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Ferrante e Tranquillo: Nozioni di diritto della previdenza sociale, Appunti di Diritto della Previdenza Sociale

Appunti lezione diritto della previdenza sociale: -Sistema a capitalizzazione e a ripartizione, sistema retributivo e contributivo; -Modifiche al sistema pensionistico italiano e sistema attualmente in vigore; -Previdenza lavoratori dipendenti, autonomi e previdenza privata e complementare; -Pensioni di vecchiaia, inabilità e superstiti; -Pensioni estere; -La contribuzione; -Le sanzioni.

Tipologia: Appunti

2020/2021
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AndreaC5
AndreaC5 🇮🇹

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Scarica Ferrante e Tranquillo: Nozioni di diritto della previdenza sociale e più Appunti in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! INTRODUZIONE La previdenza sociale appartiene al diritto del lavoro, anche se previdenza sociale risale a prima. Previdenza sociale si occupa attraverso norme di legge, dove sindacato gioca un ruolo iniziale importante, che cercano di garantire continuità di reddito al lavoratore. Il contratto di lavoro infatti conosce delle ipotesi in cui la prestazione non viene resa e il rapporto si interrompe o rimane quiescente, in questi casi non c’è retribuzione. In epoca di Rivoluzione Industriale il salario si pagava di giornata in giornata, se uno non lavorava quel giorno perché infortunato non pagato, quando troppo vecchio non era più idoneo a lavorare e non percepiva più reddito e il rapporto rimane sospeso. In queste situazioni il lavoratore era senza reddito e in ‘800 questo era un problema che determinava situazione molto seria. La Rivoluzione Industriale comporta una rottura dei legami famigliari tra chi costretto ad abbandonare le campagne e chi ci restava, visti i trasporti dell’epoca questa lontananza determinava il venir meno dei rapporti famigliari. Questi lavoratori che diventano inidonei al lavoro comportano un gran problema. C’era poi squilibrio tra retribuzione maschile e femminile, uomo era capo famiglia, donne poi escluse da certi ruoli, poi vi era esigenza famigliare di cura che rendeva per le donne più difficile svolgere lavoro salariato. Quindi se lavoratore moriva si rischiava che vedova si trovasse a dover mantenere la prole con molti limiti di reddito. Da questi punti di vista, un governo apparentemente di destra, quello di Bismark, che dalla Prussia riesce ad unificare i paesi di lingua tedesca. Industria tedesca cresce e fa concorrenza all’Inghilterra, si avvertiva qui la presenza di larghi strati di proletariato a ridosso della condizione di povertà. Poi dopo la Prima Guerra Mondiale si ha periodo in cui la Germanie sembra seguire esempio della Russia sovietica, verso una riforma socialista. Negli anni ’80 del 19 secolo il cancelliere prussiano si rende conto che a queste persone bisogna dare una risposta, che viene trovata nell’obbligo per le imprese di assicurarsi, in caso di danni provocati al lavoratore esposto a rischio infortunio, o alla famiglia di quest’ultimo, l’assicurazione paga un indennizzo, diverso da risarcimento che copre intero importo della perdita, indennizzo invece non copre l’intero importo. Diritto della previdenza sociale nasce quindi nella Germania di presenza bismarkiana e nasce come strumento per rispondere alla questione sociale, per garantire che i lavoratori non rimangano esposti ai rischi della vita che riguardano gli infortuni sul lavoro, che era prevalentemente manuale ai tempi, un infortunio prolungato quindi avrebbe comportato mancanza del reddito e c’era bisogno di un’indennità che lo garantisse durante la convalescenza, in caso di infortunio permanente allora indennizzo che indennizzava all’invalido o alla vedova il danno economico. Questo meccanismo assicurativo dilaga velocemente in tutta Europa, in Italia nel 1898, con una legge molto simile a quella odierna. Accanto a ciò si sviluppa poi un sistema pensionistico con lo stesso meccanismo, appartiene anch’esso al diritto delle assicurazioni e a quella branca della statistica attuariale. Statistica studia fenomeni come aggregazione di grandi numeri, nessuno può prevedere quanti saranno infortuni, ma si può tenere conto di quelle che sono le tendenze, nessuno sa chi si infortunerà però per la legge dei grandi numeri se ne può prevedere la tendenza. In questo modo si prevedono imposti che l’assicurazione dovrà corrispondere a chi si infortuna, in base a ciò, per garantire di riuscire a pagare questi risarcimenti, divide il totale per il numero di assicurati, aggiungendo un po’ do più per fare dell’utile se si tratta di compagnia assicurativa privata. 1 Le prime assicurazioni di Bismark seguono questo criterio, questo sistema può essere utilizzato anche per garantire una pensione, però è più complesso perché mentre nel sistema INAIL l’equilibrio deve essere raggiunto a fine anno, nel sistema pensionistico si ha un lungo periodo di accumulo e un parimenti lungo periodo di rilascio. Il problema è che il pensionato al momento della pensione non sa quanto gli rimarrà da vivere, quindi nel momento in cui gli viene corrisposta una somma, non sa poi come usarla perché non sa in quanto tempo spalmarla, il pensionato deve avere la certezza di avere un reddito stabile per tutta la rimanente vita e può regolarsi in base ad importo mensile della pensione, che poi nel caso italiano ad esempio si adegua all’inflazione. Questo rende la pensione impareggiabile rispetto all’iniziativa privata. COME FUNZIONA IL SISTEMA PENSIONISTICO: questo sistema riesce a garantire pagamento periodico e vitalizio attraverso un sistema che tiene conto di un accrescimento del fondo. Si preleva mensilmente una somma dallo stipendio, in Italia 9% della retribuzione lorda + 24% di quest’ultima di contribuzione a carico dell’impresa. La pensione si calcola in base agli anni di contribuzione e all’aspettativa di vita, calcolate dall’ISTAT sulla base della legge dei grandi numeri, unificate per uomini e per donne. L’INPS quindi prende il capitale che il pensionato ha versato nella sua carriera, lo divide in tante parti quanti sono anni di vita rimanenti (e poi ancora per 13) e la eroga. Se uno supera gli anni di aspettativa di vita l’INPS prende i soldi da fondi pensionistici, dove vanno soldi rimanenti di chi ha vissuto meno dell’aspettativa. Se la speranza di vita viene calcolata perfettamente l’INPS dovrebbe andare a pareggio. Detto ciò, c’è anche un problema di entità delle pensioni in questione, magari crepa prima un pensionato con pensione modesta e vive più a lungo uno con pensione cospicua, quindi il calcolo è complicato. In realtà la speranza di vita degli italiani negli ultimi 25 anni è cresciuta in modo imprevedibile, 25 anni fa era meno di 80 per donne e ora è quasi a 85, uomini sono a 78, questa differenza è presente in molti paesi. 2 Rapporto tra popolazione attiva e non andrebbe mantenuto, quando età di uscita era a 52 anni l’area della popolazione attiva era piccola in termini di età ma grande in termini di numero. Questo è il motivo per cui in ultimi 50 anni molte riforme pensionistiche: Amato, Berlusconi, Prodi, Fornero e Conte con riforma quota 100, queste riforma hanno operato per innalzare età del pensionamento per innalzare rapporto tra attivi e non attivi perché equilibrio dell’INPS era quasi sempre precario. La Fornero in questo momento prevede pensionamento fino a 71 anni. Dal ’95 al 2011, l’età minima di accesso al pensionamento è cresciuta di 10 anni perché la composizione della popolazione che si è modificata, vede un numero di nati che si riduce. Tra 30 anni ci si chiede che situazione si avrà, situazione complessa, vanno fatte 2 osservazioni:  Aspettativa di vita: questa struttura demografica odierna ce l’abbiamo solo noi e Giappone, in altri paesi europei è diversa, solo Italia ha aspettativa di vita così elevata, altri paesi meno.  Numero di nati basso: poi altra osservazione è che numero dei nati è molto basso, tra i più bassi al mondo, le ultime statistiche segnano che paesi del Nord Europa stiano conoscendo un nuovo incremento nelle nascite anche grazie a politiche di incentivo alla famiglia;  Tasso di attività basso: inoltre abbiamo tasso di attività del 60% di persone in età lavorativa che è bassissimo, quelli che non ne fanno parte sono studenti, NEET e altro. La disoccupazione in realtà è solo una parte della popolazione non attiva perché si distingue negli ultimi anni tra attivi, disoccupati e scoraggiati che dopo aver cercato lavoro a lungo non lo cercano più e non rientrano nei disoccupati. Si potrebbero fare vari interventi,  Emersione del lavoro nero: ISTAT stima 4 milioni di lavoratori in nero che non versano tasse o contributi, lavoro nero andrebbe fatto emergere;  Politica di sviluppo dell’occupazione: numero delle laureate donne inattive elevato, incentivare occupazione femminile;  Politica di sviluppo delle nascite: incentivare aumento delle nascite, questo richiede però tempi lunghi;  Politiche di immigrazione: politiche di attrazione di popolazione giovane da altri stati, qui interventi possono essere selettivi. LO SVILUPPO DELL’OCCUPAZIONE: in particolare sviluppo dell’occupazione è importante, è uno spreco avere giovani laureati che non lavorato, le politiche della Biagi del 2003, del sistema pensionistico, sono state dettate dall’INPS, che è indirettamente intervenuto. Nel libro bianco del 2003 si diceva che rapporto tra popolazione attiva e popolazione finanziata era squilibrato, quasi 1 a 1 mentre devono essere molto più gli attivi, si promosse così lavoro a termine che è lavoro precario che era comunque meglio di lavoro nero che non pagava contributi. Poi si è scoperto che erano molti che venivano assunti con queste forme, era misura ce mirava a espansione popolazione attiva. Noi abbiamo pochi servizi all’impiego che facilitino incontro tra domanda e offerta, molte volte imprese cercano giovani qualificati che non ci sono e che non si trovano, sistema scolastico anche non incontra esigenze delle imprese, quindi c’è mancato incontro tra richiesta di lavoro con certe qualificazioni e domanda. La riforma dell’università di 10 anni fa fatta perché si registrava numero di laureati bassissimo, Italia ultima in Europa. 5 ARTICOLO 38: al comma 1 si occupa di assistenza e al 2 della previdenza. Al comma 1 si dice che ogni cittadino inabile al lavoro o senza mezzi per vivere, ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale, mantenimento e assistenza sociale affiancate, reddito di cittadinanza contestato quindi perché rivolto anche a chi non lavorava pur non essendo inabilitato al lavoro. Nel dibattito dottrinale si è richiamato articolo 4 che dice che lavoro è un diritto e un dovere, si è detto che qui intervento di assistenza è un indennizzo che lo stato da, non riuscendo a trovare lavoro alla persona gli da un sostegno economico, che però dovrebbe essere affiancato a politiche promozione dell’occupazione. In sistema tedesco invece il disoccupato prima prende indennità di disoccupazione (finanziata da sistema previdenziale e correlata al reddito) affiancata a politiche attive. Al comma 2 si dice che tutti i lavoratori hanno diritto di avere mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, quindi non mantenimento con indispensabile, ma mantenere il tenore di vita precedente, in caso di infortunio (INAIL), malattia (INPS), invalidità (che da diritto a pensione anticipata) e vecchiaia e disoccupazione involontaria (sempre INPS), non si parla di tutela della famiglia e di maternità. Nel comma 3 si dice che inabili e minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale, ovvero serve a fornire una competenza utile al lavoro in relazione al tipo di handicap. Poi comma 4 e 5 dicono che ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato e che l’assistenza privata è libera. ACCESSO AL PENSIONAMENTO: accesso al pensionamento è frutto di incrocio di 3 variabili:  Età anagrafica;  Anzianità contributiva: numero di settimane in cui si sono versati contributi da lavoro;  Importo della pensione: uno potrebbe essere lavoratore part-time, se una fa la cassiera nel fine settimana, per un totale di 12 ore a settimana, verso contributi per 12 ore a settimana e anche se verso questi contributi per 40 anni l’INPS non mi riconosce in base a questi una pensione, perché importo dei contributi che ho versato è ridotto e quindi non possono garantire un importo pari al minimo, quindi non consente accesso anticipato alla pensione ma si attende che si compiano 71 anni in modo da versare pensione per meno tempo. Le vicende lavorative quindi hanno un’influenza sul sistema. 6 IL SISTEMA DELLE PENSIONI Va fatta una doppia contrapposizione, relativa al finanziamento del fondo e qui abbiamo:  Sistemi a capitalizzazione: in origine INPS lo era  Sistemi a ripartizione: INPS lo diventa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Altra distinzione riguarda sistema di calcolo della pensione che può essere:  Di tipo retributivo: fino al ’95 INPS funzionava così;  Di tipo contributivo: dal ’95 per i neo-assunti INPS introdusse questo sistema, poi generalizzato nel 2012. SISTEMA A CAPITALIZZAZIONE: un fondo di previdenza (pubblico o privato), funziona come se fosse una banca, ognuno fa versamenti che finiscono apparentemente in un conto individuale, ma a differenza della banca vera e propria, nel fondo dell’INPS, il soggetto che versa non può accedere all’intero ammontare, versamenti sono irreversibili, l’INPS li trattiene e non c’è un contratto di deposito come la banca, il lavoratore matura diritto alla prestazione. Quindi non c’è un deposito, i contributi che verso non sono più miei, i miei eredi non possono chiederli in eredità nel caso si morisse prima di ricevere pensione, in certi casi infatti prevista pensione di reversibilità. Con il sistema a capitalizzazione INPS ha una lunga fase di accumulo, durante il quale chi versa matura diritto alla pensione, teoricamente se si fondasse ora un sistema del genere, fino al 2060 non pagherebbe nessuna pensione perchè accumulerebbe e basta, questo accadde negli anni ’30 quando fu fondata l’INPS. Nel sistema a capitalizzazione INPS è un fondo con soldi che addirittura ha un problema di come gestirli, sono cifre molto ingenti con cui l’INPS cerca di effettuare investimenti, come le banche, il denaro fermo infatti rischia di generare inflazione. Se io lascio alla banca il capitale e lo richiedo dopo 10 anni, non mi può dare lo stesso importo ma mi dovrà riconoscere l’interesse, ovvero vantaggio ottenuto dall’avere a disposizione quei soldi. Il capitale produce infatti altro capitale, secondo tassi di rendimento variabili, nei periodi di inflazione sono alti, nei periodi di bassa inflazione sono bassi. INPS quindi in anni ’30 aveva problema di investire i capitali per svitare che rimanessero infruttuosi. Li investì come fanno le imprese assicuratrici, ovvero in parte in immobili (EUR di Roma o sedi storiche a piazza Missori a Milano), perché anche con inflazione elevata, se si possiede un palazzo questo può dare investimento legato a vendita, locazione o garanzia ipotecaria. Solo che ad un certo punto nel ’40 Italia entra nel conflitto mondiale e questi richiede conversione industriale, questo comporta il dover pagare i produttori e l’unica che ne aveva così tanti era l’INPS, si verificò così un doppio fenomeno:  Da una parte l’utilizzo delle risorse dell’INPS;  Dall’altro problema che negli ultimi anni degli anni ’30 Italia era stata messa al bando dalla Comunità Internazionale per aver invaso l’Etiopia (anch’essa membro della società delle nazioni), questo fece sì che non vi erano più scambi con gli stati che ne facevano parte e l’Italia, avendo poche materie prime, dovette trovare usando le proprie risorse dei materiali da poter usare in ciò che prima si poteva ricavare dal commercio mondiale. Questo determinò che quando nel ’43 le truppe alleate sbarcarono in Sicilia, si riaprì commercio con l’estero e questo determinò altissima inflazione, la lira si azzerò quasi del tutto come valore e quindi contributi versati nel decennio precedente non c’erano più; in parte per il primo motivo, in parte perché inflazione li aveva bruciati. INPS si trova quindi negli ultimi anni ’40 a dover pagare delle pensioni in relazioni a capitali che ormai non c’erano più. Sistema a capitalizzazione quindi fu immediatamente abbandonato e si adottò sistema a ripartizione. 7 Riforma salva tutti i lavoratori che avevano almeno 18 anni di età contributiva e qualcuno fa notare che nessuno si iscriveva a sindacato se non almeno a quasi 20 anni di carriera, quindi non si tutelano giovani ma di fatto iscritti al sindacato, coloro che hanno una prospettiva ancora di 22 anni di lavoro, per loro riforma non vale ma solo per chi ne ha meno di 18, questo dà stabilità perché non si fanno scioperi. Però il governo tecnico presieduto da Dini è governo che ottiene voto di fiducia, la riforma si fa ma solo per meno di 18 anni e per chi da lì in poi entrava in mondo di lavoro. PENSIONE CONTRIBUTIVA: questa riforma tornava da sistema retributivo a contributivo, non importa quanti anni hai versato, ciò che importa è questo si trova nel tuo cassetto, anche se hai lavorato pochi anni quindi vai in pensione ma prendi poco. Nessun effetto redistributivo quindi, qualcuno dice che la solidarietà dell’articolo 38 non c’è. Questo sistema ha avuto successo perché il rischio del precedente sistema retributivo era rischio di sistema frammentato, sistema era nato con sistemi di regimi speciali che erano ancora più favorevoli per i singoli, ogni categoria negoziava, questa selva di regimi speciali, mentre le regole del contributivo era standard, con contributivo resiste di più alle lusinghe delle politiche e ha resistito alla tentazione di una modifica politica, c’è problema comunque di lavoratori che fanno attività usuranti che hanno aspettativa di vita più breve, però è un sistema che è stato accettato, prezzo pagato è stato quello di una lunghissima fas di messa a regime. 