtĭt. Haēc ŏcŭlīs, haēc pēctŏrĕ tōtō haērĕt ĕt īntērdūm grĕmĭō fŏvĕt īnscĭă Dīdō īnsīdāt quāntūs mĭsĕraē dĕŭs. | Āt mĕmŏr īllĕ DIERESI BUCOLICA mātrĭs Ăcīdălĭaē paūlātim ăbŏlērĕ Sўchaēūm 720 īncĭpĭt ēt vīvō tēmptāt praēvērtĕre ămōrĕ iām prīdēm rĕsĭdēs ănĭmōs dēsuētăquĕ cōrdă*. Quello («Ille», il bambino), dopo che ebbe abbracciato Enea al collo («pependit complexu colloque») ed ebbe soddisfatto il grande amore del suo genitore ingannato («falsi genitoris») si rivolse /si diresse («petit») verso la regina. Questa («Haec», la regina) resta fissa («haeret») con lo sguardo e con tutto il suo cuore e inconsapevole Didone («inscia Dido») delle potenza del Dio («quantus deus miserae»; quantus, qui è tanto potente più che tanto grande) che si sta insinuando dentro di lei («insidat») lo scorda nel grembo/in seno («fovet interdum gremio»). Ma quello («At ille»), memore di sua madre Acidalia, comincia a poco a poco a («incipit paulatim») distruggere Siche («abolere Sychaeum») e tenta di stravolgere con un amore vivente quegli animi («animos») già da tempo restio («iam prime resides») e quel cuore disabituato all’amore. 21 costrutto con verbo incoativo e un ablativo del gerundio (tuendo) => questo costrutto, usato una volta o due da Lucrezio, viene imitato molto da Virgilio soprattuto quando nelle Georgiche parla dell’innamoramento degli animali (es. Georgiche III 215). puero = Ascanio => Sono già sette anni che Enea vaga, il puer è cresciuto! Succede che Virgilio più che trasformare Cupido in Ascanio, rende Ascanio Cupido: ci fornisce una descrizione di Ascanio come uno dei tanti amorini come quelli descritti nell’Antologia palatina. v. 716 ēt māgnūm fālsi īmplēvīt gĕnĭtōrĭs ămōrēm - magmun e amorem in forte iperbato - altro iperbato falsi genitoris - il verbo impleuit al centro, messo in rilievo Se l’amore passionale non è in grado di saziare, c’è l’amore legato alla pietas, quello familiare che, almeno apparentemente, si può saziare. = saziò il grande amore di Enea, sarà lo stesso grande amore che nel IV libro lo farà partire dall’Africa; tutto quello che Enea lo fa per la piena nei confronti del figlio falsum: vuol dire due cose: che mente ma è anche participio perfetto di fallo = ingannare => ⚠ anche Enea è vittima tanto quanto Didone; così come Ippolito è vittima tanto quanto Fedra => qui abbiamo in qualche modo una chiave di lettura tragica. petere aliquem: è una immagine forte, quasi della guerra, non è una semplice rivolgersi verso = è aggredire insidat (o insideat come variante: è interessante perché questa seconda versione è presente in un passo lucreziano): potrebbe essere il legame con le insidie o con l’assedio => è il Dio che va a insinuarsi īntērdūm grĕmĭō fŏvĕt: qui si rimanda a una celebra favola che viene poi ripresa anche nella tragedia, una immagine che perdura anche in una nostra espressione proverbiale, noi diciamo: “scaldare una serpe in seno” => è una immagine che deriva da una favola di Esopo dove c’è un contadino che raccoglie un serpente e lo porta in casa e lo scalda, non appena il serpente si riprende uccide il contadino. Ed è esattamente quello che succede a Didone: accoglie Enea e lui la tradisce. È importante l’immagine della serpe, come quella del veleno d’amore. haeret: haereo è il verbo della colla; un’altra metafora dell’amore, molto frequente, è l’immagine dell’amore come vischio che per gli antichi era un’arma che si usava per la trappole durante la caccia e l’animale restava invischiato, intrappolato. Questa immagine serve alla metafora della caccia amorosa. => L’amore è come un vischio che cattura la persona innamorata. oculis pectore: collegamento tra gli occhi e il cuore, topico della passione nella lirica amorosa dai lirici arcaici a Virgilio e oltre. Matris Acidaliae, perifrasi molto raffinata che si riferisce a una fonte di Orcomeno in Beozia, nemmeno sacra a Venere, dove facevano il bagno le tre grazie. Le tre grazie sono a loro volta legate a Venere e da qui questo epiteto a Venere, ma in realtà questo epiteto si trova solo qui e poi in Marziale in un testo psuedo epigrafo. Probabilmente vi è dietro un modello ellenistico che è perduto per noi. incipit e paulatim esprimono l’azione di un verbo incoativo, paulatim = a poco