Scarica Etica applicata - Sbobinature di tutte le lezioni e più Appunti in PDF di Etica solo su Docsity! Etica, Robotica e Vita quotidiana Prof. Galletti Matteo, a.a. 2020/2021 Lezione 1 Filosofia etica analitica – trolley problem, discussione del tutto teorica che rappresenta un dilemma centrale dell’etica delle macchine autonome. Germania ha costituito commissione specifica che prendesse in considerazione le conseguenze etiche delle macchine a guida autonoma. Film HER, intelligenza artificiale così sofisticata da sembrare umana ma senza corporeità – importante per la terza parte del corso e per la questione di cosa sia una persona (capacità mentali/emotive, solo corpo?). Questione dei droni usati nei contesti di guerra: armi automatiche che possono svolgere una parte integrante dell’attività umana, cioè l’uccisione del nemico, in maniera autonoma. Se i robot potranno mai essere persone, cosa comporta trovarci di fronte un corpo robotico con identità umana? Anche quello dei sex robot è un campo in cui si stanno investendo parecchi soldi, cercando di arrivare ad una perfezione tale da interagire al massimo nella sfera sessuale (molto più di una valvola passiva, ma interazione attiva). Dobbiamo esprimere giudizi morali su chi decide di organizzare la propria vita sessuale con un sex robot piuttosto che con un umano? E con quali criteri? Concezione della donna, se queste avranno un impatto benefico (magari persone possono sfogare eventuali sfinti violenti sulla macchina e non sulla donna). Altra frontiera è usare sex robots per, se non curare, almeno arginare il comportamento dei sex offenders, cioè coloro che hanno sfere violente. (Saggio in fondo a balistreri è opzionale). 1. La struttura dell’etica e l’etica applicata I livelli della riflessione filosofica sulla morale sono questi (etica = quel lavoro specifico di riflessione, argomentazione che il filosofo è chiamato a fare / morale = intesa come codici morali, non è un patrimonio filosofico): Etica descrittiva Metaetica Etica normativa Etica applicata Le questioni morali pervadono la nostra vita quotidiana (es. chi trasgredisce norme ha ragioni che secondo lui giustificano tale comportamento. Se il suo atto non è un atto di protesta o irriflesso, allora la persona ha ragioni morali). Questo livello di scambio di ragioni, quando avviene, è un punto saliente della nostra vita e anima le nostre argomentazioni sulla società su più livelli. Negli ultimi anni la coorte costituzionale ha emesso una sentenza epocale, nel 2019, con cui si sosteneva la incostituzionalità dell’articolo del codice penale dell’aiuto a morire. Esistono persone vulnerabili che potrebbero essere indotte a suicidarsi per motivi immorali, ma esistono situazioni in cui una norma del genere viola i diritti fondamentali della libertà dell’uomo. Esempio di DJ Fabo: il medico fornisce al paziente i mezzi disponibili per morire. Il coinvolgimento del medico in DJ Fabo è stato di un suicidio medicalmente assistito. L’accompagnatore di DJ Fabo si è autodenunciato nel momento in cui è tornato in Italia: Cappato, con questo suo atto, ha manifestato un atto di disobbedienza civile = comportamento intenzionale di un attore che viola la legge considerata ingiusta ma che è disposto a subire tutte le conseguenze legali. Spesso la disobbedienza civile viene confusa con l’obiezione di coscienza, in cui i cittadini si sottraggono alla norma senza incorrere nelle conseguenze (es. interruzione volontaria della gravidanza, previsione nella legge che un medico, per ragioni etiche o religiose, non si sente in grado di mettere in atto l’aborto può non farlo e questa sua scelta è riconosciuta come legittima). Nella disobbedienza civile non c’è nessuna norma che autorizzi la persona a sottrarsi alla legge e quando lo fa va incontro agli effetti previsti per quella trasgressione. Se una persona ritiene che la tassazione sia ingiusta e quindi non paga le tasse non compie una obiezione di coscienza, ma disobbedienza civile. Su questi temi ci sono riflessioni filosofiche anche molto sofisticate – l’obiezione di coscienza è legata soprattutto all’ambito della bioetica, ma sulla disobbedienza civile ci sono saggi di Rawls e Arendt importantissimi. Con prospettive assolutamente diverse, bisogna cercare di fare convivere diverse opinioni morali. Il lavoro del filosofo consente di avere quegli strumenti concettuali che non forniscono immediatamente conclusioni morali, ma garantiscono la possibilità di articolare argomentazioni e chiarificazioni concettuali in grado di far luce su una qualsiasi discussione morale. Il filosofo morale dovrebbe avere la capacità di produrre un’argomentazione che contribuisca a creare spazi di discussione totalmente diversi di quelli che vediamo nella vita reale. Egli deve elaborare giudizi morali sostenuti da considerazioni morali in grado di essere giustificati razionalmente. I vari livelli di articolazione filosofica sono quelli della lista precedente: i primi due livelli si sono acquisiti nel manuale di Demetrio Neri. Etica descrittiva descrive e non ha alcuna velleità valutativa né prescrittiva, non produce norme o imperativi che devono guidare la nostra condotta: essa si rivolge all’essere e lascia da parte il dover essere. La metaetica condivide in parte l’assenza delle due funzioni di quella precedente, ma si pone su un altro livello, in cui ci si rivolge all’analisi del linguaggio morale o all’analisi dell’argomentazione etica. Esistono varie teorie epistemologiche sull’argomentazione etica, cioè su come noi concepiamo l’esistenza dlele proprietà morali e la possibilità di accedervi epistemologicamente. La metaetica pone contrapposizione, per esempio, tra razionalismo e sentimentalismo etico: tra chi sostiene che la ragione è il motore della vita morale e chi sostiene che i nostri giudizi morali sono il frutto di sentimenti ed emozioni morali (due figure sono Kant e Hume). Per alcuni autori l’etica applicata non costituisce un livello autonomo, ma dovrebbe essere considerata una parte dell’etica normativa, la quale è assolutamente essenziale per le questioni che stiamo affrontando. L’etica normativa consente di stabilire dei criteri di valutazione delle azioni o del carattere (quando si parla di etica noi possiamo fare riferimento a due sfere generali: una è la sfera delle azioni, cioè un insieme complesso, (anche le nostre non azioni hanno implicazioni morali! Se accoltello qualcuno e lo ferisco, il rapporto etico è individuabile, mentre le omissioni non hanno legami causali con eventi del mondo, abbiamo bisogno di altri elementi per valutare gli effetti dell’astensione, ad esempio un obbligo morale, il quale rende la condotta biasimevole – secondo alcuni non ci sono differenze morali tra atti e omissioni. Mi dimentico di fare gli auguri ad una cara amica permalosa che il giorno prima festeggiava il compleanno: mi sento colpevole e cerco di rimediare. In realtà esistono anche astensioni non volontarie, dimenticanze non intenzionali e possono essere soggette a giudizi morali) altra sfera è il carattere, i tratti individuali di quello che noi chiamiamo carattere (etica del carattere di Aristotele, anche Hume la presenta, indirizzi morali che parlano di virtù e vizi, Kant delle virtù nella Metafisica dei costumi, Tommaso d’Aquino delle virtù), cioè si occupa dei criteri che giustificano giudizi morali su azioni e carattere e in questo modo è in grado di esplicitare ragioni a sostegno dei giudizi morali. È finalizzata a costruire teorie che consentono di isolare criteri valutativi per la costruzione di giudizi morali: a seconda del criterio isolato, avremo distinzioni fra queste teorie, che consentono di esplicitare ragioni in sostegno dei giudizi morali. Le varie teorie etiche normative si occupano di affrontare uno stesso problema di etica applicata usando metodologie diverse: il metodo impiegato dalle singole etiche normative porta ad affrontare questo interrogativo in modi che si distinguono. Quali obblighi morali dovrebbero governare la condotta dei paesi ricchi e poveri per ridurre il riscaldamento climatico globale? Pensiamo ad un tavolo in cui tutti i rappresentanti delle nazioni si ritrovano a discutere non sul metodo di riduzione, ma quali sono gli obblighi morali che i singoli paesi devono accettare per ottenere questo scopo. Si tratta di una domanda di razionalità pratica (diversa dalla strumentale: quella pratica è quel tipo di ragionamento che riguarda i fini e gli scopi dell’azione (Kant), mentre quella strumentale riguarda i mezzi, posto un fine devo individuare i mezzi che da un punto di vista razionale sono più efficaci per raggiungere tale fine (Hume)). Dunque quali sono gli obblighi morali che derivano dalla individuazione dei mezzi? Questa è la lista delle principali teorie normative a disposizione (ce ne sono anche alcune che combinano vari elementi dell’uno o dell’altro, teorie ibride): Contrattarismo Contrattualismo Consequenzialismo (conseguenze) Questo è un argomento particolarmente interessante che attraversa gran parte dell’etica sotto la categoria del ruolo dell’empatia. Se prendiamo Hume e Smith vedremo questa contrapposizione (Hume = mente umana non è in grado di penetrare la mente altrui, può solo regolarsi tramite l’osservazione esterna del comportamento, anche della mimica facciale, dell’altro, per cui si è parlato di una concezione espressiva della mente, perché non sono in grado di penetrare la mentre altrui, teoria del contagio emotivo, tra gli esseri umani si realizza un contagio emotivo, tanto che Hume paragona più volte la mente umana ad uno specchio capace di rispecchiare le emozioni altrui tramite l’immagine esteriore, o strumento a corda che nel pizzicare si riverbera nel tempo. In Smith invece noi possiamo sviluppare emozioni morali calandoci nei panni altrui, immaginando che cosa sentiremmo se ci trovassimo al posto dell’altro. In Smith c’è una concezione non espressiva della mente). Dunque, con contrattarismo e contrattualismo ci troviamo in una zona che include nell’ambito dell’etica moderna quel percorso che da Hobbes giunge a Kant. Con il consequenzialismo siamo in una dimensione completamente differente: questa rifiuta molti dei presupposti dei primi due. Esso incorpora una teoria del valore intrinseco non morale di eventi e stati di cose. Significa che il consequenzialismo riconosce l’esistenza di eventi e stati di cose che hanno un valore intrinseco, quindi non un valore strumentale (produzione non ha valore perché finalizzata a ottenere altri beni, ma valori in sé), ma comunque un valore non morale. La moralità delle azione è data dal valore non morale delle conseguenze; un’azione è morale nel momento in cui è capace di produrre eventi e stati di cose che hanno un valore intrinseco la cui desiderabilità è immediata. Come faccio a desiderare le azioni doverose e giuste? Ci riesco nel momento in cui appuro che quell’azione è produttiva di conseguenze che hanno un valore non morale. Possono esistere varie teorie consequenzialistiche: le teorie del valore non morale o teorie delle conseguenze riconosce quale valore intrinseco non morale (piacere = teoria consequenzialista edonistica, sono morali tutte quelle azioni produttive di piacere). Oppure, sono doverose tutte azioni che producono soddisfazioni di desideri. Potrei essere un consequenzialista altruista o egoista. Il consequenzialista sceglie quale azione compiere ispirandosi unicamente al calcolo delle conseguenze che le due azioni producono. Se la prima produce conseguenze che hanno un impatto positivo su qualche valore non morale maggiore della seconda, allora scelgo la prima. Il calcolo delle conseguenze è la base della decisione morale. Compio l’azione che ha le migliori conseguenze possibili. Spesso però si vede che le azioni una volta compiute non portano alle conseguenze desiderate: o si cambia struttura etica o si considera il consequenzialismo come teoria di valutazione e non di decisione dell’azione. È più un metodo che si può usare nella valutazione post-hoc. Distinzione conseguenze intese e conseguenze non previste (etica deontologista). Una delle teorie consequenzialistiche più importanti è quella dell’utilitarismo: inizia a svilupparsi soprattutto grazie a Bentham e Mill e nel Novecento trova grande fortuna, contrapponendosi in maniera feroce al deontologismo e contrattualismo rawlsiano. L’utilitarismo è consequenzialismo edonistico o dei desideri e teoria aggregazionistica del valore non morale (azioni valutate in base al valore non morale aggregato che riescono a produrre). Aggregato significa che bisogna calcolare razionalmente quanto valore non morale viene prodotto da ciascuna azione, dunque calcolare quanto valore quanto disvalore genera il saldo totale. La bontà e la giustezza morale dipendono da ciò che produce la maggiore quantità aggregata di valore non morale. La teoria utilitaristica è neutrale rispetto all’agente, cioè i valori che afferma non dipendono dalle relazioni che intercorrono tra gli agenti coinvolti in una data situazione. Ognuno è un individuo qualunque. L’utilitarismo nasce con Bentham e Mill ma si sviluppa in epoca contemporanea da Hare (approccio più teorico che unisce kantismo e utilitarismo) e Singer (figura controversa alla base dei movimenti di liberazione animale). Per appurare quali obblighi morali dovrebbero guidare la condotta dei paesi poveri e ricchi nella riduzione del riscaldamento globale dobbiamo stabilire quale azione o gruppo di azioni produce le migliori conseguenze, in termini di massimizzazione di piacere o minimizzazione della sofferenza o bilancio ottimale rischi benefici etc. Il contrattualismo può essere considerato un modo di deontologismo, per cui la teoria del valore è relativa all’agente (idea del rispetto reciproco e relazioni tra agenti razionali hanno un ruolo non indifferente). Irrilevanza o marginalità delle conseguenze: un’azione può essere morale a prescindere dalle conseguenze prodotte (kantismo). Gli obblighi morali derivano dalle relazioni intersoggettive: abbiamo obblighi morali che possono scaturire dalle relazioni personali o interpersonali in quanto agenti razionali. Infine, quegli obblighi o diritti sono vincoli alla deliberazione dell’agente: quando l’agente si chiede cosa è suo dovere fare in una certa situazione, il suo percorso razionale è vincolato da diritti e obblighi che egli ha verso le altre persone. Sono vincoli, paletti che delimitano lo spazio deliberativo dell’agente. Kant è sicuramente un filosofo di riferimento privilegiato del deontologismo, secondo alcuni addirittura questo nasce con Kant in maniera sistematica. Agevolare un factum della ragione tramite intuizione razionale in Ross, che elabora teoria dell’obbligo che risente fortemente di un certo aristotelismo: egli distingue obblighi prima facie. Nagel, altro esponente. Per appurare quali obblighi morali dovrebbero guidare la condotta dei paesi poveri e ricchi nella riduzione del riscaldamento globale dobbiamo stabilire quale linea di condotta sia può appropriata considerando e soppesando tutti i doveri per stabilire quale abbia la preminenza. L’ultima teoria morale è quella che tradizionalmente nei manuali è la meno sistematica: l’etica delle virtù è interessata più al carattere che all’azione. Non sviluppa una prospettiva interessata a mostrare le virtù e i vizi che dovrebbero distinguere una vita autenticamente morale. Rifiuto della codificazione normativa: mentre le altre teorie producono un algoritmo morale di decisione e soluzione, le etiche delle virtù sono meno interessate al metodo di risoluzione dei conflitti morali. L’etica delle virtù ti dice che se tu vuoi avere una vita moralmente buona, devi sviluppare certi caratteri: le virtù non hanno valore morale. Molto spesso i tratti caratteriali centrali non è detto che siano immediatamente morali. Ci sono margini per riconoscere che la vita degna di essere vissuta, cioè quella buona, ha un carattere morale ma non ha una natura che si esaurisce nella moralità. Presenta una teoria della vita buona o teoria del buon carattere. L’aretè non ha significato direttamente morale, significa perlopiù eccellenza. Come esponenti troviamo Platone, Aristotele, Hume (diverge da Aristotele), Foot, MacIntyre, Slote. Per appurare quali obblighi morali dovrebbero guidare la condotta dei paesi poveri e ricchi nella riduzione del riscaldamento globale dobbiamo stabilire quali virtù, atteggiamenti morali, sensibilità etiche le istituzioni e i governanti dovrebbero sviluppare per realizzare il bene collettivo. 