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Formulazione e legislazione dei prodotti salutistici e cosmetici Prof.ssa Burgalassi, Sbobinature di Legislazione farmaceutica

Appunti scritti al pc ed integrati con immagini esplicative tratti dalle lezioni di formulazione dei prodotti salutistici della Prof.ssa Burgalassi. Mancano la lezione sui farmaci omeopatici e la parte di legislazione di cui sono più che sufficienti le slides fornite dalla professoressa.

Tipologia: Sbobinature

2018/2019

In vendita dal 04/03/2019

francesca-luisi
francesca-luisi 🇮🇹

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Scarica Formulazione e legislazione dei prodotti salutistici e cosmetici Prof.ssa Burgalassi e più Sbobinature in PDF di Legislazione farmaceutica solo su Docsity! Formulazione e legislazione dei prodotti per la salute → tutti quei prodotti che in un modo o in un altro apportano benefici all'organismo. Il prodotto per la salute per eccellenza sono gli alimenti, esistono poi i dispositivi medici (tutti gli strumenti e gli attrezzi utilizzati per la somministrazione del principio attivo, quindi siringhe, capsule ecc. o comunque che migliorano la salute ma che non contengono principi attivi, ad esempio gli occhiali ecc.) e infine i medicinali. MEDICINALI N.B. con medicinale si intende il prodotto finito, con farmaco si intende il principio attivo isolato, puro. Lo sviluppo di un medicinale si articola in diversi step: 1 individuazione del principio attivo 2 verifica delle proprietà biologiche 3 verifica della sicurezza del principio attivo su volontari 4 verifica dell'efficacia del principio attivo 5 registrazione e immissione in commercio: acquisizione di autorizzazioni per produzione e per vendita del medicinale. → la farmacovigilanza è attiva dalla produzione fino all'eliminazione dal mercato, stabilisce se un farma è/è ancora idoneo, efficace ecc. L'impiego di un farmaco avviene sempre dopo trasformazione in medicamento composto, che deve avere forma e dose specifiche. Queste due caratteristiche ad oggi non riguardano più solo i farmaci, ma anche integratori alimentari e dispositivi medici. La forma farmaceutica, che si stabilisce durante la fase 3, è rappresentata da una serie di sostanza, dette eccipienti, che non hanno attività biologica, ma hanno lo scopo di rendere più semplice la somministrazione, dare volume al farmaco, proteggere il farmaco, facilitarne l'assorbimento, mantenerne la stabilità, rilasciare il principio attivo nel sito d'azione, minimizzare gli effetti collaterali; e sostanze facoltative che migliorano l'aspetto, l'aroma, il gusto del farmaco. N.B. la forma farmaceutica influenza la biodisponibilità del farmaco, ovvero la quantità di principio attivo disponibile per essere assorbito e svolgere la sua azione terapeutica. Le forme farmaceutiche si classificano in base a 3 principali criteri: 1. forma fisica: solida (la più utilizzata, perché più stabile), semisolida, liquida, gassosa 2. via di somministrazione: ◦ enterale: attraverso il tratto gastro-intestinale (orale o rettale) ◦ parenterale: richiede un dispositivo medico che immetta il p.a. nell'organismo (iniezioni) ◦ topica: permette una somministrazione localizzata in un preciso distretto dell'organismo (attraverso pelle, occhi ecc.) 3. modalità di rilascio: ◦ convenzionale: somministrazione → disgregazione → dissoluzione (finché il farmaco non si dissolve totalmente non può essere assorbito) → assorbimento → p.a. nel sangue ◦ non convenzionale: il rilascio del p.a. può essere controllato in termini di tempo, velocità, quantità ecc. andando a modificare la dissoluzione e di conseguienza l'assorbimento. Può essere a rilascio immediato, ritardato, prolungato, sito-specifico. N.B. principi attivi, eccipienti e via di somministrazione caratterizzano ogni forma farmaceutica. Cos'è la Farmacopea? E' il testo utilizzato per preparare e controllare le forme farmaceutiche, considerato come legge. Contenuto della Farmacopea ufficiale: 1. norme/capitoli generali 1. prescrizioni generali della Farmacopea Europea e Italiana 2. metodi di analisi 3. materiali utilizzati per la fabbricazione di contenitori 4. reattivi 5. argomenti generali 2. monografie: monografie generali, forme farmaceutiche, materie prime, preparazioni farmaceutiche specifiche, preparazioni omeopatiche 3. tabelle 1. masse atomiche relative 