Scarica Equivoco della famiglia e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Capitolo 1: famiglie. Sostantivo plurale. Forme di famiglia. Tra norme e pratiche relazionali. La famiglia è uno spazio fisico, relazionale e simbolico apparentemente più noto e comune usato come metafora per tutte quelle situazioni che hanno a che fare con la spontaneità, con la naturalezza, con la riconoscibilità. Essa è uno dei luoghi privilegiati di costruzione sociale della realtà. Entro i rapporti familiari, gli eventi della vita individuale che più sembrano appartenere alla natura ricevono il proprio significato e tramite questo vengono consegnati all’esperienza individuale: il nascere e il morire, il crescere, l’invecchiare, la sessualità, la procreazione. Alcuni una stessa società ed epoca possono convivere modo di definire la famiglia diversi non solo per motivi di valore, ma per esigenze burocratiche, amministrative, di politiche sociali. Così come gli individui possono identificare diversamente i confini della famiglia anche a livello normativo la famiglia anagrafica non coincide necessariamente con quella definita dal codice civile. La molteplicità dei discorsi che definiscono che cos'è una famiglia: discorsi religiosi, morali, legali, delle tradizioni culturali, delle politiche sociali, dei regolamenti amministrativi. La famiglia costituisce il materiale privilegiato di cui sono costituiti gli archetipi sociali, i miti. Accanto alle immagini contemporanee della famiglia-rifugio, della famiglia luogo dell’intimità e dell’affettività, spazio dell’autenticità, archetipo della solidarietà, della privatezza, stanno le immagini della famiglia come luogo dell’inautenticità, dell’oppressione, dell’obbligo, dell’egoismo esclusivo, la famiglia come generatrice di mostri, di violenza, la famiglia che uccide. L’esperienza familiare differenzia perciò più le varie culture e gruppi, ciascuno dei quali è anche toccato diversamente dalle trasformazioni. La famiglia è anche lo spazio storico e simbolico nel quale si dispiega la divisione del lavoro, degli spazi, delle competenze, dei valori dei destini personali di uomini e donne, anche se ciò assume forme diverse nelle varie società. Famiglie in movimento Tra i mutamenti che hanno interessato la famiglia in occidente ci sono: 1. Il primo che riguarda i rapporti e le identità di genere 2. Il secondo che riguarda i rapporti tra le generazioni 3. Il terzo che riguarda il diverso modo in cui i paesi occidentali integrano a livello normativo la pluralizzazione dei modi di fare e di intendere la famiglia 4. Il quarto che riguarda la messa in discussione dell’eterosessualità ed eteronormatività come fondamento della famiglia 5. Il quinto riguarda la crescente centralità che la famiglia ha assunto nel dibattito e nell’intervento pubblico Non si tratta di fenomeni lineari e di significato univoco. Le direzioni prese dai vari paesi possono differire anche in modo notevole. Si sono moltiplicate sia le sedi sia gli attori che elaborano una propria visione della famiglia e competono per farla valere anche sul piano normativo, oltre che valoriale. A fronte di questa centralità della famiglia nel dibattito pubblico, la normativa giuridica rimane rigida e le politiche sociali continuano in larga misura andare per scontata una famiglia che non è più il modello prevalente, sia a livello demografico che a livello comportamentale. Ciò che dovrebbe importare è che venga coltivata , sostenuta e riconosciuta la disponibilità ad instaurare rapporti di responsabilità e reciprocità duraturi, ma anche di quelle che l’età ha reso fragili. Non solo 3 0 0 Apapà, mamma e bambini 3 0 0 B La famiglia è qualcosa di un po' più complesso che 3 0 0 Apapà, mamma e bambini 3 0 0 B. Non ci sono sempre bambini/figli, anche se la coppia è formata da un uomo e una donna. I figli possono arrivare per via non biologica. Può mancare un genitore . Si possono avere entrambi i genitori, ma vivere alternatamente con l’ho e l’altra. Si può essere in un rapporto matrimoniale o comunque di coppia con una persona, ma avere (avuto) figli da un’altra persona. E poi ci sono i parenti, di sangue o acquisiti. Uno dei cambiamenti, più potenti ha riguardato l’amore piuttosto che la convenienza, l’interesse, l’alleanza tra gruppi, la necessità di riproduzione di un lignaggio o della forza lavoro familiare. Un cambiamento che implica l’amore per il benessere e la libertà dell’altro/a, accoglienza paziente, ma anche la capacità di lasciar andare, intimità, ma anche coscienza della propria e altrui individualità e separatezza. Il dono dall’amore Si definisce dono ogni prestazione di beni i servizi effettuata, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone. Gli aspetti discriminanti sono almeno tre: 1. Il primo concerne la libertà. Il dono è libero, non vi è nessun vincolo e nessun contratto che ci spiega a donare o a ricambiare 2. Il secondo riguarda la valutazione che facciamo dell’altro. A differenza dello scambio mercantile nel dono non esistono garanzie . Questo presuppone ed alimenta fiducia in chi dà e in chi riceve. 