Scarica La Transformazione Economica Europea tra Ottocento e Novecento: Il Caso Italia - Prof. Bes e più Appunti in PDF di Storia Economica solo su Docsity! Le civiltà agricolo-mercantili avanzate tra Medioevo ed età moderna La grande divergenza La rivoluzione industriale inglese è capitata presso stati che avevano già uno sviluppo sia economico che politico frutto della storia che va dai tempi di Roma fino al 1700. Siamo in paesi con un’agricoltura organizzata, sistemi complessi che producono una quantità agricola non indifferente, e scambio commerciale di prodotti agricoli e non. Questi paesi hanno delle organizzazioni complesse come la banca che nasce già nell’età medievale moderna e le istituzioni finanziarie, quindi la rivoluzione industriale avviene in società già sviluppate. Parliamo di società relativamente sviluppate perché da migliaia di anni, da circa il 9000 a.C., si era già sviluppata l’agricoltura e l’uomo era un agricoltore capace di trasformare la natura e di produrre ciò di cui ha bisogno. L’uomo ha moltiplicato ciò che la natura offre tramite agricoltura e allevamento (quest’ultimo è un settore dell’attività agricola). Queste società prima della rivoluzione industriale le troviamo in Oriente, in Egitto, nell’America centrale e meridionale e in Cina. La presenza di risorse alimentari in quantità abbondanti permette sia di far crescere la popolazione, sia di modificare la società in quanto ci sono sia campagne che città, infatti un elemento caratteristico è proprio questo, le città sono importanti e più ci sono, più sono simbolo di avanzamento del paese. Le città sono importanti perchè nel loro interno si impara a leggere e scrivere, si ha un’organizzazione sociale più complessa e una conseguente società più articolata e varia, inoltre possono anche portare alla nascita di stati ma anche di grandi imperi come quello ottomano e quello dei Maya. La possibilità di più ricchezza economica si trasforma anche in ricchezza culturale, infatti si parla di popoli volenterosi di conoscere. Siamo in presenza di società avanzate dal punto di vista economico, politico e culturale. Dal 1700 al 1800 solo alcune di queste città sono diventate industriali e hanno subito uno sviluppo che quindi non è stato omogeneo. Ci sono fattori che hanno avvantaggiato lo sviluppo: - Il clima: un clima non troppo rigido e non troppo caldo, quindi un clima temperato presente ad esempio in Cina e in America ma non in Africa o in Brasile; - La localizzazione geografica: non avviene ad esempio in Africa perché non possiede mari interni a differenza dell’Asia, delle Antille, ecc… - La visione religioso-filosofica del mondo: è importante la concezione che l’uomo ha del mondo. Il tipo di atteggiamento mentale spiega la capacità di costruire sistemi economici complessi. - L’organizzazione della società e il tipo di istituzioni politiche e economiche presenti: c’è già l’impresa che quindi NON viene creata dall’industrializzazione. Inoltre sono già presenti lo stato liberale, il governo, il parlamento, la separazione dei poteri. Ad esempio l’Europa sotto questo aspetto è più libera e questo è un punto a favore. Si spiega lo sviluppo anche grazie all’esistenza di organizzazioni economiche quali la società, le regole scritte e quelle non scritte. L’Europa, la Cina e il mondo islamico potevano tutte essere sede di industrializzazione. L’asia non viene messa in conto perché chiusa, senza scambi internazionali, così come i regni dell’America che sono chiusi in se stessi e hanno raggiunto uno sviluppo ma limitato. Stesso discorso per l’India che dal tardo medioevo in poi era sottoposta a un dominio musulmano e quindi non indipendente come ad esempio la Cina e l’Europa. Quindi questi tre poli oggetto di studio hanno degli elementi comuni: - Sono sistemi fondati sulla trasmissione scritta del sapere: sono presenti popoli che sanno leggere e scrivere; - C’è un’economia agricola ma non chiusa in se stessa; - Ci sono attività manifatturiere da cui si producono tessuti e conseguentemente ciò che è legato all’abbigliamento, così come armi, ecc… - Già utilizzano macchine in legno, con poche parti metalliche ma con una loro complessità come il mulino ad acqua o le prime macchine tessili; - La presenza di 3 livelli di commercio quali quello cittadino, regionale e nazionale. Hanno quindi sviluppato sistemi di scambio complessi; - Ci sono già delle infrastrutture, come a Milano il Naviglio Grande costruito nel medioevo. I cinesi ad esempio avevano costruito un canale lungo 1800 km; - Un sistema di pensiero e delle religioni secondo cui l’uomo è in grado di modificare e migliorare la realtà. Ci sono però anche delle diversità: - La politica: sia la Cina che l’Islam sono imperi centralizzati e assoluti con un imperatore che domina. Ciò vuol dire che le libertà individuali sono limitate. In Europa invece non c’è un grande impero ma c’è una molteplicità di stati in competizione, inoltre in questi stati gli spazi di libertà sono più presenti e le società europee sono più libere; - Ci sono istituzioni inclusive ed estrattive: sono state identificate due tipi di istituzioni, quelle estrattive e quelle inclusive. Le prime sono quelle in cui comanda un gruppo ristretto che si impossessa delle risorse per un vantaggio limitato al gruppo stesso e creando danno alla popolazione. Dove c’è più libertà politica nascono le istituzioni estrattive dove le risorse vengono usate a favore dei gruppi privati ma anche della popolazione in generale. Questa cosa si riflette anche nell’amministrazione della politica perché li dove c’è un potere assoluto non ci può essere anche una giustizia esercitata con arbitrio. Se c’è un potere parlamentare invece si e i cittadini possono far sentire la loro voce molto più facilmente. L’Europa fu avvantaggiata grazie alla ripresa del diritto romano; - La tassazione: la differenza non è la quantità di tasse in quanto gli europei erano più tassati degli altri. Ciò pero non è solo uno svantaggio ma anche un vantaggio perché i soldi che ritiravano queste tasse le restituivano con opere pubbliche come porti, flotte, ecc... Infatti ad esempio la flotta inglese difendeva i propri commercianti. Un altro vantaggio della tassazione è che più era alta, più il popolo voleva essere rappresentato e voleva partecipare a livello politico per controllare l’utilizzo di queste risorse. Ciò avverrà ad esempio nella rivoluzione americana in cui c’era il motto “not taxation without representation”. La tassazione più elevata quindi in questo caso è un di più perchè aumenta la disponibilità di beni pubblici e aumenta la voglia del popolo di partecipare attivamente; - L’università: l’Europa medievale e poi quella moderna sviluppano questi luoghi dove si discute, si ragiona, si impara. Si tratta di luoghi dove gli studenti potevano muoversi da un’università all’altra alla ricerca di migliori maestri. Questo sviluppa un pensiero critico. La lingua comune a quei tempi nelle università era il latino; - Valorizzazione del lavoro: il lavoro è il modo con cui l’uomo libero raggiunge successo e sviluppa la sua personalità. Questo modo di concepire il lavoro costituisce un elemento di vantaggio. A vantaggio dell’Europa inoltre ci sono i fondamenti filosofico-religiosi: - Relazione fraterna tra gli uomini: nascono organismi per tutelare la fiducia come i tribunali commerciali o i codici di commercio quindi regole scritte che dettano un comportamento corretto. C’è quindi la possibilità di creare istituzioni per essere tutelati. - L’idea dell’homo faber: l’idea quindi di un uomo capace di trasformare la natura mantenendo comunque un equilibrio senza distruggerla. L’idea che l’uomo sia stato creato per trasformare la realtà e che quindi la natura sia inferiore rispetto all’uomo; anche nuovi prodotti che iniziano ad essere commerciali. Nelle colonie soprattutto americane nascono nuove piantagioni dove questi prodotti vengono comprati qui. Si parla di cacao, prodotto sconosciuto prima dagli europei, il caffè che è un prodotto africano e poi fatto conoscere dagli islamici all’Europa anche se i portoghesi lo portano in brasile creando piantagioni di caffè. Questo crea scambi sia con le indie orientali che occidentali. Le scoperte quindi aprono la via a rotte commerciali nuove. Inizia anche il traffico di metalli preziosi e la tratta degli schiavi, figure fondamentali per spiegare la ricchezza europea. Questo perchè gli schiavi vengono comprati in quanto la mano d’opera territoriale non basta. Ciò comporta lo spostamento d’asse verso l’Atlantico e non più verso il Mediterraneo. - L’Olanda e l’Inghilterra ne traggono molto vantaggio. Un primato passa dalle città italiane alla penisola iberica e in particolare al Portogallo che come unico mare ha l’oceano. Nello sfruttare il mare quindi loro sono i primi a dover costruire nuove navi che fossero in grado di fronteggiare l’Oceano. Proprio per la loro posizione geografica sono i primi a navigare l’Oceano e creano basi in Africa, in India e in Cina, riducendo il ruolo dei mercati arabi e raccogliendo i prodotti e portandoli in Europa. Si crea un piccolo impero commerciale portoghese. Il motivo è che è un territorio piccolo, senza grandi traffici, quindi va bene per acquisire ma non per distribuire. Per fare ciò è necessario avere risorse che verranno trovate ad Anversa. La Spagna invece crea un vastissimo impero, grazie anche ad una sua notevole potenza a livello militare. Però l’impero spagnolo è forse solo a livello politico e non economico. L’economia spagnola non è vasta a livello commerciale e le risorse che si ottengono vengono usate nelle continue guerre, per pagare gli eserciti che combattevano per il predominio europeo. Anche i grandi proprietari spagnoli non sono mercanti ma grandi proprietari di fondi agricoli, quindi dal punto di vista tecnico Portogallo e Spagna sono capaci di porre fine al primato italiano ma non di avere la forza di tenere questo primato che passerà in mani di altri paesi. Per quanto riguarda i cinesi, avevano la possibilità di avere un primato ma è come se vi rinunciassero perchè le varie spedizioni nel 1432 vengono interrotte e il governo decide di sospendere la creazione di nuove navi. Il blocco viene spiegato con il costo della grande muraglia che sottolinea il fatto che avessero altri interessi, volti ai commerci interni. L’impero cinese quindi si ritiene in grado di essere autosufficiente e i mercanti, seppur volendo un commercio esterno, non sono in grado di imporsi. Emergono quindi olandesi e inglesi perché le attività commerciali appartenenti a loro venivano gestite da compagnie potenti che non sono formate da gruppi ristetti ma sono grandi società che appartengono a molteplici azionisti che raccolgono il capitale tramite le borse valori. Queste compagnie che si fanno riconoscere il ruolo del commercio in una determinata zona, premono anche sul governo per avere l’appoggio di flotte militari. Un altro aspetto da non trascurare è quello che viene chiamato rivoluzione industriosa, ovvero che mentre sviluppano questo primato a livello commerciale, territori come Olanda e Inghilterra diventano importanti anche a livello manifatturiero perché vi è una consuetudine di funzionamento in questi territori ovvero che mentre nel resto di Europa la famiglia era il cuore dell’economia, in queste zone vi è più la tendenza di sposarsi giovani per creare nuove famiglie autonome. In questi territori, specialmente nelle campagne olandesi, c’è particolare presenta di ricchezze di braccia. Succede quindi che i mercanti che in genere andavano nelle città dove vi erano le corporazioni, compravano prodotti che rivendevano nei mercati interni oppure esterni. Ora invece comprano materie prime, vanno nelle campagne in cerca di contadini a cui dare materie da lavorare e poi ritirano il prodotto finito. L’attività manifatturiera così diventa un’attività più ampia a livello economico e questo è un altro motivo del primato inglese e olandese. L’olanda si afferma come nuova potenza egemone nel ‘600, quando vive il suo maggiore sviluppo grazie al fatto che gli olandesi si separano dalla spagna a cui appartenevano prima con una guerra durata 80 anni e con l’appoggio degli inglesi. Nasce così una repubblica dei mercanti grazie ad una guerra durante la quale le navi olandesi bloccano la foce del fiume sul quale si trovava Anversa che non era proprio sul mare ma collegata grazie a questo fiume che viene bloccato. Anversa quindi smette di ricevere le spezie che vengono invece prese dall’olanda. Sappiamo che dove vanno le spezie va anche la ricchezza. Anche il commercio delle aringhe fu rilevante. Un'altra causa è da trovare nella società operazioni che è quotata nella borsa di Amsterdam ed è quotata e potente a livello militare e domina il mare, si tratta della VOC. Con il suo sviluppo cresce anche il peso della borsa di Amsterdam. L’olanda non è molto più grande del portogallo ma ha un’economia più solida e c’è questa rivoluzione industriosa che ha diffuso maggiore manodopera. Pur essendo l’Olanda più grande della Gran Bretagna, e pur avendo un PIL più alto, nel 1651 Cromwell fa approvare l’atto di navigazione che stabilisce che nei porti inglesi debbano arrivare solo navi che siano a favore degli inglesi evitando che l’Olanda abbia l’esclusiva. Ci fu una guerra con quest’ultima in cui vincono gli inglesi che, attraverso la loro forza marittima, riescono a strappare il primato agli olandesi. Anche gli inglesi hanno un buon sistema agricolo, una manifattura diffusa e il simbolo di questo nuovo primato è New Amsterdam (attuale New York che quindi viene fondata dagli olandesi ma ribattezzata nel 1665 con tale nome). Le ragioni del primato Il termine rivoluzione è stato messo in discussione dagli storici. Quella industriale non avvenne in pochi mesi e inoltre si ebbe una lenta trasformazione e non proprio una rivoluzione. Manteniamo però questo termine perché pur non essendo avvenuta in poco, fu un processo che stravolse la vita in ambito sociale, politico, economico e quotidiano della Gran Bretagna e di tutti i paesi che la imitarono. Quindi possiamo definire questa rivoluzione come un processo irreversibile. Abbiamo una rivoluzione industriale quando un paese inizia a cambiare e continua a farlo. Di fatto ci fu un incremento della produzione (quantità di beni che io realizzo) e si inizia a produrre di più. È importante che questo aumento però sia anche di produttività (quantità di beni in un tot tempo), quindi si produce di più e meglio. Inoltre è una produttività per singolo operaio. Il cambiamento quindi avviene perché il lavoro non è più nelle case dei contadini, nelle botteghe degli artigiani in città, adesso c’è la fabbrica. La rivoluzione industriale coincide con l’arrivo della fabbrica, un luogo relativamente ampio dove si concentra il lavoro delle persone e facendo ciò varia anche la condizione sociale di queste persone. Nasce l’operaio, la classe operaia e quindi si pongono nuovi problemi a livello economico e sociale. Nella fabbrica il lavoro è progressivamente meccanizzato, man mano vengono create delle macchine che consentono di produrre di più e meglio. Queste macchine necessitano però di energia. Quella utilizzata nelle prime fasi era un’energia conosciuta, quella dell’acqua quindi condotte d’acqua che facevano nascere movimenti di ingranaggi con pulegge che muovevano queste prime macchine. Nella prima rivoluzione industriale invece l’energia è quella della macchina a vapore che all’inizio era utilizzata per le pompe e per estrarre acqua nelle miniere. Dopo aver acquistato efficienza vengono attivate ai vari apparati che vengono collocate nelle fabbriche. Vicino a questa trasformazione nel sistema di cambiamento dal punto di vista produttivo avremo anche una rivoluzione dei trasporti che inizialmente, fino al 1830, riguarda il trasporto sulla strada che prima era un tracciato con scarsa manutenzione, pieno di fango quando pioveva. Adesso viene costruito il fondo stradale e la strada acquista più efficienza grazie al cambiamento nel modo di fare le strade. Un altro cambiamento che abbiamo in Gran Bretagna tra 700 e 800 è il sistema dei canali. Prima avevano un sistema di fiumi navigabili, ora, nel 700, nasce l’esigenza di creare più canali e questo porta conseguenze anche a livello politico in quanto nascono compagnie che creano progetti e che necessitavano il riconoscimento da parte delle autorità. Dopo l’approvazione costruivano i canali e li facevano pagare per il loro utilizzo. Nel 1830 invece avremo un grande cambiamento che è quello della ferrovia. Nello studio sulla macchina a vapore, Stivenson la trasformò inventando la locomotiva e progressivamente il trasporto su rotaia con trazione tramite questa che diventa il mezzo più efficiente per il trasporto merci. È più efficiente del canale perchè questo ha una direzione che è quella dell’acqua quindi per andare è efficiente ma per il ritorno è difficile far fronte alla corrente. La ferrovia non ha invece questo problema. È un cambiamento quindi importante e accanto alla rivoluzione industriale avremo la rivoluzione dei trasporti dove le cose si sostengono a vicenda, se si produce di più si necessita di più materie prime, si hanno più merci da vendere e grazie ai sistemi di trasporto efficienti si possono vendere ciò che le fabbriche realizzano. La rivoluzione dei trasporti dipende dal fatto che nelle fabbriche si costruiscono i pezzi necessari quindi le due rivoluzioni si alimentano a vicenda. Un altro grande cambiamento è il luogo del lavoro che è diverso dal luogo tradizionale che era la casa dell’operaio e ora diventa la fabbrica. Ciò avrà conseguenze sociali importanti, nasceranno movimenti di protesta, cooperative, sindacati e tutte quelle organizzazioni frutto del nuovo modo di gestione del lavoro. Caratteristiche della rivoluzione industriale: - Trasformazione relativamente rapida e localizzata in Gran Bretagna: ci vogliono comunque alcuni decenni, per questo l’avverbio “relativamente”. Inoltre è localizzata in Gran Bretagna (non in Irlanda però quindi non tutto cambia). All’inizio il cambiamento è localizzato in - Le istituzioni politiche: il re Giovanni fu costretto a cedere un governo scritto che dava più libertà ai sudditi e nel 1648 gli inglesi si rivoltano alla sua volontà di governo assoluto, lo sconfiggono guidati da Cromwell, lo giustiziano e creno una repubblica con il quale il parlamento avrà maggiore importanza. Ciò si completa nel 1688 con la rivoluzione gloriosa in cui i sudditi si ribellano e costringono re Giacomo a fuggire. Chiamarono poi prima un olandese e poi uno della dinastia dell’attuale Carlo III. L’Inghilterra quindi si industrializza perché a livello politico è il paese più avanzato ed è importante perchè ad esempio, dato che il parlamento condiziona il sovrano, l’andamento di bilancio, quindi tassazione e la spesa pubblica, non è nelle mani del re ma del parlamento in cui ci sono persone che rappresentano gli altri interessi ed è proprio questo che controlla la finanza pubblica. Gli interessi economici quindi sono tutelati a livello politico e il debito pubblico, debito che tutti gli stati hanno in quanto spendono di più di quello che incassano, è separato dalla finanza del sovrano perchè lui ha il suo budget e il debito pubblico viene gestito grazie alla nascita della banca d’Inghilterra che avviene nel 1693 e che è una banca privata e avrà ruolo importante nella creazione e gestione della moneta sia metallica, quindi in oro e argento, che cartacea. - La politica mercantilistica: il peso degli interessi economici si vede anche in questo ambito perché l’Inghilterra si industrializza proteggendo i suoi mercanti proprio perché c’è questo tipo di politica. Il mercantilismo è una teoria economica molto diffusa in età moderna in base alla quale la ricchezza di un paese dipende dalla quantità di metallo prezioso presente. Se questa è la teoria, gli inglesi fanno politiche di tipo protezionistico e lo fanno in vario modo. Le politiche commerciali sono liberiste, quindi che lasciano entrare e uscire merci, persone e macchinari liberamente, e protezionistiche, quindi che non fanno uscire materie prime, persone e macchinari e impongono dazi doganali per favorire la produzione interna. Degli esempi di queste politiche sono i dazi doganali all’introduzione di grano, una serie di provvedimenti che partono nel 1651 e prendono il nome di atti di navigazione quindi gli inglesi stabiliscono che quando una merce entra in un porto inglese o appartenente ad una colonia inglese, deve navigare su una nave inglese o su una nave del paese produttore. Un ultimo esempio che spiega anche lo sviluppo dell’attività cotoniera è il Calico Act, quindi la politica commerciale del 1701 con il quale si proibisce l’importazione di tessuti di cotone colorato realizzato in India. Cosi questa non può fare concorrenza alla Gran Bretagna e fa si che queste attività siano realizzate nel paese. Queste condizioni vanno a favore dei produttori nazionali. - Il diritto e la legislazione: l’Inghilterra si basa sulla Common Law quindi la decisione presa dal giudice non è l’applicazione di qualcosa di stabilito nei codici ma è riferito a sentenze precedenti. La tradizione giuridica viene usata per prendere le varie decisioni nei tribunali. Questo tipo di tradizione giuridica limitava il potere dello stato e tutelava meglio gli interessi. C’è quindi un sistema giuridico che favorisce le iniziative private. Un altro elemento di legislazione sono le enclosures che avvenivano o se si mettevano d’accordo i proprietari oppure secondo decisione del parlamento. Si ha quindi un sistema giuridico più favorevole all’iniziativa individuale rispetto ad altri paesi. Inoltre vengono emanate leggi per tutelare i luoghi dove le persone potessero avere occasioni di lavoro e superare la povertà. Questa cosa riduce il conflitto sociale e aumenta le occasioni per imparare a lavorare e quindi per superare la liberta. Nascono quindi realtà in cui era più facile imparare a lavorare e a conoscere delle tecniche. Anche queste sono condizioni non di carattere economico ma che creano un ambiente favorevole allo sviluppo industriale. - Le condizioni di ordine sociale: le persone erano meno legate alle singole tradizioni, alla famiglia come nucleo economico e quindi uscivano più velocemente dalla famiglia per raggiungere delle condizioni di economia. Questa situazione sociale crea un ambiente più dinamico con persone disponibili a lavorare nelle fabbriche e a muoversi. Inoltre l’Inghilterra è una realtà in cui cresce molto l’urbanizzazione, quindi le persone si spostano dalle campagne alle città in quanto proprio qui si sviluppano le fabbriche. C’è più mobilità sociale che favorisce la disponibilità di manodopera. Inoltre gli imprenditori vengono valorizzati e proprio perché ci si muove verso le città, il mercato interno è più dinamico. Altra cosa importante è che le colonie erano vasti territori dove si potevano collocare le varie merci. Sappiamo quindi che una delle condizioni che permettevano la rivoluzione industriale è l’aumento demografico, soprattutto nelle città. Ad esempio l’Italia, che è un paese in ritardo, ha un andamento demografico molto più lento, abbiamo infatti al massimo un raddoppio a differenza degli altri paesi in cui l’aumento era di 5 volte. Un altro aspetto importante della rivoluzione industriale e fattore decisivo è quello degli imprenditori, senza i quali non ci potrebbe essere una rivoluzione industriale. Dagli studi infatti emerse che l’Inghilterra aveva condizioni ottimali per gli imprenditori. Questi ultimi sono figure diverse, potevano essere proprietari terrieri o anche nobili. Questa era una sorta di novità, infatti la tradizione inglese prevede che il nobile non disprezzi il dedicarsi agli affari ma si dedichi, con i borghesi, a iniziative produttive; cosa che non avveniva in altri paesi. Gli imprenditori per eccellenza, soprattutto per il settore tessile, erano i mercanti quindi persone che avevano svolto per tanto tempo una funzione commerciale e che ora svolgono una funzione di tipo imprenditoriale. Non si limitano a comprare e a vendere ma producono anche, tramite gli operai nelle loro fabbriche. Questo perchè si comprende che svolgere questa attività è fattore positivo e permette di crescere nella scala sociale e arricchirsi. Quindi l’Inghilterra è il paese che presenta le migliori condizioni per creare una classe ampia e nuove tecniche, cogliendo opportunità nel mercato interno ma anche in quello internazionale. Una domanda che ci si pone è inerente ai redditi degli altri, quindi quali sono gli effetti sociali della rivoluzione inglese. Fino agli anni ’60 vennero fatte stime del reddito complessivo, del prodotto industriale e del reddito pro capite. La rivoluzione industriale nelle prime fasi ebbe alti costi a livello sociale, bisognava abbandonare la tradizione e trasferirsi in città. Qui spesso si viveva in condizioni non ottimali e in appartamenti sovraffollati. Però attraverso delle tutele che si realizzano per gli operai, con il tempo, le condizioni migliorano. Con la rivoluzione industriale le condizioni sono migliorate ma con un processo lento, frutto di una serie di correttivi al sistema industriale che è capace sia di generare problemi sociali ma anche di formulare delle risposte che mitigano gli effetti negativi della rivoluzione e permettono una migliore distribuzione del reddito. Il risultato si ebbe dopo alcuni decenni e in Inghilterra si viveva meglio che nel resto del mondo. Se avesse invece prodotto una società disuguale con ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, avremmo avuto una rivolta che non si verificò proprio grazie ai correttivi che provengono dal basso. Inoltre gli operai si organizzavano per migliorare vita e lavoro. Anche gli imprenditori, per permettere uno sviluppo ordinato del lavoro mettono in atto organismi con lo scopo di migliorare le condizioni di vita dei lavoratori. Usiamo una categoria marxista che ci fa capire cosa avvenne in Inghilterra tra 700 e 800 e per sottolineare il cambiamento economico e sociale che ci fu. Con la fabbrica per la prima volta nasce una classe operaia con centinaia di persone che condividono una stessa situazione di lavoro che inizialmente non era brillante (regole dure, paghe basse e orari lunghi). Le fabbriche inoltre sono nelle città quindi le famiglie operaie si ammassano nei sobborghi dove la vita costa e le condizioni di vita sono difficili. Le forme di solidarietà come la parrocchia presenti prima della rivoluzione industriale non ci sono più ed è necessario crearne delle nuove, quindi la