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AUTORE IDEA BASE PROSPETTIVA Kelsen diritto come norma normativismo Santi Romano diritto come istituzione istituzionalismo Hobbes, Bentham diritto come comando imperativismo Austin Autori scandinavi diritto come efficacia realismo e americani (giudici) CONFRONTO ISTITUZIONALISMO E NORMATIVISMO Le distanze tra teorie evidenziate sul concetto di ordinamento, possono trovare elementi significativi di riavvicinamento, che consistono in una compresenza di normatività ed effettività che nell'ordinamento trova la sua realizzazione: è il caso del normativismo kelseniano e istituzionalismo romaniano. ➔ In comune a entrambe le teorie è l’affermazione della preminenza del giuridico sul politico. ➔ La differenza sta nel fatto che ciò che caratterizza l’istituzionalismo è che il diritto esistente è solo diritto positivo, ma l’origine e il corpo di ciò che noi chiamiamo diritto, non è la norma, nel senso che il diritto per Romano è composto da più elementi, tra cui le norme, ma anche le istituzioni. Ciò significa due cose: 1. per l’istituzionalismo la norma riveste un ruolo secondario rispetto all’istituzione- organizzazione; 2. il concetto di effettività in Romano si mostra come effettività più realizzata che da realizzare, come effettività- risultato: compiuta, conclusa nell’istituzione. Nonostante la costante preoccupazione metodologica di Kelsen sulla necessaria separazione di essere e dover essere propria della efficacia, l’effettività gioca un ruolo decisivo sia come condizione necessaria della validità dell’ordinamento, sia come orizzonte di senso della normatività. ➔ Nel dettaglio ... SANTI ROMANO - ISTITUZIONALISMO La teoria istituzionalista si contrappone, nel dibattito giusfilosofico, alla teoria normativista. Essa sostiene che la caratteristica necessaria del diritto sia la sua effettività e che questo coincida con un'organizzazione funzionante e concreta, definita da Santi Romano come corpo sociale. Il diritto sarebbe così una sorta di macchina funzionante che si compone dell'attività giurisdizionale, delle amministrazioni, e degli organi statali in azione. Il successo dell'istituzionalismo si può ricavare da una particolare osservazione critica, rivolta al normativismo per la quale, se il diritto fosse solo insieme di norme, in gran parte disapplicate, come sostengono i normativisti, esso sarebbe da considerarsi al pari di una "lingua morta", totalmente inefficace. Per Romano il tema dell’unità logica dell’ordinamento è basilare. 1 La differenza con la teoria kelseniana (con la quale condivide l’assunzione della base empirico- fattuale dell’ordinamento e il rifiuto di ridurre l’unità dell’ordinamento a tale base) emerge dalla subordinazione del ruolo delle norme. Per Romano l’ordinamento stesso, autofondato, produce la condizione perché il fatto venga concepito come diritto. L’entità dell’ordinamento è la giuridica unità immateriale di un insieme di norme, quindi l’ordinamento non è giuridico perché è composto da norme, ma le norme sono di diritto perché c’è un ordinamento (una istituzione) che le raccoglie in un quadro unitario. HANS KELSEN - NORMATIVISMO L'idea fondamentale del normativismo trova le sue fondamenta nel diritto inteso come quella struttura composta da prescrizioni di tipo giuridico, il cui scopo è quello di creare ordine attraverso la giustizia. Secondo il normativismo, le norme possono essere definite come giuridiche quando si possono ricondurre ad un'altra norma, superiore, che autorizza la norma di subordinata. Il maggior esponente di questa teoria è il filosofo austriaco Hans Kelsen, il quale intendeva fare una "Dottrina pura del diritto" riferendosi principalmente al principio di imputazione, classica espressione del normativismo. Anche nel normativismo di Kelsen il carattere dell’unità dell’ordinamento è centrale ed è costruito con la cosiddetta norma fondamentale (Grundnorm). Il rapporto tra le delegazioni di norme e la norma superiore, dalla quale le prime traggono la loro validità, qualifica come dinamico l’ordinamento giuridico, definito da Kelsen come «costruzione a gradi»: la validità delle norme giuridiche deriva dal corretto modo in cui sono prodotte. Le norme di un sistema dinamico (ossia giuridico) non sono ricavate in virtù del loro contenuto, ma prodotti sulla base di un procedimento regolato dal diritto stesso. Alla base dell’ordinamento c’è la norma fondamentale, che per Kelsen non è una norma posta, ma presupposta, ipotizzata al fine di individuare una base d’appoggio del sistema. La norma suprema dell’ordinamento è la COSTITUZIONE, prodotta da un potere costituente e per capire qual è la norma che lo autorizza, bisognerà ipotizzare una norma che imponga di obbedire a ciò che il potere costituente ha stabilito. In un certo senso la norma fondamentale è la presupposizione della necessaria obbligatorietà pretesa da un insieme di norme giuridiche, che da questa stessa obbligatorietà trae la sua identità. Si tratta di una norma che fa tutt’uno con l’obbligatorietà di un sistema normativo e che è sorta di postulato del sistema giuridico; la norma fondamentale non è la fonte delle fonti, ma la presupposizione della necessità di una fonte originaria, di un inizio del sistema stesso. 