Scarica ESAME DI FISIOLOGIA III (PARTE 2) e più Dispense in PDF di Fisiologia Umana solo su Docsity! I GANGLI DELLA BASE I gangli (nuclei) della base sono una struttura che comprende diverse formazioni sottocorticali che hanno un importante ruolo nel controllo del movimento volontario. Questa associazione con il controllo motorio emerse dalla presenza di casi clinici drasticamente associati all’alterazione dei gangli della base, che si manifestano con alterazioni di tipo motorio (di tipo ipocinetico o ipercinetico), e sono il morbo di Parkinson, di Huntington, e l’emiballismo. Sistemi extrapiramidale e piramidale Data questa associazione tra i GdB e le alterazioni motorie, i gangli della base sono stati identificati come le principali componenti del sistema motorio extrapiramidale, in contrapposizione con quello piramidale (o corticospinale). I segni caratteristici di quella che viene definita sindrome extrapiramidale sono: • Tremore involontario, a riposo: è un tremore diverso da quello incontrato in lesioni cerebellari: nel caso di lesioni cerebellari, infatti, si ha un tremore di tipo cinetico che compare durante il movimento con l’intenzione di correggere il movimento stesso, mentre in tal caso scompare quando il soggetto si muove. • Modificazioni della postura e del tono muscolare • Ipocinesia e lentezza dei movimenti, soprattutto nel caso del morbo di Parkinson. Tali segni si contrappongono a quelli della sindrome piramidale che sono: spasticità e paralisi. Il termine extrapiramidale è però da considerarsi obsoleto (anche se in clinica è ancora utilizzato), infatti questa suddivisione tra sistemi extrapiramidali (GdB) e piramidale (cortico-spinale) non è utilizzabile per vari motivi: - Per la molteplicità dei sistemi sottostanti il controllo motorio = ad esempio il cervelletto dove dovrebbe essere collocato tra i due sistemi?) - Per la non indipendenza dei due sistemi = non operano indipendentemente l’uno dall’altro, ma sono estensivamente interconnessi formando così un sistema distribuito per il controllo motorio (attraverso sistemi interconnessi a livello corticale, attraverso aree interconnesse da proiezioni cortico-corticali, ma anche grazie a strutture sottocorticali). - Inoltre, dire che la sindrome extrapiramidale è associata solo ad alterazioni motorie non è corretto in quanto i gangli della base sono coinvolti anche in funzioni non motorie di natura cognitiva. Funzioni motorie e funzioni cognitive dei gangli della base I gangli della base, perciò, svolgono diverse funzioni motorie: • Controllo del movimento volontario • Programmazione e avvio del movimento • Esecuzione di movimenti degli arti e degli occhi Le alterazioni di tali funzioni possono portare ad atassia (alterato controllo muscolare), dismetria (alterazioni della coordinazione muscolare), tremore a riposo, rigidità (alterazioni del tono muscolare) e bradicinesia (lentezza nell’esecuzione dei movimenti). In molte patologie dei GdB sono presenti disturbi di funzioni superiori, simili a quelli che si hanno da danni del lobo frontale, infatti vi sono importanti vie di connessione con la corteccia frontale, alla quale i GdB riproiettano: quello che accade è infatti che l’input dalla corteccia raggiunge i GdB, e successivamente tramite il talamo il circuito si richiude, in quanto quest’ultimo riproietta al lobo frontale (quindi corteccia motoria, premotoria e prefrontale) Come detto, i GdB sono coinvolti anche in funzioni non motorie, cioè in funzioni cognitive che includono processi come l’apprendimento di regole, adozione di strategie comportamentali per raggiungere un obiettivo, cambi dell’attenzione e pianificazione di azioni future. Perciò, patologie dei GdB possono essere anche parzialmente responsabili di malattie come schizofrenia, depressione, sindrome ossessivo-compulsiva, disturbi dell’attenzione, iperattività e autismo. Nuclei sottocorticali I gangli della base sono quindi formati da cinque nuclei sottocorticali, che hanno varie caratteristiche in termini anatomici: • Non hanno connessioni dirette con il midollo spinale né afferenti né efferenti, perciò, nonostante questa associazione alle funzioni motorie, non vi è connessione diretta con la periferia motoria; • L’input principale che giunge ai gangli viene dalla corteccia cerebrale: il segnale che giunge ai GdB (allo striato) arriva da un gran numero di aree (quasi tutta la corteccia cerebrale), quindi è una proiezione diffusa da tutta la corteccia ai gangli della base, i quali poi riproiettano l’output al talamo, per poi reinviarlo al lobo frontale (corteccia prefrontale, premotoria e motoria). Questi cinque nuclei interconnessi tra loro sono: o Caudato e putamen: che insieme costituiscono lo striato o Globo pallido interno ed esterno o Nucleo subtalamico o Sostanza nera, formata da due parti: pars reticulata e pars compacta (questa è ricca di neuroni dopaminergici, con corpi cellulari ricchi di neuromelanina, derivato della dopamina, che dà il pigmento nero a questa porzione). Il caudato e il putamen (striato) sono considerati nuclei di ingresso perché ricevono fibre provenienti da vaste regioni della corteccia cerebrale, e sono connessi con nuclei intermedi quali il globo pallido esterno e la pars compacta della sostanza negra, oltre che ai nuclei di uscita (globo pallido interno, nucleo subtalamico e pars reticolata della sostanza nera) i quali inviano fibre inibitorie al talamo, e dal talamo di nuovo alla corteccia. Quindi ha un circuito chiuso che parte dalla corteccia e ritorna poi ad aree corticali. GdB e cervelletto Gangli della base e cervelletto sono strutture volte a raffinare e controllare i movimenti, tuttavia tra le due ci sono sia analogie che differenze: per quanto riguarda l’analogia, entrambi ricevono cospicue proiezioni dalla corteccia cerebrale e, attraverso il talamo, vi riproiettano; per quanto riguarda le differenze, i GdB proiettano alla corteccia motoria (M1), premotoria e prefrontale, mentre il cervelletto proietta solo alla motoria e alla premotoria, e inoltre i GdB hanno poche connessioni con il tronco encefalico e soprattutto nessuna con il midollo spinale (invece il cervelletto presenta importanti connessioni, afferenti ed efferenti, con molti nuclei del tronco encefalico e con il midollo spinale, da cui riceve informazioni somatosensoriali mediante la via spino-cerebellare) 3. Primo circuito caudatale (cognitivo) Il primo circuito caudatale è associato a funzioni di tipo cognitivo, e diparte dalle aree prefrontali, in particolare dalla corteccia dorsolaterale prefrontale (aree 9, 10, 46) dalla corteccia premotoria e anche in tal caso dall’area 7 della corteccia parietale posteriore. Queste proiettano alla testa del caudato (in una parte diversa da quella del secondo circuito caudatale), il quale riceve gran parte delle sue afferenze corticali proprio dalle aree associative che integrano differenti tipi di informazioni sensoriali e motorie (quindi si ha carattere polimodale). Anche in tal caso vi saranno prima proiezioni al globo pallido interno e alla SNpr, e poi proiezioni d’uscita verso i nuclei talamici, i quali riproiettano verso aree da cui ha avuto origine il circuito, in particolare le aree 9, 10, 46 della corteccia prefrontale dorsolaterale. In tal caso il caudato ha un ruolo rilevante nei processi cognitivi, in particolare nella messa in atto di strategie motorie (per raggiungere un certo obiettivo) che utilizzano sia informazioni sensoriali in ingresso sia quelle già memorizzate (derivate dall’esperienza passata). 4. Secondo circuito caudatale Nel secondo circuito caudatale l’input origina dalla corteccia orbitofrontale (10 e 12), superotemporale e infratemporale e si conduce alla testa del caudato; infine tramite globo pallido interno e SNpre poi talamo, l’output riconduce alla corteccia orbitofrontale. Anche in questo caso il circuito sovrintende processi di tipo cognitivo, di selezione e svolgimento di strategie per raggiungere uno scopo (in particolare nel passare da una strategia considerata inappropriata a un'altra), tanto che in presenza di alterazione di questo circuito, si può osservare la cosiddetta perseveranza, caratterizzata dalla ridondanza nello scegliere strategie inappropriate e quindi commettere gli stessi errori. E’ un circuito importante anche nell’ambito delle interazioni sociali, per cui lesioni di tale circuito possono condurre a uno stato di irritabilità, mancata relazione in termini di empatia, talvolta a sindrome ossessivo-compulsiva. 5. Circuito cingolo-striato (limbico) L’ultimo circuito è quello cingolo-striato, che origina dalla corteccia cingolata anteriore che comprende numerose regioni corticali (l’area 24, le aree orbitofrontali, la corteccia entorinale, ippocampo, amigdala, e il lobo temporale) Tali proiezioni si portano allo striato ventrale (nucleo accumbens) che integra proprio le informazioni in arrivo dal sistema limbico; infatti tale circuito è legato a funzioni motivazionali e appetitive, con comportamenti messi in atto se guidati da una ricompensa. Striato Le funzioni del nucleo caudato e del putamen, che insieme costituiscono lo striato, sono differenti, tuttavia la loro struttura citoarchitettonica è simile. Nello striato sono presenti due tipi di neuroni dei quali: il 95% è rappresentato da neuroni di proiezione GABAergici (spinosi), che sono target sia delle proiezioni che giungono allo striato dalla corteccia, sia fonte di efferenze (globo pallido e sostanza nera); e il 5% da interneuroni (aspinosi), che a dispetto della loro bassa numerosità, sono responsabili della maggior parte dell’attività tonica dello striato, e possono essere colinergici o GABAergici. I neuroni dello striato hanno inoltre due tipi di recettori per la dopamina, a seconda del target di proiezione, coinvolti nella via nigrostriatale (via dopaminergica proveniente dalla SN pars compacta): neuroni che proiettano al GPi e alla sostanza nera pars reticulata hanno recettori di tipo D1, eccitatori, che facilitano la trasmissione, mentre neuroni che proiettano al GPe hanno recettori D2, inibitori, che inibiscono la trasmissione. Pertanto le proiezioni dopaminergiche della via nigro-striatale possono avere un determinato effetto su una via e l’effetto opposto su un’altra (i neuroni striati che hanno sulla propria membrana i recettori D1 sono detti striosomi, isolotti dispersi nella matrice) I neuroni spinosi, di proiezione, hanno una bassa frequenza di scarica di tipo spontaneo, spesso anzi possono essere del tutto silenti, ma raggiungono frequenze di scarica molto elevate durante la preparazione all’esecuzione motoria. Nei movimenti visuo-guidati i neuroni scaricano dopo una latenza maggiore rispetto a quelli della corteccia motoria primaria, pertanto non sembrano essere correlati all’avvio di questo tipo di movimenti; grande importanza invece rivestono nella generazione di movimenti generati dalla volontà e non guidati da stimoli visivi (es. camminare o alzare il braccio). I neuroni caudatali rispondono a stimoli visivi o uditivi solo se questi presentano un significato rilevante nell’attuazione di un comportamento, e non rispondono alla semplice presentazione di oggetti se privi di significato. Il legame tra il caudato e funzioni di tipo anticipativo ed attentivo è dimostrato dall’attivazione di neuroni all’inizio di un compito fino all’acquisizione di una ricompensa. FUNZIONAMENTO DEL CIRCUITO MOTORIO La disposizione dei neuroni nei circuiti che collegano la corteccia ai Gdb è complessa, non vi sono reti neuronali aventi un’organizzazione ben definita. I due nuclei di uscita dei gangli della base, il globo pallido interno e la parte reticolata della sostanza nera, inviano fibre inibitorie GABAergiche verso i nuclei talamici ventrale anteriore e ventrale laterale, i quali, a loro volta, inviano sulla corteccia fibre eccitatorie glutammatergiche. Quando il circuito motorio entra in funzione, i segnali che originano dalla corteccia cerebrale raggiungono il globo pallido interno e la parte reticolata della sostanza nera attraverso le vie iperdiretta, diretta e indiretta. Il processamento dell’input proveniente dalla corteccia avviene attraverso queste vie parallele, di cui la via diretta ha effetto facilitatorio sul movimento, mentre quella indiretta ha effetto inibitorio; a queste due è aggiunta quella dopaminergica nigro-striatale, in cui l’input origina dalla substantia nigra per arrivare allo striato. La via diretta è costituita da connessioni in serie che vanno: - Dalla corteccia allo striato (eccitatorie), - Dallo striato al complesso GPi+ SNpr (inibitorie) - Dai nuclei in uscita al talamo (inibitorie) - Infine le connessioni eccitatorie talamo-corticali chiudono il circuito. Nel contesto del controllo motorio, la via diretta è facilitatoria sul movimento, in quanto il 95% dei neuroni striatali sono GABAergici, dunque lo striato, stimolato dalla corteccia, inibisce il complesso GPi+SNpr, rimuovendo in tal modo l’azione inibitoria che il complesso esercita sul talamo (doppia inibizione=attivazione, meno per meno fa +) Compromissioni o interruzioni della via diretta porteranno dunque a una riduzione nell’avvio del gesto motorio. La via indiretta invece consta di una connessione indiretta tra lo striato e il GPi+SN retic (nuclei d’uscita), in quanto tra questi c’è l’interposizione del globo pallido esterno e del nucleo subtalamico. Quindi avremo una proiezione eccitatoria che dalla corteccia si porta sempre allo striato, ma questo proietterà prima al globo pallido esterno, a cui seguirà il nucleo subtalamico, e solo questo proietterà ai nuclei di uscita. Poiché il nucleo subtalamico ha una funzione eccitatoria sul complesso GPi+SNpr, a sua volta inibitoria sul talamo, la via indiretta è inibitoria sul movimento. In conclusione l’idea è che il controllo del movimento si svolge nel bilanciamento di queste due vie e la compromissione di uno o più elementi del circuito porterà inevitabilmente a un movimento patologicamente alterato (esaltato o inibito). Esiste un’ulteriore via in aggiunta alle due sopracitate, che prende il nome di via iperdiretta, che bypassa la connessione cortico-striatale, e collega direttamente la corteccia al nucleo subtalamico, con ruolo attivatorio su quest’ultimo, ma l’effetto finale sarà lo stesso della via indiretta, ossia inibizione del movimento. Infine, nel contesto della circuitistica descritta costituita da queste tre vie, si inserisce un altro sistema, quello dopaminergico della via nigro- striatale, che trasporta input dalla pars compacta della substntia nigra ai neuroni dello striato, e che quindi influenza sia la via diretta che quella indiretta. I neuroni striatali possono presentare due tipi di recettori dopaminergici, D1 e D2, che hanno ruoli opposti, rispettivamente facilitano e inibiscono la trasmissione, in quanto i recettori D1 sono accoppiati a una proteina G stimolatoria, mentre nel caso dei recettori D2 è coinvolta una proteina G inibitoria. La presenza della via dopaminergica nigro-striatale influenza sia la via indiretta che diretta, con effetto finale quello di facilitare il movimento; questo accade perché i neuroni striatali che partecipano alla via diretta possiedono recettori D1, e dunque verranno stimolati dalla dopamina, mentre i neuroni striatali che partecipano alla via indiretta possiedono i recettori D2, dunque verranno inibiti dalla dopamina. Nel complesso si avrà quindi la stimolazione della via diretta (che è facilitatoria sul movimento) e l’inibizione di quella indiretta (che è inibitoria sul movimento) MORBO DI HUNTINGTON È caratterizzato da movimenti coreici (alterazione del movimento), ma anche demenza e a volte ipotonia: ci troviamo in una situazione opposta dal Parkinson, con ipercinesia e ipotonia. Il morbo di Huntington è una malattia genetica dovuta ad una mutazione del cromosoma 4 che porta piuttosto rapidamente a morte: i movimenti di tipo coreico (involontari) compaiono più tardi rispetto agli altri segni e possono aumentare significativamente con il tempo, così come anche le funzioni cognitive, le quali possono deteriorare fino alla