nuova condizione sociale è molto drastica e coincide con quella che nasce come classe operaia. Queste condizioni di vita difficili però spingono le persone ad acquisire una coscienza più forte del loro stato, una coscienza di classe quindi una consapevolezza collettiva di appartenenza ad un determinato ceto sociale. Si sviluppa anche la pubblicità, con manifesti ecc… che contestano le scelte degli imprenditori e li vedono come privilegiati che abusano del potere politico per il raggiungimento di un privilegio che non vogliono condividere con nessuno. Nella piramide che rappresenta la classe sociale, nel basso ci sono i lavoratori che portano tutto il peso mentre in alto abbiamo esercito e chiesa che difendono la piramide ingiusta. La rivoluzione quindi crea condizioni di vita difficili e una polemica contro l’ordine costituito, frutto di una condizione in cui ci si ritrova a vivere. In questa situazione che non è semplice, a causa del fatto che le persone non lavorano più a casa loro e, mentre prima non erano soggetti collettivi, ora lavorano nello stesso luogo e prendono coscienza della loro condizione e si associano per rispondere a questa situazione di disagio. Ora i lavoratori, avendo una condizione di vita e di lavoro comune ed essendone consapevoli, organizzano risposte collettive. Queste sono a volte anche violente come il luddismo, ovvero termine che viene da Lud, nome di un operaio forse immaginario che in una rivolta ruppe delle macchine. Quindi con luddismo si intende il rifiuto violento della rivoluzione industriale perché ha rotto gli schemi del passato e conseguentemente si risponde con la stessa violenza. Si ebbero molte proteste violente che poi hanno come unico risultato un ulteriore reazione violenta delle autorità che ristabiliscono l’ordine. Questo vale soprattutto per categorie di artigiani che perdono la competenza manuale da lavoro a causa di questo tipo di lavoro con macchinario. La risposta però inizia ad essere anche pacifica e si hanno le società di mutuo soccorso, ovvero gli operai prendono coscienza dei loro problemi e creano delle società, delle associazioni, come le corporazioni medievali, quindi libere associazioni in cui si paga una quota, si crea un capitale sociale e con questi soldi si inizia a dare risposta ai problemi dei lavoratori. Nelle società di mutuo soccorso, accanto ai normali soci ordinari, spesso erano presenti anche gli imprenditori che non mancano di un ruolo e di un aiuto. Questo perché l’imprenditore non è solo capitalista che vuole sfruttare l’operaio ma è anche suo interesse che la fabbrica vada avanti e per avere ciò ci deve essere un clima tranquillo. È quindi anche suo interesse spendere soldi per migliorare le condizioni di vita dei suoi lavoratori. L’altra forma di risposta, questa però non violenta, che prende corso durante l’800, è il sindacato o le 3 unions, così chiamate dagli inglesi, cioè delle forme di associazioni di soli imprenditori. La nascita dei sindacati implica che nelle fabbriche si creano unioni di lavoro dove gli operai si iscrivono, pagano una quota, e i loro rappresentanti iniziano una reazione rivendicativa che non porta necessariamente allo sciopero. Questo perché lo scopo è lavorare in condizioni migliori e non scioperare, quindi si punta a trattare con il datore di lavoro, evidenziando i problemi e ottenendo una risposta. Inizialmente i primi sindacati sono impegnati a resistere alle situazioni di peggioramento, poi man mano che si organizzano per settore iniziano ad agire tramite una piattaforma di rivendicazioni di richieste inerenti all’orario, all’organizzazione, ai turni, al salario e alla disciplina del lavoro. Queste rivendicazioni vengono presentate in forma collettiva al datore di lavoro: se questo accetta, lo sciopero non scatta, infatti scatta solo in caso di risposta negativa a tutte le richieste. Il sindacato che nasce in Inghilterra quindi non vuole fare la rivoluzione ma vuole che i risultati economici di un’azienda vadano a vantaggio anche dei lavoratori. Inizialmente i sindacati erano proibiti poi, essendo l’Inghilterra un paese libero, queste forme associative vennero accettate. Ad organizzarsi come primi sindacati sono i lavoratori più qualificati, con una paga maggiore e con più potere contrattuale nei confronti dell’imprenditore che è obbligato a seguire altrimenti rischia di perdere persone con una certa qualifica per la sua impresa. Accanto alle risposte di tipo sociale ci sono anche risposte politiche come il socialismo e l’anarchismo che prefigurano come risposta, con l’obiettivo di costruire una società diversa, non più capitalistica. Mirano ad un cambiamento quindi radicale e la soluzione non è quella del sindacato cui lui insiste è l’arretratezza. Questa è uno svantaggio ma è anche un vantaggio perché possono usare le tecnologie più avanzate saltando quindi dei passaggi tecnologici e utilizzando immediatamente le tecnologie più avanzate. Imitando ciò che è successo in Gran Bretagna e innovando, introducendo qualcosa di nuovo, può realizzare un autonomo percorso. Un altro studioso interessante che lavora negli Stati Uniti è Sidney Pollard, scrittore di “la conquista pacifica”, che da una visione positiva dello sviluppo industriale. Lui insiste sul fatto che se guardiamo tutti gli stati insieme non riusciamo a capire cosa è successo perchè la rivoluzione non ha avuto il suo cuore sulla nazione ma sulla regione. Quest’ultima è un territorio non piccolo ma nemmeno grande, strutturato a livello economico e che ha relazioni al suo interno e una o più città che svolgono un ruolo di aiuto nel territorio. Per lui lì scatta la rivoluzione industriale, quella massa critica che abbiamo individuato diventa efficace perché sviluppa le sue potenzialità ad un livello territoriale più ridotto. Questo spiega come mai l’industrializzazione non ha prodotto paesi uniformi ma ha prodotto anche dualismi con regioni forti e regioni deboli. È chiaro che più regioni forti ci sono più ciò avrà un’incidenza sulla nazione in sè. Un’altra cosa interessante su cui insiste Pollard è prestare attenzione su determinati processi, spiegando come questi non abbiano sempre gli stessi esiti, dipende da quanto questi processi si realizzano. Per fare ciò, lui costruisce il rapporto industria-ferrovia dicendo che si è sempre considerato l’arrivo delle ferrovie come un processo di grande cambiamento in qualsiasi paese. Lui dice che non andò sempre così e anche qualcosa che ha un carattere innovativo come la ferrovia può aver avuto esiti più o meno positivi. Fa l’esempio della ferrovia che in Gran Bretagna arriva nel 1830 e che è un fattore decisivo per il cambiamento del paese. Nei paesi del primo gruppo la ferrovia invece arriva contemporaneamente, insieme allo sviluppo industriale e in questo caso il suo effetto diventa decisivo per tutti questi paesi. Altri paesi tra cui Italia, Russia e Spagna, la ferrovia arriva prima e il risultato è che l’effetto benefico è più limitato perchè ad esempio l’Italia per decenni costruisce le ferrovie importando i materiali per fare ciò dall’estero. Quindi un’ulteriore attenzione a considerare i processi e i loro fattori come qualcosa che agiscono in maniera diversa a seconda del territorio. La teoria di Pollard mette in ombra la teoria dello stato ma in questo processo di costruzione di società capitalistiche lo stato è importante e nelle teorie economiche, almeno fino alla crisi del 29, è prevalsa l’idea che lo stato dovesse svolgere più funzioni politiche. Con la crisi del ‘29 nascerà un nuovo modello di economia mista dove accanto al ruolo dell’imprenditore e del lavoratore, è importane il ruolo dello stato. Quindi avremo sistemi economici dove lo stato ha un peso più rilevante. I Paesi del primo cerchio Nel primo cerchio vengono messi Belgio, Francia, Germania, Svizzera e Stati Uniti. Ci sono poi paesi che arrivano in un secondo momento oppure che sono industrializzati parzialmente a causa di una loro successiva industrializzazione. Sono i paesi del secondo cerchio che comprendono l’Europa del nord, dell’est e il Giappone. Nel secondo cerchio quindi per la prima volta c’è un paese non europeo (l’America era all’ora europea). Esiste poi un terzo gruppo che sono i paesi dell’Asia i quali arriveranno post guerra mondiale. Il terzo cerchio quindi lo avremo in una fase successiva. Man mano che si arriva in ritardo, più diventano importanti i fattori sostitutivi e più diventano difficili i dualismi. Quello che poi si realizza è un’industrializzazione interna, quindi ci sono forti differenze regionali. Ogni territorio in base alle sue caratteristiche prova a imitare ciò che è successo in Gran Bretagna. Nei paesi che per primi si industrializzano vi sono realtà con industrie tradizionali. Ci sono già attività manifatturiere e proprio gli operatori delle attività tradizionali, per non rimanere indietro, trasformano queste attività dal punto di vista industriale, quindi imitano per non rimanere schiacciati. Accanto a questo processo di industrializzazione che è un processo di copiaggio del modello inglese, assistiamo al fenomeno del declino relativo della Gran Bretagna. Questa inizia a crescere a inizio ‘800, poi nei primi decenni dell’800 è l’officina del mondo e non si ferma ma continua a crescere con un ritmo però lento dei paesi, ad esempio quelli del primo cerchio addirittura la supereranno alla vigilia della prima guerra mondiale. Ecco perché declino relativo, perché continua lo sviluppo ma ci sono altre realtà che lo fanno con una dinamicità superiore a quella della Gran Bretagna. Questo declino relativo è dovuto a: - Svantaggio di arrivare per primi: usano tecnologie adatte a loro ma che poi vengono superate. Ad esempio nelle ferrovie, lo scattamento che era più ridotto o la distanza da una rotaia all’altra o la dimensione del treno mostrano come c’è una permanenza di elementi tecnologici arretrati che spiegano questo declino relativo; - Tra ‘700 e ‘800 gli imprenditori sono più dinamici ad usare le nuove tecnologie e a sviluppare la prima rivoluzione industriale. Successivamente è come se perdessero di dinamicità e sono affascinati da stili di vita diversi; - Sistema educativo: si nota che il sistema formativo inglese fondato su scuole private è un sistema tradizionale, fondato sugli studi giuridici e classico-letterali dove lo sviluppo delle conoscenze scientifiche predilige la teoria alla pratica. Man mano che la tecnologia si fa complessa il sistema scolastico inglese quindi risulta poco efficiente. - Precoce finanziarizzazione del sistema economico: una parte del capitale inizia ad allontanarsi dall’industria per dedicarsi alle attività finanziarie. Ciò va a discapito della capacità competitiva del settore industriale e comincia ad essere un po' trascurato. Siamo davanti a paesi diversi, piccoli e grandi, con tante risorse e un elevato livello di capitale umano quindi alti livelli di alfabetizzazione, notevole tradizione a livello manifatturiero e poi anche una comunanza a livello culturale. Nel caso di Belgio e Germania, quando si parla di risorse fisiche si parla soprattutto di carbone che però in Svizzera non c’è. Essa ricompensa però con la disponibilità di corsi d’acqua che la pone allo stesso livello. Hanno caratteristiche comuni: - Imitazione rapida dei processi della rivoluzione industriale e delle innovazioni; - Crescita sostenuta: tra il 1820 e il 1913 in paesi crescono almeno di 3 volte. Inizialmente fino agli anni ‘60/’70 è una crescita di ferro, cotone e macchina a vapore ma dopo adotteranno le tecnologie della seconda rivoluzione industriale come motore a scoppio o energia elettrica. Saranno quindi in grado di sviluppare questo settore; Hanno anche differenze: - Le dimensioni: anche a causa della dimensione diversa, lo sviluppo economico sarà diverso anche perché un piccolo aggregato quale Belgio e Svizzera è favorito rispetto ad un grande sistema; - Gli assetti politici: anche questi sono diversi. In Germania un elemento importante sarà quello delle banche mentre negli Stati Uniti le corporation quindi le grandi imprese. - La dimensione ridotta riduce anche l’importanza dello stato. In particolare nei paesi piccoli, lo stato ha un peso meno eclatante. - Le dimensioni limitate del mercato interno: nel momento in cui ad esempio Belgio e Svizzera diventano industrializzati emerge il problema del mercato interno che è insufficiente a sostenere un’industria che cresce e si sviluppa a ritmi accelerati. Generalmente questo svantaggio viene superato con una precoce internazionalizzazione. Diventano quindi importanti le importazioni e Belgio e Svizzera creeranno anche filiali delle loro imprese per il resto del mondo così da collocare i prodotti e compensare lo svantaggio del mercato interno. Questi sono i primi a sviluppare le multinazionali quindi non solo producono nel paese loro ma anche negli altri paesi però solo in quelli europei, non c’è ancora un’espansione per il resto del mondo. Un esempio è quello del 1862, quando Ernest Solvay da vita alla sua industria chimica che sarà diventerà rapidamente una grande multinazionale. - Belgio e Svizzera seguono strade opposte: mentre il Belgio fonda il suo sviluppo su un forte intervento delle istituzioni, su una rilevante concentrazione imprenditoriale e suo vantaggi derivanti dalle risorse disponibili e dalla vicinanza della Gran Bretagna mentre lo sviluppo della Svizzera si basa sull’istruzione e sulla formazione professionale per sviluppare un sistema decentrato e fondato su un’industria ad elevata specializzazione, gli svizzeri infatti sono capaci di specializzare in alcuni settori la loro attività a livello produttivo. Nel caso del Belgio c’è anche il fatto di essere di fronte a livello di posizione. In Svizzera invece i settori che cambiano per imitare la Gran Bretagna sono quello tessile, quindi si sviluppano i settori che lavorano la lana e il lino. Un altro settore in cui il Belgio si sviluppa è il settore della siderurgia, sviluppo spiegato dalla grande presenza di carbone. Il Belgio ha grandi impianti e questo sviluppo favorirà il conseguente sviluppo dell’industria meccanica nella produzione per l’industria ferroviaria e navale. Sviluppando quella ferroviaria il Belgio andrà in giro per l’Europa andando a creare sempre più linee ferroviarie. Per capire lo sviluppo di questo, dobbiamo tener presente l’osmosi tra pubblico e privato. La classe politica e quella economica coincidono. Lo stesso sovrano partecipa ad attività economiche. Ciò non vuol dire che le imprese sono dello stato ma la stessa classe dirigente politica è anche classe economica dello stato. Il secondo aspetto importante è il ruolo del credito. Alcune società di credito sono delle banche che controllano imprese industriali abbiamo quindi un ruolo molto importante delle banche che arrivano a controllare imprese industriali. La Svizzera invece si industrializzerà grazie al settore tessile, in particolare a quello del cotone e della tessitura della seta. Importante anche l’industria alimentare, ad esempio la Nesle. Non c’è grande siderurgia qui. È importante anche la specializzazione del lavoro, in particolare sono specializzati in orologi. Produrranno per tutto l’800 migliaia di meccanismi per orologeria. Non solo però, infatti non si fermano ma producono anche macchinario meccanico quindi le macchine. Questa specializzazione del lavoro favorisce la sua industrializzazione. Nei grandi sistemi anche troviamo percorsi diversi. Ad esempio se parliamo della Francia, parliamo di un’industrializzazione duale e decentrata. Questo paese ha delle caratteristiche: - Crescita demografica molto lenta: mentre l’Inghilterra moltiplica la sua popolazione, la Germania aumenta i suoi abitanti e anche l’America, invece la Francia cresce lentamente. Per questo alcuni studiosi mettono in dubbio che la quest’ultima abbia fatto parte dell’industrializzazione. In generale però si pensa che invece ne abbia fatto parte perché in vari settori è molto specializzata. Questa crescita lenta è dovuta al fatto che anche in Francia diminuisce la mortalità ma anche la natalità. I francesi fanno pochi figli - L’importanza delle risorse: il vero problema è che questo paese scopre di avere grandi risorse dal punto di vista dell’agricoltura (la superficie coltivabile è 25 volte superiore a quella dell’Italia) e ci sono grandi risorse minerarie con conseguente necessità di manodopera. Da qui si apre l’immigrazione con popolazioni che arrivano prima dall’Europa e poi dall’Asia, attratte dalle grandi risorse da sfruttare, nuove città da costruire e un mondo tutto nuovo. Malgrado arrivi sempre nuova gente c’è comunque una carenza di braccia quindi si inizia ad avere la tendenza a sviluppare tecnologie e modelli organizzativi per ridurre il bisogno di manodopera. Gli Stati Uniti iniziano quindi ad avere un progresso grande di meccanizzazione sia del lavoro agricolo che di quello industriale per poter risparmiare manodopera. Sempre grazie all’immigrazione, un aspetto importante era la scuola che è presene ovunque. Questo perchè è il luogo che fa diventare tutti americani e dove si acquisisce una nuova identità. I governi degli stati sono preoccupati di questa diffusione dell’istruzione perché è lo strumento per unificare persone che poi essendo liberi cittadini andranno anche a votare; - Grande importanza del mercato interno: prima della prima guerra mondiale crescono poco grazie alle esportazioni perché sono una potenza solo nel loro mercato interno che viene protetto dalle barriere doganali elevate. Il mercato interno è molto grande e ricco perché i livelli di reddito sono più alti e libero perchè non ci sono già i produttori. Ciò che si scopre e che viene valorizzato è la standardizzazione della produzione quindi la tendenza a costruire prodotti. Questo comincerà nel settore degli armamenti per poi svilupparsi in quello automobilistico. Viene introdotta anche la catena di montaggio il che vuol dire che l’impresa americana non è solo una grande impresa ma è organizzata secondo modelli e schemi completamente nuovi. Lo scopo è produrre tanto a prezzi bassi per avere vendite elevate. Si guadagnava quindi sulla grande quantità dei prezzi messi in vendita. È un capitalismo della grande produzione organizzata scientificamente. La scienza non è solo scienza per scoprire nuovi prodotti ma è una scienza organizzativa. Si studia come scientificamente comporre il prodotto e le sue singole parti per poi studiare scientificamente come arrivare al prodotto finale. Tutto ciò perché organizzando scientificamente il lavoro, le produzioni riescono ad essere le produzioni più competitive a livello mondiale per quanto riguarda il loro prezzo. Si creano quindi grandi imprese che progressivamente conquistano il mercato interno realizzando lo stesso prodotto. Abbiamo ad esempio la Singer che realizzerà la macchina da cucire. Le macchine aiutano il lavoro in casa e non servono più solo per il lavoro in fabbrica. A inventare ciò sono gli americani. Un altro prodotto di fine ‘800 e inizio ‘900 è la coca cola e anche la società Edison, grande società elettrica. Per sviluppare ciò serve conoscenza, una conoscenza che negli Stati Uniti c’è sia a livello di fabbriche ma anche a livello delle università. Quelle americane, estremamente collegate al mondo delle imprese, sono luoghi dove si sviluppa la scoperta scientifica, sia nel campo dei prodotti ma anche su come costruirli perché ne devo produrre molti a prezzi bassi. L’Europa imparerà a fare ciò solo nel corso del ‘900. Un’idea di questo gigantismo americano è l’isola di Manahttan a New York che nel 1873 è completamente urbanizzata con le sue varie strade. Prima della prima guerra mondiale invece su questa isola compaiono i primi grattacieli. Questo cambiamento è stato permesso dall’aumento della popolazione, dalla forte creazione del mercato interno, dal grande sviluppo del settore dei trasporti, dalla forte meccanizzazione del settore agricolo e industriale, dalle grandi società scientificamente organizzate sia per la produzione di merci che per l’organizzazione della produzione stessa. Va ricordato che gli Stati Uniti non sono tutti uguali, il grande sviluppo di cui abbiamo parlato avviene dalla costa orientale fino alla regione dei grandi laghi dove c’è Chicago. L’interno che pure cresce come popolazione rimane ancora una grande realtà agricola. Anche in questo caso quindi si creano forti dualismi tra regioni fortemente industrializzate e altre che sono più agricole, anche se queste ultime hanno un’agricoltura molto efficiente. - Un grande sviluppo non solo dell’industria ma anche dell’agricoltura: diventeranno grandi produttori di cereale e con i loro cereali invaderanno l’Europa creando una crisi dell’agricoltura europea. Il grano americano infatti costa meno perché la terra costa meno e gli agricoltori sono proprietari dei terreni e si servono delle macchine. - Un altro elemento importante è il sistema dei trasporti: essendo un paese grande, ha bisogno per potersi sviluppare di unificare il mercato interno. All’inizio viene fatto con la costruzione di strade e servizi di diligenza, poi si sviluppano canali navigabili ma il vero grande business e il primo è quello delle ferrovie. Siamo davanti a 400.000 km di ferrovie costruite nel corso dell’800. Questo sistema ferroviario è costruito da società private e ce ne sono grandi che hanno queste caratteristiche quali un enorme bisogno di capitale che si quotano in Borsa, a Wall Street, alla Borsa di New York, vendono quote azionarie e recuperano capitale. Sono delle vere e proprie società operazioni. Inoltre le ferrovie sono importanti anche per il fatto che sono le prime che sviluppano la riflessione sul modello organizzativo, sono le prime grandi compagnie che funzionano tramite gerarchie manageriali sia a livello centrale, per decidere strategicamente come organizzare gli affari, sia a livello delle singole linee ferroviarie quindi la conseguenza delle ferrovie è lo sviluppo di una scienza dell’organizzazione aziendale. Un altro aspetto interessante è che le ferrovie vendendo azioni non hanno un unico proprietario ma società quotate in borsa che hanno una molteplicità di proprietari. La società quindi è guidata dall’amministratore delegato. I soci si riuniscono in un’assemblea, approvano un bilancio e attribuiscono ad una persona competente il ruolo di amministratore della loro società. Se ottiene buoni risultati lo confermano altrimenti lo sostituiscono. Per la prima volta nel mondo si ha quindi la separazione tra proprietà e direzione, i proprietari sono una cosa ma i gestori dell’azienda sono un’altra cosa quale i delegati che non possiedono azioni delle imprese ma hanno il compito di svolgere il ruolo di amministratore dell’impresa stessa. I Paesi del secondo cerchio Nel secondo cerchio ci sono i paesi che si industrializzano a inizio ‘900 e che quindi sono in ritardo di un secolo rispetto all’Inghilterra. Si tratta dei paesi dell’Europa del sud, dell’est e del nord. Oltre a questi ci soffermeremo sulla Russia e a spiegare perché questo paese più grande e tanto ricco a livello di risorse rispetto all’America rimane in ritardo. Poi ci soffermeremo sul caso giapponese che è interessante perché è il primo paese di cultura non europea che si è industrializzato. In questi paesi ritardatari non è che non arrivino le macchine o una rete ferroviaria, alcuni elementi di innovazione arrivano ma non riescono a cambiare il sistema che rimane ancorato all’attività agricola spesso svolta in modo tradizionale, con arretratezza sia a livello economico che sociale, si conoscono le novità che però rimangono poco diffuse e poco capaci di attecchire in questi paesi. Noi sappiamo che la rivoluzione comporta vari costi sociali come inquinamento, condizioni di vita o di lavoro pesanti, quindi il cambiamento che avviene in Inghilterra e nei paesi del primo cerchio portò a conseguenze negative. I paesi ritardatari però stavano ancora peggio perché mentre l’agricoltore americano usava le macchine, le donne diventano quasi animali da tiro per l’aratro quindi il ritardo genera condizioni ancora peggiori rispetto a quelle dei paesi del primo cerchio. Ci sono due categorie di paesi, la prima ha già iniziato a industrializzarsi e vi appartengono a paesi del nord Europa che sono privi di materie prime quindi il ritardo non è sociale ma a livello di risorse. Poi il secondo è gruppo composto dai paesi dell’Europa meridionale e orientale, la Russia e il Giappone dove il ritardo è di tipo sociale perchè in primo luogo abbiamo sistemi con un’alfabetizzazione sociale più bassa e poi ci sono società tradizionali dove comandano i proprietari terrieri quindi l’agricoltura viene messa su un alto livello. Inoltre in questi paesi il reddito non è diviso in maniera equa, qui i redditi della popolazione locale sono bassi quindi in questi paesi il mercato interno è povero e socialmente arretrato. All’interno poi dei singoli paesi ci sono aree più oppure meno avanzate, poche e piccole regioni sono industrializzate e non riescono a trascinare tutto il paese verso l’industrializzazione. Questi paesi sono ritardati da una sorte di illusione nel corso dell’800, ovvero dato che alcuni paesi sono diventati industriali, a livello delle classi dirigenti c’è l’idea di rimanere agricoli e di sviluppare i mercati dei nuovi paesi industriali. C’è come l’idea di accettare una divisione del lavoro tra nuovi paesi industrializzati e paesi che restano agricoli quindi vengono costruite ferrovie e infrastrutture ma con l’idea di valorizzare soprattutto il settore primario. Dal punto di vista commerciale prevale l’idea del liberismo commerciale secondo cui si comprano i prodotti industriali da altri paesi vendendogli i propri prodotti agricoli. Questa idea cadrà a fine ‘800 quando l’arrivo massiccio di prodotti agricoli mostrerà che non si può rinunciare all’industria quindi anche questi paesi inizieranno a sviluppare il settore industriale. Questo modello di crescita basato sull’agricoltura aveva anche una ragione sociale. Sviluppandosi secondo la tradizione si evitano i conflitti, le lotte sociali e le proteste. Il modello entra in crisi perché questi paesi hanno una crescita demografica e il settore agricolo sul quale si punta non è sufficiente per provocare un processo di sviluppo. Altra cosa è che il mercato dei cereali è travolto dalle esportazioni americane dagli anni ‘70. L’arrivo massiccio di grano dall’oltreoceano mette in crisi le agricolture di questi paesi e spingono a modificare il loro modello di sviluppo. Una riflessione importante è quella di Gerschenkron secondo cui ci sarebbe anche