2. Il metodo dell’etica applicata Qual è il contenuto dell’etica applicata? Il contenuto morale può coincidere con la moralità interna di una pratica o provenire da una fonte esterna. Le pratiche hanno una loro moralità interna. L’etica applicata deve appropriarsi del contenuto dell’etica o della pratica specifica’ il contenuto morali secondo alcuni coincide con la moralità della pratica, quindi l’etica convoglia solo la forma, d’altra parte si pensa che il contenuto morale non derivi dalla moralità interna di una pratica. Il contenuto morale allora può provenire da una fonte esterna (aborto delle donne, fonte è società e leggi). Terzo approccio più morbido propone una mediazione, un approccio misto in cui sono rilevanti considerazioni di entrambe le fonti. 1. Contenuto morale coincide con la moralità interna di una pratica 2. Contenuto morale proviene da una fonte esterna 3. Approccio misto Dobbiamo considerare sia moralità interna a medicina sia a rivendicazioni e esigenze morali della società generano approccio misto. Contenuto dell’etica applicata è tentativo di mediare tra queste due fonti morali. Lezione 3 Continuiamo questo momento introduttivo delle caratteristiche teoriche dell’etica applicata. Il problema è quello di identificare quale può essere il contenuto morale delle etiche applicate, perché se queste si rivolgono a singole pratiche, queste potrebbero avere una moralità già data interna, derivante la tradizione e la sedimentazione deontologica di tale pratica. Il termine “deontologico” lo si può usare in due accezioni diverse: un primo significato concerne un insieme di norme che caratterizzano i doveri interni di una professione (norme solitamente codificate in un codice deontologico che norma il comportamento di professionisti di determinato ordine, es. codice deontologico dei medici, insieme di norme che regolano il comportamento dei medici), in un secondo senso è una particolare teoria etica normativa, totalmente svincolata dal riferimento a un gruppo ristretto di persone (doveri che si applicano a categoria molto più ampia di persone, non ristretta da una singola professione). Stare attenti all’uso di tale parola! Qui si fa riferimento alla moralità interna che regola le azioni di singoli professionisti o di un gruppo ristretto di persone interessate a tale branca. È possibile avere tre diversi approcci per delimitare il contenuto, la moralità interna di un’etica applicata e sono relativi a come ci si rapporta con la moralità interna dell’azione. Per il primo dei tre approcci, il contenuto morale si esaurisce nell’etica interna che si è sedimentata nel tempo con tradizione alle spalle. Tradizione etica, tema di MacIntyre, il quale ha delimitato le tradizioni morali e ciò che questo significa. Detto questo, ciò ci basta per identificare il primo approccio; il secondo sostiene che sì, le pratiche sono delimitate e quindi possiedono moralità interna, ma non possiamo pensare che questa sia la fonte del contenuto morale, poiché le pratiche sono calate in un contesto sociale, che avanza richieste e prerogative, e il contesto sociale è fonte stessa della moralità (etica medica, esempio la medicina ha etica interna ma la professione è praticata nel contesto sociale, il quale muta nel tempo avanzando nuove pretese morali, cambiando anche il contenuto morale di un’etica applicata come quella medica. Giuramento di Ippocrate, uno dei primi manifesti di codifica di una professione: assoluto divieto di praticare aborto, considerato incompatibile con l’attività medica ai tempi di Ippocrate. Oggi si percepisce che l’aborto non è incompatibile con i fini interni della medicina, con quello che è il nucleo morale della medicina, perché nel frattempo ci sono stati mutamenti sociali che hanno rivendicato il diritto all’aborto). Per l’approccio due, dunque, il contenuto morale dell’etica applicata non può prescindere dalla riflessione di una moralità della società (di senso comune – problema se esista davvero, ma lasciamo stare). Il terzo approccio riconosce l’importanza di tutte le fonti morali, per cui il contenuto è dato sia dalla moralità interna alla pratica sia dalle fonti esterne come cambiamenti sociali che esercitano pressioni su cambiamenti interni di un amoralità di una pratica. Non tutte le pratiche a cui faremo riferimento godono di una moralità interna; per alcune ci sarà un codice ontologico da sfondo (medicina, giornalismo – etica della comunicazione, etc), per altre sarà più difficile (etica animale ha riflessione filosofica, ma non vi è tradizione morale interna alla pratica, la quale è più codificabile come una relazione e non un insieme di attività stabilite. È evidente che oggi le neuroscienze stanno assemblando una serie di conoscenze che hanno impatto su etica e società e concorrono a definire il campo delle etiche applicate). Passando dal piano del contenuto a quello della forma, si guarda alla metodologia specifica dell’etica applicata. Vi sono due tipi di metodo: 1) Top-down 2) Bottom-up In etica, in generale, possiamo ragionare in due modi diversi: o definendo una teoria astratta dall’applicare dall’alto verso il basso le regole alla situazione particolare, oppure scegliendo la direzione inversa, partendo dalle situazioni particolari, dal caso specifico, e da lì, ragionando sulle variabili specifiche, ci costruiamo una teoria morale o un insieme di principi e obblighi che non godranno di proprietà che è possibile desumere da un lavoro concettuale astratto ma da confronto diretto con esperienza. Questi due metodi hanno implicazioni differenti. Vediamo in particolare il primo metodo. Il metodo top-down ha la forma logica del modus ponens. Si parte da una premessa “Ogni atto che ha la descrizione A è obbligatorio”; premessa intermedia, “L’atto b ha la descrizione A”; quindi, conclusione, “L’atto b è obbligatorio”. Sussumiamo un caso particolare all’universale; obbligatorio è aggettivo di carattere deontico, che usiamo nell’ambito top-down. Si parte dunque da premessa generale astratta e la caliamo nella realtà sussumendo. È lo stesso metodo usato dal deontologismo, che parte da un insieme di doveri e li applica ai casi specifici, sussumendo sotto l’insieme astratto di principi. Che problemi si porta dietro questo metodo? 1) Problema della specificazione delle norme: noi partiamo da una serie di principi, ma questo insieme come facciamo ad individuarlo? Non ci dice come individuare la teoria, ed è un problema perché ci sono svariate modalità di individuazione. Speso il top-down se la cava ricorrendo all’intuizionismo (Ross): gli obblighi sono oggetto di intuizione, noi sappiamo quali sono i nostri obblighi morali Kant, CRP, dialettica trascendentale: ci sono idee che hanno come funzione quella di porsi quanto limiti. Abbiamo dunque metodi top-down che possono essere riferiti a teorie normative, metodi bottom-up come etica delle virtù, metodi che combinano i primi due come il contrattualismo. Queste tre metodologie possono essere utili per capire meglio come gestire casi concreti (fulcro dell’etica applicata) e per mappare gli approcci e le teorie nell’ambito dell’etica normativa. Ci è utile per capire come interagiscono etica normativa ed etica applicata. Etica applicata Terminato questo corso propedeutico, iniziamo ad avvicinarci ad alcune etiche applicate. Per far questo bisogna fare una premessa: molte delle etiche applicate hanno a che fare con sviluppi della tecnica. Alcune non possiedono questa specifica caratteristica (es. etica dell’immigrazione, etica del diritto etc), mentre altre sono fortemente dipendenti e forse nascono proprio per lo sviluppo tecnologico. La bioetica, ad esempio, è inequivocabilmente una di queste, anche la neuroetica e l’etica della comunicazione. È necessaria una riflessione su tecnica e tecnologia per mettere a fuoco problemi fondamentali. Spesso nel linguaggio comune tecnica e tecnologia sono presi come sinonimi; si parla in modo indistinto di tecnica e tecnologia, utilizzandoli in modo sostitutivo, come fossero sinonimi. Del resto, hanno la stessa radice etimologica (tèchne, nel pensiero antico ha dominio più ampio rispetto a quello che oggi conferiamo al termine). Libro VI dell’Etica Nicomachea, Aristotele definisce la tèchne come arte e non come tecnica: ciò che può essere diverso da come è può essere sia oggetto di produzione che di azione. Ci sono due ambiti in cui il divenire è caratteristica precipua: divenire che si contrappone alla necessità. Uno è il dominio della poiesis, l’altro della praxis. Così questi domini sono accomunati dal fatto che c’è una disposizione ragionata, in un caso verso l’azione, nell’altro verso la produzione. A noi interessa la disposizione ragionata alla produzione; poiché l’architettura è un arte ragionata alla produzione, e poiché non vi è arte che non lo sia, arte, tèchne, sarà lo stesso che disposizione ragionata secondo verità alla produzione. La tèchne per Aristotele è modalità produttiva regolata da ragionamenti secondo verità. Ogni arte riguarda il far venire all’essere e progettare qualche oggetto di quelli che possono essere come non essere. L’arte è disposizione ragionata secondo verità alla produzione e il principio di ogni arte non è in chi produce ma nell’esito della produzione, sta al di fuori. Il fabbro trova la sua finalità nell’oggetto che produce. Oggi possiamo distinguere tra: - Tecnica = forma dell’agire umano orientato verso uno scopo specifico che si serve di uno strumento o di un sapere specialistico. Si fa riferimento ad una specifica forma di attività umana che ha scopo e che per perseguirlo si serve di uno strumento o di un sapere di tipo specialistico; - Tecnologia = insieme di conoscenze e abilità scientificamente fondate dalle quali è possibile sviluppare applicazioni pratiche ed è al tempo stesso ambito di riflessione sulle trasformazioni della realtà dipendenti dall’uso della tecnica; - Tecnologie = esiti produttivi della tecnica, la quale, con la tecnologia, produce artefatti, quali tecnologie. Anche se nel parlare comune tecnica e tecnologia sono termini intercambiabili, in realtà anche in altre lingue: in inglese non vi è distinzione, si usa solo technology. La filosofia ha sviluppato una riflessione sistematica sulla tecnica (filosofia della tecnica). Essa ha oggetto la tecnica nella sua logica e applicazioni. Ecco alcune concezioni della tecnica: - Tecnica come corruzione che corrompe assetti e sistemi consolidati; - Tecnica come inautenticità che snaturalizza il dominio dell’essere umano; - Tecnica come forza autonoma , cioè come una dinamica che prescinde dalla scelta umana, ha una sua logica che può innescare processi indipendenti dalla scelta degli uomini; - Tecnica come fenomeno culturale e/o politico , nel regno dell’uomo; - Tecnica come strumento , apparato di procedure, attività, che si avvalgono di saperi, strumenti, tecnologie che però mantengono un’aura di neutralità, prescindendo dal giudizio morale. Neutralità è estremamente importante sin dalla riflessione stoica. Kant dice che la neutralità in etica non si può dare, mentre secondo alcuni l’etica è neutrale in sé per sé. Tecnica come corruzione: Cesare Lombroso, studioso che tra 8/900 ha costruito una teoria criminologica oggi screditata che ha dato vita a un metodo per costruire la criminologia come la conosciamo oggi. Ha scritto un saggio curioso nel 1900 su una rivista prestigiosa (Lettere, Scienze ed Arti): “Il ciclismo nel delitto”. Cosa sostiene Lombroso in questo saggio? In queste poche pagine egli prende in esame il fenomeno sociale costituito dall’introduzione degli spazi aperti di un nuovo veicolo, la bicicletta. Quando essa fu introdotta causò un rinnovamento della circolazione e delle pratiche sociali: Oggi per noi la bicicletta ha smarrito tutti i mutamenti attribuitile agli albori e Lombroso che li elenca. Dall’introduzione della bicicletta i partiti più progressisti ne hanno giovato e ci sono aspetti evidentemente positivi dall’introduzione di essa. Questi aspetti positivi che Lombroso identifica, in realtà, coprono solo una parte piccola del saggio; la maggior parte di esso è dedicata ad elencare una serie di svantaggi che l’introduzione della bicicletta stava provocando. Qualsiasi nuova tecnologia porterà a un risultato certo: l’aumento delle cifre e delle cause della delinquenza e della pazzia (che per lui sono due termini che hanno forti parentele). Lombroso propone di sostituire il vecchio detto maschilista con il nuovo “Cercate il biciclico”, nella convinzione che nella maggior parte dei delitti futuri sarebbe derivata dalla bicicletta come causa di delitti (esempi tratti dalla cronaca dell’epoca, furti vengono commessi grazie all’uso della bicicletta o per comprarne una). Pure i rampolli della buona società giungono al crimine; la tecnica corrompe i costumi, perché l’introduzione di questa particolare tecnologia ha corrotto completamente gli usi e costumi dell’Italia di inizio secolo, aumentando il tasso di violenza e delinquenza nella popolazione. Questa concezione della tecnica è in realtà più diffusa rispetto a ciò che si può evincere dal testo di Lombroso, che sembra sproporzionato rispetto alla realtà, ma è indicativo dell’idea che qualsiasi tecnica introdotta che genera tecnologia innovativa può portare più conseguenze negative che positive: può essere elemento di corruzione. Lombroso mostra bene la dinamica per cui a priori si interpreta la tecnica come fonte di corruzione, ma questa interpretazione pessimistica e negativa viene sistematicamente rovesciata e contraddetta dal giudizio a posteriori, perché è chiaro che tutto ciò che l’autore esaspera in questo saggetto è stato sfatato dal destino che ha avuto l’uso della bicicletta (effetti positivi > di quelli negativi, oggi ci si lamenta che la bicicletta è tecnologia poco usata quando invece è ottima perché green). Dove abbiamo una concezione così apocalittica per cui la tecnica tout court è frutto di corruzione della comunità, ci troviamo di fronte ad un punto di vista radicale che spesso trova nella realtà un suo sovvertimento, una sua critica, un suo movimento contrario. Più raffinato è l’approccio della tecnica come inautenticità. Una concezione simile della tecnica è diffusa nella letteratura e affonda le radici nell’opera di Jonas, Il principio responsabilità, dove lui introduce riflessioni pionieristiche interessanti sulla tecnica, sostenendo che oramai la tecnica contemporanea ha assunto caratteri tali che segna una netta discontinuità nei confronti della tecnica moderna. In particolare, la tecnica contemporanea per Jonas è capace di produrre effetti che si riverberano oltre il qui e l’ora. Mentre la tecnica moderna è circostanziale a effetti che sono circoscritti al tempo presente e al luogo presente, non si ripercuotono nello spazio e nel tempo, la tecnica contemporanea presenta uno scenario profondamente mutato: i suoi effetti possono riverberarsi nello spazio e nel tempo. Io posso qui e ora usare una tecnica i cui effetti si manifestano a migliaia di km dii distanza da me oppure anni e anni dopo il momento in cui io agisco. Esempio di Chernobyl, dopo un guasto esplose e gli effetti si riverberarono nel tempo e nello spazio. Questo accadeva nell’URSS e nello spazio lontano da noi ma i bambini in Italia non uscivano a giocare dopo la pioggia che si pensava avesse carica radioattiva. La tecnologia particolare si è riverberata nello spazio e nel tempo; Jonas, quando scrive, ha in mente proprio l’energia nucleare, una delle tecnologie che meglio rappresentano questo drammatico cambiamento. Noi ci troviamo di fronte a uno scenario mutato, perché le conseguenze della tecnica oggi sono complesse e imprevedibili, incontrollabili. L’etica che la modernità ci ha consegnato (quella kantiana per Jonas) è inadeguata perché non può misurarsi con lo scenario tecnologico profondamente mutato, etica non più pensata per tempi e spazi circoscritti, ma per tempi e spazi dilatati. Questo aspetto dell’agire umano fa fronte alle crisi verso cui l’uomo può andare. Tanto che Jonas propone di rivisitare l’imperativo categorico kantiano e di rivedere la forma principale perché dice che ormai è inefficiente, “Agisci in modo che la tua massima possa valere come legge universale” non coglie tutti i problemi che costellano l’ambito della tecnica. “Agisci in modo che il tuo comportamento sia compatibile con un’esistenza autentica dell’essere umano sul pianeta” è più adatto! Le nostre azioni devono essere tali da garantire la sopravvivenza dell’essere umano. Qualsiasi tecnica che abbia il minimo rischio di far scomparire l’essere umano dalla terra è un’azione profondamente irresponsabile. Perché meglio l’essere che il nulla? Perché andare verso la sopravvivenza? 