demenza. Il morbo di Huntington è caratterizzato dalla perdita diffusa di neuroni in tutto il cervello, ma soprattutto a livello del nucleo striato; la perdita dei neuroni striatali è selettiva poiché riguarda preferenzialmente quelli che proiettano dallo striato al globo pallido esterno (facenti parte della via indiretta che viene intaccata). Questi neuroni vengono meno perché nei pazienti si ha una notevole riduzione dell’acetilcolina- trasferasi (enzima necessario per la sintesi di acetilcolina) e della glutammino-decarbossilasi (necessario per la sintesi del GABA). Quando parliamo di morte cellulare, questa può essere scatenata da diversi fattori, ma in questo caso è dovuta a eccitossicità del glutammato, in cui si assiste alla trasformazione di un meccanismo di comunicazione tra cellule in un meccanismo di distruzione cellulare: il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale, viene rilasciato e lega recettori specifici. Quindi la morte cellulare è scatenata da un’azione persistente (e non transitoria come avviene normalmente) su questi recettori che porta ad un eccessivo ingresso di calcio a livello post- sinaptico. Dunque si ha una perdita selettiva dei neuroni striatali facenti parte della via indiretta che ha un effetto inibitorio sul movimento: l’ipoattività di questa via spiega gli aspetti ipercinetici della malattia; ciò che accade in questo caso è che manca l’input inibitorio sul nucleo pallido esterno, questo aumenta l’inibizione sul nucleo subtalamico da parte del globo pallido esterno e si riduce quindi il segnale eccitatorio sui nuclei d’uscita (quale il nucleo pallido interno) e quindi viene meno l’inibizione sul talamo. In sintesi: siamo di fronte a ipoattività della via indiretta cui consegue una diminuzione dei segnali inibitori sul talamo e un’esaltazione dell'input dal talamo alla corteccia. Sebbene non vi sia una terapia specifica, la somministrazione di sostanze bloccanti la dopamina migliora la sintomatologia, quindi abbiamo una situazione che può essere modulata anche dall’intervento della via nigro-striatale: se togliamo l’input che normalmente è inibitorio la malattia può migliorare in quanto essa è di per sé un eccesso di input inibitorio della via nigro-striatale sulla via indiretta attraverso i recettori D2. EMIBALLISMO È dovuto a lesioni, spesso vascolari, che coinvolgono il nucleo subtalamico, ed è un disturbo del movimento in cui insorgono movimenti involontari, spesso violenti, e ampi dell’arto prossimale controlaterale alla lesione: il braccio è sempre coinvolto, spesso lo sono anche gli arti inferiori, la faccia, la lingua, la faringe o i muscoli assiali e cervicali. I movimenti che insorgono sono caratterizzati da un elevato grado di organizzazione (coreiformi) ma a volte possono anche essere più irregolari. Questa associazione tra lesione del nucleo subtalamico e emiballismo è molto interessante perché è una delle forme più chiare delle correlazioni tra una lesione specifica (in particolare a livello dei gangli della base) e la sintomatologia. Dal punto di vista anatomico il nucleo subtalamico è in una posizione ideale per modulare l’attività dei nuclei attraverso le vie di tipo eccitatorio verso il globo pallido interno e la substantia nigra- pars reticulata: si vede che lesioni a livello del pallido interno o del nucleo ventrolaterale del talamo (che riceve da esso) aboliscono queste forme di discinesia, dunque l’integrità di tutte queste strutture è necessaria per il manifestarsi di questo disordine. pallido interno e le forme di ipercinesia. La parte del circuito che viene coinvolta in questo caso è il nucleo subtalamico che viene lesionato, di conseguenza viene meno l’input eccitatorio sul globo pallido interno e sulla substantia nigra-pars reticulata e dunque si ha una diminuzione dell’influenza inibitoria che i gangli della base hanno sul talamo: siamo di nuovo nel caso di un’ipoattività della via indiretta (a causa di lesioni del nucleo subtalamico e non della proiezione tra striato e pallido esterno come visto precedentemente) che spiega la riduzione dei segnali inibitori del globo Di fatto possiamo concludere che ci si trova di fronte a due tipi di disturbi: ipocinetici e ipercinetici; in entrambi i casi si è visto come questi siano accompagnati anche da alterazioni del tono muscolare: nel caso di disturbi ipocinetici abbiamo rigidità, mentre nel caso di quelli ipercinetici si ha ipotonia. I disturbi ipocinetici ben si spiegano attraverso un’iperattività della vita indiretta mentre i disturbi ipercinetici emergono a seguito dell’ipoattività della via indiretta, quindi appena questi equilibri si alterano in una direzione o nell’altra emergono questi tipi di disturbi. Ci si è concentrati sugli aspetti motori e soprattutto si è fatto riferimento al putamen (la parte dei cinque circuiti legato al controllo motorio), però bisogna ricordare che ci sono anche funzioni non motorie, soprattutto quando viene coinvolto il caudato (circuito prefrontale caudatale o circuito orbito-frontale laterale, sempre di tipo caudatale: il primo è coinvolto nell’organizzazione di risposte comportamentali andando ad utilizzare abilità di tipo verbale per la soluzione di problemi più astratti, il secondo invece di risposte appropriate socialmente). Questo per ricordare di non associare i gangli della base esclusivamente a problemi motori. LA LOCOMOZIONE La deambulazione è una forma di locomozione caratterizzata da un evento ciclico il cui elemento principale è detto passo: la distanza tra la stessa posizione assunta dal medesimo piede nello spazio in tempi successivi identifica il passo, mentre la distanza che intercorre tra il contatto con il terreno di un piede e il contatto con il terreno dell’altro piede si chiama semipasso (in un bipede). La camminata viene descritta non da un singolo passo ma da un insieme di questi. La locomozione umana consiste in movimenti ciclici e alternati degli arti inferiori durante i quali ciascun arto viene in contatto con il terreno, sostenendo il peso corporeo per un certo periodo di tempo, per poi venire portato in avanti. Il periodo in cui l'arto rimane in contatto con la superficie di supporto prende il nome di periodo di appoggio, mentre quello in cui l'arto viene sollevato dal suolo e spostato in avanti si chiama periodo di oscillazione. La deambulazione è un processo controllato dal midollo spinale, nel quale esistono gruppi neuronali che coordinano la loro attività per regolare fenomeni neuronali oscillatori (così come ciclico è il passo, oscillatori sono questi fenomeni neuronali) che sottostanno a oscillazioni di contributi muscolari. I muscoli degli arti inferiori sono classificati come estensori e flessori rispetto all’articolazione su cui intervengono e pertanto l’alternanza è, quindi, tra muscoli estensori e flessori. Il midollo spinale è il regolatore primario di questa alternanza muscolare e neuronale, ma su di esso intervengono proiezioni discendenti provenienti da strutture superiori: non fa tutto da solo. Locomozione vuol dire spostare il proprio corpo in un altro “loco” nello spazio, e siccome nel corso dell’evoluzione sono state prodotte vari tipi di movimento (i pesci nuotano, gli uccelli volano), la locomozione assume varie forme, che anche se apparentemente molto dissimili tra loro sono tutte accomunate dallo stesso processo: un’alternanza ritmica e automatica di movimenti del corpo e delle appendici (arti, ali) La deambulazione è quindi la forma di locomozione utilizzata dall’uomo. La meccanica del cammino Per descrivere la meccanica del cammino si parte da una generica definizione delle due fasi principali che lo compongono, che sono l’appoggio e l’oscillazione. Considerando un singolo arto: Il soggetto che cammina ha, rispetto all’arto di riferimento (convenzionalmente il dx) la possibilità di definire momenti differenti in cui l’arto appoggia sul terreno (ossia anche se la posizione del corpo o della gamba considerata varia, finché il piede dell’arto considerato tocca il terreno si parla di periodo di appoggio) In questo periodo d’appoggio quindi l’arto destro, che stiamo considerando, è appoggiato sul terreno, mentre quello sinistro no, e per lui quindi non è periodo di appoggio. Questa fase si differenzia dalla successiva in cui il piede destro non è più in contatto con il terreno e sta in quella che viene chiamata fase di oscillazione, in cui l’arto, sollevato dal suolo, facilita la traslocazione del corpo in una posizione differente = atto della locomozione. Quindi il periodo in cui l’arto rimane in contatto con la superficie di supporto prende il nome di periodo di appoggio o di supporto, mentre quello in cui l’arto viene sollevato dal suolo e traslocato in avanti è denominato periodo di oscillazione. Questo è dovuto al fatto che: 1. La postura bipede è più complicata di quella quadrupede (gatto descritto da Philippson): non tutti i muscoli all’arto inferiore agiscono esclusivamente come flessori ed estensori, e la loro azione meccanica dipende dalla postura dell’arto. Il ruolo di flessori ed estensori può essere molto dipendente dalla postura, infatti l’attivazione specifica di alcuni muscoli non è legata solamente all’articolazione coinvolta, ma al fatto che il bipede ha una gestione del centro di massa molto più delicata rispetto al quadrupede, dovendosi appoggiare su solamente due punti. 2. Alcuni muscoli, come ad esempio il quadricipite femorale, sono biarticolari, ossia esercitano un’azione meccanica su più di un’articolazione. CONTROLLO NERVOSO DELLA LOCOMOZIONE Il sistema locomotore è un sistema spinale e questo è interessante perché si potrebbe pensare che il midollo spinale isolato possa ancora permette al soggetto di camminare, ma la clinica insegna che non è così, infatti se è presente un’interruzione delle fibre che scendono da strutture superiori al midollo spinale, il soggetto non cammina; eppure se lo stesso soggetto viene imbracato in maniera da tenerlo sollevato, oppure viene posto in acqua (per annullare la forza di gravità), riprende a camminare. Ciò significa che, nel caso del cammino e soprattutto nei soggetti bipedi, il midollo spinale richiede delle afferenze superiori per gestire l’interazione tra i muscoli coinvolti. Quindi: lo schema motorio di base del passo (ritmicità e cinematica) viene generato da circuiti spinali, mentre la capacità di iniziare o di arrestare il cammino, di variarne la velocità, di cambiare direzione, dipendono dal controllo integrato di diversi centri superiori. Il midollo spinale presenta una struttura deambulante, localizzata a livello della parte bassa del midollo lombare, al quale arrivano proiezioni discendenti provenienti dalla sostanza reticolare, dal locus coeruleus, dai nuclei del rafe, da strutture pontine e dalla regione locomotoria mesencefalica (RLM). Da questo comprendiamo che il midollo spinale, che contiene a livello lombare un’organizzazione tale da garantire l’espressione di alternanze muscolari oscillanti tipiche del cammino, per adempiere la sua piena funzione, ha bisogno di diversi segnali, anche solo per cambiare il ritmo del cammino. Queste necessità sono ottenute grazie alla partecipazione di tutte queste strutture sopracitate, che inviano verso il midollo proiezioni di tipo eccitatorio di natura differente: glutammatergiche, serotoninergiche e adrenergiche (noradrenalina). Prendendo un soggetto con lesione spinale, e mettendolo sopra a un tapis roulant sollevandone il peso grazie ad un’imbracatura (con lo scopo di eliminare l’azione della forza di gravità), tale soggetto, nonostante la lesione che interrompe le vie discendenti che afferiscono al MS, sarà in grado di camminare. Lo stimolo in questo caso è l’attivazione passiva dei muscoli: ciò significa che dai muscoli originano dei segnali presenti nei fusi neuromuscolari che fungono da stimolo e attivano passivamente i muscoli, dunque lo stimolo, che parte dalla periferia e attiva i muscoli, non può che esser basato su una circuiteria all’interno del midollo spinale. Quindi: per generare gli schemi motori di base del cammino non sono necessarie formazioni sovraspinali, ma la ritmicità di base del cammino è prodotta da circuiti neurali situati interamente all’interno del midollo spinale. Oltre a eliminare gli input corticali che scendono al midollo spinale, si possono tagliare, nel modello animale - oppure se considero un paziente che ha subito lesioni particolari - le fibre che portano le informazioni dalla periferia: in questo caso il soggetto, anche se posto sul tapis roulant come visto precedentemente, non camminerebbe, perché gli input dalla periferia non riescono ad arrivare. Quindi i pattern sono gestibili dal midollo spinale e intrinseci al midollo stesso, e possono essere attivati da input periferici; se si eliminano gli input si possono attivare le sequenze di oscillazione in maniera artificiale, creando un’eccitazione. Avendo quindi isolato il midollo spinale sia dagli input corticali/sottocorticali che dagli input in arrivo dalla periferia, o attivando elettricamente o iniettando all’interno della zona intermedia del midollo lombare delle sostanze attivanti quali glutammato, dopamina e serotonina, può essere restituita la funzione del cammino. Questa capacità intrinseca del midollo di generare attività ritmiche alternate nei muscoli flessori ed estensori dell’arto inferiore è resa possibile dal fatto che a livello del midollo lombare sono presenti i gruppi neuronali chiamati central pattern generator (centri generatori del cammino), dove per pattern si intende l’oscillazione muscolare che si osserva in periferia, in grado di produrre il ritmo locomotorio. È necessario sottolineare da subito che il midollo spinale non è coinvolto nell’attività deambulatoria soltanto con la regione lombare: quest’ultima, infatti, è la regione dove sono presenti i gruppi neuronali che controllano i muscoli degli arti inferiori, ma in realtà quando camminiamo oscilliamo anche gli arti superiori (fenomeno di controfase). Dunque, tra il midollo cervicale, che controlla gli arti superiori, e il midollo lombare che controlla gli arti inferiori, vi è un’interazione che coinvolge l’intero midollo spinale: è stato infatti osservato in modelli animali che quando il central pattern generator nel midollo comincia la sua attività oscillante questa si ripercuote all’interno di tutto il midollo spinale. Quindi il MS viene interessato da un’attività ritmica coordinata, che si estende, tramite di interneuroni, per tutta la sua lunghezza (connessione tra metameri spinali): abbiamo quindi questi interneuroni localizzati nella zona intermedia della sostanza grigia spinale lombare, che possono produrre un’attività ritmica anche in assenza di segnali di controllo sopraspinali. Il fatto che il midollo sia in grado di gestire indipendentemente il cammino, lo vediamo anche dal neonato: quando questo viene sollevato, e quindi svincolato dalla necessità di controllare il peso, il midollo spinale fa emergere il suo pattern innato di oscillazione, e il bambino sembra camminare (stepping neonatale). Ovviamente il neonato ancora non ha la capacità di camminare perché deve prima imparare a stare in piedi, ma questo dimostra che il suo MS ha già pronti i sistemi oscillanti che saranno poi necessari per permettergli di camminare quando avrà imparato a tenere il corpo in posizione bipede. Il midollo spinale contiene i central pattern generator, o generatori centrali di schemi motori (GCS), che sono una rete neurale, quindi: neuroni di uscita (ovvero i motoneuroni che vanno ai muscoli) e una serie di neuroni localizzati a livello lombare ma che si estendono per tutta la lunghezza del midollo, che forniscono l’attività ritmica che sta alla base del cammino. Come vengono generate le attività ritmiche dei muscoli estensori e flessori? Una proposta che è stata fatta è che queste reti neurali siano molto ridondanti, e siano formate da gruppi neuronali che non sono tutti attivi nello stesso momento, ma sono in grado di sostenere attività molto lunghe perché hanno la capacità di alternare la loro partecipazione, quindi di