3. Il terzo aspetto riguarda ancora il rapporto di reciprocità che instaura attraverso il dono. Lo scambio mercantile è incentrato sull’abolizione del debito. L’atto del donare non è un momento unico, ma è costituito da almeno tre parti: donare, ricevere e ricambiare il dono. L’idea del dono entra in gioco insieme a quella dell’amore e dell’intimità. Una visione del matrimonio e della coppia come unità fusionale, in cui ciascuno si dona nell’altro a favore dell’unità della coppia e della famiglia. È questa concezione di coppia che ispira anche la visione dei due papi che hanno detto all’interno della Chiesa cattolica, le cose emotivamente più coinvolgenti sulla coppia, sulla sessualità ed i rapporti uomo-donna. La visione della coppia come unità nella complementarità sottende una particolare concezione del dono di sé. Come pensare al dono in una concezione della coppia meno fusionale e meno asimmetrica, oltre che non fondata su una visione dicotomica e rigida delle differenze? Una coppia negoziale perché basata non su logiche mercantili, ma sul riconoscimento e rispetto dell’individualità di ciascuno, dello spazio che divide, non solo di ciò che unisce. Una relazione pura è un rapporto basato sulla comunicazione emozionale, in cui i vantaggi derivati da tale comunicazione sono il presupposto perché il rapporto continui. Tale tipo di rapporto è basato sulla parità di diritti tra uomo e donna, sul rispetto reciproco per l’autonomia altrui, su relazioni fondate sulla comunicazione e la fiducia nell’altro, all’assenza di potere arbitrario, coercizione e violenza. Il donare e il ricevere avvengono nello spazio lungo delle generazioni e garantiscono non soltanto un ritorno tra i soggetti coinvolti nel dono, ma la continuità del rapporto nel tempo al di là di questi. Occorre riconoscere il desiderio e le aspettative che stanno in ogni rapporto di generazione discendente, ma anche essere consapevoli che quel desiderio può non essere colmato. Famiglie (s)confinate Le famiglie si trovano ad esistere nello spazio stretto delle definizioni normative e in quello più indefinito delle relazioni ed esperienze concrete, che spesso eludono le definizioni ed i confini normativi. Ogni famiglia di costruisce e vive entro confini insieme mobili e differenti, a livello relazionale ed emotivo. E quei confini non coincidono mai completamente per tutti i componenti di una stessa famiglia. Le famiglie con coniugi di nazionalità diversa, con figli migrati altrove e quelle dei migranti sono per definizione famiglie transnazionali. Possono costruire barriere insormontabili, ma anche ponti continuamente attraversati, se non fisicamente tramite scambi di risorse e, oggi, grazie anche all’utilizzo delle nuove tecnologie, che consentono una dilatazione dello spazio delle relazioni un tempo impensabile. Le norme giuridiche che definiscono alla famiglia possono variare da un paese all’altro, anche entro lo spazio relativamente circoscritto dell’Unione europea. In un'epoca segnata da forti processi di mobilità geografica delle persone e dei gruppi, le relazioni più intime, più prossime, a motivo di questa differenziazione nazionale del regolare chi fa la parte di una famiglia e con quali diritti e doveri, non sono sempre legalmente portabili, trasferibili, quando ci si sposta, mostrando quanto sia precario il diritto alla famiglia sancito dalle dichiarazioni internazionali sui diritti dell’uomo. Nuove sequenze nella formazione della famiglia Non si va a vivere insieme come coppia solo dopo che ci si è sposati. Piuttosto, ci si sposa dopo aver sperimentato qualche anno di vita insieme e sempre più spesso anche dopo aver avuto uno o più figli. Lo dimostra anche il fatto che oggi un matrimonio su tre é preceduto da una convivenza di almeno un anno. Rimane da vedere se ciò che comporterà anche un indebolimento del matrimonio in quanto tale o solo una sua trasformazione. Nei paesi in cui il fenomeno è più diffuso, la maggioranza delle coppie prima o poi si sposa. Il matrimonio e la famiglia sono istituzioni storiche che hanno cambiato contenuto molte volte, anche quando sembravano mantenere la stessa forma. Se é vero che non occorre più sposarsi per andare a vivere insieme, non occorre neppure la protezione, o la garanzia, del matrimonio per assumere i rischi di un progetto di vita comune. I conviventi hanno gli stessi diritti di visita e assistenza dei coniugi in caso di ricovero ospedaliero o nel sistema penale, di subentro nell’affitto dell’abitazione comune e di riconoscimento del lavoro prestato nell’impresa familiare. Single per necessità o per scelta lavoratrici. Neppure perché una definizione della paternità invece tutta incentrata sul desiderio e la necessità di essere altrove, rende difficile per le madri conciliare più dimensioni, più passioni. O perché psicoanalisti condividono il senso comune ancora diffuso in Italia per cui un bambino in età prescolare soffre se la mamma lavora, legittimando ogni forma di colpevolizzazione delle madri lavoratrici, specie se, come si dice non ne avrebbero necessità e ancora più se vogliono anche una carriera. Sia sacrificio o