a poco => indica proprio l’azione progressiva dell’amore v. 722 iām prīdēm rĕsĭdēs ănĭmōs dēsuētăquĕ cōrdă animo + corda => stilema virgiliano, tratto tipico dello stile “sentimentale” virgiliano => dicolon abundans: cioè una serie di due membri, di cui il secondo, è una variazione patetica del primo Questa espressione richiama altri versi di Virgilio (VI 813; VII 693) dove però resides e desueta sono usati in ambito militare. Il cuore di Didone, che è vedova, è come un soldato che non combatte più da tempo: è una metafora frequente nel genere elegiaco che è quella della milita amoris; l’amore come una guerra che si combatte, il poeta come un soldato al servizio delle truppe di Amore. 22 È un costume romano il fatto che Didone fa il gesto di portare la coppa a bagnarsi appena le labbra => alle donne romane era proibito bere vino. libauit: la libagione è il versare il vino agli dei per ringraziarli laticum: genitivo plurale di latex usato come sinonimo di liquido, è questa un’altra parola che Virgilio riprende da Lucrezio che quest’ultimo usa in un passo in cui dice proprio che mentre di vino ci si sazia, di amore non ci si sazia mai => viene usata un’espressione ricercata: simulacra laticum; il fatto che si trovi in Lucrezio e in Virgilio è una spia dell’imitazione di Virgilio. libato: è ablativo assoluto ma è impersonale, non vi è il sostantivo, c’è solo il participio perfetto; è una forma rara; es.: excepto quod… può essere che derivi dall’ambito giuridico => lingua fortemente stilizzata e arcaizzante tenus = fino a => regge l’ablativo l’ablativo (summo ore = la sommità della bocca) e normalmente si trova dopo, è posposto; lo si trova in alcune espressioni legato alla parola come quadantemus = fino a un certo punto; actmus = fin qua; qui lo troviamo separato dalla persona a cui si riferisce, messo in mezzo tra l’aggettivo e il sostantivo a cui si riferisce, perché va a specificare summo increpitans: il frequentativo qui attenua l’azione: increpo vuol dire sgridare qualcuno => increpito è come un invito scherzoso a bere proceres: i nobili; => ricorda i proci di Ulisse => c’è qui dietro anche il banchetto dove Ulisse svela la sua identità una volta giunto a Itaca. REPERITE IUVANT: Didone è un po’ Nausicaa ma è un po’ anche Penelope: qui c’è forse anche un riferimento ai pretendenti di Penelope che non le davano tregua. Questo tema torna poi nel finale del IV libro. ⚠ Differenza speculare tra Virgilio e Catullo: Catullo => condanna la storia e salva il mito Virgilio => condanna il mito e salva la storia => la pietas non trova nel suo poema alcuna ricompensa: tutto quello che Didone ha fatto viene premiato con tutto quello che lei percepisce come un tradimento; e tutto questo per poter giustificare la storia. Il nome Iopa dovrebbe secondo i commentatori antichi uno dei tanti pretendenti di Didone; dovrebbe essere un nome che Virgilio riprende dalla tradizioni mitica su Didione: il più famoso dell’Eneide è Iarba che si trova anche nel IV libro. Dīxĭt ĕt īn mēnsām lătĭcūm lībāvĭt hŏnōrēm prīmăquĕ lībātō sūmmō tĕnŭs āttĭgĭt ōrĕ; tūm Bĭtĭaē dĕdĭt īncrĕpĭtāns; īlle īmpĭgĕr haūsīt spūmāntēm pătĕram ēt plēnō sē prōlŭĭt aūrō; pōst ălĭī prŏcĕrēs. | Cĭthărā crīnītŭs Ĭōpās 740 CESURA SEMIQUINARIA (O PENTEMIMERE) pērsŏnăt aūrātā, dŏcŭīt quēm māxĭmŭs Ātlāns. Così disse («Dixit») e versò («libavit») sulla tavola («in mensam») l’onore delle bevande (= rese onore agli dei libando) e dopo avere libato («libato») per prima («primaque») toccò («attigit») il vino fino alla sommità della bocca (= lo assaggia appena), poi («tum») diede («dedit») [la coppa] a Bitia esortandolo a bere a sua volta («increpitans»); quello («ille») con ardore («impiger») attinse/ bevve («hausit») la coppa spumeggiante («spumantem pateram») e si bagnò («se proluit») con la coppia pena («auro pleno»: dove oro dove sta per coppa); e dopo [di lui bevvero] gli altri nobili. Iopa dai lunghi capelli, suono con la sua cetra («personat cithara») dorata («aurata»), che (quem», riferito a Iopas) era stato istruito («docuit») dal grandissimo Atlante. 