un vantaggio del ritardo perché questo ritardo da la possibilità di utilizzare le tecnologie più avanzate adottandole immediatamente. Un altro studioso, Landes, ci invita a riflettere sul fatto che è vera la teoria di Gerschenkron ma dipende se si è preparati perché se non lo si è il ritardo fa fare piccoli progressi di crescita, poco capaci di sviluppare il paese. I paesi ritardatari vengono quindi appunto divisi in due gruppi: - I paesi del nord Europa che non avevano un ritardo sociale o culturale, avevano ottime agricolture ma erano in ritardo sia per carenze di materie prime sia per l’illusione di rimanere paesi agricoli e inoltre erano paesi dove il mercato interno era relativamente florido; - I paesi del sud e dell’est Europa caratterizzati da un mercato interno povero e un ritardo sociale e culturale. Tra i ritardatari ci sono coloro che hanno condizioni che facilitano e coloro che hanno condizioni che ritardano. Succedono conseguentemente due percorsi diversi: - I paesi del nord a partire dal 1870 convergono verso i paesi più avanzati e lo fanno per la loro collocazione che favorisce un avvicinamento ai modelli più avanzati. Anche questi paesi diventano moderni tramite un’industrializzazione delle loro agricolture quindi sono paesi agricoli con agricolture efficienti e diventano venditori di grandi prodotti agricoli e di macchine da impiegare nel settore dell’agricoltura e dell’industria alimentare. Ad esempio in Finlandia la crescita sarà legata allo sfruttamento di una risorsa quale quella della pasta di cellulosa, del legname. Tramite lo sfruttamento di queste risorse avviene un cambiamento importante: questi paesi riescono a crescere in maniera importante anche grazie alle tecnologie della seconda rivoluzione industriale. Superano il limite della carenza di carbone ad esempio sviluppando l’energia elettrica o quella del petrolio andando a modernizzare i sistemi agricoli sia in campo dell’agricoltura stessa ma anche nel settore industriale; - I paesi del sud e dell’est Europa rimangono arretrati. In questo caso avviene a inizio ‘900 e in misura limitata e questi riescono solo in parte a cambiare. essere in ritardo rispetto all’Inghilterra e ai paesi del primo cerchio. Solo tra le due guerre mondiali inizia ad essere una delle grandi potenze mondiali. Le industrie che nascono vengono dirette dai samurai, principi guerrieri che perdono il loro potere politico e cercano di riprenderlo diventando grandi imprenditori, anche se probabilmente in Giappone esistevano già imprese soprattutto commerciali legate a grandi famiglie che gestivano già importanti traffici commerciali. Queste famiglie sono quelle che poi formano anche le imprese che sono agglomerati potenti che uniscono l’attività commerciale e quella industriale. Nascono le zaibtsu, come ad esempio Matsubishi o Sumitomo, ovvero grandi imprese familiari che fondono funzioni commerciali industriali e bancarie. La banca quindi è parte stessa di questo gruppo. Si creano così grandi concentrati di potere economico che alla fine della seconda guerra mondiale saranno sabotate dagli americani. Cambiamenti tecnologici e nuove forme di impresa Sappiamo che la prima rivoluzione industriale è caratterizzata da macchina a vapore, utilizzo di carbone minerale, grandi quantità di ferro acciaio. Dalla diffusione di ferrovie e dalla chimica inorganica. Tutto ciò è dentro la fabbrica e quasi sempre lo sviluppo della fabbrica fa crescere l’urbanizzazione quindi questo nuovo modo di produrre a livello di fabbrica si concentra nelle città. Le imprese sono di dimensione molto più grande rispetto al passato, ma rispetto a quello che avremo con la seconda rivoluzione industriale, sono piccole. La tecnologia è piuttosto semplice. Ciò vuol dire che nella prima rivoluzione industriale il rapporto tra scienza e tecnica quindi tra teoria e applicazione è limitato. La tecnologia arriva nelle fabbriche tramite la pratica e tramite le competenze che le persone acquisiscono con l’esperienza. Non c’è quindi lo studio nel laboratorio e poi l’applicazione nelle fabbriche. Grazie alla semplicità della tecnologia, le fabbriche non hanno bisogno di grandi capitali. Gli unici settori dove servono grandi capitali sono quelli della comunicazione per costruire canali e reti ferroviarie. Già nella prima rivoluzione industriale si realizzano migliaia di km di ferrovie. Non a caso per la realizzazione di queste intervengono le banche come nel caso della Germania oppure lo stato o la borsa valori come nel caso dell’America. L’imprenditore ha bisogno soprattutto di capitale circolante quindi di comprare materia prima per poi trasformarla in prodotto industriale. Dato ce deve anticipare il denaro per comprare le materie prime e non sempre lo possiede, si rivolge alle banche. Questo avviene quindi durante la prima rivoluzione industriale e a metà dell’800 mette a disposizione una materia prima che prima non si utilizzava quali ferro e acciaio che diventano dei beni a prezzi abbordabili e quindi sono utilizzati in misura crescente per realizzare sia infrastrutture di immediata utilità che edifici con valore simbolico che testimoniano la grandezza raggiunta da ogni paese. Un esempio sono i ponti, quelli delle strade che fino all’avvento della ferrovia sono in pietra fatti secondo le tecnologie dell’antica Roma. Ora invece abbiamo i moderni viadotti ferroviari costruiti in ferro. Se si può utilizzare molto, vuol dire che è un materiale che costa poco. Altro esempio sono la Galleria Vittorio Emanuele e la Torre Eiffel , quindi il ferro è una testimonianza anche della forza economica che ha raggiunto e non serviva solo per utilità. La seconda rivoluzione industriale si sviluppa nella seconda metà dell’800 e nella prima parte del ‘900. Ciò che favorisce questa diffusione è l’enorme velocità delle comunicazioni che non sono fisiche come la ferrovia o la nave a vapore ma anche il movimento di informazioni tramite telegrafo o in seguito, del telefono. Quindi le comunicazioni ora sono molto più facili, ad esempio sapere il prezzo di un bene a tanti km di distanza non richiede tante settimane ma poco tempo. Tutto il sistema delle comunicazioni si è notevolmente evoluto e ciò comporta lo sviluppo anche della carta stampata e quindi di giornali, opuscoli, libri, ecc... Ciò favorisce anche la circolazione della scienza e delle informazioni scientifiche. Le imprese adesso sono sempre più grandi. L’idea non è più di avere tante piccole aziende ma per attuare un’economia di scala, e quindi produrre a prezzi più convenienti concentrando la produzione in stabilimenti più grandi. Con la seconda rivoluzione industriale cambiano anche i settori produttivi. Nuovi settori e nuove forme di energia, grande sviluppo della chimica però organizzata quindi più complessa. Parliamo ad esempio di coloranti, esplosivi, fibre sintetiche, industria farmaceutica, la meccanica quindi capacità di produrre macchine, non solo automobili ma proprio macchine che lavorano quindi quelle utensili che sempre di più meccanizzano e sostituiscono il lavoro dell’uomo, altre fonti di energia quindi il carbone rimane ma adesso si sviluppa l’energia elettrica e di conseguenza compaiono gli studi per produrre energia sia a livello termico tramite centrali termiche oppure tramite il settore idroelettrico quindi sfruttando fiumi, canali e cascate e posizionando turbine che fanno girare un alternatore. Questa energia è importante perché aumenta la possibilità di avere l’energia che serve sia a illuminare quindi si può lavorare di notte e dilata il tempo del lavoro dell’uomo e sia, tramite lo sfruttamento del motore elettrico, a meccanizzare prodotti e utensili che l’uomo usa. Tra l’altro il motore elettrico è più duttile, ce ne possono essere grandi o piccoli. L’energia elettrica verrà utilizzata come trazione quindi per muovere tram e ferrovie e invece che avere locomotive a vapore si hanno locomotive elettriche. Quindi l’energia comporta sviluppi e applicazioni. L’altra fonte di energia che compare è quella del motore a scoppio, alimentato dalla benzina che deriva dal petrolio. Non ci si muove più solo con il canale o con la ferrovia ma anche con l’automobile o il camion e la possibilità di trasportare merci si moltiplica tramite lo sviluppo del settore motoristico. Questa seconda rivoluzione industriale, parlando di chimica organica, elettricità, meccanica e motore a scoppio, è una rivoluzione molto più complicata e ciò spiega perchè i paesi in ritardo lo sono ancora di più. Prima si trattava di copiare una tecnologia semplice, ora chi rimane arretrato deve inventarsi le centrali elettriche e non ha la base per farlo. Diventa quindi sempre più difficile star dietro al cambiamento perché la tecnologia diventa complicata. È quindi necessario studiare, compiere esperimenti ma anche avere soldi e luoghi per questi esperimenti perchè ora scienza e tecnica sono ancora più legate tra di loro. Diventa quindi sempre più importante l’università. Lo scontro tra i vari paesi diventa anche scontro a livello di sviluppo di queste. Altra figura importante è quella dell’ingegnere che assomma una grande competenza sia a livello tecnico che formale. I paesi quindi che hanno le migliori università sono quelli che sviluppano meglio i nuovi prodotti e anche i nuovi processi produttivi. Se le industrie sono più grandi e le tecnologie più complicate, ora ci vogliono più risorse, non bastano i capitali circolanti ma diventa importante avere buone basi di finanziamento del capitale fisso. Entrano quindi in campo e segnano la distinzione dei paesi le banche. In particolare molto utili sono le banche miste universali quindi quelle che da tutti i punti di vista finanziano le imprese. Nel caso del capitalismo americano avremmo un grande bisogno di sviluppare la borsa anche se ciò avrà risvolti non proprio positivi. I protagonisti di questa rivoluzione sono Stati Uniti e Germania che meglio mettono in campo il rapporto tra scienza e tecnica, sviluppando le università, migliorando i laboratori e creando grandi imprese che incrementano la produzione e i processi innovativi. Tra l’energia abbiamo il gas e il petrolio. Il primo veniva ottenuto dalla distillazione del carbone e veniva utilizzato principalmente per l’illuminazione, solo in seguito anche per il riscaldamento. Il petrolio invece iniziò ad essere utilizzato nel 1860. Per i primi decenni però era usato solo come lubrificante o per le lampade ad olio. Un altro cambiamento che ci fu in questa seconda rivoluzione fu l’introduzione della cooperazione che è una forma di impresa solidale dove i soci sono i proprietari dell’azienda e questa cooperazione si sviluppa in molte forme per dare risposte ai problemi sociali che l’industrializzazione portava con sè. Una prima forma di cooperazione diffusa nell’ambiente inglese è la cooperativa di consumo quindi gli appartenenti alle classi subalterne davanti all’aumento del costo della vita si mettono insieme formando questo tipo di cooperative. Il vantaggio di questo tipo di cooperazione è poter ottenere i beni di prima necessità a un prezzo più basso. Un secondo tipo di cooperazione che si sviluppa tra ‘800 e ‘900 per aiutare gli operatori delle campagne e che troveremo soprattutto in Germania sono quelle che raccolgono risparmio e lo mettono a disposizione dei soci. Questi si sviluppano negli ambienti agricoli sottoforma di casse anulari o di banche popolari che servono a raccogliere risparmio per poi prestarlo sia a normali cittadini che anche agli imprenditori locali. Altro tipo di cooperazione è la cooperativa di lavoro cioè ci si mette insieme per ottenere un appalto pubblico, un funzionamento di un determinato servizio, ecc… La seconda rivoluzione industriale, in particolare nell’esperienza americana, è accompagnata dalla grande corporation da non confondere con la corporazione o con la cooperazione ma essa è la grande impresa. Per il tipo di mercato americano che era ampio, nuovo e ricco, è possibile sviluppare imprese di grandi dimensioni che sfruttano le economie di scala. La novità della corporation americana, che crea un modello che verrà poi copiato e ripreso in Europa e che durerà fino al 1989/1980, è quello di organizzare il lavoro a livello scientifico quindi la scienza non è applicata solo al prodotto ma anche all’organizzazione aziendale basata sul produrre tanti prodotti tutti uguali. Ciò spiazza i piccoli produttori. Questo processo di gigantismo industriale, cioè di affermazione della grande impresa, avviene attraverso 2 tipi di aggregazione: - L’aggregazione verticale: la grande impresa acquisisce tutto ciò che serve per la produzione da monte a valle quindi incorpora dentro di se anche la produzione delle materie prime necessarie per arrivare al prodotto finito e le reti di vendita. Segue il processo produttivo dall’inizio alla fine e così aumenta la sua dimensione creando un processo di questo tipo. - L’incremento orizzontale: la grande impresa ne acquisisce altre che fanno la stessa cosa diventando così sempre più grande e acquisendo una capacità di presenza più forte sul mercato. Tendenzialmente queste grandi imprese puntano ad avere un controllo monopolistico del mercato quindi una sola impresa che cerca di impossessarsi completamente del mercato di un tipo di prodotto. Queste grandi imprese in questo periodo cominciano a creare anche delle filiali all’estero e diventano imprese multinazionali. Un’altra caratteristica è che sono sempre quotate alla borsa valori, non hanno un singolo proprietario ma ne hanno di più quindi il potere non è gestito dal proprietario delle azioni ma è in mano dell’amministratore delegato, è presente la separazione tra la proprietà e la direzione che è affidata a dei manager che gestiscono sia le varie divisioni operative e i vari stabilimenti che il livello centrale dove vi è lo staff che prende le decisioni strategiche per lo sviluppo delle imprese. Vi è quindi una gerarchia di manager che fanno funzionare questa grande corporation. Queste gerarchie manageriali e i loro compiti vengono studiati scientificamente tant’è che si organizzano delle scuole di manager quindi scuole dove si impara a fare questo mestiere. Già da fine ‘800 a inizio ‘900 ci sono scuole di manager dove si impara a gestire queste grandi imprese che sono delle organizzazioni complesse che hanno bisogno di essere studiate. Il grado di complessità non è solo a livello scientifico o produttivo ma anche a livello organizzativo. Un esempio è la business school di Harvard. Il vantaggio di avere un capitalismo manageriale è che si affida la gestione a personale qualificato che ha le necessarie competenze per gestire queste imprese piene di dipendenti. La presenza del manager e quindi il non aver paura di perdere il controllo dell’impresa favorisce questa crescita dimensionale. L’altro aspetto importante e vantaggioso per queste grandi corporation americane a gestione manageriale è il passaggio. Nell’impresa familiare non sempre si trova nella famiglia persone competenti per la gestione mentre qui le competenze ci sono perché acquisite sul mercato. C’è una continuità di gestione efficiente dell’impresa. Queste grandi corporation sono presenti in tutti i settori come quello alimentare o dei mezzi di trasporto o quello siderurgico e tendono ad avere un controllo monopolistico sul mercato. A questo punto in America succede che, essendo un sistema democratico, queste corporation sono viste come un pericolo sia a livello economico perché creando un monopolio impediscono la concorrenza ma anche a livello politico perché il loro potere politico può condizionare la democrazia. Dalla fine dell’800 il primo provvedimento sarà lo produttore e inizialmente si ha il vantaggio di essere dei monopolisti nello scambio di questo. Quando però arriveranno i produttori asiatici che aumenteranno le produzioni facendo crollare i prezzi, chi si era specializzato in questi prodotti va in difficoltà. Sappiamo che tra ‘800 e ‘900 assistiamo ad una grande mobilità dei fattori quindi tra le varie parti del mondo c’è mobilità delle merci ma anche delle persone, mai come in questo periodo avviene uno spostamento dall’Europa verso gli altri continenti del mondo e in particolare verso le Americhe. Questo avviene grazie al fatto che si mettono a coltura e sono interessati da trasformazioni economiche, ambienti vuoti, privi di occupazione di questi territori se non dalla presenza di popolazioni molto piccole, come i pellerossa d’America o i nativi in Australia. Questi nuovi territori diventano interessanti, richiamano uomini in quanto lì ci sono molte terre da coltivare e grandi risorse da sfruttare, si svilupperanno sistemi industriali molto avanzati e questo attira le persone e provoca questi spostamenti. L’Europa che sta conoscendo una trasformazione non è in grado di dare le stesse opportunità economiche a tutta la popolazione, è vero che è un continente in crescita quindi più l’economia cresce e meno si emigra. Questo fattore lo vedremo ad esempio in Germania che inizialmente è un paese di emigrati ma poi questa si riduce molto con lo sviluppo industriale della Germania stessa. Non ci sono limiti o respingimenti, si può andare liberamente in America avendo però le risorse per pagarsi il viaggio e per sistemarsi fino a che non si trova un’occupazione per cui sul mare oltre allo sviluppo del trasporto delle merci, le navi ottocentesche diventano navi che trasportano varie merci, abbiamo anche la mobilità di persone. I punti di arrivo di questa emigrazione sono Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, coste dell’America meridionale in particolare Brasile, Argentina e in parte il Cile, gli Stati Uniti e, sempre in parte, la Siberia. Si parte dall’Europa, le persone lasciano il loro continente alla ricerca di condizioni di vita e di lavoro migliori. Una partenza significativa nell’800 lo abbiamo anche dal Giappone verso gli Stati Uniti e dalla Cina verso il nord America e l’Australia. In Europa le partenze sono inizialmente dalla parte centrale e anche dall’Inghilterra, poi man mano l’emigrazione è sempre meno un’emigrazione dall’Europa centrale e nord-occidentale e diventa sempre di più un’emigrazione dall’Europa meridionale e orientale, cioè sono quelle parti dell’Europa che hanno minore sviluppo a livello economico. In circa in un secolo, dal 1815 al 1915, 40 milioni di persone quasi emigrano, è il movimento demografico più grande della storia dell’umanità. Questa cosa comporta che in molte aree del mondo, in particolare nel nord America, in Australia o in sud Africa, c’è un’europeizzazione cioè si creano delle nuove Europe. Però non tutti i paesi europei sono fonte di emigrazione, ad esempio la Francia non ha grande sviluppo demografico perché ha una caduta rapida della natalità, non è un paese da cui si emigra, la stessa Germania, quando diventa industriale, cessa di alimentare l’emigrazione invece l’emigrazione è crescente nel corso dell’800 dall’Europa meridionale e orientale perché queste sono le parti del continente europeo interessate meno o solo in parte da processi di crescita economica. La Gran Bretagna, pur essendo il paese più ricco e avanzato, ha una tendenza di emigrazione favorita dal fatto che si va nelle colonie dell’impero e la partenza da parte della Gran Bretagna è motivata anche da ragioni politiche: l’inglese che va in India va ancora nel suo paese, è ancora dentro l’impero britannico. Tornando all’Europa in generale, sud e est contribuiscono almeno inizialmente in misura limitata all’immigrazione mentre nel periodo vicino alla prima guerra mondiale danno dei contingenti molto rilevanti. Un paese da cui si parte in misura notevole è l’Italia. Tra ‘800 e ‘900, l’Italia da un grande contingente all’emigrazione, in particolare verso il continente americano. Nel 1913 partono dall’Italia 700mila persone in un anno quindi sono delle partenze molto significative. Queste partenze riguardano inizialmente il nord Italia e meno dal sud ma quando arriviamo vicini alla prima guerra mondiale, è soprattutto il sud Italia e il Veneto quindi realtà dove vi è meno uno sviluppo economico che danno un grande contingente di popolazione che emigra. Questa emigrazione è destinata prevalentemente agli Stati Uniti. Questi passano da qualche milione di abitante a 100 milioni. Altro luogo di emigrazione importante sono le colonie inglesi quali Canada, sud Africa, Australia e poi, vicini alla prima guerra mondiale, anche Brasile e Argentina. Un’emigrazione particolare interessa anche l’Asia. Inizialmente questa emigrazione è quasi inesistente per poi raggiungere le migliaia e migliaia di persone. Non è così facile emigrare perché è vero che nel paese di origine non ci sono barriere all’ingresso di questi emigrati ma non c’è nessuna assistenza se non forme di carità private oppure organizzazioni di chiese quindi chi emigra si assume un grande rischio. Bisogna inoltre avere del denaro per pagare viaggio e spese di inserimento nel nuovo paese. Una cosa che facilità l’emigrazione e spiega la voglia di emigrare sono le catene migratorie, quindi nei paesi tipo Stati Uniti succede che arrivano famiglie che si insediano, iniziano a trovare lavoro e poi chiamano i loro parenti e conoscenti, quindi l’emigrazione è favorita dal fatto che posso trovare nella località dove voglio andare qualcuno che mi aiuta. La presenza di queste catene favorisce la mobilità e i processi di emigrazione. Un’altra ragione che spiega questa emigrazione è legata al mondo agricolo perché due cose attirano gli emigrati interessati all’agricoltura: la voglia di diventar proprietari di terre e di migliorare le loro condizioni. Non tutti i contadini sono disposti ad abbandonare l’attività agricola inserendosi nelle fabbriche. Molti contadini preferiscono emigrare per continuare l’attività però sperando di migliorare la condizioni. Le conseguenze dell’emigrazione per i paesi sia di partenza che di arrivo sono diverse. Per i paesi di partenza tra ‘800 e ‘900 l’emigrazione è un elemento positivo perché cala la richiesta di lavoro quindi c’è meno disoccupazione e conseguentemente i salari aumentano. È vero che quando l’emigrazione diventa di massa ci può essere un decadimento delle condizioni economiche del paese di partenza. Un altro elemento interessante solo le rimesse: coloro che partono e emigrano spesso non hanno l’idea di rimanere per sempre ma hanno l’idea di ritornare nei luoghi di origine e attraverso gli istituti bancari mandano denaro ai parenti rimasti in patria per poter tornare e sfruttare questi soldi guadagnati all’estero. Sono importanti perché, visto che emigrano milioni di persone, queste piccole somme moltiplicate per molte persone danno luogo a flussi finanziari molto importanti. Ad esempio, l’Italia nei primi anni del ‘900 aveva una bilancia commerciale, ovvero quella che misura entrate e uscite valutarie del paese in base al movimento delle merci, di tipo passivo quindi aveva più uscite che entrate però la bilancia dei pagamenti che al suo interno ha anche la bilancia commerciale è attiva perché vi erano le entrate turistiche e il denaro mandato dai nostri emigrati. La partenza riguarda persone giovani che hanno capacità di lavoro, specializzazioni e spirito imprenditoriale e tutto ciò favorisce nei paesi di arrivo la possibilità di avere manodopera. A un certo punto però l’immigrazione porta il timore di essere invasi dalle persone che arrivano da questi paesi e cominciano anche delle resistenze e delle chiusure, inizialmente negli Stati Uniti si poteva entrare, poi bisognava dimostrare di saper leggere e scrivere e infine gli americani inizieranno ad essere ostili all’emigrazione dalla Cina e ciò favorisce degli atteggiamenti razzisti quindi con l’andare del tempo l’immigrazione così abbondante e significativa produce anche delle reazioni. Non sono però solo i cinesi a suscitare queste preoccupazioni ma anche gli italiani che sono visti come topi che vanno all’assalto della ricchezza americana e soprattutto avevano l’accusa di mafia, in particolare di esportare negli stati uniti la criminalità. L’economia internazionale tra ‘800 e ‘900 e il colonialismo e imperialismo necessita di una spiegazione che parte dalla teoria di Lenin, capo di stato russo degli inizi del ‘900, prima pensatore e teorico che si rifaceva alle idee marxiste. Lui cerca di dare una risposta al perché del colonialismo, dell’imperialismo e della necessità di alcuni stati di allargare i loro confini e aumentare le loro potenze commerciali, economiche e finanziarie. Lenin parla della differenza tra prima e seconda rivoluzione industriale. La base del pensiero marxista e socialista è che devono esserci per forza vittime del capitalismo e quelle della priva rivoluzione industriale sono le classi lavoratrici di ogni stato. Nella seconda rivoluzione industriale questo non basta più perché le classi lavoratrici si sono man mano assottigliate quindi le vittime di questa seconda rivoluzione industriale sono i paesi subalterni che non hanno vissuto uno sviluppo importante come quello europeo. Stiamo parlando in particolare di Asia e Africa (non di Stati Uniti che hanno già visto uno sviluppo). Di conseguenza è necessario che per Lenin le spese le facciano Asia e Africa, quest’ultima soprattutto. Tutto parte con la tratta degli schiavi che non è punto di inizio del colonialismo ma uno degli effetti peggiori di queste politiche internazionali. Questa tratta non nasce con il colonialismo ma è una pratica già sperimentata prima dall’impero romano e nel continente africano. La popolazione che perdeva doveva diventare schiava del paese vincente. C’è un flusso sia dai porti della Guinea Equatoriale verso il nord e sud America ma ci sono anche tutta una serie di movimenti interni. Da quelle stesse zone circa 600.000 persone vanno verso il Marocco e in generale verso i paesi arabi. Lo stesso percorso viene affrontato da 900.000 persone dalle parti di Zanzibar e in generale dall’Africa centrale verso i paesi arabi. Si scelgono questi paesi perché erano il mercato degli schiavi ed erano quelli che poi erano presenti in tutto il resto del mondo. Durante questa tratta siamo nell’800 e il mondo a meno di 1 miliardo di persone mentre l’africa ha 100 milioni circa quindi il 10% della popolazione e inizia ad essere significativo sulla popolazione sia dei paesi africani sia dei paesi che importano persone. Una delle motivazioni fondamentali del colonialismo è che durante il 1800 cambiano i rapporti di forza sia per dar valore alla teoria di Lenin sia perché rivoluzioni industriali e globalizzazione economica necessitano di risorse minerarie, di mercati, di espandere