desiderio, l’amore materno, a differenza di quello paterno, deve essere al riparo da altre passioni, desideri, attività. E che la generatività delle madri si esaurisca nell’amore per i figli, non anche nella capacità di essere individue distinte dai propri figli. Questa seconda generatività sembra esclusivamente appannaggio dei padri. Le madri oggi corrono il rischio di non produrre figli sufficientemente competitivi. Non solo bisogna essere la madre migliore, occorre anche che il proprio figlio sia visibilmente il migliore. Ci si aspetta che le donne stiano nel mercato del lavoro nonostante la maternità. Questa aspettativa ha diverse motivazioni: la maggiore istruzione delle donne, quindi la preoccupazione per lo spreco di capitale umano; l’instabilità coniugale, quindi l’impossibilità e inopportunità i incentivare le donne a dedicarsi esclusivamente alla famiglia ed ai compiti materni. In primo luogo, la maternità, il tempo che richiede, le necessità di cura che comporta, sono visti insieme come non solo inevitabili, ma necessari innanzitutto per ragioni di fecondità. In secondo luogo, le madri con diversi livelli di istruzione, sono soggetto di discorsi in qualche misura opposti. Le madri ad istruzione elevata hanno le migliori chances sul mercato del lavoro proprio perché il loro capitale umano è elevato, anche la loro capacità come madri e il loro investimento di tempo nei figli sono considerati positivamente. Le madri a bassa istruzione, che per lo più sono in condizioni economiche modeste, sono incoraggiate a partecipare al mercato del lavoro non tanto perché il loro sia un capitale umano da valorizzare, ma perché così facendo contribuirebbero alla sicurezza economica dei figli e allo stesso tempo sarebbero costrette a delegare parte dell’educazione dei figli ai servizi per la prima infanzia che, meglio di loro saprebbero svilupparne le competenze cognitive. La sottovalutazione delle dimensioni relazionali e affettive della maternità, la priorità assegnata non solo al capitale umano e al suo potenziale valore economico, ma ad una sua variante ancora più riduttiva. Entrambe si vedono svalutata la dimensione relazionale e affettiva. Ma le prime sperimentano anche una tensione tra due attività entrambe riconosciute come dotate di valore. Le seconde sperimentano una forte svalorizzazione della loro competenza come madri, senza che le occupazioni che sono loro offerte e accessibili possano almeno parzialmente costituire una sorta di surrogato in termini di identità. Mamme equilibriste Le mamme italiane sono tra le più denigrato per quanto succede ai loro figli. Donne che vivono con figli dagli 0 agli 11 anni, un’età che richiede ancora una forte intensità di cura e presenza. Sono le donne che fanno più fatica a stare nel mercato del lavoro proprio a motivo del carico di lavoro non pagato e più in generale delle responsabilità di cura e supervisione genitoriali attribuite in modo quasi esclusivo. Le madri separate e divorziate da un lato sono a rischio di caduta in povertà, dall’altro devono essere disponibili a stare nel mercato del lavoro in maggior misura di quelle ancora in coppia, nonostante debbano per lo più far fronte da sole, senza alcun contributo del padre, anche al lavoro familiare legato alla presenza dei figli. Esistono forti differenze e disuguaglianze tra madri: tra chi ha un’istruzione elevata e chi una bassa, tra chi vive nel centro nord e chi nel mezzogiorno. Anche rispetto alla maternità, le disuguaglianze sociali e territoriali disegnano un’Italia in cui le chances di vita ed i gradi di libertà nell’utilizzarle sono più differenziati di quanto non sarebbe accettabile in un paese democratico. Un cambiamento lento, ma costante, nel modo di essere padri Quello paterno è un ruolo familiare debole proprio perché a lungo è stato codificato e legittimato innanzitutto come ruolo sociale più forte, istituzionalmente e giuridicamente di quello materno. Promulgatori ed esecutori di leggi che stavano fuori del rapporto madre-figli, ma cui quella e quelli erano sottomessi, esclusi dall'intimità e dalla tenerezza proprio per non rischiare di lasciarsene invischiare perdendo, insieme all’autorità, l’autorevolezza. Protetti dalle madri da interazioni troppo ravvicinate con i figli, salvo rischiare di non riuscire mai a conquistarne la confidenza. Pater familias si, ma di una famiglia in cui spesso si sentivano estranei o intrusi. Esclusi da responsabilità e competenze di cui erano dichiarati incapaci in base al loro sesso e simmetricamente, vittime come le madri di modelli di genere che più che guardare ai singoli individui e alle loro predisposizioni, desideri, capacità, irreggimentato in categorie tanto rassicuranti quanto rigide, soffocando la potenziale ricchezza della molteplicità degli esseri umani. Sia il ruolo materno che quello paterno sono stati sottoposti a sollecitazioni e tensioni, creando inevitabilmente anche sentimenti di incertezza, di perdita di criteri di riferimento forti. La paternità è la dimensione dell’identità sociale e individuale maschile che forse, nelle società sviluppate ha conosciuto più