25 Iopa è definito crinitus (= vuol dire dai capelli lunghi); i capelli lunghi stanno a indicare nella poesia latina o la giovane età di un personaggio oppure, ed è il nostro caso, un tratto apollineo, i capelli lunghi lo fanno assomigliare ad Apollo che è il dio della poesia. doceo: regge l’accusativo della persona a cui si insegna; e può avere il doppio accusativo => è il verbo del genere epico didascalico!! Intanto la presenza di un cantore alla corte di un re è un motivo che Virgilio prende ancora una volta dall’Odissea, dove abbiamo due aedi che cantano alla corte dei re, cioè Femio e Demodoco. Demodoco canta alla corte dei Feaci e canta la guerra di Troia: fa un epos ciclico. Il canto di Demodoco nell’Odissea è un esempio di mise en abyme, racconto speculare, del poeta che ritrae se stesso {Mise en abîme (francese ‘messa in abisso’) = è un termine araldico che indica uno scudo raffigurato dentro uno scudo; André Gide ne fa la definizione di una struttura replicata dentro se stessa. => In letteratura è un procedimento di duplicazione di una sequenza-modello che riproduce su scala ridotta l’intera vicenda alla quale appartiene; si capisce che questo procedimento può essere replicato e annidato un numero qualsiasi di volte (ad es.: questa è la struttura, ad es., delle Mille e una notte, o del Decameron, ma è molto più frequente di quel che si possa pensare). Il cantore alla corte di Didone invece ci sorprende con un racconto di carattere epico didascalico. La scena del cantore veniva ripresa prima che da Virgilio, da Apollonio Rodio nelle Argonautiche, alla fine del primo libro, si ha un banchetto e gli Argonauti possono ascoltare niente meno che il padre della poesia, Orfeo, che canta una cosmogonia, una origine del mondo e delle cose. => Virgilio contamina il ricordo dell’Odissea con il ricordo delle Argonautiche. A questo punto Virgilio fa una autocitazione: Virgilio stesso non è nuovo alle opere didascaliche. => L’opera didascalica di Virgilio sono le Georgihce. Nel finale del II libro delle Georgiche, Virgilio si ferma e riflette sul senso di fare poesia didascalica e lo fa in perfetta contrapposizione con il modello esattamente precedente a lui che è Lucrezio. E dice “Beato chi (come Lucrezio) ha messo sotto i piedi la paura dell’Acheronte, chi fa una poesia di tipo cosmologico” MA dice anche “Beato chi come me fa una poesia didascalica di tono minore che insegna il rispetto per i dei della tradizione e suggerisce un modello di vita parco, modesto come quello dell’agricoltore”. È un passo controverso: Virgilio afferma la sua superiorità rispetto a Lucrezio, attraverso la deminutio, l’ironia. Il canto che Iopa produce ala corte di Didone è un canto sublime, didascalico alla Lucrezio che dovrebbe insegnare le causae rerum, eppure è un canto che non sarà in grado di salvare Didone dalla passione che la devasterà = è un canto universale ma non salvifico. Così come, nelle Egogle Georgiche, il canto dei pastori non è sufficiente a salvarli né dall’amore né dalla guerra. => La poesia, in Virgilio, esce irrimediabilmente sconfitta. Perché Atlante è il maestro di Iopa? Per due motivi: Atlante è colui che sorregge nel mito la volta celeste (tnato che noi abbiamo nel collo un osso che si chiama Atlantide); e poi c’è una variante del mito secondo cui Atlante si sarebbe trasformato in una catena montuosa (in Africa del nord cioè nelle terre di Didone). 26 Hīc cănĭt ērrāntēm lūnām sōlīsquĕ lăbōrēs, ūnde hŏmĭnūm gĕnŭs ēt pĕcŭdēs, ūnde īmbĕr ĕt īgnēs, => variatio sintattica: da un lato una coppia di accusativi e dall’altra parte delle interrogative retoriche Ārctūrūm plŭvĭāsque Hўădās gĕmĭnōsquĕ Trĭōnēs => variato sintattica: ritorna a usare l’accusativo quid tantum Oceano properent se tinguere soles hiberni vel quae tardis mora noctibus obstet => variatio: quid introduce una interrogativa indiretta Il canto di Iopa ricordano i vv. 745 e seguente del II libro delle Georgiche, ma contiene un’altra autocitaizone: contiene una citazione di una Egloga virgiliana, la VI vv. 31 e seguenti, dove abbiamo un altro celebre canto, messo all’interno di una altro canto, che è il canto di Sileno, imprigionato e costretto da due pastorali a cantare. Questi fa un miscuglio di generi letterari, fra cui quello didascalico, e parla di cosmogonia. Il canto di Iopa sembra cominciare, curiosamente, con un errore cioè l’errari della luna. => Il verbo