l’economia dei paesi e ciò ha uno scopo naturale nella colonizzazione dei continenti. Ci sono stati però tanti disastri e poche cose positive che provengono dalla colonizzazione. Si sviluppano meccanismi di dominazione diretta o indiretta. Le ragioni sono di vario tipo come convinzioni di superiorità dell’occidente rispetto ad Africa e Asia e poi la voglia di ricerca di opportunità economiche. Il colonialismo di meta/fine ‘800 è nuovo rispetto al colonialismo precedente come quello spagnolo, portoghese o inglese nel continente americano. Infatti in questa fase le colonie e soprattutto gli Stati Uniti avevano già iniziato a guadagnare indipendenza e si pensava che la colonizzazione non fosse più adeguata per l’espansione dei paesi e si cercava di mettere la questione colonizzazione come espansione della popolazione. Si creano quindi nuove Europe intese come colonie di popolazione europea quali indigeni marginalizzati o annientati. Sappiamo che l’Australia, la Nuova Zelanda e l’Oceania hanno subito la prima colonizzazione inglese e sono stati gli inglesi proprio ad andare lì per cercare opportunità nuove, creando così le nuove Europe a cui appartengono anche Stati Uniti e Canada. A metà ‘800 iniziano ad esserci delle vere e proprie regioni commerciali come in india dove non erano entrati gli inglesi per creare una nuova Europa ma l’India era stata appaltata dall’impero inglese alla compagnia delle indie che è una società privata che ha interesse e sopratutto è coperta a livello militare dall’impero britannico e quindi è interessata a gestire il territorio indiano. Nel 1767 non c’era una dominazione inglese ma c’erano tutta una serie di basi piccole lungo le coste ma piano piano le basi iniziano ad essere insufficienti perché bisogna dar sfogo alla forza delle potenze e si hanno i mezzi per entrare negli stati e nei continenti. Quando parliamo di mezzi, se ad esempio pensiamo all’Africa, anche oggi quando andiamo in questo paese è necessario fare una serie di vaccinazioni. All’ora era uguale, l’europeo non era ben accolto dal economica (1873-1895), ad una limitazione dei mercati interni e alla chiusura dei mercati esteri. Ci sono inoltre tutta una serie di contro quindi l’esercito e mantenere le guerre economiche. Tra le ragioni politiche invece abbiamo il timore di perdere il controllo su punti strategici, le ricadute positive in termini di popolarità e infine gruppi di pressione quali esercito, compagnie di navigazione e case commerciali. Inoltre si innestano nelle reazioni ideologiche razzismo e presunta azione civilizzatrice del dominio coloniale. Tra le ragioni economiche abbiamo invece la possibilità di sfruttare miniere, le forniture di prodotti e materie prime, i mercati per l’investimento o beni industriali, la ricerca di impieghi redditizi e sicuri per il capitale e infine l’ottenimento di terre dove inserire la popolazione eccedente della madrepatria. Ci sono tutta una serie di contro quali l’esercito e il mantenere tutte le guerre che si devono fare per mantenere le colonie. Infatti il costo fu maggiore dei benefici. Il colonialismo porta popolarità e i governi vivono di popolarità. Ci sono gruppi di pressione, abbiamo fatto l’esempio dei Florio ma ci sono gli eserciti che voglio fare le guerre, promozioni, essere assegnatari di parti e di mandamenti. Il colonialismo però produce grandi danni ai colonizzati senza produrre vantaggi ai colonizzatori. Insufficiente è la visione leninista perché l’imperialismo è un volto del nuovo capitalismo. Lenin pensava che quel capitalismo dovesse avere sfogo nel colonialismo che in realtà crea un nuovo capitalismo diverso. Per ultimo, le materie prime che si importavano nelle colonie che sono rame, stagno e caucciù, insieme al commercio coloniale e all’investimento nelle colonie non sono essenziali per le economie metropolitane ma possono esserlo per determinati settori. Ci sono poi asimmetrie rispetto ai costi e a alle perdite dello stato ma i gruppi di interesse particolare ci guadagnano, quindi i privati e le compagnie operative agricole, minerarie, commerciali, di servizi ma anche i gruppi ben determinati quali gli investitori, gli addetti al commercio coloniale, i militari e i fabbricanti di armi o di uniformi. Infine le valutazioni fatte dimostrano che anche per l’Inghilterra il colonialismo non fu un affare. Il risultato di tutto ciò sono le dinamiche che spingono l’Europa a continuare nella colonizzazione anche quando si stava già esaurendo e ciò porterà alla prima guerra mondiale che avrà tutta una serie di effetti. Si parla di prima guerra mondiale perché non ci sono solo le nazioni europee coinvolte ma anche le loro colonie quindi tutti i territori sono toccati e si combatte su più fronti e sugli oceani. La prima guerra mondiale e gli anni ‘20 Prima di parlare di prima guerra mondiale è utile parlare delle gold standard. Se andiamo all’età industriale, i mezzi di pagamento erano monete metalliche in oro e argento che avevano un valore intrinseco quindi il valore era dato anche dal materiale con il quale le monete erano realizzate. Già prima della rivoluzione industriale ma soprattutto con questa, si moltiplica l’uso della carta moneta cioè un mezzo di pagamento senza più valore reale perchè questo non sta più nell’intrinseco, è un foglietto di carta e sappiamo che quel pezzo di carta non vale tanto quanto c’è scritto sopra ma ha un potere d’acquisto. Gold standard è un fenomeno realizzato dagli inglesi tra ‘700 e ‘800 quando fissano il contenuto in oro della sterlina. Poi si voleva avere una banca centrale quindi a quella d’Inghilterra si concede il diritto della emissione di cartamoneta, eliminando ogni altra banca che aveva prima questo tipo di funzione. Un passo successivo di inizio ‘800 è stabilire la piena convertibilità della moneta cartacea in moneta metallica. Quindi se si aveva una banconota in mano, si poteva andare alla banca a richiedere l’equivalente in oro, quindi in moneta metallica. Questo si chiama standard aureo che vuol dire che anche la carta è come se fosse oro perché è convertibile. Questo modello della Gran Bretagna verrà poi ripreso dalle maggiori economie europee e anche dagli Stati Uniti, per cui questo sistema del gold standard quindi di monete ancorate all’oro nei singoli paesi, regola i pagamenti internazionali e garantisce la stabilità delle monete. Quindi prima della prima guerra mondiale abbiamo una situazione di equilibrio nei cambi di monete perché ogni paese garantiva la parità tra la moneta metallica e quella cartacea quindi si limitava anche la circolazione della carta. In genere, la regola che veniva rispettata era 1 a 3 quindi si poteva emettere carta fino ad un massimo di 3 avendo una riserva metallica uguale a 1. Gli uomini politici del tempo pensavano che questo sistema avesse garantito un equilibrio prima della prima guerra mondiale ma in realtà avvenne il contrario quindi era un buon andamento dell’economia e delle relazioni economiche internazionali malgrado gli scontri che potevano esserci tra i vari paesi che aveva consentito ai vari paesi di mantenere l’equilibrio dell’oro. Questo equilibrio salta con la prima guerra mondiale. Questa è mondiale perché fondamentalmente scoppia in Europa nel 1914 con l’attentato di Sarajevo e la dichiarazione dell’Austria di guerra alla Serbia che provoca l’appoggio della Germania all’Austria e così pure della Turchia agli imperi centrali mentre dall’altra parte si schierano Francia, Inghilterra e Russia. Avendo questi paesi dei grandi imperi coloniali, lo scontro si estende a tutto il mondo. È una guerra lunga, pesante e costosa in termini economici ma anche in termini di vite umane e per quello è un momento di spaccatura nelle vicende dell’Europa del mondo, sarà un momento di crisi della supremazia d’Europa, il vertice del capitalismo dal punto di vista economico e finanziario si sposterà begli stati uniti. Tra le conseguenze importanti ci sono la caduta dell’impero zarista, l’emergere dell’economia sovietica e l’affermazione di un modello non capitalista completamente alternativo a quello vigente quindi una spaccatura veramente drastica. Gli anni ’20 poi saranno anni di ripresa che sarà però difficile perché avremo disordini e difficoltà a livello economico, finanziario, monetario e anche a livello di relazioni internazionali. La guerra modifica la cartina dell’Europa. Mentre prima nel 1913 in tutta la zona dell’Europa centrale e orientale esistevano 3 grandi imperi quali quello austroungarico, quello russo e quello tedesco. Se invece vediamo la cartina post guerra, nascono addirittura 10 stati quindi l’Europa si frantuma perché si riducono territorio russo e tedesco, scopare l’impero austroungarico e su quelle ceneri di questo impero nascono addirittura la polonia e in totale 10 nuovi stati indipendenti con barriere doganali e monete diverse. Quindi è una guerra che modifica nel profondo la geografia. Tornando alle cause della guerra, queste sono molteplici e sono fondamentalmente non tanto delle cause di natura economica ma di natura politica. La guerra poi è anche legata all’incapacità di previsione dei vari governanti che erano convinti che la guerra sarebbe stata molto breve, ci sarebbero state alcune battaglie e si sarebbero regolati alcuni conti all’interno dell’Europa senza grandi stravolgimenti. In realtà le classi dirigenti sbagliavano il conto, non capiscono che la rivoluzione industriale aveva messo a disposizione dei contingenti mezzi militari mai sperimentati prima quindi invece di avere una guerra lampo si ebbe una guerra di logoramento dove i vincitori furono coloro che avevano alla fine le risorse economiche più imponenti quindi l’intesa vince perché arriva l’aiuto degli Stati Uniti. Quindi chi ha risorse importanti a livello economico vince. Seppur l’economia non ha cause per la guerra, gioca un ruolo centrale perché la forza degli americani a livello economico permette ad una parte in guerra di avere una supremazia. Certamente però non mancavano interessi economici come ad esempio, dato che ci fu un grande sviluppo del sistema capitalistico, con la guerra si volevano decidere i mercati di sbocco quindi la guerra poteva decidere la sistemazione degli imperi coloniali e la possibilità di avere più mercati e più sbocchi per i loro prodotti anche se le colonie dal punto di vista economico non erano poi così interessanti. Poi vi erano conflitti particolari che confluiscono a determinare la guerra. Ad esempio, la grande ascesa dell’impero tedesco metteva in discussione la supremazia politica ed economica della Gran Bretagna quindi una rivalità tra gran essa e la Germania ma anche tra l’impero russo e l’impero tedesco dovuto ad una rivalità economica. Il conflitto tra Francia e Germania che ci fu nel 1870 in cui si scontrarono e i cui i prussiani ebbero la meglio e si presero Alsazia e Lorenza sempre intesi tra Francia e Germania e molto ricche a livello di ferro quindi conseguentemente molto interessanti a livello economico. Un’altra vicenda di carattere economico era legata all’impero turco che era in via di disgregazione. Dalla scomparsa di questi sarebbero altri nuovi stati e da qui uno scontro di interessi tra Austria e Russia su chi doveva avere un predominio sulla penisola balcanica. All’interno dei vari imperi inoltre non mancavano tensioni tra i vari popoli che erano dominati da queste tre grandi potenze sovranazionali. La guerra ebbe dei costi enormi a livello economico e sociale, fu una guerra molto costosa sia per i vincitori che per gli sconfitti e fu distruttiva perché si è già raggiunto un buon livello di sviluppo tecnologico e durante la guerra le conoscenze scientifiche saranno approfondite nella produzione del materiale bellico creando un potere distruttivo mai sperimentato prima, quindi il potere distruttivo degli eserciti cresce enormemente. Inoltre la guerra, essendo mondiale, mobilita un numero esorbitante di soldati quali 65 milioni di cui 8 milioni uomini quindi ecco perché si dice che dal punto di vista sociale si ebbero molti morti, pensioni da pagare, molti feriti e invalidi e c’è quindi uno strascico importante anche negli anni successivi. Le vittime civili all’inizio non sono numerose perché la guerra non è come la seconda guerra mondiale che ha deportazione di ebrei e anche bombardamenti aerei che quindi coinvolge i civili. È anche vero che però sul finire della guerra arriva in Europa dalla Spagna a cui è arrivata probabilmente dagli Stati Uniti, un’influenza chiamata spagnola e che colpisce Europa e popolazione europee nel momento in cui sono più deboli e più fragili e questa provocherà milioni di morti. Quindi per valutare il costo sociale della guerra bisogna vedere i morti militari e civili ma anche gli effetti dell’epidemia che se invece fosse arrivata in anni di pace sicuramente non avrebbe avuto quegli effetti devastanti. Ovviamente i flussi commerciali vengono sconvolti perché è chiaro che non ci si scambia più con i paesi nemici quindi il commercio viene rallentato e anche un pò bloccato e si rafforza il commercio tra i paesi alleati. Una cosa molto importante è che in tutti gli stati ruolo principale nella vita economica diventa lo stato che guida la vita economica e che deve mantenere sul campo milioni di soldati quindi regola le attività produttive perché ciò che viene prodotto dia a livello agricolo che industriale deve soddisfare le esigenze della guerra. Le economie quindi non sono più libere ma è entrato in campo lo stato il quale è il principale motore dell’economia perché gran parte della domanda è domanda pubblica, è lo stato che chiede migliaia di quintali di cibo ad esempio. L’attività produttiva conseguentemente viene stravolta e indirizzata a soddisfare in primo luogo queste esigenze militari. Lo stato inoltre deve avere grandi risorse finanziarie perché non può far lavorare le aziende senza pagarle e quindi deve da un lato aumentare le imposte per poter comparare una parte delle spese anche se in realtà salvo la Gran Bretagna, le entrate dalle tasse non bastano per coprire le spese. Ad esempio l’Italia nel 1917, anno più duro, spende ogni 100 lire spese dallo stato, ne incassava solo 30 e il resto lo prendeva a debito. Quindi altro aspetto importante è che lo stato diventa soggetto importante dei mercati finanziari perché cresce notevolmente il debito pubblico, sia quello interno cioè comprato dai cittadini dei singoli stati, sia i debiti esteri, in particolare per le potenze dell’Intesa i debiti si contraggono con la Gran Bretagna ma poi tutti i paesi dell’Intesa diventano indebitati con gli Stati Uniti. Altra cosa effettuata è l’aumento dello stampo di moneta che produce inflazione, i prezzi quindi aumentano e ad esempio in Italia tra lo scoppio della guerra e i primi anni ’20, quando le cose inizieranno ad essere più controllate, i prezzi aumentano di 5 volte. È chiaro che in questa situazione in cui si stampa più carta, finisce il gold standard quindi non c’è più l’obbligo di convertire la carta in oro perché non ci sono le riserve metalliche sufficienti per coprire questa grande emissione cartacea. Nella vita economica e finanziaria dei paesi quindi diventa sempre più importante il ruolo dello stato. Per comprendere l’aumento dei costi, possiamo far riferimento ai mezzi militari che hanno un prezzo elevato. Non sono i mezzi che avremo nella seconda guerra mondiale come aereo a reazione o la bomba atomica, qui vedremo la prima comparsa di carri amati, treni blindati con cannoni, i preparano delle truppe, le mandano nel bacino della Ruhr per prelevare direttamente il carbone in modo da poter continuare a ricevere risorse economiche come riparazioni. I tedeschi boicottano l’attività produttiva che si ferma completamente, tutti vogliono disfarsi dei marchi e il risultato è che per comprare 1$ si parte da 170 marchi e si arriva a 87 milioni di milioni ecc… quindi una cifra assolutamente spropositata che significa che vi è una sfiducia completa nella moneta tedesca che non ha più valore quindi l’inflazione esplode. Chi aveva debiti ci guadagna ma chi aveva crediti o depositi come la piccola borghesia o chi riceveva uno stipendio si trova a non avere più denaro. È quindi un’iperinflazione che determina conseguenze negative diverse a seconda delle condizioni in cui ci si trova. Per alcuni mesi in Germania non c’è più moneta e si torna ad un’economia di baratto con cui i prodotti si pagavano con le sigarette. A questo punto si deve decidere di intervenire e si ebbe un piano di un funzionario del governo americano quindi tramite finanziamenti americani si ricostituiscono riserve in Germania e viene emesso il Rentermark tramite prestiti sulla borsa di New York. Questa però è una sistemazione molto fragile perchè dipende dal continuo finanziamento che deve arrivare ma quando nel ‘28 questi finanziamenti non arrivano, il sistema collasserà nuovamente. Non si avrà quindi più un’iperinflazione ma una crisi a livello economico e finanziario. Alla fine di questi, nel corso della seconda metà degli anni ‘20, si cerca di riparare la situazione e di tornare ad avere un equilibrio. L’idea che hanno è quella, soprattutto in Inghilterra, di ritornare alla parità precedente alla prima guerra mondiale. Quindi per fermare l’inflazione e tornare ad ancorare i soldi all’oro, si sceglie un tasso di cambio. Nel caso inglese stabiliscono come tasso di cambio quello che c’era prima dello scoppio della guerra ma la sterlina verrà super valutata e gli inglesi avranno grandi difficoltà ad esportare. Diversamente fa la Francia che invece ritorna ad una parità del franco con l’oro ma al valore che aveva nel 26 e fa quindi una politica monetaria molto realistica. Gli Stati Uniti dovrebbero avere un ruolo centrale perché dovrebbero riconoscere di aver raggiunto un livello molto avanzato di potenza economica e finanziaria e quindi di essere diventati il dentro delle attività finanziarie mondiali. Loro però non lo fanno, anzi si isolano e bloccano l’arrivo di nuovi immigrati convinti che la loro economia possa bastare per garantire la loro ripresa economica. Il risultato è che questa ripresa arranca perchè i paesi con maggiori riserve di oro quali Francia e Stati Uniti non lo rimettono in circolazione e rendono più complessa la ripresa dell’economia internazionale. Malgrado questa situazione di fragilità e di mancanza di cooperazione internazionale, dopo il ‘22 l’economia è in ripresa perché lo sviluppo tecnologico ,mette a disposizione nuovi prodotti e questo, dopo la riconversione dall’economia di guerra a quella di pace, consente una ripresa della vita economica. I settori che crescono di più e che contribuiscono a questa ripresa sono: - Il settore elettrico: riprende particolarmente nella produzione di elettricità in particolare in Europa idroelettrico e negli stati uniti il termoelettrico (si scalda acqua, si produce vapore e si muovono meccanismi che producono energia) - Il settore dei trasporti: in particolare quello dei veicoli a motore quali l’automobile ma non tanto in Europa quanto negli Stati Uniti dove comincia ad essere un bene quasi per ogni famiglia quindi c’è un consumo di massa. Tra i beni di consumo di massa anche in Europa ci sono biciclette, macchine da cucire, radio quindi tutta una serie di nuovi prodotti che crescono a livello di quantità e portano ad una nuova espansione delle attività produttiva; - Il settore chimico: in particolare i coloranti, le fibre sintetiche, la gomma e i prodotti farmaceutici; - Il settore agricolo: in Europa anche c’è una diffusione notevole dei trattori. Dentro un quadro che rimane fragile per questa carenza di cooperazione internazionale, tendenza al protezionismo e all’isolazionismo, caduta del potere di acquisto di ampie fasce della popolazione, elementi di difficoltà presenti nel contesto economico e civile ma ci fu una ripresa delle attività economiche e si diffuse l’illusione che ormai si può avere uno sviluppo indefinito, soprattutto negli stati uniti si diffonde l’idea che si raggiunge un grado di interesse che non potrà che aumentare, tant’è che Hoover, quando nel ‘28 vincerà le elezioni, propone per ogni famiglia americana un pollo in pentola quindi non c’è più la fame e addirittura due macchine per ogni garage quindi c’è l’idea che si è raggiunto un benessere economico che non può più essere contrastato. Questa cosa è importante perché a questo punto la crisi del ‘29 sarà ancora più negativa perché arriva in un contesto in cui invece c’era l’illusione di avere raggiungo la formula del benessere indefinito. La crisi del 1929 Come sappiamo, gli Stati Uniti vivono l’illusione di aver trovato un sistema per poter crescere in maniera definitiva senza fermarsi più. In realtà dietro questa illusione si nascondeva una situazione di debolezza dovuta innanzitutto al settore agricolo. Questo si era molto sviluppato durante gli anni della prima guerra mondiale in cui ci fu una forte domanda da parte dell’Europa e gli agricoltori erano pesantemente indebitati per comprare terra, macchinari e per incrementare la produzione contando sui pezzi alti del periodo di guerra. In realtà con gli anni ’20 la produzione torna ad essere normale anche fuori dagli Stati Uniti e quindi i prezzi dei prodotti agricoli tendono a diminuire con il risultato che si trovano fortemente indebitati in una situazione di prezzi non più molto remunerativi ma bensì eccedenti. Quindi dietro il grande splendore dello sviluppo americano degli anni ’20 bisogna ricordare questa debolezza dell’agricoltura che avrà poi i suoi effetti e che sarà causa della crisi del ’29. Questa non fu solo di carattere finanziario legata alle speculazioni della Borsa di New York ma è anche legata all’economia reale che i ruggenti anni ’20 coprono. L’altro aspetto che va ricordato e che poi troveremo nel momento in cui la crisi scoppia, è la tendenza di ogni paese da fare da sé. Non ci sono interessi nello sviluppare cooperazioni a livello nazionale e ogni paese si crede autonomo. La consapevolezza della necessità di questa cooperazione nascerà solo dopo la seconda guerra mondiale. Inoltre lo sviluppo degli anni ’20 fu legato ad un’applicazione sempre più massiccia dei ritrovati della seconda rivoluzione industriale sia a livello tecnico sia a livello organizzativo delle fabbriche. Questa crescita che avviene negli anni ‘20 in questa particolare situazione determina una spartizione dei redditi non equa i cui i maggiori redditi andavano ai capitalisti e ciò vuol dire che alla crescita della produzione non fa seguito anche un aumento di domanda quindi si arriverà alla crisi del ‘29 con un’economia caratterizzata da eccessi di produzione. Tornando al reddito, non era distribuito in modo omogeneo e ciò favorirà la tentazione di non investire nell’attività produttiva perché si capiva che offerte e domande non erano equiparate ma diventerà interessante l’investimento finanziario e questo porterà poi alla bolla speculativa che crescerà nel corso degli anni ‘20 andando ad esplodere nel famoso martedì nero. Questa crisi è americana parte nel paese più forte a livello di capitalismo internazionale, infatti all’inizio riguarda gli Stati Uniti, ed è prolungata, infatti una vera e propria ripresa si avrà solo con lo scoppio della seconda guerra mondiale e la caduta si avrà nel ‘29 e non si fermerà fino al ‘32. Inoltre è una crisi molto profonda, il mondo capitalistico non ha mai visto una cosa del genere, il PIL cade del 30%, gli investimenti del 90% e colui che vorrà ricostruire la situazione sarà Roosevelt che vorrà ritrovare una fiducia negli investimenti. L’altro elemento molto grave di questa crisi è la disoccupazione: negli Stati Uniti sarà pari al 25%, la disoccupazione prima della prima guerra mondiale era sempre rimasta sotto del 5% mentre negli anni ‘20 non andava oltre il 10% e solo con la seconda guerra mondiale le percentuali scenderanno in maniera vantaggiosa. maturazione il livello di sviluppo raggiunto. Altra tesi è che la crisi è frutto della distribuzione ineguale dei rediti che spinge verso la speculazione finanziaria oppure la crisi è finanziaria e avrà conseguenze anche a livello economico. Dalle immagini dell’indice Dow Jones della Borsa di New York, se osserviamo l’indice delle quotazioni di Borsa è a 140 nel 1927. Poi da questa data al 1929 c’è una crescita sempre più rapida e l’indice arriva al 390. Possiamo quindi notare la speculazione di borsa, la gente continua a investire, le azioni aumentano di valore ma non c’è più collegamento tra economia finanziaria e economia reale e c’è un surriscaldamento esagerato della speculazione finanziaria. Succede che nel ‘29 la banca centrale americana, rendendosi conto della speculazione, aumenta il costo del denari quindi rende i prestiti più cari per fermare la speculazione. A questo punto le quotazioni, con il famoso martedì nero, cominciano a scendere e alcuni rimbalzi precipitano, l’indice da 390 arriva a 40 quindi da una fase di euforia borsistica si passa ad una fase di panico in cui tutti coloro che avevano titoli li vendono provocando un crollo delle quotazioni. Nel 1954 la borsa tornerà ai livelli precedenti del martedì nero del 1929. In questa situazione, non si è semplicemente sistemato il mercato, infatti il problema è che la crisi della borsa che diventa una crisi non solo finanziaria ma anche economica perché molti avevano speculato in borsa, sia ricchi che non, e quando le quotazioni crollano le persone si trovano in mano titoli che venivano pagati a prezzi sempre più alti che ora sono come carta straccia e ciò porta a persone sempre più povere e ad una conseguenza di caduta della domanda. Ecco che la crisi non è più solo finanziaria ma anche economica. Inoltre le banche avevano prestato soldi e si ritrovano con crediti che non riescono a recuperare. Si ha una crisi delle banche e queste tendono a ridurre notevolmente i prestiti, anche agli operatori sani, per cui si ebbe una caduta degli investimenti ma anche della liquidità e dei prezzi. Tramite l’amministrazione di Hoover, che appartiene alla scuola della stabilità secondo cui lo stato non deve intervenire perché il sistema si correggerà da solo, al posto di avere un aumento della spesa pubblica per sostenere la domanda, continua a mantenere politiche ortodosse attuando ancora il bilancio e mantenendo il dollaro legato all’oro, convinto di essere davanti ad una crisi breve. Questo aggrava ancora di più la crisi. Un’altra cosa che fa, a causa della domanda che crolla, è adottare una politica protezionistica con l’idea che visto che si fa fatica a trovare domanda sul mercato interno, non facciamo entrare i prodotti stranieri. Questo comporta la dilatazione della crisi perché vanno in crisi gli Stati Uniti e poi anche altri paesi, soprattutto chi forniva materie prime e prodotti agricoli a questi. Quindi questa posizione di chiusura fa diffondere la crisi americana che in pochi mesi, già nel ‘31 e ‘32, diventa internazionale. Mancano anche politiche sociali come politiche di aiuto ai disoccupati e manca sia negli Stati Uniti che nelle altre nazioni e la crisi si aggrava sempre di più. Dal grafico vediamo che si tratta di una crisi deflattiva e la diminuzione dei prezzi comporta l’aumento della disoccupazione. Quindi la crisi del ’29 è una crisi di caduta di fiducia che diventa caduta di domanda, di occupazione e di orezzi e che ha il suo effetto sociale più rilevante nella drammatica disoccupazione che tende a colpire in particolare il 25% degli Stati Uniti e il 40% della Germania, infatti non a caso in questa forte disoccupazione verrà fuori il nazismo in quanto la crisi è talmente grave da distruggere il sistema economico e politico tedesco. La crisi del ‘29 comporta anche una crisi delle banche in Austria ma anche in Germania che sospenderà i pagamenti delle riparazioni e anche l’Italia avrà una forte caduta di economia, finanza e banche e dovrà intervenire lo Stato per salvare le banche diventando proprietario di una serie di istituti di credito. La crisi è meno forte invece in Francia mentre in Inghilterra le autorità inglesi, per cercare anche qui di bloccare le importazioni, svaluteranno la sterlina. In generale quindi vari paesi tendono ad abbandonare il gold standard e a far svalutare le loro monete. Questo perché quando un paese ha una moneta svalutata, è più facile per esso esportare e diventa più difficile importare. Nel grafico abbiamo i fallimenti bancari negli Stati Uniti, non che mancassero prima, ma con la Grande Depressione non c’è paragone rispetto a quello che avveniva in precedenza, cioè c’è proprio un boom delle crisi delle banche. Queste vanno in crisi perché avevano investito troppo nella speculazione in borsa e ora si trovano piene di clienti che potrebbero pagare ma lo fanno con titoli privi di valore quindi le esse hanno perso liquidità. Le banche falliscono anche perché nel momento in cui si arriva alla difficoltà, i cittadini corrono a ritirare i loro depositi e si scatena un panico finanziario. La gente fa ciò perché al tempo non esistevano fondi di difesa mentre oggi anche se una banca fallisce non si perdono tutti i soldi mentre a quei tempi le persone si ritrovavano nel fallimento della banca. Abbiamo visto appunto che cadono gli investimenti di circa il 90% e riprenderanno solo nella fase Gli anni Trenta. Le risposte alla crisi del 1929 Gli inglesi sono tra quelli che riescono a subire meno la crisi. Nel 1931 abbandonano la parità aurea. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, negli anni ’20, la sterlina si era riagganciata all’oro con lo stesso livello di cambio del periodo antecedente alla prima guerra mondiale, con il risultato di avere una sterlina molto forte e quindi delle difficoltà nelle esportazioni. Adesso invece la sterlina svaluta e il governo fa ciò per favorire le esportazioni e rendere più difficili le importazioni. Nello stesso tempo, non dovendo più mantenere la parità aurea della sterlina, si può aumentare la spesa pubblica per compensare la riduzione della domanda privata e internazionale che sono caratteristiche della crisi. Successivamente, anche in Gran Bretagna, che aveva sempre mantenuto una tradizione liberale cioè di politiche doganali di tipo liberista, si incrementano i dazi rispetto ai paesi terzi e si cerca di valorizzare il commercio nel Commonwealth (la Gran Bretagna ha ancora un impero che comprende Australia, Canada, Sud Africa, India) quindi si cerca di valorizzare gli scambi con i paesi coloniali o le cosiddette nuove Europe che fanno parte di questo blocco il cui punto di riferimento è la Gran Bretagna. Essa quindi fa una politica consapevole della situazione della crisi, si rende conto che non può più avere una funzione di leadership a livello economico e finanziario e adotta una serie di misure per contenere gli effetti della crisi e in questo modo si riprenderà abbastanza rapidamente o meglio sentirà meno i colpi della crisi, infatti la disoccupazione qui sarà forte ma mai superiore al 20% mentre in altre realtà, come in Germania, si arriverà anche al 40%, solo che una vera ripresa dell’economia si ha solo alla fine degli anni ‘30, in particolare dal ‘38 in avanti, quando gli inglesi si rendono conto che Hitler si sta preparando a una guerra e quindi bisogna spendere per gli armamenti e per prepararsi ad un nuovo possibile conflitto mondiale e da lì ci sarà un forte incremento della spesa pubblica, soprattutto a livello militare, che servirà per attutire i colpi della crisi. La Francia invece ha una depressione non fortissima ma che va avanti nel tempo quindi è il paese con la ripresa più lenta. I francesi a differenza degli inglesi e degli americani non abbandonano il gold standard ma mantengono la parità tra il franco e l’oro così come l’avevano fissata negli anni ‘20. Questo rende la moneta francese troppo forte e rende difficile le esportazioni. I francesi che negli anni ‘20 avevano riaggiustato il rapporto franco-oro in maniera ragionevole. Capendo come era la situazione negli anni ‘20, capiscono meno la situazione degli anni ‘30 e si attardano in politiche poco sostenibili. Altra cosa che succede è di avere molti governi di breve durata, come anche quello del fronte popolare, che incrementano una forte divisione politica interna tra le varie forze che gestiscono il potere. Questo renderà il paese più debole e diviso ed una delle ragioni con cui si spiega come la Germania riuscirà a sbarazzarsi del nemico francese, infatti la Francia aiuterà la Germania nella sua politica di predominio europeo almeno fino al 1943, quando la guerra comincerà ad andare ad una direzione favorevole non ai paesi dell’asse quali Germania, Italia e Giappone ma favorevole agli Stati Uniti, i loro alleati e la Russia. Questa divisione spiegherà anche poi la forte frattura che avviene in Francia quando in una parte del paese i tedeschi permetteranno un governo nazionale, il governo Pétain, che cercherà di riorganizzare la produzione. Quindi un paese che non ha una crisi durissima ma che è molto lento nell’uscire dalla difficoltà mentre ad esempio la Gran Bretagna è stata più brillante nella fase di ripresa della vita economica degli anni ’30. Anche in Italia arriva la crisi, c’è una crisi delle produzioni e un aumento della disoccupazione ma la crisi qui assume un carattere particolare che poi vedremo essere proprio dell’Austria o della Germania ma anche degli Stati Uniti. La crisi dell’industria e delle produzioni, legata alla crisi internazionale, provoca una difficoltà delle banche miste. L’Italia dalla fine dell’800 aveva adottato un modello bancario di tipo tedesco, si erano consolidate la banca commerciale italiana, il credito italiano e il banco di Roma che operavano come le banche tedesche quindi raccoglievano risparmi a breve termine ma poi investivano denaro anche a medio/lungo termine e comparavano pacchetti azionari. Quindi nel momento in cui crolla la produzione, 3 delle più grandi banche italiane rischiano di fallire perché hanno prestato molto denaro alle imprese e nel loro bilancio hanno grandi pacchetti azionari di molte imprese che perdono valore perché anche in Italia assistiamo al crollo dei valori di borsa. Il rischio è che queste banche falliscano e dato che erano indebitate a loro volta, avevano ricevuto finanziamenti dalla banca centrale italiana. Il rischio è che anche essa saltasse quindi nel ‘29 l’Italia si trova davanti a una serie di fallimenti che possono mettere in discussione l’intero sistema economico e finanziario del paese. A questo punto interviene lo stato, Mussolini si affida ad alcuni grandi burocrati che non fanno parte del suo partito ma sono persone competenti a livello finanziario e che fanno parte dell’amministrazione dello stato o delle stesse banche. In particolare si rivolgerà ad Alberto Beneduce e a Donato Menichella. Questi propongono l’intervento dello stato perché il protezionismo non basta. L’Italia avrebbe dovuto sganciare la lira dall’oro però essa era tornata all’oro nel ‘27 e per Mussolini sarebbe stato uno smacco tornare a svalutare la moneta quindi fino al ‘34 Mussolini resiste e non svaluta la moneta, creando problemi alle nostre esportazioni perché mentre tutti svalutano le proprie monete, l’Italia resta con una moneta più forte. Un primo intervento che lo stato dovrebbe fare si chiama IMI, istituto mobiliare italiano, che è un istituto finanziario che riceveva finanziamenti dalla banca d’Italia e, mettendo delle obbligazioni garantite dallo stato in una fase in cui il sistema era in crisi, doveva finanziare le industrie e concedere prestiti al sistema industriale. In particolare a molte grandi imprese siderurgiche, cantieristiche, quindi un po' in tutti i settori che erano andate in crisi dopo l’arrivo in Italia della forte depressione del 1929. Il problema è che l’IMI si trova ad avere pochi capitali, circa 500 milioni di lire che non bastano per aiutare il sistema imprenditoriale quindi l’IMI, che nasce nel 1931, viene affiancato dall’IRI ovvero istituto per la ricostruzione industriale. Anche questo è un ente statale, autonomo dall’amministrazione dello stato, con una dotazione di risorse anche qui che arrivano dalla banca d’Italia, dalle obbligazioni emesse con la garanzia dello stato, arriverà a maneggiare circa 14 miliardi, quindi una somma quasi 30 volte superiore rispetto a quella che aveva l’IMI. L’IRI quindi, per salvare le banche, fornisce della liquidità alle banche che così non falliscono e compra i pacchetti azionari delle imprese e i crediti che le banche avevano nei confronti delle imprese, con il risultato di trovarsi in mano il 40% del capitale delle società operazioni italiane. Quindi ciò che avviene in Italia è un salvataggio del sistema produttivo e finanziario tramite un intervento da parte dello stato. L’Italia diventa il paese, dopo l’unione sovietica, dove maggiormente lo stato è padrone. Nell’idea di Beneduce lo stato non doveva però mantenere queste imprese ma doveva rivenderle, quindi prenderle, risanarle e rimetterle sul mercato. In parte questa operazione si farà ma in parte no e quindi l’IRI, fino al secondo dopoguerra, rimarrà con decine di migliaia di lavoratori e diventa un ente permanente. Le aziende comunque rimangono private nel senso che restano di diritto privato ma l’unica cosa è che una gran parte del loro capitale è nelle mani dello stato quindi in Italia, per sanare la crisi produttiva, ci si ritrova con un’economia mista di salvataggio quindi la crisi del ‘29 da un ruolo molto importante allo stato. Altro elemento che l’Italia cercherà di sviluppare durante gli anni ‘30 sarà quello dell’autarchia quindi aumentare i dazi doganali e ridurre le importazioni sostituendo i materiali che vengono dall’esterno con produzioni nazionali. Questa è una politica illusoria perché è vero che si sostituisce all’importazione di legno inventando il compensato quindi si sviluppa molto l’industria chimica per creare materiali sostitutivi ma di fatto un paese come l’Italia, privo di materie prime e debole a livello di macchinari, non poteva fare questo tipo di politica. Anche se molte risorse verranno usate con risultati non del tutto negativi ma con un bilancio prevalentemente negativo nel tentativo di sostituire le importazioni. Un’altra cosa è la conquista dell’Etiopia nel 1936 quindi l’idea di aumentare l’impero coloniale per avere nuovi mercati da cui comprare materie prime e nuovi sbocchi dove collocare nuovi prodotti. L’impero non è un grande impero anche perché andiamo a prenderli in Africa, un paese membro della società delle nazioni, tant’è che l’Italia avrà sanzioni contro di essa, e si va a prendere un paese povero con una scarsa capacità di domandare i prodotti nazionali. Le colonie del periodo fascista sono luogo di esportazione ma solo perché nelle colonie arriva denaro del governo, dato che esso fa realizzare strade, ferrovie, opere pubbliche, e si crea una domanda locale di cui beneficiano imprese nazionali ma nel suo complesso l’impero non è sicuramente un successo. Gli Stati Uniti invece hanno un sistema di risposta alla crisi del ‘29 più organico e più efficiente, lanciato da Roosevelt nella campagna elettorale del ‘32 in cui lui diventerà presidente, ed è il New Deal quindi una riorganizzazione della vita economica per uscire dalla crisi. Roosevelt aveva capito che la crisi così dura e pesante necessitava, per essere superata, di una ricreazione del clima di fiducia in modo da far ripartire gli investimenti. Per fare ciò l’idea è che debba intervenire lo stato attraverso misure di regolazione ma anche misure espansionistiche. Lo stato deve fare politiche per riattivare la domanda e far ripartire l’economia. La politica del New Deal è efficacie perché è una politica che si muove con uno spettro molto largo. Bisogna aumentare la domanda e una prima cosa che viene fatta è la costruzione di opere pubbliche che sono importanti perché diminuisce il numero di disoccupati. Un secondo intervento riguarda il settore agricolo dove Roosevelt non fa mancare finanziamenti agli agricoltori ma poi soprattutto a sostegno dei prezzi. Prima dello scoppio della crisi erano già in difficoltà, adesso crollano ancora ma si vogliono salvare i redditi degli agricoltori e lo stato lo fa tramite i prestiti, emettendo denaro per consentire agli agricoltori per ricavare somme più elevate dei prodotti che vanno a vendere. Un altro settore di intervento è quello industriale. Bisognava intervenire a livello pubblico per cercare di non produrre in eccesso e anche in questo caso sostenere i prezzi. Ultima cosa sulla quale Roosevelt interviene sono misure di carattere sociale quindi è necessario anche fare programmi di sicurezza sociale, cosa che in America non c’era. Quindi una distribuzione di reddito per dare via a una a una ripresa produttiva un po' significativa. Roosevelt ebbe successo e venne rieletto anche per altre due volte. Fu presidente nel mandato del ’33/‘37 e poi ancora nel ‘41. Viene rieletto 3 volte a testimonianza di come la popolarità di ridare fiducia agli Stati Uniti aveva incontrato un successo e il partito democratico rimane al potere per circa 12 anni interrompendo il lungo predominio del partito repubblicano. La Seconda guerra mondiale e la costruzione di un nuovo ordine internazionale La seconda guerra mondiale è ancora più impegnativa e devastante rispetto alla prima, richiede un enorme sforzo militare al quale deve fare riscontro un enorme sforzo anche dal punto di vista economico. Tutte le nazioni belligeranti devono spendere molti soldi e impegnarsi a livello finanziario per reggere il confronto militare. Bisogna anche aumentare enormemente la produzione per avere tutti i mezzi bellici necessari allo scontro e in questo caso sarà necessario ampliare l’orario di lavoro, ricorrere al lavoro femminile (le donne già un po' durante la prima guerra mondiale ma ancora di più durante la seconda inizieranno ad avere un ruolo sempre più attivo nella vita economica). Questo è forse uno degli aspetti meno problematici della guerra e forse l‘unico elemento positivo. Altra cosa che sarà necessaria durante la guerra è razionare i consumi quindi durante la guerra bisogna avere le tessere annonarie, ovvero una carta che veniva data alle famiglie e in base al numero dei componenti si potevano comprare una serie di prodotti perché la produzione di alimenti deve soddisfare le esigenze militari e alimentare le truppe che sono al fronte quindi la guerra richiede grande sforzo a livello militare. I mercati della guerra sono regolati e i prodotti venivano ritirati, in primo luogo soddisfacevano l’esigenza dei soldati al fronte e poi in una fase successiva servivano per il mantenimento della popolazione civile che riceveva queste risorse economiche sulla base appunto della composizione della famiglia e bisognava presentarsi e, dopo aver fatto lunghe file nei negozi, si poteva avere il necessario per la vita quotidiana. Dal grafico possiamo notare lo sforzo elevato della Germania, arriverà addirittura al 70% del PIL, il Giappone invece, quando sarà attaccato dagli americani, supererà questa soglia. Anche le nazioni alleate hanno costi elevati per la guerra e si notano le spese militari americane che sono di più rispetto alla prima guerra mondiale anche perché questa guerra più che da uomini è combattuta da una massa tramite l’utilizzo massiccio di aerei, di mezzi militari, di carri armati e quindi c’è necessità di una grande quantità di mezzi per affrontare lo scontro militare. Gli inglesi arriveranno ad una punta del 55% del PIL. La guerra è anche una guerra di carattere economico e ancora una volta la vittoria e la vittoria degli alleati è dovuta alla forza economica degli Stati Uniti. Siamo in presenza della guerra più distruttiva e costosa di qualsiasi conflitto precedente. Questa guerra dura 6 anni, comincia nel ‘39 e finisce nel ‘45. Lo scenario di battaglia questa volta è mondiale e il fronte è molto mobile anche perché le operazioni sono accompagnate dai bombardamenti aerei prima massicci dei tedeschi sull’Inghilterra e poi successivamente dagli alleati sulla Germania. I mezzi utilizzati avevano potere distruttivo mai sperimentato prima. Ogni grande battaglia della seconda guerra mondiale vede il coinvolgimento di una quantità straordinaria di mezzi militari e di mezzi di distruzioni. A dimostrazione del potenziale distruttivo la guerra si conclude con le due esplosioni su Hiroshima e Nagasaki che costringeranno il Giappone alla resa incondizionata quindi una guerra che ha un enorme potere distruttivo nei mezzi che impiega. Anche in questo caso si ebbe un enorme costo in termini di morti che sono molto numerosi anche tra la popolazione civile, si pensi al genocidio degli ebrei, alle operazioni militari con le loro conseguenze soprattutto sugli scenari dell’Europa Orientale da cui vedremo il gran numero di morti in Russia, in Polonia, in Germania che inizialmente è l’invasore ma poi viene invasa, e la Jugoslavia. La guerra poi provocherà spostamenti di popolazione nel ridisegnare la cartina dell’Europa e alla fine della seconda guerra mondiale avremo massicci spostamenti tedeschi da est verso ovest, i Giapponesi che perdono tutto il loro impero coloniale quindi devono rientrare in patria e i polacchi costretti a spostarsi per lasciare territori ai russi e prendersi poi i territori tedeschi. Non abbiamo stime precise del costo della guerra, l’ipotesi è che sia costata tre volte tanto la prima guerra mondiale, quindi un enorme costo a livello economico e di perdite di vite umane. Dal grafico possiamo vedere un grande numero di morti con una grande presenza di popolazione civile in Unione Sovietica, in Cina, in Polonia e in Indonesia e poi i numeri discendono decisamente. Anche molti morti nelle potenze dell’asse che sono però più militari. Ad esempio nei tedeschi la maggior parte di morti colpisce la popolazione militare. In termini di % i paesi dell’est sono quelli che conoscono il maggior numero di morti. In particolare in Lituania o in Polonia dove siamo oltre il 15% della popolazione. L’industria invece viene colpita soprattutto tramite i bombardamenti aerei, sia sull’Inghilterra che sulla Germania dove proprio i bombardamenti aerei determinano le distruzioni maggiori di impianti industriali. Il settore più colpito è quello dei trasporti perché, sia attraverso i bombardamenti aerei che le operazioni via terra che quelle di sabotaggio, essendo una guerra di movimento e distruggendo questo sistema quindi cercando di affondare la maggior parte di navi e di distruggere le linee ferroviarie si cercava di smantellare il sistema dei trasporti del nemico. Ecco perché alla fine della guerra è questo sistema che manifesta le maggiori perdite a livello di % di danneggiamenti. Ad esempio nella fine della seconda guerra mondiale in Italia l’80% del naviglio mercantile è stato catturato o affondato e ci fu una grande distruzione di tutte le reti ferroviarie e lungo il fiume Po, così come capiterà presso i fiumi tedeschi, per ostacolare le operazioni del nemico non c’è in piedi più nessun ponte. Lungo i fiumi vengono distrutti tutti i ponti o per ritardare le avanzate delle truppe nemiche. Grandi danni e grande caduta produttiva riguarda anche l’agricoltura perché qui l’industria chimica non lavora per produrre fertilizzanti ma esplosivi e materiale militare. Da qui una forte carenza di materiale fertilizzante per la concimazione dei campi, una caduta delle produzioni agricole e il bestiame viene sequestrato dalle truppe che stanno combattendo sui fronti. A livello agricolo questo sistema annonario subisce un forte controllo dei mercati, per cui i prodotti dell’agricoltura devono essere ammassati in depositi centrali e da lì distribuiti per rispondere principalmente alle esigenze militari. Questo determina il mercato nero in tutti i paesi quindi una parte grande di prodotti agricoli viene nascosta e messa sul mercato a prezzi maggiorati quindi si ebbe un enorme sconvolgimento dei mercati a livello agricolo. I redditi disponibili cadono in tutti i paesi europei escludendo Gran Bretagna e paesi neutrali e la caduta più forte si ha nel centro Europa e nell’est Europa, in particolare in Polonia e Austria e una caduta del 40% anche in Francia, Olanda, Finlandia, Ungheria, Jugoslavia, Grecia e Italia quindi i paesi a fine guerra si ritrovano con vastissime distruzioni e con una caduta molto ampia del reddito. Il commercio viene modificato durante la guerra e gli unici che rimangono in vita sono quelli tra le varie nazioni e i loro alleati, la Gran Bretagna si limita a commerciare in modo massiccio con Stati Uniti e Canada mentre nell’Europa i mercati europei, dopo l’avanzata tedesca del ‘40/’41, sono costruiti dalla Germania per fronteggiare le sue esigenze fondamentali a livello militare. Ci sono dei vantaggi e paesi come Spagna, Svizzera e Svezia hanno vantaggi perché possono commerciare liberamente. Il paese che cresce di più durante la guerra a livello commerciale e produttivo sono gli Stati Uniti che mettono in campo tutta la loro forza economica sia per sostenere il proprio esercito che per sostenere l’esercito dei paesi alleati, anche la Russia riesce a resistere alla Germania grazie agli aiuti che provengono dagli Stati Uniti. Ci sono anche grandi cambiamenti nel mercato del lavoro, sappiamo che ci fu una grande valorizzazione della manodopera femminile e anche dei lavoratori stranieri, sia liberi ma anche nei campi di concentramento messi in piedi dalla Germania per sviluppare il lavoro di prigionieri e di internati. Questo lavoro ovviamente trova ostacoli perché i bombardamenti e le distruzioni fatte negli impianti provocano carenza di materie prime e difficoltà nei trasporti. La guerra, pur con i suoi risvolti tragici quali distruzioni fisiche, materiali, morti delle persone e costi elevati, ha ricadute anche positive nel senso che la guerra è un’occasione di innovazione a livello tecnologico. Durante la guerra ci furono una serie di studi che si sviluppano relativamente all’energia nucleare che verrà sviluppata per produrre le bombe atomiche e nel secondo dopoguerra, accanto alle centrali idroelettriche e termoelettriche, cominceranno a svilupparsi le centrali nucleari quindi l’energia nucleare viene sfruttata anche a livello pacifico e per il miglioramento della vita economica e civile dei cittadini. Ci furono grandi progressi anche nel campo dell’aviazione, nascono aerei a reazione che sono più veloci e che volano più in alto, si studiano i piloti automatici e crescono e migliorano le prestazioni aeree. Non a caso fino alla seconda guerra mondiale il trasporto delle merci o dei passeggeri lungo le rotte mondiali avveniva su navi e su transatlantici mentre dopo la seconda guerra mondiale cresce il trasporto aereo civile sfruttando le scoperte militari. Altro elemento interessante che verrà sviluppato dai tedeschi con le famose V1 e V2 è quello dei razzi quindi missili lanciati in atmosfera che portavano delle bombe. Negli anni ‘50 ci fu la sfida tra Stati Uniti e Russia per riuscire ad ottenere un primato nella In questa conferenza non ci si limita ad avere questa parità monetaria ma, dato che questa non è facile da mantenere, si mettono in atto dei meccanismi che esistono ancora oggi per rendere effettivo questa parità quindi la cosa importante di Bretton Woods non è solo il quadro generale di riferimento ma anche delle istituzioni create per mantenere in vita questo quadro generale. Queste istituzioni sono il fondo monetario internazionale quindi ogni nazione sulla base del proprio PIL versava una cifra al fondo anche se questo è alimentato soprattutto dagli Stati Uniti e quindi sono questi che ne determinano la politica e se in caso una singola nazione non era in grado di mantenere la parità fissata con il dollaro, il fondo monetario interveniva. È chiaro che questo fondo quando interveniva dettava anche delle regole e stabiliva quali politiche il paese che riceveva aiuti doveva realizzare. Altro meccanismo messo in campo è la banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo che oggi prende il nome di banca mondiale e che era un istituto di credito che prestava a lungo termine a tassi molto bassi per aiutare quei paesi che avevano forti divergenze al loro interno. Questi fondi di questa banca vengono usati soprattutto per creare infrastrutture, quindi per favorire progetti concreti di sviluppo. - Liberalizzare i commerci: si volevano eliminare tutte le situazioni burocratiche che bloccavano i commerci, ridurre le tariffe doganali e liberalizzare gli scambi. Si vogliono quindi eliminare tutte le barriere doganali che avevano colpito il commercio. Bisogna procedere per gradi. Si farà fatica anche per la resistenza del Congresso americano perché il governo americano e buona parte degli intellettuali che sostengono questi accordi di Bretton Woods appartengono alla tradizione della politica americana che è di carattere protezionistico per cui non si riesce ad organizzare il WTO, quindi l’organizzazione mondiale del commercio. Si riesce a fare però nel 1948 il GATT (general agreement on tariffs and trade. Il GATT è una serie di accordi tra i vari paesi ottenuti in particolari conferenze quindi è una successione di conferenze nei quali i vari paesi trattano tra di loro e riducono le barriere