darsi il cambio durante l’affaticamento gestendo gruppi muscolari differenti. Il sistema proposto è quindi quello dell’inibizione reciproca dei gruppi neuronali, che spiega come muscoli estensori e flessori si coordino tra loro durante il cammino: il modello di riferimento per comprendere come funziona il cammino, e quindi per capire la teoria dell’inibizione reciproca, è il riflesso estensorio crociato. Tale riflesso viene messo in atto nel momento in cui un input quale uno stimolo dolorifico al piede, porta come effetto finale l’allontanamento del piede stesso dal punto di appoggio: questo stimolo attiva un nocicettore periferico, che lo trasduce (tramite un neurone sensoriale primario) a livello del midollo dove avvengono diversi effetti: - Ci sarà l’attivazione delle vie ascendenti che porteranno alla sensazione cosciente (dolore) - Ma soprattutto ci sarà il riflesso estensorio crociato: l’attivazione del muscolo flessore allontana il piede dallo stimolo doloroso e nella stessa gamba si inibisce l’estensore antagonista; contemporaneamente (poiché vi è stata una variazione nella distribuzione del peso) nell’altra gamba viene attivato un muscolo estensore e inibito il muscolo flessore antagonista. In pratica se i muscoli flessori di una gamba si contraggono, gli estensori della stessa devono essere inibiti, e nell’altra gamba bisogna ottenere l’effetto opposto, quindi flessori inibiti e estensori contratti, perché mentre una gamba si sta occupando di gestire il peso, l’altra si sta occupando di traslocare la massa. Questo ovviamente a livello neuronale è spiegato dal fatto che gli interneuroni che attivano i motoneuroni dei muscoli flessori, inibiscono gli interneuroni che attivano i motoneuroni degli estensori e viceversa. Dunque esistono schemi del cammino, perché esistono gruppi neuronali (a livello lombare) che hanno uno schema, quindi il cammino è insito nell’attività di gruppi neuronali spinali. Detto ciò, si può definire la locomozione come un atto automatico, perché basato su riflessi, questo non vuol dire però che sia sempre uguale, ovvero stereotipato, infatti sia i segnali afferenti dalla periferia, che quelli discendenti dai centri superiori, possono modificarlo. I segnali che hanno quindi un’influenza sul midollo sono: ● Somatosensitivi (afferenze sensoriali): capaci di entrare immediatamente nel circuito, poiché provengono da recettori muscolari e cutanei, possono modificare l’atto automatico del cammino in seguito ad eventi inattesi o variazioni del terreno; ● Provenienti da strutture superiori: rappresentati dalla posizione della testa, quindi il senso dell’equilibrio nell’apparato vestibolare, oppure la vista per quanto riguarda ostacoli evidenti. Ruolo dei segnali afferenti somatosensitivi Le afferenze somatosensitive derivano da propriocettori che si trovano nei muscoli e nelle articolazioni (quindi fusi e organi tendinei) e dagli esterocettori che portano informazioni dalla cute (e che determinano un adeguamento del cammino rispetto a stimoli esterni) Durante il ciclo del passo, i segnali provenienti da questi recettori forniscono al midollo informazioni su come e quanto l’arto viene caricato e scaricato interagendo con il terreno, o sulla presenza di eventuali perturbazioni quali una superficie accidentata. Ad esempio, i segnali afferenti somatosensitivi riescono a far variare la velocità del passo quando varia la sua frequenza: quando la frequenza del passo aumenta (ciò dipende da input discendenti) la fase di appoggio diminuisce, mentre la fase di oscillazione resta invariata. Una cosa simile avevamo visto nel ciclo cardiaco: con l’aumento della frequenza cardiaca la diastole si accorciava ma la sistole restava invariata; qui, poiché l’atto necessario è quello di traslocare, la fase di oscillazione resta essenzialmente invariata, mentre diminuisce la fase di appoggio; in questo modo la durata si accorcia. Quindi se cambia la velocità del passo si osserva una temporalizzazione differente tra flessori ed estensori. Per quanto concerne gli stimoli propriocettivi ce ne sono due principali che regolano la transizione tra fase di appoggio e di oscillazione: un primo segnale origina dai fusi neuromuscolari dei muscoli flessori prossimali quali l’ileopsoas, che secondo riflesso miotatico, in seguito al loro stiramento aumenta l’attività dei motoneuroni che stimolano i flessori, provocando la flessione dell’arto e dunque l’inizio della fase di oscillazione. Dunque il cervelletto confronta i movimenti che si stanno eseguendo, in quanto ha accesso ai segnali propriocettivi, con quelli che si vorrebbero eseguire, potendo accedere anche ai segnali provenienti dalla corteccia. Quindi, attraverso i segnali che alla fine arrivano al generatore spinale, è in grado di fare un confronto e di mettere a disposizione un controllo superiore, anche grazie ai segnali vestibolari (vestibolo- cerebello). Schema del controllo nervoso della locomozione: reti neurali nel midollo spinale sono responsabili della generazione di uno schema generale del passo, grazie all’apparato muscolo-scheletrico e ai segnali afferenti propriocettivi ed esterocettivi. Questo è regolato dai segnali afferenti sia attraverso un feedback diretto sui circuiti spinali, sia mediante un ulteriore stadio di elaborazione cerebellare. La funzione cerebellare garantisce gli aspetti di coordinazione intersegmentaria e cinematici del passo, nonché il mantenimento della postura antigravitaria. I centri spinali sono, inoltre, modulati dal centro locomotorio mesencefalico, la cui attività può promuovere l'avvio della locomozione e le variazioni di frequenza del passo che accompagnano le modificazioni di velocità del cammino. Infine, il centro locomotorio mesencefalico e i circuiti spinali sono sottoposti al controllo da parte di aree corticali che, di concerto con i gangli della base e il cervelletto, presiedono alle modificazioni volontarie e al controllo visuomotorio della locomozione. Ricordiamo poi che le aree corticali hanno una proiezione diretta all’apparato muscolo-scheletrico e indiretta al central pattern generator, mediata dal tronco encefalico. IL LINGUAGGIO Il linguaggio ha la caratteristica di essere una funzione specifica dell’uomo, difatti non esiste alcun modello animale che ci permette di studiarlo appieno: quello che conosciamo sul linguaggio umano è basato su studi condotti sull’uomo fondati sull’ osservazione delle conseguenze di lesioni (assegnazione della regione lesionata alla funzione che viene persa) È stato osservato da numerosi studiosi che l’uomo presenta una tendenza spontanea a parlare, i bambini infatti cominciano ad emettere i primi suoni simili a parole all’età di 5-7 mesi, e mano mano aumenta la capacità di apprendere nuove parole, tanto che verso i 3 anni usano già vocaboli e forme grammaticali in modo corretto e conversano in maniera fluente ed espressiva. Tuttavia il linguaggio non può essere considerato una capacità del tutto innata in quanto svolge un’importante funzione anche l’apprendimento: ogni bambino acquisirà il linguaggio al quale verrà esposto. Possiamo dire che il linguaggio viene appreso, ma la capacità di apprenderlo è innata: vi è una sorta di predisposizione ad imparare a parlare, sulla quale poi incide l’apprendimento. Studi sugli animali e su alcune loro forme di comunicazione hanno messo in luce che il linguaggio è una prerogativa esclusivamente dell’uomo, proprio perché, essendo un sistema di comunicazione tra individui della stessa specie, è meglio sviluppato in specie come l’uomo che hanno un’accentuata organizzazione sociale: è comunque riconosciuta un’evoluzione di tipo darwiniana del linguaggio a partire dalle diverse specie che hanno condotto all’uomo, dopo la separazione con le specie che hanno condotto agli scimpanzè. Geshwind, esaminando le strutture cerebrali di mammiferi superiori ed esseri umani, notò la presenza in quest’ultimi di una struttura cerebrale assente negli altri animali: si tratta del lobo parietale inferiore dell’emisfero sinistro, che include il giro angolare e il giro sopramarginale (aree 39 e 40) Il linguaggio è quindi un sistema di comunicazione che permette di trasmettere informazioni da un individuo all’altro attraverso una serie complessa di segnali, di conseguenza sia colui che trasmette sia colui che riceve, devono essere dotati di: sistemi in grado di produrre il segnale, e sistemi in grado di comprendere il segnale. Quindi non si tratta solo dell’abilità da parte di un soggetto di riuscire ad esprimere un pensiero, ma anche il suo riuscire ad intercettare e comprendere in maniera adeguata il pensiero che un altro soggetto ha emesso sottoforma ad esempio di linguaggio verbale. Di conseguenza il linguaggio è un comportamento cognitivo complesso che implica diverse abilità correlate tra loro: - Acquisizione delle informazioni sensoriali (sia visive che uditive) - La loro interpretazione ed elaborazione - Coordinazione dell’attività motoria per la vocalizzazione o la scrittura Le aree del linguaggio Gran parte delle conoscenze che oggi abbiamo sul linguaggio derivano dagli studi sulle afasie, alterazioni specifiche del linguaggio, determinate da lesioni cerebrali circoscritte, in seguito a incidenti vascolari cerebrali o traumi del capo. Questi studi hanno inizialmente messo in evidenza due nozioni fondamentali: - Dominanza emisferica: nella maggior parte dei soggetti destrimani e mancini, il linguaggio dipende in maniera critica dall’emisfero sinistro. - Le lesioni che interessano due aree corticali connesse con il linguaggio dette area di Broca e di Wernicke, localizzate una nella regione frontale e l’altra nel lobo temporale posteriore superiore, determinano la comparsa delle afasie clinicamente più diffuse. Da questi primi studi fu elaborato un modello del linguaggio, riconosciuto come modello di Wernicke-Geshwind, alla base del quale vi erano le aree di Wernicke e Broca, con le funzioni rispettivamente di analizzare le immagini acustiche delle parole e di articolarle foneticamente. Inoltre si riteneva che esse fossero collegate da un fascio unidirezionale, il fascicolo arcuato, e che a loro volta queste due aree interagissero con altre aree associative. Questo modello generale ha costituito lo schema di fondo dal quale sono partite tutte le successive ricerche sulle basi neurali del linguaggio, tuttavia recenti studi hanno dimostrato che presenta delle limitazioni: le aree implicate sono in realtà molteplici, sia corticali che sottocorticali, e l’area di Wernicke e di Broca non presentano un ruolo così netto come era stato ipotizzato dal vecchio modello, oltre al fatto che il fascicolo arcuato è un sistema bidirezionale che mette in comunicazione estese parti delle cortecce sensitive con le cortecce prefrontale e premotoria. Oggi, invece di ricorrere come un tempo a dati autoptici, si possono ottenere immagini del cervello in vivo (neuroimaging), identificando aree di danno mediante la risonanza magnetica (MRI) e la tomografia a emissione di positroni (PET), e le aree delle lesioni possono essere analizzate con tecniche computerizzate per identificarne in modo accurato la localizzazione e la dimensione Le principali aree devolute all’analisi di caratteristiche del linguaggio sono: - Cortecce associative delle regioni frontale, temporale e parietale sinistre: sembrano avere importanza per l’interfaccia tra concetti e linguaggio. - Regione insulare sinistra: importante per l’articolazione del linguaggio. - Area prefrontale e giro del cingolo: migliorano il controllo esecutivo e l’intervento della memoria e dei processi dell’attenzione. - Area di Broca: localizzata nel giro frontale inferiore (44 e 45), presiede per lo più al controllo della fonazione data la sua vicinanza con le aree motorie, inoltre sembra avere rapporti con la memoria a breve termine, in particolare costituirebbe il circuito di ripasso linguistico-verbale. - Area di Wernicke: localizzata nella corteccia temporale superiore, presiede alla comprensione del linguaggio ascoltato: è considerata un elaboratore di suoni in grado di associare suoni e concetti. APPRENDIMENTO E MEMORIA Nella specie umana i meccanismi più importanti con cui l’ambiente influisce sul comportamento sono l’apprendimento e la memoria. • L’apprendimento è il processo attraverso il quale gli individui acquisiscono conoscenze relative al mondo circostante. Secondo Thorpe l’apprendimento è un processo costituito da errori e rinforzi intesi come ricompense, che permettono di adattare continuamente il proprio comportamento rispetto all’esperienza; sostanzialmente vuol dire che l’esperienza del mondo esterno provoca sempre un cambiamento adattativo nel soggetto. • La memoria è basata sull’apprendimento ed è il processo mediante il quale le conoscenze acquisite vengono immagazzinate, per poi utilizzarle in caso di necessità. In questo contesto è utile dire che alla memoria debba essere sempre affiancata la capacità di dimenticare (esistono patologie caratterizzate dall’incapacità di dimenticare, cosa che risulta essere inefficiente per un sistema sano) La conservazione delle tracce mnemoniche interessa molte regioni cerebrali, tuttavia non tutte le regioni rivestono eguale importanza, e alcune sono più importanti di altre per certi tipi di memoria che non per altri, ad esempio la memoria procedurale ha sede nei gangli della base, oppure la capacità di ricordare un numero di telefono appena ascoltato è la memoria di lavoro avente sede nella corteccia prefrontale. Esperimenti Il primo a interrogarsi su quali fossero le sedi della memoria fu Karl Lashley, il quale eseguì esperimenti su cavie cercando la localizzazione delle componenti neurali della memoria, ossia gli engrammi (segni delle tracce lasciate dalle esperienze passate): lesionò sistematicamente diverse porzioni del cervello dei ratti testandoli in labirinti da cui essi avevano già appreso come uscire, ed evidenziò una graduale e inesorabile caduta della prestazione all’aumentare della superficie lesa. L’engramma è dunque distribuito in numerose aree interconnesse. Il primo che riuscì a ottenere la prova che i processi mnemonici fossero localizzati in regioni cerebrali specifiche fu il neurochirurgo Penfield, che aveva cominciato ad applicare metodi di stimolazione elettrica per mappare le funzioni motorie, sensitive e del linguaggio nel corso di operazioni chirurgiche eseguite su pazienti per il trattamento di forme di epilessia. Tra questi, il paziente H.M. era un uomo di 27 anni che aveva sofferto per più di 10 di attacchi epilettici bilaterali del lobo temporale: nel corso dell’intervento chirurgico gli furono asportati bilateralmente la formazione dell’ippocampo, l’amigdala e parti delle aree associative del lobo temporale. Dopo l’intervento, gli attacchi epilettici poterono venir controllati più efficacemente, ma l’asportazione della parte mediale dei lobi temporali determinò la comparsa di un gravissimo deficit della memoria. Questo deficit (amnesia) era del tutto particolare: la memoria a breve termine, nell’ordine di secondi o di qualche minuto, era normale, ed egli conservava anche una buona memoria a lungo termine degli eventi accaduti prima dell’operazione (ricordava il suo nome, aveva nitidi ricordi della sua infanzia) Ciò che gli mancava totalmente, era la capacità di trasferire nuove tracce mnemoniche dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine: non riconosceva le persone che aveva conosciuto dopo l’intervento chirurgico, non era in grado di ricordare per più di un minuto informazioni relative persone, luoghi, oggetti (non riesce ad accumulare, preservare o recuperare nuovi ricordi: amnesia anterograda) Un altro studioso fu Hebb, che riuscì a capire che se due neuroni sono in contatto tra loro la sinapsi tende a stabilizzarsi (Regola Hebbiana), ossia se un neurone prende ripetutamente parte all’attivazione di un altro neurone, la loro sinapsi viene potenziata. A questo sono correlati gli studi di Kandel, scopritore dei processi mnemonici a livello cellulare, in quanto capì che se si accetta l’idea che l’apprendimento sia una