erro detto di un copro celeste dovrebbe essere riferito ai pianeti (così chiamati perché a differenza delle stelle erano considerati vaganti); detto della luna era in teoria sbagliato, non ha senso dal punto di vista astronomico. labores: labor si può usare con due valori: può indicare le eclissi; oppure può essere usato a indicare il movimento del sole nelle dodici costellazioni dello zodiaco => quindi il canto di Iopa non è solo astronomico ma anche astrologico, cioè il raccontare insieme al sole e alla luna anche le 12 costellazioni dello zodiaco. Ed tanto più significativo se pesiamo che dietro questo verso ci sta un verso di Apollonio Rodio, libro I delle Argonautiche v. 500, dove si trova l’immagine NON delle eclissi, ma delle strade percorse dal sole e dalla luna. => Quindi, probabilmente, non è escluso che qui Virgilio non indichi l’eclisse quanto piuttosto le dodici fatiche del sole, nel cambiare posizione nello zodiaco. unde geminos hominus: hominus + genitivo: allocuzione omerica, recepita da Virgilio e poi anche dalla poesia didascalica (infatti la troviamo in Lucrezio e nelle Georgiche) pecudes: sono glia animale domestici, non selvatici Hīc cănĭt ērrāntēm lūnām sōlīsquĕ lăbōrēs, ūnde hŏmĭnūm gĕnŭs ēt pĕcŭdēs, ūnde īmbĕr ĕt īgnēs, Ārctūrūm plŭvĭāsque Hўădās gĕmĭnōsquĕ Trĭōnēs, quīd tāntum Ōcĕănō prŏpĕrēnt sē tīnguĕrĕ sōlēs 745 hībērnī vēl quaē tārdīs mŏră nōctĭbŭs ōbstēt; īngĕmĭnānt plaūsū Tўrĭī Trōēsquĕ sĕcūntūr. Costui («Hic» = Iopa) canta («canit») il vagare l’errare della luna («errantem lunam») e l’eclissi del sole («solis labores» = o la metafora le fatiche del sole), da dove («unde») deriva la stirpe degli uomini e gli animali, da dove («unde») derivano la pioggia e i fuochi (=> due dei quattro elementi), [canta] Arturo e le piovose Iadi («pluvias Hyadas») e i due carri («geminosque Triones»), [canta] il perché (quid = con il suo canto spiega il perché) i Soli dell’inverno («soles hiberni» = i giorni invernali) tanto si affrettano («tantum properent») a bagnarsi («se tinguere») nell’Oceano, o quale ostacolo si frapponga/impedisca («obstet») alle notti lente («tardis noctibus»); moltiplicano («ingeminant») gli applausi i Tiri e i Troiani li seguono («sequuntur»). 27 Questa prospettiva fa si che l’epica virgiliana fa si prende una strada diversa da quella omerica, il fatto che nel II e III libro le vicende sono raccontate esplicitamente e poi negli altri libri implicitamente dai punti di vista dei personaggi, è la novità dirompente della poetica virgiliana. ⚠ ENEA SPETTATORE DELLE PROPRIE VICENDE: abbiamo due casi in cui Enea si trova ad ammirare un’opera d’arte: il primo è quello del tempio di Giunone e il secondo è quello dello scudo, nell’VIII libro, dove sono rappresentate delle vicende della storia di Roma il cui senso non è capito da Enea, scolpito dalla dea per il figlio. => Il dramma di Enea è questo essere proiettato in un tempo che non è il suo, il suo essere naufrago. immo = anzi age = su, forza Didone nell’invitare Enea al racconto, va a recuperare delle espressioni che ci sono nello stesso proemio, il vagare per terra e per mare, a sua volta richiamo al proemio dell’Odissea. I commentatori dicevano che Didone è gentile a dire insidias Danuam fa capire che Troia è caduta solo per un inganno e non perché i troiani non erano coraggiosi; le insidias = il cavallo di Troia. a prima origine: espressione con funzione proemiale che si ritrova in vari contesti premiali tra cui l’inizio dell’epillio di Orfeo nel IV libro delle Georgiche, e nel proemio delle metamorfosi di Ovidio. Con questo invito Didone da inizio ai libri II e III. "Īmmo ăge ĕt ā prīmā dīc, hōspĕs, ŏrīgĭnĕ nōbīs īnsĭdĭās" īnquīt, "Dănăūm cāsūsquĕ tŭōrūm ērrōrēsquĕ tŭōs; nām tē iām sēptĭmă pōrtāt 755 ōmnĭbŭs ērrāntēm tērrīs ēt flūctĭbŭs aēstās". “Ma forza su («immo age») straniero («hospes») racconta («dic») sin dall’inizio («a prima origine») gli inganni dei greci («insidias Danaum») e la caduta dei tuoi («casusque tuorum») [=> II libro] e il tuo varare («errores tuos») [=> III libro]; infatti ormai («iam») la settima estate («settima aestas») ti porta («te portat») in giro («errantem») per ogni regno e ogni mare”. 