doganali. - Praticamente si mette in atto un meccanismo di conferenze temporanee, periodicamente i rappresentanti dei vari paesi si ritrovano, si mettono a discutere e fanno in modo di abbassare le tariffe doganali. Il livello di protezionismo doganale tende a scendere, anche se poi può avere riprese tra una conferenza e l’altra, quindi è un mettersi d’accordo, di incontrarsi ogni tanto e trattare e discutere con il fine di liberalizzare i commerci e creare una cooperazione internazionale. È proprio una politica opposta rispetto a quella che era stata fatta dopo la prima guerra mondiale. Siamo davanti ad un modello di relazioni tra gli stati completamente nuovi. Terminata la seconda guerra mondiale, i vari paesi, in particolare in questo caso ci soffermiamo sull’Europa, si impegnano nella ricostruzione di strade ferrovie, riparare i danni della guerra e far ripartire l’economia. Solo che una volta terminato il conflitto, le distruzioni erano così numerose che non è una ricostruzione immediata. Nei primi mesi sembra prevalere uno scoraggiamento, i paesi europei sono in difficoltà, stanno rimuovendo le macerie della guerra, ricostruendo le infrastrutture e le fabbriche ci sono ma mancano materie prime e macchinari che bisognerebbe importare dagli Stati Uniti ma i paesi europei mancano di dollari. Allora gli Stati Uniti, prima attraverso un’agenzia dell’ONU quale l’UNRRA e poi tramite il piano Marshall, si mettono in campo per aiutare l’Europa. Ecco un altro aspetto importante, a differenza della situazione post prima guerra mondiale, lo scenario cambia completamente perchè gli americani mettono in cambio delle risorse per far ripartire l’economia europea e lo fanno sia per ragioni economiche, gli americani dalla crisi del ‘29 hanno capito che il loro sistema economico non basta a se stesso ma bisogna avere anche altri partner e altre nazioni che hanno uno sviluppo economico contemporaneamente perchè sennò le produzioni americane non hanno nemmeno il luogo dove poter essere destinate quindi l’idea è che bisogna far crescere gli altri insieme a noi. Un’altra questione è che, il mondo è diviso in mondo capitalista e quello comunista e gli Stati Uniti hanno capito che se non aiutano i paesi alleati, possono vincere le elezioni le forze politiche filosovietiche. Quindi se non si aiutano i paesi alleati non solo non si fa il proprio interesse ma si finisce col fare l’interesse di Mosca quindi dei nuovi nemici degli americani. Malgrado questi primi aiuti che vengono dati già dal ‘43 e che vanno avanti anche nel ‘44, ‘45 e ‘46, gli americani costatano che in Europa si può arrivare al collasso dell’economia perché mancano i dollari, cioè l’economia europea, una volta riparati i danni, era pronta a ripartire ma per farlo bisognava importare materie prime dal lato del dollaro e bisognava avere i dollari che mancano. Quindi l’idea è quella di aiutare l’Europa con un progetto particolare quale è il piano Marshall. Si chiama così perchè è un piano di aiuti americani rivolto ai paesi europei, sia alleati che sconfitti, quindi alla Francia, Inghilterra, Belgio, Olanda ma anche all’Italia e alla Germania. Prendono quindi questo nome perché si fa riferimento a George Marshall, generale durante la seconda guerra mondiale e segretario di stato quindi ministro degli esteri e colui che, parlando ad Harvard nel giugno del ’47, lancia questo piano. Inizialmente lo propone per tutta l’Europa quindi per tutta la Russia e i paesi satelliti dell’Unione Sovietica solo che in cambio chiede che ci sia libertà politica e che i sistemi economici che ricevono gli aiuti siano fondati sul modello americano quindi sistemi economici fondati sulla proprietà privata e sulla libera impresa. Per la Russia e in particolare per il partito comunista, vorrebbe dire porre fine al sistema che aveva messo in campo da tantissimi anni e quindi i russi rifiutano il questo piano e quindi anche i paesi comunisti est europei devono rinunciare agli aiuti americani. Questi aiuti sono da una parte prestiti quindi gli Stati Uniti si impegnano a prestare denaro ai paesi europei con prestiti a tasso contenuto e a lungo termine e i dollari che mancano per far ripartire l’economia europea possono arrivare tramite questi. Un secondo aiuto si basa sul trasferire gratuitamente materie prime e macchinari dagli Stati Uniti in Europa regalando questi materiali alle varie nazioni europee. In questo caso l’arrivo di questi aiuti arrivava tramite elenchi di materiali disponibili pagati dal governo americano. Il trasferimento di questi beni avveniva tramite un progetto con il quale si mostrava come si andavano poi ad utilizzare queste materie prime. Questi progetti poi venivano riconosciuti dagli uffici del piano Marshall presenti in ogni paese e venivano discussi a livello europeo. I beni poi arrivavano all’azienda che li pagava in valuta locale che andava nelle casse del governo nazionale. Il piano di aiuti dura circa 4/5 anni, dal ‘48 al ‘52, sono in totale più di 14 miliardi di dollari quindi una cifra non elevatissima ma piuttosto significativa che viene messa a disposizione dei Paesi europei. Una cosa interessante è che gli Stati Uniti, dato che non volevano una terza guerra mondiale, costringono gli europei ad accettare il loro modello economico per avere gli aiuti e anche a mettere in campo delle forme di cooperazione, quindi i piani con i quali venivano gestiti questi aiuti non erano gestiti solo nei rapporti singoli ma i paesi che aderiscono a questo piano dovevano creare un organismo di cooperazione che prenderà il nome di OECE (organizzazione europea per la cooperazione economica) che doveva discutere questi piani di ricostruzione. Quindi gli europei sono obbligati a collaborare tra loro. Il meccanismo di questo piano si basa sulle imprese europee che possono avanzare proposte motivate al proprio governo che vengono vagliate dall’OEFE, vengono poi inviate negli Stati Uniti, il venditore viene pagato dal governo americano e il compratore paga al suo governo in moneta locale. La composizione degli aiuti è: - 33% materie prime - 29% alimenti e fertilizzanti - 17% macchinari e mezi di trasporto - 16% petrilio e carbone - Le destinazioni degli aiuti sono: - 45,2% a Gran Bretagna e Francia - 31,6 a Germania, Italia e Olanda - leadership mondiale dell’economia. Ciò comporta una diminuzione della distanza di questi paesi rispetto agli Stati Uniti. I decenni precedenti e in particolare gli anni di guerra avevano messo su un piedistallo l’economia americana che si poneva a un livello decisamente superiore rispetto a quella europea. Questa crescita di questo ventennio riduce le distanze, è una crescita di convergenza quindi l’economia dei paesi europei e del Giappone converge verso i livelli dell’economia americana. Ciò non avviene in Africa, in Asia ad eccezione del Giappone e in America latina quindi questa golden age non riguarda tutto il mondo ma sostanzialmente l’Europa occidentale, in parte anche quella orientale, e il Giappone. Non si tratta di un nuovo paradigma tecnologico ma viene utilizzato quello della seconda rivoluzione industriale quindi grande produzione di massa di beni standardizzati quali lavatrici, frigoriferi, automobili, la Vespa, la Lambretta e altri mezzi di locomozione privata che si diffondono enormemente in questo periodo. Si tratta di una tecnologia semplice che si sviluppa in questi paesi e poi, verso la fine del periodo, tenderà a spostarsi anche verso l’Asia, cioè verso paesi che hanno un costo del lavoro più basso e questo sarà un altro dei fattori di difficoltà degli anni ’70. Quindi una parte delle produzioni dei paesi capitalisti avanzati si sposta in altri paesi che cominciano a fare una pesante concorrenza a questi che erano i leader. Dal grafico possiamo notare il PIL pro capite dove, rispetto al livello americano che è considerato al livello 100, i vari paesi europei in questa fase si avvicinano. Gli Stati Uniti mantengono un primato ma altri paesi come l’Italia, da un livello che è la metà cresce negli anni ’60, ‘70 e ‘80, poi negli anni ‘80 tutti cresceranno con un livello di incremento molto più ridotto. Da questo grafico possiamo osservare l’economia americana che ha questo balzo negli anni del dopoguerra ma anche il Giappone e l’Europa hanno tendenze alla crescita simili a quelli statunitensi. Molto meno intensa è la crescita dell’est Europa, della Cina, dell’Africa e dell’India. In questa fase queste zone perdono terreno e rimangono indietro, senza avere una crescita particolarmente significativa. Il capitalismo degli anni ‘50 e ‘60 è diverso da quello tradizionale, è un capitalismo che ha imparato la lezione della crisi del ‘29 e vede una maggiore presenza da parte dello stato. Il modello è quello keynesiano, è la cosiddetta economia mista, un’economia basata sulla libera impresa, sulla proprietà privata, sul mercato ma c’è un ruolo più significativo da parte dello stato che interviene perché si tratta di contrastare l’espansione del comunismo che prometteva di ricreare una sorta di paradiso in terra e viene combattuto dimostrando che ciò verrà fatto dal capitalismo. Quindi dietro questa presenza dello stato c’è una motivazione anche di carattere politico. Gli obiettivi dell’intervento dello stato sono: - Stabilità economica: mantenere il paese stabile senza crisi e sostenere l’espansione dell’attività economica; - L’occupazione: si vuole raggiungere la piena occupazione quindi dare lavoro a tutti. Questo è un obiettivo importante perseguito tramite strumenti che vengono messi in campo; - Ampliamento della gamma dei servizi pubblici: si tratta di istruzione, sanità, servizi che lo stato da al cittadino quindi una serie di servizi pubblici efficienti e poi la protezione sociale per gli ammalati, poveri, disoccupati, quindi per tutte le persone che si trovano in una condizione di difficoltà. L’obiettivo che si pongono le economie occidentali, un pò meno gli Stati Uniti dove molte delle forme di protezione sociale continuano ad essere garantite di mano privata, è quello di creare il Welfare State quindi un’organizzazione della vita sociale voluta dalla politica in base alla quale ogni cittadino, in quanto cittadino, ha diritto ad una serie di prestazioni quali la scuola quindi il diritto di raggiungere senza costi i più alti livelli di istruzione, garantire la sanità quindi garantire e costruire dei sistemi di sanità a disposizione di tutti i cittadini e anch’essi in forma gratuita e infine garantire tutte le forme di assistenza in caso di bisogno come pensione per gli anziani, pensione di invalidità, sussidi per disoccupazione, aiuti nel caso di infortunio temporaneo quindi tutte le forme di assistenza che prima erano garantite alla persona occupata. Se ricordiamo nel modello di Bismark, in Germania il lavoratore pagava una quota per assicurarsi e il datore e lo stato versavano contributi e da lì c’era protezione sociale. Qui invece il semplice fatto di essere cittadino garantisce protezione sociale. Gli aspetti positivi di questa politica sono sicuramente una redistribuzione del reddito, una società più egualitaria e quindi anche un livello medio di vita più elevato cioè condizioni di vita migliori e anche una sicurezza quindi non devo mettere da parte dei soldi per studiare o perché mi ammalo o perché divento vecchio ma è lo stato che garantisce questo tipo di protezione e quindi posso anche consumare di più. È chiaro che questo sistema ha un contro perché lo stato spende molto e deve quindi incassare molto e conseguentemente i sistemi fiscali diventano progressivi, cioè aumentano la tassazione all’aumentare del reddito e sono sistemi dove il livello di tassazione è elevato e anche questo poi provocherà problemi perché ci saranno resistenze all’aumento della tassazione e si vedrà come questo aumento può anche deprimere l’attività economica. Colui che ha lanciato il primo piano di Welfare State in Gran Bretagna fu Lord Beverage e lo fece negli anni di guerra, quando la Gran Bretagna si trovava ad essere bombardata e sull’orlo di essere invasa e quindi lo si fa per far mantenere alto il morale dei cittadini e per dare una motivazione per la quale si continua a combattere. Questi tipi di politiche saranno tipiche dei partiti laburisti e dei governi socialdemocratici nel centro e nel nord Europa. Siamo quindi dentro il modello dell’economia mista quindi l‘idea di usare la spesa pubblica sia per il benessere dei cittadini e sia per mantenere alto il livello della domanda. Secondo Keynes, il capitalismo è per sua natura instabile e molto spesso non è in grado di garantire la piena occupazione quindi ci vuole un supplemento di domanda. Praticamente alla domanda che arriva normalmente deve aggiungersi quella pubblica anche a costo di un bilancio dello stato che può essere non più in pareggio. Questo è per poter mantenere sempre attivo il ciclo economico. Questa è l’idea di fondo, quindi un’economia che vede una costante presenza dello stato per mantenere elevati gli andamenti produttivi. È anche vero però che questa ricetta del Welfare State che nasceva anche dall’esigenza di ridurre il potere delle grandi imprese e intervenire nelle situazioni di grandi crisi e intervenire per rendere l’economia più efficiente e moderna viene realizzata in vari paesi in mondo. Uno studioso belga ha individuato 3 varianti di economia mista applicate nei vari paesi, una neoliberale, una neocollettivista e una delle cosiddette consultazioni al vertice. - La variante neoliberale è tipica di Stati Uniti e Germania e in questo caso lo stato ha un ruolo regolatore e deve intervenire mettendo denaro nei momenti di crisi, quindi è una visione della politica keynesiana dove il ruolo dello stato non è sempre così vivace ma lo è quando è importante in determinati frangenti; - La variante neocollettivista si avrà in Belgio, in Italia, in Francia e in Gran Bretagna. Qui l’idea è che lo stato deve intervenire sempre quindi per avere un andamento economico costantemente e positivo e per raggiungere la piena occupazione è necessario avere una costante presenza dell’azione dello stato. Le consultazioni al vertice sono tipiche dei paesi del nord quali Finlandia, Svezia, Norvegia e Danimarca quindi paesi non grandi dal punto di vista degli abitanti, ricchi e coesi socialmente. Lo stato è presente diventando titolare di una serie di imprese quindi questo nazionalizza imprese o settori produttivi, in particolare settori che lavorano per gli altri come le banche, le ferrovie, la navigazione, l’elettricità ma anche l’industria mineraria e siderurgica. Non nazionalizza le produzioni per il consumo come le industrie alimentari ma le industrie di base e lo faceva per garantire in tutte le anche sacrifici perché si vedono segni di progresso e si accetta una dinamica salariale che non vada a intaccare gli investimenti. Per quanto riguarda le politiche, quelle più significative sono quelle che vedono in Europa l’affermarsi di un’integrazione dell’Europa e di una cooperazione. L’Europa che era stata divisa e frammentata nelle vicende successive alla crisi del ‘29 dove era prevalso il nazionalismo estremo, si pensi al fascismo e al nazismo, adesso invece c’è una maggiore cooperazione come l’OECE creata nel piano Marshall per confrontare i piani di investimento nei vari paesi, per avere una crescita coordinata tra i vari paesi. Siamo in quegli anni in cui era nata l’UEP, l’unione europea dei pagamenti che è un meccanismo per poter bilanciare entrate e uscite monetarie degli stati legati alla bilancia dei pagamenti non tra due stati ma attraverso una pluralità di stati in modo da compensare su più tavoli gli avanzi e i disavanzi. Un paese poteva essere in disavanzo con un paese A ma in avanzo con un paese B. Se il pagamento avviene in modo multilaterale diventa più semplice compensare entrate e uscite. Un passo molto importante in questo processo di cooperazione europea avviene nel 1951, con la nascita della comunità europea del carbone e dell’acciaio che vede la presenza di 6 paesi quali Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Italia. Anche l’Inghilterra viene invitata ma non accetta. Questo accordo è importante perché può ripartire l’economia tedesca senza paura di una nuova guerra e soprattutto nell’accordo tra francesi e tedeschi quale la CECA. Finisce anche la guerra lungo il fiume Reno quindi i due paesi smettono di combattere perché a questo punto queste risorse sono a disposizione di tutti. L’aspetto poi importante della CECA è che tra i 6 si viene a creare la comunità che ha poteri al di sopra degli stati nazionali e in questa si vota in maggioranza quindi chi aderisce cede un po' di potere. Si comincia a cedere sovranità in nome di una cooperazione. La CECA ha ottimi risultati a livello economico tant’è che nel 1957, i 6 paesi daranno vita alla comunità economica europea quindi a quello che chiamiamo mercato comune europeo e comincia il processo di integrazione che poi nel tempo, dopo anche la caduta del comunismo, oggi, a parte l’Inghilterra, vede dentro la comunità economica europea, quasi tutti i paesi dell’Europa. Creare un mercato comune europeo vuol dire liberalizzare tutti i commerci, avere delle regole comuni, una moneta comune e quindi questa è un altro tipo di politica per incrementare notevolmente il livello di cooperazione a livello internazionale. Quindi la crescita economica dei paesi europei si spiega con anche processi di integrazione. Il Giappone è l’altra faccia della medaglia positiva nel senso che tramite una serie di riforme imposte dagli americani dopo la fine della guerra, dagli anni ‘50 il Giappone cresce a tassi mai visti perché intanto gli Stati Uniti sono interessati alla crescita giapponese perché dopo la vittoria del comunismo in Cina, vogliono avere una asse solida come l’Europa ha la Nato. Il vantaggio per il Giappone è di avere abbondanza di capitali e di lavoro qualificato e uno dei fattori di crescita molto importante sarà il ruolo dello stato, tramite il ministero del commercio estero dell’industria quindi tramite un ministero attento a sostenere una crescita economica, a condizione però che le imprese esportassero. I giapponesi poi non solo innoveranno nei prodotti ma anche nel modo di produrre. La loro innovazione fondamentale sarà il just in time quindi modificare il modo di produrre i beni standardizzati, in particolare le automobili, passando dal modello fordista secondo cui si produce molto e poi si vende, al modello giapponese secondo cui bisogna produrre ciò che si è già venduto, quindi creare un meccanismo molto complesso di organizzazione. In questo caso sarà soprattutto la Toyota a sviluppare questo tipo di organizzazione così da non avere avanzi nella vendita ma avere una massima efficienza tra produzione e vendita, assumendo un modello che verrà poi ripreso dagli altri paesi. Qui si vede la crescita americana, superiore a quella giapponese. Il picco si ha durante la seconda guerra mondiale ma non per il Giappone che ebbe una caduta significativa e infine una grande ripresa, infatti alla fine del millennio il Giappone ha quasi raggiunto gli Stati Uniti. Questo invece è il PIL pro capite dell’Argentina rispetto agli Stati Uniti dove si vede un andamento diverso. Mentre il Giappone c’è una crescita che porta alla convergenza, qui c’è una divergenza e ciò dimostra che gli anni di crescita intensa non riguardano tutti ma solo alcune realtà. paura di questi risvolti quindi si pensa a uno strumento per lasciare le persone nelle campagne, quindi impedire l’urbanizzazione delle persone. Ovviamente uno dei motivi per cui un contadino lascia la campagna per andare a lavorare in città è lo stipendio quindi bisogna cercare di rendere redditizia l’agricoltura tanto quanto l’industria. Le preoccupazioni sono quelle di evitare la scomparsa del settore agricolo in un periodo di progressivo abbandono delle campagne, garantire la sicurezza alimentare delle popolazioni e tutelare i redditi degli agricoltori. Per una scelta voluta da Germania e dall’Italia, si ha un protezionismo agricolo con garanzia dei prezzi dei principali prodotti per aiutare le piccole imprese. Quindi il fondatore dell’idea della Pac è De Gaulle ma poi Italia e Germania propongono e ottengono, con il favore degli altri, di garantire i prezzi dei principali prodotti e aiutare le piccole imprese pagando. L’effetto non voluto è che si continua ad aumentare la produzione oltre il consumo perché l’agricoltura diventa molto redditizia quindi gli agricoltori hanno tutto l’interesse per lavorare tanto al terra, tant’è che a un certo punto l’offerta è decisamente maggiore rispetto alla domanda e quindi di questi beni agricoli, con una deperibilità più o meno bassa, se ne fa carico l’Europa tramite il Feoga che è un ente che si occupa di comprare l’eccedenza del mercato e a prezzi stabiliti quindi anche molto più alti rispetto ai prezzi che ci sono nelle altre parti del mondo. Vengono venduti in Africa, in Asia e nelle Americhe e questa è una politica molto dispendiosa a livello economico sia perché l’Europa deve far carico di tutti i prodotti che non sono pochi e sia perchè c’è una politica di incentivo per i contadini. Quello che rientra è poco perché altrove nel mondo gli stessi beni vengono commerciati a prezzi inferiori quindi la politica agricola comune ha avuto l’effetto positivo di salvare il settore agricolo e l’effetto negativo della nascita di inamicizie a livello commerciale nel resto del mondo e infatti si riformerà la Pac sotto pressione di Stati Uniti e di paesi africani e asiatici perché, dopo il piano Masrhall, non è un giusto ringraziamento non poter vendere propri prodotti agricoli a causa dell’autosufficienza europea e delle barriere doganali. Tutto è efficiente fino a metà degli anni ‘70 quando cambia il mondo perché cade Bretton Woods perché gli americani non riescono a garantire la convertibilità del dollaro in oro perché sono anche appesantite da tutte le guerre in giro per il mondo, e questo è uno dei primi motivi per cui bisogna iniziare a pensare come ottenere il 75% delle risorse della Pac. Non è solo Bretton Woods che cade e cadendo coinvolge l’Europa ma ci sono anche gli shock petroliferi quindi la guerra dello Yom Kippur tra Israele e Egitto che ha l’effetto di aumentare di 7 volte circa il prezzo del materiale primitivo e poi ci sono tanti provvedimenti e politiche fatte dai vari stati e conseguentemente c’è un progressivo abbandono di economica mista a favore di un libero mercato. Non essendoci più la parità dei prezzi ma dovendo per forza ritirare i prodotti agricoli da tutti i paesi, il rischio è che per mantenere i prezzi europei, gli aiuti finiscono col favorire le agricolture dei paesi più forti quali quelli con minore inflazione. Nel concreto Germania e Olanda hanno inflazione più bassa e moneta più forte me hanno tutto il diritto che il Feoga ritiri i prodotti agricoli che quindi costano tanto rispetto ad altri paesi perchè hanno una moneta più forte e il paradosso è quindi che ad un certo punto bisogna aiutare l’agricoltura dei paesi più forti e quindi si danno soldi comunitari ai paesi più forti. Questa è una delle prime distorsioni e poi a livello internazionale crescono le pressioni per la fine del protezionismo agricolo dell’Europa. Si comincia a riformare la Pac, con MacSharry (1992) e Fischer (2003), e si comincia con la fine del sostegno ai prezzi quindi di conseguenza quello che viene prodotto e non viene venduto resta a chi lo ha prodotto. Inoltre sii cominciano a imporre limiti alle produzioni e poi si stimola la produzione di nuove colture. Nel 1974 viene creato il fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr). Tutto il mondo cambia a metà degli anni ‘70 ma ci si rende conto che dare a pioggia gli aiuti agli stati che poi devono destinarli alle varie regioni è un meccanismo inefficiente quindi il fondo europeo di sviluppo regionale è l’interlocutore di regioni e località, quindi stiamo parlando non degli stati ma delle loro amministrazioni locali. L’obiettivo è evitare che la crisi peggiori le condizioni delle regioni più fragili dei paesi Cee. Il fondo contribuisce ad azioni di sostegno dei singoli Paesi per aree arretrate e cresce dopo l’adesione di Grecia, Spagna e Portogallo. Sappiamo che questi paesi non sono entrati prima perché non erano una democrazia e quando si esce da un periodo dittatoriale non si è in forma a livello economico, finanziario e commerciale ma bisognava farle entrare in un mercato comune europeo dove c’era già un alto livello e bisogna aiutare questi paesi a fare questo processo. Nel 1988 poi la politica regionale viene rafforzata e ampliata anche per aiuto alle aree in declino economico e gli aiuti vengono forniti direttamente alle regioni e agli enti locali. Il trattato di Maastricht è il crocevia, qui si fa quella che oggi è la nostra unione europea quindi si cominciano a firmare da parte degli stati tutta una serie di strumenti, quindi dal fondo di coesione che arriva a coprire il 40% del bilancio Cee. Gli studi dimostrano che queste politiche hanno favorito la convergenza tra regioni più avanzate e regioni più in ritardo e la convergenza si riduce dopo la crisi del 2008. Ciò vuol dire che si cerca di dare dei fondi e si cerca di arrivare ad un’Europa che abbia una velocità comune ma in realtà non fu così perché ci sono delle distorsioni infatti anche qualche anno fa si parlava di Europa a due velocità. L’Europa non riesce ad arrivare ad una convergenza perché ha ancora tutta una serie di tradizioni per ogni paese, un sistema fiscale e di sviluppo economico diverso per ogni paese. Al giorno d’oggi il classico esempio sono Italia e Germania che si lamentano del fatto che molte grandi aziende trasferiscono la loro sede fiscale in Olanda o in Irlanda quindi nei paesi dell’unione che però consentono un certo tipo di fiscalità. Quindi ricapitolando, nel 1971 si sospende la convertibilità del dollaro e nel 1973 l’inconvertibilità diventa definitiva. Mentre nel 1972 i paesi Cee decidono di mantenere tassi di cambio collegati in modo stretto. Tutto ciò per far si che non si sgretolasse il mercato comune che avevano creato. Con la caduta di Bretton Woods si inventano prima il serpente monetario che è un accordo per la fluttuazione delle monete fra loro al 3,35% in aumento o in diminuzione. Ciò vuol dire che i cambi tra tutte le monete restano tra +/-2,25%. A loro volta queste monete devono garantire di restare in un range di +/- 4,25% con il dollaro. È un accordo complicato perché l’Europa appunto ha diverse velocità e diversi tassi di inflazione e questo accordo dura solo 7 settimane. Poi la crisi