10 MODIFICHE AL SISTEMA PENSIONISTICO ITALIANO Rapporto tra popolazione attiva e popolazione da mantenere è pericoloso, non solo per molti disoccupati e poche nascite ma anche perché italiani erano abituati ad un’uscita precoce dal lavoro. Con riforma Dini parte dell’idea che non si possa uscire dal mercato del lavoro prima dei 52 anni. Negli ultimi anni poi la speranza di vita è aumentata in modo prodigioso e questo ha condotto a balzi in avanti, quando si usciva a 52 anni quindi l’aspettativa di vita era più bassa. In questa prospettiva le riforme che si sono succedute hanno operato su quel rapporto e in 25 anni siamo passati da 52 a 62 anni di età pensionabile, oggi addirittura può avvenire a 71 anni. Però non si può spostare avanti all’infinito l’età pensionabile perché si rischia altrimenti che crescano le pensioni di invalidità. Noi abbiamo sistema che parte da legge 153 del ‘69 che era una legge pensata per una popolazione operaia che chiedeva tutela e anticipa per certi versi lo statuto dei lavoratori del ’70. E un sistema pensato per tutelare operai e consentire uscita degli operai il prima possibile. I requisiti erano semplici: si prendeva la retribuzione, si faceva media di ultimi 5 anni nel privato e per ogni anno di versamento si calcolava il 2% della retribuzione media (degli ultimi 5 anni) nella pensione, con il massimo dell’80% raggiungibile in 40 anni che poi però non aumentava più. La legge del ’92, legge Amato, introduce qualche modesto incremento, porta l’età minima a 65 uomini e 60 donne e porta contribuzione da 15 a 20 anni, al di là di questa modifica non interviene però sulla pensione di anzianità. La pensione di anzianità è quella per cui se lavoratori non possono andare in pensione prima di una certa età, non abbiamo problema della speranza di vita che è determinata dal fatto che la pensione viene maturata ad un certo momento della vita individuale. Speranza di vita non è individuale ma collettiva, non è poi in base al sesso perché altrimenti le donne sarebbero danneggiate, perché se la pensione è data dal montante divisa per anni che rimangono da vivere, questi sono maggiori per le donne che quindi si vedono montante spezzettato in pezzi più piccoli, con il risultato che donne prenderebbero pensione minore. Se il massimo della pensione si raggiungeva a 40 anni ma si andava in pensione a 60 e 55 (prima di legge Amato), operaio che aveva iniziato a lavorare a 15 anni e aveva raggiunto massimo pensionistico molto prima, da quel momento in poi avrebbe lavorato solo per beneficiare INPS e senza migliorare sua posizione per la pensione. In questo modo operai potevano o continuare a lavorare e “regalare” 5 anni di contribuzione all’INPS, oppure si dimettevano ma così fino a raggiungimento di età anagrafica non potevano avere accesso alla pensione. Inoltre nel ’69 operaio cominciava a “dare di matto” perché arrivavano i computer e nuove tecnologia, chi aveva iniziato a lavorare a 15 anni aveva scolarità bassissima e quindi c’era una situazione in cui popolazione operaia che era poco in linea con l’evoluzione tecnologica e occupava posti di lavoro quando ormai ciclo economico cominciava a rallentare. LA RIFORMA DEL ’69: quindi nel ’69 i politici hanno fatto “rottamazione degli operai anziani” e hanno mandato questi in pensione prima del raggiungimento dell’età anagrafica, in questo modo si mandava via operaio scontento e si liberava posto per giovani più motivati, produttivi e in linea con nuove tecnologia. Nel momento in cui però si sono incoraggiati operai ad abbandonare posto di lavoro, gli si è dovuta promettere una prestazione generosa, quindi si disse cha bastavano 35 anni di versamento, quindi a 50 anni uno poteva andare in pensione, non di vecchiaia ma anticipata che prese il nome di pensione di anzianità, che finì per sovvertire i sistemi di calcolo, perché raggiunti 35 anni si è fuori e nel calcolo di questi 11 35 anni, che svantaggiavano laureati che altrimenti arrivavano a 58 anni, viene consentito di riscattare gli anni di laurea e andare in pensione a 52/53 anni. Ovviamente il guasto stava nel fatto che pensione veniva comunque calcolata in modo uguale, che si uscisse a 52 o 60, non c’era parametro correttivo per compensare fatto che chi andata a 52 prendeva molte più mensilità, non si divideva il montante in pezzi più piccoli, questo per incoraggiare ad andare in pensione prima. Stesso ragionamento fatto a gennaio 2019 con quota 100, che sollevò polemiche per costi aggiuntivi, che però secondo ragionamento avrebbero avuto impatto positivo su disoccupazione giovanile, che però in quarto trimestre 2019, dopo 9 mesi, si era ridotta dello 0,1%, quasi inesistente. In ’69 quindi la cosa andò in porto e la cosa andava benissimo anche alle imprese perché non vedevano l’ora di liberarsi prima di lavoratori anziani, questo portò al fatto che non si licenziava nessuno perché era più facile aspettare età del pensionamento anticipato. LA RIFORMA DEL ’92: quindi in ’92 la pensione di anzianità non viene toccata, ma si incrementa solo età pensione di vecchiaia, che però non ha senso se non si tocca pensione di anzianità, perché si colpisce solo quelli che discontinuità della vita lavorativa. Quindi quando nel ’94 vengono fatte elezioni, si vuole fare riforma ma poi governo cade, si fa un nuovo governo tecnico con Dini che avvia negoziato con sindacato e imprenditori e fa legge 235 che mantiene in vigore riforma del ’92 per chi avesse già maturato anzianità retributiva di 18 anni, dando vita ad un duplice regime, con periodo transitorio che ancora oggi non è finito. Riforma rivolta a chi era neo-assunto o per chi aveva meno di 18 anni di anzianità, 18 anni che si portava in eredità da riforma Amato che aveva preso in riferimento termine di 15 anni. Discorso complicato per discorso di diritti acquisiti, la tesi che si sosteneva era quella di un’immodificabilità del regime, chi aveva iniziato a lavorare con legge del ’69 non voleva che venisse cambiata per lui, si sarebbero dovuti attendere 40 anni per vedere effetti in termini prativi di questi interventi, una situazione davvero assurda, tra 40 anni chi vota adesso non ci sarà più, quindi corte costituzionale approvò fatto che parlamento intervenisse per situazioni che si erano già consolidate, ci so chiese in che termini diritto acquisito influiste sull’azione del legislatore. Corte Costituzionale disse che non esisteva diritto acquisito, una volta che si è presa la pensione rimane acquisita, ma fino a che lavoratore non ha ancora maturato diritto al pensionamento, si può ancora intervenire. Intervento però che deve essere improntato ad un principio di proporzionalità, che era stata interpretata da legislatore del ’95 come proiettata nel tempo, ovvero non si può togliere nulla a chi ormai è vicino al traguardo, mentre per chi vi è lontano si può intervenire legittimamente. Questa dilazione nel tempo degli effetti non c’è nella legge Monti-Fornero che entra in vigore subito. Dini-Treu quindi non tocca chi ha più di 18 anni di contribuzione, tocca chi ne ha meno sulla pensione di anzianità. Il montante viene rivalutato in base all’inflazione, moltiplicato per coefficiente di trasformazione che è uno “0,”, quindi era di fati divisione. Coefficiente varia a seconda dell’età che va da 52 a 65 e con Fornero arriva fino a ’70, coefficiente teneva in considerazione ani di vita. Altro aspetto di novità, rispetto al ’69 e paso avanti rispetto all’Amato, è che si innalza a 40 gli anni di contribuzione e a 58 come età minima, questo da frutti da 10 anni dopo e questo apre la strada al sistema delle quote. Si misero però nella legge delle clausole di salvaguardia che diceva che se si scopre che la spesa pensionistica invece che diminuire cresce, la riforma si blocca, tuttavia clausola rimase inattiva perché la spesa diminuì. 12 LA SITUAZIONE ATTUALE Attualmente noi continuiamo ad avere una pensione di vecchiaia e una anticipata, quella di vecchiaia ora si raggiunge quando si sia maturata età anagrafica (dal 2021) di 67 anni, prima del quale non vi si può andare, questo perché si è dovuto intervenire sulla base della piramide demografica per riassestare rapporto tra cittadini attivi e non attivi. A questi 67 anni si dovrà poi aggiungere periodo ulteriore che prende nome di speranza di vita che in questo momento ha raggiunto 12 mesi, quindi dall’anno prossimo probabilmente sarà 68 anni. Perché la pensione di vecchiaia possa essere maturata sono poi necessarie altre 2 circostanze:  Che si siano registrati almeno 20 anni di contribuzione, chi ne ha 19 dovrà attendere l’ultima chiamata che è a 70 anni;  Bisogna anche aver versato dei contributi sufficienti perché importo finale della mia pensione deve essere pari a una volta e mezzo il minimo, che in questo momento è intorno a 500€, quindi se ho lavorato a orario ridotto e con compensi modesti, se non raggiungo questa cifra (per maturare 750€ al mese di pensione) viene negata la pensione. Questi 2 requisiti vengono però meno ai 70 anni (71) perché raggiunta quell’età basta aver lavorato per 5 anni, anche se l’importo della pensione sarà modestissimo, a questo punto viene riconosciuta, se il lavoratore non ha lavorato nemmeno 5 anni allora non gli verrà riconosciuta la pensione. LE IPOTESI DI USCITA ANTICIPATA: fin da subito, fatta la legge Fornero, ci si pose prospettiva di trovare delle soluzioni che consentissero un’uscita anticipata, perché come ovvio non tutti i lavoratori hanno situazioni patrimoniali tali o fisico per lavorare fino a 70 anni. Allora c’è una lunga serie di ipotesi in cui si registra un anticipo. PRIMA IPOTESI: una prima ipotesi, regolata direttamente dalla Fornero, prevede 42 anni e 10 mesi di effettiva contribuzione per uomini e 42 anni per donne, questi anni di contribuzione non sono da tutti, sono quelli che hanno preso diploma superiore o laurea quadriennale e che poi sono entrati subito in un’impresa e hanno lavorato continuativamente, in questo modo si può andare anche intorno ai 62 anni, in questa ipotesi abbastanza rara contributi richiesti qui sono contributi effettivi, cioè che siano stati effettivamente versati. La Fornero però prevedeva una penalizzazione per tutti coloro che avessero avuto anticipo al pensionamento prima dell’età anagrafica di 62 anni, anche questa ipotesi minoritaria di soggetti che iniziano a lavorare a 16 anni, questa penalizzazione serviva ad incentivare lavoratori ad allungare ancora un po' la loro attività lavorativa e mantenere una percentuale di lavoratori attivi molto elevata; SECONDA IPOTESI: una seconda ipotesi, poco ricordata, è quella di contribuzioni particolarmente elevate, che portino la pensione a molto più di una volta e mezzo il minimo, in particolare 1400€, in questo caso con almeno 20 anni di contribuzione (e 2,8 volte l’assegno sociale), è possibile pensionamento a 63 anni; L’OPZIONE DONNA: una terza ipotesi è l’opzione donna, introdotta per la prima volta dalla legge Maroni del 2003 ed ebbe grande successo al punto che fu prorogata dall’INPS in assenza di una normativa chiara a riguardo. L’opzione donna, che è in vigore da quasi 20 anni, ha vantaggio che si può avere accesso al pensionamento con soli 35 anni di contribuzione ma le lavoratrici che optano per questa uscita anticipata rinunciano completamente all’applicazione del regime della pensione retributiva, ovvero tutta con pensione contributivo. 15 Con introduzione della pensione contributiva si erano create 3 ipotesi: se si era cominciato a lavorare dal 1 gennaio ’96 (neo-assunti) si applicava per intero sistema contributivo, se si aveva almeno 18 anni di contribuzione si applicava per intero regime retributivo (con unica cosa che anzianità si spostava da 35 a 40 anni), rimaneva poi una 3 fetta di lavoratori che avevano più di 1 settimana di contributi versati ma che non superavano i 17 anni e 51 settimane, tra essi ce ne sono molti che ormai vanno in pensione con questo sistema misto. Sistema misto prevede quindi il cumulo di una prima parte di pensione maturata prima del 1 gennaio ’96 calcolata in base a vecchio sistema retributivo, e quella maturata dopo calcolata in base a nuovo sistema contributivo. Nel sistema dell’opzione donna INPS permette di avere accesso alla pensione a 58 anni, anche con solo 35 anni di contributi, ma rinunciando allo spezzone di pensione retributivo e farsi calcolare intera pensione con sistema contributivo, questo determina grandi vantaggi per l’INPS in termini di costi perché pensione retributiva generalmente è più generosa. Tra qualche anno opzione donna verrà a morire perché non ci saranno più soggetti che avranno contribuzione in parte retributiva e in parte contributiva. QUOTA 100: una quarta ipotesi è quella di quota 100, introdotta nel 2019, anche qui c’era dietro uno scambio politico, governo giallo-verde ha deciso di fare un intervento assistenziale di tipo universale con reddito di cittadinanza ma contemporaneamente mandando in pensione prima i lavoratori. Quota 100 ha comportato un aggravio dei costi del bilancio dello stato perché condizioni di uscita erano ben diverse dalle precedenti, 4 o 5 anni prima. Tuttavia si proclamava che ci sarebbero state molte nuove assunzioni, nel 4 trimestre 2019, quando la legge era entrata in vigore da poco, i dati sull’aumento dell’occupazione, che va avanti da 5 anni con circa 200.000 in più all’anno, confermano stesso trend, se guardiamo però dato disaggregato per età ci si aspetterebbe di vedere che dato per classi di età alte si è ridotta e che viceversa occupazione della classe fino ai 29 incrementata, invece no, anziani non hanno visto riduzione significativa dell’occupazione, invece nella classe giovanile incremento è stato solo dello 0,1%, quindi in termini di costi e benefici la valutazione è negativa. Quota 100 prevede 38 anni di contribuzione, non per forza effettiva come nel caso dei 42 anni e 10 mesi di prima, ma anche figurativa, quindi li possono raggiungere anche persone che non hanno avuto carriera lavorativa continuativa. Prevede poi 62 anni di età e un divieto di cumulo, ovvero lavoratore che abbia raggiunto vecchiaia, se vuole lavorare non gli si dà pensione, anche nella legge del ’69 se si lavorava non si aveva diritto alla pensione. Con quota 100 accadde che le persone lavoravano in nero oltre a percepire pensione, soluzione proposta fu di facessero tutti come medici e avvocati che raggiunta vecchiaia possono continuare a lavorare e pagare contributi, che incrementa loro pensione di una quota minore e poi dopo una certa età basta, in questo caso praticamente si paga la pensione per lavorare quindi. Altra soluzione proposta è che si consentisse cumulo però con riduzione importo pensione, tenendo conto che si ha anche retribuzione, se si decide di smettere allora si paga pensione in misura normale. In questo momento, se abbiamo pensionato di vecchiaia o di anzianità, siamo in situazione paradossale, che riguardano più che operai la dirigenza pubblica e privata. Questi soggetti possono andare in pensione a 62 anni con 42 anni e 10 mesi di anzianità e fare domanda poi, appena gli viene pagato primo assegno mensile, tornano esattamente a are ciò che facevano prima. Questo, ai fini dell’occupazione giovanile è una sconfitta, il dirigente 62enne in pensione che continua a lavorare si prende pensione più retribuzione generosa e può andare anche avanti fino a 70 anni. Quando quota 100 nel 2019 fu introdotta, nel disegno di legge si prevedeva un rigidissimo divieto di cumulo. Poi la norma non è piaciuta al legislatore e quindi poi in fase finale si è ammesso un cumulo limitato a 5.000€, che poi bisogna vedere cosa viene dichiarato e cosa sia in nero. 16 ALTRE IPOTESI: qualche anno fa in Francia si voleva portare età pensionamento da 60 a 62 e questo causò moltissimi scioperi, con argomento principale che una ballerina non poteva ballare a 62 anni, da anni se ne discute, in Francia pensionamento delle ballerine avviene a 38-40 anni. Noi abbiamo disciplina dei lavoratori precoci e lavori usuranti. I precoci sono quelli che cominciano a lavorare prima dei 18 anni, con bassa scolarità quindi, quindi qui si prevede anticipo della pensione, in ogni caso non sono molti questi lavoratori. I lavori usuranti sono lavori faticosi, tipicamente operaio della catena di montaggio o conducente di autobus, questi vanno in pensione prima, con condizioni di vecchio sistema delle quote di legge 247 del 2007. Problema è che come in Francia, quando ci si allontana dalle categorie classiche del pilota e ballerino, sorgono discussioni, esempio è quello delle maestre, ci si domanda se sia usurante o meno, normativa poi rischia di prestare il fianco a interventi correttivi, non sempre è facile accertare i requisiti di un lavoro usurante. L’APE poi rappresenta un anticipo pensionistico che governo Renzi voleva affidare alle banche, dimostratesi però poco sensibili a questa cosa, oggi rimane solo per alcune categorie assimilati a lavori usuranti. 