2. sostanze obbligatorie in farmacia 3. sostanze da tenere in armadio chiuso a chiave 4. prodotti con obbligo di prescrizione medica 5. prodotti con obbligo di prescrizione medica da rinnovare ogni volta 6. apparecchi e utensili obbligatori in farmacia 7. sostanze stupefacenti e psicotrope 8. dosi abituali e massime dei farmaci nell'adulto POLVERI Insieme di particelle solide, di forma irregolare, con dimensioni comprese tra 0,5 e 1000 µm. ٠ 0,5-10 µm: polveri micronizzate ٠ 10-50 µm: polveri molto fini ٠ 50-100 µm: polveri fini ٠ 100-1000 µm: polveri grossolane ٠ 1000-3000 µm: granuli (non più polveri ma aggregati di particelle Le proprietà delle polveri dipendono da 3 caratteristiche principali delle polveri stesse che ne influenzano il modo di lavorazione e la biodisponibilità: volume, forma e area superficiale. Queste caratteristiche influenzano: • velocità di sedimentazione (quando una polvere in acqua non si scioglie ma forma un sedimento) e caratteristiche del sedimento (dipendono soprattutto da forma e volume) • possibilità di ottenere miscele omogenee che si mantengono tali nel tempo • caratteristiche di scorrimento • velocità di dissoluzione e assorbimento (dipendono da forma e volume ma soprattutto da area superficiale) → L'area superficiale specifica è data dalla superficie delle interfacce a contatto con il mezzo esterno e aumenta in maniera esponenziale al diminuire delle dimensioni. Le polveri si ottengono mediante il processo di polverizzazione, che permette di suddividere i solidi in particelle più o meno piccole ed uniformi. Il processo di polverizzazione attraversa principalmente 3 stadi: 1. frantumazione: riduzione del materiale grezzo in pezzi grossolani (per corpi duri)/triturazione (per erbe, gemme, bulbi, tuberi..) 2. macinazione 3. micronizzazione (questo metodo non è applicabile alle droghe vegetali). Per la polverizzazione si utilizzano diverse apparecchiature, le più semplici sono il mortaio e il moliono. I mortai sono strumenti utilizzati principalmente in laboratorio per piccole quantità, mentre i molini si utilizzano anche in laboratorio, ma soprattutto in ambito industriale perché possono essere trattate anche grandi quantità di materiale. Ne eistono di varie forme, in cui cambia essenzialmente la parte macinante, ma in generale sono tutti costituiti da una parte conica posta in alto nella quale si inserisce il materiale, degli elementi macinanti che spesso sono chiusi all'interno di una camera di macinazione, e da una parte in basso che spesso è dotata di griglia che serve a mantenere il materiale all'interno della camera di macinazione fino a che non ha raggiunto la dimensione desiderata. Questi macchinari possono lavorare in continuo: via via che il materiale viene macinato è possibile aggiungerne di nuovo. fisiologica per far sì che ci sia uno spostamento di elettroni: quando si attiva il macchinario, questo aspira l'elettrolita che è all'esterno del tubo, e con esso anche le particelle, forzandoli a passare nel foro (che deve essere di dimensioni adeguate alla polvere). Ad ogni particella che passa ho una resistenza, una caduta di potenziale, perché le particelle non conducono. Il passaggio quindi provoca impulsi di tensione proporzionali ai volumi dei granuli che hanno attraversato il foro, la conta degli impulsi e la misura della loro ampiezza forniscono la dimensione della singola particella. Un concetto fondamentale quando si analizzano le polveri è la densità, che si definisce come il rapporto tra la massa di un corpo e il volume che questo occupa nello spazio. Si possono distinguere diversi gradi di densità a seconda dello strumento utilizzato: 1. densità vera: è la densità vera e propria della particella, che tiene conto solo del volume effettivo di essa (senza includervi il volume dei pori e degli spazi fra e all'interno della particella). Per misurarla si utilizza un picnometro ad elio, si usa un gas perché è l'unico in grado di intercalarsi nei pori delle particelle. In questo modo ottengo solo il volume vero 2. densità apparente (granulare): è la densità delle particelle che tiene conto anche dei pori e degli spazi all'interno, ma non di quelli fra una particella e l'altra, quindi il volume è dato dal volume vero + il volume "vuoto" degli spazi interni. Per misurarla si utilizza un picnometro a liquido, che quindi è in grado di occupare solo gli