30 Libro IV - Incontro di Didone ed Enea negli inferi Questo incontro è una ulteriore occasione per capire come l’epos virgiliano si differenzia da quello omerico. Come accadeva per il banchetto alla corte di Didone, così anche per la catabasi, la discesa di Enea negli Inferi, siamo di fronte a una ripresa di Omero come modello genere: quella della discesa negli Inferi è ancora una volta una situazione epica. Questo accadeva nell’Odissea nel libro XI, dove Ulisse incontra negli Inferi diversi personaggi. La similitudine di queste due situazioni, che sono la ripresa l’una dell’altra, rendono molto evidente lo scarto: è vero che Enea replicherà alcune situazioni simili a quelle di Ulisse (=> Ulisse incontra la madre, mentre Enea incontra il padre; Enea cerca di far pace con Didone così come Ulisse cerca di far pace con Aiace per la questione del giudizio delle armi). => Lo scarto tra queste tue situazioni risiede, in realtà, nella prospettiva che questo episodio dà nel suo complesso del poema e alla storia tutta. Mentre Odisseo è tutto proiettato nel passato, e i vari incontro con gli eroi che sono già morti che servono solo a ricordare il passato o la situazione presente (la madre che gli ricorda che ha una moglie lo sta aspettando); la discesa di Enea che incontra Anchise serve a proiettare tutto nel futuro, a svelare il compito di Enea, è nel VI libro che vediamo quanto Enea, il mito di Enea. sia condizionato dalla storia. Gli Inferi che visita Enea sono un luogo assurdo: troviamo Catilina condannato e l’anima di Cesare che ancora deve nascere = è un multiverso temporale. C’è tutta una parata di future anime che hanno detto di loro il loro destino che non è detto che sia di trionfo. => Quindi: proiezione dominante verso il futuro storico di Roma e quel futuro mitico, cioè il futuro dell’imperium sine fine di Augusto; dall’altro la discesa agli Inferi serve anche a racchiudere il cerchio del presente mitico di Enea: l’incontro con Didone negli inferi serve a chiudere la vicenda e a recuperarla in un senso che assomiglia più alla tragedia che all’epica. Enea incontro Didone nei lugentes campi, in compagnia di tutta una serie di eroine, personaggi femminili che rappresentano - usando una espressione di Partenio, erotikà pathèmata (=> Partenio di Nicea, portato a Roma da Cinna, che aveva scritto gli erotikà pathèmata = dolori amorosi, argomenti di tipo amoroso che dovevano servire come canovaccio per la poesia di Gallio, di stampo neoterico). C’è però un particolare: prima della rassegna delle eroine c’è la sede degli Inferi in cui ci sono i suicidi. Leggiamo i vv. 434-439 Prōxĭmă deīndĕ tĕnēnt maēstī lŏcă, quī sĭbĭ lētūm īnsōntēs pĕpĕrērĕ mănū lūcēmquĕ pĕrōsī 435 prōĭĕcēre ănĭmās.1 Quām vēllēnt aēthĕre ĭn āltō nūnc ēt paūpĕrĭem ēt dūrōs pērfērrĕ lăbōrēs!2 Fās ōbstāt, trīstīsquĕ pălūs ĭnămābĭlĭs ūndaē āllĭgăt ēt nŏvĭēs Stŷx īntērfūsă cŏērcēt. I luoghi più vicini a quelli visitati da Enea (Proxima loca) sono abitati (tenent) da quei disperati (maesti) che si sono provocati la morte (sibi letum peperere manu) senza colpa (insontes) e odiando la luce (lucem perosi) gettarono via la propria vita (proiecere animas). Quanto vorrebbero (quam vellent; cong. irreale) adesso (nunc) sopportare anche la povertà e anche fatiche durissime all’aria aperta (aethere in alto = da vivi). La legge divina lo impedisce (fas obstat), l’onda fosca (palus inamibilis) li lega (alligat) nella odiosa palude e lo Stige circondandoli per nove volte li costringe (coercet). 31 1 Qui Virgilio vuole far intendere che Didone muore esattamente in questo modo, cioè suicida. Nel IV libro c’è proprio questo odio della luce; MA si dice anche che Didone muore priva di colpa. => La tragedia di Dione è la tragedia del pudor violato, della fedeltà violata nei confronti di Sicheo, ma - come anche testimoniano le anime che la circondano - e è anche una morte per amore. => Muore suicida e insons: senza di colpa. Questa mancanza di colpa serva a distinguere Didone da Fedra, cose che appunto non c’è in Seneca, dove, invece, c’è un suicidio che serve a riscattarsi di, a punire una colpa. 