17 Quindi la situazione è andata evolvendo perché questi enti sono distinti dall’INPS e ad un certo punto all’inizio degli anni ’90 il legislatore ha voluto proclamare questa autonomia, che per altro anche gli enti stessi reclamavano, e sono stati quindi autorizzati ad abbandonare la forma di enti pubblici. Questi sono quelli che erano chiamati enti corporativi, non legati quindi ad un certo territorio ma legati ad un gruppo omogeneo di soggetti, che curano ed esprimono interessi di questi soggetti, cassa forense cura interessi avvocati. Questo ha comportato che secondo la dottrina di quagli anni era la natura dell’interesse tutelato che in un certo modo doveva guidare l’interprete e potevano anche esserci organismi di diritto privato che tutelavano interessi pubblici, come le fondazioni create per lascito ereditario. Questo ha comportato una maggiore libertà, di tipo gestionale e organizzativo, però questo si compensa con il fatto di doversi autofinanziare, lo stato è esonerato da ogni intervento contabile per colmare eventuali squilibri di bilancio, quindi avvocati per dire, ormai da anni vanno in pensione a 70 anni. Peraltro, siccome di recente si sono registrate vicende che hanno dato luogo a veri e propri scandali da parte della pubblica opinione, la legge Fornero ha imposto a questi enti la disposizione di un bilancio tecnico attuariale su un arco di 50 anni, quindi qui emerge il pluralismo previdenziale. Quindi abbiamo INPS per lavoratori subordinati pubblici e privati, INAIL che gestisce infortuni per stessi soggetti e fondi per commercianti, artigiani e coltivatori diretti, per liberi professionisti. Questi enti hanno regole proprie. COLLABORAZIONI COORDINATE CONTINUATIVE: accanto a lavoratori subordinati negli anni è cresciuta, sfruttando spazi lasciati dal legislatore, la figura del collaboratore, che non è subordinato e nessuna di quelle regole e garanzie dei subordinati, non ha diritto a salario minimo, a ferie pagate, al TFR, alla tredicesima e a rappresentanza sindacale. Vantaggio per le imprese di ricorrere a queste forme è enorme, l’alternativa tra lavoro subordinato e lavoro di collaborazione coordinata continuativa non è un’alternativa perché le fattispecie trovano applicazione imperativa, quindi un rapporto che abbia esecuzione come lavoro subordinato non può per accordo tra le parti svolgersi come collaborazione coordinata continuativa. In genere questi soggetti fanno parte del terziario avanzato, se sono liberi professionisti, come architetti o altri iscritti agli albi, hanno quel tipo di previdenza, ma se non lo sono, fino al ’95 non avevano copertura previdenziali, avevano delle società presso le quali fatturavano e quindi fino a ’95 si presentavano in forma societaria e fornivano servizi per contratti di appalto Queste persone andavano crescendo per numero ed erano persone che lavoravano prevalentemente del loro lavoro, come ad esempio traduttore tecnico. Questi soggetti premevano sul legislatore, come anche amministratore di condominio per cui non esisteva previdenza, anche promotori finanziari. Quindi nel ’95 creata questa quarta gestione speciale per tutti quei lavoratori non iscritti ad albi che non hanno altra cassa a cui versare, liberi professionisti in genere. LA NASCITA DELLA QUARTA GESTIONE SPECIALE: caso classico è quello dell’amministratore di condominio, il Codice Civile lo permette, questi soggetti vengono dal mondo delle professioni come geometri, allora ognuno versa alla cassa di provenienza. Questi soggetti quindi riuscivano attraverso all’iscrizione all’ordine a ottenere la pensione. Accanto però a questi soggetti iscritti all’albo, ci sono molti amministratori di condominio che fanno solo quello da sempre, non si sono mai iscritti ad un ordine, quindi questi non hanno titolo per iscriversi agli ordini, ma nemmeno titolo per iscriversi alle gestioni speciali, poi ci sono anche venditori porta a porta nella stessa situazione. Allora l’INPS ha dato vita ad una quarta collaborazione speciale che si aggiunge a quella dei commercianti, coltivatori diretti e artigiani. 20 In questa quarta gestione speciale poi hanno finito per confluire tutte quelle forme di collaborazione della zona grigia dove non è chiaro se sia lavoro subordinato o se è autonomo privo di ordine, elenco è vasto: pubblicisti, personal trainer, traduttori, chi gestisce eventi ecc. LAVORATORI SUBORDINATI ATIPICI: sono rapporti a termine o a tempo parziale, in molti paesi si prevedeva norma che esonerava questi soggetti dal versamento dei contributi perché si supponeva che per lavorare così poche ore a settimana avessero anche un altro reddito. Essendo molte di queste attività svolte da donne, c’è un problema di parità di trattamento. C’è una giurisprudenza europea che afferma principio di parità di trattamento, in Italia problema minore perché lavoratori a termine avevano stessi oneri contributivi degli altri. Ai fini del part-time, in passato c’era problema delle soglie minime giornaliere, problema che è stato affrontato e risolto. LA PREVIDENZA CATEGORIALE IN SINTESI: qui c’è una partecipazione non del committente ma del cliente, quello che è il committente nel rapporto di lavoro autonomo non intellettuale, mentre committente è quello che commissiona opera a artigiano, invece se uno va dal medico è cliente. Committente può essere una società che chiede un servizio in appalto, il soggetto che chiede a lavoratore autonomo non intellettuale una certa prestazione, committente diventa cliente nel caso delle libere professioni. Ad esempio avvocati, quando si fa la parcella, nell’esporre le proprie competenze inserisce una certa percentuale che si trasforma in un versamento di contributi, il cliente quindi non dà soldi solo ad avvocati, ma anche una quota che in passato era del 2%, ora invece è al 4%. Questo compenso poi viene riversato a nome proprio alla cassa, però con questo 4% ci si fa poco, quindi a questa quota del 4%, detto contributo oggettivo, si accompagna un contributo soggettivo che lavoratore paga di tasca sua con il termine di autoliquidazione. Quando quindi libero professionista procede a pagamento dell’imposta generale sul reddito delle persone fisiche, procede un mese dopo, sula base del volume di reddito e anche di fatturato, a quantificare contributi di cui è debitore e procede al versamento in autoliquidazione, cioè fa un bonifico alla cassa previdenziale. Questa forma si colloca a metà strada tra la previdenza obbligatoria gestita dall’INPS e la previdenza volontaria (di cui bisogna ancora parlare). Questi enti previdenziali, come ad esempio la cassa forense degli avvocati ma anche tutte le altre (22 categorie in tutto), questi enti sono stati trasformati in soggetti di diritto privato e devono garantire il pareggio di bilancio e hanno obbligo di autofinanziamento, laddove questi enti non dovessero riuscire ad assicurare pagamento delle pensioni, sono chiamati a modificare le percentuali di contribuzione. Anche questi enti hanno conosciuto un progressivo innalzamento dell’età di accesso al pensionamento, che per gli avvocati è di 70 anni, solo che loro a differenza di lavoratori privati iscritti all’INPS che se perdono lavoro hanno diritto all’indennità di disoccupazione (fino a 24 mesi), per avvocati questa cosa non c’è, quindi se perdono lavoro prima del raggiungimento dell’età senza aver raggiunto anni di contribuzione necessari, non hanno diritto a nulla. 21 LA PEREQUAZIONE DELLE PENSIONI: in origine la pensione di anzianità era associata al divieto di lavorare e di percepire quindi stipendio, questa regola è saltata poi perché INPS si è trovata in difficoltà nel far quadrare i conti, poi è stata attenuata e in parte reintrodotta da quota 100. In passato l’inflazione era fenomeno sconosciuto, la crescita dei prezzi determinava tuttavia erosione del potere d’acquisto, quindi se le pensioni e gli stipendi fossero rimasti uguali nel valore nominale, varrebbero sempre meno. Per questo si riconosce un adeguamento all’indice dei prezzi al consumo, rilevato dall’ISTAT, costruito in modo complesso, su base annua. Questo adeguamento negli anni ’70, ’80 e primi ’90 incideva molto sul costo del lavoro, era la scala mobile, un adeguamento automatico che negli anni ’70, con inflazione al 12%, retribuzione cresceva di mese in mese. Questa scala mobile abbandonata per i lavoratori e retribuzioni non più indicizzate all’andamento dell’inflazione, lavoratore è un soggetto attivo, quindi la sua retribuzione varia anche a seconda della sua produttività ad esempio. Per i pensionati invece la perequazione è importantissima, soprattutto per le pensioni più basse, come 580 euro al mese. Allora ci si è posto il problema di come intervenire sulla perequazione, discorso si è posto in coincidenza con gli anni in cui la crisi del 2008 ha imposto una diminuzione della spesa pubblica. Questi tagli della spesa pubblica sono molto frequenti, da ultimo nel 2015, con il jobs act, si sono registrati dei tagli, con la giustificazione che il sistema in passato era stato molto generoso e che quindi gli anziani godevano di pensioni molto elevate, più generose di quelle che sarebbero state pagate ai loro nipoti. L’idea, mai applicata, era quella di intervenire direttamente sulla misura dell’assegno pensionistico, ad un certo punto venne in mente di ricalcolare l’importo delle pensioni. Quest’idea è balenata per motivi politici perché governo che decidesse questo taglio non verrebbe rieletto. Negli anni recenti comunque ci sono stati degli interventi di limitazione, di 2 tipi: il primo è stato un prelievo sulle pensioni più elevate, prelievo di solidarietà, che però è stata impugnata da coloro che avevano reddito alto, la Corte si è pronunciata e ha detto che ci troviamo già in un sistema in cui il prelievo tributario è già progressivo e preleva già di più all’aumentare dell’importo, quindi non c’era motivo di farlo solo sulle pensioni, ma anche sulla ricchezza nella sua interezza, perché uno può comunque avere solo la pensione per vivere. Poi è stata riproposta questa misura giustificandola nella prospettiva che gli importi risparmiati non venissero ad apportare un beneficio al bilancio dello stato, ma trattenuti dall’INPS e utilizzati ad incremento delle pensioni di importo più basso e qui la Corte ha riconosciuto che c’era meccanismo solidaristico; Seconda misura è stata raffreddamento della perequazione, ovvero le pensioni più basse venivano adattate pienamente all’inflazione mentre quelle più alte solo in parte, fino anche a 0 per quelle molto alte, da quasi 30 anni quindi il sistema funziona a scaglioni, con perequazione totale per il primo scaglione, perequazione minore per quello più in alto e così via fino a 0 per la cifra eccedente alle pensioni di 3100 euro. Quindi rimane il principio dell’inviolabilità dei diritti acquisiti che impedisce intervento di riduzione della quota nominale, si è intervenuti invece sull’adeguamento all’inflazione e la Corte ha legittimato, dicendo comunque che è misura temporanea e che deve tenere al riparo da ogni pregiudizio gli importi più bassi. 22 Quindi invece che stipulare contratto e poi rischiare una vicenda così ex-post, non è possibile chiarire fin dall’inizio le questioni relative alla contestazione della natura autonoma? Quindi datori dovevano rivolgersi ad ente pubblico e chiedere fin dall’inizio di qualificare rapporto come di lavoro subordinato piuttosto che autonomi. Questa operazione fallì perché non si capiva bene chi dovesse gestire queste commissioni, INPS piuttosto che qualcun altro, queste dichiarazioni con cui si dichiara che rapporto non è di natura subordinata lasciano il tempo che trovano, perché la commissione certificazione non ne sa nulla di un lavoro che ancora si deve svolgere, una volta instaurato rapporto non si poteva sapere cosa sarebbe accaduto. Tuttavia quando si è parlato delle cooperative, queste hanno degli standard operativi, se sono una cooperativa di logistica, lo so come lavoro, se a un certo punto entra a far parte della compagine societaria un certo soggetto, sa bene che modalità operative questo soggetto andrà a seguire. Quindi dal punto di vista operativo, questa certificazione viene usata quasi esclusivamente non per rapporti individuali, ma per ipotesi in cui sia una cooperativa che gestisce, quindi per evitare che anche nei confronti della cooperativa si lamenti una natura subordinata. Queste certificazioni danno luogo ad una presunzione relativa, che ammette prova contraria, per cui se dovesse arrivare INP a dire che appalto di logistica non è un appalto genuino, se quell’impresa committente o appaltatrice ha fatto certificare rapporto, lo oppone all’INPS. 25 LE PENSIONI DI INABILITÁ Il sistema finisce sotto una sigla unica che è IVS (Invalidità Vecchiaia Superstiti), il rischio che si prende in considerazione tiene conto di 3 eventi:  Vecchiaia: lavoratore raggiunge la vecchiaia, non è più idoneo al lavoro, è stanco ecc, quindi vecchiaia è elemento che impedisce di procurarsi un reddito, a queste condizioni si può anche intervenire prima del raggiungimento dell’età anagrafica;  Invalidità: soggetto può diventare inabile al lavoro, in questo caso si può anticipare la pensione se sopraggiunge disabilità o inabilità, con almeno 5 anni di assicurazione se diventi inabile a lavoro per infortunio o malattia, si può ottenere dall’INPS pagamento di una pensione anticipata. Se infortunio è avvenuto nell’ambiente lavorativo allora paga l’INAIL, invece se avviene al di fuori quello che conta sono effetti permanenti e quindi la prestazione è dell’INPS con assegno di invalidità o pensione di inabilità;  Superstiti: uno muore prima di andare in pensione e coloro che vivevano a carico del lavoratore, ha diritto ad una prestazione, i superstiti sono principalmente coniugi e figli e conviventi a carico. In qualche caso il morto non ha mai percepito pensione perché morto in età lavorativa, quindi si fa liquidazione della pensione direttamente al superstite, è la cosiddetta pensione indiretta. In altri casi abbiamo invece la pensione di reversibilità, ovvero chi muore aveva già pensione che quindi viene ricalcolata a beneficio dei superstiti. Questo è il quadro generale, vi sono in generale pensione di inabilità e assegno di invalidità. LA PENSIONE DI INABILITÁ: la legge che regola questo fenomeno è la 222 del 1984 che ha riformato integralmente una precedente legge. Importante qui 2 alternative ben presenti a tutta la storia della previdenza italiana e che sono in realtà ben presenti anche alle evoluzioni del danno alla persona, ovvero danno patrimoniale e non patrimoniale. La differenza è che nel danno patrimoniale è il mancato guadagno ovvero il venir meno della possibilità di ottenere una retribuzione, quindi se dovessimo prendere un pensionato e ipotizzare che vada a subire un grave danno fisico, il danno patrimoniale è modesto, perché tanto continuerà comunque a percepire la pensione, tuttavia al di là della perdita patrimoniale c’è danno alla persona che è non patrimoniale che consegue alla lesione dell’integrità fisica. Questa distinzione nella previdenza è presente fin da subito nelle forme del danno relativo alla capacità di lavoro e alla capacità di guadagno. La capacità di lavoro è astratta, considerata in sé, il soggetto che perde l’uso di un braccio vede ridotta la sua capacità di lavoro, ma la capacità di guadagno è diversa perché la misura del guadagno perso varia mentre la capacità di lavoro è uguale per tutti. Questi 2 poli, nel caso della capacità di lavoro ha a che fare con l’integrità, questo danno viene liquidato in base all’età del soggetto e agli esiti più o meno permanenti, ovvero lesioni che la medicina del lavoro quantifica in termini percentuali che sono diversi. La capacità di guadagno attiene ad una perdita concreta che deve riferirsi al guadagno del lavoro che il soggetto svolgeva, uno ad esempio perde l’uso di 2 falangi, il che nella medicina del lavoro è quantificata in circa 8% di invalidità, quindi rimane il 92% di capacità di lavoro, quindi risarcimento sarà modesto, però se uno di professione fa il pianista e guadagnava 5 mln all’anno, la perdita di reddito sarà ben superiore all’8% e andrà risarcita con cifre molto più elevate. Questa distinzione è importante perché quando si tratta di valutare la perdita di idoneità al lavoro, ci si pone questo problema, cioè se al lavoratore che abbia visto dimezzata la sua capacità di lavoro, possa lo stato prospettargli un’attività diversa. Questa dialettica va sempre valutata alla luce che c’è una sorta di aspettativa che il lavoratore continui a svolgere attività per la quale ha maturato titoli professionali. 