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Epistulae morales ad Lucilium, 47, 1-4, 10-12, Versioni di Latino

Una riflessione di Seneca sulla schiavitù, partendo dall'episodio in cui apprende che l'amico Lucilio tratta i suoi schiavi con familiarità. Il filosofo fa seguire considerazioni di carattere etico desunte dallo stoicismo antico, per confutare alcune false opinioni sulla schiavitù. Seneca sostiene che tutti gli uomini sono uguali e che la condizione servile non è connaturata. Nei rapporti con gli schiavi è necessario seguire una regola: comportarsi con nostri sottoposti come vorremmo che nostri superiori si comportassero con noi.

Tipologia: Versioni

2022/2023

In vendita dal 06/10/2023

Giuscream
Giuscream 🇮🇹

4.7

(3)

72 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Epistulae morales ad Lucilium, 47, 1-4, 10-12 e più Versioni in PDF di Latino solo su Docsity! Epistulae ad Lucilium, 47, 1-4, 10-12: "UOMINI COME NOI"=SENECA E GLI SCHIAVI La "militanza comune nella vita": Se siamo tutti accomunati dalla medesima natura e spinti dalla virtù a un vincolo universale di solidarietà, come si può conciliare tutto ciò con l'esistenza della schiavitu? Seneca ha appreso con piacere che l'amico Lucilio tratta i suoi schiavi con familiarità. Partendo da questo episodio occasionale, il filosofo fa seguire considerazioni di carattere etico desunte dallo stoicismo antico, per confutare alcune false opinioni sulla schiavitù. Tutti gli uomini sono partecipi della ragione e sono, perciò, uguali. Anche gli schiavi hanno piena dignità di uomini poiché sono soggetti alle bizzarrie della sorte. Eppure essi sono considerati alla stregua o beste da padroni crudeli e arroganti, come se la condizione servile fosse uno stato connaturato. Una stessa natura: Ma liberi e schiavi nascono dai medesimi semi, provano le stesse sensazioni, vivono le medesime esperienze. Lo status sociale, invece, non è connesso alla natura umana, né si può reputare una condizione immutabile. Nei rapporti con gli schiavi è necessario seguire una regola: comportarsi con nostri sottoposti come vorremmo che nostri superiori si comportassero con noi. Esortazione al rispetto reciproco: Nella prospettiva delineata da Seneca ogni relazione interpersonale si dovrebbe fondare sul rispetta reciproco e non sulla paura. PRIN COOR CAUS REL COND INF FIN COMPL CONS COMP 1.Libenter(avv.) cognovi(ind.perf.) ex iis qui veniunt a te TE vivere familiariter cum tuis servis: hoc decetprudentiam tuam, hoc eruditionem. 'Servi sunt.' Immo(avv.) homines. 'Servi sunt.' Immo(avv.) contubernales. Con piacere ho saputo da coloro che vengono da te che tu vivi familiarmente con i tuoi schiavi: questo si addice alla tua saggezza, questo alla (tua) educazione. "Sono schiavi." Anzi, uomini. "Sono schiavi". Anzi, compagni di tenda. 'Servi sunt.' Immo(avv.) humiles amici. 'Servi sunt.' Immo(avv.) conservi, si cogitaveris(ind.fut.ant.) tantundem fortunae licere in utrosque(prn.indef.). "Sono schiavi." Anzi, umili amici. "Sono schiavi.". Anzi, compagni di schiavitù, se avrai pensato che altrettanto alla sorte è lecito nei confronti di entrambi. 2.Itaque rideo istos qui existimant turpe cenare cum suo servo: quare(avv.), nisi(cong.) quia superbissima consuetudo circumdedit(ind.perf.) servorum turbam stantium(part.pre.) DOMINO cenanti(part.pre.)? Quindi rido di costoro che ritengono vergognoso (il) cenare col proprio schiavo: per quale motivo, se non perché una superbissima consuetudine ha messo una folla di schiavi che stanno in piedi attorno al padrone che cena? ILLE est plus quam capit, et ingenti aviditate onerat ventrem distentum ac iam desuetum officio ventris, ut egerat(cong.pre) omnia maiore opera quam ingessit(ind.perf.). Quello mangia più di quanto contiene e con smisurata avidità carica il ventre teso e ormai disabituato al compito di ventre, così che vomita/emette tutto con maggior fatica di quando ha ingerito. 3.At infelicibus svervis licet(ind.pre.imp.) movere labra ne in hoc quidem, ut loquantur(cong.pre.); omne MURMUR conpescitur(ind.pre.pass.) virga, et ne fortuita, TUSSIS, STERNUMENTA, SINGULTUS, quidem sunt excepta verberibus; magno malo luitur(ind.pre.pass.) SILENTIUM interpellatum(part.perf.) ulla voce; totā nocte perstant ieiuni mutique. Invece agli infelici schiavi non è consentito che muovano le labbra neppure per questo, (cioè) per parlare, ogni bisbiglio è trattenuto col bastone, e neppure i contrattempi tosse, starnuti, singhiozzi, sono esclusi da percosse; con un grave malanno viene punito il silenzio interrotto da una qualche parola; per tutta la notte rimangono fermi digiuni e muti. 4.Sic fit ut loquantur(cong.pre.dep.) de domino ISTI quibus non licet(ind.pre.imp.) loqui(inf.pre.dep.) coram(avv.) domino. At ILLI quibus non tantum erat sermo coram dominis sed cum ipsis, quorum OS non consuebatur(ind.imp.), parati erant porrigere cervicem pro domino avertere in suum caput periculum imminens(part.pre.); in conviviis loquebantur(ind.imp.dep), sed in tormentis tacebant(ind.imperf.). Così accade che (s)parlino del padrone costoro ai quali non è permesso parlare in presenza del padrone. Invece quelli che non solo avevano (la possibilità di) parola in presenza dei padroni, ma anche con loro, la cui bocca non era cucita insieme, erano disposti a porgere il collo per il padrone, a rivolgere sulla propria testa un pericolo che minacciava; nei banchetti parlavano, ma sotto tortura tacevano.