8interrogativo particolarizza e che presentano sfide anche molto differenti. Da questo punto di vista è più corretto parlare di etica delle tecniche, ma anche se facciamo questo possiamo concettualizzare questo in due modi differenti: 1) Modo tradizionale top-down in cui ci rendiamo conto della pluralità degli ambiti, continuando a pensare che ci sia una teoria etica a priori che noi dobbiamo applicare ai vari domini delle tecniche; 2) Approccio tradizionale non è più sufficiente. In molti contesti la fase sperimentale è sovrapposta a quella applicativa soprattutto nella robotica). Questo vale anche per la sperimentazione dei farmaci: prima sperimentazione in laboratorio, poi su alcuni soggetti (si prova anche l’effetto placebo). Poi c’è sperimentazione post-market: dopo le prime tre fasi (ricerca, laboratorio e soggetti, paralleli nel vaccino e in sequenza normalmente) il farmaco diventa commercializzabile ma si continuano a raccogliere dati sugli effetti della vita reale del farmaco. È una fase importante non esente da problemi etici: questa quarta fase della sperimentazione ci fa capire come ci possono essere contesti in cui la sperimentazione si sovrappone all’applicazione e l’etica non va pensata come qualcosa che arriva quando la tecnica è già disponibile, ma qualcosa che accade nelle fasi esplorativo applicative. Etica per esperimenti esplorativi. Secondo il modello tradizionale, c’è la tecnica, nasce il problema etico, viene interpellato il filosofo. Questo modello prevede che fin dalle prime fasi di ricerca e sperimentazione sia presente il filosofo, che può intervenire sia dal punto di vista epistemologico sia etico per far emergere e fornire soluzioni ai problemi etici che possono esser evitati da altri professionisti. Oggi nel mondo nei laboratori di robotica vi sono i filosofi. Non si tratta dunque di presentare una panoramica della tecnica come monolite, ma bisogna intervenire puntualmente nelle varie fasi e momenti in cui la tecnica si dispiega. Lavoro che richiede conoscenze della tecnica più approfondite e precise, un lavoro che mette a stretto contatto professionisti di discipline diverse. Modello d’interazione diversa tra scienza e filosofia. Bioetica: etica della medicina e manipolazione della vita Prima definizione: bioetica come movimento culturale diffuso nella società civile. I movimenti sociali hanno contribuito a consolidare la bioetica come movimento culturale. Seconda definizione: bioetica come riflessione organizzata e istituzionalizzata. Lavoro proprio del filosofo che nell’accademia riflette sulle questioni di vita o di morte nella bioetica. Questi aspetti maturano tra anno ’50 e ’70: la filosofia morale si trasforma soprattutto nell’ambito analitico anglosassone. Da etica normativa e interessi teorici e astratti si passa a interessi concreti con cui la filosofia morale può avere un impatto decisivo sulla vita sociale riflettendo su questioni concrete come la giustizia sociale, l’etica della guerra, l’aborto, l’eutanasia, il trapianto. In questi anni è nata l’etica applicata (Searle), stagione filosofica in cui gli studenti percepiscono come prioritaria la riflessione su temi concreti come la guerra in Vietnam. Bisognava portare a discussione pubblica la forza che la filosofia porta su questo problemi. In questo contesto matura l’etica applicata, che culmina negli anni ’70, quando esce una teoria della giustizia di Rawls, che ha fatto capire come la filosofia etico politica potesse produrre riflessioni interessanti anche per chi doveva prendere decisioni di giustizia sociale e distributiva, ma inizia anche la pubblicazione di una rivista importantissima che tutt’oggi continua ad essere edita, Philosophy and Public Affairs, articoli filosofici su questioni di etica applicata. Nell’ambito della biomedica si comincia a maturare una riflessione sulla liceità degli interventi sul genoma umano, che spesso possono avere un impatto che non possiamo prevedere, non solo su vita e salute, ma anche su discendenza (interventi di linea germinale che modificano il genoma di un embrione). Nell’etica delle biotecnologie è sempre più complesso distinguere tra cura e potenziamento, tra interventi che curano a interventi che potenziano su soggetti sani delle capacità naturali. Gli interventi sulla vita biologica sollevano domande di questo tipo; alcuni sostengono che questa non sia solo una distinzione di impatto descrittivo, ma anche valutativo: gli interventi che hanno finalità di prevenire o curare malattia sono moralmente legittimi, mentre quelli che devono potenziare capacità di un individuo sano sono moralmente discutibili se non disapprovabili. In “Il futuro della natura umana – i rischi di una genetica liberale”, Habermas affronta questi problemi. È lecito intervenire sul genoma dell’embrione? Egli adotta un punto di vista estremamente negativo su questi interventi (Jonas). Questo ha aperto un ampio dibattito. Habermas sostiene che nel momento in cui interveniamo su un embrione, interveniamo su un essere che non può fornire o negare il consenso dell’operazione che stiamo per attuare su di lui. Quindi quando noi ci dobbiamo chiedere se intervenire o meno, bisogna chiederci che cosa la persona dell’embrione ci potrà dire a proposito di tale intervento. Ci dobbiamo atteggiare verso quella seconda persona che lui un giorno sarà. Dobbiamo immaginarci se la persona desse il suo consenso; è del tutto ipotizzabile che la persona dia il consenso a questo intervento, perché si tratta di eliminare una patologia futura. Habermas dice che sarebbe più complesso che la persona desse la sua approvazione non a un intervento di cura ma di potenziamento. Habermas ha in mente futuribili interventi sul genoma che conferiscano alle persone uno spiccato talento di un certo tipo, una forza maggiore rispetto alla media. La risposta a questo non è scontata: una persona può dare assenso a un intervento che conferisce un vantaggio, ma dobbiamo stare attenti, perché una manipolazione della vita di questo tipo ha l’effetto di esasperare ulteriormente la naturale asimmetria tra chi genera e chi è generato. Di fatto nessuno di noi ha chiesto di venire al mondo, ma siamo frutto di una decisione di altre persone, atto arbitrario che mette in moto un processo di casualità. Questa è la condizione necessaria seppur non sufficiente che ci permette di far crescere in noi un senso di autonomia: è necessaria perché in sua assenza noi ci penseremo come totalmente dipendenti da un atto intenzionale. Se i nostri genitori potessero non solo decidere di metterci al mondo ma anche decidere di farci nascere con un certo patrimonio genetico, avrebbero su di noi un tale controllo da mettere a repentaglio la nostra capacità di essere adulti autonomi e dunque di partecipare in modo pieno alla comunità morale. Secondo Habermas, un intervento potenziante sull’embrione mette a rischio le stesse condizioni della moralità, mette a rischio il nostro vederci come agenti autonomi. Per questo gli interventi di potenziamento, per Habermas, sono da vietare. Nell’argomentazione di Habermas ci sono concezioni diverse della vita prenatale: 1) Feto seconda persona; 2) Embrione persona futura; 3) Neonato persona attuale. Egli distingue feto/embrione perché Habermas vuole conservare la liceità dell’interruzione volontaria di gravidanza. Egli non vuole che il discorso abbia una ripercussione sulla libertà d’aborto, per questo tratta in maniera diversa embrione e feto. Per Pessina questa distinzione è incoerente, perché dovremmo attribuire sia al feto che all’embrione lo stesso grado di tutela forte. Egli argomenta a favore di uno statuto morale forte di diritto alla vita. Ma l’argomentazione di Habermas sostiene che inviolabile è la persona e la sua vita dopo la nascita. Come possiamo garantire questa inviolabilità? Secondo Habermas l’età della tecnica e un modo per garantirla è quello di rendere inviolabili le condizioni della persona, e tra queste condizioni considera un genoma umano integro e non manipolato. Per questo Habermas, più che sacralizzare l’embrione, sacralizza il genoma umano. Possiamo obiettare una sorta di feticizzazione della biologia: qualsiasi intervento sul genoma allora sembra avere inevitabili e inaggirabili e inemendabili conseguenze negative sulla personalità futura dell’individuo, soprattutto se questo non ha validità etica. Questo rende marginale il contributo che la crescita che in certi ambienti sociali può avere il consolidamento dell’autonomia degli individui. Sacralizzare il genoma umano ha una serie di implicazioni che rendono più contratta la sfera delle libertà umane, perché si rende indisponibile alle coppie quegli interventi di diagnosi e preimpianto. Nella fecondazione assistita, si generano più embrioni di una coppia e si guarda quale di questi ha delle anomalie genetiche associate alla malattia genetica della copia. Si selezione e poi si impiantano nell’utero solo quegli embrioni che non presentano anomalie; la riflessione di Habermas vieta tutto questo. Contrae libertà e massimizza sofferenze. Secondo alcuni critici tutela pochissimo la vita post- natale. Pessina (critico di Habermas) si ispira al realismo morale, teoria meta etica per cui proprietà morali esistono indipendentemente dalla realtà umana. Mentre l’antirealismo (Hume) vede l’uomo proiettare sulla realtà le proprietà morali, per il realismo queste esistono indipendentemente. Anche quella di Habermas si ispira a questa idea. Secondo alcuni esiste tra feto e embrione una continuità ontologica, sono due enti che hanno stesse caratteristiche fondamentali che non permettono di distinguerli ontologicamente. A questo si accompagna una continuità etica in questo. Per Pessina esiste una continuità forte. Invece, per Habermas c’è discontinuità ontologica (14 giorni). Lezione 5 Posizione di Habermas sembra dare per scontato che disabilità equivalga a disvalore, posizione abilista che pone gerarchia tra persone che hanno disabilità e chi non ne ha. Qualche anno fa è uscito un articolo in cui si denuncia come nei paesi del nord Europa, si va incontro a un futuro in cui non ci sarebbero più stati individui affetti da sindrome di Down grazie al controllo prenatale. È uno scenario, secondo alcuni, disdicevole in qualche modo, perché si limita la diversità tra gli esseri umani: di fatto un intervento che garantiva libertà produttiva ai genitori limitava la sperimentazione di forme di vita diverse. Pregiudizio abilista in tutte queste scelte. In origine, la legge 40 limitava la diagnosi preimpianto. Al contrario, coppia lesbica sordomuta volevano figli sordomuti per crescere in una comunità sordomuta. Ma allora è meglio per il bambino una diagnosi prenatale o meno? Quale scelta massimizza le opportunità? Le tecnologie potenzianti creano divario economico? E se poi fossero alla portata di tutti, non si creerebbero i vantaggi, per cui esse sarebbero self-defeating. Questo se le tecnologie potenziamento vengono inquadrate in un’ottica competitiva. L’utilitarista dirà che i pochi avvantaggiati potrà portare vantaggio per tutti e non solo per loro stessi! Sul lungo periodo gli altri potranno beneficiare delle conseguenze che i super uomini potranno generare con i propri vantaggi. Riprendiamo il discorso da alcuni argomenti di etica della medicina, scenario di grande trasformazione in cui troviamo anche argomenti di Habermas precedenti. Ci sono alcuni punti che hanno portato al cambiamento di paradigma generale: 1) Cure e Care; 2) Illness e disease; 3) Consenso informato e paternalismo medico; 4) Terapia e potenziamento; Quali sono i punti fondamentali di queste trasformazioni della cura? Ci troviamo di fronte a una ricchezza semantica dell’inglese che non ha un corrispettivo diretto in italiano. La prima coppia è costituita da Cure e Care, che in realtà dovremmo tradurre entrambi con cura. Ma qual è la differenza? Con Cure si indica l’assistenza di tipo tecnico, la cura che deriva dalla competenza tecnico specifica del medico o di altri professionali, conoscenza relativa a patologie o interventi che rendono il professionista in grado di intervenire sul decorso patologico. La Care invece è il prendersi cura: la capacità percettiva e relazionale del professionista di prendersi cura della persona ammalata nella sua totalità, quindi non solo come corpo biologico che ha una anomalia di funzionamento, ma anche come persona che è portatrice di bisogni, desideri, interessi e che ha un proprio punto di vista specifico sulla condizione patologica che sta vivendo. Il prendersi cura è un farsi carico della totalità della persona malata. Questo farsi carico implica che definire paziente la persona malata è fuorviante, perché paziente rimanda alla dimensione del patire e del subire, dell’essere oggetto dell’attenzione di qualcun altro ma subire passivamente questo sguardo. Mentre si sottolinea come il paziente sia anche un’agente, una persona che ha bisogni e punti di vista di varia natura, che non subisce passivamente la patologia e tutto ciò che i professionisti fanno sul suo corpo, ma è in primo luogo un agente. Questa dimensione rimanda alla seconda coppia oppositiva. Per quanto riguarda la seconda coppia, questa è un’altra distinzione che in italiano potrebbe essere tradotta in maniera univoca come malattia, ma la distinzione inglese evidenzia sfumature diverse: disease è la componente biologica della patologia, il malfunzionamento naturale dell’organismo, mentre illness è il punto di vista del paziente sulla patologia, il modo in cui il malato vive e percepisce la propria condizione patologica. A questa coppia si Ci viene presentato un tabù, come l’incesto, che è moralmente riprovevole in generale. Attenti alla risposta, perché questa implica una universalizzazione! È uno scenario creato ad arte che mira a eliminare tutte le considerazioni che vengono avanzate per considerare illecito l’incesto. Le persone che hanno risposto hanno mantenuto un biasimo morale istintivo, la decisione di Julie e Mark era riprovevole, ma non trovavano giustificazione per il loro giudizio morale. Qual è la tesi di Haidt? In realtà molti dei nostri giudizi morali sono frutto di una gut reaction, una reazione viscerale, un processo psicologico immediato e veloce. Prima si ha una reazione e poi cerchiamo di razionalizzarla. In etica, il processo è di razionalizzazione post hoc: prima abbiamo un’intuizione viscerale e poi ci ragioniamo sopra. Se qui vediamo, l’approccio al giudizio morale di Haidt è social intuitionist. C’è una base intuitiva di gut reaction ed è social perché questa razionalizzazione che noi compiamo e che ci consente di presentare esternamente il giudizio ha una dimensione sociale. È possibile che il ragionamento e il giudizio che noi abbiamo abbiano una differenza nel generare giudizi nelle altre persone. In una dimensione sociale noi riusciamo a suscitare reazioni negli altri molto più con il fatto che noi abbiamo un giudizio piuttosto che la razionalizzazione di tale giudizio. Esperimenti di Hash: linea A è più lunga di B, non è vero ma se lo dicono tutti allora lo dico anche io, perché influisce sulla mia intuizione. I nostri giudizi e le nostre relazioni con gli altri li influenzano. Nel mondo abbiamo una pluralità di codici morali che variano in considerazioni delle culture, i giudizi etici dipendono anche dal contesto sociale in cui viviamo. Confronto con risultati delle scienze empiriche sono fondamentali per fare etica, senza sostenere che debbano essere scienze empiriche a risolvere problemi dell’epoca. Altro esempio sul libero arbitrio. Concezione tradizionale per cui ciascuno di noi è libero di prendere decisioni: quandunque possiamo prendere alternative di percorso, possiamo sempre scegliere di fare altrimenti. È importante in questa concezione standard perché posso basare la responsabilità morale sull’arbitrio. La libertà pone la responsabilità. Sindrome di Tourette non pone responsabilità, concezione retributivistica della responsabilità o concezione consequenzialista della responsabilità, per cui una pena o un biasimo non sono da combinare perché meritate, ma perché gli effetti possono essere moralmente positivi. Io posso recriminare Cage non perché responsabile, ma perché ha un comportamento pericoloso. Dipende dalla concezione della responsabilità assumiamo. Libet mette in crisi la concezione standard: chiede di osservare l’orologio sulla destra: il puntino rosso girava intorno al quadrante. Dice al soggetto di scegliere un qualsiasi momento di flettere un dito e gli viene chiesto di riportare dove si trova il pallino sul quadrante quando sente