2 Qui c’è, inoltre, un’altra memora omerica che ci dice molto del modo in cui Omero viene patetizzato da Virgilio. Questa è una imitazione dell’Odissea, dell’episodio dove Ulisse incontra Achille, dove si dice che tutti gli rendono onore sia negli Inferi che in vita, e Achille risponde che non gli deve abbellire la morte, che preferirebbe essere un bracciante di un uomo povero, piuttosto che essere il signore dei morti. Al di là della somiglianza tra questi due passi, il punto è che Achille non muore suicida; la patetizzazione di Omero è questo, gioca su questo: a rimpiangere la vita solo coloro che l’hanno odiata. In questo caso Virgilio carica la vena del patetico, facendo dire ai suicidi quello che aveva detto Achille. Libro VI (vv. 440 - 476) lugentes campi: c’è il referente greco di questa espressione che Virgilio cita come se fosse cosa nota (sic nomine dicere). Quando Virgilio esplicita che si tratti di un nome greco, in realtà questo non c’è; si nota piuttosto che in queste pianure piangenti c’è quasi una memoria di quella partecipazione della natura o alla gioia o al dolore dei personaggi che Virgilio tante volte aveva descritto nelle Egloghe delle Bucoliche; un segnale è l’uso del participio presente che è sempre presente e che rende a dare maggiore drammaticità. => Perché come l’imperfetto, il participio presente ha un valore aspettuale imperfettivo, indica lo svolgersi dell’azione ma non il suo compimento. Quindi l’uso aggettivale o anche verbale del participio presente è uno strumento fondamentale per rappresentare la condizione eterna di questi dannati. Vengono qui recuperati una serie di espressione e termini che appartengono alla poesia amorosa: durus = lett. ruvido, ma spietato; in elegia è un amore non corrisposto crudelis, altro aggettivo dell’innamorato che non corrisponde in amore tabes, termine che si trova anche in medicina che indica il consumarsi, la consunzione che richiama il greco tekestai, termine che indica la consunzione per amore. ! Non sono memorie raffinate, sono immagini molto usate per l’amore che troviamo anche in Plauto. Nēc prŏcŭl hīnc pārtēm fūsī mōnstrāntŭr ĭn ōmnēm 440 lūgēntēs cāmpī; sīc īllōs nōmĭnĕ dīcūnt. E non lontano di qui (nec procul hinc = dai suicidi) si mostrano (monstrantur) diffusi da ogni parte (fusi in omnes partem) i campi del pianti (lugentes campi= le pianure piangenti); così li chiamano/è questo il loro nome (sic illos nomine dicunt). Hīc quōs dūrŭs ămōr crūdēlī tābĕ pĕrēdīt, sēcrētī cēlānt cāllēs ēt mŷrtĕă cīrcūm sīlvă tĕgīt; cūraē nōn īpsa īn mōrtĕ rĕlīnquōnt. Qui (Hic) dei sentieri segreti (calles secreti) nascondono (celant) coloro che (quos) un amore crudele/spietato (durus amor) consumò/divorò (peredit) di crudele consunzione (crudeli tabe) e li circonda proteggendoli (circum tegit) una foresta/un boschetto di mirti (silva myrtea); le sofferenze (curae) nemmeno nelle morte (non ipsa in morte) li abbandonano (relinquont). 32 diverso: “come colui che ha visto la luna al primo mattino quando il sole sta sorgendo e la luna è una immagine che svanisce sempre di più” = evoca l’idea della luce e, in Apollonio, non è riferito a una donna o alla bellezza femminile, ma è riferito a Linceo che da lontano vede Eracle. => È una situazione diversa, non è esattamente sovrapponibile. Qui invece abbiamo l’immagine della luna nuova che non si vede; ed è un immagine più calzante, il paragonare una donna alla luna è un motivo topico. MA nel I libro Didone era paragonata alla dea Diana/Artemide che tra le tante cose è la luna. => Nel I libro è paragonata ad Artemide splendente la cui luce oscura le altre stelle, dove si diceva che la dea copriva tutte le Oreadi. Qui, invece, Didone è scusa, è in ombra, oscurata tanto che Enea non è tanto convinto di averla vista. = sottile richiamo antifrastico qualem: introduce una similitudine aut videt aut vidisse putat: POLIPTOTO demisit lacrimas: Virgilio da qui inizia a scambiare i ruoli di Didone ed Enea rispetto a come li aveva presentati nel IV libro dove c’è sempre Didone che piange e che cerca di commuovere Enea e fargli cambiare idea, mentre dall’altra parte c’è Enea che è irremovibile e che non cede alla richiesta di Didone. Qui i ruoli si scambiano: Enea piange e parla con amore e Didone invece viene paragonata a una roccia. dulcique amore adfatus est uno dei pochi casi in cui troviamo in Virgilio amor determinato da un aggettivo positivo