traccia, allora si deve dare per scontato che una determinata cellula venga modificata dal passaggio dello stimolo cui è soggetta Tipi di memoria James introdusse per primo l’idea della memoria distinta in due componenti: per memoria a breve termine s'intende un sistema che trattiene temporaneamente quantità limitate di informazioni, in attesa che vengano trasferite in un magazzino a lungo termine. Esistono diversi sottosistemi capaci di accogliere l'informazione temporaneamente, e analogamente, il magazzino della memoria a lungo termine non è un'unica struttura nervosa o area cerebrale: i distretti cerebrali con funzione di sito a lungo termine sono molteplici e distribuiti n parti diverse del sistema nervoso centrale. La memoria a breve termine si classifica in fonologica (uditiva) e non verbale: quella fonologica permette di rievocare informazioni che passano attraverso il canale uditivo, ed è quindi necessaria per ascoltare le domande e poi trasformarle in linguaggio. Quella non verbale (che comprende la visuospaziale, tattile, olfattoria) è la capacità di usare informazioni senza basarsi su parole ascoltate: un esempio è la memoria visuo-spaziale misurabile tramite il test di Corsi, in cui viene creata una sequenza di tocchi su alcuni cubi e viene chiesto al soggetto di replicarla (la quantità di tocchi che riesce a memorizzare sarà indice dell’efficienza della sua memoria visuospaziale) La memoria a lungo termine consente invece di ricordare grandi quantità di informazioni e per un periodo di tempo indefinito; in realtà la memoria a breve e a lungo termine sono parte dello stesso processo di consolidamento: a seguito di un input, segue la memoria a breve termine, che prevede la modifica temporanea di sinapsi preesistenti. Qualora l’informazione a breve termine sia fine a se stessa, si passa alla sua eliminazione (dimenticanza), altrimenti, tramite la motivazione e la ripetizione (a cui conseguono l’attivazione genica e la sintesi di nuove proteine) l’informazione diventa a lungo termine. Quindi risulta evidente che la memoria e l’apprendimento sono legati al concetto di plasticità neuronale, ossia necessitino di cambiamenti a livello neuronale (come detto da Hebb) in termini di interazione: questo insieme di cambiamenti prende il nome di plasticità sinaptica In aggiunta si può distinguere una memoria a lungo termine: implicita (o non dichiarativa o procedurale), che riguarda le modalità di esecuzione di qualche atto e che viene richiamata alla mente in modo inconscio (come si fa qualcosa); e la memoria esplicita (o dichiarativa) che riguardala conoscenza di fatti relativi a persone, a luoghi o cose, e viene richiamata alla mente con sforzi coscienti. La memoria esplicita può essere ulteriormente suddivisa in una memoria episodica (che riguarda eventi ed esperienze personali collocati nel tempo e nello spazio, quindi un contesto) e una memoria semantica (la conoscenza di fatti e nozioni). Nei due tipi di memoria, esplicita e implicita, sono implicate aree cerebrali diverse: la memoria esplicita si situa nella corteccia cerebrale (nella neocortex, soprattutto quella temporale), mentre quella implicita vede l’impiego di strutture come l’ippocampo, talamo, amigdala, cervelletto. LA MEMORIA ESPLICITA Si divide in memoria episodica (contenuti autobiografici, fatti e avvenimenti della vita che possono essere richiamati) e semantica (conoscenza personale del mondo) - La memoria semantica è quel tipo di memoria a lungo termine che comprende la conoscenza di cose, fatti e concetti, nonché delle parole e del loro significato. Le nozioni semantiche vengono conservate in maniera diffusa nel neocortex: la capacità di richiamare alla memoria e di utilizzare le nostre conoscenze è il risultato di una serie di processi localizzati in sedi corticali anatomicamente distinte. Non esiste un unico magazzino della memoria semantica, ma ogni volta che richiamiamo qualcosa alla memoria, il ricordo è composto da pezzi diversi di informazione, ciascuno dei quali risiede in regioni specifiche (per questo una lesione di un’area corticale in particolare può determinare la perdita di determinate informazioni specifiche) - Le nozioni episodiche (autobiografiche) relative ai tempi ed ai luoghi sembrano interessare in particolar modo la corteccia prefrontale. Un sintomo caratteristico presente nei pazienti portatori di lesioni del lobo frontale è la loro tendenza a dimenticare il modo concui una certa nozione è stata acquisita, deficit che viene detto amnesia delle origini. Sia le nozioni episodiche che quelle semantiche sono il prodotto di almeno quattro tipi di processi distinti ma correlati: codificazione, consolidamento, conservazione e recupero. Per codificazione intendiamo il processo mediante il quale concentriamo la nostra attenzione su informazioni nuove e le analizziamo appena ne entriamo in contatto. Il consolidamento si riferisce a quei processi che modificano le informazioni appena acquisite,ma ancora labili, in modo da renderle più stabili e di lunga durata. La conservazione si riferisce a quei meccanismi e ai siti mediante i quali le memorie vengono mantenute nel tempo. Infine, il recupero delle informazioni è legato ai processi che consentono di richiamare e di utilizzare le informazioni conservate in memoria. La memoria operativa è una memoria a breve termine necessaria per registrare e ricordare le nozioni della memoria esplicita: sia la codificazione che il recupero finale delle nozioni della memoria esplicita richiedano l’immissione delle informazioni conservate in un particolare magazzino di memoria a breve termine detto memoria operativa. Ippocampo e amigdala Nei mammiferi la memoria esplicita, sia a breve che a lungo termine, dipende da processi di potenziamento a lungo termine (LTP) che si svolgono nell’ippocampo, che è la struttura indispensabile per la fissazione della traccia di memoria. Infatti qui si stabilisce il cosiddetto loop funzionale: le informazioni provenienti dalle aree associative e sensoriali convergono prima nell’area entorinale, e successivamente da questa all’ippocampo; dopo l’elaborazione, l’informazione viene ritrasmessa all’area entorinale e poi alla neocorteccia. Meccanismi di conservazione della memoria implicita a breve e lungo termine La conservazione a breve termine delle tracce della memoria implicita dipende da modificazioni dell’efficacia delle connessioni sinaptiche. Inibizione pre-sinaptica Ad esempio, l’abitudine rappresenta la forma di apprendimento non associativo più semplice che permette la riduzione di risposta a stimoli innocui presentati ripetutamente. Sherrington osservò che certe forme di comportamento riflesso, quale la retrazione di un arto a seguito di stimolazione ripetitiva, si riducevano di intensità e ricomparivano solo dopo parecchi secondi di intervallo. Capì che questa forma di attenuazione, l’abitudine appunto, fosse dovuta a una riduzione dell’efficacia sinaptica delle vie attraverso cui i motoneuroni venivano ripetutamente attivati, ossia una riduzione dell’efficacia tra gli interneuroni eccitatori ed i motoneuroni. Questa riduzione dell’efficacia dipende dalla diminuzione del numero di vescicole di glutammato che vengono liberate a livello pre-sinaptico, probabilmente dovuto a una diminuita mobilizzazione di vescicole (la sensibilità dei recettori che legano il neurotrasmettitore rimane invariata) Facilitazione/potenziamento pre-sinaptica Nella sensibilizzazione, avviene il processo opposto: rappresenta la forma di apprendimento associativo che permette di generare risposte più vigorose a stimoli nocivi o a stimoli innocui presentati insieme a stimoli nocivi o fastidiosi. Questa modalità di apprendimento, contrariamente all’abitudine, prevede una facilitazione pre-sinaptica della trasmissione degli impulsi: si ha l’aumento della liberazione di neurotrasmettitore a livello di più sinapsi per il tramite di interneuroni modulatori. Quello che accade è che alcuni neurotrasmettitori modulatori liberati da tali interneuroni, provocano una cascata di trasduzione del segnale (in cui il neurotrasmettitore lega i recettori di membrana, tramite proteine G incremento di AMP ciclico, attivazione della PKA cAMP.dipendente che fosforila substrati proteici incrementando la liberazione), che determina come effetto ultimo una facilitazione della liberazione del neurotrasmettitore da parte delle terminazioni sensitive, e dunque si avranno risposte riflesse più efficaci. Mentre per la memoria a breve termine le modificazioni interessano transitoriamente le sinapsi,per la conservazione a lungo termine delle tracce della memoria implicita, relativa a forme semplici di apprendimento, come la sensibilizzazione ed il condizionamento classico, sono necessari meccanismi di attivazione genica e sintesi proteica. Meccanismi di potenziamento a lungo termine (LTP) Nei mammiferi la memoria esplicita, sia a breve che a lungo termine, dipende da processi di potenziamento a lungo termine (LTP) che si svolgono nell’ippocampo. Si è visto che la stimolazione elettrica ad alta frequenza dell’ippocampo, causa un consistente rinforzo delle sinapsi stimolate, la cui durata si prolunga anche per giorni o settimane: questa facilitazione a lungo termine della trasmissione del segnale è il LTP. - A seguito di scariche ad alta frequenza, il terminale presinaptico libera glutammato che si lega ai recettori AMPA (ionotropici) della membrana post-sinaptica: gli AMPA inducono l’entrata di cationi come Na+ che depolarizzano la membrana post-sinaptica - Sulla membrana post-sinaptica è presente un altro tipo di recettore ionotropico del glutammato che è il NMDA, che è bloccato da ioni magnesio: l’entrata continua di cationi (Na+) induce l’espulsione elettrostatica degli ioni Mg2+ che bloccavano l’NMDA, e permette attraverso quest’ultimi l’entrata di ioni calcio nella cellula post-sinaptica. - L’aumento di Ca2+ intracellulare non solo aumenta la sensibilità degli AMPA, ma può anche creare nuovi AMPA (aumento del numero), e quindi rafforza la sinapsi Un’altra cosa che è stata vista è che la stimolazione elettrica a bassa frequenza dell’ippocampo per lunghi periodi diminuisce l’ampiezza dei potenziali post-sinaptici (depressione) per diverse ore. Una LTD (depressione a lungo termine) può revertire l’effetto di una LTP e una LTP può revertire l’effetto di una LTD, quindi i due fenomeni agiscono attraverso un meccanismo comune che può essere indirizzato in una direzione o nell’altra dal tipo di stimolazione della sinapsi. MEMORIA SPAZIALE La memoria spaziale, che si è scoperto avere sede nell’ippocampo in particolari cellule, ci permette di ricordare luoghi sulla base di associazioni episodiche. Il labirinto di Morris ha consentito di capire che la memoria spaziale avesse sede nell’ippocampo: questo labirinto è una vaschetta riempita con liquido opaco sotto la cui superficie è posta una piattaforma: ponendo un ratto nella vaschetta, lo scopo è che questo raggiunga la piattaforma per uscire dall’acqua (quindi un compito associativo, azione-ricompensa) Per fare ciò, all’animale vengono forniti dei riferimenti visivi che gli consentano di orientarsi, ed è stato visto che i topi con danni ippocampali, non riescono a svolgere questo task. Lo studio più emblematico è quello condotto sui tassisti di Londra per dimostrare che anche nell’uomo l’Ippocampo ha ruolo essenziale nella gestione della memoria spaziale: si analizzarono con la risonanza magnetica funzionale gli Ippocampi di tassisti e autisti di bus della stessa città, ed emerse che nei primi il volume corticale dell’Ippocampo posteriore dx era maggiore, anche in relazione con l’esperienza lavorativa passata. L’ippocampo posteriore dei tassisti londinesi ha un volume maggiore rispetto ai soggetti di controllo e anche agli autisti di bus, perché questi seguono un percorso prestabilito. Tutto questo suggerisce che I'ippocampo sia specializzato nella costruzione di una mappa spaziale dell'ambiente. O'Keefe, registrando singoli neuroni dell'ippocampo di ratti, ha dimostrato che alcuni di essi aumentano la loro frequenza di scarica quando l'animale si trova in una precisa posizione. Per esempio, se il ratto si trova in una gabbia, una cellula sarà silente fino a quando esso non si trovi nell'angolo nord-est, un'altra aumenterà la frequenza di scarica solo se il ratto si trova al centro della gabbia e via dicendo. Il distretto spaziale che evoca la risposta massima viene chiamato campo locazionale e le cellule che si comportano in tale maniera sono dette cellule di posizione (place cell): importante è che queste cellule si possono attivare in sequenza ricreando una mappa del percorso, e che inoltre sono attive anche a riposo. La memoria e l’apprendimento sono legati al concetto di plasticità neuronale Risulta evidente che la memoria e l’apprendimento necessitino di cambiamenti a livello neuronale (come detto da Hebb) in termini di interazione: questo insieme di cambiamenti prende il nome di plasticità sinaptica ed è stato studiato svariati esperimenti: da Rosenzweig e Bennet su roditori in ambiente arricchito o impoverito, ed anche mediante gli esperimenti di deprivazione sensoriale di Hubert e Wiesel (scopritori dell’organizzazione colonnare della corteccia visiva) Rosenzweig e Bennet osservarono che ratti allevati in ambienti arricchiti e in gruppi sociali, mostravano un aumentato spessore della corteccia cerebrale rispetto a ratti allevati in isolamento, un effetto dovuto essenzialmente ad un aumento delle ramificazioni dendritiche. i roditori che vivevano in ambienti arricchiti (con giochi quali ruote, scale, o anche altri topi) presentavano cellule neuronali con più spine dendritiche e quindi contatti sinaptici, dimostrando che il cervello si modifica quando gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno necessitano di un cambio di comportamento. Il cervello di ratti nella condizione arricchita mostra un aumento di attività enzimatica (soprattutto Ach) con maggior peso e spessore della corteccia, ove si rileva il 20% in più di spine dendritiche, ramificazioni e contatti sinaptici. Altro esperimento relativo la plasticità neuronale è stato quello della deprivazione oculare condotto sui gatti: deprivando un gatto dell’uso di un occhio durante un periodo precoce del suo sviluppo, Hubel e Wiesel hanno dimostrato che le colonne di dominanza oculare di V1 che ricevono input dall’occhio non coperto, hanno preso il sopravvento sulle aree che normalmente riceverebbero l’input dall’occhio deprivato (le fibre talamo-corticali attivate dall’occhio intatto avevano espanso il loro territorio terminale a spese di quelle controlaterali) Quindi la deprivazione della vista da un occhio durante un periodo critico dello sviluppo, riduce le dimensioni delle colonne di dominanza oculare devolute a quell’occhio, e questo accade perché solo dopo il periodo critico (3-6 anni nell’uomo, nel gatto prime 4 settimane) si completa la segregazione delle afferenze provenienti dal corpo genicolato laterale. La corteccia di un occhio chiuso per un periodo durante lo sviluppo (con una benda), non si sviluppa allo stesso modo di quella dell’occhio usato normalmente, a conferma della tesi di Hebb sulle sinapsi che se non utilizzate andavano perse. La plasticità neuronale cambia nel corso della vita: alterando la percezione visiva del gatto in età giovanile (nel cosiddetto periodo critico in cui si formano le colonne di dominanza oculare), si provoca un danno (i gatti risultavano praticamente ciechi dall’occhio deprivato), mentre se lo si fa nel periodo adulto, non si osserva alcun cambiamento. Le informazioni arrivano separatamente alle due cortecce visive, nonostante l’incrocio presso il chiasmo ottico, e questo permette a ciascuna V1 di ricevere separatamente i campi visivi monoculari ipsi e controlaterale. Le colonne di dominanza oculare sono regioni alternate in cui si trovano cellule con preferenza per le informazioni provenienti dall’uno o dall’atro occhio (tutti i neuroni che costituiscono una colonna di dominanza ricevono afferenze da un particolare occhio) I 3 tipi di