cambiamenti da cinquant’anni a questa parte, anche in direzioni in parte contraddittorie. Una maggiore presenza nella cura dei figli piccoli non significa che i padri riducano l’impegno lavorativo, al contrario. I padri continuano a dare la priorità al lavoro remunerato, riducendo a favore dei figli non il lavoro, ma il tempo libero, mentre le madri riducono sia il tempo per il lavoro remunerato che il tempo libero. Proprio la maggiore presenza nella cura e nella quotidianità, e la consapevolezza dell’importanza della relazione padri-figli, è una delle motivazioni che hanno portato molti padri a rifiutare l’automatismo dell’affido dei figli alla madre in caso di rottura del rapporto di coppia ed anche molte legislazioni nazionali a rafforzare l’affido condiviso. I padri presenti nella cura dei figli in costanza di rapporto di coppia sono quelli che rimangono più presenti anche in caso di separazione, perché hanno sviluppato sia un attaccamento, sia competenze relazionali e pratiche. I padri ad alta intensità di cura fanno bene a se stesso ed ai propri figli La lenta avanzata dei padri accudenti è un fenomeno da incoraggiare senza ambivalenze. Si tratta di pari opportunità tra padri e madri in entrambe le direzioni: per far si che le madri possano conciliare meglio lavoro di cura e lavoro per il mercato, ma anche perché venga riconosciuta la legittimità del desiderio di molti padri di avere più tempo per i figli, di sperimentare l’intensità che pone le fondamenta per una continuità di rapporto intimamente accudente anche negli anni successivi della crescita. Un padre accudente non è automaticamente permissivo, debole, in fuga dalle proprie responsabilità, come se la cura escludesse l’autorevolezza e viceversa. La diffusione di una disponibilità all’accudimento anche da parte dei padri esprime una modifica dei modelli di ruolo maschile consolidati analoga non tanto a quella della modifica del modello di genere femminile espressa dall’entrata delle donne nel mondo del lavoro, ma a quella che assegnò alle madri non solo compiti riproduttivi, ma di accudimento intensivo e affettivo dei figli, relegando i padri nel ruolo di autorità distanti. Un congedo anche per i papà L’idea che sarebbe opportuno coinvolgere di più i padri nella cura dei figli fin dalla nascita incontra ancora molte resistenze nel nostro paese. Non stupisce che siano le madri e non i padri a prendere il congedo genitoriale, nonostante la legge italiana preveda che nessuno dei due genitori possa prendere più di sei dei dieci mesi complessivi disponibili. Non stupisce neppure che una madre lavoratrice su cinque lasci il lavoro entro i primi due anni di vita del figlio, costretta vuoi dalla vulnerabilità cui l’espongono contratti di lavoro flessibili o a tutele crescenti, vuoi dalla mancanza di servizi. Porre la questione dell’uguaglianza in termini di lavoro flessibili o a tutele crescenti, vuoi dalla mancanza di servizi. Porre la questione dell’uguaglianza in termini di costo, di svantaggio, non mi sembra molto efficace. Rischia di spostare la discriminazione sui genitori nel loro complesso. I padri diventano capaci di accudimento e se ne assumono autonomamente, ancorché collaborativamente, la responsabilità più facilmente se ne fanno l’esperienza quotidiana e per un tempo abbastanza lungo da soli, in assenza della madre. Adozioni difficili Fino a qualche anno fa sembrava che l’adozione internazionale fosse la via più facile e veloce per adottare un bambino, una volta ottenuta l’idoneità. Le cose sono tuttavia cambiate. Molti paesi in cui si trovano bambini candidati all’adozione internazionale hanno introdotto vuoi richieste di contropartite, vuoi restrizioni dei criteri, ad esempio per quanto riguarda la religione, l’etnia, l’orientamento sessuale o altro dei potenziali genitori. Hanno perciò contestato che l’adozione ed il trasferimento in questi paesi, togliendoli dalla comunità d’origine, siano sempre il miglior modo di venire incontro ai bisogni dei bambini. In questo complicato e delicato processo, i bambini diventano la posta di negoziazioni e interessi che non sempre hanno il loro benessere come priorità. Oggetto del desiderio e della disponibilità all’accoglienza degli aspiranti genitori che provengono dai paesi sviluppati, sono stati scoperti come una risorsa preziosa dai governi dei paesi in cui nascono e vengono abbandonati da chi li ha messi al mondo, ed anche dai vari intermediatori locali e internazionali. Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti i responsabili che l’adozione internazionale è diventata più materia di rapporti internazionali e scambi economici che questione umanitaria con al centro il benessere dei bambini. Riforma delle adozioni La legge italiana è una buona legge, anzi una delle migliori per quanto riguarda le garanzie che offre nella selezione dei potenziali genitori adottivi e nell’abbinamento tra questi ed il bambino da adottare. Le procedure sono lunghe e spesso rese ancora più tali dal ritardo con cui vengono effettuati i singoli passaggi. Ma in generale l’obiettivo è garantire che gli aspiranti genitori adottivi siano consapevoli delle difficoltà che incontreranno con i figli adottivi, in parte simili, ma in parte specifiche. Se c’è un limite nell’attuale legge, è che l’adozione non viene accompagnata abbastanza dopo, non solo prima, essere avvenuta. Un secondo limite è il riservare l’adozione legittimante alle coppie sposate, escludendo dunque i conviventi, single e coppie dello stesso sesso. Infine, non va dimenticato che l’adozione internazionale è diventata più difficile non solo perché costosa, ma perché i paesi sono diventati più attenti e protettivi nei confronti dei propri bambini più vulnerabili, privilegiando adozioni o affidamenti autoctoni, che non costringano i bambini ad emigrare per avere una famiglia. L’adozione non è, non può essere, solo l'esito di scelte individuali, anche motivate da generosità e disponibilità all’accoglienza. E’ un processo che avviene in società, regolato da norme insieme culturali e legali, ancorché modificabili per adeguarsi ai mutamenti culturali rispetto a ciò che è una famiglia e chi può essere genitore. Il cognome della madre La pretesa patrilineare era già indebolita nei comportamenti e nei sentimenti, là dove la continuità di un cognome era ed è, appunto, solo questo, senza essere accompagnata da specifiche norme giuridiche, e sempre meno anche culturali e sociali, su quale direzione debbano prendere le obbligazioni tra le generazioni, lasciando spazio alla forza dei sentimenti, dell’esperienza concreta della qualità delle relazioni, alle scelte e vicende individuali e delle singole famiglie. Ci si aspetterebbe, poiché la norma che privilegia il cognome paterno è incostituzionabile, che già da oggi chi volesse dare ad un figlio/figlia anche, o solo, il cognome della madre non dovesse più giustificarsi e attendere che il proprio caso sia valutato più o meno discrezionalmente, o, se non coniugato, rimandare il riconoscimento da parte del padre. Diventare genitori dell’era delle tecniche di riproduzione assistita La realizzazione del desiderio di maternità può essere ostacolata da vincoli più radicali di quelli che scaturiscono dalla difficoltà a conciliare famiglia e occupazione. Non vi è dubbio che l’inestricabile intimità originaria tra corpo e maternità è all’origine di tensioni che non possono essere semplicisticamente ridotte a natura verso la cultura, perché attraversano e coinvolgono i corpi materni reali e pensati, unificati o divisi. Le tecniche di riproduzione assistita, tuttavia, hanno indubbiamente allargato il raggio sia dei soggetti che possono concorrere al processo riproduttivo, sia delle tensioni che ne possono scaturire. Se il ricorso al donatore/donatrice di gameti rompe l’ovvietà del legame biologico di consanguineità, il ricorso ad una donna che porti a termine una gravidanza per altri rompe a tutti gli effetti l’ovvietà del legame tra gestazione e maternità. Questa rottura appare più problematica della prima, più difficile da accettare, più soggetta a valutazioni morali, più bisognosa di elaborazione. In primo luogo vi è la preoccupazione per il possibile sfruttamento delle donne che si prestano a questa pratica. La preoccupazione per un possibile sfruttamento, riguarda anche le situazioni più protette, nella misura in cui c’è il rischio di rafforzare l’antichissima visione delle donne come corpi riproduttivi a disposizione del desiderio di generazione degli uomini. Un altro motivo di resistenza riguarda la dimensione relazionale non puramente fisiologica della gravidanza. Una terza preoccupazione riguarda il rischio che la gestazione per altri possa configurare una vera e propria vendita di bambini. Non solo nell’adozione, ma anche nelle situazioni di gestazione “normale”, in cui madre biologica, gestante e legale coincidono, l’esperienza della gestazione può essere molto differente da una donna all’altra. La questione della gestazione per altri è senza dubbio complessa, emotivamente, giuridicamente, culturalmente. E’ difficile affrontarla con il distacco. Capitolo 3: dalla parte dei figli I bambini vanno difesi, non puniti per ciò che fanno gli adulti L’”affido rinforzato”, questo sconosciuto istituto giuridico, è stato proposto come escamotage da alcuni parlamentari contrari all’adozione da parte del partner, durante la discussione della legge Cirinnà sulle unioni civili. Come un tempo per i bambini nati fuori dal matrimonio, che non potevano essere riconosciuti da un genitore se questi era sposato con un’altra persona e che avevano meno diritti dei figli legittimi, neghiamo ai figli delle coppie dello stesso sesso il diritto di avere due genitori legalmente riconosciuti, anche se questi ci sono e sono disponibili. I genitori affidatari “non rinforzati” hanno tutti i doveri quotidiani nei confronti dei minori loro affidati, compreso quello, non indifferente, di mantenere aperta, anche nella consapevolezza del bambino, la possibilità, l’auspicabilità, di un ritorno dai genitori “veri”. Una possibilità che, non esiste per i figli delle coppie dello stesso sesso, perché queste sono i genitori “veri”, quelli che li hanno voluti. La relazione qualche misura