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"ENTE ECCLESIASTICO, BENI RELIGIOSI E ATTIVITA' DI CULTO" DI ANDREA BETTETINI, Dispense di Diritto Ecclesiastico

Libro del prof Bettetini "Ente ecclesiastico, beni religiosi e attività di culto", uscito a settembre 2019. Il riassunto comprende tutti i capitoli, paragrafo per paragrafo, ovviamente in modo riassunto ma è ciò che serve ai fini della preparazione dell'esame. Questo riassunto l'ho fatto io poco prima di dare l'esame dato che su internet non si trovavano. Ogni diritto è riservato e moralmente è scorretto prenderlo e poi rivenderlo come so che sta succedendo. Ve ne assumerete le conseguenze.

Tipologia: Dispense

2019/2020

In vendita dal 19/06/2020

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Scarica "ENTE ECCLESIASTICO, BENI RELIGIOSI E ATTIVITA' DI CULTO" DI ANDREA BETTETINI e più Dispense in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! INTRODUZIONE Il nostro codice civile all'art. 831 qualifica gli enti religiosi civilmente riconosciuti come enti ecclesiastici al pari del concordato stipulato fra Santa Sede Italia nel 1929. Art. 20 cost: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.”. La norma assume una prospettiva di tutela della libertà religiosa anche in favore degli enti confessionali non istituzionalizzati RICONOSCIMENTO DEGLI ENTI ECCLESIASTICI 1-Il sistema delle fonti normative e unilaterali Per quanti riguarda gli enti della Chiesa cattolica le fonti prossime di cognizione sono l'articolo 20 ed articolo 7 della Costituzione. Vi sono poi norme canoniche universali: il Codice del Diritto canonico, le delibere adottate dalla Conferenza Episcopale Italiana, il testo unico in materia di sostentamento del clero, la delibera 57 relativa ai criteri di ripartizione derivanti dal cosiddetto 8 per 1000 dell'Irpef, nonché le istruzioni in materia amministrativa emanate nel 2005 dalla C.E.I. 2-Il riconoscimento per decreto La modalità ordinaria di riconoscimento civile degli Enti ecclesiastici è tramite decreto, procedimento tradizionale per gli enti privati, superato ora per gli enti di diritto comune da un sistema di iscrizione costitutiva, tale ultima procedura non si è estesa alle associazioni fondazioni e altri istituti ecclesiali. 2-1Premessa: Le modalità attraverso le quali è possibile ottenere la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto sono quattro, anche se 3 di esse possono ritenersi residuali. Si tratta del riconoscimento per decreto (modalità ordinaria), quello per antico possesso di stato, quello per legge e del procedimento abbreviato. Essenziali sono i requisiti imposti dalla legge per il riconoscimento dell’ente, questi sono di tue tipologie: requisiti canonici e requisiti civili. 2-1-1Requisiti canonici. A) Il riconoscimento o l’approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica. Ai fini del riconoscimento, l’ente dovrà dimostrare determinati requisiti. Il primo requisito che un ente canonico deve possedere per poter essere riconosciuto agli effetti civili è la sua erezione o approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica. La recognitio assumerà normalmente la forma di un decreto dato in forma scritta, a seguito del quale l’associazione è riconosciuta come associazione privata senza personalità giuridica. Tale ente che, in linea di principio non dovrebbe essere centro di imputazione di diritti e di doveri (mancando la personalità giuridica), in realtà è considerato dal diritto quale centro di imputazione di specifici effetti giuridici non ricollegabili a una persona fisica o a una persona giuridica. È in definitiva un soggetto, ancorché privo di personalità. B) L’assenso dell’autorità canonica al riconoscimento civile. La legislazione concordata con la chiesa cattolica stabilisce, quale requisito per il riconoscimento civile di un ente religioso, che la domanda deve essere introdotta dall’autorità ecclesiastica o con suo assenso. L’atto di assenso, che può essere allegato alla domanda ovvero posto in calce ad essa, esprime il collegamento dell’ente con l’ordinamento della chiesa cattolica. Un collegamento che sussiste quando l’autorità non si limita a dare l’assenso al riconoscimento, me è essa stessa ad assumere l’iniziativa del procedimento amministrativo. Inoltre, attraverso tali atti, l’autorità governativa prende conoscenza di quale sia l’autorità ecclesiastica che ha la giurisdizione sull’ente canonico. Per quanto concerne l’autorità ecclesiastica competente a dare l’assenso, o a introdurre l’istanza, essa è la medesima che ha legittimamente conferito la personalità giuridica all’ente, o lo ha approvato nell’ordinamento canonico, oppure quella da cui l’ente dipende. Inoltre, il vescovo diocesano, nel rilasciare l’assenso al riconoscimento civile, deve dichiarare all’autorità governativa la propria competenza per quanto riguarda la tutela e la vigilanza sull’ente ecclesiastico. 2-1.2Requisiti civili. A) La sede in Italia. Un requisito che gli enti canonici debbono possedere, al fine di ottenere il riconoscimento civile, è che abbiano la sede in Italia. La determinazione della sede è peraltro rilevante ai fini dell’individuazione dell’autorità prefettizia competente a ricevere la domanda di riconoscimento dell’ente. Gli enti ecclesiastici aventi sede all’estero, se riconosciuti nel loro stato, a condizione di reciprocità hanno in Italia lo status di persona giuridica. In tale ipotesi, gli enti con elementi di estraneità agiscono nel nostro territorio come persone giuridiche private, senza pertanto godere dei privilegi e degli oneri degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Tali enti, disciplinati dalla legge del stato nel quale sono stati costituiti, sono tuttavia sottoposti alla legge italiana se la sede dell’amministrazione è in Italia, oppure se in Italia si trovi il loro oggetto principale. B) Il fine di religione o di culto. La legislazione concordata pone, come requisito comune per il riconoscimento di ogni ente ecclesiastico, che esso persegua in modo costitutivo ed essenziale un fine di religione o di culto. Attività di religione o di culto: quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana. Mentre sono considerate attività diverse da quelle di religione o quelle di culto: assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura, e le attività a scopo di lucro. 3-Finalità canoniche e finalità “concordate”. antinomie e analogie Premesso che ai sensi della l. 222/85 gli enti ecclesiastici sono riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili nel rispetto delle loro caratteristiche stabilite dalle norme del diritto canonico, colpisce la discrasia tra le finalità enumerate dalla legge e quelle richieste dall’ordinamento canonico. Il can. 114 del Codice di diritto canonico statuisce che per i fini della missione della Chiesa si intendono quelli attinenti ad opere di pietà, di apostolato o di carità. In definitva attività indubbiamente funzionali della Chiesa non sono solo quelle di culto e religione ma anche le attività previste dall’art 2 dell’Accordo di Villa Madama (Libertà per la chiesa di svolgere la propria missione pastorale, educativa, caritativa) e dall’art 16 della l. 222/85 (assistenza, beneficienza, istruzione) 3-1-Scopo religioso dell’ente e discrezionalità della P.A. nel riconoscimento. All’autorità amministrativa spetta innanzitutto, di valutare se le finalità dell’ente siano effettivamente di religione o di culto. Detto altrimenti, dovrà decidere se le attività statuarie e di fatto svolte dall’ente coincidano con quelle di cui all’art. 16 lett. a legge 222/1985, e altresì verificare se la struttura giuridico-istituzionale dell’ente sia compatibile con le norme del diritto civile. Tale valutazione spetta in primis all’ente medesimo che dovrà documentarle nel modo opportuno, cioè, nella domanda di riconoscimento devono essere indicati la denominazione, la natura e i fini dell’ente, la sede e la persona che lo rappresenta. E alla medesima devono essere, inoltre, allegati, il provvedimento canonico di erezione o di approvazione dell’ente, nonché i documenti da cui risultino il fine dell’ente e le norme statuarie relative alla sua struttura. Inoltre, spetta alla P.A. una valutazione dell’attività dell’ente. Essa dovrà verificare che le attività di religione o di culto svolte dall’ente siano costitutive ed essenziali ad esso. Comunque, non si esclude che l’ente possa svolgere altre attività tuttavia  condizione per la riconoscibilità dell’ente è che queste ulteriori attività non abbiano natura prevalente, ma siano soltanto connesse o strumentali a quelle principali. 