come dulcis; => la spiegazione è che qui dulcis si riferisce/determina di più adfatus, al parlare di Enea. Perché qui Virgilio si sta ricordando di un passo dell’Odissea, i versi 543 XI libro; in particolare l’incontro di Odisseo con Aiace e ricorda come Odisse ha parlato con Aiace = e cioè con parole dolci come il miele. => quindi, dulcis è un ulteriore segnale per far ricordare questo episodio al lettore. * questa più che una domanda è una esclamazione nuntius regge delle infinitive dove manca esse, ellissi dell’infinito di sum funeris: sarebbe il funerale; qui è metafora di morte heu interiezione = ahimè, serve a dare pathos nuntius al posto di nuntium: normalmente nuntius non è la notizia ma è il messaggero, ma in poesia introdurre qui nuntios, sebbene sia usato con questo significato, segnica introdurre la tragedia dove il nuntius racconta le scene violente che non possono essere messe in scena, l’angelos. => È curioso perché noi non sappiamo che Enea apprende la notizia o come la apprenda. nuntius venerat: questa espressione in Cesare viene usata proprio per indicare il resoconto fatto al comandante "Īnfēlīx Dīdō, vērūs mĭhĭ nūntĭŭs ērgō vēnĕrăt ēxtīnctām fērrōque ēxtrēmă sĕcūtām; fūnĕrĭs heū tĭbĭ caūsă fŭī?* Pēr sīdĕră iūrō, per superos et si qua fides tellure sub ima est: īnvītūs, rēgīnă, tŭō dē lītŏrĕ cēssī. 460 “Sfortunata Didone (Infelix Dido), era dunque (ergo) vera la notizia che mi era giunta(nuntius mihi)) (lett. = mi era arrivata la notizia vera) che tu eri morta (extinctam esse) e che avevi cercato (secutam esse) la fine (extrema) con la spada (ferro); io sono stato (fui) per te (tibi) causa di morte (causa funeris)! Io giuro (iuro) sulle stelle (per sidera), giuro sugli dei (per superos) e se c’è una giustizia (si qua fides est) sotto la profondità della terra (tellure sub ima) contro la mia volontà (invitus), regina, me ne sono andato (cessi) dalla tua terra (tuo de litore). 35 ferrum: comunissima METONIMIA EPICA per la spada => la spada di Enea, donata a Didone, che diventa lo strumento e la causa della morte di Didone; Seneca riprende questo tema quando la sua Fedra si ucciderà con la spada che aveva sottratto a Ippolito extinctam ferroque extrema secutam: HYSTERON PROTÈRON (= dopo - prima => inversione dell’ordine temporale e logico delle azioni) Poi abbiamo il giuramento che segnato dal numero tre, e coinvolge i tre regni possibili: il regno celeste (attraverso i sidera, le costellazioni), il regno degli dei (superi) e poi il regno degli inferi (con riferimento alla fides). {=> Catullo carme 76 e poi nel carme 64 dove Arianna accusa Teseo di aver violato da fides} => Nel IV libro dell’Eneide, Virgilio fa accusare Enea da Didone di perfidia, è perfidus perché, nonostante fosse stato accolto da lei, non ha ricambiato in base a quel rapporto di reciprocità che regola la religione e la società romana, se ne è andato. E qui Enea per giustificarsi con Didone invoca proprio la fides! si qua fides est: qua è un aggettivo pronominale indefinito (il pronome corrispondente = QUIS QUID) tellure: sinonimo poetico di terra (registro elevato) imus: è un superlativo īnvītūs, rēgīnă, tŭō dē lītŏrĕ cēssī: Enea è come sempre la vittima di un destino a cui sente di non appartenere, che lo obbliga a fare cose in vista di un destino di cui non farà parte. Nel IV libro aveva detto una frase simile: “io inseguo l’Italia non di mia volontà”. cessi: verbo semplice che sta per un composto, sta per discessi (= me ne sono andato), infatti al verso 764 usa proprio discusso (= andandomene) => Qui abbiamo l’imitazione del carme 66 di Catullo, del verso 39: si dice che la chiama di Berenice, il ciuffo di capelli destinato al catasterismo, contro la sua volontà se ne è andata dalla tua testa e lo dice in un giuramento. ⚠ Questo è uno dei momenti più alti dell’Eneide per patetismo e coinvolgimento che si avvale della memoria di un frigidissimo verso catulliano: come si può paragonare il lamento di un ciuffo di capelli al lamento di Enea l’uliva volta che può parlare con Didone? Che senso ha? Forse ricorda il ciuffo di capelli che Iride strappa a Didone per farla morire alla fine del IV libro? Forse la poesia come la musica si insinua nella memoria letteraria di un autore e alle volte riemerge senza che ci sia una vera consapevolezza da parte dell’autore che sta ricordando quel determinato episodio/fatto; una sorta di ricordo incolpevole, delle reminiscenza, ma non sono citazioni. Sēd mē iūssă dĕūm, quaē nūnc hās īrĕ pĕr ūmbrās, pēr lŏcă sēntă sĭtū cōgūnt nōctēmquĕ prŏfūndām, īmpĕrĭīs ēgērĕ sŭīs; nēc crēdĕrĕ quīvī hūnc tāntūm tĭbĭ mē dīscēssū fērrĕ dŏlōrēm. Sīstĕ grădūm, tēque ādspēctū nē sūbtrăhĕ nōstrō. 