2 REALISMO GIURIDICO L’idea di fondo del realismo giuridico è che il diritto non risiede nella validità formale delle norme , secondo l’idea di Kelsen, ma risiede nell’efficacia che le norme assumono concretamente, cioè diritto inteso come realtà fattuale. È diritto solo quando viene definito come tale nell’attività e nell’applicazione, da un organo giurisdizionale, cioè dal giudice, mentre non vi è riferimento al ruolo del legislatore. Le norme sono giuridiche in quanto vengono applicate da un organo giurisdizionale, cioè da un giudice. Quindi per il realismo si ha un opposizione tra il diritto concretamente applicato (Law in action) ed il diritto nei libri (Law in books), secondo una formula utilizzata dai realisti americani. Possiamo dire che l’opposizione e tra il diritto che viene praticamente attuato e il diritto in teoria. Si distingue in due varianti: REALISMO GIURIDICO SCANDINAVO (secondo Hägerström, Lundstedt, Olivecrona) Rispetto alla posizione di Kelsen, le correnti del realismo giuridico scandinavo hanno sviluppato una critica alla possibilità di identificare il diritto come una realtà separata da quella dei fatti. L’espressione “diritto come fatto” viene utilizzata per riferirsi a quelle concezioni secondo cui il diritto non può essere considerato una realtà distinta e indipendente da quella fattuale. Quindi l’idea di fondo è che tutte le costruzioni concettuali, anche quelle di natura giuridica, anche quelle che riguardano il diritto, sono connesse a “fatti”, cioè ogni volta che usiamo la nozione astratta, questa nozione ha significato solo se è riferita ad un fatto. Quindi vi è una polemica molto forte, nei confronti di ciò che gli autori realisti chiamano oggettivazione di realtà ideali, cioè la tendenza a concepire come realmente esistenti, nozioni e concetti che in realtà sono frutto di mera costruzione mentale, e che quindi non hanno corrispondenza nei confronti della realtà o fatti. Questo perché la costruzione di questi concetti, erano operazioni di tipo strumentale e metafisico, per cui significa, per gli autori, che ogni volta che si usano delle categorie concettuali, faccio una metafisica, quindi spesso nel diritto più che descrivere i fatti si fa una metafisica del diritto. Quindi, per i realisti esistono solamente i fatti e non idee. Però spesso se non vi sono idee non vi sono fatti. La conseguenza che questa idea di fondo presenta in relazione al diritto è che l’idea del realisti scandinavi è che quando si parla di dover essere, di doverosità, cioè quando si ha il dovere di adempiere ad una norma, si ha una sorta di spinta psicologico-emotiva ad adottare una certa condotta, in un determinato contesto sociale. Questa impostazione è contraria all’imperativismo e al positivismo giuridico dove l’idea era di un comando che produce la norma fondata sull’idea di doverosità, mentre nel caso del realismo salta completamente, perché la doverosità viene ridotta sostanzialmente ad un impulso di tipo emotivo. Un’altra conseguenza è sul concetto di giustizia, concetto che in un’impostazione di carattere realista, viene considerato un mero costrutto mentale, un’astrazione, che non corrisponde ad un fatto ad un'idea di giustizia. 5 Questo significa che se non si può parlare di giustizia, significa che le norme giuridiche, nella prospettiva del realismo scandinavo, sono delle mere situazioni di svantaggio e vantaggio, di conseguenza, le norme giuridiche diventano dei semplici veicoli di pressione psicologica. Ad esempio la Costituzione, che in questa prospettiva, è un documento normativo che certamente non esprime una doverosità giuridica ma è una sorta di garante in un contesto sociale. Axel Hägerström nelle sue opere sostiene la tesi della realtà, che darà il nome alla scuola, infatti da lui deriva questa etichetta di realismo giuridico. Secondo lui, bisogna distinguere tra il senso che provo di dovere qualcosa e il dovere in sé stesso considerato. "Sento di dover rispettare la promessa" è un enunciato sensato, che descrive una sensazione che provo e quindi un fatto che esiste. La stessa cosa non vale per l’enunciato "è mio dovere rispettare la promessa". Qui affermo l'esistenza non della sensazione che provo, ma del dovere in sé, laddove ciò che esiste è in realtà solo la sensazione. Questo meccanismo sta alla base del nostro modo di rapportarci al diritto e ai concetti giuridici, nonostante essi non appartengono a una realtà diversa da quella dei fatti, ma noi li pensiamo come fossero entità indipendenti e separate rispetto