26 La pensione di inabilità, atteso che il lavoratore è diventato inabile perché è sopraggiunta una malattia, come deve essere valutata questa inabilità, in relazione all’attività che il soggetto fino ad ora ha svolto, oppure in relazione ad un concetto legato alla capacità di lavoro e quindi si dovrà dire al pianista che può comunque fare altre attività. La legge 222 dell’84 ha fatto sì che non si indennizzasse più la capacità di guadagno come avveniva prima, ma un concetto che ci si avvicina, ovvero la capacità di lavoro ad attività confacenti alla professionalità del lavoratore, questa è una sorta di via di mezzo tra le capacità di guadagno e lavoro. Quindi si è tenuto conto delle 2 polarità e si è trovata una via di mezzo, anche perché con la capacità di guadagno si considerava anche andamento del mercato del lavoro, se questo andava male, prima dell’84, a parità di perdita di capacità di lavoro, in una provincia con maggiori opportunità poteva essere negata con più probabilità di una con meno lavoro. COME SI MISURA E ACCERTA LA PERDITA DELLA CAPACITÁ DI LAVORO: c’è una parte della medicina del lavoro che se ne occupa, valutazione si fa sulla base di tabelle per cui ogni affezione si traduce in una certa percentuale (perdita della falange=2%, perdita dell’intero dito=4%), queste percentuali poi si sommano e viene fuori un certo punteggio. Per il diritto al trattamento di inabilità, prima dell’84 la capacità di lavorare residua doveva essere inferiore ad 1/3, si faceva presto a raggiungerlo con la scarsa cura della salute che c’era allora. La legge 222 ha previsto che accertamento medico debba essere ripetuto una prima volta dopo 3 anni e poi ancora dopo altri 3 anni, questo accertamento ripetuto 3 volte è garanzia dell’oggettività della valutazione e della stabilità della malattia che quindi non migliora con il tempo. La riforma dell’84 si indirizzava anche al contenimento della spesa, perché all’epoca le pensioni di invalidità erano elevate. La prestazione è stata divisa in 2:  Assegno di invalidità: è una prestazione transitoria che viene riconosciuta fino a che non si ha una valutazione finale;  Pensione di inabilità: viene riconosciuta a lavoratore che perde il 100% della capacità lavorativa, uno comunque può mantenere autonomia nella vita quotidiana, se non mantiene nemmeno quella allora gli si dà la indennità di accompagnamento che non ha però nulla a che vedere con pensione di inabilità. RISCHIO PRE-COSTITUITO: può accadere che il lavoratore inizi a lavorare avendo già una ridotta capacità lavorativa, minore ad 1/3, come uno che non ha uso di un braccio, in questo caso in passato, in qualche occasione questo soggetto, maturati i 5 anni di contribuzione minima, andava all’INPS e chiedeva la pensione, tuttavia se aveva lavorato fino a quel momento con quella menomazione, significava che ce la poteva fare benissimo. Quindi l’INPS ha fatto valere il rischio pre-costituito, cioè ai fini dell’assicurazione la regola generale è che il rischio deve sopravvenire, non ci si può assicurare per un evento che si è già realizzato, quindi non si tiene conto dell’invalidità già sussistente. A questo soggetto comunque non è esclusa la possibilità di richiedere pensione, perché può far valere l’aggravamento delle condizioni che diminuiscono la capacità residua dei 2/3 (del 22%). 27 invece di passare a nuove nozze perché un nuovo matrimonio avrebbe fatto venir meno il diritto della pensione di reversibilità, allora si intervenne nel ’49 che prevedeva che in caso di non matrimonio lo stato regalasse 24 mensilità della pensione e questo era un invito a sposarsi per evitare situazioni di incertezza. Con la reversibilità quindi lo stato sopperisce a questa esigenza di assistenza materiale, consente una distribuzione le responsabilità all’interno della coppia e, tenendo conto del livello di pensione di cui godeva il defunto, riconosce il 60% al coniuge superstite. Questa cosa, fino a riforma Dini-Treu del ’95, dava luogo a situazioni in cui si avevano coppie dove entrambi svolgevano lo stesso lavoro, dove il coniuge superstite accumulava il reddito che continuava a produrre o la pensione che prendeva, e la pensione di reversibilità, questo comportava esborsi importanti. Con riforma del ’95 si lascia il 60%, su cui però è possibile che vi siano riduzioni che siano transitorie, ovvero collegate alle condizioni patrimoniali del beneficiario, che viene chiamato a comunicare al momento della domanda quali sono i suoi redditi e successivamente a comunicare ogni eventuale variazione all’INPS. Ad esempio se una rimane vedova a 56 anni e rimane a lavorare, comunica all’IMPS che ha un reddito e INPS calcola qual è il livello di patrimonio e mi riduce al 50% la pensione (portandola al 30%), poi raggiunge età pensionabile e va in pensione, la pensione è di livello inferiore rispetto allo stipendio che prendeva, quindi comunica all’INPS che non prende più lo stipendio ma solo della pensione, allora da lì in avanti viene adeguata la quota di reversibilità di cui si può beneficiare. Qualche anno fa governo 5stelle cercava soldi per reddito di cittadinanza e pensò, dato che non c’era obbligo costituzionale di pagare legge di reversibilità, pensarono di abrogarla, non era chiaro se questa abrogazione avesse effetto su pensioni passate o solo da lì in poi, si pensò di dare a persone che ne avevano diritto il reddito di cittadinanza facendo richiesta all’INPS. Si pose la questione se fosse per lo stato abolire la pensione di reversibilità e rimase una cosa teorica perché poi governo cadde, la questione però rimane perché un domani se ne potrebbe riparlare. La riflessione da fare è importante, in passato la pensione di reversibilità non sempre veniva riconosciuta al coniuge superstite perché una serie di provvedimenti normativi diretti a limitare la spesa pubblica e contrastare matrimoni di comodo, avevano negato il riconoscimento della pensione di reversibilità quando matrimonio durato meno di 2 anni e vi fosse stato squilibrio anagrafico di oltre 20 anni. La Corte Costituzionale quindi in passato disse che matrimoni di comodo sono vietati in nostro ordinamento, quindi se il matrimonio è simulato ci sono strumenti per annullarlo e c’è una serie di effetti legati a questo. Lo squilibrio anagrafico prevedeva distanza di oltre 20 anni, se a sposarsi erano 2 vecchi ma con età simile, il matrimonio avrebbe prodotto effetti fin da subito. Da qualche anno il problema è riemerso, soprattutto in riferimento al vecchio che sposava la badante, tuttavia la Corte ha detto che non è giusto limitare effetti del matrimonio, il matrimonio è quello e se non ne vuoi effetti non ti sposi, la coalizione al governo quindi doveva prendere posizione forte contro fenomeno delle badanti e non si poteva condizionare l’effetto della reversibilità alla durata di 2 anni e quindi alla fine si è previsto uno scaglionamento, ovvero se dura meno si ha un certo importo e se dura di più se ne ha uno più alto, fino ad un punto in cui pensione di reversibilità si parifica a quella del matrimonio senza squilibrio. LA REVERSIBILITÁ NEI MATRIMONI OMOSESSUALI: per lunghi anni si è discusso sulla legittimazione dei matrimoni omosessuali anche per questo aspetto, si decise per una forma attenuata inizialmente per poi arrivare ad una forma uguale. Con legge 76 del 2016 si legittimarono matrimoni omosessuali, ma prima che fosse emanata ci si è posti il problema e si è detto che se si riconoscono matrimoni omosessuali non si può limitare l’importo della reversibilità, andavano messi a bilancio dell’INPS i costi di questo riconoscimento. Anche nell’ambito delle unioni civili c’è questo effetto della reversibilità piena. 30 IL DIVORZIO CONTENZIOSO: il divorzio può essere consensuale o contenzioso, ovvero uno accusa l’altro di essere lui il responsabile del venir meno delle condizioni del matrimonio. In questo caso il coniuge può chiedere matrimonio con addebito nei confronti dell’altro e nel momento in cui divorzio si pronunzia, al coniuge viene addebitata separazione e divorzio con addebito e risarcimento per il venir meno della condizione di assistenza morale e materiale. Se viene determinato l’addebito si ha diritto quindi ad un assegno divorzile che viene corrisposto fino a nuove nozze. Se però ad esempio l’ex marito che deve pagare assegno divorzile si risposa, poi quando muore a beneficiare della reversibilità, sul piano dell’eredità ne beneficia la moglie “nuova” perché il primo matrimonio ha cessato di produrre effetti. Detto ciò però, il primo coniuge divorziato non perde diritto alla pensione di reversibilità, perché se questo ex marito non avesse dato luogo con la sua condotta al venir meno del matrimonio, la prima moglie avrebbe ereditato il suo patrimonio. Quindi la morte di questo marito non estingue il debito dell’assegno di reversibilità, anzi il debito transita in capo agli eredi, che magari è solo la nuova moglie e quindi difficoltà pratiche. La legislazione quindi ha consentito che direttamente l’INPS riconoscesse al coniuge divorziato ma con diritto ad assegno di reversibilità, una quota della reversibilità, questo fino a che il coniuge che la percepisce muore o passa a nuove nozze. Il nuovo coniuge partecipa anch’esso alla reversibilità, però non si è mai capito bene come ripartirlo tra il coniuge attuale e quello “vecchio”. LA REVERSIBILITÁ DEI FIGLI: il reversibile può essere anche solo il figlio, se è 1 il 70% del reddito, se sono 2 il 40% a testa ecc. I figli beneficiano della reversibilità se sono minori, studenti universitari regolarmente iscritti, non fuoricorso e fino all’età massima di 26 anni, terzo che siano non autosufficienti. Nei primi 2 casi ne beneficiano fino all’ultimo anno di università o alla maggiore e nel terzo caso anche tutta la vita. Se ci sono nipoti che vivono con i nonni, se il genitore del nipote non è in grado di prendersene cura (perché non ha reddito o per altri motivi), la Corte Costituzionale ha previsto possibilità per il nipote convivente di accedere al beneficio della reversibilità alle stesse condizioni del figlio (genitore). ALTRI SOGGETTI: possono esserci anche ascendenti o fratelli e sorelle, questi hanno un importo del 15%, che però rappresentano in certi casi, soprattutto anni fa in cui non c’erano istituti di pubblica assistenza. Quando veniva a morte l’assicurato una certa quota della pensione era riconosciuta anche a questi soggetti alle stesse condizioni. 31 LE PENSIONI ESTERE Siamo nell’ambito della libertà di movimento, nel Trattato di Roma del ’57 veniva sancita la libertà dei cittadini della Comunità Europea di spostarsi da un paese all’altro, fino a quel momento questi spostamenti erano ammessi con procedure simili a quelle che oggi si fanno per extra-comunitari. Nell’immediato dopoguerra paesi europei avevano sollecitato come condizione per i trattati di pace che ci fossero dei movimenti migratori perché dei lavori più faticosi degli altri venivano volentieri lasciati a cittadini stranieri. Nel momento in cui si autorizzavano questi ingressi, si chiedeva che vi fosse garanzia di parità di trattamento, perché se non si fosse rispettato un principio di parità di trattamenti, si sarebbe introdotto sul mercato del lavoro un frazionamento pericolosa perché lavoratori stranieri avrebbero avuto costo del lavoro inferiore mentre quelli autoctoni superiore e questo avrebbe creato danno per loro. Questa parità di trattamento si estende ovviamente agli aspetti contributivi oltre che retributivi. Occorre dire che per la disoccupazione bisognava coordinarsi con permessi temporanei, chi rimane disoccupato ha permesso temporaneo che coincide solitamente con periodo di indennità di disoccupazione. Poi se il permesso è temporaneo allora non c’è bisogno di preoccuparsi del trattamento di disoccupazione perché questi lavoratori una volta terminato lavoro e non hanno più titolo per risiedere nello stato straniero, devono tornare al loro paese di origine. La seconda osservazione è che mentre parità di trattamento era piena per aspetti retributivi e per quelli contributivi, ma per quelli assistenziali la cosa è incerta, per esempio c’era dubbio se borse di studio per i figli dovessero essere riservate solo a figli dei cittadini nazionali o per principio parità trattamento anche a stranieri. Quindi il Trattato di Roma del ’57 estende principio già previsto da alcuni trattati internazionali bilaterali, tra 2 paesi, e li estende a tutti i paesi membri della Comunità Economica Europea. I 2 principi chiave quindi furono libertà di movimento e parità di trattamento. IL TRATTAMENTO PREVIDENZIALE: è un aspetto legato alla parità di trattamento, è una parte importante del costo del lavoro, quando si parla di pensioni estere va preso in considerazione un cittadino che si muove all’interno dell’Unione Europea in un paese diverso dal suo. In questo caso ci sono vari regolamenti che ci sono succeduti, il primo fu il Regolamento n.3 del ’57, il 1408 del ’72, poi Regolamento n.883 del 2004, attuato solo nel 2009, che disciplina il fenomeno del movimento dei lavoratori all’interno dei confini dell’Unione Europea. Nel 2010 poi si estende l’articolo 883 anche ai cittadini che hanno permesso di risiedere nell’Unione Europea, questi hanno diritto a muoversi all’interno dell’Unione Europea. I cittadini italiani (o di qualsiasi paese dell’Unione Europea) che si muovono dall’Italia e vanno in Germania, sono assoggettati a questo regolamento che prevede parità di trattamento, non si può discriminare o chiedere a imprese che assumono lavoratori stranieri di attuare trattamenti diversi. Un altro principio chiave è principio di territorialità, che dice che se io lavoro in Germania, i contributi li devo versare a ente previdenziale tedesco, questo per varie ragioni: innanzitutto il principio di territorialità è quello che regola anche le norme di diritto pubblico (panali, amministrative) e la previdenza appartiene all’ambito di diritto pubblico in quanto finanziamento di una spesa pubblica. Principio della territorialità deve però confrontarsi con le regole privatistiche e qui le regole sono diverse, nel diritto nazionale privato è possibile scegliere di regolare i rapporti contrattuali privati non sulla base della legge del luogo ma anche sulla base di una norma straniera che le parti di comune accordo dichiarano applicabile. 32 IL DIVIETO DI DISCRIMINAZIONE LA DISCRIMINAIZONE IN BASE AL SESSO: il primo problema che si pone è discriminazione per sesso e qui c’è giurisprudenza europea e costituzionale. La Costituzione dice che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, ha diritto agli stessi trattamenti che spettano a uomini, in termini di retribuzione e in termini previdenziali. La legislazione europea prevede anche lei la parità dei sessi e si riferisce anche lei a tutto ciò che riguarda previdenza, assistenza e sistemi pensionistici. La tutela anti-discriminatoria in Italia di fatto viene introdotta dall’articolo 15 dello Statuto dei Lavoratori, nel ’70, ma questa tutela è limitata alla circostanza che il lavoratore sia iscritto al sindacato o che militi in un certo partito. La legge di parità che dà corpo al principio costituzionale dell’articolo 37 citato prima, è la legge 903 del ’77 che poi è stata rivista in più occasioni, in particolare con i decreti del 2003 196 e 195, che ha dato diva ad un testo unico, decreto legislativo 198 del 2006 che si chiama codice delle pari opportunità tra uomo e donna. Questo significa che il sesso non può essere divieto di discriminazione, la nostra legislazione era arretrata, assegni di famiglia erano fino a poco fa diritto del capo famiglia che era sempre il padre, solo con riforma del diritto di famiglia del ’75 si sancisce piena parità tra uomo e donna in questo ambito. Nella norma di legge relativa alla pensione di reversibilità non veniva prevista dal legislatore la possibilità che fosse il marito a sopravvivere alla moglie e quindi non si diceva “il coniuge” ma “la moglie”, ci fu bisogno della Corte che a seguito del fatto che un marito si fece avanti dichiarò l’incostituzionalità della norma. La legislazione in certi casi prevede delle norme di favore per le donne e questo apre una questione, ovvero se principio di parità di trattamento consenta norme di favore a beneficio del sesso sotto-rappresentato. Ci sono norme ad esempio che danno precedenza alle donne nell’impiego pubblico nei concorsi (in caso di parità di punteggio). In materia previdenziale le donne hanno sempre goduto di accesso anticipato al pensionamento, c’è ad esempio l’opzione donna che prevede accesso anticipato alla pensione alle donne ed è una cosa che non ha giustificazione perché le donne vivono di più. Se le donne vivono più deli uomini ci si chiede perché debbano andare in pensione prima, qui le giustificazioni che si è soliti dare si trovano nella giustificazione della dottrina, le soluzioni potrebbero essere 2:  La prima potrebbe essere che, non essendo le donne più deboli (infatti campano di più), né tanto meno debbano provvedere al welfare dei nipoti in misura maggiore agli uomini, nell’arco di un secolo si è avuto uno spostamento in avanti dell’età in cui si aveva primo figlio, quindi questo pensionamento delle nonne qualche anno prima degli uomini, magari a 55 o 60, non regge. La domanda rimane perché la società italiana legittimi che le donne vadano in pensione prima, è difficile dare una risposta, probabilmente in realtà si vogliono mandare le donne in pensione prima perché la nostra è una società gerarchizzata (dove anziani assumono posti di rilievo) e quindi mandare in pensione le donne prima costituisce un vantaggio perché