permanente ben oltre l’entrata nella vita adulta. Oggi le generazioni si confrontano e affrontano rispetto a quello che è sempre stato l terreno del confronti tra generazioni. É un processo che non si può semplicisticamente riassumere nel “giovani contro vecchi”, non solo perché le generazioni che oggi si confrontano e abitano lo stesso tempo e spazio storico-sociale sono più di una, è questa coabitazione può durare a lungo, ma perché la tensione tra continuità e cambiamenti le ha attraversate e attraversa tutte. Le tensioni nel passaggio generazionale a livello famigliare hanno trovato rappresentazione, per così dire, canonica nella figura di Edipo, ovvero nel modo in cui Freud ha letto le tensioni implicite nel passaggio del testimone, dell’eredità di ruolo e consistenza sociale, dai padri ai figli. Il dramma di Edipo rappresenta l'ambivalenza che innerva la relazione tra i figli ed i padri: il padre non è solo il modello di adulto con cui il figlio si confronta. È noto che il complesso edipico riguarda specificamente il passaggio generazionale ed ereditario tra padri e figli, ignorando non solo quello tra madri e figlie, ma anche quello tra padri e figlie e tra madri e figli. Occorre che le persone nell’età di mezzo e anziane siano capaci di essere generative sul serio, cioè essere in grado di fare spazio a chi viene dopo perché si è stati capaci di assumersi le proprie responsabilità di adulto, delle proprie scelte, dei propri errori. Solo così si può consentire a chi viene dopo di diventare adulto a propria volta: non perché sono finalmente autorizzati dalla generazione più vecchia, ma perché non hanno bisogno di continuare a contrapporsi ad essa per legittimare e valorizzare la propria capacità di stare nel, e intervenire sul, mondo. La ricerca delle radici Quando un bambino inizia a fare domande su chi “c’era prima”, sui nonni ed i bisnonni, compie il primo atto di presa di consapevolezza delle propria storicità. La domanda genealogica è la prima domanda storica, che è interrogativo insieme sulla continuità e sulla discontinuità. Questa visione della ricostruzione genealogica è alla base delle ricostruzioni delle storie familiari, si delle teorizzazioni delle identità nazionali, o di gruppo. Il succedersi delle generazioni è garantito solo dagli incroci che avvengono ad ogni passaggio generazionale, dalle alleanze, dagli scambi che, anche quando si realizzano entro uno stesso ceto e cultura, modificano poco o tanto la traiettoria ed il suo contenuto. Se questo è vero, la genealogia é una sedimentazione di pratiche sociali storicamente situate, di scelte effettuate e/o imposte, di continuità riconosciute e discontinuità e deviazioni invece cancellate. Non si tratta di contrapporre una linea genealogico ad un’altra. Ciò che è davvero importante è ricostruire un percorso, nelle sue svolte incroci, censure nei rapporti di potere, accidenti che di volta in volta ne hanno regolato l’interpretazione. Fare genealogia è un particolare modo di coltivare la memoria e di riconoscere eredità. Tornando alle genealogia familiari, i racconti del passato familiare non solo variano, ma come ciascuno di noi ne sviluppa una narrazione parzialmente diversa nelle varie fasi della vita. Perché una genealogia, per quanto rimandi ad un punto di partenza ed alle sequenze successive, è sempre vista e interpretata alla luce singolare e parziale dell’esperienza presente. Non solo nativi digitali. Vulnerabili e diseguali Mentre la tecnologia avanzava e le nonne e mamme modificavano poco o tanto i ruoli di genere femminile, il mondo dei prodotti e modelli per l’infanzia e l’adolescenza sembra tornato ancora più stereotipico di un tempo. Per questa generazione lo scarto tra infanzia e adolescenza è più forte che nel recente passato. Il comportamento un po’ anarchico di molti adolescenti e preadolescenti in famiglia, a scuola, negli spazi pubblici, non è solo un fase normale e persino necessaria del passaggio adolescenziale. L’attuale generazione di bambini e adolescenti sta sperimentando una crescita fortissima non solo delle differenze , ma anche delle disuguaglianze. Il problema di questi bambini e ragazzi non è il divario digitale che li separa dai genitori e dagli insegnanti, ma quello che li separa dai loro coetanei. Da una generazione di donne all’altra Le donne italiane sono state protagoniste di importanti cambiamenti negli ultimi dieci anni. Le donne sono sempre più istruite e nelle generazioni più giovani sorpassano i loro coetanei sia per livello di istruzione, sia per regolarità dei percorsi formativi, sia per i voti che ottengono. Si sono ridotte le differenze di genere nei percorsi formativi, che sono in parte responsabili delle maggiori difficoltà che le donne trovano nel mercato del lavoro. Una maggiore istruzione si é accompagnata ad un rimando della maternità, che non dipende dalle, pur esistenti, difficoltà che i giovani, donne e uomini, incontrano nel mercato del lavoro, ma anche dal desiderio delle giovani donne di investire su di sé, sul piano professionale, della vita di relazione, delle attività culturali e di tempo