3.2-La presunzione del fine di religione o di culto di cui all’art 2 l 222/85 nell’interpretazione del Consiglio di stato Il Consiglio di Stato, con parere del 1989 ha affermato che nella legge del 1985 la locuzione “istituti religiosi” è stata usata in senso non stretto e tecnico, ma piuttosto come equivalente di “istituti di vita consacrata”, comprensiva degli istituti secolari oltre di quelli religiosi propriamente detti: lex minus Oggi non possiamo utilizzare questa procedura perché non è una procedura di carattere generale. Oggi se vogliamo far riconoscere la personalità giuridica ad un ente ecclesiastico, dobbiamo seguire il procedimento ordinario. Questa modalità ha riguardato: Gli Istituti per il sostentamento del clero: la legge 222 infatti ha previsto che entro il 30 settembre del 1986 in ogni diocesi dovesse essere eretto l’istituito per il sostentamento del clero e che entro lo stesso termine la conferenza episcopale italiana doveva erigere e ha eretto, l’istituto centrale per il sostentamento del clero. Abbiamo istituti diocesani, in ogni diocesi, e un istituto centrale. Vedremo come operano quando si parla del sostentamento del clero, ma c’è una stretta connessione tra i due istituti. Per entrambi è stata prevista questa procedura abbreviata che è cominciata con l’erezione in sede diocesana e in sede centrale dalla conferenza episcopale. L’istituto centrale e gli istituti diocesani hanno acquistato anche la personalità giuridica civile nel momento in cui è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto del ministro dell’interno che ha conferito loro la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. Si tratta di un decreto emanato entro 60 giorni da quando il ministero dell’interno ha ricevuto i provvedimenti canonici di erezione, è cioè i decreti dei vescovi e il decreto della conferenza episcopale, il tutto entro il 30 settembre del 1986; Gli istituti per il sostentamento del clero sono pertanto un’eccezione al sistema, che impone la costitutività di uno scopo di religione o culto quale requisito per la loro esistenza giuridica all’interno del nostro ordinamento. Essi non perseguono questo scopo in modo diretto, ma sono enti funzionali che, mediante la loro attività di gestione, permettono il perseguimento del fine di religione o di culto ad una specifica categoria di persone (i sacerdoti), e alle attività da questi compiute. Diocesi e parrocchie presenti sul territorio italiano: anche per queste si è prevista una procedura abbreviata. La ragione giustificativa di tale procedura di “omologazione” appare essere la stessa che ha spinto il legislatore ad approvare per via legislativa la CEI. Gli enti a cui è attribuita la personalità giuridica sono accomunati dal fatto di avere una loro caratterizzazione storicamente e dogmaticamente ben delineata all’interno della chiesa, tale per cui è in re ipsa il loro legame organico con l’ordinamento canonico (diocesi e parrocchie); ovvero si tratta di enti di nuova concezione all’interno della chiesa (gli istituti per il sostentamento del clero), che svolgono una funzione essenzialmente ecclesiale, quale la remunerazione dei sacerdoti a servizio della diocesi, ma che non avrebbero potuto essere riconosciuti ai sensi della l. 222/1985, non perseguendo in modo immediato un fine di religione o di culto. 11-Gli enti religiosi acattolici. Più articolata è la procedura per il riconoscimento degli enti delle confessioni religiose che non abbiano stipulato intese, poiché questi possono essere eretti in ente morale tramite l’emissione di un decreto del P.D.R., una volta acquisto il parere del consiglio di stato e del C.D.M. In particolare, il parere del C.D.M. non può non comportare un giudizio sull’opportunità politica del riconoscimento stesso, che in quanto tale non può essere sindacato presso alcuna autorità giudiziaria. Va poi aggiunto che nel decreto di attribuzione della personalità giuridica possono essere introdotte norme speciali per l’esercizio della vigilanza e del controllo da parte dello stato. 12-La semplificazione del procedimento di riconoscimento della personalità. Il d.P.R. 361 del 2000. Per quanto concerne il riconoscimento degli enti di diritto comune, con il d.P.R. del 10/2/2000, lo stato centrale ha rinunciato al riconoscimento della personalità giuridica di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato, demandando la competenza alle prefetture e, per gli enti che operano in ambito regionale, le regioni medesime. Un regolamento che semplifica la procedura di riconoscimento della personalità giuridica degli enti, per favorire una maggiore efficienza dell’amministrazione che superi l’impostazione accentratrice dello stato. MODIFICAZIONE ED ESTINZIONE DEGLI ENTI RELIGIOSI 1-La modificazione degli enti ecclesiastici. L’art. 19 della l. 222 del 1985 prevede che “ogni mutamento sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di esistenza dell’ente ecclesiastico riconosciuto acquista efficacia civile mediante riconoscimento con d.P.R., udito il parere del consiglio di stato”. Alla luce dello scambio di note diplomatiche del 1998 tra stato italiano e santa sede, la competenza a emettere decreto è ora riconosciuta al ministro dell’interno, mentre l’audizione del consiglio di stato è richiesta solo in caso di istruttoria complessa e articolata. Ai fini del riconoscimento agli effetti civili dei mutamenti, si provvede su domanda dell’autorità ecclesiastica che gli ha disposti o approvati, ovvero del legale rappresentante dell’ente con l’assenso dell’autorità ecclesiastica. L’istanza è indirizzata al ministro dell’interno con l’indicazione dei motivi che hanno reso necessario o utile il mutamento, e da copia autentica della eventuale delibera degli organi dell’ente. 2-La revoca del riconoscimento della personalità. I presupposti. Il secondo comma dell’art. 19 l. 222/1985 prevede l’ipotesi della revoca del riconoscimento civile. In linea con un principio generale operante nel nostro ordinamento, la norma dispone che “in caso di mutamento che faccia perdere all’ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento può essere revocato il riconoscimento stesso con decreto del P.D.R., sentita l’autorità ecclesiastica e udito il parere del consiglio di stato. La revoca è qui considerata quale specie di extrema ratio di un mutamento; per cui se ne fa venir meno uno degli elementi costitutivi, non può ulteriormente giustificarsi una soggettività civilmente rilevante. Naturalmente la discrezionalità è limitata alla valutazione del venir meno di uno dei requisiti esigiti ex lege, e solo di quelli. Ossia, l’introduzione di nuovi elementi diversi rispetto a quelli che furono alla base dell’atto originario non comporta l’attivazione dei poteri di autotutela della P.A., che è invece collegata agli effetti prodotti in origine dal decreto di riconoscimento e alla loro compatibilità con l’ordinamento. 