quando si arriva ad un età tale per cui si può arrivare a posizioni di vertice il fatto che le donne non ci siano più facilita il fatto che queste posizioni siano attribuite agli uomini, sia che donne siano già in pensione sia che si apprestino ad andarci;  La seconda ipotesi vede divieto di discriminazione per età. 35 LA DISCRIMINAZIONE PER ETÁ: in Italia l’art.37 prevede al comma primo la parità di trattamento tra uomo e donna, al comma 3 dice che la Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto a parità di retribuzione. La Corte qui si espresse e disse che mentre la differenza di sesso ce la si porta dietro tutta la vita, quella di età è transitoria perché uno nel corso della vita invecchia, quindi è giusto che si proceda ad un rinnovo di tipo sociale ed è giusto che vecchi lasciano spazio a giovani, quindi non è più discriminazione fare in modo che vecchi vadano in pensione ma è normale avvicendamento della vita che impone a chi ha raggiunto una certa età di lasciare il passo ai più giovani. LA DISCRIMINAZIONE IN BASE ALLA NAZIONALITÁ: qui la giurisprudenza è debordante, c’è una serie fittissima di interventi, ci sono state in passato carie leggi che tenevano conto di una serie di posizioni familiari legate alla nazionalità (quella su assegno di famiglia o diritto al ricongiungimento). Il vero problema sono i benefici di tipo assistenziale, che il paese di origine restringe ai soli cittadini, come borse di studio per iscrizione all’università, riservata ai cittadini, come anche gli impieghi pubblici. Benefici di tipo non contributivo quindi vengono ad essere ristrette solo a cittadini, come anche accesso alle case popolari, benefici legati alla natalità. La Corte è intervenuta su questi argomenti una decina di volte e in più c’è una giurisprudenza dei giudici amministrativi perché molti comuni avevano previsto questi benefici con una delibera comunale che poi sono state impugnate. La Corte di Giustizia in particolare chiamata in causa più volte per il fatto che alcune regioni davano la precedenza per questi provvedimenti a chi viveva nella regione stessa (case popolari prima ai friulani). Qui la Corte Costituzionale italiana ha fatto di tutto per non applicare gli standard dell’OIL, l’OIL aveva provveduto ad una convenzione internazionale, ratificata da tutti i paesi europei compresa l’Italia, che però non la volle applicare, stessa cosa per la regolamentazione europea. C’è la questione se la Corte Costituzionale sia giudice del diritto italiano o di tutto l’ordinamento che si nutre anche del confronto con diritto internazionale, questo non è chiaro.ù Recentemente abbiamo avuto 2 sentenze della Corte Europea, una chiamata Camberai, che era cittadino albanese regolare che va in Trentino e chiede alloggio popolare che gli viene rifiutato perché non cittadino italiano né comunitario, si rivolge in 2012 alla Corte di Giustizia Europea che gli dà ragione perché noi abbiamo un regime che parifica cittadini legalmente soggiornanti a cittadini comunitari e in particolare la direttiva 98 del 2011, la Corte dice che cittadini italiani sono parificati a quelli comunitari (che hanno diritto a parità di retribuzione ma non a case popolari che quindi deve essere pagato di più), la Corte di Giustizia riconosce che direttiva 98 parifica le situazioni, se un cittadino extracomunitario risiede legalmente in uno stato può liberamente circolare e allora ha stessi diritti di casa popolare con requisito di 1 anno e non 10 di residenza. I diritti in termini di prestazioni assistenziali i singoli stati si sono preoccupati di individuare i benefici riservati ai singoli cittadini, l’Italia invece non ha fatto nulla in questa direzione e quindi Corte di Giustizia ha detto che l’Italia ha avuto la possibilità di porre queste limitazioni nell’ambito dei negoziati, ma non l’ha fatto e quindi la parificazione è piena e totale. Questo approccio è stato esteso ance ad assegni di natalità, la signora Martinez Silva se l’è visto rifiutare, ha fatto ricorso al giudice italiano e poi Corte di Giustizia che nel 2017 ha confermato Camberai. Con ordinanza n.182 del 2020 la Corte Costituzionale ha sollevato una questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia Europea, cioè ha detto che chiedeva che fosse la Corte di Giustizia a dare indicazione precisa su quello che l’ha portata a questa direttiva, se però la Corte di Giustizia dovesse confermare queste sentenze la Corte Costituzionale dovrà prendere atto di queste cose e ci troveremmo per la prima volta ad applicare quegli standard internazionali e si fa fatica ad applicarle. 36 LA PREVIDENZA PRIVATA O COMPLEMENTARE La vicenda risale addirittura a prima del sistema previdenziale, è una forma di pensione (soprattutto) che è stata posta in essere prima che lo stato prevedesse una forma pensionistica generale, soprattutto nelle imprese dove la retribuzione era più elevata. Fino agli anni ’50 la previdenza non era generale, i lavoratori a più alto reddito ne erano esonerati e questo perché si riteneva che essi, grazie ai risparmi che realizzavano, potevano conseguire delle rendite che permettessero loro di affrontare la vecchiaia con tranquillità, questo capitale di solito era usato per acquistare titoli di stato o appartamenti da concedere in locazione. Questo avveniva in un panorama dove le imprese più grandi e innovative, creavano in assenza di norma pubblica, dei fondi privati finalizzati a gestire forme di previdenza privata. All’inizio queste forme erano esonerative, nel senso che il legislatore quando generalizzò obbligo contributivo esonerava imprese che avevano queste forme interne (soprattutto banche e istituti di credito). Poi nel tempo queste forme sono state attratte alla gestione del fondo pensione di lavoratori dipendenti, ma i capitali che fino a quel momento erano stati accantonati, non sono stati dispersi ma sono rimasti a garantire forme di previdenza che, una volta generalizzato obbligo di versamento all’INPS, sono diventate forme integrative o complementari, ovvero i lavoratori che erano dipendenti dalle imprese che avevano istituito queste forme godevano sia della pensione a carico del pubblico (max 80% della retribuzione), sia un ulteriore assegno a carico di questi fondi, questo spesso portava ad avere la pensione pari o superiore alla retribuzione. Questo sistema in vigore nel passato, ormai non si vede più perché i beneficiari ormai sono morti. Questi fondi preesistenti, hanno preceduto in alcuni casi anche il Codice Civile, che se ne occupa agli articoli 2123 e 2117, nel 2117 che si occupa di ondi speciali per la previdenza e l’assistenza, dice che se l’impresa dovesse fallire i creditori dell’impresa non possono aggredire questi fondi perché altrimenti la soddisfazione del creditore dell’impresa andrebbe a danno del pensionato e quindi li si mette al sicuro da creditori. Il 2123 invece disciplina fenomeno del TFR, nel 1982 abbiamo conosciuto modifica del 2120 che era stato organizzato in modo tale da garantire diritto al lavoratore ad un importo finale in caso di risoluzione del rapporto di lavoro (sia pensione che licenziamento), il 2123 regola le ipotesi nelle quali il TFR non sia gestito dall’impresa come un debito da scrivere a bilancio, ma come un accantonamento che si realizza mettendole da parte anno per anno in modo che quando si interrompe rapporto siano già disponibili somme da corrispondere, qui il 2123 contiene principio importante, siccome questi accantonamenti avvenivano anche con accantonamento da parte del lavoratore, qui il 2123 dice che quando c’è licenziamento il lavoratore non perde quella parte di fondo avvenuta con sua retribuzione. ALTRI PAESI EUROPEI: tuttavia l’esempio che il legislatore italiano ha considerato è esempio di altri paesi come Regno Unito, Paesi Bassi o Germania, questi sistemi sono detti “flat rate”, a percentuale bassa, cioè che mentre gli Italiani versano all’INPS il 33% del reddito mensile, in questi paesi i versamenti sono più modesti, 18% in Germania ad esempio. In questi paesi l’importo delle pensioni, anche quelle a più alto reddito, è quasi da pensione minima, in Germania con retribuzione di 5k, 10k o 20k, la pensione, superata la soglia di circa 3k, non cresce più, non vale la “regole” dell’80%, inoltre la contribuzione rimane attiva anche per pensionati, senza che questo porti loro un vantaggio perché si ritiene che la previdenza abbia una finalità redistributiva e si fa in modo che i lavoratori più ricchi rinuncino ad una parte del proprio reddito per garantire a tutti il raggiungimento di un certo livello. Il nostro sistema, soprattutto dopo riforma del ’95, è molto lontano da questo modello (ad esempio se pensione maturata non raggiunge 1,5 volte il minimo, il lavoratore non ha diritto a pensione fino a 70 anni), noi non abbiamo quella logica redistributiva. 37 e per quelli che si costituiscono da quel momento il decreto detta una serie di norme “cornice” che poi i singoli fondi dovranno rispettare al momento della loro costituzione. Questi fondi hanno natura di enti privati, che sono associazioni o fondazioni. L’associazione è manifestazione di una libertà individuale ed è regolata dagli statuti e dai regolamenti che hanno natura di contratto di diritto privato plurisoggettivo, i regolamenti e gli statuti prevedono le norme che regolano il contratto, e quindi individuano gli organi che hanno amministrazione di contratto e poi le forme di finanziamento e le prestazioni che vengono assicurate, lo statuto dice ad esempio possono iscriversi a questo fondo tutti lavoratori che applicano un certo contratto collettivo, gli organi di vertice di questo fondo si individuano in questo modo e hanno certi poteri, poi vengono individuate le prestazioni. La CoViP esercita sui fondi un controllo, statuti e regolamenti devono rifarsi alla CoViP e ogni modifica a questi ultimi va comunicata a loro, così come la CoViP esercita un controllo sul bilancio, non nel senso che dia garanzia che investimenti di questi fondi siano redditizi, ogni ente è responsabile delle proprie scelte, anche fallimentari, la CoViP nel vigilare sui bilanci però può individuare situazioni di squilibrio, la Legge Fornero richiede ad esempio non solo il bilancio anno per anno, che nel caso della previdenza ha un significato modesto, ma anche il bilancio attuariale che ha esigenza di equilibrio su un arco pluriennale (con la Fornero 50 anni), con un aro di tempo così lungo, se la CoViP comincia a vedere che certe situazioni cominciano a essere in sofferenza può intervenire commissariando un fondo, sostituendosi alla gestione ordinaria, prima che la situazione sia irrimediabilmente compromessa. Detto ciò, il decreto n.252 prevede una serie di regole di governance, che attengono alla conduzione dei fondi, in articolo 2 si prevede un’ampia serie di destinatari: lavoratori autonomi, subordinati, para- subordinati, delle cooperative ecc, i fondi che di fatto si sono costituiti però sono venuti non da una di queste categorie ma dalla contrattazione collettiva, chiamata dall’articolo fonte istitutiva. Si prevede che una parte della retribuzione non venga versata ma vada in fondi di previdenza complementare, basati su categorie, come chimici e farmaceutici, i tessili, i metalmeccanici, dipendenti della sanità ecc. Il decreto prevede che il finanziamento di questi fondi sia ripartito a metà, tra lavoratore e datore, in questo caso addirittura le 2 parti possono essere equivalenti, con una precisazione, ovvero che lavoratore è libero di aderire o meno al fondo, quando viene assunto gli viene chiesto se vuole aderire o meno, perché l’operazione abbia un significato economico rilevante, il lavoratore deve accantonare una quota significativa della retribuzione. Non tutti i lavoratori però sono disponibili ad accantonare qualche centinaio di euro al mese, ognuno ha le sue esigenze individuali, magari ha coniuge disoccupato e 4 figli a carico, quindi gli serve avere reddito subito. Il principio di libertà sancito nell’articolo 8 del decreto lascia quindi il lavoratore libero di 3 opzioni: se aderire o meno al fondo, di scegliere il fondo a cui aderire e di scegliere importo in relazione al quale aderire. C’è anche la possibilità che un fondo prevede che fino ad un certo importo versato dal lavoratore (ad esempio 120), il datore raddoppi ma oltre a quell’importo (tipo lavoratore che versa 200) il datore non superi la soglia massima di 120, c’è una libertà estrema. Se il lavoratore decide di non versare nulla, nemmeno il datore è tenuto a versare nulla, il datore è tenuto a versamento a condizione che il lavoratore versi, in caso contrario no. A questa prima fonte di finanziamento se ne può aggiungere un’altra che è accantonamento mensile o annuale che datore deve effettuare ai fini del calcolo del TFR. Articolo 2020 dice che quando rapporto di lavoro si estingue, datore di lavoro deve dare a lavoratore una liquidazione che è in Trattamento di Fine Rapporto, calcolato con una formula complessa, che però sostanzialmente equivale più o meno alla mensilità (retribuzione annua diviso 13,5 a fronte di 13 mensilità o 14 fino ad un po’ di anni fa per certi lavoratori). Il decreto n.252 del 2005, per sollecitare ad accantonamenti previdenziali di un certo importo ed evitare che lavoratori versassero importi modesti, ha detto che se non si manifesta volontà contraria, il TFR viene versato al fondo, quindi in questi casi, quando il lavoratore esercita anche tacitamente questa opzione e 40 versa al fondo, il finanziamento del fondo sarà abbastanza robusto perché sarà quantificato da importo in busta paga. Quando entrò in vigore questo decreto, una parte del sindacato contestò questa cosa sostenendo che questo prelievo tacito era una forma di rapina, in realtà la norma prevede obbligo di informazione di ciò. Questa opzione viene esercitata una volta sola ed è irrevocabile, il lavoratore non può, avendo manifestato intento di aderire, tornare sui suoi passi e cambiare idea, questa manifestazione viene resa al momento dell’assunzione ed è irrevocabile. Se il lavoratore cambia idea può dare dimissioni e farsi riassumere oppure, terza ipotesi di prima, cambiare fondo, ovvero ha manifestato sua adesione al momento dell’iscrizione, ma se a un certo punto ritiene che questo fondo versi male i suoi risparmi, facendo delle scelte troppo rischiose, la sola possibilità che gli rimane è quella di cambiare il fondo. Siamo quindi in un mercato concorrenziale, come quello dell’assicurazione auto, con la differenza che RC auto è obbligatoria mentre in questo caso il lavoratore è libero di aderire o meno, con la sola possibilità che, in questo caso può solo cambiare fondo. COME SONO ORGANIZZATI QUESTI FONDI: i fondi sono di 2 tipi:  Chiusi: accettano iscrizioni solo da lavoratori a cui si applica contratto collettivo che li ha istituiti, ad esempio il fondo dei tessili o dei chimici accettano solo tessili o chimici. Questi fondi sono governati da forme paritetiche, dove le scelte di investimento spettano ad organi direttivi che sono in composizione mista o paritetica, ovvero una metà dei componenti del CdA sono eletti da sindacato (ovvero lavoratori) e una metà eletti dalle imprese che finanziano per metà insieme a lavoratori. Per amministrare capitale, per il fondo chiuso, il legislatore ha voluto impedire che prendesse direttamente lui (iscritto al sindacato che non se ne intende) le decisioni, ma fa in modo che il CdA non gestisce investimenti quotidianamente, ma lo fa un soggetto che faccia une gestione professionale del fondo, per conto degli altri gestisce i soldi altrui, per conto del fondo. La legge impone al CdA di adottare delle linee guida e di affidare la gestione ad un soggetto esterno, detto ente gestore;  Aperti: questi enti gestori molto spesso sono delle società che già sono presenti sul mercato e appartengono a gruppi finanziari o assicurativi molto grandi, i fondi aperti sono i fondi costituiti da questi stesso enti gestori, che invece che avere un cliente collettivo che da loro in mano la gestione del fondo, si vanno a cercare uno per uno gli iscritti, i fondi aperti sono organizzati da Unicredit, Banca Intesa ecc. Nella libertà del lavoratore sull’aderire o meno, su quanto versare ogni mese e sulla scelta del fondo a cui aderire, abbiamo un mercato competitivo in cui diversi soggetti prestano servizi finanziari, ci si è posto quindi il problema se il contratto collettivo possa limitare la mobilità dei lavoratori dal fondo di categoria ad un altro. I fondi aperti miravano ad una norma di legge che garantisse una piena portabilità, ovvero diritto dei singoli lavoratori di passare da un fondo ad un altro, la norma finale è particolare, ha riconosciuto questa portabilità ma con qualche limitazione nell’articolo 14 che prevede che, decorsi 2 anni dalla partecipazione ad una forma pensionistica complementare, l’aderente ha facoltà di trasferire l’intera posizione individuale maturata (tutte le somme versate incrementate dei rendimenti) ad altro fondo. Questo articolo 14 dice che se uno cambia fondo si porta dietro tutto il maturato senza alcuna trattenuta, ma per il futuro il diritto della quota a carico del lavoratore e il diritto al trasferimento del TFR, o è previsto dal contratto collettivo oppure lo si perde, se io verso 100 al fondo Cometa e 100 il datore e poi dopo 3 anni vado da fondo Cometa e dico verso al fondo aperto X, da quel momento in poi non potrò fare affidamento sui 100 del datore che versa solo nel fondo di categoria dove sta il rappresentante del CdA, i fondi aperti infatti potrebbero comprare azioni della concorrenza e non agire nell’interesse del fondo chiuso, dove invece sono presenti nel CdA i rappresentanti delle imprese che vi partecipano e che quindi effettueranno investimenti che rientrino in questi interessi. 