organizzazione colonnare (colore, colonne di orientamento e di dominanza oculare) formano un'ipercolonna = modulo corticale che contiene tutte le colonne di orientamento, i blobs e le colonne di dominanza oculare relative a una particolare regione dello spazio. Possiamo quindi dire che V1 è formata da tanti moduli ripetuti regolarmente, ognuno dei quali codifica queste tre caratteristiche nei vari settori dello spazio visivo. riceve afferenze, chi comunica con altre aree), e quindi tali popolazioni neuronali da svegli saranno a volte polarizzate e a volte depolarizzante (quindi l’EEG da veglio è un segnale abbastanza caotico) Durante il sonno si cominciano ad osservare ampie oscillazioni, indice del fatto che una serie di dipoli vanno nella stessa direzione quindi una serie di neuroni sono sincronizzati, fanno la stessa cosa: siccome dormiamo, questi segnali non sono né provenienti dall’esterno, né provenienti dall’interno (in quanto il cervello non è attivo nel processamento di informazioni per il controllo muscolare o comunque tipici dello stato di coscienza) Ad oggi si sa che si tratta di informazioni che viaggiano dal talamo alla corteccia: quando dormiamo esiste un dialogo talamo-corteccia, che parte dal primo con un’eccitazione, arriva alla seconda e poi ritorna al talamo, formano un’oscillazione che mediante la via talamo-corticale forma le ampie onde visibili all’EEG Capacità di rispondere agli stimoli La conseguenza comportamentale più eclatante dell’addormentamento è la progressiva disconnessione dall’ambiente esterno: durante il sonno la soglia di risposta agli stimoli periferici aumenta gradualmente dallo stadio 1 allo stadio 3 del sonno NREM e rimane elevata durante il sonno REM. Tra i meccanismi di disconnessione durante il sonno NREM c’è la cosiddetta chiusura del cancello talamico: all’addormentamento la liberazione di acetilcolina e di altri modulatori si riduce, provocando iperpolarizzazione dei neuroni talamocorticali. Ciò fa sì che gli stimoli sensoriali, normalmente trasmessi alla corteccia, vengano invece parzialmente bloccati a livello talamico. Quando il sonno diventa più profondo, un altro meccanismo può contribuire al blocco degli stimoli sensoriali: soprattutto in N3 i neuroni corticali mostrano un’oscillazione lenta del potenziale di membrana, questo significa che per centinaia di millisecondi i neuroni corticali sono fortemente iperpolarizzati, un fatto che rende improbabile che possano raggiungere la soglia di scarica anche se uno stimolo sensoriale riesca a superare il cancello talamico. Durante il sonno REM, tuttavia, il cancello talamico è aperto e i neuroni corticali sono tonica- mente depolarizzati: una possibilità che spieghi la disconnessione a questo livello, è che durante il sonno REM l’attenzione sarebbe rivolta all’attività intrinseca del cervello anziché agli stimoli esterni (come quando leggendo non si presta attenzione a quello che accade intorno a noi) Quindi una serie di meccanismi nervosi ci isola dal mondo esterno al solo scopo di dormire, tuttavia bisogna ricordare che stimoli intensi sono comunque in grado di risvegliarci, e questo differenzia il sonno (processo reversibile) dal coma. Metabolismo cerebrale Dal punto di vista metabolico il cervello varia il proprio consumo di ossigeno durante le varie fasi del sonno rispetto alla veglia, e questo si può vedere mediante risonanza magnetica funzionale, che consente di analizzare le modalità in cui l’emoglobina passa da ossigenata a ridotta. In generale, ci sono delle regioni cerebrali (come quelle frontali e occipitali) che consumano di più durante la veglia, e paragonando le varie strutture, è visibile come le stesse che durante la veglia sono più attive, durante il sonno sono quelle che consumano di meno: questo a dimostrazione del fatto che il sonno ha anche una valenza metabolica, facendo da cleaning alle strutture che hanno lavorato maggiormente da svegli. Nella fase REM il metabolismo torna ad essere elevato, similmente a come accade nella veglia, cioè si attivano regioni con intensità paragonabile a quando si è svegli: quindi nel sonno non si ha una riduzione del metabolismo, ci sono regioni che nello stadio più profondo sono attive tanto quanto succede nella veglia. CENTRI NERVOSI CHE REGOLANO IL SONNO E LA VEGLIA L’alternarsi tra veglia e sonno dipende dall’attività di diversi sistemi attivanti e di alcuni sistemi che promuovono il sonno, che agiscono in antagonismo gli uni con gli altri: si tratta del sistema reticolare attivante (RAS) e del sistema ipotalamico del sonno (HSS). Il RAS è localizzato nella parte rostrale del tronco encefalico e nell’ipotalamo posteriore, mente il sistema HSS nell’ipotalamo anteriore. Il sistema generatore del sonno REM è localizzato nella parte dorsale del ponte e nel bulbo, ed esiste infine un orologio circadiano che ha sede nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo e che influenza l’attività di RAS, HSS e del centro pontino generatore del REM. Sistema reticolare attivante la veglia I gruppi cellulari che costituiscono il RAS sono localizzati in posizione strategica così da poter liberare in ampie regioni del cervello neuromodulatori che favoriscono la veglia, quali l’acetilcolina, nordrenalina, l’istamina e il glutammato, che agiscono sulla corteccia sia direttamente, che indirettamente mediante interposizione e attivazione del talamo. Un meccanismo fondamentale che promuove I'attivazione corticale è il blocco di canali per il potassio localizzati sulle membrane dei neuroni corticali e talamici: tale blocco consente a questi neuroni di rimanere in uno stato di depolarizzazione e di essere, quindi, pronti a scaricare. Le cellule colinergiche promuovono l’attivazione corticale mediante due vie: la via di proiezione talamica (mantiene depolarizzata tale struttura che agisce a sua volta sulla corteccia), e la via di proiezione extratalamica (raggiunge direttamente la corteccia con un potente ingresso eccitatorio) Oltre alla branca colinergica, c’è anche un secondo sistema attivante (detto ipotalamico, che differisce però dal VLPO) che origina da neuroni monoaminergici del tronco cerebrale, che rilasciano noradrenalina, serotonina, dopamina e istamina: le noradrenergiche del locus coeruleus proiettano all’intero cervello, scaricano con frequenza massima durante la veglia, riducono la loro scarica durante il sonno NREM e cessano completamente di scaricare durante il sonno REM; allo stesso modo agiscono le cellule serotoninergiche del nucleo dorsale del rafe che proiettano diffusamente alla corteccia, quelle dopaminergiche del grigio periacqueduttale, e quelle istaminergiche della regione tuberomammillare. Per capire quale fosse la causa iniziale della transizione verso il sonno si è iniziata a cercare una qualche molecola che potesse essere implicata nel meccanismo. Il peptide più importante è l’orexina o ipocretina, neuropeptide rilasciato dai neuroni dell’ipotalamo laterale, chiamato in due modi perché studiato nel primo caso per il suo ruolo nel metabolismo, e nel secondo (ipocretina) per il suo ruolo nella regolazione sonno-veglia. I neuroni che producono questa sostanza sono classificati come gruppo neuronale aggiuntivo, che ha lo scopo di eccitare la corteccia tramite fibre ascendenti, e contemporaneamente rinforzare il RAS mediante fibre discendenti ai gruppi neuronali colinergici e monoaminergici. Sistema ipotalamico del sonno L’addormentamento richiede che l’attività del sistema RAS si riduca: ciò avviene in parte grazie a una ridotta stimolazione sensoriale, facilitata dalla chiusura degli occhi e dalla ricerca di un luogo tranquillo e silenzioso, e in aggiunta a questo meccanismo passivo, molti dei gruppi neuronali che costituiscono il RAS vengono inibiti attivamente da gruppi nervosi antagonisti che costituiscono il HSS dell’area preottica dell’ipotalamo. Questo sistema ipotalamico viene detto VLPO (ventrolateral preoptic nucleus) e non ha proiezioni dirette alla corteccia, ma proiezioni di natura inibitoria dirette a tutte le componenti del RAS: i neuroni preottici, che scaricano durante il sonno, liberano GABA e galanina inibendo molti gruppi neuronali facenti parte del RAS. A loro volta i neuroni del VLPO sono inibiti da molti neuroni del RAS, e questa inibizione reciproca tra il sistema RAS, che promuove la veglia, e quello HSS, che promuove il sonno, tende a favorire la stabilità dei due stati comportamentali. Si parla di circuito flip flop, perché questa mutua inibizione consente delle transizioni rapide dallo stato di veglia a quello di sonno, e questo spiega perché le transizioni del sonno sono brusche (a livello evolutivo questo è dovuto al fatto che è pericoloso per gli animali avere una vigilanza compromessa a metà) Sistema generatore del sonno REM Il sistema generatore del sonno REM è formato dalle cellule colinergiche localizzate nella giunzione pontomesencefalica e da altri gruppi di neuroni localizzati nella formazione reticolare pontina e bulbare. I neuroni colinergici producono l’attivazione del tracciato EEG mediante il rilascio di acetilcolina nel talamo, che a loro volta attiva la corteccia. Alcuni neuroni del tegmento pontino dorsale, che sono attivi durante il sonno REM, proiettano ai neuroni della formazione reticolare, che a loro volta scaricano a raffica e sono responsabili dei fenomeni fasici di questa fase, come i movimenti oculari rapidi e le contrazioni muscolari. Orologio circadiano soprachiasmatico Nei mammiferi l’orologio che mantiene il ritmo circadiano (cioè 24 ore) è localizzato nel nucleo soprachiasmatico (SCN) dell’ipotalamo: questo coordina e sincronizza con il ciclo delle 24 ore molte funzioni endocrine e molti aspetti comportamentali, incluso il ciclo sonno-veglia. Questo orologio attiva il RAS e inibisce HSS durante la fase di luce, mentre inibisce il RAS e attiva HSS durante la notte. La forte influenza del SCN sull’attività di RAS e HSS facilita l’addormentamento e il mantenimento del sonno durante la notte, ma rende difficile stare svegli di notte o dormire di giorno. REGOLAZIONE DEL SONNO Da un punto di vista funzionale si possono distinguere tre fattori principali che intervengono nella regolazione del sonno e della veglia, e cioè che spiegano perché si dorma: il fattore vigilanza, il fattore circadiano e il fattore omeostatico. - Il fattore vigilanza consente di essere svegli e pronti a reagire in caso di emergenza, quindi almeno per periodi brevi, il fattore vigilanza è in grado di promuovere la veglia anche in piena notte e in caso di estrema stanchezza. Ciò è possibile grazie all’attivazione transitoria dei sistemi attivanti (RAS) e alla liberazione rapida dei neuromodulatori che inducono l’attivazione corticale. - Il fattore circadiano è responsabile del fatto che il sonno abbia luogo nella fase della giornata evolutivamente più adatta per la specie umana: poiché l’uomo è una specie fortemente dipendente dal sistema visivo, è un bene essere svegli quando c’è luce e dormire quando è buio. - Il fattore omeostatico riflette il fatto che la tendenza ad addormentarsi aumenta in relazione a quanto si è rimasti svegli: più si resta svegli, più cresce il bisogno di dormire. Questo è dato dall’accumulo di adenosina che deriva dal consumo dell’ATP, infatti ci sono diverse prove che l’adenosina sia una sostanza ipnoinducente: durante la veglia prolungata i sistemi cerebrali che producono energia diminiscono e i livelli di ATP diminuiscono, di conseguenza l’ADP si accumula. - Se la lesione interessa la porzione mediale dell’orbito-frontale nella sua interazione con il cingolo, entra in azione la valutazione della ricompensa, dove per ricompensa si intende la motivazione per cui svolgo un’azione e lo scopo ultimo di questa. I compiti in caso di alterazione non saranno più svolti in maniera adeguata, perché il soggetto diventa immotivato, apatico, e con ridotto comportamento finalistico. - Infine si ha la parte che ha a che vedere con la porzione laterale dell’orbito-frontale, ossia il controllo e inibizione, che in caso di lesione si vanno a perdere come nel caso di Phineas Cage sfociando in disinibizione e impulsività. Bisogna riconoscere nella sintomatologia frontale anche la possibilità che il paziente dimostri disfunzioni dell’esplorazione oculare, in quanto la regione prefrontale contiene i campi oculari, finalizzati all’analisi visiva dell’ambiente circostante (circuito oculomotorio) Un paziente con lesione massiva del frontale avrà dei movimenti oculari con pattern di esplorazione che non sono finalizzati: il deficit di esplorazione oculare in questo caso non è un deficit motorio, ma si ha un’alterazione del controllo oculare finalizzato ad uno scopo. AREA PREFRONTALE DORSOLATERALE La parte dorsolaterale (comprendente le aree 9,10,47) svolge quelle che vengono chiamate funzioni esecutive; in tale circuito queste aree comunicano con il lobo parietale superiore, aree sottocorticali come il nucleo caudato, il globo pallido esterno ed interno, pars reticulata della sostanza nera ed una serie di altre aree come nuclei del rafe, del tegmento mesencefalico. Definire il concetto di funzioni esecutive non è semplice, in quanto tale termine non si riferisce a una singola entità, bensì ad un insieme di diversi processi necessari a svolgere un determinato compito. Le funzioni esecutive raggruppano processi come l’attenzione (capacità di inibire stimoli interferenti e attivare l’informazione rilevante), la memoria di lavoro, il problem solving, la progettazione e modificazione del comportamento necessari per raggiungere un particolare scopo. In termini generali possiamo dire che le funzioni esecutive fanno riferimento all’insieme dei processi mentali necessari per l'elaborazione di schemi cognitivo-comportamentali adattivi in risposta a condizioni ambientali nuove e impegnative. Ecco perché la compromissione dei processi esecutivi porta a quadri clinici che caratterizzano le sindromi disesecutive. Le funzioni esecutive della corteccia dorsolaterale hanno a che vedere con due elementi: - L’analisi della realtà: si riferisce a un procedimento di analisi, apprendimento e memoria; - L’elaborazione procedurale: con il termine procedurale si fa riferimento ad un’attività che viene svolta nell’ambiente, ossia un’azione (il modo in cui interveniamo) Analisi di Realtà Comprende: • L’apprendimento di nuove procedure e informazioni • La rievocazione di ricordi remoti, • L’encoding strategico (strategie di recupero delle informazioni mnemoniche) • L’organizzazione dei ricordi secondo una sequenza temporale. Sulla base di questo, un soggetto che ha lesioni della porzione dorsolaterale della corteccia prefrontale avrà deficit nell’analisi di realtà come: o Difficoltà nel valutare la frequenza di fatti ed avvenimenti o Difficoltà nell’effettuare una esatta collocazione degli avvenimenti nel passato e futuro o Attuazione di meccanismi compensatori Quando quindi un soggetto non è in grado di analizzare la realtà, mette in atto dei meccanismi di compensazione, che comprendono confabulazioni, ricordi di copertura (ricordi non veri), e possiamo osservare due sindromi: - Paramnesia reduplicativa: caratterizzata dall’alterata identificazione dei luoghi, per cui il paziente crede che un luogo o una scena sia stata duplicata, che esiste in due o più posti contemporaneamente, oppure che è stato trasferito in un altro luogo. Nella paramnesia reduplicativa il soggetto manca di alcune funzioni e cerca di compensarle; durante la strategia compensativa di confabulazione commette un errore e crede di essere in più luoghi contemporaneamente, analizzando in maniera scorretta la realtà. - Sindrome di Capgras: in questa malattia psichiatrica il soggetto è fermamente convinto che le persone che lo circondano, i suoi cari, la sua famiglia, il coniuge, non siano effettivamente loro, ma delle copie atte a rimpiazzarle; crede cioè che ci siano sosia o impostori che si siano appropriati delle persone care. Elaborazione procedurale Dall’elaborazione della realtà andiamo all’analisi dei fattori che determinano il controllo dell’azione. Si parla di deficit dell’elaborazione procedurale o della funzione esecutiva nella sua parte positiva. Le funzioni esecutive sono funzioni messe in atto per intervenire nell’ambiente e organizzarlo nella maniera più appropriata per raggiungere lo scopo; queste sono: • Memoria prospettica: capacità di utilizzare la memoria per anticipare le conseguenze del mio operato nell’ambiente • Iniziativa • Inibizione (ignorare stimoli distrattori, ossia le informazioni irrilevanti, mantenendo lo scopo) • Strategia (adottare comportamenti strategici, quindi non abituali o stereotipati) • Monitoring (monitorare il proprio comportamento) • Planning (pianificazione) • Set-shifting (flessibilità, capacità di modificare il proprio comportamento in relazione a cambiamenti o richieste esterni) Test clinici per la valutazione delle funzioni esecutive Le funzioni esecutive vengono analizzate nella capacità che ha il soggetto di mettere in azione delle azioni che portano alla realizzazione di quanto viene richiesto (scopo), anche superando alcuni inganni. Non sono test assimilabili ad un’unica attività cognitiva, ma valutano particolari aspetti delle abilità esecutive, quindi non comprensivi di tutte le funzioni stesse. 