libero, prima di impegnarsi a formare una famiglia propria. Rimangono forti ostacoli a che il cambiamento si generalizza in tutti i gruppi sociali ed a tutti i livelli. A fronte di un aumento lentissimo dell’occupazione femminile, è persino aumentata la percentuale di donne che escono dal mercato del lavoro a causa della maternità, costrette a scelte radicali da una combinazione perversa di rigidità del mercato del lavoro e carenza di servizi. Rimangono anche forti stereotipi di genere, relativamente a ciò che possono fare le donne e gli uomini, a ciò che spetta agli uni e alle altre. Il che li rende difficile modificare sia i comportamenti sia le politiche. Giovani sprecati in una società che invecchia È indubbio che saranno i bambini di oggi a determinare quanti saranno i giovani frasi venti e i trent’anni. Già oggi, le donne italiane in età feconda sono meno numerose delle loro madri. Con la crisi si è fermata e poi invertita la piccola tendenza all'aumento della fecondità che era emersa timidamente nei primi anni duemila. La responsabilità non è solo della politica, ma anche del mondo imprenditoriale. Anche le politiche di conciliazione famiglia-lavoro sono al palo, apparentemente considerate un lusso sia dalla politica sia dall’imprenditoria, sia dagli stessi sindacati, con una mancanza di fantasia organizzativa disperante. 3 0 0 AMillennials 3 0 0 B senza 3 0 0 Awelfare 3 0 0 B I giovani millennials mostrano un modo accentuato le caratteristiche che hanno contraddistinto i giovani adulti italiani anche nel recente passato. La solidarietà familiare sembra essere infatti pressoché l’unico welfare su cui i giovani adulti possono contare. Più di ieri perché non si tratta più solo dell’aiuto indispensabile per acquistare casa in un mercato dell’affetto costoso e ristretto e dell’aiuto per la cura dei piccoli nei buchi lasciati dalla scarsità di servizi e dagli orari e dalle vacanze scolastiche. Proprio perché si è molto affidato alla solidarietà familiare, considerando i giovani innanzitutto come figli dei loro genitori ben oltre il raggiungimento della maggiore età, il welfare state italiano non è mai stato molto generoso con i giovani. Le politiche dell’austerity hanno appesantito i spinaci di tutti , spostando sugli individui e le famiglie una parte crescente dei costi sanitari, dei servizi di cura, scolastici, di formazione e così via. Ciò ha reso sempre più difficile alle famiglia far fronte a tutte le domande di tipo redistributivo, intra e intergenerazionale, proprio quando le generazioni più giovani appaiono più vulnerabili, più bisognose di sostegni e investimenti di lungo periodo. I dati che fotografano i giovani millennials dovrebbero preoccuparci, non per colpevolizzarli, come si fa troppo spesso, ma per interrogarci sulla direzione in cui siamo incamminati. Il nuovo sesso debole La mancanza di un livello elevato di istruzione e di competenze culturali che consentono di navigare un mondo sempre più complesso non e più un fattore discriminante solo per le donne, che rende loro difficile stare nel mercato del lavoro pur avendo una famiglia. Sono sempre più numerosi i lavoratori manuali maschi a bassa qualifica i cui posti di lavoro sono stati decimati dalla crisi e difficilmente torneranno. Non e quel poco o tanto di emancipazione femminile che c’é stata a indebolire la posizione di questi uomini e ragazzi. É innanzitutto il venir meno di alcune occupazioni che davano anche a uomini a bassa qualifica la possibilità di avere un lavoro pagato decentemente ed una posizione sociale riconosciuta e che facevano ritenere ad un ragazzo che non voleva studiare di poterne fare a meno, perché avrebbe trovato comunque un lavoro. Occorre riflettere sulla necessità che i ragazzi trovino sulla propria strada sia occasioni di formazione adeguate, sia modelli di ruolo maschile, accessibili e realistici più diversificati. Per trovare un lavoro dopo la chiusura delle loro fabbriche essi hanno dovuto accettare di imparare a fare lavori tradizionalmente “femminili”, come gli assistenti alle persone non autosufficienti in una società che invecchia. In un paese in cui il livello di istruzione è comparativamente basso, anche tra le giovani generazioni, sia i tassi di evasione scolastica, sia gli abbandoni precoci sono comparativamente elevato, oltre che concentrati nei gruppi sociali più svantaggiati, occorre un forte investimento sia di ideazione sia organizzativo per mettere in moto questo necessario processo di riorientamento. Il futuro incerto di società che invecchiano È vero che si vive di più anche perché si gode di salute migliore e che un sessantenne di oggi può essere paragonato in larga misura ad un quarantenne di cento anni fa. Gli anziani di oggi non solo vivono più a lungo, ma rimangono anche attivi più a lungo. Non si tratta di una situazione senza vie di uscita. Accanto alla necessità di attrezzarsi per rispondere ai bisogni ed alle capacità di una popolazione anziana occorre incidere sugli attuali equilibri demografici e comportamentali a più livelli. Occorre allargare la forza lavoro effettiva. Ciò implica in primo