41 Perché questa opzione sia conveniente, ovvero perdere la parte versata dal datore, il rendimento dei fondi aperti dovrebbe essere elevatissimo, impossibile, quindi di fatto articolo 14, non è una norma che trova grande applicazione, sono pochissimi quelli che abbandonano i propri fondi per andare nei fondi aperti. LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE IN SINTESI: 2 leggi importanti a riguardo sono decreto 124 del ’93 che diede vita alla prima riforma della legge del ’69, alla riforma Amato, poi abrogato e sostituito dal decreto 252 del 2005. L’organizzazione della previdenza si divide in 3 pilastri:  Primo pilastro: è costituito dalla A.G.O. che è acronimo che significa in questo caso Assicurazione Generale Obbligatoria che rinvia all’obbligo contributivo che grava in capo all’INPS, questo pilastro è presente in tutti i paesi dell’UE e quelli dello Spazio Economico Europeo;  Secondo pilastro: costituisce oggetto principale del decreto 252, è previdenza integrativa o complementare, qui abbiamo 3 ipotesi: o Fondi pre-esistenti: in via di scomparsa, regolati da articolo 20 di decreto 252; o Fondi di nuova costituzione: regolati da articoli 3, 4 e 5 del 252, sono tendenzialmente categoriali e chiusi, anche quando non sono categoriali infatti possono essere territoriali o aziendali; o Fondi aperti ad adesione collettiva: le aziende possono avere un certo numero di lavoratori che però non costituisce massa critica sufficiente a garantire la costituzione di un fondo, allora questa adesione prevede che non si crei un fondo, ma attraverso adesione collettiva c’è un controllo aggregato delle condizioni individuali con possibilità di riconoscere una forma di rappresentatività degli interessi collettivi;  Terzo pilastro: sono quelle che articolo 13 chiama forme pensionistiche individuali, sono frutto di una decisione individuale, possono godere in certi casi di incentivi fiscali quando non vi sia il secondo pilastro e si articolano in: o Fondi aperti: regolai da articolo 12 del 252; o Fondi di assicurazione sulla vita: con compagnie assicurative che siano state autorizzate a queste forme. Ci sono poi le forme di finanziamento, regolate da articolo 8 del 252, con silenzio assenso, finanziamento che è paritetico, questi finanziamenti danno vita al fondo che è organizzato attraverso organo di vertice che periodicamente sceglie ente gestore regolato da articolo 6. I fondi aperti sono o quelli che accolgono adesioni individuali, o quelli che sono anche enti gestori. Qui c’è una figura che è quella della banca depositaria, che servono ad evitare che ente materiale abbia la custodia fisica dei versamenti, che vengono depositati alla banca e poi quando c’è bisogno di comprare o vendere questa deve seguire istruzioni che le dà ente gestore. Poi ci sono all’articolo 11 le prestazioni, tra cui in particolare quelle biometriche, che sono quelle più facili da calcolare, ma è possibile che i fondi assicurino prestazioni di tipo diverso; una prima prestazione è quella di una rendita garantita, cioè la rendita che verrà liquidata sarà pari ad un certo ammontare, questa soluzione è particolare e la legge la avvicina a quelle biometriche, perché il fatto che la prestazione sia pari ad un certo ammontare significa che se rendimenti sono scarsi bisognerà incrementare contributi, allora la legge dice che se i fondi promettono una certa prestazione allora deve esserci grande disponibilità di reddito per incrementare questi. Quando il montante che si è cumulato è modesto, può darsi che importo dell’assegno mensile sia modesto, in questo caso articolo 11 prevede che ci sia un pagamento unitario, il fondo può liquidare in una sola volta tutto ciò che si è accantonato, invece che tenere posizione aperta per molti anni (con costi di gestione). 42 danno anche prezzo acquisto delle opzioni, garantendo prezzo fisso indipendentemente dalla variazione, che può dare frutto a guadagno, questa è retribuzione in natura. Sul mercato delle azioni si pagano comunque le tasse, si vende ai propri dipendenti, scontato come se fosse un outlet, il problema è che dopo un po’ non me ne faccio più nulla, se uno ogni 6 mesi si prende una borsa e le rivende allora quello conta come retribuzione, soggetto a contribuzione e tassazione. Viene corrisposta indennità che maggiora trattamento retributivo di quel giorno in cui uno fa una trasferta, quei soldi rientrano. LA RETRIBUZIONE IMPONIBILE: la norma più importante è decreto 314 del ’97, che ha uniformato la contribuzione alla normativa fiscale e da questo punto di vista ha modificato in parallelo Testo Unico delle Imposte sui Redditi, sia articolo 12 della legge 153 del ’69, che è stato individuato come luogo in cui concentrare tutta la disciplina. Legislatore all’articolo 12 fa rinvio ad articolo 49 del TUIR in forza del quale si applica un principio di competenza, si fa cioè riferimento a tutto quello che viene pagato nell’anno i primissimi giorni dell’anno successivo perché la banca ha bisogno di qualche giorno per operare l’accredito. Si fa riferimento sia ad articolo 49 che ad articolo 51, che prevede la non discriminazione ai fini della tassazione tra erogazione liberale e retribuzione altrimenti di finisce per incentivare forme di elusione alla tassazione pagando tutto sotto forma di doni. Il comma 3 di articolo 12 contiene precisazione, cioè che le somme si intendono al lordo di qualsiasi contributo e trattenuta. Questa perfetta coincidenza fra retribuzione imponibile ai fini fiscali e retribuzione imponibile ai fini INPS, viene meno per alcune ipotesi in cui c’è un prelievo fiscale ma non c’è un prelievo contributivo. IL TFR: la prima ipotesi sono le somme corrisposte a titolo di TFR, che sono escluse dalla base imponibile. Accadeva che uno a cui mancava un mese dalla pensione che andava in ufficio in totale rilassatezza, il capo ne approfittava per licenziarlo per poca produttività a un mese dalla pensione per non pagare TFR, che corrisponde a circa una mensilità per ogni anno di servizio e quindi il lavoratore ci rimetteva decine di migliaia. Quindi quando nel ’66 fu introdotta la legge sul controllo dei licenziamenti fu previsto che il TFR venisse corrisposto in ogni caso e quando nell’82 ci fu una riforma di questo istituto fu confermato che TFR è importo che matura mese per mese e nella contabilità va segnato. Il TFR non è assoggettato a contribuzione previdenziale perché ha una funzione quasi previdenziale, se rapporto di lavoro si interrompe per pensionamento serve a garantire un reddito una tantum a fronte della contrazione del reddito inevitabile con la pensione e soprattutto se rapporto si interrompe per licenziamento uno può metterci molto a trovare nuovo lavoro, quindi questa forma torna utile. In quegli anni, non avendo indennità di disoccupazione, il TFR rappresentava un ammortizzatore sociale ch il lavoratore accantonava mese per mese e non si chiedeva contribuzione perché era una forma previdenziale. Il TFR quindi non è soggetto a contribuzione ma a trattenuta fiscale. INDENNITÁ DI MANCATO PREAVVISO: quando si ha interruzione del rapporto di lavoro, questa interruzione può avvenire per dimissioni e allora sarà il lavoratore a dover dare preavviso, oppure può avvenire per giusta causa, che non consente prosecuzione del rapporto in modo istantaneo, poi licenziamento può anche avvenire per giustificato motivo oggettivo o soggettivo e in tal caso, a differenza di quello per giusta causa, lavoratore ha diritto a preavviso, che può però essere sostituito dal pagamento in un'unica soluzione della retribuzione che lavoratore avrebbe altrimenti guadagnato durante periodo di preavviso, questa somma si chiama indennità di mancato preavviso. Su questa indennità si pagano contributi, ma in certi casi accade che il datore di lavoro che voglia licenziare lavoratore, invece di procedere a convocarlo e intimargli licenziamento, è possibile che le parti negozino 45 uscita, raggiungano accordo che nel giustificato motivo oggettivo è preventivo, in quello soggettivo e giusta causa, accordo intercorre successivamente al licenziamento magari davanti ad un giudice, allora datore e lavoratore spesso cercano accordo tramite avvocati. Queste furono poi chiamate “somme per incentivare esodo”, ovvero mobilità di un lavoratore nel mondo del lavoro, quindi i licenziati furono chiamati esodati, quindi per le somme che provengono da accordo raggiunto davanti al giudice o fuori, è possibile che vi siano pagamenti perché lavoratore rinunci a fare l’azione e sono qualificati come somme corrisposte per incentivare esodo e prive di prelievo contributivo. TERZO CASO: applicare una contribuzione previdenziale a indennità a titolo di risarcimento danni, sarebbe innaturale, perché viene pagato risarcimento e poi l’INPS arriverebbe a chiedere contributi, in questo caso non c’è prelievo contributivo. Non tutti i danni però sfuggono a prelievo contributivo, perché ci sono danni che sono da inadempimento, come il caso in cui lavoratore non venga collocato in attività che siano proprie del suo inquadramento e quindi giudice, a fronte di questo danno da demansionamento, riconosce un certo importo, che però non è danno ma è retribuzione e quindi qui si applica versamento retributivo. QUARTO CASO: le somme corrisposte a carico di gestioni assistenziali e previdenziali obbligatorie per legge, le somme e le provvidenze erogate da casse, fondi e gestioni e quelle erogate dalle casse edili, i proventi derivanti dalle polizze assicurative, i compensi erogati per conto di terzi non aventi attinenza con la prestazione lavorativa, tutte queste sono escluse dalla base imponibile. SESTO CASO: in molte realtà aziendali, quando il dipendente era inserito in realtà multinazionali, i datori di lavoro fanno di tutto per trattenere i propri dipendenti, quindi da questo punto di vista i dipendenti hanno forme di sanità integrativa o altri benefit, nell’ambito di questi benefits, non era infrequente che si assicurasse una pensione complementare, soprattutto in contesti dove pensione nazionale poco generosa e quindi se si rimaneva nell’azienda per un certo numero di anni, si prometteva pensione aggiuntiva. Questa pensione aggiuntiva era finanziata da versamenti di natura contributiva a carico dei datori di lavoro. Un giorno però INPS si presentò da una banca e disse che questi contributi che versano ai fondi non erano contribuzione ma retribuzione e chiese la contribuzione sulla contribuzione al fondo di previdenza complementare, alla fine si disse che la contribuzione di quei fondi, pur essendo manifestazione di un reddito elevato, non si poteva assoggettare allo stesso prelievo contributivo degli altri lavoratori e quindi questi importi saranno assoggettati a prelievo di solidarietà ma in misura ridotta pari al 10%. QUINTO CASO: è un’abrogazione non testuale ma fattuale, riguarda le erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali, la cui struttura sia correlata all’incremento di produttività, qualità e altri elementi di competitività. Nel nostro sistema retribuzione è uguale per tutti, determinata da contratto collettivo, un’impresa non può pagare meno i propri dipendenti, se non ce la fa a pagare li deve piuttosto licenziare. Questo sistema lascia insoddisfatti lavoratori che lavorano in imprese che vanno bene, che guadagnano lo stesso di quelli che lavorano in quelle che vanno male, datore di lavoro si intasca molto di più e per lavoratore dovrebbe pagare qualcosa in più per incoraggiare a ripetere prestazione positiva. Quindi le imprese che vogliono competere non possono limitarsi a riconoscere retribuzione del contratto collettivo, ma devono riconoscere una retribuzione aggiuntiva, accanto a questo fisso si può promettere una prestazione aggiuntiva rispetto a obiettivi, retribuzione di produttività e incentivante. Per queste prestazioni, entro certi limiti percentuali, questa retribuzione di produttività non è assoggettata a contribuzione ma solo a tassazione. In Italia non è stata potenziata la norma che incentivava produttività e si è detto che lo straordinario è assoggettato ad un regime diverso, premiare chi lavora per un tempo più lungo va a danno del premiare chi lavora meglio, i premi di produttività sono corrisposti a chi raggiunge un determinato obiettivo e se lo raggiunge in orari fissato costa anche meno all’impresa. 46 MINIMALE E MASSIMALE: storicamente è sempre esistita una certa franchigia, cioè siccome sistema prendeva in riferimento ultimi anni, il rischio che INPS correva è che uno per molti anni versasse contributi modesti e poi alla fine più alti, quindi INPS ha chiesto che contributi fossero commisurati ad un certo minimo, a parte il part time che era soggetto ad un ricalcolo, questo è minimale. Per quanto riguarda massimale, ad un certo punto ci si è resi conto che il fatto che tutta la retribuzione venga assoggettata a contribuzione, comportava l’avere alcune pensioni altissime e si decise quindi che versamento contributivo oltre ad un certo punto si arresta. Chi ha una RAL superiore ad un certo importo aggiornato anno per anno (103k nel 2020), oltre alla quota massima non c’è contribuzione aggiuntiva, l’importo quindi conosce solo prelievo fiscale con aliquote addirittura crescenti, m ai fini previdenziali, se lavoratore guadagna 110k l’anno, avrà prelievo contributivo solo sui primi 103k, questo serve a lavoratore per avere soldi da investire in previdenza complementare, l’INPS in prima battura ci perde perché ha meno flusso, ma nella prospettiva ci guadagna perché paga la pensione per quello che riceve e quindi se riceve meno paga meno. Questo massimale è stato introdotto per adeguarci a modello europei e lasciare spazio a previdenza complementare. Nel ’95 si doveva decidere a chi applicare questo massimale e si decide che tutti lavoratori che hanno almeno una settimana di contribuzione nel ’96 non hanno massimale, quindi possono godere di pensione che rispecchi tutto importo retributivo, anche se dovessero cambiare mestiere e quindi il massimale per molti anni applicato solo nei neo-assunti, solo chi va con contributivo puro, è quindi un regime transitorio lunghissimo. Non si applica invece su chi aveva regime pienamente retributivo o misto, ovvero chi nel gennaio ’96 aveva almeno una settimana di contribuzione, questi versano contributi in misura della retribuzione senza massimale e ricevono pensione commisurata a tutta retribuzione. CONTRIBUZIONE EFFETTIVA, VOLONTARIA E FIGURATIVA: quella effettiva è quella che viene prelevata dalla busta paga e poi insieme alla quota del datore di lavoro versata effettivamente, accanto a essa si è ammessa contribuzione volontaria, accadeva che lavoratore a cui mancavano un certo numero di anni per maturare diritto a pensionamento, si ammetteva che si maturasse diritto di lavoratore di fare una domanda e lavoratore a proprie spese, intaccando il proprio patrimonio, versava la quota mancante a carico suo e di datore e maturava diritto. La contribuzione figurativa invece, si accompagna a ipotesi in cui rapporto rimane sospeso, come malattia, maternità o disoccupazione involontaria e cassa integrazione, cioè in caso di maternità si promette tutela della condizione della madre e assicurare a lei e bambino adeguata e speciale protezione. Se si prevedesse che la madre lavoratrice si astenga dal lavoro e lo faccia per facilitare la gravidanza, si prevede congedo obbligatorio, conteggiato a decorrere dalla data presunta del parto, 2 mesi prima e 3 mesi dopo, viene garantita anche il puerperio ovvero condizione di chi abbia appena partorito e questa tutela è anche del nato perché c’è un rapporto che merita tutela genitoriale. Se questa tutela si limitasse a garantire solo indennità per compensare mancata retribuzione, lavoratrice che ha 4 figli si pensionerebbe tardissimo, allora lo stato riconosce a carico di fondi pubblici una contribuzione che viene accreditata a INPS, contribuzione figurativa riconosciuta come se fosse pagata e che INPS non si versa a sé stesso. RISCATTO: nasce nell’ambito del sistema pubblico, in cui c’era uno strutturale svantaggio dei lavoratori rispetto al privato, il più grande datore di lavoro per i laureati è lo stato, attraverso il concorso, quindi coloro che facevano carriera nel privato, potevano vantare contributi in età giovanissima, assunti alcuni anche con la terza media, arrivavano a 20 anni con già 6 di contributi mentre uno magari si laureava a 27 anni. 47 Il 2116 estende queste cose ai casi previsti dal 2114 salvo diverse disposizioni delle leggi speciali o delle norme corporative e qui si apre un panorama giurisprudenziale. INPS dà a questo articolo una lettura molto limitativa, mentre INAIL lo applica per intero, INPS correla applicazione di questo principio alla possibilità di riscuotere contributi, cioè accertamento che contributi non siano