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Fedro e le sua favole, Versioni di Latino

traduzione di alcune favole di Fedro

Tipologia: Versioni

2020/2021

Caricato il 07/10/2021

angela.angela
angela.angela 🇮🇹

4.3

(6)

42 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Fedro e le sua favole e più Versioni in PDF di Latino solo su Docsity! Vacca et capella, ovis et leo Numquam est fidelis cum potente societas: testatur haes fabella propositum meum. Vacca et capella et patiens ovis iniuriae socii fuere cum leone in saltibus. Hi cum cepissent cervum vasti corporis, sic est locutu partibus factis leo: "Ego primam tollo, nomina quia leo; secundam, quia sum socius, tribuetis mihi; tum, quia plus valeo, me sequetur tertia; malo adficietur, siquis quartam tetigerit". Sic totam praedam sola improbitas abstulit. Non è mai leale la società con un potente: questa favoletta testimonia il mio proposito. Una vacca, una capretta e una pecora tollerante dell’offesa furono alleate di un leone nei boschi. Avendo questi preso un cervo di gran corporatura, così il leone parlò, dopo aver fatto le parti: “Io prendo la prima poiché sono chiamato leone; mi attribuirete la seconda, poiché sono un alleato; allora, poiché valgo di più, mi toccherà la terza; se qualcuno toccherà la quarta parte, finirà male.” Così, il solo prepotente si portò via tutta la preda. LEONE > eloquente Vulpis et aquila Quamvis sublimes debent humiles metuere, vindicta docili quia patet sollertiae. Vulpinos catulos aquila quondam sustulit, nidoque posuit pullis escam ut carperent. Hanc persecuta mater orare incipit, ne tantum miserae luctum importaret sibi. Contempsit illa, tuta quippe ipso loco. Vulpes ab ara rapuit ardentem facem, totamque flammis arborem circumdedit, hosti dolorem damno miscens sanguinis. Aquila, ut periclo mortis eriperet suos, incolumes natos supplex vulpi reddidit. I superbi devono temere moltissimo gli umili, poiché la vendetta è esposta a una duttile furbizia. Una volta un'aquila catturò dei piccoli volpini e li adagiò sul nido per i (suoi) pulicini affinché (li) beccassero. Mamma volpe, che aveva seguito questa, cominciò a supplicar(la) di non arrecare a (lei) infelice un così grande dolore. Quella disprezzò (la preghiera della volpe), dato che (era) al sicuro in quel posto. La volpe prese una fiaccola ardente dall'altare (degli dei), circondò tutto l'albero con le fiamme, mischiando al danno della (sua) progenie il dolore del nemico. prometteva cosii' alla misera nemica una morte atroce, anche procurando danno (con danno) ai suoi figli. E L'aquila, per sottrarre i suoi (figli) dal pericolo di morte, restituì supplice i figli incolumi alla volpe. Graculus superbus et pavo Ne gloriari libeat alienis bonis, suoque potius habitu vitam degere, Aesopus nobis hoc exemplum prodidit. Tumens inani graculus superbia pinnas, pavoni quae deciderant, sustulit, seque exornavit. Deinde, contemnens suos, immiscet se ut pavonum formoso gregi. Illi impudenti pinnas eripiunt avi, fugantque rostris. Male mulcatus graculus redire maerens coepit ad proprium genus, a quo repulsus tristem sustinuit notam. Tum quidam ex illis quos prius despexerat "Contentus nostris si fuisses sedibus et quod Natura dederat voluisses pati, nec illam expertus esses contumeliam nec hanc repulsam tua sentiret calamitas". Perché nessuno si glori dei meriti altrui e la vita diriga secondo la propria natura, Esopo ci ha tramandato questo esempio. Gonfia di vana superbia, una cornacchia raccolse le penne cadute a un pavone e si omnò. Poi, disprezzando i suoi, si immischiò nel bel gruppo di pavoni. Questi strappano le penne all’uccello con i becchi e la mettono in fuga. Malamente ferita, la cornacchia cominciò a ritomare, afflitta, alla propria specie, dalla quale respinta, subì una triste umiliazione. Allora, una di quelle che prima aveva disprezzato: “Se tu fossi stata contenta del nostro posto e avessi voluto accettare quanto la natura ci aveva dato, non avresti subìto quell’offesa, né ora la tua sventura proverebbe questo rifiuto”. Bersaglio Fedro = vanità Rana invida bovis Inops, potentem dum vult imitari, perit. In prato qundam rana conspexit bovem et tacta invidia tantae magnitudinis rugosam inflavit pellem: tum natos suos interrogavit, an bove esse latior. Ille negaverunt. Rursus intendit cutem maiore nisu et simili quaesivit modo, quis maior esset. Illi digerunt bovem. Novissime indignata, dum vult validius infilare sese, rupto iacuit corpore. Il debole, mentre vuole imitare il potente, muore. In un prato una rana vide il bue e, prese dall’invidia per tanta grandezza, gonfiò la pelle rugosa, poi interrogò i suoi figli se fosse più grande del bue. Quelli dissero di no. Tese la pelle di nuovo con sforzo maggiore e chiese allo stesso modo chi fosse più grande. Quelli dissero il bue. Indignata sempre più, mentre vuole gonfiare se stessa più evidentemente, giacque con il corpo scoppiato. Canis per fluvium carnem ferens Amittit merito proprium qui alienum adpetit. Canis, per fluvium (= moto per luogo) carnem (se traducessi “un pezzo di carne” = sineddoche) cum ferret, natans Iympharum in speculo vidit simulacrum suum, aliamque praedam ab altero ferri (= infinito passivo di fero) putans eripere voluit; verum decepta (= participio congiunto) aviditas (= personificazione) et quem tenebat ore (complemento di mezzo >> non c'è “in”) dimisit cibum, nec quem petebat adeo potuit tangere. Meritatamente perde i propri beni chi desidera gli altrui. Un cane, mentre trasportava la carne lungo il fiume, nuotando notò nello specchio delle acque la sua immagine, e credendo che un’altra preda venisse trasportata da un altro volle prenderla; però l’avidità fu ingannata e perse il cibo che teneva in bocca, né poté ottenere quello che desiderava. Denuncia l’ingorgia, l’ambizione degli uomini i quali dovrebbero accontentarsi di quello che hanno Vulpis ad personam tragicam Personam tragicam forte vulpes viderat; quam postquam huc illuc semel atque iterum verterat, 'O quanta species' inquit 'cerebrum non habet.' (= dativo di possesso ??). Hoc illis dictum est quibus (= dativo di vantaggio) honorem et gloriam Fortuna tribuit, sensum communem abstulit. Una volpe a caso aveva visto una maschera tragica; dopo averla ruotata di qui e lì più volte disse“ Oh quanta bellezza, però non ha il cervello”. Ciò venne detto per quelli a cui Fortuna attribuì onore e gloria, però rimosse il comune ingegno.