3-Il provvedimento di revoca. La revoca costituisce un “itinerario al contrario” rispetto a quello che ha portato all’attribuzione della personalità giuridica civile, e che pertanto, su iniziativa della P.A., ne chiede la percorrenza di tutti i momenti, con particolare riferimento all’audizione dell’autorità ecclesiastica, a cui il ministro dell’interno, tramite la direzione centrale per gli affari dei culti, deve comunicare gli elementi da cui risulta che è venuto meno qualcuno dei requisiti richiesti per il riconoscimento dell’ente. Ipotesi diversa è quella in cui il riconoscimento sia stato concesso per un errore circa l’esistenza dei requisiti necessari per l’attribuzione della personalità giuridica. In difetto dei presupposti legali, il decreto può essere annullato in quanto atto viziato da illegittimità per violazione di legge. Un caso particolare di revoca è quello previsto per i capitoli cattedrali o collegiali. La normativa dispone che, su istanza dell’autorità canonica competente, può essere revocato il riconoscimento della personalità giuridica civile a quei capitoli che non rispondano più a particolari esigenze o tradizioni religiose e culturali della popolazione. La domanda è presentata, rispettivamente dalla santa sede o dal vescovo diocesano, al ministro dell’interno, con l’indicazione dei motivi che giustificano la richiesta, e della destinazione che l’autorità ecclesiastica intende dare ai beni del capitolo. 4-Estinzione e soppressione degli enti ecclesiastici. La soppressione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, e la loro estinzione per altre cause previste dal diritto della chiesa, hanno efficacia civile mediante l’iscrizione nel registro nel registro delle persone giuridiche del provvedimento dell’autorità ecclesiastica competente che sopprime l’ente o ne dichiara l’avvenuta estinzione. La cessazione della personalità canonica può avvenire per atto di soppressione emanato dall’autorità competente, o per cessazione di fatto della sua attività per 100 anni. Qualora si intenda far acquisire rilevanza civile a tale cessazione della persona canonica è necessario che la competente autorità rilasci un provvedimento devolutivo da trasmettere per prefetto. Per quanto poi concerne specificatamente le persone giuridiche private canoniche, esse possono estinguersi anche per i motivi contemplati nell’atto costitutivo e nello statuto. Le associazioni private di fedeli possono inoltre essere soppresse dall’autorità ecclesiastica competente de la loro attività è causa di danno grave per la dottrina, o per la disciplina ecclesiastica, o motivo di scandalo per i fedeli. LA DISCIPLINA CIVILE DEI BENI RELIGIOSI I BENI PATRIMONIALI DELLA CHIESA 1-Premessa Gli enti ecclesiastici si trovano in una posizione di indubbia specialità, dovuta alla loro finalizzazione religiosa. Però tale connotazione riguarda solo la loro struttura e la loro attività costitutiva ed essenziale. Non implica un regime di favore riguardo ad altre libertà costituzionalmente garantite, come quella di associazione. Così quando un ente ecclesiastico legittimamente agisce al di fuori degli ambiti delimitati dalle norme di derivazione pattizia, la legislazione speciale viene meno e l’ente, o meglio l’attività da questo svolta, rientra nel diritto comune. 2- Il sistema patrimoniale della Chiesa alla vigilia del Concilio Vaticano II L’ordinamento giuridico della Chiesa considera beni ecclesiastici in senso proprio soltanto quelli che appartengono ad un ente, più precisamente a una persona giuridica pubblica. Sulla scia del Concilio Vaticano II, il Codice di diritto canonico, prima, la nuova normativa concordataria, poi hanno profondamente modificato e rimodellato il sistema della proprietà ecclesiastica. La novità più rilevante è stata l’abolizione del sistema beneficiale operata dal Codice di diritto canonico del 1983. Prima della riforma il patrimonio ecclesiastico veniva in gran parte a coincidere con la nozione di beneficio. A ogni ufficio ecclesiastico era annessa una massa patrimoniale la quale era produttiva di reddito a favore del titolare dell’ufficio stesso. L’istituto della portio congrua rappresentava il limite minino di una dotazione beneficiaria, stabilito come necessario e sufficiente al mantenimento dell’investito. Con l’impoverimento di numerosi benefici dovuto prima alla legislazione eversiva sabauda, poi a quella italiana, si crearono le premesse per un intervento pubblico che presupponeva l’idea di un interesse dello Stato al mantenimento dei ministri di culto non economicamente sufficienti. Con l’art 30 del Concordato del 1929 lo Stato si impegnava a continuare a supplire alle deficienze dei redditi prodotti dai benefici ecclesiastici, con assegni da corrispondere in misura non inferiore al valore reale di quella stabilita dalle leggi allora in vigore e negli anni successivi furono emanati vari provvedimenti con cui si aumentarono gli assegni e i supplementi di congrua. Nel frattempo, era stato pure ampliato il numero dei soggetti che ne avrebbero beneficiato. Si giunse pertanto a una trasformazione anche economica dell’istituto, che fu considerato una “remunerazione statale” per il servizio religioso assicurato dal congruato, con l’effetto di assimilare per certi aspetti i sacerdoti a dipendenti dello Stato. 3 -La riforma del patrimonio ecclesiastico: la nuova normativa canonica Il sistema patrimoniale ecclesiale e concordatario aveva una eccessiva commistione fra Stato e Chiesa. Nella Chiesa era divenuto preponderante l’aspetto patrimoniale, si reputava che tanti si sarebbe goduto di indipendenza spirituale, quanto si possedeva in beni, in particolare in beni immobili. Questa concezione si sarebbe parzialmente risolta in una piaga per la Chiesa perché impoveritosi il patrimonio della Chiesa, essa iniziò a dipendere economicamente da chi tale patrimonio aveva in parte incamerato, cioè lo Stato. La Chiesa, società giuridica perfetta, risultava composta da membri appartenenti a status diversi: lo status clericalis, lo status laicalis, lo status religiosus, e la posizione del fedele era vista unicamente in rapporto alla gerarchia e alla sua eventuale appartenenza ad essa. Con il Concilio Vaticano II si avvertì la necessità di una profonda modifica di questo sistema. Una riforma che non era solo un transito ad una differente organizzazione del sistema patrimoniale della chiesa ma che veniva a costituire una delle conseguenze di una nuova concezione della chiesa quale popolo riunito in virtù dell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Corpo di Cristo e sacramento di Cristo, segno che rende visibile realizza la comunione tra i fedeli di Dio. L’assise conciliare ha affermato che tutti i battezzati, in quanto incorporati a Cristo, sono chiamati a collaborare all’edificazione del suo corpo mistico, che è la Chiesa. Per evitare che i fedeli non partecipassero anche sotto il profilo patrimoniale alla missione della Chiesa, nonché per allontanare il rischio per il sacro ministro di “occuparsi in minor misura delle cose eterne per attendere alle cose temporali” si comprende come il decreto Presbyteronum Ordinis potesse affermare Le chiese annesse ad altra personalità giuridica che sia riconosciuta come ente ecclesiastico non possono in futuro essere riconosciute civilmente. Con l’acquisto da parte dell’ente parrocchia della personalità giuridica, si è estinta la personalità giuridica della chiesa parrocchiale, e il suo patrimonio è stato trasferito alla parrocchia. Questo vale anche per l’estinzione di chiese cattedrali e il trasferimento dei loro patrimoni alle rispettive diocesi. Pertanto ,la chiesa cattedrale che non ha personalità giuridica è retta e amministrata dal Vescovo diocesano. Le altre chiese non annesse a un altro ente ecclesiastico possono essere riconosciute come enti ecclesiastici se aperte al culto pubblico. Il riconoscimento dell’ente giuridico chiesa prescinde dalla proprietà dell’edificio sacro, e un privato può essere proprietario di un edificio di culto riconoscibile come ente ecclesiastico, e del quale non perde la proprietà anche se questo divenga persona giuridica. Anche se il suo diritto di proprietà risulta compresso poiché la destinazione al culto ne determina una destinazione sulla quale egli non ha alcuna possibilità di intervento essendo questo di competenza dell’autorità ecclesiastica. 