prescritti, quindi se uno per 15 anni ha lavorato in nero, nel momento in cui lavoratore denuncia a INPS, per diritto vivente INPS risponde che ultimi 5 anni non sono prescritti e si possono versare ma per i precedenti 10 il contributo è prescritto e INPS non risponde. Quindi principio di automatismo è limitato solo a quelli non prescritti, questo non è scritto nel Codice ma è un’interpretazione e INPS ha convinto giurisprudenza a interpretarla così perché ha visto in questo 2116 non una deroga ai principi generali dei contratti, ma l’ha interpretato nella prospettiva di consentire all’INPS la riscossione. Questa è una profonda modifica di quel sistema, mentre INaIL risponde comunque e si accolla il rischio che non ci siano fondi, INPS non lo fa e si avvantaggia del fatto che nella pratica l’INPS non viene quasi mai evocato in giudizio. Quindi il 2116 si applica solo per gli ultimi 5 anni. IL DANNO PER GLI ANNI PRESCRITTI: se il solito lavoratore va da INPS e si considerano ultimi 5 anni, per quei 5 siamo a posto, ma per i primi 10 no, leggendo il 2116 comma 2, esso dice che se quando la contribuzione è prescritta risponde il datore di lavoro. I danni sono sostanzialmente 2:  Il primo e più macroscopico è che si non si riesce a maturare diritto alla pensione per mancanza di anni di contribuzione e questo era frequente nel sistema retributivo prima del ’95, quando il minimo era 15 anni di contribuzione, magari una donna con tanti figli che è stata a casa molti anni fino a quando i figli non crescevano e ha lavorato pochi anni, magari anche in nero, poi raggiungeva età per poter andare in pensione e non aveva maturato diritto alla pensione e quindi il danno è che, se datore avesse versato in quegli anni i contributi, la donna in questione avrebbe una pensione;  Seconda ipotesi e più frequente è che, dato che bisogna avere 5 anni di contribuzione per avere accesso alla pensione a 71 anni, ipotesi è che c’è stata o un’omissione parziale, e in questo caso il danno sarà pari a differenza tra pensione virtuale che si avrebbe maturato versando tuti i contributi e quella che si ha. Questo danno dovrebbe essere liquidato attraverso pagamento periodico, che però è nemico di un contenzioso perché impone alla società debitrice di rimanere sempre in piedi, se fallisce la cosa si complica perché si deve andare da curatore fallimentare e la cosa di dilunga. Quindi si passa ad un importo unitario, che equivale a pensione mensile o differenza che viene capitalizzata ovvero moltiplicata per la speranza di vita. Questo pagamento libera il danneggiante o l’impresa che non ha versato contributi e quindi anche se il lavoratore campa 20 anni di più impresa non è tenuta a pagare più. Questa direzione però può lascerà lavoratore con delle incertezze, che non sa quanto camperà e non sa quanti spenderne mese per mese, quindi avrebbe interesse a vedersi corrisposta la somma sotto forma di pensione. Quindi nel ’53 si è prevista una forma speciale di risarcimento del danno, che vede coinvolto INPS che nel caso in cui ci sia una sentenza, è tenuto ad accettare importi e una volta che ha visto corrisposti questi importi procederà a pagamento dell’importo periodico. Quindi il lavoratore ha 2 soluzioni: o chiede pagamento immediato capitalizzato, oppure chiede condanna della società che ha provocato il danno a versare questo importo, direttamente all’INPS, che percepisce importo e procede a pagamento di assegno integrativo e accetta il rischio che il lavoratore campi 100 anni. 50 LE GESTIONI SPECIALI E GLI ALTRI FONDI: il principio di automaticità non vale per gli altri fondi dove il versamento dei contributi avviene in auto-liquidazione, cioè se noi siamo iscritti a ordine dei medici o gestioni INPS di artigiani o commercianti, liberi professionisti espongono una percentuale (4%) che però versano solo loro, è una gestione che lavoratore autonomo fa, procede lui a quantificare il debito previdenziale e lo versa lui. Qui ente previdenziale non sa mese per mese importo che gli verrà corrisposto perché dipende dal volume d’affari. In questi casi in cui soggetto assicurato è lui stesso responsabile della liquidazione e versamento dei contributi, a questo soggetto non può applicarsi il principio di automaticità del 2116 comma 1, quindi per queste categorie l’automaticità del 2116 non si applica. Invece per i para-subordinati non c’è una norma specifica, la giurisprudenza ha colmato la lacuna, ci sono molte sentenze che hanno deciso che i lavoratori para-subordinati non operano in auto-liquidazione, perchè per loro c’è una norma di equiparazione, quindi alcune sentenze hanno detto che principio di automaticità si applica a subordinati ma anche a para-subordinati. Invece per quanto riguarda la ripartizione, del 2115 comma 2, ipotizziamo che datore di lavoro sia condannato a pagamento degli ultimi 5 anni non prescritti, lavoratore va da INPS e contemporaneamente da giudice che accerta che questo rapporto si è svolto, il datore di lavoro ammette che magari aveva pagato indennità di trasferta che però non è soggetta a contributi, magari lavoratore rimane a casa e non può più fare trasferte e chiede indennità di mensa e indennità di trasferta e datore non li dà o li dà solo in parte, a questo punto INPS vuole che si dimostri che lavoratore è stato in trasferta e se non lo è stato allora quella non è indennità ma è una vera e proprio retribuzione e ci devono essere contributi al 33% anche per datore. Ipotizziamo che il debito sia 20k, con le sanzioni molto di più, il datore è responsabile del pagamento anche della quota a carico del lavoratore, salvo il diritto dell’imprenditore alla rivalsa, che darebbe a datore diritto di chiedere a lavoratore il 33% a suo carico, quindi 6,66k, questo non è possibile, rimane tutto a carico del datore. LA RISERVA MATEMATICA: abbiamo accennato alla differenza tra riscatto e ricongiunzione, quest’ultima è una forma che differisce dal riscatto perché prevede che enti previdenziali, salvo quelli di categoria, tipo uno che fa avvocato e versa contributi alla cassa forense e poi viene assunto in azienda e deve ricongiungere questi contributi, dopo il 2010 con la crisi finanziaria, mentre prima molti avevano ricongiunto tra privato e pubblico, dopo il 2010 questa cosa si poteva fare ma quando le condizioni di partenza sono diverse, ipotesi esclusiva ormai è quella di articolo 2 che impone pagamento della riserva matematica, se io ho 8 anni di contribuzione presso cassa forense e 34 come dipendente e voglio andare in pensione con 42 anni di contributi si possono ricongiungere gli 8 ai 34 ma quei contributi versati con aliquota magari al 17% non è che si sommano con quelli versati al 33%, perché INPS mi chiede differenza, calcolando differenza di pensione e cioè riserva matematica, perché dal 2010 appunto gli anni non si sommano più in modo automatico. Quindi il lavoratore deve pagare a INPS questa differenza tra pensione che avrebbe avuto se anche gli anni al 17% fossero stati versato ai 33% e quello che effettivamente ha versato. 51 LE SANZIONI (Cap. 5) Abbiamo visto il 2115, il diritto di rivalsa, il conguaglio per cui datore di lavoro anticipa alcuni versamenti e li compensa con versamenti periodici, della prescrizione quinquennale e INPS che non può accettare pagamenti tardivi e abbiamo visto articolo 2126 spiegando principio di automaticità in modo pieno per INAIL, per contributi non prescritti per INPS e come per quella parte di contribuzione prescritta, il lavoratore può chiedere risarcimento del danno che può prendere varie forme: mediante pagamento normale o riserva matematica. Questo sistema si basa su tabelle basate su aspettativa di vita che tengono conto di età, sesso e stato civile. Si dice che il danno del 2116 abbia scadenza decennale però nella giurisprudenza, il momento in cui questo termine inizia a decorrere non è momento in cui si è registrato mancato versamento ma il momento in cui lavoratore va a INPS e chiede di andare in pensione. Questo perché in passato lavoratore non aveva alcuna notizia della sua situazione previdenziale e si scoprivano inghippi solo tardivamente, per ovviare a questa situazione, avveniva che INPS era tenuta a risarcire lavoratori che confidavano di aver maturato diritto alla pensione quando non era vero. In questo modo il termine decennale del 2116 è abbastanza inutile. Abbiamo detto che datore di lavoro è responsabile in questi casi anche per quota a carico del lavoratore, ci sono però delle sanzioni che possono essere civili e penali. LE SANZIONI PENALI: quelle penali riguardano chi non versa i contributi, il reato è quello di omissione, il datore di lavoro che non versa contributi o ne versa in parte è punito con reclusione fino a 2 anni. Un tempo se omissione superava 5mln lire si aveva reato, ma in certi casi la fabbrica aveva 200 dipendenti, a quel punto era facile evadere 5mln, solo con arrotondamento ci si arrivava, quindi si è affiancata questa cosa al 50% dei contributi. Sanzione penale regolata da legge 689 dell’81, che è una legge ancora fondamentale perché introdusse per prima la depenalizzazione di molte fattispecie di reato, trasformandole in sanzioni amministrative, ovvero il loro effetto non è regolato da codice penale ma è di natura patrimoniale. LE SANZIONI AMMINISTRATIVE E CIVILI: quelle amministrative sono pecuniarie e anche quelle civili, la differenza tra le 2 ha rilievo fondamentale che sanzioni amministrative non passano a eredi mentre quelle civili sì. In realtà c’è una giurisprudenza perché non è sempre chiaro quando si tratti di una o dell’altra, il legislatore le qualifica ma queste qualificazioni sono irrilevanti per il giudice, allora le si è distinte in base alle funzioni, le sanzioni civili sono quelle dirette a reintegrare creditore delle perdite conseguenti a adempimento tardivo, mentre quelle amministrative hanno effetto afflittivo. La giurisprudenza tende a qualificare tutte le sanzioni come civili, perché quelle amministrative nel 2000 sono state praticamente cancellate perché erano talmente gravose che era frequente che impresa sanzionata avrebbe dovuto corrispondere l’importo dell’evasione contributiva, vederla maggiorata e ulteriore sanzione amministrativa che con facilità raddoppiava importo contributo omessi e quindi imprese piuttosto che pagare queste sanzioni fallivano, quindi nel 2000 sono state spazzate via per le violazioni INPS, con problemi di diritto transitorio. Infatti per l’INPS il danno prima era doppi, non si vedeva contributi versati e in più per principio di automaticità doveva pagare contributi non riscossi e non prescritti. Per quanto riguarda atti di accertamenti che sono stati notificati prima che sanzione amministrativa venisse abrogata, prima del dicembre 2000, l’orientamento prevalente è quello per cui si dice che uno nel ’93 avrebbe dovuta pagare, ha preso tempo e ora non si può avvantaggiare di questa modifica sopravvenuta. 52 LA TUTELA DEI DIRITTI INDIVIDUALI Prima ipotesi è che si contesta la mancanza della pensione da parte di INPS, se si contesta mancato pagamento di infortunio sul lavoro è da parte di INAIL e si fa causa a loro. Secondo caso che abbiamo visto è omissione parziale o totale, per questi tipo di contenzioso è competente il giudice del lavoro. Poi esiste un terzo tipo di contenzioso, quello in cui INPS è un soggetto terzo, perché si tratta di un conflitto che vede contrapposti, nel senso che lavoratore si vede riconosciuto un credito di tipo retributivo e l’INPS li versa e diventa a sua volta creditore di un credito contributivo da datore di lavoro. Questo è il caso di quando lavoratore ottiene pagamento del differenziale salariale, ovvero è stato pagato come un certo lavoro ma ne ha svolto un altro di grado superiore, tutta la retribuzione è soggetta a contribuzione e quindi anche la cifra aggiuntiva lo è, in questo caso INPS non era un soggetto necessario al processo, ma il contenzioso gli deve essere portato a conoscenza, in molti casi INPS invece è contraddittorio necessario, cioè deve partecipare alla causa, per evitare che esso opponga delle eccezioni e faccia venir meno l’efficacia della regola. Unica ipotesi che rimane fuori da ciò è il danno che consegue alla lesione di integrità fisica e psichica, che non sono assoggettati a contribuzione. In questa terza ipotesi, fino ad agosto di quest’anno la Cassazione aveva preso posizione di dire che INPS non era contraddittorio necessario e che quindi processo poteva essere instaurato da lavoratore nei confronti del datore, poi ad agosto Cassazione ha cambiato posizione e ha detto che INPS è contraddittorio necessario. Può essere che lavoratore ottenga pagamento della retribuzione, anche se lontana nel tempo, ma siccome contributi si sono prescritti, il datore non li versa, in questi casi INPS potrà essere escluso dal contraddittorio ma in questi casi c’è un problema di risarcimento del danno da omissione contributiva del 2116 che permette a lavoratore di chiedere in giudizio, oltre a pagamento retribuzione, anche risarcimento danno da parte del datore. Rimangono comunque, anche dopo agosto, 3 profili aperti: il primo è presenza dell’INPS in questo giudizio, non significa che deve partecipare per forza al processo, ma che deve essere messo in grado di partecipare. Una seconda precisazione riguarda la posizione del lavoratore nel processo che vede contrapposti datore di lavoro e istituto previdenziale, in cui datore non ha versato contributi o solo in parte, il datore potrebbe difendersi dicendo che il lavoratore in questione magari conosce poco lingua italiana e quindi quando interrogato non ha capito cosa gli si chiedeva, a quel punto lavoratore che magari ha bisogno di quel lavoro difficilmente andrà a confermare che lavorava più ore, quindi questo lavoratore ha una posizione complicata, perché dovrebbe essere un soggetto terzo, “indifferente”, ovvero che non ha interessa alla risoluzione della causa, in realtà però il lavoratore che dichiara di aver lavoratore che dichiara di aver lavorato effettivamente più ore di quelle pagate lo è fino ad un certo punto, perché una volta pronunciata sentenza che costringe datore a pagare, sarà lavoratore a doversi fare avanti nei confronti di datore e quindi si è a lungo dubitato di capacità di lavoratori di testimoniare. Il terzo aspetto è che quando è lavoratore ormai pensionato che chiede che gli sia riconosciuta prestazione pensionistica o che sia determinato importo della pensione, quando questo riguarda dipendenti pubblici, cognizione della causa non spetta a tribunale ordinario ma alla Corte dei Conti, perché in un lontano passato queste prestazioni erano viste come a carattere assistenziale e quindi nel rispetto di questa cosa, ancora oggi se dobbiamo fare causa a INPS reclamando diritto alla pensione di importo maggiore, dobbiamo andare a Corte dei Conti che ha delle giurisdizioni che coincidono con regioni praticamente. Una sentenza di una decina di anni fa ha stabilito che Corte dei Conti dovesse applicare il rito del lavoro. 55 IL RITO DEL LAVORO: primo argomento è la competenza territoriale, ovvero per la persona che deve fare causa deve sapere a che tribunale rivolgersi, ci sono criteri di riparto che vanno su base territoriale, se è datore di lavoro ed è questione di contributi si segue criterio della sede dell’INPS, a seconda di dove questa si trova si decide il tribunale competente (se sede INPS è a Pavia allora è competente tribunale di Pavia). Invece se è pensionato che fa causa, si segue criterio della residenza del lavoratore, che magari è vecchio e non gli si chiede di fare causa a Roma. Se lavoratore fa causa a INPS e ho ragione giudice non può fare a mano di condannare INPS, giudice ha una certa discrezionalità, però INPS non deve essere evocato in giudizio subito, bisogna dare a INPS o INAIL possibilità di anticipare decisione finale, ovvero ci sono casi in cui mancato riconoscimento della prestazione è frutto di mera disattenzione, non è difficile capirlo, prima di fare causa di fronte a giudice, prima che la causa venga instaurata. INPS vuole garanzia che si arrivi a discutere solo quelle cause in relazione alle quali ha fatto valutazione definitiva, imponendo un preventivo ricorso amministrativo, se questo non viene promosso la causa non può andare avanti. Ricorso amministrativo è la sede in cui si esplicita il petito, ovvero la pretesa di attore e la causa petente che sostiene ragione della pretesa, il giudice si pronuncia solo in relazione alla domanda che attore pone. In ricorso amministrativo si anticipano gli esatti termini della futura domanda. INPS o INAIL ha un erto periodo di tempo (180 gg) entro il quale ha 3 soluzioni: o accoglie ricorso, lo rigetta e allora lavoratore è libero di proporre azione, oppure terza e più frequente ipotesi è che INPS non fa nulla, in questo caso legislatore dice che quando termine è decorso si intende che decorso rigettato, al 181 giorno di silenzio lavoratore può fare causa e dirà che termine trascorso e nessun provvedimento di accoglimento c’è stato. 