di voler flettere il dito. Contemporaneamente il soggetto di Libet era collegato a delle macchine. La nostra intenzione consapevole di agire è preceduta da processi cerebrali inconsci che determinano quella intenzione! La corteggia cerebrale già vuole alzare il dito prima che ne siamo consapevoli: il libero arbitrio allora non sembra esistere, perché il nostro cervello sembra già decidere il nostro volere senza che ne siamo consapevoli e sembra una razionalizzazione post hoc. Questi esperimenti sono stati criticati e discussi largamente, sostenendo per esempio che Libet abbia messo in luce la necessità di figurare rapporti diversi tra mente e cervello mantenendo comunque la libertà. Libet mette in luce l’epifenomenismo della decisione consapevole: un particolare evento di decisione consapevole è in qualche modo illusorio. Lezione 6 Per Libet, dunque, non abbiamo controllo riflessivo su processi neuronali. Le nostre decisioni consapevoli sono epifenomeni, manifestazioni secondarie di professi più profondi e incontrollabili che si presentano come causa prima dlele nostre azioni. Questo significa che si mette in crisi la concezione standard del libero arbitrio, che fa riferimento ad una decisione consapevole che è causa. Libertà in Kant è causa incausata, è causa di qualcosa che non è causata; qui salta il modello kantiano, perché le nostre decisioni consapevoli sono predeterminate e inefficaci sul piano causale. C’è una messa in crisi del modello standard del libero arbitrio che ha un’incidenza sulla concezione della responsabilità morale. Abbiamo una libertà libera che a sua volta è connessa alla responsabilità morale di solito; significa buttare a mare la concezione retributivista della responsabilità morale, una concezione consequenzialista invece può essere giustificabile anche in quadro del genere, poiché la sanzione per essere giustificata non ha bisogno di essere meritata ma efficace. Se io trovo un sistema che riesce a inibire e modificare il comportamento, questo è un sistema che possiamo conservare eliminando il concetto di merito per mantenere quello di efficienza. Noi percepiamo e sentiamo di essere liberi, un altro piano è la giustificazione di un modello teorico. Per una ragione scientifica possiamo mantenere il libero arbitrio sebbene non veritativo, perché evoluzionisticamente è un principio fit che ci ha permesso di agire efficacemente. Ci conforta pensarci liberi ed è utile anche dal punto di vista evolutivo. Spinoza si immagina pietra che viene scagliata e diviene autoconsapevole e si illude di star compiendo un movimento volontario. Se noi siamo pietre in realtà c’è una spiegazione per cui ci illudiamo di essere liberi; non possiamo spiegare quotidianamente le vere cause del nostro agire e ci siamo costruiti questa finzione dell’io consapevole, del libero arbitrio che ha riempito un gap. Ci sono delle ragioni che possono suggerirci di non buttare a mare il libero arbitrio, ma quello che ci dice Libet è di stare attenti perché quando costruiamo sistemi diversi dalla realtà si rischia di fare qualcosa di particolarmente astratto. Passiamo ora all’Etica della comunicazione. Partiamo da un testo filosofico di Gibbard, filosofo americano che si è occupato di metaetica con posizione espressivistica, per cui giudizi morali sono espressioni di sentimenti di accettazione o rifiuto di norme. Proprio il testo di Wise Choices, Apt Feelings descrive due modalità diverse di comportamento. Lui cita la popolazione del Kung, popolazione estremamente interessante perché molto studiata: uscì un testo di antropologia che descriveva i Kung come popolo senza morale (anche se poi altri studi hanno smentito questa interpretazione originaria). Secondo Gibbard i Kung fanno della conversazione e comunicazione la cifra della loro vita: la mattina cacciano e discutono su quali prede prendere, il pomeriggio discutono di fatti e la sera intorno al fuoco lo stesso. La nostra vita è costellata da scambi di informazioni. Anche nel modello socratico la comunicazione è fondamentale: nel modello della filosofia di Socrate il dialogo e la comunicazione intersoggettiva è un aspetto saliente della vita e di un modo di intendere la filosofia, ma è una conversazione dialogica che mira a stabilire in generale come bisogna vivere. Socrate ha un modello di vita degna di essere vissuta, cioè la vita esaminata, che si pone domande, che cerca risposte tramite la riflessione personale e tramite il dialogo. Kung e Socrate sono esemplificazioni due modi diversi di comunicare, i Kung si rivolgono a bisogni, Socrate alle grandi questioni filosofiche, ma sono entrambi appartenenti alla specie umana. Abbiamo bisogni e necessità specifiche che catturano la nostra attenzione e mobilitano la nostra riflessione e comunicazione (Kung). Se però la comunicazione è qualcosa di più di semplice veicolazione di informazioni, ma è qualcosa on cui stabiliamo le nostre credenze e modi di vivere, allora la comunicazione richiede un’attenzione specifica (Socrate). Allora la comunicazione ha un profilo etico. Ma cos’è l’etica della comunicazione? Risposta di Fabris: Sottolineare alcuni termini: giustifica, principi, agire comunicativo, motiva. Sono aspetti che apertura, di astenersi dalla violenza e di compassione. Ancora, natura umana è capacità di creare conoscenza nella comunicazione. Tutti questi modelli hanno dei limiti: c’è un’idea di arbitrarietà: se prendiamo una capacità come esemplificativa della natura umana, con quale criterio lo facciamo? Perché per Aristotele la razionalità distingue animali non umani e umani? Però, la storia ci propone continuità ontologica tra varie specie anche all’interno della specie umana. Darwin dice che all’interno e all’esterno della specie umana non si danno differenze di qualità, ma semmai di quantità. C’è un di più qualitativo e non quantitativo nella specie umana. Questa svolta implica la necessità di rivedere completamente il modello filosofico; Darwin non fu il primo, ha dei precursori che smontano il finalismo e l’antropocentrismo della filosofia tradizionale occidentale. Filosofie anti-antropocentriche fin dall’antichità, non è invenzione darwiniana, ma con lui abbiamo una solida base empirica di questa filosofia (Spinoza, Hume, Hobbes). Ma per quanto riguarda i membri che non hanno quelle capacità discriminanti? Obiezione dell’esclusione. Infine, is/ought problem: problema estremamente dibattuto di quale sia la relazione logica e argomentativa tra descrizioni e prescrizioni. Se e in che misura è possibile desumere delle prescrizioni da descrizioni. Viene detta così sulla scia di un passo di Hume, in cui egli critica quei testi filosofici che a suo dire passavano da descrizioni a prescrizioni in poche righe senza dare spiegazione del passaggio. Il problema è di giustificare il modo in cui noi possiamo avere delle descrizioni del mondo e da esse passare a delle prescrizioni su cui comportarsi. Il modello della natura umana ritiene che i fatti e le descrizioni siano già carichi di valore, ma è un’assunzione pesante e sbagliata. Modello dell’utilità, modello top down dell’utilitarismo applicato all’ambito della comunicazione. Esempio di Brembeck e Howell: - Principio = si deve tener conto delle conseguenze positive e negative della comunicazione breve e lungo termine, sul gruppo sociale coinvolto; - Criterio di applicazione = ogni atto comunicativo deve produrre il maggior beneficio o minor danno possibile alla maggior parte delle persone coinvolte. Bisogna dunque soppesare i benefici e i danni che è possibile produrre con un atto comunicativo per il maggior numero di persone e di scegliere in base a questo saldo. Un atto comunicativo può essere anche astensione dalla comunicazione. Utilità sociale contro diritti morali individuali? Un utilitarista può sostenere che un atto che preveda la tortura di un uomo è moralmente lecito se nello specifico è generazione di benefici piuttosto che danni. Una prospettiva deontologica non lo permetterebbe. Ci si chiede se il modello dell’utilità in etica della comunicazione non vada incontro agli stessi problemi. Se questo atto comunicativo comporta benefici violando diritti individuali allora è moralmente lecito? Modello del pubblico. Ogni discorso dev’essere adeguato al pubblico che ascolta. Problema etico del rispetto. Ma così variano i principi etici che diventano contestuali. Tale modello richiede attenzione per l’interlocutore e il contesto, inoltre l’etica vincola la retorica: la buona persuasione, il discorso efficace che raggiunge il suo obiettivo implica il rispetto e conoscenza del bene. La buona comunicazione non è solo efficace in questo modello, ma è anche orientata al bene. I difetti sottolineati è che certe volte l’esito è di ritenere che questo rispetto e conoscenza del bene sia del tutto schiacciato sulla capacità di fare una comunicazione efficiente. Si richiede di orientare comunicazione rispetto al pubblico davanti, ma questo orientamento non ha dimensione etica specifica, ma ha dimensione piegata sulla capacità di farsi comprendere, e non ha vincoli che in qualche modo modellano la comunicazione in base a valori diversi da quelli dell’efficienza, anzi, c’è spesso un’attenzione dalla forma invece che al contenuto. I cerca di modulare la forma della comunicazione senza prestare al contenuto. Modello del dialogo. Martin Buber: monologo è modalità di comunicare che ha caratteristiche tendenti alla propaganda o manipolazione, un discorso egocentrato attento agli scopi di chi comunica e uso strumentale dell’interlocutore. Il dialogo non vuole manipolare interlocutore ma influenzarlo in modo razionale e includerlo negli scopi e interessi, trattandolo come persona (riferimento a Kant). La comunicazione nel monologo è io-esso, nel dialogo è io- tu. Ma perché dovremmo preferire il dialogo al monologo? Qui sembra che la motivazione sia estrinseca. Modello della comunità di comunicazione, Apel, si passa inevitabilmente nell’ambito dell’etica della comunicazione da un linguaggio come vettore neutrale all’idea di un linguaggio come condizione di possibilità. L’etica della comunicazione non consiste in principi e motivazioni che provengono dall’esterno, ma tali che sono già incorporati all’interno del linguaggio e della comunicazione. Quando comunichiamo noi facciamo riferimento a principi morali che sono condizioni inaggirabili della comunicazione. Quando comunichiamo non possiamo non incorporare questi tre principi, altrimenti non comunichiamo: - Principio di giustizia - Principio di solidarietà - Principio di co-responsabilità Linguaggio come ricerca di intesa. Il linguaggio può essere frainteso e Fabris cerca di emendare questa posizione, sostenendo che i principi morali sono insiti nella comunicazione e sono un fatto concreto e opzione possibile. Noi usiamo linguaggio come difesa e avvicinamento fra individui; possiamo scegliere tra raggiungere altri individui con legame o con distacco. Quindi, rispettare i principi morali significa intessere relazioni partecipative di interesse reciproco, individui come agenti e non manipolabili, è nostra responsabilità farlo, è qualcosa ce deriva dalla nostra scelta di rapportarci all’altro secondo norme di rispetto reciproco, non è necessario ma libero. Necessità intrinseca in Apel, scelta genuina in Fabris. Lezione 7 Nella visione comune si pensa che etica e economia siano incompatibili. Due concezioni dell’economia che si possono presentare alternativamente: 1) Neutralità dell’economia = strumento; 2) Carattere intrinsecamente cattivo (capitalismo) = etica ferma e sovverte la ragione economica (connubio capitalismo e finanza che a partire dalla crisi del 2007 è storicamente evidente in ciò che accade nel mondo globalizzato). Concezione tradizionale standard filosofica che ancora permane. Si può parlare però in maniera interessante e significativa di etica dell’economia anche per significare una presenza di valore all’interno dell’economia, tentando di smitizzare l’idea che valori morali e impresa economica siano corpi estranei e reciprocamente escludenti. Distinzione questioni macroeconomiche e microeconomiche. Queste ultime sono le questioni che si incontrano a livello più diffuso che riguardano ad esempio la razionalità del comportamento economico e l’etica d’impresa (questioni dei valori morali nel fare impresa). Macroeconomia: incontriamo alcune questioni, come l’idea che vi sia una connessione estremamente stringente tra economia, finanza e globalizzazione che ha portato a introdurre trasformazioni e cambiamenti epocali che presentano indubbiamente dei risvolti etici assolutamente importanti. Nel saggio di Zamagni emerge come l’economia sia orientata alla poiesis globale sganciandoti dalla praxis (dicotomia tipicamente aristotelica). L’idea di una poiesis sganciata dalla praxis assume la valenza perlomeno nel ragionamento di Zamagni di isolare sempre di più l’economia dall’etica e quindi di agganciare l’economia alla ragione teoretica, ragione efficientistica che non ha niente a che vedere con quella pratica. È un’economia che non fa più parte come era ancora nella tradizione aristotelica della filosofia pratica, ma diventa un oggetto strano. Ci sono ragioni storiche dietro a questo divorzio che risalgono alla nascita dell’economia moderna: progressiva autonomizzazione dell’economia dalla filosofia pratica acquista concretezza. Solitamente si fa il nome di Adam Smith come fautore di questo divorzio, anche se vedremo che leggere Smith in chiave negativa è una lettura estremamente sbagliata. D’altra parte la spinta a questioni macroeconomiche ci viene fornita da Una teoria della giustizia di Rawls, opera in cui sono elaborati due principi di giustizia che dovrebbero fondare istituzioni verso la libertà. Approccio liberale verso questioni politiche che non tutti condividono, non è un’opera che contiene tutte le risposte definitive. Come elaborare principi per fondare istituzioni eque in grado di garantire un’eguale opportunità? Egli si immagina il velo d’ignoranza come condizione di operazione che genera questi due principi: 1) Classico principio liberale in Mill e Kant: “Ogni persona ha un eguale diritto al più esteso schema di eguali libertà fondamentali compatibilmente con uno schema simile di libertà per gli altri” = ognuno deve godere del più ampio ventaglio di libertà che non deve precludere lo stesso ventaglio ad altri. L’abuso della libertà coincide con l’esercizio che lede libertà altrui. Questo è il classico principio liberale: Mill dirà che siamo liberi di compiere qualsiasi azione che non va a ledere le libertà altrui e filosoficamente questo nega la possibilità di pensare doveri verso noi stessi. Nel momento in cui compiamo azioni che hanno a che fare con la nostra vita, noi non interferiamo con le libertà altrui; il classico tema del suicidio, che in Kant ad esempio è un atto immorale perché distrugge l’autonomia individuale in se stessi, per Mill non è una condanna perché riguarda la propria persona. Finché il godimento delle libertà individuali non preclude il godimento delle libertà degli altri allora sono del tutto leciti; 2) Principio che si divide in due parti: “Le ineguaglianze sociali ed economiche devono essere combinate in modo da essere (a) ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno (soprattutto per gli svantaggiati) e (b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti”: una società giusta non deve cancellare tutte le diseguaglianze ed è anche impossibile farlo, ma deve fare in modo che permangano solo quelle diseguaglianze che possano conferire vantaggi a ciascuno, soprattutto agli svantaggiati, e devono essere diseguaglianze che permangono in modo da garantire l’uguaglianza di pari opportunità. Osmosi e mobilità sociale vanno garantite. Uguaglianza di opportunità non significa uguaglianza di trattamento: quest’ultimo è quando si ha un trattamento uguale per tutti senza distinzione, mentre nel primo caso ognuno ha le stesse opportunità e per far questo non tutti probabilmente devono essere trattati allo stesso modo. Microeconomia: oggi assistiamo alla crisi dell’homo oeconomicus, modello di razionalità del comportamento che ha dominato a lungo tempo l’economia. Ciascuno di noi ha: - Preferenze ordinate gerarchicamente - A disposizione risorse scarse per soddisfarle (denaro, tempo etc.) - A disposizione informazioni limitate sulla situazione. Il comportamento dell’homo oeconomicus è una serie di tentativi di soddisfar le proprie preferenze stabili nel tempo, utilizzando le risorse a disposizione secondo le informazioni che si possiedono. Il comportamento razionale massimizza