4-La destinazione al culto: rilevanza e disciplina L’onere di destinazione al culto è caratteristica essenziale del bene tanto da segnarne le vicende giuridiche rilevanti, non solo dal punto di vista del diritto della Chiesa, ma anche da quello dello Stato. La disciplina prevista dal Codice Civile pone le chiese, e in generale glie edifici di culto, in una situazione analoga a quella dei beni demaniali appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, che perseguendo un fine di pubblico interesse, non possono essere sottratti alla loro destinazione. Per quanto poi concerne le leggi sulla cessazione della destinazione al culto a cui fa riferimento la normativa civilistica, riteniamo che esse siano quelle previste dal diritto canonico. Non esiste una legge statale che, in modo diretto o indiretto, preveda le modalità di cessazione della destinazione ai fini rituali di un edificio. L’attività di culto rientra infatti fra quelle proprie dell’ordine della Chiesa che non ammettono nessuna ingerenza da parte dello Stato. La garanzia apprestata dal primo comma dell’art 7 Cost. tutela la libertà di organizzazione della Chiesa e al contempo garantisce lo Stato dall’assumere posizioni contrarie alla sua laicità. Gli edifici del culto ebraico, grazie all'Intesa stipulata, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che La destinazione stessa non sia cessata con il consenso della Comunità competente o dell'Unione. 5- In particolare, le norme canoniche sulla destinazione del culto La destinazione al culto pubblico cesserà in conformità alle norme canoniche. In generale un luogo sacro perderà la sua dicatio perché è distrutto nella sua totalità. Per quanto riguarda le chiese, il Vescovo diocesano può ridurle a un uso profano che non sia indecoroso. Il Vescovo può esercitare tale facoltà sia qualora una chiesa non può più in alcun modo essere dedicata al culto divino, ne è possibile restaurarla; sia quando altre gravi ragioni suggeriscono che una chiesa non sia più adibita al culto divino, in questo caso il vescovo diocesano, primo di emanare il decreto di riduzione a uso profano, deve non solo udire il consiglio presbiterale e raccogliere il consenso di quanti rivendicano diritti su di essa, ma deve anche valutare il danno per le anime. Qualora questo sia emanato senza che siano percorse tutte le fasi procedurali esso è invalido. Un edificio destinato al culto divino, ma non benedetto o dedicato, non è un luogo sacro dal punto di vista del diritto della Chiesa. Per quanto concerne gli edifici del culto cattolico, il Consiglio di Stato ha stabilito, con riferimento all’art 5 della l.121/85 che la qualificazione dei beni finalizzati nel senso voluto dalla norma assume rilevanza nell’ordinamento statale perché introduce una disciplina derogatoria speciale; la verifica dei presupposti va effettuata alla luce del Codice di diritto canonico, essendo la destinazione di culto un atto dell’autorità ecclesiastica. Per l’applicazione della normativa di cui all’art. 831 cc le parti interessate non devono provare innanzi al giudice civile la dedicazione o la benedizione, ma che l’edificio sia in actu destinato all’esercizio pubblico di culto. L’art 831 cc riguarda ogni vicenda giuridica dell’ente e non solo la sua alienazione, per cui può essere pignorato, sequestrato, dato in locazione con il solo limite del rispetto dello scopo di culto pubblico da cui non può essere sottratto. L’edificio può essere pignorato ma i beni mobili destinati al culto che si trovano in esso non lo possono essere. 6 -La legittimazione processuale Se la chiesa è persona giuridica, la legittimazione processuale è attribuita a norma dell’art 75 c.p.c. a coloro che, secondo la legge e lo statuto dell’ente, hanno il potere di agire in suo nome. Se l’ente non è riconosciuto come ente morale (chiese annesse ad altra persona giuridica) può stare in giudizio nella persona a cui, secondo statuto o accordo, ne è conferita la direzione e presidenza. E’ il caso tipico della chiesa parrocchiale, che non può avere autonoma personalità giuridica civile rispetto all’ente parrocchia, e in cui il parroco è amministratore unico e legale rappresentante dell’ente; ma anche il caso in cui il soggetto proprietario della chiesa sia distinto dalla comunità che vi celebra la liturgia. La giurisprudenza ha ammesso che legittimato ad agire possa essere qualunque fedele, da solo o insieme ad altri, reputando che l’interesse coinvolto sia analogo a quelli c.d. collettivi. Diverso il discorso per la tutela meramente canonica, non civilmente rilevante: una comunità di fedeli non eretta in persona giuridica non è legittimata all’azione ma lo sono i singoli componenti. I cimiteri Il DPR 10/9/90 (regolamento di polizia mortuaria) Assicura la conservazione del carattere sacro dei cimiteri , vincolando tali luoghi esclusivamente alla sepoltura e all'esercizio del culto dei defunti. Particolare attenzione sembra essere riservata al culto cattolico dei defunti come risulta dalla possibilità che i piani regolatori cimiteriali prevedono reparti speciali e separati per la sepoltura dei cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico. Il Dpr 10/9/90 Nel capo relativo alle sepolture private , attribuisce al comune la facoltà di concedere a privati e ad enti l'uso di aree per la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione individuale per famiglie e collettività. L'articolo 824 ha statuito che cimiteri sono soggetti alla disciplina propria dei beni demaniali e quindi sono inalienabili e non suscettibili di esecuzione forzata in seguito pignoramento. Ma proprio in quanto appartengono al demanio comunale è possibile concedere determinate aree private o enti per edificarvi sepolture per famiglie e collettività. Secondo la Corte di Cassazione da tale concessione deriva il privato un diritto soggettivo perfetto opponibile nei confronti degli altri privati alienabile e prescrivibile. E più corretto affermare che il privato concessionario ottenga sulla cappella, o sul sepolcro, non un diritto di superficie, bensì un diritto d’uso che non implica l’acquisto della proprietà della costruzione edificata, pertanto questa è da reputarsi di proprietà del comune. Il diritto d’uso non può essere ceduto o dato in locazione, nè consegue che una cappella costruita su un'area destinata a cimitero su concessione della P.A. non può in verità costituire oggetto di esecuzione forzata. La P.A. ha la facoltà eccezionale e per ragioni di comprovata necessità di sopprimere il cimitero e di realizzarne uno nuovo. In queste ipotesi privati non possono più usufruire dei loro sepolcri e si credono possono ricostruire a loro spese nel nuovo cimitero nella quale la PA. è tenuta a concedere a titolo gratuito un posto corrispondente in superficie a quello precedentemente occupato. Capi acqua inoltre revocare in qualsiasi momento le singole concessioni ore ciò sia necessario per la cultura dell'ordine e del buon governo dei cimiteri. 