della sterlina inglese e irlandese e l’anno dopo della lira fanno si che questo sia uno dei tentativi che non va a buon fine. Ciò che ha efficienza è il sistema monetario europeo proposto dai tedeschi nel ‘78 e non è calcolato più in un range in una fluttuazione tra valute del 2,25% ma qui viene calcolata una moneta virtuale che è l’Ecu che è la media dell’inflazione delle monete e in base a questa bisogna stare nel 2,25%. Questa moneta virtuale è calcolata tenendo in considerazione anche la tradizione delle singole monete quindi non ci sono più confronti tra monete ma confronti con una moneta virtuale che ha all’interno la tradizione delle monete di ogni stato e soprattutto le condizioni economico-finanziarie e statali dei singoli paesi. Ogni stato doveva impegnarsi a mantenere variazioni rispetto all’Ecu entro il +/- 2,25%. I paesi erano già 12 nella Cee in questo periodo. Nel 1979 viene creato lo Sme, anche questa volta la Gran Bretagna non entra. L’Italia e l’Irlanda ottengono una banda di oscillazione più alta quindi +/- 6% perché sono paesi che tradizionalmente hanno un’inflazione molto alta e l’inflazione dipende da tante cose tra cui spesa pubblica e occupazione. Quindi in Italia e in altri paesi europei si preferiva garantire l’occupazione a discapito dell’inflazione e l’occupazione si garantiva stampando moneta quindi con aiutati statali. Invece in altri paesi tra cui la Germania che tra l’altro ha nella costituzione il pareggio di bilancio quindi ha per natura un’inflazione bassa e deve rispettarlo perché appunto lo ha nella costituzione, non gli si viene accordata ma è proprio lei che propone e accorda ad altri paesi il +/- 6%. La spagna entra nell’89. Il sistema è oggetto di aggiustamenti ma aiuta a ridurre l’inflazione e ad allineare le monete. Nel ‘92 la lira esce ma rientra nel ‘96 perché il ‘92 è l’anno di Tangentopoli, c’è la caduta della democrazia cristiana e la fine della prima repubblica quindi c’è un completo rinnovamento non solo della classe politica ma anche dirigenziale a livello nazionale ed è ovvio che insieme ad un’instabilità politica e anche ad una crisi anche in parte dei valori si accompagna una crisi economica fatta da speculazioni sulla moneta. Vengono fatte tutta una serie di politiche industriali e si tradisce un pò tutto fatto prima per la Pac e si cerca di incentivare soprattutto il cambio nell’industria pesante quindi ci si rende conto che l’industria vista precedentemente con il boom economico va rivista e si comincia a pensare alla riconversione e alla chiusura di impianti siderurgici per riconvertirli. Ad esempio da coloro che producono acciaio comune a coloro che fanno acciaio speciale. La differenza è che il primo è quello che viene usato per tutta una serie di produzioni in massa mentre per gli acciai speciali vengono costruiti ad esempio gli inserti per lavorarli, sono quindi più particolari. Poi ci sono gli interventi sulla chimica che ha visto un boom a livello europeo negli anni ‘60 e di fatto è il settore protagonista del paradigma tecnologico, in particolare la petrolchimica. C’è una fortissima competizione a livello europeo e statunitense. La Germania è fortissima sulla chimica, ci sono alcune fabbriche e alcune aziende che anche oggi sono presenti come la AGFA, la Bayer ma ci sono anche i francesi con la Ron Poulenc, le grandi americane che sono anche a livello dimensionale molto portate a vincere la competizione e c’è l’Italia con l’Eni, la Montedison, la Snia viscosa che è leader nel mercato italiano con la produzione delle fibre artificiali. Parlando dell’Italia, c’è tutto il cambio ad esempio dell’industria del vestiario tra le fibre animali come la lana e le fibre vegetali come il cotone a quelle plastiche che però sono dannose sia a livello ambientale che economico. Poi ci sono interventi per la petrolchimca, ad esempio vengono dati degli incentivi per chiudere Porto Marghera che è un grande polo industriale chimico costruito dalla Montecatini con una logica inefficiente perchè si costruisce l’impianto per recepire fondi pubblici e creare occupazioni e che poi si trasformano in qualcosa di economico e obsoleto a livello tecnico e tecnologico. Quindi anche in questo senso si cerca di dare degli incentivi per la riconversione industriale. Per quanto riguarda invece la promozione della ricerca, sappiamo che ricerca e sviluppo sono i motori del rinnovamento tecnologico che si traduce nel miglioramento della competizione soprattutto in settori come chimica e petrolchimica dove ricerca e sviluppo sono necessari per battere le concorrenze altrui. Questo è il periodo in cui comincia a nascere l’elettronica che poi si tradurrà nei cip presenti nei computer. C’è anche il progetto Erasmus, uno dei cavalli di battaglia figlio della libera circolazione in paesi della comunità. Nel 2006 nasce il consiglio europeo per la ricerca. C’è la creazione di un mercato unico nell’85, si rimuovono tutti gli ostacoli non daziari all’unificazione nel ‘92 perché si vuole arrivare alla moneta unica quale è l’euro quindi bisogna creare tutti i presupposti affinchè l’euro sia efficiente in tutti i paesi e che sia anche il sugello della comunione e dell’unione europea. Su molte materie non c’è più la necessaria unanimità nelle votazioni, si cerca di armonizzare le legislazioni anche in campo fiscale senza però riuscirci, si eliminano progressivamente i controlli alla frontiera sulle merci, ci sono gare pubbliche e bandi pubblici europei per le grandi opere e poi ci sono le liberalizzazioni nel trasporto aereo e nelle telecomunicazioni. Il trattato di Maastricht prende forma anche attraverso una parziale liberalizzazione dei mercati dei capitali a livello europeo, si apre il tema dell’unificazione monetaria e fiscale per completare il soggetto e quindi questo trattato è un delineamento di ciò che vediamo oggi. C’è una spinta in questa direzione dalla caduta del muro di Berlino e dalla riunificazione della Germania. C’è anche il tema degli euroscettici secondo cui la Germnaia con Hitler non è riuscita a colonizzare l’Europa e ora ci sta riuscendo a livello economico. Questo è un paradosso ma di fatto è l’economia più forte della nostra unione. Dal 9 al 10 dicembre del 1991 viene promulgato il nuovo trattato dell’unione europea con 252 articolai, 17 protocolli e 31 dichiarazioni. Questo crea l’unione europea molto simile a quella di oggi. Si creano tutta una serie di strumenti quindi l’unione monetaria europea, la Pesc ovvero la politica estera e di sicurezza dei comuni e anche l’Aig ovvero la politica comune in materia di riforme sono meno efficaci nell’Italia meridionale. Per il resto, nel corso del ‘700 prevale un’economia fondata sull’agricoltura che continua ad essere un settore portante. Un momento significativo per la storia d’Italia è il periodo che va dalla fine del ‘700 all’inizio del 1815 perché questo è un periodo in cui i francesi dominano la penisola italiana e introducono riforme come i codici napoleonici e c’è una sorta di nuova cartina dell’Italia perché alcuni territori italiani diventano direttamente francesi, come il Piemonte, la Toscana e il Lazio e altri sono divisi in Regno di Napoli e regno d’Italia che in quel periodo aveva capitale a Milano. I francesi inoltre sono protagonisti di un’altra operazione importante quale il processo di requisizione e di vendita di una parte importante del patrimonio che apparteneva alla chiesa. Quest’ultima negli stati italiani poteva arrivare, tramite le sue varie istituzioni, ad avere quasi il 30% delle proprietà fondiarie. Molte di queste terre vengono confiscate e vendute e ciò non determina un aumento della proprietà contadina, le terre vanno a beneficio di ceti borghesi, di ceti professionali o della nobiltà, quindi non abbiamo come avvenne in Francia una redistribuzione della terra. Arriviamo all’inizio dell’800 con un’Italia agricola dove quasi mai, se non nelle zone di montagna, i contadini sono proprietari della terra quindi una caratteristica della penisola italiana a inizio ‘800 è di essere una realtà dove l’agricoltura è un’attività molto importante ma dove la terra non è proprietà dei contadini che sono in una situazione di forte disagio sociale. Questa povertà si vede da alcune manifestazioni quali le malattie, come la pellagra che era una malattia che poteva portare alla pazzia e alla morte ed era legata a una cattiva alimentazione, oppure altra caratteristica era l’abbandono di bambini nati sia da unioni legali che non e che venivano affidati alle istituzioni laiche o religiose perché i genitori non avevano beni con i quali sostenere queste famiglie. Un altro elemento di povertà era il brigantaggio, in particolare il fatto che gli stati facessero fatica a garantire su tutto il territorio della nazione un corretto svolgimento della vita civile. Anche l’analfabetismo segnala la povertà, è molto elevato anche se al sud è molto più accentuato ma è molto diffuso anche nell’Italia centro-settentrionale. Quindi l’Italia si presenta come paese prevalentemente agricolo mentre i paesi del primo cerchio iniziano a industrializzarsi ma oltre che un paese agricolo è anche un paese povero e in ritardo. A livello manifatturiero non esiste nulla, ci sono realtà dove imprenditori italiani hanno sviluppato alcune fabbriche su modello inglese. In alcuni casi, dato che gli stati della penisola facevano una politica protezionistica che creava ostacoli all’arrivo dei prodotti stranieri, alcune fabbriche sono state create anche da imprenditori stranieri perché avendo vantaggi dai governi locali si trasferiscono nella penisola, quindi abbiamo alcune piccole isole di produzione manifatturiera, qualcosa nel mezzogiorno ma in questo caso prevalentemente al nord quindi quest’ultimo manifesta già una serie di vantaggi rispetto al centrosud della penisola anche prima dell’unificazione italiana. Altro elemento che gioca a favore del nord è ciò che succede negli anni ‘50 dell’800. Una prima cosa interessante è la crisi della bachicoltura. Si diffonde una malattia dei bachi che si chiama fevrina e questa ha ruolo molto importante perché comincia a creare dubbi sulla bontà di quell’equilibrio agricolo commerciale. Quindi si comincia a pensare al nord che non bisogna puntare tutto sull’agricoltura perché se va in crisi si rimane a mani vuote quindi bisogna puntare anche sulla manifattura. Altro elemento interessante di questo periodo che precede l’unità è il decennio preunitario. Gli anni ‘50 sono importanti perchè da un lato c’è questa crisi dell’agricoltura che comincia a mettere in discussione il suo primato a vantaggio anche di altri settori ma poi c’è anche una competizione negli anni ‘50 tra Austria e Piemonte su chi deve avere la guida della penisola italiana. Per radicare la loro presenza gli austriaci, che hanno in mano il Veneto e la Lombardia, costruiranno la linea ferroviaria da Milano fino a Venezia mentre il Piemonte farà una sua linea ferroviaria da Genova e Alessandria, poi verso Torino e verso la Francia dove poi verrà realizzato nel 1870 il traforo del Frejus e l’altra asta da Alessandria a Novara. In tutto i due stati realizzeranno quasi 1300 km di ferrovia quindi altro elemento interessante è l’arrivo della ferrovia che arriva prima dello sviluppo industriale. È una ferrovia che viene sostenuta soprattutto a fini commerciali e politici. In tutta la penisola quando arriviamo all’unificazione abbiamo poco più di 2000 km di ferrovia e al nord è concentrato ¾ di ferrovia quindi una fetta molto larga della ferrovia italiana. In questo periodo degli anni ‘50 emerge la figura di Cavour che è importante perchè artefice dell’unità, è lui che crea la collaborazione con i francesi. È importante sottolineare che Cavour faceva parte di quella cultura che era presente in Europa nella prima metà dell’800 secondo la quale i paesi dovevano seguire la loro vocazione naturale. C’erano paesi con una domanda di prodotti manifatturieri molto forte ma soprattutto molte materie prime ed era giusto che si dedicassero all’industria e poi esistevano paesi con scarsità di materie prime che dovevano puntare sull’agricoltura. Cavour era sostenitore della centralità dell’agricoltura e ciò si vedrà anche con le politiche che adottò, tant’è che quando sceglie la politica doganale del regno di Sardegna, la sceglie liberista quindi apertura all’arrivo dei prodotti stranieri per poter vendere i prodotti nazionali. Una politica di questo tipo fatta nell’800 in quel momento equivaleva alla rinuncia o alla riduzione dell’interesse per l’industria e puntare sull’agricoltura come settore fondamentale e portante della vita economica. Nel 1861 viene proclamato il nuovo regno d’Italia. Cavour muore pochi mesi prima e non vede il compimento della sua opera ma saranno i suoi successori del suo partito quale destra storica che dovranno costruire l’Italia. A livello amministrativo si segue il modello francese quindi si crea uno stato accentrato dove è molto forte il ruolo del ministero degli interni e dei prefetti. Non si sceglie un decentramento perché si ha paura che questo nuovo regno appena nato si disgreghi. A livello economico le scelte compiute sono intanto il continuo della scelta di Cavour del liberismo doganale che favorisce più l’agricoltura che l’industria. Un altro tipo di scelta è quella di spendere molto per la guerra perché sarà poi necessaria una terza guerra d’indipendenza in quanto il veneto è ancora sotto dominio austriaco e in opere pubbliche infatti il nuovo regno lancia opere pubbliche importanti sia a livello stradale e portuale ma in particolare ferroviario. Al momento dell’unificazione infatti le ferrovie erano circa di 2000 km e in 20 anni arriveremo a circa 8000 km. Spendere è facile ma incassare è difficile perché il nuovo regno deve anche costruire un sistema fiscale e amministrativo. Questa cosa viene fatta con un certo ritardo e il risultato di questa situazione sono dei bilanci molto pesanti. Il nuovo regno nasce con un bilancio di circa 1 miliardo di spese e mezzo miliardo di entrate, quindi il divario entrate-uscite è molto marcato e ciò porterà ad un incremento di tentativi di aumentare le entrate ma il pareggio lo avremo solo nel 1875. Questo disavanzo che annualmente viene fatto dal governo si scopre tramite il debito pubblico che passa da 3 a 6 miliardi quindi raddoppia in poco tempo creando varie difficoltà ai governanti della penisola. Cavour aveva unificato la banca di Torino e quella di Genova e aveva creato la banca nazionale degli Stati sardi, quindi aveva copiato l’Inghilterra e aveva creato un’unica banca per l’emissione. Con il nuovo regno, dato che gli interessi locali sono molto forti, non abbiamo un’unica banca ma 6, 5 all’inizio e poi nel 1870 con la conquista di Roma ci sarà anche una sesta. Quindi fino al 1870 abbiamo 6 banche che hanno diritto a emettere carta moneta. La banca più grande è quella nazionale, poi due con sede a Firenze, una a Napoli e una a Sicilia e poi dopo il 1870 anche a Roma la banca romana. Quindi a differenza dell’insegnamento di Cavour, non c’è un ordinamento preciso nell’emissione della carta moneta. Rispetto al problema della spesa pubblica, dopo l’unità d’Italia c’è un aumento di tassazione, di imposte dirette e indirette, verrà introdotta la tassa sulla macinazione dei cereali che colpirà il consumo del pane e quindi darà un’ottima entrata, circa 100 milioni di lire e questo aumento di tasse porterà ad un pareggio di bilancio. Negli anni ‘70 abbiamo questo pareggio che viene ottenuto non tanto riducendo la spesa ma aumentando le entrate quindi sottraendo risorse all’economia si raggiunge il pareggio di bilancio ma in una situazione in cui la spesa politica fiscale rende sterile la domanda interna. Si continuano a costruire le ferrovie più per ragioni di carattere politico che economico quindi non sono attività che garantiscono un’entrata significativa tant’è che più avanti per sistemare la faccenda delle ferrovie verranno nazionalizzate e nasceranno le ferrovie dello stato. A livello doganale invece il nuovo regno per circa un ventennio quindi dal 1861 al 1878 continua con una politica liberista quindi per un ventennio ancora ci fu l’idea di un’Italia che deve fondare il suo avvenire sull’agricoltura. Negli anni ‘70 però viene fatta un’inchiesta industriale quindi per la prima volta dei funzionari dello stato percorrono il territorio e vanno a vedere concretamente l’andamento della vita economica rendendosi conto che la tariffa non funziona ma rende solo più difficile la vita di coloro che sviluppano attività di carattere produttivo. Nel 1878 c’è un primo cambiamento della vita doganale e si passa da una politica liberistica ad una protezionistica con l’idea di aiutare un certo sviluppo delle attività manifatturiere che molto lentamente iniziano a prendere piede e ad avere qualche sviluppo. Poi negli anni ‘80 arriva il grano americano, aumenta la concorrenza internazionale nei prodotti agricoli e anche gli agricoltori chiedono una protezione doganale quindi nel 1887 ci sarà un passaggio definitivo al protezionismo. Per quanto riguarda la politica monetaria, la banca d’Italia nascerà piuttosto tardi, nel 1893 e si arriva ad avere questo passaggio dal corso degli anni ‘80 dove, soprattutto nelle città e in particolare a Roma, Napoli, Torino e Milano, c’è una forte speculazione nel settore immobiliare, quindi grandi speculazioni nell’acquisto di aree fabbricabili e nella costruzione di case. In questo settore sono molto implicate le banche e in particolare anche quelle di emissione che hanno finanziato altri istituti di credito che a loro volta hanno finanziato attività edilizie. Quando questa bolla speculativa esplode, le banche si trovano in grande difficoltà e la banca romana andrà molto in crisi perché aveva emesso molto di più rispetto alle riserve che aveva, addirittura avevano stampato biglietti e duplicato dei numeri di serie quindi avevano fatto operazioni molto scorrette e punibili dal punto di vista delle norme. Quando questo scandalo scoppia, per cercare di risanare la situazione, la banca nazionale viene spinta a fondersi con le due banche toscane e nasce la banca d’Italia. La banca romana viene liquidata e di questa liquidazione se ne occupa la banca italiana e rimangono tra le banche di emissione quali la banca d’Italia, il banco di Napoli e quello di Sicilia. Per avere un’unificazione completa dobbiamo aspettare il 1926 quando la banca d’Italia diventerà l’unica banca di emissione. Con gli anni ‘80 e con l’avvio del processo di difesa del mercato interno abbiamo uno sviluppo industriale della penisola che comincia a modificare un pò il suo assetto economico e lo modifica tramite un primo sviluppo del settore industriale. In questo sviluppo anche il ruolo dello stato è importante. Uno degli esempi in cui si vede il ruolo dello stato è quello delle acciaierie di Terni. Negli anni ‘80 cambia la politica estera da una politica estera filo-francese ad una filo-tedesca. Entriamo nella Triplice alleanza insieme all’Austria e alla Germania e siamo chiamati a potenziare il nostro esercito e la nostra marina, in particolare per quest’ultima si trattava di costruire le prime corazzate, le prime navi con scafo in ferro e per questo bisognava realizzare le lamiere necessarie per le navi da guerra. Qui succede che un imprenditore di nome Breda creerà a Terni uno stabilimento che viene sviluppato grazie alle sovvenzioni che arrivano dallo stato. Si comincia ad avere un primo sviluppo industriale intorno agli anni ‘80. Si nota che l’Italia assume sempre più un carattere dualistico quindi l’economia è più forte nel nord mentre rimane molto in ritardo nell’Italia meridionale e si comincia a parlare di questione meridionale. Questo divario dipende da vari fattori tra cui il fatto che il nord è avvantaggiato da una vicinanza alle aree sviluppate d’Europa, in 500/600 km ad es si arriva nel cuore dell’Europa. Inoltre il nord è avvantaggiato anche per una sua storia precedente l’unità nazionale che non è causa della divisione ma che l’accentua e ciò si vede dal fatto che con gli anni ‘80 cresce molto l’emigrazione e comincia a diventare sempre più forte l’emigrazione dal mezzogiorno. La colpa dello stato italiano è di non rendersi conto che c’erano aree in ritardo per le quali era necessario fare degli interventi straordinari. I primi arriveranno in ritardo, all’inzio del ‘900 perché prima c’era l’idea che la L’economia italiana tra 1915 e 1939 In Italia, nel 1914, ci si trova di fronte ad un paese sicuramente in ritardo rispetto alle nazioni più progredite, tra cui gli Stati Uniti che erano in testa. Per quanto riguarda la produzione di acciaio, gli Stati Uniti si trovano ancora al vertice, così come per l’energia elettrica. Nonostante ciò, però, l’Italia in alcuni settori, come quello chimico o quello elettrico, ha fatto progressi che non la fanno sfigurare con gli altri paesi d’Europa. È sì un paese in ritardo ma è anche un paese che si apre a nuovi settori. Per quanto riguarda i capitali, l’Italia farà affidamento soprattutto sul sistema bancario, in particolare le imprese faranno affidamento sulle banche miste: situazione opposta a quella americana, in cui un ruolo fondamentale era ricoperto dalla Borsa. In Italia la borsa non è il luogo dove si va a recuperare il capitale di rischio. Il legame tra banche e imprese sarà problematico, tanto da richiamare l'intervento dello stato. Quest’ultimo ha un ruolo importante anche nel finanziamento delle imprese. Lo sviluppo avvenuto tra fine ‘800 e inizio ‘900 ha segnato una fortissima diversità tra le zone del paese, infatti attraverso un censimento delle industrie, si poteva osservare la diffusione e lo sviluppo dell’industria lungo tutta la penisola. La metà delle industrie era impiantata in Lombardia, circa 28 mila industrie, e ciò ci fa capire che il paese sta cambiando ma in modo disomogeneo. La Campania, che era la regione più ricca del regno dei Borbone, mantiene ancora un livello industriale alto, tanto da essere superiore a quello delle marche, risollevando un po’ la situazione meridionale. Il regno nuovo aveva fatto una legge dal punto di vista dell'istruzione, in particolare aveva dichiarato obbligatorio il primo ciclo del corso alimentare. Però l'istituzione delle scuole era stata caricata sulle spalle dei comuni, generando una diffusione dell'istruzione solo nei paesi più ricchi, al contrario dei paesi più poveri, in cui regna ancora l’analfabetismo. Ci troviamo, dunque, di fronte ad un posto diviso sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista sociale. Da ricordare inoltre che l’Italia ha un’emigrazione fortissima: ci si spostava particolarmente in Argentina e negli Stati Uniti, perché la crescita è ancora debole e concentrata ancora territorialmente; molti di questi espatri sono permanenti, fatti da gente che lascia definitivamente il paese. Ciò testimonia ancor di più la realtà povera dell'Italia, nonostante alcuni cambiamenti in atto. Siamo in una fase, quella fino alla guerra di Libia, positiva dal punto di vista del bilancio pubblico dal 1898 al 1912 è inattivo. È molto raro trovare che le entrate superano le uscite. Questa situazione molto favorevole permette al nostro Paese, nel 1906, di convertire i titoli del debito pubblico cioè il debito pubblico che si chiamava consolidato cioè sul quale lo Stato restituiva interessi, veniva ritirato e sostituito con altro titolo con interessi più bassi. Lo stato piò indebitarsi a condizioni più vantaggiose. Altro aspetto interessante è che si riducono anche le tasse sui consumi e ciò farà aumentare i consumi stessi e la domanda interna e aumentano anche la spesa pubblica. L’Età Giolittiana è un’età di buoni investimenti e opere pubbliche da parte del governo nazionale, concentrandosi molto sul sistema ferroviario, rendendolo più efficiente. Ilo stato poi inizia alcune opere importanti tra cui il traforo del Sempione a nord per collegarsi alla Svizzera e la Direttissima, cioè gallerie lunghissime tra Firenze e Bologna. Questo tratto che attraversa gli Appennini è un tratto molto importante delle linee ferroviarie italiane. Altro aspetto interessante è la riduzione tra debito pubblico e prodotto interno lordo. Qui l’economia cresce e il debito pubblico diminuisce. Alla fine dell’800 era a 117% mentre ora scende al 71%. Altro punto di forza dell'età giolittiana è Il buon andamento dei conti pubblici che è un aspetto non consueto, saranno rari i periodi in cui l’Italia si trova con la possibilità di spesa interessante perché i conti sono in equilibrio, infatti quasi sempre prevalgono delle situazioni in cui lo Stato è ai conti fortemente in rosso e il debito pubblico è in continuo aumento. L’Italia, alla vigilia della guerra, è un paese cresciuto e cambiato e che ha vcominciato l’industrializzazione, seppur in ritardo e in disequilibrio ma comunque con degli aspetti positivi al suo interno. L’Italia sappiamo che non entra subito in guerra, al fianco dell’Austria e della Germania, ma il governo tergiversa così come la popolazione, ma il Sovrano e il Governo, guidato da Salandra, andranno a Londra a trattare, ottenendo grandi promesse, come il mare Adriatico che sarebbe diventato italiano, e l’Italia entra in guerra. Anche l’Italia entra in guerra come un periodo di breve durata e non complicato, ma si concluderà nel 1918, a costi di immani sacrifici. Tutti i paesi, salvo gli Stati Uniti, hanno grandi problemi per finanziare la guerra, poiché questa comporta la messa in campo di milioni di soldati e il loro armamento e mantenimento; la guerra diventa estremamente costosa. La guerra viene vinta dalle potenze dell’Intesa proprio grazie al sostegno americano. La Gran Bretagna, che era un paese ricco, si indebita e per far fronte a ciò, può aumentare le tasse, in particolare avendo una popolazione con uno dei tenori più alti del mondo, in modo tale da recuperare risorse necessarie per lo sviluppo e il sostegno della guerra. In Francia si farà ricorso al debito pubblico e in Germania, non potendo contare sul sostegno americano, si stampa carta moneta, generando così inflazione e iperinflazione. La guerra fa abbandonare ogni ortodossia finanziaria, basata sul mantenimento di un equilibrio tra entrate e uscite e della parità tra moneta e oro (gold standard). A questo punto, dato che si deve stampare carta moneta, la moneta viene sganciata dall’oro e, di conseguenza, cresce molto l'inflazione. Nel 1914 l’Italia era tornata ad un bilancio in rosso anche perché nel 1912 ci si era lanciato in una conquista in Libia e ciò aveva messo in discussione l'equilibrio dei conti pubblici. Un miglioramento si