le preferenze secondo questo modello. Questo entra in crisi per più ragioni, che sono in parte empiriche e in parte di carattere normativo. Ragioni empiriche: dati che ci vengono forniti dalla psicologia economica: l’homo oeconomicus ci descrive come persone che agiscono in modo razionale e che hanno accesso epistemico a preferenze di carattere a mostrare come quella contrapposizione tra etica ed economia non ha ragion d’essere. Tutta l’economia, ma soprattutto l’impresa, è permeata dal riferimento a valori morali e sociali. Piuttosto che pensare a un’etica che si applica all’impresa dovremmo utilizzare un approccio che promuove quei valori già insiti nel fare impresa. È abbastanza familiare un modo di far impresa attento ai valori morali, intorno all’idea di profitto. Attenzione di chi fa impresa all’impatto che la produzione ha sull’ambiente, quindi il fatto che il valore ambientale sia variabile essenziale quando si fa impresa. Si fa impresa intorno anche alle scelte morali; per alcuni questa può essere percepita come una corruzione, cioè il fatto che certe attitudini abbiano in qualche modo uno sfruttamento economico, per altri invece è simbolo di come si possa fare impresa per scopi commendevoli, attenzione anche da questo punto di vista. Etica dell’ambiente: a partire dagli anni ’50 prende avvio una riflessione che allarga il cerchio delle preoccupazioni morali oltre l’uomo, fino a inglobare il mondo non umano costituito dall’ambiente e dagli animali non umani. Contesto dei movimenti ecologici che discorrono sulla casa comune, l’oikos è lo spazio comune a tutti. Ecologia = oikos + logos. Si parla di etica dell’ambiente più seriamente con la comparsa con l’opera di Leopold, A Sand County Almanac, in cui si propone per la prima volta la Land Ethic, per trasformare l’Homo sapiens da semplice conquistatore a cittadino della comunità della Terra. Politicizzazione del pianeta che non è più solo uno sfondo naturale e un semplice contenitore naturale ma diventa una vera e propria comunità politica. Si esige rispetto per gli altri membri e per la comunità stessa. È politico tutto, il suolo, l’acqua, le piante e gli animali. Due forme di ecologia (in entrambe la natura smette di essere assiologicamente neutrale ed entrambe condividono l’idea che la natura è qualcosa di assiologicamente dotata di valore, si differenziano per il valore attribuito): - Shallow ecology = mantiene forme di antropocentrismo debole, la natura esiste per l’uomo. Il valore nella natura deriva dalla capacità di soddisfare interessi e bisogni dell’uomo, che possono essere di qualunque tipo. Umani e natura non-umana possono essere trattati in modo diverso; - Deep ecology = forma di forte anti-antropocentrismo, uomo è parte stessa della natura e non c’è subordinazione. Il valore della natura è intrinseco e non derivato. Egualitarismo biosferico, tutto ciò che esiste nella biosfera dev’essere trattato allo stesso modo. Secondo l’antropocentrismo la natura ha un valore derivato e strumentale, mentre per l’anti- antropocentrismo il valore è intrinseco. L’idea dell’antropocentrismo debole è che se un domani la specie umana non esistesse più, non ci sarebbe più bisogno di porsi problemi. Una forma di antropocentrismo è quella presente in alcune opere di Passmore, il quale sostiene che natura e uomo formano una comunità biologica e non morale. Una comunità morale è determinata dalla reciprocità di impegni, cosa impossibile tra umani e animali. Le uniche forme di responsabilità che abbiamo sono rivolte verso altri esseri umani, presenti o futuri, relativamente la natura. Abbiamo una responsabilità di carattere diretto. L’unica comunità morale è determinata dalla comunanza di interessi e della reciprocità di impegni: natura e uomo non formano una comunità morale e abbiamo una responsabilità verso altri esseri umani, presenti o futuri. Quando la responsabilità verso altri uomini ci porta a proteggere la natura, allora abbiamo responsabilità indiretta verso la natura. Una forma di anti-antropocentrismo si ritrova ad esempio nell’etica del rispetto della vita di Schweitzer: presupposti fondamentali, per cui non si colloca valore morale intrinseco nella capacità di provare piacere o dolore. L’essere senzienti non è discriminante, perché la capacità di provare piacere o dolore è caratteristica adattiva di certi organismi e non è portatrice di certi valori. Impedisce di compiere certe azioni. Noi abbiamo responsabilità diretta verso la natura, perché è considerata come super organismo o collezione di organismi in quanto sono teleologicamente ordinate. Vita è soglia che impedisce di fare certe azioni. Qualsiasi azione che mette a repentaglio la vita della comunità biotica è da ritenersi immorale. Attribuzione di diritti anche alla vita vegetale. Interessi e bene oltre il dominio della conoscenza. Secondo la deep ecology ci può essere relazionalità intrinseca tra organismo e ambiente, vi è una rete che ci collega alla natura e non vi è una gerarchia. Esiste in questa comunità biotica un egualitarismo biosferico e vengono promossi valori della biodiversità e della complessità. Due grandi esponenti di questo sono Naess e Roston, che in modi diversi si sono fatti portatori di questo. Naess: obbligo di non interferenza con i processi naturali, Roston: estensione dell’io alla comunità biotica. Approccio radicale a quelli che sono i nostri obblighi verso la natura. Accanto all’etica dell’ambiente è fiorito un altro filone estremamente interessante: l’etica animale, si pone il problema del valore della vita degli animali non umani. Vi sono approcci molto diversi fra loro: Sono approcci molto diversi fra loro che giungono anche a conclusioni diverse su questioni specifiche. Singer e Reagan divergono su sperimentazione animale, per esempio. Pollo, uno dei più importanti studiosi italiani di etica animale, porta una brevissima mappa dell’etica animale, presentando le posizioni più importanti Alcuni precursori storici dell’etica animale. Tutta la storia della filosofia è attraversata da prese di posizione che attribuiscono qualche valore alla vita animale e prese di posizione che lo negano necessariamente. L’etica animale non è qualcosa di rivoluzionario solo nella filosofia contemporanea. Citazioni dalla politica di Aristotele: le piante sono fatte per gli animali e gli animali per l’uomo, o per uso domestico o per mangiare. Animali non umani sono merce dell’uomo per soddisfare propri bisogni biologici. Natura non fa nulla invano e uomo è unico animale che parla ed è socievole. Grande distinzione tra uomo e animali, cioè la parola, il logos. Proprio questo è ciò che consente l’uomo di avere nozione del bene e del male. Assunto della natura non fa nulla invano in Cartesio. Kant è forse il campione dell’antropocentrismo moderno, dicendo che gli animali sono semplici mezzi, privi di coscienza e non vi sono doveri diretti verso essi ma solo indiretti, verso l’umanità. Cartesio riteneva già che gli animali fossero incapaci di provare piacere e dolore. Il grande cambio di passo inizia nel Settecento con Bentham: un giorno il resto della creazione animale potrebbe acquisire i diritti che gli abbiamo sempre negato. La domanda non è se gli animali possono ragionare (Kant) o possono parlare (Aristotele), ma se possono soffrire. Passaggio da razionalismo a sentimentalismo. Lezione 8 Il rapporto tra etica ambientale e animale è complesso, perché se riprendiamo la mappa qui sopra ci sono delle prospettive, come in parte l’utilitarismo di Singer e le etiche delle virtù, che ritengono l’etica animale come una serie di questioni autonome rispetto a quelle dell’etica ambientale. È possibile secondo alcuni autori affrontare problemi di etica animale senza impegnarsi in etica ambientale. Altri invece, come Verner e Callicott, ritengono che l’etica animale ha senso in quadro di etica ambientale. Vi sono altre posizioni come quelle di ecofemminismo, in cui il problema del rapporto con la natura include il rapporto con gli animali non umani. Ci sono approcci che rinsaldano le due prospettive e ritengono che l’etica ambientale offra un quadro complessivo più che adeguato per risolvere problemi di etica animale. Bentham, mette sullo stesso piano le discriminazioni tra umani e discriminazioni tra animali non umani; ci possono essere comportamenti ingiusti sia nei confronti dei nostri conspecifici che gli animali non umani. Idea per cui criteri biologici sono ragioni insufficienti; il criterio biologico non è di per sé moralmente rilevante e Bentham inaugura una stagione in cui si sposta l’attenzione da criteri di carattere razionalistico moralmente rilevanti per distinguere ontologicamente animali e umani, e la capacità di soffrire è considerata un criterio moralmente rilevante. Porfirio e Plutarco, scelta di un criterio non più razionalistico. Questo cambiamento importante sarà ulteriormente raffinato da un altro autore estremamente rilevante, cioè Charles Darwin, naturalista che usa sia fonti scientifiche che filosofiche. Darwin ha presente Hume e altri autori, ma si occupa di questioni già affrontate dalla filosofia morale britannica in un’ottica sentimentalista per indagare le radici naturali di tutte le riflessioni in ambito etico. L’origine dell’uomo e la scelta in rapporto col sesso, 1884: Darwin ci dice che l’estensione del cerchio della nostra simpatia, dei nostri istinti sociali che per lui sono anche morali in qualche modo, può essere bloccata soltanto da una barriera artificiale. Dal punto di vista naturalistico, non esistono impedimenti a pensare che i nostri istinti sociali e morali debbano estendersi a tutti gli uomini, membri della nostra specie. Darwin fu attivo nella campagna per l’abolizione della schiavitù; il suo interesse per gli animali e altre specie sembra motivato dalla sua preoccupazione per l’abolizione della schiavitù, dimostrando che tutti gli esseri umani sono legati con tutti gli altri aspetti del vivente e che quindi non c’è necessità di introdurre gerarchie nella specie umana perché la biologia ci insegna che esiste una singola rete che raccorda tutti gli esseri viventi, animali o umani. Da qui Darwin farà osservazioni naturalistiche che costituiranno la teoria dell’evoluzione. Darwin prosegue dicendo che “La simpatia oltre i fondini dell’uomo, cioè l’umanità mostrata verso gli animali inferiori, sembra essere una delle ultime acquisizioni morali. […] Questa virtù, una delle più nobili di cui l’uomo è dotato, sembra nascere incidentalmente dal fatto che le nostre simpatie divengono più delicate e più ampiamente diffuse, finché non si estendono a tutti gli esseri senzienti”. Qui ritroviamo Bentham, per cui la rilevanza morale deriva dalla capacità di provare piacere o dolore, cioè con l’essere senziente. Chiunque possa provare piacere o dolore può essere oggetto dell’umanità intesa come posizione morale. Taccuino B: stile dei pensieri liberi che Darwin annotava. Immagine di una rete che tutto lega, lega gli esseri senzienti che sono capaci di affetti, imitazione, dolore, dispiacere e da questo punto di vista gli animali non sono qualcosa di ontologicamente distinto ma sono nostri compagni e fratelli. Sentience come criterio morale per stabilire chi sono i nostri fratelli e nostri compagni. L’allargamento del cerchio delle nostre simpatie è innescato da queste constatazioni, fino a includere animali non umani. delle capacità di autoconsapevolezza, noi dobbiamo riconoscere loro un interesse a continuare a vivere (alcune grandi scimmie sono autoconsapevoli di sé). Teoria dei diritti di Tom Regan, grande filosofo (“I diritti animali”, “Gabbie vuote”) morale. Già nei titoli compare la parola assente nel testo di Singer, ovvero “diritti”. La sua è una teoria deontologica, diversa da quella di Singer, perché egli rifiuta l’utilitarismo quale teoria morale ricca di difetti. È più promettente una teoria deontologica basata su diritti. La sua strategia, almeno in Gabbie vuote, è partire da due domande: 1) Quali sono i beni che proteggono i diritti umani? Cosa non riescono a proteggere i diritti umani quando sono violati? 2) Perché i diritti umani sono “umani”? quali sono le ragioni che portano a circoscrivere questo insieme di diritti alla sola specie umana. Cosa proteggono i diritti? Questi impediscono agli altri di arrecarci danno. I diritti umani garantiscono che ciascuno sia titolare di uno spazio in cui gli altri non possono entrare e tutelano quindi un principio di uguaglianza perché non si possono infliggere trattamenti discriminatori con ragioni arbitrarie o irrilevanti. Questo trattamento diseguale dev’essere motivato da solide ragioni morali, altrimenti i diritti umani vengono violati. Inoltre, i diritti umani hanno un peso morale, perché hanno un maggiore peso rispetto ad altri valori: i diritti umani sono “assi di briscola” (espressione non sua ma di un altro filosofo), quando io li calo nel piatto prendo tutto. I diritti umani hanno a che fare con la dimensione della giustizia, perché vengono rivendicati e non sono favori richiesti, sono dovuti e c’è un obbligo nel rispettarli. I diritti umani vengono in soccorso dei soggetti vulnerabili in nome della giustizia, impongono di riparare le offese. Inoltre essi implicano una dimensione di rispetto: quando riconosciamo che ogni uomo ha diritto a libertà, integrità etc. noi stiamo rispettando la personalità di quell’individuo. Per queste ragioni i diritti umani sono strumenti essenziali per la nostra civiltà morale. Ma cosa ci impedisce di estendere i diritti umani oltre la specie umana? Questa è la seconda domanda e lui passa in rassegna alcune ragioni tradizionali: gli umani sono umani, ma questa motivazione non regge. L’appartenenza a una specie ha un valore descrittivo, come in Singer, è descrizione biologica, non ha impatto sul piano morale. Si può dire che umani sono persone in quanto agenti responsabili: ma davvero tutti gli umani sono agenti responsabili? In realtà nella specie homo sapiens ci sono individui che non possono essere considerati tali come bambini molto piccoli, pazienti in stato vegetativo o persone che mancano di attività psichiche. Si può dire allora che essi non rientrano dei diritti umani ma entriamo in contraddizione! Inoltre si può dire che gli umani sono autoconsapevoli, ma in che modo l’autocoscienza implica il diritto all’integrità fisica? Infatti non tutti gli umani sono auto- consapevoli. Gli umani appartengono a comunità morale capace di comprendere i diritti e gli animali non umani non ne sono capaci, per cui i diritti umani sono riservati agli uomini: Reagan risponde dicendo che esistono altre idee comprese solo da una comunità, senza che gli oggetti che designano esistano veramente (es. le streghe). Associare idee a comunità rischiamo di andare al di fuori del realismo morale. Dobbiamo distinguere sempre tra l’origine di un concetto e la sua giustificazione; è chiaro che gli animali non sono capace di forgiare l’idea di diritti ma questo riguarda l’origine del concetto e non la sua giustificazione. Altra argomentazione: umani hanno un’anima, animali no. Teoria darwiniana è una delle prime che mettono in crisi questo, perché cose come l’anima nella storia naturale delle specie non hanno un posto. Alcuni filosofi hanno cercato di conciliare Darwin con anima. Forme di pluralismo metafisico. Ultima ragione: umani sono prediletti da Dio, ma pluralismo metafisico non legittima. Non esistono ragioni convincenti per pensare che i diritti umani siano circoscritti alla specie umana e ci sono ragioni più probanti per estenderli agli animali non umani. Esistono concetti che ci aiutano a capire come estenderli; non ci interessa proteggere l’umanità con i diritti umani, ma proteggere una certa forma di diritto. Noi viviamo nel mondo consapevoli di noi stessi e di ci che ci circonda; questa capacità ci accomuna e grazie a questa noi determiniamo cosa è importante per noi. Abbiamo diritti perché siamo soggetti di una vita e i diritti hanno il compito di proteggere questo status. Anche altri animali condividono questa condizione con noi e quindi è giusto attribuire diritti morali anche ai soggetti di una vita che appartengono a un'altra specie. Secondo Regan essere soggetti di una vita non è come per Singer una proprietà graduale, ma una proprietà di campo: nel momento in cui si è soggetti di una vita, che lo si sia al massimo grado, come al centro del cerchio, o al minimo, noi condividiamo questa proprietà ed è solo questo l’importante. Non c’è una gradazione dei diritti morali: tutti gli individui che stanno dentro al cerchio perché in misura diversa sono soggetti di una vita possiedono