8-Rilevanza sociale della religione e finanziamento statale Una società multiculturale come la nostra non potrà che essere una società multireligiosa e aperta al fatto religioso. E la stessa laicità ma allora ridefinita come capacità di dialogo di tolleranza attiva ed intervento per garantire che le iniziative che gli agenti sociali siano rivolte al bene della società nel suo insieme. La norma dunque deve essere riplasmata per riconoscere l’autenticità e identità del diverso. In questa prospettiva lo stato italiano non si limita a una generica tutela degli edifici di culto ma la sua azione è positivamente rivolta al finanziamento della costruzione di quei luoghi che possono rendere effettivo uno dei fondamentali diritti riconosciuti dalla nostra carta costituzionale quello della libertà religiosa. A differenza delle leggi pattizie del 1929, la nuova normativa concordata prevede talune disposizioni che hanno un diretto riferimento al finanziamento dell’edilizia di culto. La legge 222 del 1985 stabilisce che impegni finanziari per la costruzione di edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali sono determinati dalle autorità civile competenti secondo le disposizioni delle leggi 1971 e 1977. Le norme approvate con il protocollo il 15 novembre 1984 dispongono l'abrogazione di leggi statali concernenti il finanziamento dell'edilizia di culto con particolare riguardo alla cessazione del finanziamento previsto dalle leggi 1952 e 1962. Le norme predette non hanno effetti sulle leggi dello Stato delle regioni e delle province che prevedono finanziamenti a favore dell’edilizia di culto per la realizzazione di interessi pubblici. 8.1 Competenza regionale e uguaglianza sostanziale nel finanziamento pubblico dell’edilizia religiosa In generale le leggi regionali contemplano tutte misure di finanziamento per gli edifici del culto cattolico e alcune di queste condizionano la concessione di contributi per le altre confessioni alla stipulazione di intesa con lo stato. Altre si riferiscono confessioni che abbiano una presenza diffusa organizzata consistente a livello territoriale e un significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale sono effettuati gli interventi edilizi. Il mancato esercizio di un potere di coordinamento ed indirizzo in capo allo stato pongono due rette due rilevanti problemi: il primo concerne la competenza legislativa delle regioni in quello specifico ambito di rapporti fra Stato e confessioni religiose che era edilizia di culto; Il secondo problema riguarda una possibile violazione del principio dell’uguaglianza delle confessioni religiose nell’accesso ai contributi pubblici. Una legge regionale che prevede l’erogazione di contributi per l'edilizia religiosa a favore della chiesa cattolica o di un'altra confessione religiosa da vita ad una disciplina che riguarda l'interesse generale dello Stato alla valorizzazione della religione piuttosto che interessi regionali. La disciplina del finanziamento alle all’edilizia di culto rientrerebbe nell'ambito dei rapporti fra lo Stato le confessioni religiose, in una materia vale a dire estranea all’ambito di attribuzioni riservate alle regioni perché pertinenza esclusiva statale. Per quanto riguarda la discrezionalità delle Regioni nel dettare norme di accesso al finanziamento pubblico dell’edilizia di culto va ricordato come la sentenza del 16/7/2002 della Corte costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità dell'art. 1 della legge della Regione Lombardia 9/5/1992 nella parte in cui prevedeva la corresponsione di contributi per la realizzazione di edifici di culto e di e di attrezzature destinate a servizi religiosi solamente a favore della Chiesa Cattolica e delle confessioni religiose che avessero stipulato intense con lo stato. Sentenza analoga per la Regione Abruzzo. Leggi regionali dichiarate illegittime oltre a violare la libertà religiosa collettivamente intesa costituivano altresì una violazione della “uguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto.” La commissione paritetica costituita nel 1996 su richiesta della Santa sede ha ritenuto che sia perfettamente legittimo il sostegno finanziario accordato da Regioni e Comuni all’edilizia di culto quando sia finalizzato alla realizzazione di interessi pubblici, quali la tutela e promozione del patrimonio storico artistico, gli interventi conseguenti a calamità naturali, gli interventi connessi alle esigenze religiose della popolazione. 9 - Il regime tributario degli edifici di culto la garanzia prestata dall' articolo 20 cost impedisce che agli enti ecclesiastici e di conseguenza ai mezzi attraverso i quali esplicano le proprie attività possa essere imposto un trattamento fiscale deteriore rispetto agli enti di diritto comune. L'art. 7 della legge 121/85 dispone che gli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. intendono intraprendere. La catalogazione dei beni culturali mobili e immobili di interesse religioso costituiscono il fondamento conoscitivo essenziale di ogni successivo intervento, la CEI collabora all'attività di catalogazione di tali beni curata dal Ministero, a sua volta il ministero assicura il sostegno all'attività di inventariazione promossa dalla CEI. Al finanziamento degli interventi e delle iniziative è previsto che intervengano lo Stato, istituzioni ed enti ecclesiastici, e eventualmente, i terzi. E’ previsto che le richieste di intervento per restauri, conservazione, autorizzazione anche di ben appartenenti ad associazioni religiose, sono presentati dai vescovi diocesani territorialmente competenti. Nella diocesi il compito di coordinare, disciplinare e promuovere quanto riguarda i beni culturali ecclesiastici spetta al vescovo che, a tale scopo, si avvale della collaborazione della Commissione diocesana per l’arte sacra e i beni culturali. E a questo ufficio è demandato il compito di verificare le richieste dei singoli enti ecclesiastici, di trasmetterle agli enti pubblici e seguirle in tali sedi. A norma dell’art. 9 del Codice dei Beni Culturali i provvedimenti amministrativi concernenti i beni culturali appartenenti ad enti ecclesiastici sono assunti dal competente organo del Ministero per i beni culturali. L’osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica è composto da rappresentanti del Ministero e da rappresentanti della CEI in modo paritetico. 3- In particolare, il regime degli archivi e delle biblioteche. La tutela della riservatezza dei dati Il 18/4/2000 il Ministro per i beni e le attività culturali e il Presidente della CEI hanno stipulato un’Intesa per la conservazione e la consultazione degli archivi e delle biblioteche appartenenti ad enti ecclesiastici. L’intesa riporta 3 principi generali per l’attuazione dei quali si richiede un intervento comune dello Stato e della Chiesa, o di uno dei 2 soggetti: a) il patrimonio archivistico di interesse storico appartenenti ad enti ecclesiastici “deve rimanere, per quanto possibile, nei luoghi di formazione o di attuale conservazione; b) il Ministero per i beni e le attività culturali e CEU si sono trovati d’accordo sulla necessità di assicurare ogni possibile intervento per garantire la tutela del patrimonio documentario e archivistico e delle rispettive sedi; c) in caso di necessità e nel caso di parrocchie e di diocesi soppresse, allo scopo di agevolarne la conservazione e la consultazione, gli archivi vengono depositati presso l’archivio della diocesi competente per territorio. Ai sensi del combinato disposto degli artt 101 e 112 del Codice dei beni culturali, compete alla legislazione regionale disciplinare le funzioni e le attività di valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo stato, come appunto le biblioteche e gli archivi ecclesiastici. L’art 2 positivizza quindi alcuni interventi di competenza dell’autorità ecclesiale, quali