1- WCST 2- Stroop Test 3- Trail Making test 4- Misure di working memory 5- Fluenza verbale fonologica Wisconsin Card Sorting test Fare una pianificazione comporta spesso la capacità di essere duttili e cambiare la propria strategia in funzione delle diverse circostanze. Questo test sottopone a prova questo aspetto del comportamento cognitivo: ai soggetti viene dato un mazzo di 60 carte su cui sono rappresentati quattro diversi simboli (cerchi, triangoli, stelle, croci: su ogni carta un tipo di simbolo) di quattro colori diversi. Quindi tutte le carte sono diverse tra loro; ai soggetti viene chiesto di collocare ciascuna carta sotto una delle quattro carte campione presenti sul tavolo, e il soggetto deve dedurre la regola con cui deve disporre tali carte, in base al fatto che l’esaminatore approvi o disapprovi di volta in volta le sue scelte. Il criterio che deve guidare le scelte è rappresentato dal colore dei simboli, e poi dalla forma. Quando il soggetto ha capito il criterio e sono state fatte 10 scelte giuste, il criterio viene cambiato, e il soggetto deve capire qual è quello nuovo: la capacità del soggetto di eseguire il compito viene valutata dal numero di scelte giuste che il soggetto ha fatto, infatti in soggetti con lesioni frontali, l’esaminato continua a sbagliare. Stroop Test (test di attenzione interferenziale) Al soggetto sono mostrate delle parole scritte (sono i nomi dei colori), ognuna colorata con un colore diverso (generalmente più parole in blu, altre in verde, rosso, giallo, nero): il compito consiste nel pronunciare a voce il colore con cui è scritta la parola, e non leggere la parola. Quindi l’informazione rilevante è il colore della parola, non le lettere. I soggetti che soffrono di alterazione della loro componente inibitoria, quando devono leggere una parola inserita in maniera ‘distraente’ nel canale sensoriale, in una maniera che richiama alla memoria un’altra modalità, ossia quella del colore, sono portati ad un rallentamento della procedura di lettura. Trail making test Consiste nel collegare a matita un numero di target consecutivi: il test è composto di due versioni, nel test A i target da collegare sono numeri, mentre nel test B i target sono sia numeri che lettere, e il soggetto deve alternarli in ordine crescente (1 A, 2 B, 3 C), quindi nella parte B le lettere fungono da disturbatori. Nella valutazione delle funzioni esecutive viene considerata come indicativa la differenza tra il tempo impiegato nella parte B e quello nella parte A. Test di Sally e Anne Anche detto test della falsa credenza, serve per testare la teoria della mente (cioè se il soggetto sa distinguersi come entità distinta dagli altri) Ai soggetti vengono presentate due bambole, Sally e Anne, che hanno ognuna la propria scatola; si mette in scena un gioco di finzione in cui Sally esce a passeggio dopo aver messo una palla nella sua scatola e averla coperta con un panno. Quando Sally non c’è Anne ruba la palla dalla scatola di Sally e la mette nella propria. Sally ritorna con l’intenzione di prendere la sua palla, e l’esaminatore chiede al soggetto dove avrebbe guardato Sally per prendere la sua palla. Per poter superare il test, il soggetto deve comprendere che Sally andrà a cercare la palla nel proprio cestino, perché non può prevedere che Anne gliel’abbia rubata. Questo test è somministrato anche ai bambini, in quanto la teoria della mente si acquisisce con la crescita, per cui il soggetto diventa consapevole che il contenuto della sua mente è diverso dal contenuto della mente delle altre persone. Test di fluenza verbale fonologica Si chiede al soggetto di dire il maggior numero di parole di senso compiuto che iniziano con una data lettera dell’alfabeto (per valutare la memoria fonologica e semantica) CONTROLLO MOTORIO Organizzazione generale del sistema motorio Il sistema motorio è costituito da parti corticali e parti non corticali. Il sistema motorio, per svolgere la sua funzione deve agire sui muscoli, e lo fa per il tramite di un neurone specifico che è situato nelle corna anteriori del midollo spinale che si chiama motoneurone α, la cui azione è diretta, come dice il nome stesso, al movimento ed al controllo motorio e su cui agiscono le informazioni che provengono dalla corteccia. La corteccia che principalmente comunica con il midollo spinale è la corteccia motoria primaria, la quale invia al midollo una proiezione diretta, ma non è l’unica a farlo, infatti lo fanno anche altre aree corticali. Sullo stesso midollo spinale, non sul motoneurone α ma sugli interneuroni, agiscono una serie di altre vie discendenti che iniziano sempre dalla corteccia, ma raggiungono il midollo per via indiretta facendo tappa a livello di altre strutture come cervelletto e gangli della base; pertanto abbiamo una via diretta (piramidale) e una indiretta (extrapiramidale). La via extrapiramidale ha infatti una diversa modalità di discesa nel midollo spinale e una di questa è fare tappa a livello del tronco encefalico, da questo poi partirà la proiezione verso il midollo spinale; pertanto questa tappa a livello del tronco encefalico ha permesso un’integrazione del segnale, ed il miglior centro di integrazione dei segnali è il cervelletto. Riepilogando: l’azione muscolare operata dai motoneuroni del midollo è sotto il controllo primario della corteccia, osservabile come proiezione diretta dalla corteccia al midollo spinale organizzata secondo la regola della controlateralità; oltre a questa via diretta, il controllo spinale è fatto mediante una via indiretta, mediante la quale i sistemi corticali interagiscono con altre strutture tra cui il cervelletto; esiste infine una struttura sottocorticale (i gangli della base), in particolare lo striato che interagisce con la corteccia stessa per regolare il modo in cui essa influenza le regioni sia troncoencefaliche che spinali. Nell’affrontare l’organizzazione generale del sistema motorio non bisogna dimenticare il ruolo dei segnali afferenti, ossia non solo i segnali che dalla corteccia vanno al midollo spinale con vie differenti, ma anche segnali che dal midollo spinale vanno sia alla corteccia che al cervelletto. Questi segnali partono per informare sugli angoli articolari, sulla tensione muscolare e sulle variazioni di lunghezza; si avranno pertanto gli organi tendinei del Golgi e i fusi neuro- muscolari, che sono fibre muscolari modificate con funzione recettoriale. Da questi recettori partono fibre che arrivano al midollo spinale e, cosa importantissima, sono da esso controllati, in quanto oltre al motoneurone α c’è un motoneurone γ, che invece di essere diretto alle fibre striate (parte principale della componente muscolare) è diretto ad innervare le fibre del fuso. Questo è fondamentale per il concetto del tono muscolare, il quale è la componente fondamentale di ogni movimento: se una persona è atonica da un punto di vista clinico non si muove, quindi il tono muscolare è il substrato fondamentale su cui si inserisce il controllo motorio. Unità motoria Corrisponde a un singolo motoneurone α + tutte le fibre che esso stesso innerva. I muscoli non sono usati tutti allo stesso modo: quelli che sono più finalizzati ad un’interazione con il mondo circostante in una maniera precisa, devono avere un fine controllo, altri invece riceveranno un controllo più grossolano (es i muscoli che hanno a che vedere con la postura non hanno un controllo fine, al contrario delle fibre delle dita della mano) Riepilogando: la quantità delle unità motorie e la loro dimensione indica la modalità in cui il controllo motorio si esercita da parte del sistema nervoso su tutti i muscoli del corpo (perché riguarda la relazione tra motoneurone α e muscoli), variandone la modalità di reclutamento di piccole o grandi popolazioni che determinano la precisione dell’azione. Aree motorie corticali Le aree motorie corticali sono l’area motoria primaria che sta subito anteriormente al solco che separa il lobo frontale da quello parietale, e l’area 6 che comprende le aree premotoria dorsale, premotoria ventrale, supplementare motoria e cingolate. Anche a livello parietale ci sono aree coinvolte in questo processo, e ancora più importante è che da esse partono fibre che entrano nella composizione dei fasci corticospinali (piramidale) e cortico-pontini. Quali sono gli input e gli output di queste aree? Gli input sono abbastanza semplici in quanto sono formati da proiezioni talamiche e da proiezioni da altre regioni della corteccia che sono in grado di comunicare con questa regione. • Talamo e corteccia Più interessanti sono gli output: via cortico-spinale diretta al midollo e via cortico-bulbare diretta al bulbo che fanno parte della via piramidale. Esiste inoltre una via extrapiramidale diretta allo striato, al talamo (ricordando che ogni regione talamica che proietta alla corteccia riceve dalla corteccia stessa), al ponte ed al nucleo rosso. Infine vi sono proiezioni dirette dalla regione corticale motoria a regioni corticali non motorie e che si definiscono proiezioni cortico-corticali. • Tratto piramidale: cortico-spinale e cortico-bulbare • Tratto extrapiramidale: striato, talamo, ponte, nucleo rosso • Proiezioni cortico-corticali Ad esempio, la corteccia motoria primaria è il principale fornitore di fibre per il midollo spinale ma non è esclusivo: questa corteccia è a sua volta in connessione con quelle aree che si possono definire premotorie, e proprio in base a questa connettività funzionale, tutte queste aree (corteccia premotoria dorsale, ventrale, supplementare motoria, cingolata) vengono chiamate premotorie. Pertanto si possono definire le aree premotorie come quelle aree del lobo frontale che sono in diretta comunicazione con la corteccia motoria primaria. Cosa si sa delle aree motorie? Le prime caratterizzazioni funzionali delle aree motorie sono state ottenute con tecniche di stimolazione elettrica, ossia eccitando artificialmente le popolazioni neuronali. Le prime dimostrazioni dell’esistenza di mappe nervose della superficie corporea furono ottenute facendo uno di tecniche di stimolazione relativamente grossolane della superficie cerebrale, e nel 1930 Wade Marshall scoprì che toccando una determinata parte della superficie corporea di un animale, si poteva registrare a livello corticale un potenziale evocato, ossia segnali elettrici che rappresentano la somma dell’attività di migliaia di cellule: questa tecnica fu utilizzata da Marshall per ricostruire la mappa nervosa della superficie corporea a livello del giro postcentrale della scimmia. La mappa della corteccia somatosensitiva nell’uomo, fu determinata in modo analogo da Penfield, nel corso di operazioni per terapie chirurgiche dell’epilessia e di altre lesioni cerebrali: operando in anestesia locale, Penfield stimolava la corteccia somatosensitiva primaria (giro postcentrale) e chiedeva ai pazienti cosa sentissero. Questo serviva per identificare la sede precisa del focolaio epilettico, per asportare il focolaio stesso senza rimuovere aree importanti. Quello che osservò fu che la stimolazione di specifiche popolazioni di cellule del giro postcentrale, simulava con buona approssimazione l’attivazione naturale di queste popolazioni cellulari, producendo sensazioni tattili in determinate sedi dell’emisoma controlaterale: riuscì così a tracciare una mappa della rappresentazione del corpo nella corteccia somatosensitiva. Questo homunculus sensitivo, è molto grossolano, e questo è dato dal fatto che ci sono delle differenze relative la densità dell’innervazione delle diverse aree del corpo. Grazie a questi elettrodi si è visto che i muscoli a livello corticale, sia da un punto di vista sensoriale sia da un punto di vista motorio, possono essere rappresentanti come una mappa (Homunculus Motorio) che mostra come la quantità di neuroni (e quindi di corteccia) che gestiscono alcune parti del corpo (esempio lingua e mano), sia notevolmente più ampia di altre parti (il concetto è simile a quello della magnificazione foveale a livello di V1). La mappatura dell’Homunculus deriva in realtà anche da osservazioni cliniche, infatti, nel caso delle forme epilettiche che interessano il lobo frontale delle aree motorie (dette epilessie motorie), si osserva la cosiddetta marcia Jacksoniana che è un reclutamento di diverse parti del corpo in modo organizzato: ossia un soggetto affetto prima inizia a muovere la mano, poi il braccio, poi la spalla ed infine il resto del corpo. In realtà c’erano anche studiosi che sostenevano teorie diverse: ad esempio Sherrington sosteneva che le mappe di ciascun soggetto sono differenti (anticipando il concetto della plasticità neuronale) e che non possono essere basate su una rappresentazione muscolare cosi lineare. Sherrington sosteneva che il movimento è un’organizzazione di diverse parti, quindi il cervello si occupa di controllare gli schemi motori combinandoli tra di loro a seconda dello scopo. Pertanto non è il muscolo ad essere rappresentato sulla corteccia bensì la sua funzione motoria, e lo stesso muscolo si può poi combinare insieme ad altri ottenendo movimenti completamente differenti. Quanto detto da Sherrington è risultato assolutamente vero, infatti stimolando con elettrodi dell’ordine del micron si può osservare che le diverse aree del sistema motorio contengono multiple rappresentazioni dello stesse parti: se si utilizzano elettrodi molto piccoli (quindi la corrente passa in modo focalizzato), quello che si osserva è che le parti del corpo non sono rappresentate una sola volta, ma sono presenti più volte. Anche Dum e Strick hanno dimostrato che l’Homunculus non esiste, o meglio esiste se si vanno ad usare correnti macroscopiche che reclutano una popolazione “enorme” di neuroni, ma se si usano microelettrodi che stimolano una porzione piccolissima si può vedere che le varie parti del corpo sono rappresentate tantissime volte. A sostegno di questa tesi Graziano nel 2002 ha realizzato un importante esperimento. Andando a dare più corrente sia in termini di intensità sia in termini di tempo, il che vuol dire eccitare il neurone vicino all’elettrodo ma anche tutti i neuroni che con questo sono connessi (perché più tempo si stimola più si dà al potenziale d’azione la possibilità di reclutare altri neuroni a valle), Graziano ha osservato che diversi tipi di movimento (non più azioni muscolari semplici) sono finalizzati; cioè la microstimolazione del braccio lo faceva spostare in una specifica posizione dello spazio, indipendentemente da dove era quella di partenza (posizionando il braccio in punti diversi, e passando corrente, il braccio finiva sempre nello stesso punto) Questo fenomeno rappresenta il concetto generale di scopo, ossia lo scopo di quella popolazione neuronale reclutata era quello di portare il braccio in una posizione dello spazio, quindi non era rilevante il muscolo attivato, ma l’insieme dei muscoli attivati per