gli stessi diritti morali e non li possiedono gli individui che non sono soggetti di una vita. È chiaro che non tutti gli animali sono soggetti di una vita ma possiamo pensare che lo siano mammiferi, uccelli e pesci (più controverso) e con questo abbiamo coperto gran parte degli animali. Questa teoria dei diritti si basa su una proprietà di campo, cioè essere soggetti di una vita e questo ci permette di estendere i diritti umani aldilà della specie umana. Gli approcci di Singer e Regan sono approcci dall’alto che individuano una serie di principi, costruiscono una teoria razionalistica applicandola a casi specifici, parlando di questioni concrete a partire da teorie di riferimento, la teoria utilitaristica per Singer e deontologica per Regan. Ci sono altri approcci possibili; un approccio dal basso lo troviamo nel volume di Fabris trattato da Simone Pollo che invece che individuare una serie di principi per applicarli alla realtà, parte da questioni specifiche, analizza le reali relazioni coinvolte all’interno di queste pratiche tra animali e umani e propone una graduale riforma di queste relazioni. Considerare all’interno delle pratiche effettive quali sono le modalità di relazione tra uomo e animale che non rispettano la vita animale e quindi quali aspetti sono da riformare. Questa strategia ha un duplice effetto positivo: - Ricercare riflessioni teoriche più ricche che vanno oltre il razionalismo; - Ottenere un effetto riformista graduale che nella realtà ha più probabilità di successo: invece che dire aboliamo la sperimentazione tout court, riformiamo gli aspetti di essa che infliggono dolore senza motivo per rispettare benessere degli animali e cercare altri metodi che possano nel tempo sostituire progressivamente gli animali nei contesti della sperimentazione. Rielaborazione dell’idea di democrazia fino a estendere le categorie politiche tipiche della cittadinanza fino a considerare animali non umani. Donaldson, Zoopolis: comunità in cui animali e umani convivono all’insegna di rinnovate relazioni politiche fra di loro. Etica pubblica, ultima parte che raccoglie saggi con temi molto diversi fra loro, parte complicata per fare una sintesi. I temi che Fabris raccoglie sono attraversati da due caratteristiche: - Riconoscimento che le condizioni di vita in senso lato in Occidente sono profondamente cambiate negli ultimi decenni, nuove esigenze e bisogni che richiedono una forma d‘attenzione morale; - Progressivo estendersi della comunità morale aldilà dei confini tradizionali (questo lo avevamo visto anche in etica animale). Temi affrontati e caratteristiche di trasformazione necessarie: Etica e diritto “Civilizzazione” del diritto = non deve essere interpretato alla lettera, non c’è processo per cui da idee barbariche del diritto si passa a idee civili, ma idea che il diritto deve far fronte a progressive richieste e a trasformazioni legate a certe riflessioni sulla nostra natura. Etica dell’immigrazione Fenomeni migratori aumentano tale bisogno Etica femminile e gender Movimenti sociali = nuove istanze chiedono attenzione per bisogni e rivendicazione di diritti nella società contemporanea. Etica e disabilità Associazionismo e sensibilità = sensibilizzazione verso forme di vita che popolano le nostre società. Etica intergenerazionale Responsabilità verso il futuro = tema cruciale di oggi che si intreccia con l’etica ambientale. Etica e convivenza Pluralismo culturale ci porta a chiederci quali sono le forme che consentono convivenza pacifica tra persone che hanno diverse visioni del bene. Partiamo da alcune considerazioni di etica e diritto da due esperimenti mentali. Ci troviamo in una remota cittadina degli USA del sud, e avviene un delitto. Viene scoperto il cadavere di una ragazza che prima di essere uccisa è stata anche violentata. La polizia subito si concentra su un individuo afroamericano, che appartiene a una piccola comunità all’interno di questa cittadina, verso cui ci sono state in passato tensioni e pregiudizi. Quest’uomo si è portato questa notizia per cui in passato era stato accusato di stupro e la comunità impone alla polizia di arrestare quest’uomo altrimenti avrebbe annientato al comunità afroamericana. Il giudice si chiede cosa fare: giustiziare l’uomo arrestato anche se innocente per prevenire la devastazione cittadina o rinunciare a giustiziare l’uomo e correre il rischio della rivolta che potrebbe uccidere tutti gli afroamericani? Da un punto di vista morale quale dovrebbe essere la decisione che il magistrato dovrebbe prendere? Le pene devono essere proporzionate e giuste per il deontologismo, per cui non dobbiamo punire gli innocenti, vincolo che generalmente noi accettiamo. Altro esperimento mentale. Immaginiamoci in una piccola comunità che vive su un’isola sperduta nell’oceano. Comunità estremamente pacifica rispettosa e solidale; a un certo punto compare un vecchio saggio che con i suoi consigli e la sua moralità specchiata ha instillato in tutti rettitudine e senso civile. L’unico poliziotto sull’isola si annoia terribilmente perché non c’è occasione che lui faccia il suo lavoro. Allora egli va a rivedere l’archivio e trova un caso insoluto di 50 anni fa e decide di riaprire le indagini. Sul luogo del delitto era stato trovato un capello e oggi può controllarlo con le analisi del DNA: vede con grande sorpresa il capello appartiene al vecchio saggio. Gli chiede al vecchio perché non aveva mai detto di essere sulla scena e il vecchio confessa di essere stato l’assassino, perché da ubriaco ha ucciso tale uomo. Dopo questo episodio lui ha cercato di espiare il suo peccato aiutando la comunità e lui si sente pronto a pagare il debito se la comunità vuole penalizzarlo. Ma è giusto o ingiusto penalizzare il vecchio saggio? Posizione retributivistica per cui chiunque dev’essere penalizzato per le sue azioni. Posizione utilitaristica: la pena è giustificata nella misura in cui è rieducativa e qui non ha senso perché si è già rieducato. Posizione consequenzialista: si guarda alle conseguenze sulla comunità, perché uno stato che manca nel punire i colpevoli sarebbe uno stato incoerente e fragile che mette a rischio l’autorità. Argomento dell’identità personale (Locke): quale connessione in termini idi identità personale esiste tra il saggio che ha ucciso l’omo e il saggio che oggi è completamente cambiato? Si possono stabilire connessioni dirette? Si parla della stessa persona? Sono intervenute delle trasformazioni a livello psicologico e caratteriale che ci portano a considerare due persone diverse. L’identità personale è fondamentale, dunque non possiamo punire il saggio per altri motivi se non per il fatto che non puniremo la stessa persona che ha compiuto il delitto 50 anni fa. Questo caso rispetto al precedente ci mette di fronte ad un altro aspetto: prospettiva retributivistica vede da penalizzare coloro che hanno commesso crimi, ma in questo caso il retributivismo ci dice che tutti i colpevoli sono da punire, sia chi ha cambiato identità personale sia quelli che si sono pentiti che quelli che porterebbero a conseguenze negative a lungo termine. Seminario Machine Emotion: verso un approccio relazionale (Luisa Damiano) Con Machine Emotion ci si riferisce in modo generale al dominio della ricerca scientifica dedicato alla progettazione e alla costruzione di macchine capaci di comunicare attraverso le emozioni. Dicotomia tra esperire ed esprimere emozioni. Artificial empathy, indirizzo emergente che si articola intorno alla robotica, integrazione nei contesti sociali di robot che possano sviluppare emozioni (relazione di partecipazione relazionale). Artificiale è un termine associato dalla filosofia dei robot e poi acquisito dalla robotica. Due aspetti della ricerca: 1) Tipo di ricerca si sviluppa nell’Embodied AI, enfasi positiva sul ruolo del corpo, forma di intelligenza artificiale che produce artefatti intelligenti come agenti completi, corpo con cui essi sono inseriti in un ambiente con cui interagiscono con processi cognitivi legati al corpo; 2) Azione intenzione e reazione. Artificial Empathy tra HRI (noi non possiamo non essere emozionali quando interagiamo con I robot) e Cognitive Robotics (Emotion and cognition are intertwined). Empatia ha un carattere plurale: processi differenti e migrazione tra varie aree disciplinari. Migrazione di empatia nella robotica per produrre nuovi contenuti. Robot sociali vogliono essere emotivi con noi; massa mista tra uomini e robot. Cambia allora la Le etiche pubbliche riguardano temi diversi fra loro. Estremamente attuale è l’etica dell’immigrazione e della convivenza: riguardano le teorie che si occupano di etica dell’immigrazione e sulla possibilità in società pluraliste di poter rendere possibile la convivenza pacifica. La tensione fondamentale di questi argomenti è l’idea che ai due poli opposti delle possibili posizioni che si possono argomentare filosoficamente rispetto ai problemi dell’immigrazione vi siano una concezione comunitarista e una concezione cosmopolita. La prima vede nell’integrità e compattezza della comunità, e quindi si auto rappresenta come spazio che quanto più è refrattario a incursioni esterne, tanto più potrà conservare integra la dimensione morale, mentre la seconda vede una situazione auspicabile ed efficace nell’eliminare i limiti. Non è una contrapposizione non nuova; di cosmopolitismo si comincia a parlare in modo strutturato almeno da Kant in poi o da dibattiti del settecento. Il comunitarismo inizia da Aristotele in poi; è presente anche nel dibattito contemporaneo ed è una delle proposte filosofiche più vitali all’interno dell’etica della convivenza. Possiamo distinguere i modelli moderni di convivenza e quelli contemporanei. Convivenza non fa riferimento necessariamente ai problemi dell’etica dell’immigrazione, perché la coesistenza pacifica di modelli morali diverse si manifesta anche in aree in cui l’immigrazione può anche non essere presente. Si parla di convivenza di visioni morali o forme di vita anche quando ci si interroga sulla dialettica per esempio tra laici e cattolici in bioetica. Il problema è come organizzare un’etica pubblica che possa rendere coesistenti in modo pacifico uomini con visioni diverse. Anche una società chiusa, refrattaria a fenomeni immigratori, ma che è attraversata da pluralismo morale, può avere problemi nella convivenza pacifica. La modernità ci dà certi modelli di convivenza con Hobbes e Locke, contrattualismo che rende possibile convivenza fra individui; Kant farà del contratto quasi un’idea della ragione, polemizzando aspramente con la tradizione anglosassone conservatrice che vedeva nel contratto non tanto un dispositivo concettuale quanto una realtà storica. Soluzione alternativa in Aristotele e Hume, apparentemente diversi: concezione dell’andatura umana in cui la spinta cooperativa in cui la tendenza alla socialità è profondamente iscritta. Seppur in un senso molto diverso, in entrambi gli autori possiamo dire che la convivenza è risolta per natura, perché entrambi riconoscono nella natura umana un tratto sociale. Per Aristotele l’uomo è animale sociale e polis è esito naturalistico dello sviluppo umano, mentre in Hume vediamo che non c’è bisogno di alcun contratto per la cooperazione umana, perché c’è una tendenza sociale dell’uomo verso la cooperazione, grazie a una natura quale impasto di perseguimento di interesse personale e tendenze benevolenti. Natura mista tra colomba e lupo, che lo porta a sviluppare virtù come la giustizia. Tanto Hume quanto Aristotele, seppur in concezioni diverse, condividono l’idea di una naturale socievolezza dell’uomo. Infine c’è la soluzione sviluppata da Mill che affonda le radici nel romanticismo, per cui l’esaltazione dell’individualità è funzionale al raggiungimento di una società sana: secondo Mill è solo nel momento in cui gli individui sono resi liberi di perseguire il proprio sviluppo di sé, nel rispetto della libertà altrui, che è possibile costruire una società realmente morale. Il problema della convivenza in Mill e nel Romanticismo è risolto grazie a una creazione di un sistema di libertà. In ambito contemporaneo, in cui si acutizza la pluralità nella società, si cercano nuove strade: fioriscono i liberalismi che a partire da Mill seguono strade diverse. Tentativo di Rawls di creare un liberalismo politico; vediamo Engelhardt, che supporta un liberalismo procedurale su principi possibilmente privi di contenuto. Egli era un cristiano ortodosso e aveva opinioni cristiane di bioetica, morale estremamente rigida e intransigente. Egli riconosceva che il problema della convivenza pacifica non può essere risolto imponendo con la legge un punto di vista morale sostanziale. Egli riconosceva il sostanziale fallimento sia del progetto illuminista che del progetto religioso: entrambi non hanno raggiunto lo scopo che si erano prefissi, cioè tenere unite le società giustificando un punto di vista morale accessibile a tutti i cittadini. L’accesso a questo punto di vista morale differiva dai due sistemi, perché per l’illuminismo era garantito dalla ragione e nel secondo dalla fede. Ma comunque nelle società pluraliste e frammentate di oggi non possono avere successo perché non è possibile convogliare tutti i cittadini verso un medesimo contenuto morale. Occorre che un’etica pubblica di convivenza sia quanto più possibile priva di contenuto. Etica formale, procedurale, che secondo Engelhardt si basa sul principio di permesso: è permesso fare agli altri ciò che gli altri vorrebbero fosse fatto loro. Egli ribalta in questo modo la regola aurea alla base di molte religioni. Si può formulare anche il principio del permesso in negativo, cioè di non fare agli altri ciò che essi non vorrebbero fosse fatto loro. Egli distingue amici e stranieri morali: i primi condividono la stessa idea del bene, i secondi non possono condividere un’idea sostantiva di bene. La sfida dell’etica della convivenza è creare un’etica pubblica per stranieri morali. Questa idea di stranieri morali è fortemente avversata dal comunitarismo (Taylor, Sandel e MacIntyre), per cui nonostante il pluralismo dobbiamo tornare a una visione comunitarista per cui si può sempre individuare a partire da tradizioni morali un contenuto morale sostanziale che unisce le comunità. La libertà è un valore vuoto se non è pensato su un o sfondo di tradizione politico culturale che dà sostanza a questo concetto. La priorità del valore della libertà sganciato completamente da un contenuto morale sostanziale, come in Mill, non tiene conto della natura stessa dell’uomo per i comunitaristi, che è una natura incarnata, fatta di legami sociali e di fedeltà, di impegni verso la propria comunità d’appartenenza. Pensare un sé disincarnato da legami sociali significa costruire una filosofia politica su una rappresentazione falsa della soggettività. Identità è fondamentale anche per le politiche del riconoscimento (Fraser, Honneth, Sen), per cui identità è fondamentale per etica della convivenza. Diversamente dai comunitaristi (tendenti al conservatorismo), loro riconoscono che ciascuno di noi può avere un profilo identitario plurimo. Noi di fatto viviamo di molte identità e possiamo auto identificarci in modi diversi perché molte sono le nostre sfere di vita. Di questa pluralità identitaria all’interno dello stesso soggetto una politica del riconoscimento ne deve tenere conto. Concezione granitica dell’identità nel comunitarismo e di pluralità nella politica del riconoscimento. Etica di genere e al femminile, questione del genere è estremamente dibattuta in maniera anche molto sgangherata. Con questa etica al femminile e di genere si estende la comunità morale; mentre dal punto di vista pratico ancora oggi la questione femminile rimane ancora da risolvere (lo si vede nei numeri e crudezza dei fatti di diseguaglianza), in teoria la soggettività femminile è soggettività responsabile e si è affermato solo a partire dal Novecento con un’organizzazione sistematica del pensiero secondo canoni alternativi alla storia della filosofia occidentale, profondamente permeata da canoni maschili. Non solo si affermano le filosofe, ma bisogna cominciare a pensare la filosofia in termini femminili secondo categorie e approcci non riconducibili alla storia della filosofia occidentale. Nel settecento compare un libretto di Mary Wollstonecraft, madre di Mary Shelley, che esorta ad avere diritti. Secondo libretto satirico, se concediamo diritti alle donne dobbiamo concederli alle bestie. Illuminismo da questo punto di vista ha ancora molto da lavorare, ma grazie a pensatrici come Wollstonecraft, la prima ondata del