l'impegno alla conservazione degli archivi ecclesiastici di interesse storico; l'impegno a dotare gli archivi di tutto quanto ne consenta la consultazione. Agli impegni di parte ecclesiale, corrispondono a quelli assunti dal Ministero. Specificatamente l’autorità statale fornirà agli archivi ecclesiastici, per il tramite delle Soprintendenze archivistiche, collaborazione tecnica e contributi finanziari, per dotarli di attrezzature, inventari, restauri, mezzi di corredo, pubblicazione, materiale informatico da destinare alla inventariazione, formazione del personale. L’autorità ecclesiale si impegna a trasmettere al Ministero un elenco, periodicamente aggiornato delle biblioteche di particolare rilevanza esistenti nelle diocesi. Lo Stato, tramite l’Ufficio centrale per i beni librari, le istituzioni culturali e l’editoria, provvede alla costituzione di un gruppo permanente di lavoro, al quale partecipano 2 esperti dell’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU), un esperto dell’Istituto centrale per la patologia del libro, 2 rappresentanti dell’ufficio centrale per i beni librari, 3 rappresentanti della CEI, 2 rappresentanti dell’Associazione bibliotecari ecclesiastici italiani (ABEI). Nulla dice l’accordo sulla tutela della riservatezza dei documenti e atti contenuti negli archivi. Con riferimento al trattamento dei dati sensibili effettuato dalle confessioni religiose e, “dai relativi organi, o da enti civilmente riconosciuti, l’art. 26 del Codice in materia di protezione dei dati personali stabiliva che la disciplina generale prevista dal prima comma dello stesso articolo non si applicava al trattamento dei dati “relativi agli aderenti alle confessioni religiose”. La Chiesa Cattolica, con l’emanazione del decreto generale della CEI recante “Disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e alla riservatezza” aveva già provveduto a dotarsi di una propria specifica normativa che rispettasse appieno i principi della legislazione italiana. 4 – Gli accordi “periferici” L’art 112 del Codice dei beni culturali, novellato dal d.lgs 24/3/2006 ha stabilito che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono stipulare accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione in materia di beni culturali di pertinenza pubblica. Lo stato stipula gli accordi per il tramite del Ministero per i beni e le attività culturali, che opera direttamente o d’intesa con le altre amministrazioni statali competenti. Le premesse dell’intesa sui beni culturali del 2005 fra la Regione Toscana e la Conferenza episcopale regionale toscana pongono quale norma di riferimento sempre l’art. 12 della legge 121/85. Se Regione e Conferenza episcopale regionale sono legittimate a concludere un accordo, è perché queste 2 istituzioni sono gli organi competenti cui l’Accordo del 1984 rinvia ai fini di determinare l’armonizzazione della legislazione italiana. Questo significa che la legittimazione regionale non si limita alla materia di competenza esclusiva, ma può estendersi anche ad altri ambiti riservati in linea di principio allo Stato. L’art 4 l. cost. 2001, nel riformulare l’art, 118 della Costituzione ha riconosciuto alle persone singole o associate, sulla base del principio di sussidiarietà, il dovere di individuare i fini di interesse generale, e di determinarsi, secondo una propria autonomia giuridica allo svolgimento di attività destinate alla realizzazione di fini di rilievo oggettivamente pubblico. L’ATTIVITÀ DELL’ENTE ECCLESIATICO 1 Enti religiosi e riforma del Terzo settore la riforma del terzo settore avviata con la legge delega n. 106, 6 giugno 2016 e ancora parziale in quanto mancano alcuni decreti attuativi, nonché altre autorizzazioni da parte, soprattutto, della Commissione Europea. La riforma ha coinvolto nella forma e nella sostanza anche gli enti religiosi. il co. 3 degli artt. 4 d.lgs 112 e dell’art. 1 del d.lgs 117 del 2017 prevedono che agli enti religiosi civilmente riconosciuti si applicano le norme degli enti del terzo settore (ETS) e quelle dell’impresa sociale (IS) limitatamente allo svolgimento delle attività previste per ciascuna di queste due tipologie di ente. Quindi è un’applicazione parziale della normativa, non all’ente ecclesiastico in quanto tale, ma a quel settore dell’ente ecclesiastico che svolga una delle due attività; a condizione che: sia adottato un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti; che sia costituito un patrimonio destinato; che siano tenute anche in modalità separata le scritture contabili previste dai due decreti. Si richiede che il regolamento sia depositato o nel registro unico nazionale del terzo settore per le attività ETS o nel registro delle imprese per le attività IS. 2 Le attività di impresa e commerciali. L’ente ecclesiastico come impresa sociale L’ente può svolgere anche attività di tipo commerciale? Può svolgere attività di impresa? Si, perché la legge non lo proibisce, la giurisprudenza ha posto alcune condizioni perché l’ente ecclesiastico possa svolgere validamente una attività di tipo commerciale. il decreto ministeriale 200/2012 che all’art.3 evidenzia alcuni criteri per individuare le modalità non commerciali; si afferma che le attività istituzionali sono svolte con modalità non commerciali quando l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente non commerciale (ricordiamoci che l’ente religioso è di natura non commerciale anche se può svolgere attività commerciali strumentali) prevedono: a) il divieto di distribuire anche in modo indiretto utili e avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge ovvero siano effettuati a favori di enti che per legge, regolamento o statuto fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente. b) L’obbligo di reinvestire gli eventuali utili o avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale. c) L’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa ad altro ente non commerciale che svolga un’attività istituzionale analoga salvo diversa destinazione imposta dalla legge. Non trattandosi di ente commerciale, l’ente ecclesiastico ha l’obbligo di tenere una contabilità separata per l’attività commerciale effettivamente svolta. Il D. lgs. n° 112, 3 luglio 2017 ha modificato una disciplina precedente, rinnovandola totalmente, quella della impresa sociale. Si definisce impresa sociale l’ente privato che in conformità alle disposizioni del suddetto decreto eserciti in via stabile e principale un’attività di impresa di interesse generale, senza scopi di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività. 3- Enti ecclesiasti e procedure concorsuali Alcuni casi recenti, anche tutto sommato di dissesto patrimoniale finanziario che hanno coinvolto enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, hanno posto effettivamente il problema della sottoesposizione dei soggetti non personali religiosi alle procedure concorsuali, soprattutto ci si chiede se il necessario rispetto della finalità di tendenza dell’ente e della sua struttura essenzialmente religiosa impedisca la soggezione di un ente ecclesiastico al rito della procedura concorsuale. - L’ente ecclesiastico impresa sociale. In questo caso l’art. 14 del d. lgs. 112/2017 prevede che in caso di insolvenza le imprese sociali sono assoggettate a liquidazione quarta amministrativa; la medesima norma, tuttavia, esclude che gli enti religiosi civilmente riconosciuti che esercitano un’attività di impresa sociale possano essere sottoposti a questa procedura concorsuale. Quindi il ramo di impresa sociale di un ente ecclesiastico non può essere sottoposto alla liquidazione quarta amministrativa. Questo, sebbene con la nuova normativa il patrimonio per l’esercizio dell’attività di impresa risulti separato