avrà nel 1923 e la guerra avrà un lungo trascinamento nelle finanze pubbliche. Infatti per avere un pareggio del bilancio bisogna aspettare l'esercizio finanziario del 1924/1925. Quando scoppiò la guerra, si stampa debito pubblico, parte della quale viene comprata dall’Italia stampando carta moneta, che aumenta di 5 volte tra 1914 e 1919. Aumento carta moneta → aumento inflazione → peggioramento del cambio valute Quando nacque il nuovo regno d’Italia, c’era un forte debito pubblico che è rappresentato soprattutto dal Consolidato con il quale si intende il titolo che non ha scadenza, offerto dallo Stato. Questo tipo di titolo era interessante per chi lo sottoscriveva poiché si pagava meno del valore nominale. Durante la guerra lo stato quando chiedeva denaro, riceveva come risposta che i titoli più graditi erano quelli che scadevano un anno dopo, e diventa un problema: lo Stato non deve più solo pagare interessi ma anche il capitale, e si va a finire in un debito pubblico più pericoloso perché bisognava essere certi che qualcuno avrebbe poi ricomprato quei titoli. Altro aspetto importante della prima guerra mondiale, che rappresenta una forte accelerazione per l’economia, è la creazione nel giugno del 1915 di un comitato industriale con basi provinciali. Il suo compito era quello di andare nelle realtà locali, individuare quali prodotti avevano, assegnare commesse e reperire tutte quelle cose che occorrevano in tempi rapidi. Si crea una situazione favorevole per le imprese, che hanno una domanda crescente dove non interessa quanto si fa pagare, ma che si consegni nel tempo giusto. L’effetto di questa operazione è che si avvantaggiano le fabbriche che già esistono, con una enorme crescita dell'attività produttiva nelle regioni già avanzate. Però il divario tra le varie regioni italiane aumenterà comunque. Alla fine della guerra bisognerà trasformare la produzione bellica in produzione di pace, ma non tutte le aziende ci riusciranno. Le imprese che crescono di più sono quelle riguardanti i settori chimico, meccanico, siderurgico e minerario. Le imprese hanno molti soldi che possono utilizzare poiché lo Stato paga molto bene, anche in anticipo, pur di avere le esigenze militari. Durante la guerra si sviluppano, sempre per esigenze militari, centri di ricerca e si hanno incrementi dal punto di vista della qualità delle produzioni. Altro elemento caratterizzante è l’importanza dei motori degli aerei, più avanzati nei quali l'industria italiana ha risultati brillanti. Crescono le imprese già forti e l'aspetto importante è che la crescita non è del 5/10%, ma molto più grande, si dovrà trovare però posto per tutti. I soldi del governo vanno dove c’è già lo sviluppo industriale, aumentando di più il divario tra Nord e Sud. L’agricoltura soffre molto durante la guerra perchè, dei milioni dei soldati reclutati, moltissimi sono contadini, per cui c’è una grande carenza di braccia e i mercati sono regolati dallo stato. Innanzitutto i prodotti devono fornire l’esercito, poi i prezzi sono stabiliti a livello politico e molti prodotti sono nascosti e venduti al mercato nero. Inoltre l'esercito dopo la guerra si aspetta qualcosa indietro, soprattutto dopo la disfatta di Caporetto, in cui vengono loro promessi pezzi di terra agli operai sono esonerati dal conflitto e rimangono a lavorare nelle fabbriche, in cui c'è una forte disciplina, quasi militare. Non si sciopera perché i prodotti servono per la guerra. I ritmi orari sono pesanti e le paghe sono molto buone, anche se devono fare i conti con la costante inflazione. La guerra inoltre è un'occasione per accrescere il lavoro femminile poiché la forza maschile si trova al fronte. Ciò determina una grande emancipazione femminile. Nel 14, proprio in previsione della guerra, viene creato un consorzio che serve per finanziare le imprese anche se queste non hanno grossi problemi di liquidità durante la guerra. Anzi c’è una liquidità molto crescita nelle mani delle imprese e un conseguente aumento dei depositi in particolare presso le banche miste. Le banche comprano pacchetti delle imprese e viceversa e ciò avrà delle conseguenze, in particolare il gruppo Ansaldo diventa proprietario della banca italiana di sconto quindi si invertono un po' le posizioni. L’idea è di comprare le banche per avere liquidità nelle fasi negative che arriveranno quando la guerra finirà. finanziarie fatte da altri imprenditori ma di fatto costruisce il Lingotto con gli introiti su modelli americano. Durante la crisi del ‘21 vanno in crisi la grande impresa siderurgica e il ciclo integrale. Questa va in crisi per vari motivi perché queste imprese sono grandi, hanno tanti dipendenti e ora c’è bisogno di una riduzione della produzione, visto il calo della domanda. Poi c’è la crisi del ciclo integrale. Questo funziona nell’utilizzo di altoforni dove vengono fatte tutta una serie di operazioni di tipo il pudellaggiio per produrre gli acciai e le ghise. Qui le nuove tecnologie, soprattutto statunitensi, parlano di archi voltaici. Ora non si fa più il pudellaggio che equivale a mischiare tutti gli ingredienti ma la temperatura viene raggiunta facendo passare attraverso degli elettrodi una scarica elettrica. Poi l’Ilva viene salvata dalla Comit e dal Credito italiano quindi le banche miste sono ancora protagonisti del sistema industraiele. Poi nel 1921 abbiamo il fallimento del gruppo Ansaldo-BIS. L’Ansaldo non riesce a riconvertire e a trovare un’efficienza nelle sue politiche produttive, fallisce e nel fallimento viene coinvolto il BIS. Quando una banca fallisce ci sono problemi anche a livello sociale. Si ha poi un intervento del governo per gestire la liquidazione della vecchia Ansaldo e la nascita di una nuova impresa ma fortemente ridimensionata. Dopo il fallimento il governo si rende conto che doveva sistemare la situazione e interviene ma debolmente e anche ciò sarà una miccia del fascismo perché di solito le banche non vanno fatte fallire. Quindi resuscita l’Ansaldo ma con una nuova impresa fortemente ridimensionata quindi molto più piccola e con una produzione inferiore. Tra il ‘22 e il ‘26 c’è una ripresa produttiva. L’economia a livello internazionale si riprende e quindi anche l’Italia si attacca alla congiuntura economica favorevole. C’è una forte crescita della produzione manifatturiera, la ripresa della siderurgia e del rottame quindi le nuove tecnologie consentono la forma di recupero, c’è il buon andamento del terrore elettrico traino di tutta l’economica e delle esportazioni di prodotti tessili. Quando c’è una fase di congiuntura positiva c’è un forte calo della disoccupazione, la domanda di lavoro comincia a riprendere in modo importante e c’è una ripresa trainata soprattutto dalle esportazioni ma non sostenuta dalla domanda interna sempre debole. Per quanto riguarda la politica economica tra il 1922 e il 1925, il fascismo è già arrivato al governo, c’è un pareggio di bilancio grazie alla riduzione della spesa pubblica e alla privatizzazione di servizi. In sostanza la spesa pubblica viene ridotta e c’è una privatizzazione dei servizi, quindi si vendono ai privati dei servizi che prima erano a proprietà dello stato e da qui anche il neoliberismo autoritario. Neoliberismo perché si toglie un po' la presenza dello stato nell’economia e autoritario perché non è una cosa lasciata al mercato, il fascismo interviene e intima di fare determinate cose. Abbiamo una politica fiscale regressiva a sostegno degli investimenti che è la famosa flat tax quindi io metto una quota fiscale più bassa così che chi ha più denaro e quindi risparmia rispetto a quello che avrebbe dovuto pagare di tasse investe nell’agricoltura, nelle industrie e nelle tecnologie del momento. Si ha il contenimento del costo del lavoro per favorire investimenti ed esportazioni. Il costo del lavoro rimane basso e di conseguenza è un costo fisso che non si riflette nel costo finale dei prodotti e questi, avendo un costo inferiore, sono più appetibili rispetto agli stessi prodotti che si trovano a livello internazionale ma che sono più cari perchè hanno un costo fisso dovuto ai salari maggiori. C’è poi un forte contenimento dell’azione sindacale, i sindacati vengono messi da parte e viene creato un unico sindacato, quello fascista che non fa il sindacato come era successo nel biennio rosso precedente. C’è la tutela degli interessi agrari e l’abbandono dei processi di riforma agraria quindi c’è una vittoria del gruppo di potere che è stato uno dei maggiori azionisti della voluta a capo del governo di Mussoli, quindi gli agrari. Poi c’è una politica produttivistica di Arrigo Serpieri e le resistenze degli agrari. Qui è il tentativo da parte dello stato di imporre una produttività più ampia che però anche tecnologicamente è difficile da raggiungere e poi ci sono i rapporti con il mondo cattolico. C’è il salvataggio del banco di Roma perché il fascismo forte dell’esperienza fatta con la BIS decide di salvarla. L’industria riparte anche grazie alle politiche di De Stefani, crescono le esportazioni ma ancora di più le importazioni. C’è la difficoltà della bilancia dei pagamenti perchè i soldi che escono per mantenere il livello delle importazioni è maggiore dei soldi che entrano dovuti alle esportazioni, c’è quindi un aumento dell’inflazione e la crisi del cambio quindi la lira si svaluta rispetto alle altre monete fortiò. In questi anni la moneta di riferimento è la sterlina e non ancora il dollaro. Per cercare di contenere l’inflazione ci sono varie politiche deflattive da parte di De Stefani ma non sono efficaci quindi viene sostituito da Giuseppe Volpi nel 1925 che è il fondatore della più antica s.p.a italiana. Tra le politiche di Giuseppe Volpi abbiamo l’inasprimento delle politiche daziarie, si vuole limitare le importazioni dagli altri paesi e di conseguenza si aumentano i dazi quindi comprare prodotti importati è costoso e si placano. Altro punto è la battaglia del grano. Anche il grano a livello ideologico diventa un bene che va tutelato, viene spinto anche dal punto di vista della produttività tramite l’uso dei fertilizzanti e dei concimi quindi aumento della produttività grazie alla chimica. Per quanto riguarda la sistemazione dei debiti di guerra quindi i debiti fatti durante la prima guerra mondiale soprattutto con Stati Uniti e Gran Bretagna, si paga e c’è la stabilizzazione della lira tramite varie politiche. Tornando alla sistemazione dei debiti di guerra, c’è la partecipazione al piano Dawes che sono aiuti da parte degli Stati Uniti ma sono rivolti solo alla Germania e alla ristrutturazione del gravoso debito di guerra che gli era stato inflitto. Questo piano era un enorme piano di rientro con caratteristiche ben precise e prevede che per il rientro del debito che nel frattempo è stato rivisto e abbassato, prevede rate proporzionali al PIL tedesco quindi la Germania man mano che riprendeva il suo corso economico faceva si che l’ammontare delle rate aumentasse. Tutto parte con il piazzamento dei titoli di stato sulla borsa di New York. Anche l’Italia partecipa a questo paino quindi di fatto compra questi titoli. Poi nel novembre del 1925 si ha una riduzione del debito verso gli Stati Uniti che era il 117% del reddito nazionale e che scende al 57% e viene rateizzato in 62 anni. Il merito della scesa dei debiti va dato all’inflazione che si mangia parte del debito. Poi c’è una successiva sistemazione delle pendenze verso la Gran Bretagna. Si ha una stabilizzazione della lira e la lotta all’inflazione in Europa. Ci sono pressioni internazionali per la stabilizzazione monetaria e il 28 luglio 1926 c’è il cambio. Per quanto riguarda la quota novanta, il suo obiettivo è il discorso di Pesaro dell’agosto del 1926. Anche qui c’è la questione ideologica del fascismo, Mussolini non voleva un cambio così pesante e non voleva tenersi il cambio inflazionato che si trovava in quegli anni quindi forza l’economia italiana e nel ‘26 annuncia la rivalutazione della lira che fu pesante. Rivalutazione vuol dire che la lira diventa molto più forte rispetto alla sterlina e anche alle altre monete e scendono le esportazioni. Calando queste e avendo un mercato interno debole c’è una crisi della produttività. Ci sono tutta una serie di ragioni politiche che sono soprattutto ideologiche, c’è la politica di stabilizzazione a novanta, la banca d’Italia diventa unica banca di emissione quindi finalmente si centralizza l’emissione. C’è il consolidamento del debito fluttuante e la creazione dell’istituto di liquidazione. Per quanto riguarda la stabilizzazione della lira, viene fatta nella primavera del ‘27. Il 21 dicembre del ‘27 c’è una stabilizzazione formale. Le conseguenze di quota novanta sono le pressioni esterne al paese perché la rivalutazione della lira aveva problematiche anche dal punto di vista internazionale. Ci sono la politica di prestigio del regime a livello interno e internazionale e la tutela dei risparmiatori che è quello che deriva dalla creazione della banca d’Italia. Gli operatori economici sono favorevoli ad un ritorno della lira agganciata all’oro ma a un livello più basso. Tra le altre conseguenze di quota novanta abbiamo le compensazioni a favore dei lavori economici cioè c’è un taglio salariale del 20%, una misura favorevole ai processi di concentrazione quindi si concentra verso i produttori interni alcune produzioni, l’accettazione di posizioni di monopolio e la preferenza di produzioni nazionali. Le conseguenze negative di una rivalutazione sono la caduta delle esportazioni, soprattutto i tessuti, la crisi di diversi comparti e una maggiore disoccupazione perché se alcuni comparti sono in criis poi si lavora meno. Tra i provvedimenti presi dopo la quota novanta, uno molto importante è la cosiddetta legge Mussolini. Nel 1928 viene lanciata una proposta per la bonifica integrale. Si tratta di intervenire su circa 1.200.000 su terreni paludosi con un’opera idraulica per la sistemazione dei terreni così da avere più terreni da coltivare. Era un modo con il quale il fascismo pensava di rispondere alla richiesta di terra dei contadini. Il fascismo infatti aveva promesso di distribuire la terra ai contadini senza fare nessuna riforma. In realtà l’opera ha dei risultati importanti nella sistemazione sanitaria dei terreni e nella lotta contro la malaria ma non ottiene i risultati sperati anche perchè i privati non partecipano come dovrebbe all’azione. Infatti sia la sistemazione idraulica che la sistemazione dei terreni doveva essere fatta dallo stato ma poi dovevano intervenire i privati ma lo fecero in parte perché poi scoppia la crisi del ’29 e la caduta del prezzo del grano rende più limitati gli investimenti da parte del mondo privato. Però quello che si ottiene è di dare lavoro a molti braccianti che lasciano il Veneto e si trasferiscono alla provincia di Latina a sud di Roma, zona dove avvengono i maggiori interventi per quanto riguarda questa azione. Per quanto riguarda il mondo del lavoro, con la fine della libertà politica nel ’25 e l’avvento del fascismo, anche i sindacati liberi vengono messi fuori combattimento, l’unico sindacato che resiste è quello fascista che ha un particolare legame con il partito. Questa esautorazione del sindacato libero avviene tramite un accordo tra Confindustria e sindacato fascista quindi entrambi si riconoscono come rappresentanti delle parti sociali. Il sindacato libero perde di significato e l’unico sindacato che può svolgere un ruolo di tutela dei lavoratori è quello fascista e i rapporti di lavoro vengono regolati da alcune leggi. I contratti di lavoro hanno valore per tutti coloro che sono parte di una certa categoria. Di fatto nel conflitto di lavoro interviene la legge come elemento di composizione dello scontro sociale, nella realtà il sindacato perde molto peso, è meno capace di tutelare gli interessi dei lavoratori mentre il mondo imprenditoriale mantiene una maggiore autonomia dal fascismo. L’obiettivo di questa politica del fascismo è quella di ottenere una mano d’opera che si autodisciplinata, quindi evitare gli scontri sociali sostituendoli con la mediazione della politica e una manodopera che sia poco costosa per un paese che si ritiene povero. Dal punto di vista sociale, da una parte ci sono le politiche del regime favorevoli all’incremento demografico, la propaganda per le famiglie numerose, una retorica ruralista quindi un’esaltazione della bontà delle virtù rurali agricole anche se in realtà c’è uno spostamento di popolazione verso il nord e verso le maggiori città. Tramite una serie di norme e di istituzioni il fascismo compensa in parte gli operai che hanno perso un’autonomia a livello sindacale tramite vantaggi che arrivano per i lavoratori, in particolare per i lavoratori dell’industria viene sempre più garantita la pensione e per farlo viene creato l’INFPS ovvero l’istituto nazionale fascista della previdenza sociale. Quindi il fascismo per ragioni di consenso politico e anche per una certa sensibilità a livello sociale priva i lavoratori di sindacati liberi ma non manca di dare garanzie. Si cercherà di intervenire anche nel campo mutualistico e sanitario anche se poi una creazione di un ente nazionale per le malattie lo avremmo solo negli anni di guerra. Ciò che funziona è l’assistenza agli infortuni, agli invalidi e ai pensionati. Per quanto riguarda la malattia, l’intervento è tardivo. Nelle fabbriche, con quota novanta e con una serie di provvedimenti adottati dal regime, soprattutto provvedimenti per tutelare chi è già presente cioè dopo quota novanta il fascismo fa una politica per limitare la concorrenza, vengono creati quindi cartelli e norme in base alla quale l’apertura di nuovi impianti deve essere autoprizzata dal governo. In pratica si da aiuto e sostegno a chi è già operativo in un determinato campo e a livello delle aziende si diffondono metodi di tipo tayloristico quindi aumentano i ritmi di lavoro e l’organizzazione si fa più intensa. I datori di lavoro per compensare anch’essi i lavoratori dei sacrifici che chiedono intervengono tramite azioni sociali a favore dei - l’attività di credito è dichiarata di pubblico interesse perché si tratta di salvaguardare il risparmio degli italiani, i banchieri lavorano con i loro soldi quindi è interesse dello stato intervenire e tutelare l’attività bancaria. - La Banca d’Italia diventa a tutti gli effetti la banca delle banche, non ha più rapporti con privati cittadini e il suo compito è quello di regolare la circolazione monetaria tramite la definizione del tasso ufficiale di sconto e di vigilare sul sistema bancario. Per questo motivo gli azionisti privati vengono liquidati. - La specializzazione del credito. Gli istituti di credito vengono divisi in base a come raccolgono il denaro e ci deve essere corrispondenza tra il modo con cui questi istituti si finanziano e come erogano il credito. Quindi abbiamo le anche commerciali che raccolgono i depositi dei risparmiatori, quindi raccolgono crediti e breve termine e possono investire solo a breve termine. Mentre le altre banche che erano autorizzate a fare questo potevano, con denaro loro o raccolto con obbligazioni, prestare a medio-lungo termine. Praticamente la legge del ‘36 con questi provvedimenti cancella la banca mista. L’obiettivo della legge è la tutela del risparmio. Il sistema bancario italiano: dall’unità alla seconda guerra mondiale L’Italia prima dell’unificazione, quindi prima del 17 marzo del 1861, è spezzettata in una serie di regni in cui quelli più importanti sono il Regno di Sardegna, lo stato pontificio e il Regno delle due Sicilie. Sono importanti anche a livello di banche perché quelle che emettono all’inizio dell’Italia unita vengono da questi regni. Il risultato è una pluralità che genera un disordine, soprattutto nell’emissione di carta moneta. L’unificazione della finanza pubblica avvenne per mano del ministro delle finanze Pietro Bastogi, quindi avviene un’unificazione dei bilanci e questi vengono scritti tutti nel grande libro del debito del regno d’Italia e tutti quei debiti e crediti dei singoli stati vengono iscritti convertendoli in una rendita a 5% o a 3%, di fatto vengono emessi dei titoli di stato. L’unificazione monetaria arriva un anno dopo con la legge Pepoli del 25 agosto del 1862. La lira italiana è l’unica moneta ammessa nel regno e viene adottato un sistema metallico di modello francese con una convertibilità tra oro e argento di 1 a 15,5. I regnanti del tempo sono consapevoli che avere un commercio internazionale il più possibile regolato e ordinato è più efficiente anche a livello di sviluppo dei paesi e nel 1865, insieme a Francia, Belgio e Svizzera, si sottoscrive un’unione monetaria latina dove si fissavano delle caratteristiche comuni nei paesi per quanto riguarda il conio delle monete e della carta moneta. Sappiamo che all’unificazione monetaria non si accompagna l’unificazione dell’emissione e ciò dipende soprattutto dal fatto che anche se l’Italia è unita, i gruppi di potere e le pressioni dei singoli stati preunitari continuano ad esistere e nessuno stato vuole rinunciare a emettere carta moneta perché c’è la credenza che si possa impoverire una regione. Gli istituti che nel marzo del 1861 hanno privilegio di emettere carta moneta sono 5: - La banca nazionale degli stati sardi: nel ‘67 diventa banca nazionale del regno d’Italia ed è il risultato della fusione tra il banco di Genova e la banca di Torino, che sono le due città più importanti del regno di Sardegna. L’ingrandirsi di questa banca segue l’ingrandirsi del regno e assorbe nell’Italia centrale la banca per le quattro legislazioni e questa parmene e, quando si sposta nei territori di Lombardia e Veneto apre prima una filiale a Milano e poi acquisiste lo stabilimento mercantile di Venezia; - La banca nazionale Toscana: La Toscana e il gran ducato di Toscana ha due banche emettitrici che hanno anche natura diversa. La prima, la banca nazionale della Toscana, è la fusione tra banca di sconto di Firenze e Bancop di sconto di Livorno. Poi nel 1860 si assorbono alcune piccole casse di sconto toscane. La banca nazionale Toscana operava soprattutto a livello regionale; - La banca toscana di credito per le industrie e il commercio: nasce sotto forma di società anonima che è una s.p.a. Ha una vocazione più rivolta al credito verso l’industria, i suoi azionisti sono in prevalenza esponenti del grande capitale finanziario e tra questi emergeva Bastogi, un uomo particolarmente influente, che forma una delle prime anonime nel regno d’Italia nel 1862 e il primo a quotare la società in Borsa. Era molto impegnata nell’affare delle strade ferrate meridionali. - Il banco di Napoli e il banco di Sicilia: ne parliamo insieme perché questi anche dopo la creazione della banca d’Italia continuano ad emettere carta moneta e loro in questo periodo emettevano fedi nominative e non carta moneta. Queste fedi sono molto simili agli assegni di oggi e venivano considerati come mezzi di pagamento. La loro particolarità è che accanto alla girata si poteva inserire la causale di quella cessione di credito e venivano trattati, a livello giuridico, come se fossero contratti. - La banca Romana: è un caso particolare, viene fondata nel 1850 e dopo l’ingresso di Roma nell’unità diventerà banca del regno. Emette titoli di stato, lettere di cambio e quindi opera come una banca come le altre, a tutti gli effetti. È famosa per il suo scandalo. Per quanto riguarda il corso forzoso, è inerente al fatto che le banche sono esonerate dalla convertibilità della cartamoneta con l’oro. A metà del 1800 lo stato impone il corso forzoso alle banche. Il ministro Scialoja, per esigenze finanziarie determinate da una crisi depressiva attraversata dall’Italia nel 1863, impone questo prima al banco d’Italia e poi a tutte le altre. In generale il corso forzoso è stato imposto dallo stato per una serie di motivi dovuti alla congiuntura negativa a livello internazionale. In primis, parte di questa crisi è dovuta alla guerra di secessione americana che fa si che l’America smetta di investire in Europa e richieda il rientro dei crediti a loro dovuti. Inoltre c’è anche una questione commerciale, la guerra fa cessare quasi del tutto le forniture di cotone e il prezzo di questo aumenta e va a danneggiare l’intero continente europeo perché il cotone in quegli anni era materia prima fondamentale per l’industria. Dalla primavera del 1866, l’Italia cominciava a scontare le conseguenze finanziarie della politica dell’unione. L’Italia per fare l’unità aveva investito molto e questi investimenti erano fatti soprattutto a prestito. Successive disposizioni accordarono il corso forzoso anche alle altre banche emettitrici. Le conseguenze del corso forzoso sono in primis una svalutazione perché una carta moneta non più coperta dall’equivalente in oro vale meno. Altro effetto è quello dell’aggio, fenomeno che riguarda soprattutto le monete fatte di metalli preziosi e che la gente o conservava, di fatto si facevano depositi in casa, oppure le portava all’estero. Quindi c’era una sottrazione di queste monete preziose all’interno del sistema monetario del regno d’Italia. Poi c’erano tutta una serie di fattori psicologici. Il corso forzoso costrinse le persone ad usare la carta perché c’era l’aggio. Nel 1864 si comincia a capire che la pluralità delle missioni andava disciplinata e si crea un oligopolio con una legge bancaria del ministro Minghetti che introduce questo oligopolio dove le cinque banche sono le uniche autorizzate ad emettere moneta quindi tutti gli strumenti visti prima con le banche private e le camere di commercio devono sparire. Anche qui il problema è di non decidere di affidarsi ad un istituto centrale di credito per le motivazioni precedentemente dette: ogni stato, ogni gruppo locale aveva i suoi gruppi di pressione e non voleva rinunciare ai suoi diritti. Gli effetti sono una scarsa diffusione dei depositi bancari, di fatto ci sono pochi investitori, e il popolo accettando i biglietti di banca faceva credito agli istituti di emissione che a loro volta facevano crediti ai clienti. La situazione era che le banche potevano emettere gratis perché senza il corso forzoso esse potevano emettere ma non dovevano garantire che la quantità di carta moneta emessa nel sistema era coperta da oro. Tramite questo quindi le banche potevano emettere gratis e ciò ebbe anche degli effetti sociali positivi perchè ad esempio le banche erano più disposte a cambiare le cambiali in cartamoneta perché non dovevano reperire oro e la cittadinanza andava a cambiare carta moneta, le banche convertivano più volentieri e si combattevano fenomeni come l’usura.