luogo contrastare quel paradosso della situazione italiana costituito da un’altra disoccupazione giovanile a fronte di una riduzione del peso delle coorti di età più giovane sul totale della popolazione. Infine, occorre investire in politiche dell’immigrazione che incentivano l’arrivo di persone preparate, ne valorizzino le capacità e le integrino nel tessuto sociale, con una particolare attenzione per le nuove generazioni. Senza di loro, saremmo una popolazione ancora più vecchia. La ricchezza nascosta del lavoro di cura Come misurare il valore del capitale umano La capacità di una società di produrre i beni e servizi necessari a soddisfare i propri bisogni dipende dalla quantità, qualità e combinazione delle risorse a propria disposizione. L’investimento in capitale umano è diventata la parola d’ordine delle politiche sociali europee. Il concetto di capitale umano e la sua stessa misurazione si sono affinati, superando una visione strettamente economicistica. Sulla scorta di questa ampia definizione, si ha una prima stima del capitale umano presente in un dato momento nella società italiana. Si è cioè valutato il potenziale di reddito acquisibile, da allora fino al termine della loro vita lavorativa. La differenza è dovuta principalmente al fatto che le donne svolgono la gran parte del lavoro familiare, ovvero il lavoro a favore dei membri della famiglia, uomini adulti inclusi. Il basso valore di mercato del capitale umano femminile deriva da due fattori molto italiani, che contribuiscono a comprimere il potenziale complessivo del capitale umano italiano. Il primo è il più basso tasso di occupazione femminile. Il secondo è la minore valorizzazione delle donne che stanno nel mercato di lavoro. Una doppia beffa: lavorare di più per guadagnare di meno Finora sapevamo che tra lavoro pagato e non pagato le donne con carichi familiari lavorano complessivamente un mese in più degli uomini in analoga condizione. Una doppia beffa. Lavorano complessivamente, tra lavoro pagato e non pagato molto di più degli uomini, ma guadagnano parecchio di meno. I più bassi salari femminili a parità di qualifiche e di orari dipendono in larga misura da due altri fattori. Il primo è la concentrazione delle donne in particolari settori: l’insegnamento primario e secondario, i servizi alla persona, le attività impiegatizie e amministrative del terziario, il settore tessile. Il secondo fattore che spiega le differenze salariali tra uomini e donne a svantaggio di queste ultime é la maggiore lentezza e compressione delle carriere femminili, a parità di titolo di studio e di settore professionale. Le leggi anti discriminazioni esistono già, aiuterebbero inoltre le procedure che impongono di verificare perché sia stato scelto un uomo anziché una donna. Quanto costa un figlio? Un figlio costa denaro e tempo, non solo nei primi anni di vita, ma lungo tutti gli anni della crescita anche se in diversa combinazione. Molte donne vengono assunte da datori di lavoro che “temono” una loro eventuale maternità e molte madri sono costrette a lasciare il lavoro dopo la nascita di un figlio, perché non riescono a conciliare le domande di cura dei figli con quelle del lavoro remunerato in un contesto, come quello italiano, in cui i servizi per l’infanzia sono scarsi e costosi, pur con forti differenze territoriali, le scuole a tempi pieno sono in progressiva riduzione e distribuite in modo molto disomogeneo sul territorio, le lunghe vacanze scolastiche richiedono, per essere gestibili, risorse sia economiche sia di rete familiare. Capitolo 6: il lato oscuro della famiglia Se una donna su tre è vittima di violenza nel corso della vita Mettere fine ad un rapporto che non funziona e magari è violento non sempre protegge le donne dalla rabbia di chi non riconosce loro questo diritto, come troppo spesso documenta anche la cronaca nera. La violenza psicologica fatta di insulti, sistematiche squalificazioni, limitazioni dell’autonomia. Gli ex partner costituiscono anche un terzo degli stalker, cioè di chi opera vere e proprie persecuzioni nella vita quotidiana. Non stupisce, allora, che siano le donne separate o divorziate ad essere oggetto più spesso di violenza. Le donne laureate e con posizione professionale elevata sono oggetto di violenza più spesso di quelle meno istruite, in posizione professionale più bassa o non occupate, quasi che le maggiori risorse di affermazione e riconoscimento di sé, più che avere un effetto protettivo, avessero l’effetto di scatenare l’aggressività di chi non ammette l’autonomia femminile. Il rischio di assolutizzare e le donne come “altro” e come “mistero” La donna é una delle incarnazioni più forti, anarchiche, erratiche, impossibile da misurare e da governare, di questa libertà. Il suo stesso sesso non è visibile, sfugge alla rappresentazione, è nascosto, si sottrae alla presa dell'evidenza. La loro identità, difficile da decifrare, non risponde mai a quella della divisa fallica degli uomini. Proprio per questo le donne possono essere l’oggetto di una violenza inaudita. Possono essere aggredite, offese, maltrattate, uccise proprio perché