rispetto a quello dell’ente ecclesiastico. In tema di responsabilità patrimoniale dell’impresa sociale, l’art. 6 del d. lgs. 112/2017 stabilisce che nelle organizzazioni che esercitano attività di impresa sociale e che abbiano un patrimonio superiore ai 20.000 euro, dell’obbligazione risponde solamente l’organizzazione con il suo patrimonio; una responsabilità limitata che decorre dal momento dell’iscrizione nell’apposita sezione nel registro delle imprese. Questa forma di responsabilità non si applica agli enti ecclesiastici perché il patrimonio dell’impresa sociale che è stata istituita, non è altro che un ramo appositamente regolato dal patrimonio complessivo dell’ente, che detiene la responsabilità per tutte le obbligazioni assunte, mancando in questo caso la distinzione, se non meramente contabile, tra i beni destinati all’esercizio dell’impresa sociale e quelli dell’ente che la esercita. - Ente ecclesiastico che svolge attività di impresa commerciale. La giurisprudenza di legittimità non è ancora giunta a pronunciarsi sul punto, ma ci sono alcune pronunce di corti di merito. Ebbene, la giurisprudenza di merito è tutto sommato omogenea a questo riguardo ad affermare la possibile assoggettabilità di un ente ecclesiastico che svolge attività di impresa alle procedure concorsuali. Il ragionamento della giurisprudenza ha una sua logicità: si afferma che l’accertamento dello stato di insolvenza da parte del giudice trova ostacolo nella sola e specifica ipotesi di immunità dell’attività dell’ente dalla giurisdizione italiana. Se pertanto l’ente non soggiace alla giurisdizione statale non può essere sottoposto a procedure concorsuali; se, invece, la sua attività ricade nel nostro ordinamento soggiacerà a tutta la normativa italiana comprese le norme a tutela dei creditori in caso di insolvenza. Tra queste norme, tra queste attività strumentali di mera natura patrimoniale e sottratte all’immunità, vi sono per la giurisprudenza di merito anche quelle di impresa imputabili a un ente religioso che quindi sono sottoposte alle suddette procedure. 4 L’affievolimento del controllo statale sull’attività degli enti ecclesiatici L’art. 7 co. 5 dell’Accordo di Villa Madama del 1984 tra Stato italiano e Chiesa Cattolica prevede in modo, peraltro non differente all’art. 30 del Concordato, che amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici sia soggetta ai controlli previsti dal diritto canonico; gli acquisti di questi enti sono però La normativa può richiedere il gradimento. In definitiva questa non pregiudica il diritto delle chiese di esigere alle persone alle dipendenze un atteggiamento di buona fede e lealtà nei confronti dell’etica di organizzazione. Questa direttiva venne recepita dall’ordinamento italiano tramite il d Lgs 216/2003. Questo comporta che bisogna distinguere i casi in cui la religione costituisca un fattore essenziale e i casi in cui non costituisce fattore essenziale. Come ha affermato la Cassazione non può considerarsi assistito da giusta causa, quindi va considerato illegittimo, il licenziamento intimato da una scuola confessionale ad un proprio docente per fatti inerenti alla sua vita personale che siano privi di uno specifico rapporto con il contenuto delle mansioni espletate. IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO Il sostentamento del clero. L’attività sostanzialmente fondazionale degli istituti per il Sostentamento. I soggetti beneficiati: i sacerdoti e la natura remunerativa Accanto agli istituti diocesani abbiamo l’istituto centrale per il sostentamento del clero, il quale è eretto dalla conferenza episcopale italiana e non svolge attività essenziale per il culto. Qual è il rapporto tra gli istituti diocesani e quello centrale? Gli istituti diocesani hanno una piena autonomia, nonostante ciò i rapporti tra questi e l’istituto centrale è un rapporto in cui l’istituto centrale serve, in un certo senso, come camera di compensazione. Questo interviene quando vi sia un’insufficienza ovvero un surplus da parte dell’istituto diocesano. Ha dunque funzione perequativa. L’istituto centrale svolge anche la funzione di “sostituto di imposta” che solitamente è un soggetto privato che anticipa allo stato le imposte che deve un soggetto a lui dipendente. Lo stesso avviene per i sacerdoti in quanto la loro remunerazione è sottoposta ad imposta da parte dello stato e in questo caso non le pagano direttamente, ma le versa l’istituto centrale per loro e versa anche i contributi.. Come avviene il sistema di remunerazione del clero? L’istituto centrale opera sulla rimunerazione dovuta al sacerdote l’imposta e versa anche i contributi previdenziali previsti dalla legge Sistema articolato che riguarda solo i sacerdoti che prestano servizio a favore della diocesi. È un sistema eventuale, non necessario in quanto un sacerdote può anche non percepire una remunerazione qualora abbia già un reddito sufficientemente alto. Modalità attraverso cui viene attuati il sistema di remunerazione e la sua tutela: MODALITÀ: Ha diritto alla remunerazione solo il sacerdote che non percepisce già per altre motivazioni un differente reddito. Ogni anno la conferenza episcopale stabilisce un minimo reddituale, e il sacerdote deve indicare quanti redditi percepisce. Se non recepisce nessun reddito o in misura inferiore al limite stabilito dalla conferenza, il sacerdote ha diritto alla totale o parziale remunerazione dall’istituto per il sostentamento del clero. È un vero e proprio diritto di natura alimentare, qualora invece percepisca un reddito superiore rispetto al minimo stabilito, il sacerdote non ha diritto alla remunerazione. Bisogna guardare alla situazione concerta del sacerdote, in quanto una parte della remunerazione è uguale per tutti i sacerdoti, ma un’altra parte viene determinata dalla conferenza in seguito ad un punteggio attribuito al sacerdote in presenza o in assenza di alcune variabili TUTELA: Cosa succede se l’istituto per il sostentamento del clero nega la remunerazione al sacerdote perché ritiene che non ne ha diritto, o attribuisce lui una remunerazione inferiore rispetto a quella di cui il sacerdote ha diritto? Tale diritto può essere fatto valere tanto nella chiesa tanto che nei confronti dello stato, la cassazione Italia ha stabilito che al riguardo vi è una concorrenza di giurisdizione, ovvero vi sono due ordinamenti in questo caso ugualmente competente (ordinamento dello stato e della chiesa), quindi il titolare del diritto vanta tale diritto sia nei confronti dello stato che della chiesa. La cassazione afferma che questo concorso si risolve attraverso il criterio della prevenzione, il quale dichiara che una volta scelta una via giurisdizionale è precluso il ricorso ad un’altra via giurisdizionale. La giurisdizione scelta è quella su cui si incarna il procedimento. Si pone un problema, se prendiamo al legge 222 dell’85 vediamo all’art. 34“la conferenza episcopale Italiana stabilisce procedure accelerate di ricorso contro i provvedimenti dell’istituto, tali procedure assicurano rappresentanza del clero per la composizione o definizione di ricorso…”, ovvero questo articolo determina una modalità di composizione di eventuali controversie, la cassazione afferma che il sacerdote che si ritiene leso può ricorrere o a questo organo o al giudice dello stato (il giudice ordinario). Sorge però un problema, in quanto l’organo di composizione delle controversie, non è però un organo giurisdizionale, è un organo compositivo e amministrativo, quindi proprio per questo non può sorgere conflitto di giurisdizione (in quanto l’unico organo giurisdizionale è il giudice, l’organo di composizione non lo è). Quindi in realtà il sacerdote leso, non si trova in un primo momento innanzi a un