465 Quēm fŭgĭs? Ēxtrēmūm fātō quōd te ādlŏquŏr hōc ēst.” Ma i comandi degli dei (iussa deum) che ora (quae nunc) mi costringono (cogunt, me sott.) a muovermi (ire), fra queste ombre (per has umbras), per spazi squallidi (per loca senta) e putridi (situ) e per questa notte profonda(noctem profundam), mi hanno spinto (egere e il me al v. 461) con i loro ordini (imperiis suis); non avrei mai potuto (nec quivi) credere (credere) che con la mia partenza (me discessu) ti avrei portato (tibi ferre) un dolore così grande (hunc tantum dolorem). Fermati (siste gradum = ferma il tuo passo) e non sottrarti (ne te subtrahe) alla nostra vista (adspectu nostro = alla mia vista). Chi stai fuggendo? Per destino (fato) questa è (hoc est) l’ultima volta (extremum) che ti parlo (quod te adloquor)”. 36 egere da ago: è il verbo del pastore che appunto spinge le pecore, mentre duco vuol dire mettersi davanti imperium come sinonimo di iussa sed me iussa deum: Enea ripete questa giustificazione che è presente molte volte anche nel IV Perché Enea deve andare negli inferi? Per conoscere i futuri romani e a mostrarglieli sarà Anchise, il padre. è un passaggio obbligato perché Enea capisce così qual è il destino di Roma e il suo compito e un modo per Virgilio per cantare finalmente Augusto. senta situ: espressione che mette insieme un aggettivo arcaico (sentus) che si trova in Terenzio che ha il valore di squallidus, che non è lo squallore morale ma indica il senso di abbandono, della trascuratezza, aggettivo che nasce dall’espressione del lutto: un uomo squalidus è un uomo che non si è fatto la barba perché quando si è in lutto non ci si poteva radere; quindi ha anche valore di ruvido. Situ deriva dal verbo sino e indica qualcosa che è depositata, che è stata lasciata lì per molto tempo e potrebbe indicare lo sporco. profundus è un aggettivo negativo nel latino classico perché indica quella profondità fino all’abisso nec credere quivi = non avrei mai potuto credere/pensare: FALSO CONDIZIONALE: quando c’è un condizionale italiano che in latino è reso con l’indicativo; il latino preferisce usale l’indicativo dove noi usiamo il condizionale (=> potremmo dire che è un falso indicativo). Le espressioni che hanno spesso il falso condizionale si hanno di solito con possum (con i verbi di potere), con i verbi di volontatis (verbi di volere), con la perifrastica passiva (espressioni di dovere), con aggettivo + sum o ancora nelle espressioni con i verba putandi (verbi che esprimono il pensare credere ritenere). I verbi del falso condizionale li traduciamo con il condizionale presente se c’è un presente, con un condizionale passato se c’è un tempo storico al latino. siste gradum: siste è sto con raddoppiamento del presente; se sto = stare fermo, sisto = io mi fermo o fermo qualcosa (in questo caso è il gradum, il passo) gradum ha invece la stessa radice del verbo gradior ⚠ Tuusi, uno studioso di poesia epigrammatica, sostiene che in questo invito di Enea a Didone vi è l’invito che si trova nella poesia epigrafica sepolcrale che di solito cominciano con l’invito del morto al viandante a leggere la lapide. adspectu ne subtrahe nostro aspectu = dativo => la IV decl. presenta due tipi di dativi che può essere -u o -ui (quello in u è quello più arcaico) ne subtrahe: imperativo negativo => ne + cong. perfetto (ne subtraxeris) ⚠ ma in poesia si trova ne + imperativo Quem fugis? = da chi stai fuggendo Anche ritorno l’inversione dei ruoli: Enea prende le parole di Didone che nel v. 324 del IV chiedeva a Enea se stesse fuggendo da lei. quod te adloquor: SOSTANTIVA (e non una relativa) = il mio parlarti è l’ultima volta è l’ultima volta (estremum) per destino (fato) => è memoria di un passo dell’Aiace di Sofocle dove egli dice che è l’ultima volta che guarda il sole 37