pensiero femminista in Europa, inizia un discorso che nel ‘700 era ancora marginale e decentrato. L’etica femminista e della cura ridisegna l’idea di soggetto morale. Se per le teorie classiche il soggetto è il soggetto razionale e individuale, slegato da qualsiasi relazione, all’interno delle teorie femministe della cura il soggetto è prima di tutto relazionale e dotato di emozioni, rilevanti per la sfera della moralità. Non si tratta di un soggetto che ha relazioni sociali e che si definisce grazie a relazioni, ma esso si identifica e si definisce attraverso le relazioni affettive e personali, particolari. Il privato non è più una sfera non percorsa da relazioni morali, ma è rilevante dal punto di vista morale e politico, anche nelle sue strutture più asimmetriche. È emblematico il carattere di Rawls per cui esistono contraenti razionali immaginari che intorno a un tavolo negoziano grazie ai loro poteri razionali e reciprocità che in base alla razionalità riescono ad avere. L’etica femminista dice che la nostra vita morale è attraversata anche da relazioni asimmetriche e non reciproche, ma che sono comunque moralmente rilevanti. Alcune etiche femministe sono etiche maternalistiche, assumono relazione madre e figlio come epicentro e paradigma della relazione morale, relazione asimmetrica per eccellenza in cui un polo, la madre, dà tutto al figlio, senza che vi sia reciprocità immediata. C’è un prendersi cura che non è vincolato alla reciprocità. Abbiamo un soggetto vulnerabile che ha bisogno di cure e attenzione e c’è un soggetto responsabile che dà questa cura senza pretendere niente in cambio. Questo implica una rivisitazione su base antropologica di teorie morali ma anche sguardo diverso su questioni di etica pubblica (es. gravidanza, tradizionalmente concepita come fatto privato e come circoscritta a una sfera del tutto priva di interesse per etica pubblica, oggi invece porta all’attenzione della riflessione in etica pubblica una serie di questioni assolutamente rilevanti, come definire la dialettica tra libertà individuale e doveri verso generazioni future etc). È una rivoluzione di etica di genere che investe settori diversi; pensiamo all’etica degli affetti, su come tutelare la pluralità affettiva dal punto di vista pubblico, con tutte le questioni connesse all’etica di genere. Quelli che vogliono cambiare genere durante la loro esistenza devono scontrarsi con una società che spesso non riconosce questa possibilità; questioni etiche connesse al trattamento di persone transgender rientrano nell’etica di genere. Anche l’etica sessuale, che oggi ha perso terreno, fa parte dell’etica di genere e la rivedremo con la robotica. Etica e disabilità ha a che fare con il modo in cui definiamo e trattiamo la disabilità nella società. Problema linguistico concettuale alla base, cioè qual è il termine più adeguato per parlare di disabilità: lo stesso termine disabilità si porta dietro un bias abilistico. C’è uno standard dato dall’abilità da cui, con deminutio, si definisce disabilità come uno stato definito da una mancanza e da assenza rispetto a modello standard assiologico (modello medico). Disabilità si può correggere ma rimane permanente e ha effetti stigmatizzanti. Interessanti proposte, in cui si sostituisce a disabilità la disabilitazione, processo che rende disabili, ma che evidenzia fenomeni che portano a disabilità e intervenire su essi. Sostituzione anche a disabilità “intralcio” (impairment), in cui si valorizza il lato soggettivo, perché una condizione che intralcia la vita di una persona è definito dal punto div sta soggettivo della persona, che è ostacolato nella via per perseguire certi scopi. Non è un’etichetta incollata da giudici che formulano la categorizzazione della disabilità, ma è qualcosa in primo luogo percepito dalla persona interessata, che si sente intralciata da caratteristiche le la riguardano nel perseguire i suoi scopi. Rivoluzione copernicana da giudizio oggettivo a soggettivo. La definizione di abilità assenti è fortemente permeata dal punto di vista personale e ci si apre a un modello sociale, in cui abbiamo a che vedere anche con le relazioni di potere all’interno della società. Si intervenire sulla società per agevolare il cammino di coloro che hanno intralcio, cioè disabilità. Impatto sostanziale sul modo in cui possiamo elaborare giudizi di valore intorno a quei fenomeni e pensare a soluzioni per lenire la sofferenza connessa a tali fenomeni. Etica e generazioni future, altra parte di etica pubblica che costituisce novità rispetto a etica tradizionale. In Jonas si trova denuncia sul principio di responsabilità per cui l’etica tradizionale ha sempre ignorato le generazioni future, focalizzata su problemi circoscritti al qui ed ora. Occorre interrogarsi sullo statuto delle generazioni future nell’ambito della moralità. Saggio di Menga: contrattualismo è negoziazione con entità che ancora non esistono e quindi non c’è reciprocità ma asimmetria. Contrattualismo ha difficoltà intrinseca nel comprendere come sia possibile un contratto con le generazioni future. L’utilitarismo è avvantaggiato in questo aspetto perché si immagina solo quale impatto possono avere le nostre azioni nelle conseguenze future per l’utilità considerando anche le generazioni future. Ha un problema però di carattere cognitivo: com’è possibile oggi riuscire a prevedere con la ragionevole certezza quali conseguenze le nostre azioni avranno su generazioni lontane: sforzo cognitivo previsionale che eccede le nostre capacità. Le generazioni future non possono essere ricomprese dall’utilitarismo per una ragione fattuale. Il giusnaturalismo, cioè l’idea che esista un diritto naturale, pecca in qualche modo il presentismo, pecca di non riuscire ad avere la sufficiente motivazione per poter prendere in considerazioni anche le generazioni future. Manca anche motivazione per le generazioni future, ma anche verso generazioni attuali. La soluzione di Menga, che non è troppo convincente, è un’etica dell’alterità, paradigma filosofico molto diverso da quelli precedenti, che postula alla sua base una certa ricettività della nostra natura verso appelli che derivano dal futuro. C’è una certa capacità dell’uomo di essere ricettivo verso i gridi d’aiuto che le generazioni future possono rivolgere nei nostri confronti. Anche Hume ci dice che la simpatia è limitata, perché simpatizziamo con coloro che sono vicini a noi; occorre uno sforzo legato all’immaginazione per allargare le maglie della simpatia. Robotica l’uomo per ucciderlo! Si può applicare il duplice effetto per spiegare una simmetria; ma questa spiegazione effettivamente tiene? Questa è la domanda di Foot. Nella vita reale non si avrebbe quasi mai la certezza che l’uomo sul binario verrebbe ucciso e l’autista non si ingegnerebbe in altri modi per uccidere la vittima. Questo crea una differenza morale; la distinzione tra conseguenze intese e meramente previste è una distinzione che conduce a problemi, non solo per il fatto che le azioni possono essere ridescritte in molti modi per poter calzare con una descrizione intenzionale e non intenzionale. Ma allora la dottrina del duplice effetto poggia su un terreno abbastanza instabile e le intenzioni sono atti mentali privati. Il regno mentale è regno inaccessibile agli altri: com’è possibile giudicare moralmente diverse situazioni per spiegarne le asimmetrie facendo riferimento ad atti mentali privati? Noi abbiamo bisogno di criteri morali che fanno riferimento ad aspetti pubblici delle azioni e non aspetti privati. Se noi accettiamo la dottrina del doppio effetto per distinguere situazioni asimmetriche moralmente, potremmo giungere anche a conseguenze controintuitive (come nei casi d’aborto). Ma c’è un modo migliore per spiegazione migliore: distinzione fra fare o causare un danno e non prestare aiuto. Questo è contenuto nella morale di senso comune: asimmetria per cui noi dobbiamo sempre astenerci dal causare danno ad altri ma non siamo sempre tenuti a prestare aiuto ad altri. Abbiamo un obbligo negativo più stringente di un obbligo positivo. Noi abbiamo continuamente un obbligo di non interferenza nelle vite altrui e un modo per procurare danno ad altri è questo. Non siamo però sempre tenuti a soccorrere gli altri. Banalmente, una ragione per farlo è quella per cui in alcuni casi soccorrere gli altri implica grande sacrificio personale. Mentre interferire con gli altri non ci porta a gran sacrificio, il soccorrere sì. Il guidatore affronta un conflitto di doveri negativi: è suo dovere evitare di uccidere cinque uomini ed è suo dovere ucciderne uno. Date le circostanze egli deve produrre il minor danno possibile: se l’obbligo di evitare di danneggiare gli altri entra in conflitto con se stesso noi dobbiamo privilegiare l’azione che produce minor danno possibile. Il giudice invece soppesa il dovere di non infliggere danni e quello di andare in soccorso agli altri. Vuole salvare le persone innocenti infliggendo lui stesso dei danni. Poiché il dovere di aiutare non è equiparabile al dovere di astenersi di danneggiarle, nel caso del giudice non possiamo ragionare nello stesso modo. La nostra intuizione morale di senso comune per cui l’innocente non deve essere condannato è giustificato. Obblighi negativi e obblighi positivi. La spiegazione di Foot fa riferimento a un modello deontologico, una teoria normativa dei doveri. Una teoria consequenzialista ci porterebbe a considerare le due situazioni come simmetriche. Inoltre non è chiaro se stiamo parlando di liceità o doverosità: nei casi che abbiamo considerato c’è un obbligo di agire in un certo modo oppure è semplicemente lecito agire in un certo modo? Nel caso del carrello Foot dice che è obbligatorio deviare il carrello, perché l’obbligo è quello di produrre il minor danno possibile. Potrei però essere in una prospettiva in cui è lecito deviare il carrello, perché il dovere entra in contraddizione con se stesso e non genera un ulteriore obbligo. Non è obbligatorio fare un’azione piuttosto che un’altra, ma solo lecito. Cosa scegliere di fare non dipende solo dagli obblighi (a prescindere da come li interpretiamo) ma dipende anche dall’identità delle persone coinvolte. Che differenza fa l’identità nel caso del giudice o nel caso dell’autista? Inoltre abbiamo il problema di come giustificare gli obblighi: 1) È lecito o doveroso deviare il treno non perché esiste una simmetria di obblighi ma perché salvare cinque vite massimizza il bene generale; 2) È doveroso deviare il treno perché le persone virtuose agiscono secondo carità (giustificazione aretaica); 3) È vietato deviare il treno perché significa uccidere una persona e viola il principio di rispetto delle persone (Kant); 4) Vietato deviare il treno per uccidere una persona perché viola precetti divini. Questi sono vari modi di giustificare gli obblighi, criteri normatici diversi per giustificare liceità e doverosità, simmetria nel caso del giudice con utilitarismo per esempio (principio di massimizzazione). Da Foot in poi (’67) vi sono variazioni del caso del carrello che ha portato alla carrellologia. Con Thomson nasce questa branca di riflessione e riformula la cosa per cui un bystander, un passante che sceglie di deviare il carrello o meno (non è l’autista che sceglie), oppure altro caso di un passante su un ponte che vede questa scena e l’unico modo per fermare il treno è gettare una persona corpulenta sul binario. Ciò implica una qualche differenza morale? L’autista non è più responsabile e il passante ha il dovere di intervenire. Problema della responsabilità dello spettatore (Primo Levi, responsabilità di dire cosa è successo in quanto spettatore). Ci si può chiedere se il fatto che non intervenga porti con sé una responsabilità. La scelta di non intervenire rimane una scelta? In questo momento stiamo discutendo se esista un’asimmetria tra i nostri atti e le nostre omissioni. Se esiste, allora le nostre omissioni non sono cause e se ci asteniamo dall’intervenire la morte delle persone non è effetto della nostra astensione, perché anche dal punto di vista metafisico le omissioni non possono essere cause. Ha effetto, allora, il comportamento attivo che agisce. Secondo alcuni anche le nostre omissioni sono cause, con un concetto più raffinato e complesso di causalità. Esiste asimmetria morale tra medico che si astiene a intervenire, determinando la morte del paziente, o che interviene per uccidere? Esiste differenza morale tra eutanasia passiva ed eutanasia attiva? Il primo articolo uscito sull’asimmetria morale su questo argomento su rivista medica è stato un articolo del ’75 di Rachels, filosofo morale. Usa un armamentario concettuale che fa riferimento a distinzione metafisica tra atti e omissioni. Spesso ciò che noi identifichiamo come causa dipende dai nostri interessi. simmetria della giustificazione degli obblighi. I casi del carrello si sono utilizzati anche per testare e capire il cervello nel suo funzionamento: cosa succede quando una persona è chiamata a rispondere al dilemma del carrello? Quali aree si attivano nella risposta a questi problemi? Alcuni di questi studi empirici hanno messo in luce come le persone che rispondono ai dilemmi del carrello usano un ragionamento utilitaristico nel primo caso, mentre kantistico nel secondo: nel primo si massimizza il salvataggio della vita, nel secondo c’è un principio di rispetto delle persone che implica l’esclusione della possibilità di spingere l’uomo nel secondo caso. Mentre nel primo l’utilitarismo è associato alla ragione, quindi processi lenti e meditati, computazione del cervello che calcola esito migliore, nel secondo caso la decisione di non spingere l‘uomo è dettata da processi cerebrali emotivi e immediati. L’astensione dalla decisione di spingere è frutto di un dilemma personale emotivo che poi viene razionalizzato in un secondo momento come nel kantismo. Questo è dovuto alla differenza tra i due casi: nel primo ci troviamo di fronte a un dilemma impersonale, un distacco e distanza è palpabile tra gli eventi e la persona, come dice Green, mentre nel secondo caso c’è contatto diretto con danno prodotto (dilemma personale). Questo per ragioni evolutive: la nostra mente è più coinvolta in situazioni di contatto diretto. I circuiti neuronali legati alla nostra moralità è frutto evoluzionistico non recente, ancorata a processi decisionali diversi da quelli di oggi; psicologia morale evoluta in contesti limitati dal punto idi vita spaziale. È moralità innestata su relazioni strette e comunitarie; quando contempliamo scenari in cui abbiamo dilemmi impersonali, non possiamo mettere in modo i nostri processi emotivi ma quelli razionali in cui la nostra umanità è evoluta. Posizione di Peter Singer. Macchine a guida autonoma Sono vetture ancora in fase di sperimentazione che potranno in futuro surrogare i compiti che attualmente sono assolti dagli umani. Vari livelli di autonomia oggi: - Livello 0 = guidatore, controllo permanente su velocità e direzione - Livello 1 = assistito, guidatore ha il controllo permanente su velocità o direzione; - Livello 2 = parzialmente automatico, guidatore deve monitorare il sistema in modo permanente; - Livello 3 = altamente automatico, il guidatore non deve più monitorare il sistema in modo permanente. Il guidatore deve potenzialmente essere capace di riprendere il controllo; - Livello 4 = totalmente automatico, nessun guidatore è necessario in condizioni specificate; - Livello 5 = senza guidatore, nessun guidatore è necessario dall’inizio alla fine. Noi ci interessiamo di più agli ultimi due livelli. Dilemmi delle macchine autonome secondo alcuni sono simili al trolley problem, mentre secondo altri no. Il trolley problem ci porta a dare risposta specifica a situazione circoscritta a poche persone, e investe responsabilità individuale con certezza dello scenario. Nel caso delle macchine a guida autonoma c’è un programmatore che deve implementare una serie di scelte e decisioni non circoscritte al qui ed ora, ma avranno una prospettiva futura generica in cui il programmatore non sarà presente (dilazione dello scenario). Dimensione sociale più ampia perché oltre al programmatore c’è costruttore. Inoltre c’è incertezza, rischio e probabilità: dimensione di incertezza nel momento in cui scelgo in un modo o in un altro. Secondo alcuni dobbiamo sganciare i due problemi mentre secondo altri le differenze in questione non sono sufficienti per ignorare completamente la discussione sul trolley problem, che è sorgente di riflessione importante per capire cose sulle macchine autonome. Il trolley problem ci chiede di astrarre dalle cose