conflitto di giurisdizione, ma è obbligato a seguire la procedura dell’art, l’unica via di ricorso che inizialmente gli spetta è quella del ricorso all’organo della composizione delle controversie (art. 34). Una volta ricevuto il ricorso, l’organo decide e solo dopo sono ammessi il ricorso al diritto canonico, quindi il sacerdote se scontento della decisione dell’organo può ricorrere al vescovo della diocesi con ricorso gerarchico. Contro il provvedimento del vescovo, è ammesso ricorso alla congregazione per il clero, che è un dicastero. Contro la decisione del dicastero è ammesso ulteriore ricorso, sta volta di natura giurisdizionale, è ammesso cioè ricorso al tribunale della segnatura apostolica, che è un tribunale della santa sede con competenza amministrativa. In realtà qui si può incardinare un conflitto di giurisdizione tra stato e chiesa, nel senso che qualora il sacerdote sia insoddisfatto del provvedimento della congregazione per il clero, può impugnare il provvedimento presso la segnatura apostolica, o può incardinare la causa presso il giudice italiano. A questo punto scatta si il concorso di giurisdizione ma solo nel momento in cui il sacerdote abbia ricevuto un provvedimento da parte della congregazione per il clero. Qui il sacerdote può decidere presso chi ricorrere. Il provvedimento amministrativo canonico dell’organo per la composizione delle controversie o del vescovo o della congregazione per il clero, può essere efficace civilmente in Italia ? No, non può essere efficace direttamente in Italia, ma può costituire un titolo valido per costituire un titolo esecutivo, quindi un provvedimento del giudice che possa rendere esecutivo il provvedimento canonico , il quale obbliga il debitore a pagare quanto dovuto al creditore, proprio perché è prova di un credito liquido, certo ed esigibile. La sentenza della segnatura apostolica può essere riconosciuta in Italia? Si, come qualunque altra sentenza straniera (legge 218/1995). Si tratta di un provvedimento straniero che può essere riconosciuto nel nostro ordinamento. In questo caso è riconosciuta l’efficacia diretta della sentenza canonica. Quindi il diritto del sacerdote è un diritto che può essere fatto valere in entrambi gli ordinamenti (chiesa e stato), la tutela però non è immediata ma passa attraverso una procedura stabilita dalla legge stessa. I controlli sugli istituti per il sostentamento del clero La L. 222/1985 prevede la rilevanza civile di uno specifico controllo canonico, quello sulle alienazioni e sugli altri negozi eccedenti l'ordinaria amministrazione compiuti dagli Istituti per il sostentamento del clero. L'ar. 36 delle norme stabilisce che per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione che superino di almeno tre volte il valore massimo determinato dalla C.E.I sia necessaria l'autorizzazione della Santa sede previo parere favorevole della stessa conferenza episcopale. Il vescovo una volta acquisito il parere favorevole del consiglio per gli affari economici della diocesi e del collegio dei consultori può pertanto autorizzare atti di straordinaria amministrazione sino un valore tre volte superiore a quello massimo stabilito dalla C.E.I, oltre il quale, alla competenza del vescovo o del superiore subentra quella della Sede Apostolica. Per quanto riguarda gli istituti per il sostentamento del clero, il protocollo del 15 novembre 1984 stabilisce il valore massimo delle alienazioni e altri atti straordinari per i quali gli enti soggetti all’ordinario abbisognano della sua autorizzazione ampliandone la competenza. Prelazione pubblica sull’acquisto di beni immobili venduti dall’isittuto per il sostentamento del clero Le disposizioni sugli enti ecclesiastici del 1985, concretamente la L. 222/1985 nei suoi articoli 37 e 38, quasi come una sorta di continuità con i precedenti regimi dei patrimoni beneficali ora sostituiti dagli istituti per il sostentamento del clero, prevedono una nuova forma di controllo statale, forse l’ultima forma di controllo rimasta sull’attività di gestione degli enti. Qual è? È una sorte di prelazione pubblica sull’acquisto di beni immobili, qualora soggetto della vendita sia un istituto per il sostentamento del clero. Ebbene, qualora un istituto per il sostentamento del clero intenda alienare un bene immobile di un valore superiore a 775.000 euro, lo Stato, il Comune, l’Università degli Studi, la Regione, la Provincia, secondo questo specifico ordine di priorità, vantano una sorta di diritto di prelazione sull’acquisto del bene stesso. Specificamente l’istituto per il sostentamento del clero, che intende vendere suddetto bene, deve darne comunicazione mediante atto notificato al prefetto della provincia nella quale ha sede l’immobile; dichiarando il prezzo e specificando le modalità di pagamento e le altre condizioni essenziali alle quali la vendita deve essere conclusa. Il prefetto entro sei mesi dalla ricezione della proposta comunica all’istituto se e quale tra i possibili beneficiari intenda acquistare il bene per le proprie finalità istituzionali alle proprie condizioni previste nella proposta di vendita. Se qualcuno di questi soggetti intenda acquistare il bene e l’ordine di prelazione è rispettato, il relativo contratto di vendita è stipulato entro due mesi dalla notifica della comunicazione prefettizia all’istituto. Il pagamento del prezzo deve avvenire entro due mesi dalla stipula del contratto, salva diversa pattuizione. Qualora, però, l’acquirente sia lo Stato il prezzo di vendita deve essere pagato nella misura del 40% entro i due mesi dalla data di registrazione del decreto di approvazione del contratto e la parte residua entro 4 mesi da questa data. Se il prefetto non comunica nulla all’ente o comunica che non vi è nessun interesse all’acquisto dei beni stessi entro il termine perentorio di 6 mesi, l’istituto può liberamente vendere l’immobile, a prezzo però non inferiore e a condizioni non diverse rispetto a quelle comunicate al prefetto stesso. Va ricordato che a differenza di quanto avviene nelle altre ipotesi di prelazione (l’acquisizione ordinaria ed efficace del riscatto del bene così che il beneficiato pretermesso si sostituisce nel contratto al terzo acquirente), in questo caso un contratto di vendita stipulato senza che sia stato effettuata la debita comunicazione al prefetto dell’intenzione di vendere o concluso a un prezzo inferiore o a condizioni diverse rispetto a quelle comunicate al prefetto è nullo, così da aversi una semplice retrocessione del bene all’istituto. Qual è la ratio di questa norma? La ratio è quella di assicurare la funzione sociale della proprietà, funzione sociale garantita dalla nostra costituzione, consentendo a beni di rilevante valore di mantenere una finalità specificamente pubblica. Questo spiega anche, in parte, una delle eccezioni previste dal legislatore dalla riforma: questo diritto di prelazione non può essere esercitato quando acquirente sia un altro bene ecclesiastico, infatti rimanendo il bene all’interno dell’ambito confessionale è mantenuta una sua funzione di rilievo pubblico in quanto persegue interessi religiosi di carattere generale. Una eccezione che trova una profonda giustificazione nel rispetto dell’autonomia gestionale riconosciuta alla chiesa. Una 2° eccezione prevista dalla legge, tra l’altro in linea con i principi generali del nostro ordinamento, ossia qualora esistano diritti di prelazione antecedenti l’istituto dovrà comunicare la sua intenzione di vendere ai titolari di questi diritti e solo se questo diritto non è esercitato potrà comunicare al prefetto la sua volontà negoziale per dare così inizio alla procedura che abbiamo appena esaminato. (Prior in tempore, potior in iure: prima nel tempo, preferito nel diritto).