56 LE SANZIONI CIVILI: oltre alla responsabilità risarcitoria nei confronti del lavoratore assicurato, in capo al datore assicurante che abbia omesso il pagamento dei contributi sono previste delle sanzioni aventi natura civile, amministrativa e penale. Le sanzioni civili consistono nel pagamento di una somma aggiuntiva rispetto ai contributi omessi. L’evasione contributiva ricorre quando a monte dell’omissione vi è omessa od infedele registrazione. Nel caso di omissione in senso stretto la sanzione è determinata in ragione d’anno in misura pari al c.d. tasso ufficiale di riferimento in vigore al momento previsto per il pagamento dei contributi maggiorato di 5,5 punti percentuali, non superiore al 40% dei contributi non corrisposti alla scadenza di legge. La minor percentuale del 40% è dovuta anche nel caso in cui l’assicurante si renda responsabile di evasione, ma prima della contestazione dell’ente previdenziale ed entro dodici mesi dal momento in cui è sorto l’obbligo di pagamento denunci spontaneamente l’inadempimento contributivo, a condizione che paghi i contributi omessi entro 30 giorni dalla denuncia. Nel caso di evasione contributiva invece le somme aggiuntive sono pari ad una percentuale fino al 30% dei contributi evasi e fino ad un massimo del 60%. Oltre tali tetti massimi, qualora non si sia provveduto al pagamento integrale del dovuto, sono dovuti gli interessi di mora al tasso legale (d.P.R. 602/1973), calcolati però sul solo debito contributivo, e non anche sulle sanzioni civili. Le somme aggiuntive in questione possono essere altresì ridotte fino alla misura degli interessi legali, sulla base di criteri generali dettati dall’ente impositore, in ragione di oggettive e gravi ragioni di incertezza relative all’esistenza dell’obbligo contributivo, connesse a contrastanti o sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali od amministrativi; nel caso di aziende in crisi, riconversione o ristrutturazione di particolare rilevanza sociale od economica a fini occupazionali; nel caso di enti non economici ed enti, fondazioni od associazioni, non aventi fini di lucro. In precedenza il regime sanzionatorio era molto più gravoso: ne conseguono problemi di diritto transitorio. In linea generale, il regime in esame entra in vigore a partire dal 1 ottobre 2000. Per quanto concerne invece i crediti già in essere al 30 settembre 2000, vale a dire i crediti contributivi denunciati, riconosciuti unilateralmente od accertati, per i quali i contributi e le relative sanzioni non sono state ancora pagate al 30 settembre 2000, sarà dovuta una somma calcolata sulla base della l. 662/1996, ma la differenza tra quanto dovuto in base a quest’ultima norma e quanto sarebbe stato invece dovuto in base alla l. 388/2000 costituisce (ex l. 388/2000) un credito contributivo nei confronti dell’ente previdenziale, che potrà essere conguagliato nei confronti dell’ente previdenziale. Le sanzioni in esame sono espressamente definite come civili. Ne dovrebbe conseguire l’applicazione delle regole del diritto civile, per es. in materia di imputazione di pagamento, di trasmissibilità agli eredi, di possibilità di remissione da parte degli enti previdenziali. La giurisprudenza ribadisce come tali sanzioni servano a rafforzare l’obbligazione principale, al tempo stesso predeterminando l’importo del risarcimento (Cass. 8157/1997); una tale funzione è simile in sostanza a quella prevista nell’ambito dell’autonomia contrattuale dalla clausola penale di cui al 1382 [Effetti della clausola penale: La clausola, con cui si conviene che, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno], e non si vede perché ciò che è consentito alle parti non debba esserlo anche a legislatore. Permane il problema derivante dal fatto che una sanzione civile dovrebbe esser basata esclusivamente sul fatto oggettivo dell’inadempimento, inteso come mancata soddisfazione dell’interesse del creditore, mentre la modulazione della sanzione in esame avviene anche sulla base della condotta del debitore (di omissione o di vera e propria evasione). 57 rispetto a quelli accertati nel verbale. All’esito del giudizio il tribunale può valutare anche il merito del provvedimento della Direzione provinciale del lavoro: ciò si traduce nel potere di modificare l’ammontare della sanzione od annullare il provvedimento stesso (Cass. 14698/2002). Il d. lgs. 40/2006 ha modificato il d. lgs. 689/1981, eliminandone l’esclusione ex lege dell’appellabilità delle sentenze di primo grado pronunciate in sede di opposizione. 8. Le sanzioni penali Le sanzioni penali sono integrate anzitutto dalla fattispecie di cui al 37 l. 689/1981 (Omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria), in forza della quale Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o, in, parte, non conformi al vero, è punito con la reclusione fino a due anni quando dal fatto deriva l'omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra cinque milioni mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti. Fermo restando l'obbligo dell'organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato, qualora l'evasione accertata formi oggetto di ricorso amministrativo o giudiziario il procedimento penale è sospeso dal momento dell'iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale, fino al momento della decisione dell'organo amministrativo o giudiziario di primo grado. La regolarizzazione dell'inadempienza accertata, anche attraverso dilazione, estingue il reato. Entro novanta giorni l'ente impositore è tenuto a dare comunicazione all'autorità giudiziaria dell'avvenuta regolarizzazione o dell'esito del ricorso amministrativo o giudiziario. Un primo problema attiene alla portata della fattispecie. La stessa, in ordine alle registrazioni, punisce solo l’omissione delle stesse e non anche la loro falsità, benché la rubrica dell’articolo sia riferita alla “Omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria”. In forza del principio della riserva di legge, e stante la portata inequivoca della disposizione, si deve ritenere che la falsità in registrazioni non sia inquadrabile nella disposizione in esame (ferma restando la possibilità di sussumerla sotto altre fattispecie penali, quali quelle di cui agli artt. 478 e 479 c.p. (che trattano della falsità materiale o ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici). Document shared on www.docsity.com Downloaded by: AndreaC5 ([email protected]) Occorre poi individuare quali siano le denunce o le registrazioni rilevanti, essendovi orientamenti sia a favore della rilevanza delle medesime solo se previste dalle norme previdenziali, sia a favore della tesi secondo la quale vengono in rilievo anche le registrazioni e le scritture previste dalla normativa civilistica (per es. il libro giornale) e fiscale (per es. registro dei corrispettivi e dei compensi a terzi, che potrebbero esser rilevanti per provare rapporti di collaborazione autonoma simulanti in realtà rapporti di lavoro subordinati). La fattispecie richiede quale evento conseguente alla condotta omissiva o di falsificazione un omesso versamento di contributi non inferiore al maggiore importo fra cinque milioni di lire (così l’originaria dizione della norma) mensili ed il 50% dei contributi complessivamente dovuti. Se per es. l’omissione ammonta a 5.000 € su un totale di 15.000 € di contributi effettivamente dovuti, la stessa non costituisce reato, perché il primo limite di tolleranza è superato (5.000 € è importo superiore a 5 milioni di lire), ma non anche il secondo (il pagamento omesso dovrebbe esser superiore a 7.500 € per essere sanzionato). I valori suddetti, integranti la c.d. soglia minima di consumazione del reato, costituiscono condizione obiettiva di punibilità e pertanto non è necessario che le stesse formino oggetto di dolo. Il reato si consuma con lo scadere del termine assegnato dalla legge per il compimento delle registrazioni e denunce, e si estingue nell’ipotesi di regolarizzazione. Una distinta fattispecie penale è prevista poi dal d.l. 463/1983, che al 2 così dichiara: [1] Le ritenute 60 previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ivi comprese le trattenute effettuate ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, debbono essere comunque versate e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali, e regolarmente denunciate alle gestioni stesse, tranne che a seguito di conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro. [1-bis] L'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1 è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni. Il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione. Quest’ultima disposizione ha ingenerato diversi problemi sul piano applicativo. Premesso che il termine ultimo per il pagamento coincide col giorno 20 del mese successivo al periodo di paga di riferimento (d.m. 24 febbraio 1984), una prima questione aveva ad oggetto il quesito inerente alla necessità o meno, ai fini dell’integrazione della fattispecie, dell’effettivo pagamento delle somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione da parte del datore. In base ad un primo orientamento, si è ritenuto che non è necessario che effettivamente il datore abbia pagato il lavoratore, essendo sufficiente invece la sola maturazione del diritto alla retribuzione in capo allo stesso. Tale interpretazione si basava sul fatto che punire per l’omesso versamento di ritenute solo il datore che corrisponde la retribuzione significherebbe trattarlo in modo deleterio rispetto al datore che non ottempera neppure a tale dovere fondamentale (Cass. 6487/2002). In senso opposto si sono però espresse le sezioni unite della Cassazione penale, secondo le quali ai fini della consumazione del reato è necessario che il datore di lavoro abbia previamente retribuito i suoi dipendenti. Ciò in primo luogo perché da un punto di vista letterale i termini (di cui alla fattispecie) “ritenute” ed “operate” sembrano fare riferimento all’effettivo pagamento di una somma sulla quale solo possono essere per l’appunto “operate” delle “ritenute”. La seconda argomentazione è di carattere sistematico: si è osservato che il mero fatto dell’omesso versamento della quota di contributi a carico del datore non costituisce più reato, trattandosi di violazione punita solo con una sanzione amministrativa (d.l. 463/1993), salvo che non sia la conseguenza di un’omissione di registrazione o di denuncia (l. 689/1981); all’opposto, l’omesso versamento di ritenute (ossia dei contributi gravanti sul lavoratore, e “ritenuti” dal datore al momento del pagamento della retribuzione) costituisce ancora delitto. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: AndreaC5 ([email protected]) Ora, se la ratio dell’incriminazione fosse quella di punire il mancato introito dei contributi da parte dell’ente previdenziale, non si capirebbe come mai il mancato pagamento dei contributi gravanti sul datore non integri di per sé reato. La verità è che il legislatore ha inteso reprimere non il fatto omissivo del mero versamento dei contributi, ma il più grave fatto commissivo dell’appropriazione indebita da parte del datore di lavoro di somme prelevate dalla retribuzione dei lavoratori dipendenti. (Così Cass. S.U. 27641/2003. La giurisprudenza è pervenuta però ad una soluzione difforme in materia di omesso versamento di ritenute alle casse edili da parte del datore di lavoro relativamente al denaro trattenuto sulla retribuzione del dipendente: sul presupposto che la cassa edile sia un mero depositario della somma in esame, non assimilabile ad un ente previdenziale rispetto al quale il lavoratore-assicurato possa vantare un diritto di credito, sussistente solo nei confronti del datore di lavoro, si è ritenuto che la somma corrispondente alle ritenute non versate dal datore non fuoriescono mai dal patrimonio dello stesso per divenire di proprietà del lavoratore, sicché il mancato versamento delle stesse integrerebbe non già il reato di appropriazione indebita, bensì un illecito amministrativo (di cui all’8 l. 741/1959)). Un’ultima questione riguardante la fattispecie in esame ha avuto riguardo all’ipotesi di 61 regolarizzazione. Accade infatti che il legislatore periodicamente ammette delle procedure di condono che conducono all’estinzione del reato. Tali procedure si articolano di solito, previa determinazione della somma complessivamente dovuta, nel concedere all’assicurante imputato di saldare il proprio debito previdenziale mediante pagamenti rateali. Questi ultimi tuttavia potevano essere particolarmente dilazionati nel tempo. Si prevedeva altresì la possibilità, in pendenza di pagamento, di sospendere le procedure esecutive, mentre nulla veniva previsto in ordine al procedimento penale. Ciò era un problema, perché poteva darsi che venisse accordata una dilazione tale da andare oltre il termine di prescrizione del reato. In questi casi, in alcune pronunce si è pertanto ritenuto che il reato si estinguesse per condono a prescindere dall’integrale pagamento del dovuto, essendo a tal fine sufficiente la presentazione della domanda di condono ed il pagamento delle rate dovute fino al momento della celebrazione del processo. Ma estinto il reato, veniva meno in capo all’imputato la minaccia della sanzione penale, che costituiva il principale incentivo al pagamento. Altre pronunce all’opposto hanno allora ritenuto che fosse necessario per dichiarare l’intervenuta regolarizzazione e la conseguente estinzione del reato l’intervenuto integrale pagamento della somma dovuta: ma se l’assicurante correva il pericolo di essere condannato penalmente in pendenza di pagamento, parimenti poteva venir meno l’incentivo ad aderire al condono. Una terza giurisprudenza, presupponendo la necessità dell’integrale pagamento ai fini estintivi, impone all’imputato nel corso del procedimento di rinunciare alla prescrizione del reato prima ancora della maturazione del relativo termine, sostanzialmente a pena di celebrazione del giudizio. Si è trattato tuttavia di una soluzione giustamente disconosciuta dalla Cassazione, in quanto l’imputato non può rinunciare alla prescrizione prima che la stessa sia compiuta (Cass. Pen. 14 novembre 2003). Il problema può forse trovare soluzione nel 159.1 n. 3 c.p., secondo il quale il corso della prescrizione resta sospeso in caso di rinvio del processo su istanza dell’imputato e del suo difensore. 62 IL RISCATTO: ai fini della maturazione del diritto alla pensione e dell’incremento del quantum della stessa, il lavoratore può richiedere il versamento a suo carico di contributi effettivi in relazione a determinati periodi di tempo nel corso dei quali non ha svolto attività lavorativa. Il primo caso sono anni di laurea, a prescindere dall’attività svolta (mentre per dipendenti pubblici solo se laurea è necessaria allo svolgimento della loro attività). Con legge 503 del ’92 i possono riscattare periodi di assenza facoltativa dal lavoro per gravidanza, cura di disabili o altri motivi, purchè questi periodi non coperti da alcuna forma di assicurazione, questa facoltà può essere esercitata in misura non superiore a 5 anni e non è cumulabile con anni di laurea. Dopo la legge 335 del ’95 poi si prevedono altre ipotesi come i periodi di formazione professionale e ricerca del lavoro, per il part-time e a lavoratori discontinui e para-subordinati. LA RICONGIUNZIONE: disciplinata da legge 29 del ’79, prevede a favore del lavoratore dipendente, pubblico o privato, la possibilità su domanda di ricongiungere presso l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti gestita dall’INPS i contributi (effettivi, volontari e figurativi) accreditati presso forme di previdenza esclusive o sostitutive. Per il lavoratore autonomo assicurati presso gestioni speciali questo avviene con delle limitazioni a fronte di una minor percentuale di contributi che essi devono versare, essi sono tenuti a versare un’ulteriore somma pari a 50% della differenza tra ammontare dei contributi trasferiti e importo della riserva matematica (valore attuale, riferito alla data della domanda, dei maggiori oneri differiti gravanti sulla gestione per l’incremento della pensione). Altro requisito che vale per dipendenti è l’aver versato per almeno 5 anni all’INPS, per i lavoratori autonomi invece 8 anni di contribuzione effettiva. Si possono trasferire anche contribuzioni figurative maturate presso altri enti. Articolo 5 dice che la gestione presso cui su accentra posizione contributiva invia all’interessato comunicazione dove si dice la somma a suo carico, se la versa solo in parte o per nulla si intende che abbia rinunciato a questo diritto, potrà comunque presentare una seconda domanda. Articolo 8 dice che se nello stesso tempo sono presenti sia contributi effettivi che figurativi, si considerano solo quelli effettivi. Articolo 10 prevede che ricongiunzione possa essere operata anche dai superstiti che hanno diritto a pensione di reversibilità. Prima della legge del ’79 per i liberi professionisti iscritti agli albi non vi era possibilità di fare ricongiunzione, poi furono fatte apposite orme anche per loro. IL CALCOLO DEI CONTRIBUTI: esistono aliquote diverse in base a settore di appartenenza del datore di lavoro, il vero problema non sta nelle aliquote, fissate normativamente, ma nella base di calcolo sul quale applicarle. In precedenza per i dipendenti privati si ricorreva a 2 testi normativi: la legge 797 del ’55 e la 1124 del ’65, vi erano 2 elenchi di norme soggette e non soggette a contribuzione, questo comportava che alcune voci retributive fossero soggette a trattenute INPS e non INAIL o viceversa. 65 66