alla realtà empirica. L'oggetto di interesse di Hagerstrom è la contestazione della metafisica, che inquina la conoscenza e che prima di ogni altra cosa è necessario spazzarla via dall’analisi del mondo e dei concetti. Egli riduce i concetti giuridici di diritto e dovere, a eventi psicologici e spiega, perché siano erroneamente percepiti come fatti oggettivi. Il diritto è il regno della finzione, perché i giuristi fanno uso di un linguaggio normativo caratterizzato da presupposti metafisici e da molti termini che vengono ritenuti privi di senso e privi di riferimento fattuale. Per Hagerstrom il diritto funziona come funziona la magia, perché la gente crede che pronunciare certe parole possa produrre determinati effetti nel mondo e, come la magia, funziona fino a quando queste credenze rimangono salde. Per Hagerstrom, la scienza giuridica per poter essere detta scienza deve cambiare completamente atteggiamento. Il discorso giuridico deve essere liberato dai termini che non hanno riferimenti al mondo dei fatti, come come l’espressione “diritto soggettivo” non ha significato. Lundstedt radicalizza ulteriormente il concetto di Hagerstrom dei progetti giuridici definendoli come da cancellare. Ciò che è più rilevante della sua riflessione è l'idea di obbligatorietà del diritto,che sostanzialmente consiste non in una caratteristica propria del diritto, ma trattato come un tema di psicologia sociale . Una reazione sociale derivante da un costume e alla quale le persone si sentono obbligate. Tutto ciò a sua volta deriva dalla credenza popolare della perfezione del diritto. Karl Olivecrona mostrerà come diritti e doveri non sono entità reali, ma l’idea che noi abbiamo di essi, quindi vanno studiati indagando quei fatti sociali che costituiscono il complesso di credenze, opinioni. 6 Quando, riprendendo l’esempio citato in Hagerstrom, affermo “questo è un mio dovere”, scambio il vincolo che provo, rispetto al compiere una certa azione, con l’esistenza di qualcosa; ma ciò che esiste è il vincolo, non il dovere in sé. Anche Olivecrona sostiene che il diritto soggettivo non esista, ma l’espressione deve essere usata per la funzione pratica che svolge. Inoltre sostiene che la totalità dei concetti giuridici siano spiegabili sulla base della credenza nell’esistenza di qualcosa che si chiama dovere. Questo esiste solo in quanto sentimento ed oggetto mentale. Il lavoro scientifico diventa il lavoro dell’analisi psicologica. Il diritto funziona perché suppone che esista un vincolo tra il dovere e determinate azioni, ovvero quelle indicate dalla legge come obbligatorie. Quindi il vincolo immaginario sta nel collegamento tra atteggiamento psicologico, la credenza che non esiste nel mondo reale, e azioni che invece esistono. I contributi più importanti di Olivecrona sono: 1) Le norme giuridiche non sono comandi ma imperativi indipendenti; Si pone come una critica rivolta sia all’imperativismo, che considera il diritto come un comando del sovrano rivolto ai sudditi, e per quanto riguarda le teorie normativiste, che concepiscono la norma come destinata ai giudici in quanto organi dell’amministrazione della sanzione e solo indirettamente rivolta ai comuni cittadini. Tuttavia, dal punto di vista psicologico e dalla prospettiva del cittadino la norma è un comando e non considerare questo punto di vista sarebbe un errore, perché è il punto di vista che ci permette di osservare come il diritto viene usufruito dai consociati. 2) Il diritto non si distingue dalla morale, perché le sue norme sono protette da sanzioni: in questo senso il diritto è regola della forza. La morale non può imporre sanzioni con la forza, quando lo fa è perché è diventata diritto. Pensiamo una norma morale come “tu devi biasimare qualcuno”. Essa non può essere imposta con la forza, perché non è possibile obbligare qualcuno a biasimare qualcun altro; inoltre il biasimo è un sentimento che non può essere imposto né dalla pressione sociale né dal diritto. Il diritto, dunque, è una struttura che consente la sopravvivenza dell’idea che esistano diritti e doveri, tuttavia è un'idea che permette la regolazione delle relazioni sociali mediante norme, che si percepiscono come comandi che devono essere obbediti (i doveri) o come in grado di mutare la situazione soggettiva di qualcuno rispetto agli altri (i diritti), con la garanzia della sanzione amministrativa dello Stato per i trasgressori. Sono regole che rendono possibile la convivenza e con le quale si identifica lo Stato. Differenza con Kelsen → Rispetto a Kelsen, i realisti scandinavi, adottano una strategia del tutto differente, nel senso che scandinavi mettono in discussione la separazione tra essere e dover essere, in quanto presuppone una concezione metafisica del diritto. Attraverso questa si potrà considerare il diritto come un insieme di fatti sociali e studiare i fenomeni giuridici come fenomeni empirici. 7