specifiche, come identità delle persone coinvolte e relazioni. Nei problemi delle macchine a guida autonoma sono importanti perché portano nello scenario dei valori da prendere in considerazione. Prendere decisioni ragionevoli rispetto a situazioni reali che possono implicare questioni di valore che non possiamo espungere ma tenere sempre presenti. Poniamo una macchina a guida autonoma che in uno scenario standard deve scegliere se impattare cinque persone andando a diritto oppure deviare il suo percorso e impattare una situazione in cui muore una sola persona. Essendo una macchina a livello 5, è possibile programmarla come vogliamo. Altro caso: macchina a livello 5 deve scegliere se investire un motociclista o una macchina. La scelta è importante per capire quale minimizza il danno. Ancora, macchina deve scegliere tra motociclista con casco e motociclista senza casco. È anche vero però che chi programma la macchina potrebbe tenere di conto il merito di aver posto il casco o non averlo posto: salvare chi ha merito di sopravvivere. Macchina tra bambino e anziano? Anziano. Questo è stato adottato anche per i ricoveri di terapia intensiva covid, perché l’anziano ha meno quantità di anni rispetto al giovane. Oppure macchina con due bambini deve scegliere se andare a diritto contro muro o contro tre uomini: si va a diritto. Macchina con minimo di controllo necessario, situazione in cui il conducente non può decidere di deviare perché è il programma che decide secondo due condotte, o quella per cui si va contro il muro oppure si devia verso queste tre persone. Se decidiamo di sacrificarci per gli altri ci troviamo in una dimensione di supererogazione nell’etica: il comportamento supererogatorio è quello che eccede gli obblighi morali standard a cui sono sottoposte le persone. Un comportamento supererogatorio travalica i limiti della moralità in eccesso. È un comportamento che non dev’essere considerato doveroso. Distinzione tra supererogazione e doveri verso se stessi in programmazione delle macchine a guida autonoma. Finora abbiamo dato risposte secondo consequenzialismo, che è in contrasto con deontologismo. Vi è una situazione mediana, una conclusione a cui è giunta la commissione tedesca nel 2017 (governo tedesco ha istituito commissione che deve individuare i principi morali per regolare costruzione delle macchine a guida autonoma). Quello che ha fatto la commissione è stato elaborare dlele raccomandazioni, tra cui questa, che in qualche modo sostiene tre passaggi: - No discriminazione in base a caratteristiche che riteniamo moralmente inaccettabili per distinguere tra i trattamenti; - Inaccettabilità del sacrificio di terzi; - Obbligo di ridurre i danni alle persone. Lezione 11 scelta tra un’uccisione intenzionale se si devia dal percorso o un’omissione intenzionale se si prosegue la corsa. Ma è possibile pensare che ci siano due scelte diverse per il caso con macchina normale e il caso di MGA? Secondo logiche deontologistiche, il conducente nella macchina normale non deve urtare il singolo. La MGA però può essere in una prospettiva utilitaristica. Nel primo caso è il conducente che ha l’onere di scegliere e può scegliere di non rendersi direttamente responsabile della morte di una persona e nel secondo caso ci può essere un programmatore che vorrebbe scegliere di minimizzare i danni. È ipotizzabile una divisione di questo tipo? Da una parte abbiamo responsabilità diretta e nel secondo una responsabilità di ruolo. E nel terzo caso di una macchina con manopola morale? La decisione egoistica non ha senso perché non è contemplata, non c’è nessun pericolo per la vita del conducente. La decisione è fra una prospettiva utilitaristica che minimizza i danni, oppure una decisione deontologista, che preimposta un disattivarsi della manopola. Nell’ottica del terzo caso una scelta chiama in diretta causa la responsabilità individuale; da un punto di vista giuridico dipenderà il come mantenere per esempio un punto di vista imparziale o programmare l’auto in modo da andare incontro alle cinque persone. Tutto dipende da come i codici trattano l’omissione o uccisione. Ma dal punto di vista morale la questione rimane comunque sfumata: anche quando decidiamo di non agire attivamente ma lasciamo correre le cose quando potevamo fare altrimenti, siamo responsabili di ciò che accade. Secondo caso in cui una macchina se va a diritto investe qualcuno e se devia va contro il muro, per cui c’è un rischio di pericolo per l’incolumità del guidatore. Situazione nuova e dunque sono diverse le prospettive: nel caso di 1.b (macchina normale) e 3.b (MGA manopola) la sua vita è messa a repentaglio che deve scegliere tra difendersi o offendere, mentre in 2.b (MGA) il programmatore sceglie sulla vita di due persone diverse. Stato di necessità e scelte di vita e di morte (Tommaso d’Aquino difende la legittima difesa con dottrina del doppio effetto). Ma nel caso di 3.b si sceglie un programma egoistico facendo riferimento alo stato di necessità o un comportamento altruistico in una prospettiva supererogatoria? Da un punto di vista meramente giuridico lo stato di necessità giustifica la scelta egoistica in 1.b e 3.b; ma nella stessa situazione però con davanti non un pedone ma tre, allora non vi è più equilibrio di morte/vita come prima. Può far differenza sulla giustificazione dell’egoistico o altruistico? Nel libro di Tamburrini c’è un capitolo che si pone di fronte allo sviluppo tecnologico nelle sue difficoltà. Vi sono due possibili versioni di ricerca di Intelligenza artificiale: al contestuale, cioè che si ricerca mano mano che si progetta in questo ambito, o al forte, per cui la riflessione etica precede la progettazione. Tamburrini introduce alcune considerazioni che abbiamo in parte già anticipato nell’etica della tecnica, per cui nello sviluppo tecnologico vi sono caratteristiche che rendono difficile vedere lo sviluppo tecnologico. Vi sono limiti del progresso tecnologico: bisogna abbandonare l’ottimismo ideologico, per cui tecnica è panacea di tutti i mali. Incapacità decisionale, bias e specializzazione: chi produce tecnologia lo fa in base ai propri bias. Imprevedibilità del progresso tecnologico, scissione tra intenzioni e sviluppo. Idea che il filosofo morale piuttosto che ragionare a priori su principi per risolvere il problema tecnico a volo d’uccello, deve invece impegnarsi in una valutazione contestuale dando il proprio contributo mano mano che la tecnica viene dispiegata. Etica con metodo: - Soft = ethically sensitive design (metodo che va dal contestuale ai principi); - Hard = ethically principled reasoning (da principi a casi particolari). Idea per cui le questioni più interessanti sono allocate nel metodo soft, mentre quello hard produce riflessioni su scenari che non solo non sono realizzabili attualmente ma nemmeno in futuro. La riflessione sull’agentività dei robot è una questione che secondo questo punto di vista non dovremmo occuparci adesso. Ambito normativo in cui i principi e criteri rispecchiano società che cambia e può creare fughe in avanti rispetto a ciò che è attualmente possibile. Primo robot ad avere ottenuto la cittadinanza in Arabia Saudita è Sophia cinque anni fa (manco le donne hanno tali diritti). Robert Sparrow si chiede se i robot possono essere considerati agenti morali e lo fa tramite un test, il Turing Triage Test in cui egli si immagina questa situazione futura: un ospedale nel futuro usa un robot per diagnosticare pazienti e si tratta di un’intelligenza artificiale in grado di dialogare con i medici. Al medico che chiama al telefono il robot può sembrare di parlare con un medico qualunque: ha superato allora a pieni voti il test di Turing. Ma a un certo punto vi è un corto circuito, scoppia un incendio e dobbiamo scegliere quali pazienti salvare tra A e B. Difficoltà in quanto A e B sono nelle stesse condizioni e non vi sono proprietà discriminanti nella scelta. Se nel futuro in cui questa AI sarà presente noi ci trovassimo nella difficoltà di scegliere tra il paziente e l’intelligenza artificiale, di fronte a questo l’intelligenza artificiale possiede proprietà che ci possono indurre a considerarla come persona e come agente morale. Questo test è un test empirico o concettuale? Se fosse empirico dovremmo interrogarci su quali sono quei criteri che consideriamo necessari per definire una persona come tale e che siamo disponibili a riconoscere all’AI: - Consapevolezza di sé - Linguaggio e comunicazione - Capacità cognitive complesse - Capacità emotive Se noi individuiamo una lista di questo tipo allora un test del genere ci fornisce una serie di criteri per cui se l’AI possiede queste caratteristiche allora ci troviamo di fronte a qualcosa con statuto morale. Ma Sparrow dice che il suo è un test di tipo concettuale; l’unica conclusione che possiamo trarre da questo test è che le macchine avranno statuo morale quando una persona dovrà scegliere tra uomo e robot e sceglierà di salvare il robot. Il dilemma acquisisce il senso in alcune situazioni; oggi è chiaro che scegliamo di sacrificare la macchina, ma in futuro magari avremmo sviluppato certe relazioni con le macchine tali che questi dilemmi morali non saranno così semplici da sciogliere e questo dipende anche dal tipo di relazione che stabiliamo con la macchina. Sex Robots Questo ci porta alla riflessione sui Sex Robots. Schema di Mori, ingegnere giapponese, che ha sviluppato l’ipotesi dell’Uncanny Valley (valle perturbante), ipotesi per cui quanto più un robot assomiglia all’essere umano, tanto più noi ci troviamo a nostro agio con esso e lo troviamo familiare, fino al punto in cui questo robot assomiglia moltissimo a noi ma inizia ad esibire caratteristiche e comportamenti che pone distanza. La curva della familiarità sale quanto più incrementa la somiglianza tra essere umano e macchina. La curva poi scende quando l’artefatto somiglia moltissimo a noi ma per come si comporta percepiamo che qualcosa non quadra. La linea ricomincia a salire nel momento in cui si risolvono questi problemi. Ad esempio possiamo far e la curva dell’Uncanny Valley rispetto al movimento: lo Zombie esibisce un alto grado di somiglianza con l’uomo, ma i suoi movimenti sono tali che ce lo rendono distante da noi. Così come una mano artificiale che replichi perfettamente il movimento di una mano naturale fino a quando si riprende familiarità con essa. Alcune ricerche hanno mostrato che ‘ipotesi non tiene, perché non sempre is ha questo effetto di estraniamento o di distanza. Se noi parliamo di robot da usare in aree particolarmente sensibili della nostra esistenza (come robot all’interno della sfera sessuale) l’Uncanny Valley è rilevante. John Danaher ci dice le tre condizioni per entità artificiali ad usi sessuali: 1) Forma umanoide = rappresentare un essere umano; 2) Movimento e comportamento simile a quello dell’uomo = capacità di rappresentare un essere simile all’umano nei suoi comportamenti (altrimenti effetto di estraniamento e perturbazione); 3) Qualche grado di intelligenza artificiale = capace di interpretare e rispondere all’informazione nel suo ambiente. Due casi cinematografici: Blade Runner, entità artificiali che vivono con uomini sono indistinguibili dagli esseri umani sia per estetica, comportamento e intelligenza. HER, sistema operativo che esibisce delle proprietà che non sono perfettamente inquadrabili nelle tre condizioni, perché il robot non ha un corpo e non ha una forma umanoide ma esibisce un comportamento cognitivo ed emotivo del tutto indistinguibile dall’essere umano. Ci si può innamorare di cyborg come in Blade Runner? Probabilmente sì. Ma si può amare un robot come in HER? Nel film il protagonista di fatto si innamora. La domanda si articola su più livelli; è chiaro che la finzione ci porta esempi in cui si può amare un robot perché questo esibisce comportamenti o caratteristiche che li rendono perfettamente assimilabili agli umani. Ma nel caso di HER è più difficile. Nel libro di Balistreri ci si pone tale questione. Lezione aggiuntiva I criteri che abbiamo visto li possiamo leggere in chiave antropocentrica. Danaher applica al mondo artificiale dei robot quei criteri che noi usiamo quotidianamente per rapportarci agli altri umani. Questa operazione di Danaher non è dissimile da quella attuata in etica animalista, in cui alcuni indirizzi propongono criteri antropocentrici: per considerare come moralmente rilevanti gli animali non umani, c’è bisogno in qualche modo di assimilarli agli umani. È possibile amare un robot? Avere un innamoramento per un robot che, come nel caso di Blade Runner, sia indistinguibile dall’essere umano? In tal caso sì perché vi è un’assimilazione tra chi mi sta di fronte e il genere umano, ma apparentemente più difficile è il caso del sistema operativo. Balistreri formula una risposta al quesito dicendo che è possibile innamorarsi di un robot, tracciando analogie delle ragioni dell’innamoramento tra esseri umani e quelle tra robot. Due domande diverse: si può amare un robot? Ci può essere amore tra un umano e un robot? La seconda rappresenta una relazione più univoca. Ci possono essere forme di amore più disparati: amore non corrisposto verso persone famose, amore verso se stessi e amore verso animali. Con la seconda domanda ci si pone la questione della reciprocità, molto più complessa perché si richiedono forme di intelligenza artificiale molto complesse e in grado di replicare intelligenza ed emozioni umane, a meno che non si ragioni nell’ottica della professoressa Damiano, che ci ha presentato una concezione relazionale delle emozioni, per cui il problema non è sapere se esiste una soggettività che prova certe emozioni, ma se il modo di fare dell’altro è in grado di suscitare in me certe emozioni e di creare un loop emotivo, in cui ci sono feedback che alimentano certe emozioni. Se noi la pensiamo in un senso relazionale del genere, allora potremmo sostenere che una genuina relazione di amore può esserci con un’intelligenza artificiale capace di feedback ma incapace di provare emozioni nel senso interno. Molto quindi dipende dalla nostra concezione dell’amore. Frankwurt(?) ritiene che amiamo qualcuno e poi gli associamo un valore, anche se l’amore nasce per cause naturali disparate. Ma se invece abbiamo una propensione naturale verso l’altro, allora noi giudichiamo con valore sul campo e questo spiega l’amore per una macchina. Tamagotchi ha creato un vero e proprio sentimento di affezione, equiparabile verso quello che proviamo verso animali di casa: senso unidirezionale non difficile da esemplificare. Balistreri indaga l’inquadramento del sex robot: quando questo ha funzioni rudimentali porta a una forma di sessualità non assimilabile al rapporto vero e proprio e diventa solo masturbazione. Sessualità e morale: - Ordine naturale = ci sono forme di sessualità naturale che rimangono paradigmi per la moralità dell’atto. Dove si riconosce che esiste una natura e il nostro intervento è mirato a modificare tale natura ci troviamo di fronte a comportamenti moralmente problematici e sospetti. Valori sono creazione umana o qualcosa che noi scopriamo dalla natura? Dal punto di vista metaetico si scontrano due concezioni del valore. Bisogna distinguere ragioni morali e quelli della salute: noi potremmo pensare che chi si rivolge a sex robots sono persone che hanno problemi sociosanitari per incapacità di intrattenere relazioni. Ma il rivolgersi ad essi non implica per forza una degenerazione poiché magari è un modo per superare le difficoltà. Si può pensare ad un uso medico o di aiuto psicologico per superare le difficoltà sociopsicologiche che le persone possono avere tra loro; - Autenticità = di fatto chi sostiene questi argomenti sostiene che il rapporto con il sex robot è inautentico, perché ci rapportiamo a macchine e non esseri umani. È possibile che i futuro le macchine diventino sempre più sofisticate, ma comunque rimane inautentico perché chi autoinganniamo che dall’altra parte ci sia qualcuno quando c’è solo un qualcosa. Non intratteniamo con la realtà un rapporto trasparente, ma di fatto siamo portati all’inganno più raffinato. Ma la manipolazione è davvero così negativa? Ingannare qualcuno non implica non rispettare l’autonomia. La seduzione è un atteggiamento in cui gli uomini ingannano gli altri pur rispettando la loro autonomia; - Carattere = si stanno progettando robot che vanno sedotti. Ma se una persona non aspetta li consenso del robot che succede? Avremmo una forma di sesso non consensuale. Gli argomenti basati sul carattere si declinano in due sensi: in un senso la relazione sessuale con un robot