spazi fra le particelle 3. densità apparente (in bulk): è la densità che tiene conto anche degli spazi fra le cellule, quindi il volume è dato dal volume vero + il volume dei pori + il volume fra le particelle. Per misurarla utilizzo un cilindro, senza alcun messo, per questo il volume è comprensivo anche degli spazi esterni. Un fattore importante delle particelle per quanto riguarda la tecnologia farmaceutica è lo scorrimento o flusso delle polveri, che è una proprietà delle particelle strettamente influenzata da varie caratteristiche essenziali delle particelle stesse, quali: • densità: particelle più dense scorrono meglio e più velocemente di particelle poco dense • forza di gravità • inclinazione del piano di scorrimento. Ci sono poi tutta una serie di forze che ostacolano questo scorrimento di particelle: • forze di coesione fra particelle (anche dello stesso materiale) perché sulla superficie possono avere cariche elettrostatiche, legami a idrogeno ecc. Tutte interazioni abbastanza deboli ma che fanno sì che queste particelle rimangano coese • forze di adesione fra particelle di materiali diversi o causate da materiali che di per sé sono materiali adesivi • forma irregolare della superficie • fenomeni di frizione (fenomeni esterni) dovuti a superfici irregolari • umidità sulla superficie della particella In generale un buon scorrimento fra le varie particelle comporta diversi vantaggi sulla preparazione finale, come una somministrazione e una distribuzione più semplice ed efficacie, ma come si possono migliorare le proprietà di scorrimento delle polveri? Esistono diversi metodi, quali: • aggiungere additivi o eccipienti, come talco e magnesio stearato che hanno una texture simil cerosa che facilita lo scorrimento, o la silice colloidale, che oltre all'effetto precedente ha un effetto assorbente sull'umidità (ma alcune preparazioni non ne consentono l'aggiunta); • ottenere una polvere grossolana: le polveri molto fini hanno maggiori interazioni superficiali e scorrono meno; • lavorare sulla forma, così da rendere ogni particella il più regolare possibile: più la forma è perfettamente sferica, maggiore sarà lo scorrimento; • essiccamento. Negli ultimi due casi il processo viene fatto mediante calore, quindi il materiale deve essere stabile ad alte temperature. Il calore può essere trasferito al materiale per conduzione (contatto), per convezione (calore trasferito tramite un fluido, come l'aria), per irraggiamento (senza alcun contatto, utilizzato molto raramente). Le polveri sono importanti perché rappresentano la prima forma farmaceutica, ad esempio possono esserci quelle per uso orale, da sciogliere in acqua, polveri cutanee, polveri disinfettanti, polveri nasali ecc. Fra le polveri farmaceutiche che possiamo trovare troviamo anche le polveri provenienti da droghe vegetali. Che cos'è una droga vegetale? Nella Farmacopea Ufficiale è definita come "essenzialmente una pianta intera, frammentata o tagliata, parti di piante, essudati di piante, alghe, funghi e licheni; generalmente in forma essiccata e non modificata". La droga vegetale segue la nomenclatura della pianta da cui deriva. La droga che viene raccolta viene immediatamente essiccata, a meno che non la si utilizzi per lavorazioni al momento del raccolto, perché l'acqua, essendo un buon terreno di crescita per molti microorganismi, può essere dannosa per la sua conservazione. I metodi di essiccamento possono essere vari, l'importante è che siano idonei al tipo di droga da trattare per non rovinarla (ad es. per droghe molto fragili utilizzare temperature più basse ecc.). Dopo l'essiccamento devo misurare la perdita all'essiccamento, un saggio, che solitamente si fa aumentando la temperatura, per sapere la quantità di acqua che è ancora presente nella droga, se ne è rimasta troppa la droga viene scartata. Nel caso in cui non si possano utilizzare alte temperature, perché la droga contiene p.a. termolabili, si deve utilizzare un metodo diverso. A questo punto si possono ottenere varie forme farmaceutiche oppure utilizzare la droga tal quale. Il processo dell'essiccamento viene fatto tramite trasferimento di calore, i due metodi più utilizzati sono la convezione e la conduzione. In entrambi i metodi i macchinari principalmente utilizzati sono le stufe. Nel caso della stufa a conduzione, il trasferimento di calore avviene per contatto