quello scopo. Questo risultato è stato poi rafforzato da altri studi, come quello che valuta come il dialogo con il midollo spinale sia basato sull’interazione di unità motorie controllate da diverse parti che a livello corticale collaborano tra di loro. Infatti se si stimolano diverse regioni corticali, si vede che l’unità motoria singola, cioè il motoneurone α che interessa quella piccola parte del muscolo, è attivata da una grande parte di corteccia: ciò vuol dire che questo singolo agente può essere controllato da tante parti della corteccia a seconda dello scopo diverso che quella parte spinale può fornire, e questo si chiama fenomeno della convergenza. AREA MOTORIA PRIMARIA L’area motoria primaria (M1, area 4) occupa la parete anteriore del solco centrale, dove confina con l’area premotoria. Essa contiene una mappa topografica della metà controlaterale del corpo, dove il controllo della muscolatura di diverse parti del corpo non è topograficamente dettagliato come le mappe dell’homunculus sembrerebbero suggerire, infatti la rappresentazione corticale in queste mappe, non rispecchia le reali dimensioni fisiche dei segmenti corporei. Storia Nel 1870 grazie a Penfield, si scoprì che la stimolazione elettrica di diverse regioni del lobo frontale provocasse movimenti di muscoli della parte opposta del corpo; nei primi anni del ventesimo secolo la stimolazione elettrica è stata utilizzata per determinare gli effetti motori indotti dalla stimolazione di specifici siti del lobo frontale in diversi animali, e le mappe motorie che furono ricostruire con questi studi sono state messe in rapporto anche con le osservazioni cliniche sugli effetti di lesioni localizzate. Queste ricerche hanno dimostrato che il giro precentrale (area 4 di Brodmann), la regione che viene detta ad oggi corteccia motrice primaria, è l’area dalla quale è possibile evocare movimenti con la minima intensità di stimolazione, e questi stimoli di bassa intensità possono essere attribuiti a neuroni che stabiliscono connessioni con il midollo spinale. Le mappe del motorie presentano una disposizione caratteristica delle aree che controllano faccia, dita, mano, braccio, tronco, gamba e piede, che sono disposte ordinatamente lungo tutto il giro precentrale: tuttavia le dita, la mano e la faccia, che vengono utilizzate per compiti che richiedono precisione e un controllo più fine, possiedono a livello di queste mappe rappresentazioni sproporzionatamente estese rispetto a quelle delle altre parti del corpo; in modo analogo a quanto avviene nelle aree sensitive della corteccia, a livello delle quali predominano i segnali provenienti da regioni corporee che hanno un ruolo rilevante nella percezione. Questi esperimenti condotti con stimolazione elettrica utilizzando elettrodi di superficie inizialmente portarono al semplicistico convincimento che la corteccia motrice primaria agisse come un quadro di comando in cui era presente un interruttore per ogni muscolo; ricerche più approfondite, intorno al 1970 con Fetz,, utilizzando microelettrodi inseriti nella corteccia che stimolavano piccoli gruppi di neuroni (microstimolazione intracorticale) hanno confermato che esistessero singoli neuroni di M1 che proiettano direttamente a motoneuroni, ma che però proiettano monosinapticamente a più di un muscolo, dunque non c’è una relazione uno-a-uno tra neuroni di M1 e muscoli. Infatti un muscolo può essere attivato dalla stimolazione di più siti corticali diversi, cioè ad ogni muscolo proiettano più neuroni corticali. Se le relazioni tra neuroni corticali e motoneuroni spinali fossero di tipo uno-a-uno, la mappa motoria di MI sarebbe rigida e poco suscettibile a modificazioni a seguito di addestramento o apprendimento di nuove capacità motorie: invece, l'organizzazione somatotopica di MI può andare incontro a imponenti processi di rimodellamento che coinvolgono quelle regioni corporee coinvolte nell’apprendimento di nuove capacità, o nella pratica di una capacità già acquisita. In questo caso l’estensione della rappresentazione corticale aumenta a scapito delle rappresentazioni delle parti meno coinvolte nell’attività motoria (se uso più un dito, quel dito avrà una rappresentazione corticale maggiore rispetto a un'altra zona che non uso) Intorno al 1930 si scoprì che era possibile indurre dei movimenti anche mediante la stimolazione elettrica delle aree premotorie, che corrispondono all’area 6 di Brodmann, anche se l’intensità della stimolazione necessaria per indurre movimenti è più elevata rispetto a quella che risulta efficace in M1. Al pari della corteccia motrice primaria, le aree premotorie contengono nel V strato neuroni piramidali che proiettano al midollo spinale nelle stesse aree dove terminano le proiezioni cortico- spinali (anche se le proiezioni dirette al midollo sono meno numerose rispetto a quelle di M1) A differenza della corteccia motrice primaria, a livello della quale la stimolazione evoca movimenti semplici di singole articolazioni, la stimolazione delle aree premotorie evoca spesso movimenti complessi che interessano più articolazioni. Codifica dei parametri del movimento I movimenti volontari hanno direzione, ampiezza, velocità e accelerazione caratteristiche, e la loro corretta esecuzione richiede che i muscoli coinvolti sviluppino livelli di forza adeguati per spostare una massa pesante o per tenere un oggetto delicato tra le dita. 1. Correlazioni tra attività cellulare e forza Studi sulla codifica della forza hanno avuto inizio con Evarts nella metà degli anni ’60, quando egli ha introdotto la tecnica della registrazione dell’attività cellulare della corteccia motoria di scimmie addestrate in specifici compiti motori (animali behaving) Evarts non solo scoprì che i neuroni scaricavano prima di ogni attività muscolare (100 ms prima), e quindi capì che ci fosse una sequenza del tipo attività neuronale-muscolo-movimento, ma capì anche che ci fosse una relazione tra tale attività neuronale e quello che è uno dei parametri che i muscoli possono mettere a disposizione, ossia la forza applicata. I risultati ottenuti, mostrarono come l’attività dei neuroni di M1 variasse in base all’intensità della forza esercitata, e come questa relazione fosse valida solo per i neuroni di M1 dotati di connessioni monosinaptiche con i motoneuroni spinali. Evarts dimostrò che l’attività dei singoli neuroni di M1 tendeva a variare in base alla flessione o all’estensione del braccio controlaterale della scimmia: in particolare dimostrò che durante la flessione, la frequenza di scarica dei neuroni di M1 variava appunto con la forza che la scimmia doveva impiegare per muovere la mano (variando i carichi su un manipulandum, osservò che aumentando il carico, la frequenza aumentava). Quindi tali neuroni codificano l’intensità della forza, ma sono massimamente attivi durante il movimento di una sola articolazione in una sola direzione. Da qui iniziarono una serie di domande, tra cui “la corteccia motoria primaria, partecipa al controllo dell’attività muscolare determinandone solo parametri di basso livello come la forza, oppure anche parametri più complessi come la direzione del movimento?” 2. Correlazione tra attività cellulare e direzione del movimento Lo studio delle relazioni tra attività dei neuroni di M1 e direzione del movimento, è stato effettuato da Georgopoulus: egli registrò le variazioni di attività dei neuroni di M1 di scimmie addestrate a muovere un joystick da una posizione centrale (su un piano orizzontale) verso 8 bersagli visivi posti in direzioni differenti (i target visivi comparivano in diverse direzioni rispetto al punto di partenza); quindi studiò i movimenti di reaching. Quindi all’animale venivano mostrati stimoli visivi, e lui doveva spostare il cursore verso uno degli otto stimoli che man mano gli venivano presentati. Notò che questi neuroni scaricavano già prima dell’inizio del movimento e durante la sua esecuzione, con una certa preferenza per la direzione verso cui era svolta l’azione. Questo lo portò a formulare l’ipotesi che ci fosse un vettore di popolazione, secondo cui la direzione di un movimento viene determinata dall’attività di gruppi di neuroni, e non da singoli neuroni: cioè per ogni data direzione di movimento viene reclutata un’intera popolazione di cel lule corticali motorie (codice di popolazione), piuttosto che un singolo neurone. In pratica l’attività di un singolo neurone è poco specifica rispetto alla direzione del movimento, perché durante l’esecuzione del movimento verso una direzione, i neuroni sono attivi in proporzione variabile: questo reclutamento variabile, ossia il contributo di ogni neurone al movimento, può però essere espresso in modo vettoriale (in cui la lunghezza del vettore dipende dal numero dei neuroni che stanno spingendo in quella direzione) Queste cellule sono caratterizzate da una frequenza di scarica massima in una particolare direzione del movimento, definita direzione preferita, e una graduale riduzione allontanandosi da questa, con un andamento ben rappresentato da una funzione coseno. Nelle ordinate viene posta la frequenza di scarica del neurone in impulsi al secondo, nelle ascisse la direzione del movimento espressa in gradi (da 0 a 360 perché si ha come riferimento un cerchio): è evidente come l’attività nervosa vari in maniera regolare con la direzione del movimento, e sia massima per una determinata direzione detta direzione preferita. Importante dire che una codifica della direzione del movimento è presente anche nella premotoria dorsale, e nel lobulo parietale superiore a essa connesso mediante proiezioni associative ipsilaterali: queste aree costituiscono il circuito dorsale del reaching. Ricapitolando, Georgopoulus sostiene che la direzione può essere ottenuta anche per combinazioni di forze differenti, ed è un parametro codificato non da un singolo neurone ma dal modo in cui vari neuroni collaborano tra di loro. 3. Codifica della traiettoria del movimento La specificazione della traiettoria è una caratteristica che il SNC sembra controllare continuamente durante l’esecuzione di un movimento. Scomponendo una traiettoria in una sequenza di vettori tangenziali (definiti ciascuno dalla propria direzione e ampiezza) definiti a intervalli temporali costanti, l’ampiezza di ciascun vettore corrisponde alla velocità del movimento. Nel complesso, risultati sperimentali hanno mostrato come l’attività dei neuroni di MI rifletta sia gli aspetti spaziali sia quelli temporali della traiettoria di movimento. Lesioni di M1 Lesioni focali comportano ipotonia dell’arto superiore, che a livello delle dita della mano comporta una riduzione della forza, o anche perdita totale della presa di precisione. L’ipotonia è conseguente all’eliminazione delle influenze facilitatorie del tratto corticospinale sui motoneuroni dell’arto superiore (perché M1 ha un contributo privilegiato nel controllo dei muscoli distali, come appunto quelli della mano), e le lesioni delle piramidi bulbari provoca una sintomatologia analoga. Infatti per il controllo dei movimenti fini delle dita è necessario il controllo diretto dei neuroni corticospinali sui motoneuroni; utilizzando modelli come la scimmia, è stato visto che se questa deve prendere un pezzo di cibo posto in un pozzetto afferrandolo con indice e pollice, qualora avesse una sezione del tratto piramidale a livello del bulbo, questa capacità di controllo individuale delle dita della mano viene in parte compromessa, in quanto riuscirà ad afferrarlo utilizzando l’intera mano, e non le singole dita. Il sistema premotorio crea quindi modelli interni delle azioni, cioè quando viene presentato uno stimolo adeguato, si attiva un determinato schema motorio relativo all’azione verso lo stimolo stesso; tuttavia l’attivazione di uno schema motorio non implica l’automatica esecuzione dello stesso, ma solo l’attivazione della sua rappresentazione interna. Questa rappresentazione viene tradotta in movimento reale solo quando le circostanze interne ed esterne ne rendono possibile e necessaria l’esecuzione, e la responsabile di questo è l’area F6 (preSMA), che controlla l’attività dei circuiti parietofrontali rendendo possibile o meno che le azioni codificate da questi circuiti vengano eseguite. 1. Circuito F5- AIP (grasping) Questo circuito riguarda l’afferramento degli oggetti, infatti nell’area F5 esistono diverse classi neuronali che rispondono quando l’animale afferra, strappa, manipola o tiene un oggetto, ma i neuroni di afferramento sono la classe più numerosa. Quest’ultimi però, codificano non un semplice parametro del movimento quale la forza o la direzione, ma piuttosto la relazione in termini di scopo. Questo è stato dimostrato in uno studio in cui lo scopo dell’atto motorio era dissociato dai movimenti richiesti per raggiungerlo: si facevano afferrare ad una scimmia gli oggetti con una pinza inusuale, che per sua conformazione obbligava l’animale a eseguire movimenti della mano opposti a quelli normalmente impiegati per afferrare l’oggetto (cioè invece di chiudere la mano sulla pinza per farla chiudere, serviva il movimento opposto, ossia per chiudere la pinza bisognava aprire la mano) I neuroni di afferramento continuavano a scaricare durante la prensione con la pinza, anche se il conseguimento dello scopo era raggiunto impiegando movimenti opposti a quelli naturali: paragonando questi risultati con un esperimento in cui la pinza era normale, si vide che le due attività neuronali erano simili nonostante i muscoli utilizzati nel gesto fossero differenti: quindi fu evidente che tali neuroni controllano lo scopo dell’atto motorio e non il particolare movimento richiesto per conseguire quello scopo. Nell’area F5 ci sono due neuroni di afferramento: i neuroni puramente motori, e i neuroni visuomotori (canonici) Mentre i neuroni puramente motori sono attivi durante l’esecuzione del movimento di grasping, i neuroni visuomotori rispondono anche alla fissazione degli oggetti, ed inoltre il tipo di movimento di prensione codificato dal neurone è congruente con l’informazione visiva dello stesso, cioè il movimento che viene eseguito è adeguato alla forma e la dimensione dell’oggetto. L’input parietale all’area F5p proviene da una regione del lobulo parietale inferiore denominata area intraparietale anteriore (AIP), e lo scopo di questo circuito è trasformare le proprietà tridimensionali di un oggetto in appropriati movimenti verso l’oggetto stesso. In quest’area ci sono tre tipi di neuroni: quelli a dominanza motoria (non sono attivati dalla sola fissazione dell’oggetto), a dominanza visiva (attivi nella fissazione) e visuomotori. Una lesione di questo circuito non pregiudica completamente la capacità di eseguire movimenti di afferramento, tuttavia si riesce ad afferrarlo solo dopo la sua esplorazione tattile. Questo è stato visibile mediante inattivazione delle due aree con somministrazione di un agonista del GABA: si avrà un’alterazione della preshaping della mano, ossia come la mano si dispone prima di afferrare l’oggetto, e la scimmia riuscirà ad afferrarlo solo dopo averlo toccato. 2. Circuito F4-VIP (spazio peripersonale e reaching) In F4 sono contenute le rappresentazioni dei movimenti di collo, bocca, tronco e braccio prossimale, che si attivano non solo durante l’esecuzione dell’atto motorio, ma anche in risposta a stimoli sensoriali, anticipando il contatto con gli oggetti. Infatti grazie all’informazione visiva, possiamo capire la posizione di un oggetto rispetto al corpo, anche senza toccarlo. È importante sottolineare la priorità dello spazio motorio su quello visivo: il primo è infatti presente anche in assenza di visione, quindi su di lui si modella successivamente l’informazione visiva. Lo spazio motorio rappresenta, quindi, il costrutto spaziale a priori che organizza e dà significato all’informazione visiva. Quindi in F4 ci sono due tipi di neuroni: i neuroni somestesici e i neuroni bimodali. I neuroni somestesici hanno campi recettivi tattili sulla faccia, tronco e arto superiore, mentre quelli bimodali rispondono sia a stimoli somestesici, che a stimoli visivi, ma le proprietà visive sono limitate allo spazio peripersonale, dunque questi neuroni sono particolarmente sensibili a stimoli in avvicinamento nello spazio peripersonale (circostante il corpo), quindi lo stimolo ottimale per la loro attivazione è costituito da oggetti tridimensionali in avvicinamento al campo tattile. Un’importate input parietale all’area F4 giunge dall’area intraparietale ventrale (VIP) che si differenzia da F4 per la presenza di molti neuroni puramente visivi e per l’apparente assenza di risposte motorie. I neuroni di VIP sono bimodali come quelli di F4, dunque rispondono a stimoli visivi e somestesici, essendo sensibili a stimoli in avvicinamento allo spazio peripersonale. Quindi in conclusione, questo circuito è importante per la codifica dello spazio peripersonale, e per l’organizzazione di movimenti di raggiungimento (reaching) o evitamento degli oggetti all’interno di tale spazio. 3. Circuito F5c-lobulo parietale inferiore (neuroni mirror) All’interno dell’area F5, c’è una popolazione di neuroni visuomotori detti neuroni mirror: la loro caratteristica è quella di attivarsi quando si osserva un individuo eseguire un’azione simile a quella codificata in termini motori da tali neuroni: la semplice presentazione di un oggetto non è sufficiente per attivare questi neuroni, che invece scaricano quando si osserva un individuo che prende o manipola un oggetto. Quindi questo meccanismo potrebbe essere alla base dell’apprendimento per imitazione. La regione di F5 in cui si trovano i neuroni mirror è il bersaglio di aree che occupano la parte anteriore del lobulo parietale inferiore (aree PF e PFG). I neuroni mirror rispondono anche se parte del campo motorio è oscurato, in quanto sono in grado di ricostruire lo schema motorio su base predittiva, e anche uno stimolo di natura non visiva ma correlato alla stessa azione può attivarli (suono del campanello = persone alla porta) Quindi rispondono non solo quando la scimmia esegue od osserva un’azione, ma anche quando ascolta il rumore prodotto dalla stessa azione, perché per loro non esiste differenza se una data azione è udita, osservata oppure eseguita. Questo è spiegabile dal fatto che i neuroni mirror esistono anche in altre regioni, come nel lobo temporale (corteccia acustica) AREE ASSOCIATIVE DELLA CORTECCIA PARIETALE Le aree corticali della corteccia parietale fanno parte delle cosiddette aree associative, sede di una vasta convergenza multimodale (visiva, somestesica, propriocettiva, uditiva) e destinatarie di copie efferenti dei comandi motori, a esse trasmesse grazie alle connessioni frontoparietali. Queste aree comprendono il lobulo parietale superiore (5 e 7) nel dominio della somestesia e il lobulo parietale inferiore (39 e 40) nella sfera visiva. Nel lobo parietale, queste repliche nervose dei piani di movimento verrebbero continuamente confrontate con segnali circa lo stato del corpo e la postura, grazie ad afferenze provenienti dalla periferia; classico è il riferimento allo schema corporeo, un concetto che si riferisce alla capacità di percepire la posizione delle singole parti del corpo, le relazioni fra esse, il corpo nel suo complesso e il movimento rispetto agli oggetti circostanti, e di confrontare questo costrutto con l’immagine memorizzata e continuamente aggiornata che si ha di esso grazie agli input sensoriali. CORTECCIA PARIETALE POSTERIORE La corteccia parietale posteriore (CPP) diventa da un lato una parte della via visiva dorsale, dall’altro l’inizio del network parieto-frontale, che è la base del controllo motorio visuo-guidato. L’uomo è in grado di afferrare un oggetto o camminare nello spazio perché le informazioni visive sono utilizzate per eseguire gesti misurati e compiuti: in quest’attività, i neuroni della CPP mettono insieme informazioni somatiche, che sono nella parte più anteriore del lobo parietale stesso, con informazioni visive che sono ricevute dal sistema dorsale. Il lobo parietale è abbastanza esteso ed è una regione che dal punto di vista filogenetico e ontogenetico è molto sviluppata rispetto ad altre, tanto che la capacità di saper fare molte cose che caratterizza l’uomo rispetto ad altri animali è dovuta proprio al fatto che il lobo parietale è diventato più importante nella nostra specie. Ad esempio una porzione è dedicata al linguaggio, o altre porzioni sono dedicate ad altre funzioni cognitive importanti, come le abilità matematiche. Il lobo parietale e la porzione più anteriore del lobo frontale, ovvero la corteccia prefrontale, sono le regioni che differenziano di più l’uomo dagli altri animali. Il lobo parietale presenta quindi due porzioni, una anteriore e una posteriore: - La porzione anteriore è dedicata alle funzioni somatosensoriali, in quanto riceve afferenze da diverse aree periferiche (distretti somatici: recettori tattili e propriocettori) - La porzione posteriore (ovvero la CPP) è situato posteriormente alla corteccia somatosensoriale primaria, ed è divisa dal solco intraparietale in: lobulo parietale superiore (aree 5 e 7) e nel lobulo parietale inferiore (che è il target degli input che arrivano attraverso la via visiva dorsale) Può essere definita un’area associativa, proprio perché mette insieme vari tipi di informazioni, ed è implicata in funzioni motorie, cognitive e sensitive. Il lobulo parietale inferiore non ha la stessa funzione nell’uomo e negli animali, infatti solo in quello dell’uomo possiamo riconoscere alcune aree di Brodmann, che sono: o L’area 39: è coinvolta nel linguaggio, nell’elaborazione dei numeri, cognizione spaziale, richiamo della memoria, all’attenzione (capacità di indirizzare verso una porzione dello Una delle caratteristiche espresse da alcuni pazienti si chiama neglect rappresentazionale, e non ha a che vedere con gli stimoli reali ma con gli stimoli che devono essere ricordati. Se ad esempio si chiede ad un paziente di descrivere a memoria i dettagli di un ambiente a lui familiare (una piazza ad esempio), descriverà unicamente un solo lato della piazza, omettendo dalla descrizione l’altra metà. Ciò lascia intuire che anche le regioni di memoria, quando hanno bisogno di accedere allo spazio per ricordare informazioni acquisite o memorizzate, hanno bisogno del lobo parietale. L’ipotesi di Kinsbourne spiega perché questo disturbo si manifesta a carico dell’emisfero destro: entrambi gli emisferi sono coinvolti nel controllo dell’attenzione, e quindi dopo il danno a uno dei due, dominerà l’emisfero intatto. Tuttavia si è visto che in realtà l’emisfero destro è dominante per l’attenzione perché ha una doppia rappresentazione, cioè quando si parla di attenzione l’emisfero destro si occupa sia dello spazio destro che sinistro (entrambi gli emicampi) mentre il sinistro si occupa solo del destro. Quindi essendo il contributo del destro più importante perché riesce ad avere una doppia rappresentazione, quando è lesionato l’altro emisfero non è in grado di compensare e quindi risulta un deficit, mentre quando è lesionato il sinistro, dato che il destro riesce ad avere una doppia rappresentazione lo compensa, e quindi non viene registrato nessun apparente deficit. Altri due aspetti sono l’anosognosia e l’asomatognosia: la prima è la perdita della capacità di riconoscere una malattia o un difetto fisico (ad esempio soggetti paralizzati non riconoscono come malata quella parte del corpo), mentre la seconda è la perdita della capacità di riconoscere una parte del proprio corpo (l’arto paralizzato viene considerato come estraneo al proprio corpo o addirittura viene attribuito a un’altra persona) Studi in modelli animali sul ruolo della corteccia parietale posteriore Il modello animale non può fornire tutte le informazioni sulla corteccia parietale posteriore, in quanto rispetto all’uomo manca di una porzione, ossia il lobulo parietale inferiore. Ricordiamo che nell’uomo quest’area (CPP) è considerata a tutti gli effetti un sistema integrato tra le vie visive (in quanto riceve la via dorsale) e le vie motorie (in quanto insieme alle regioni frontali che sono sede dell’area motoria primaria e premotoria, contribuisce al movimento) Questa integrazione è evidente quando si manifestano lesioni della CPP: ad esempio con l’eminegligenza emerge il ruolo visivo di quest’area (in quanto il soggetto non vede gli stimoli provenienti da una parte dello spazio), mentre con l’atassia ottica emerge il ruolo motorio (in quanto il soggetto è incapace di guidare i movimenti verso l’oggetto individuato dalla vista) - Se si registrano dei neuroni della corteccia parietale posteriore, non è raro che la risposta di uno stimolo in un campo recettivo cambi con l’attenzione, cioè i neuroni della corteccia parietale posteriore rispondono ai cambiamenti attenzionali. Ricerche sulla corteccia parietale posteriore di scimmie hanno dimostrato che al pari di neuroni di altre aree corticali, i neuroni parietali rispondono alla presenza di uno stimolo visivo all’interno del loro campo recettivo. Goldberg documentò che l’intensità della risposta dipende dal fatto che l’animale presti o meno attenzione allo stimolo: • Quando lo sguardo dell’animale è orientato in una direzione diversa da quella dello stimolo, si osserva una risposta moderata alla comparsa dello stimolo stesso; • Quando l’animale mostra invece un interesse per lo stimolo, e volge lo sguardo verso di esso mediante movimento saccadico, la sua comparsa provoca una risposta molto più intensa. • Infine, l’attività della cellula aumenta ulteriormente quando l’animale, senza muovere gli occhi, tocca la sorgente dello stimolo: infatti una delle funzioni dell’attenzione selettiva, è quella di contribuire all’intenzione di dirigere il movimento della mano verso una particolare sede. - Altra cosa sorprendente è che i neuroni della corteccia parietale posteriore riescono ad anticipare le conseguenze del cambiamento del movimento oculare: se ad esempio si ha un punto in cui il soggetto sta guardando, e si flasha uno stimolo nel campo recettivo del neurone, il neurone risponde. Ma se lo stimolo venisse presentato al di fuori del campo visivo dello stesso neurone, non ci si aspetta una sua risposta, eppure è stato visto che se si chiede al soggetto di guardare in un altro punto (e quindi di spostare il campo recettivo) questo neurone scarica prima che l’occhio si muova, ossia anticipa la conseguenza dei movimenti oculari. Se il soggetto sposta lo sguardo, la nuova posizione riporterà lo stimolo nel campo recettivo del neurone, quindi lo stimolo diventa presente nel campo recettivo del neurone ancora prima che questo lo raggiunga: la sola anticipazione di questo movimento attiva precocemente il neurone, che scaricherà prima che la fissazione arrivi al punto giusto (cioè dove lo stimolo sarà a tutti gli effetti nel suo campo di pertinenza) - Movimento di reaching: il movimento di raggiungimento consiste nello spostare la mano da una posizione iniziale a una posizione finale. È stato visto che l’attività dei neuroni della corteccia parietale posteriore è più alta prima dell’inizio del movimento, e meno alta dopo la sua esecuzione: l’attività sostenuta prima dell’inizio del movimento è tipica della preparazione motoria che porta all’atto motorio. La preparazione del movimento è nell’ambito di uno schema motorio predeterminato, rappresentato da una sorta di memoria interna: nella corteccia ci sono già neuroni connessi tra loro, devono solo modulare la loro modalità di scarica (nella corteccia c’è una pre attivazione che precede l’attivazione muscolare) Funzioni della corteccia parietale posteriore - Funzioni motorie: è coinvolta nella produzione di movimenti pianificati. Prima che un movimento possa essere effettivamente compiuto, il sistema nervoso deve conoscere le posizioni originali delle parti del corpo che vanno mosse, e le posizioni di ogni oggetto esterno con cui esse dovranno interagire. Questa regione riceve degli input dai tre sistemi sensoriali che si occupano della localizzazione del corpo e degli oggetti esterni nello spazio, il sistema visivo, quello uditivo e quello somatosensoriale. Studi sulle scimmie e sugli umani condotti con la stimolazione magnetica transcraniale suggeriscono che la corteccia parietale posteriore comprenda un mosaico di piccole regioni, ognuna specializzata nel guidare particolari movimenti degli occhi, testa, braccia o mani; in particolare essa è implicata: • Nei movimenti di reaching: ci sono neuroni reaching a livello del lobulo parietale superiore e del lobulo parietale inferiore • Nel controllo dei movimenti oculari saccadici: in particolare l’area intraparietale laterale (area LIP) che controlla l’attenzione visiva - Funzioni sensitive: il lobulo parietale superiore comprende le aree 5 e 7 di Broadmann, che rappresentano importanti aree somatosensitive in quanto ricevono afferenze dalla corteccia somasosensoriale primaria, ed hanno quindi la funzione di integrare le informazioni somatosensitive con altre di ulteriori modalità (vista, udito…) per guidare i movimenti finalizzati. • Area 5: integra le informazioni tattili e propriocettive provenienti dai muscoli e articolazioni, e integra in particolare le informazioni provenienti dalle due mani • Area 7: integra informazioni tattili, propriocettive e visive, svolgendo un ruolo fondamentale nel processo di coordinazione occhio-mano - Funzioni cognitive: la corteccia parietale posteriore è implicata nei meccanismi di codificazione e conservazione delle memorie semantiche a lungo termine. Una lesione di quest’area può determinare la comparsa di un deficit caratteristico definito agnosia visiva associativa: i pazienti non sono più in grado di denominare gli oggetti ma dimostrano di saperli riconoscere scegliendo correttamente la figura che li rappresenta. Proprietà visive ed oculomotorie Una vasta popolazione di neuroni parietali dei lobuli parietali inferiore e superiore è sensibile agli stimoli visivi: i loro campi periferici sono molto grandi e non includono la regione foveale, pertanto hanno proprietà diverse rispetto ai neuroni delle aree visive striata ed extrastriata dell’occipitale, dove i campi recettivi sono più piccoli e di tipo foveale. L’attività di questi neuroni è molto sensibile alla direzione del movimento dello stimolo. Nel lobulo parietale inferiore inoltre, una classe importante e numerosa di cellule è costituita dai neuroni di fissazione, che scaricano intensamente quando si fissa un oggetto di interesse. La perdita di queste popolazioni neuronali in pazienti affetti da lesioni di IPL potrebbe spiegare l’instabilità della fissazione di oggetti stazionari e la difficoltà di seguire con lo sguardo oggetti che si muovono lentamente nel campo visivo. Un’altra importante categoria di neuroni parietali è quella dei neuroni saccadici, la cui attività è correlata con i movimenti saccadici degli occhi verso target visivi o memorizzati. Nell’area LIP questi neuroni scaricano prima e durante il movimento saccadico. Influenza della salienza degli stimoli visivi Nella vita quotidiana, molti oggetti entrano ed escono dal campo visivo grazie a movimenti saccadici degli occhi: secondo il contesto, alcuni di essi sono rilevanti, altri meno. La salienza o rilevanza di uno stimolo è un fattore determinante per l’attivazione dei neuroni dell’area LIP, a differenza di quanto si osserva nell’area visiva primaria. Quindi quest’area è coinvolta nei processi dedicati all’attenzione selettiva, tanto che contiene probabilmente delle mappe di salienza, ossia rappresentazioni di eventi od oggetti rilevanti per il comportamento. Quindi il circuito parietofrontale LIP-corteccia prefrontale e campi oculari frontali è responsabile dell’attenzione selettiva e dell’intenzionalità oculomotoria. Neuroni reaching Nella corteccia parietale i neuroni reaching scaricano prima e durante i movimenti dell’arto superiore finalizzati a portare la mano su oggetti di interesse, ma non quando gli stessi movimenti hanno finalità diversa (ad esempio spostare il braccio da una parte all’altra), o quando l’oggetto è posto al di fuori della regione di spazio raggiungibile dalla mano.