del materiale con il recipiente riscaldato su cui viene posto. Nel caso della stufa a convezione invece, il materiale viene investito e circondato da aria calda. Un metodo alternativo è quello della stufa a letto fluido, in cui l'aria calda viene inserita con forte pressione, in modo che la polvere si mescoli con l'aria a formare un fluido che circola nell'apparecchio, in questo modo tutte le particelle entrano in contatto con l'aria calda, mentre con i metodi precedenti, nonostante si stenda uno strato sottile di materiale, ci saranno comunque le parti centrali che resteranno più umide rispetto alle altre. Un altro metodo che utilizza calore, ma con un macchinario diverso rispetto alle stufe, è l'essiccamento spray. Il macchinario è costituito da una camera di essiccamento, un sistema che produce aria calda e un nebulizzatore che trasforma il liquido in goccioline, infatti con quesato metodo si parte da un materiale disperso in soluzione o umido (se non è abbastanza liquido prima del processo si aggiunge solvente) per arrivare a un materiale completamente essiccato. Il materiale liquido viene spruzzato nella camera ed incontra l'aria calda (controcorrente o equicorrente), in questomodo il solvente evapora istantaneamente, perché le goccioline sono molto piccole, quindi piccoli volumi ad alte temperature evaporano all'istante. In questo modo nella camera rimane solo il soluto in forma sferica, perché se il solvente evapora immediatamente le molecole di soluto rimangono ferme e statiche nella posizione in cui erano disciolte nella goccia, quindi conservano la forma specifica sferica delle goccioline (infatti questo macchinario serve principalmente per rendere sferiche le particelle). Infine per recuperare le particelle si utilizzano uno o più separatori a ciclone in serie a seconda delle dimensioni. Le particelle che si ottengono saranno molto regolari e molto porose (perché l'acqua evapora anche dall'interno), caratteristiche molto vantaggiose: in particolare la porosità fa sì che le particelle abbiano un'area superficiale molto elevata e di conseguenza si ha una dissoluzione molto più semplice ed efficacie. Con questo metodo si producono principalmente eccipienti, raramente si trattano p.a. Un metodo totalmente diverso e molto particolare di essiccamento è la liofilizzazione, che non utilizza calore, ma si avvale del processo di sublimazione (da solido a vapore senza passare dallo stato liquido). Questo è un processo tecnologico che consente l'eliminazione totale dell'acqua per produrre polveri disidratate, molto stabili e altamente conservabili, che si utilizza nel caso in cui le stufe non siano utilizzabili perché i p.a. da trattare sono troppo sensibili al calore. Inoltre questo processo fa sì che il materiale, una volta riaggiunta l'acqua, recuperi tutte le caratteristiche, anche organolettiche, che aveva in precedenza. La liofilizzazione avviene a temperature molto basse e in condizioni di vuoto spinto, in modo che l'acqua contenuta nel prodotto si trasformi in ghiaccio e sublimi. Questa lavorazione ha diversi vantaggi, primo fra tutti l'ottenimento di un solido secco che si conserva facilmente (ovviamente se ho una soluzione già stabile non mi interessa liofilizzarla); in più permette di proteggere il materiale sia dall'inquinamento (perché generalmente i liofilizzati si preparano direttamente nei flaconi di vendita e poi vengono sigillati) sia dall'aria e di mantenerne le caratteristiche di partenza. Il processo però richiede molto tempo e molta energia, quiondi ha un costo molto elevato; inoltre non è un processo semplice, ma presenta ogni volta delle problematiche diverse che devono essere studiate e risolte. Il macchinario è costituito da pochi elementi: una camera di sublimazione chiusa, con dei ripiani su cui mettere il materiale; una camera di condensazione con una serpentina per abbassare la temperatura; una pompa che fa il vuoto e un menometro e un termometro per monitorare pressione e temperatura (sono presenti entrambi, anche se comunque la temperatura e la pressione vanno di pari passo). Il materiale viene inserito in bulk (in lotto) oppure già nei singoli flaconi. Il processo si divide in due fasi principali: una fase preparatoria in cui si aggiungono gli eccipienti necessari per dare corpo al materiale finito (per es. mannitolo, lattosio, NaCl ecc.), perché molto spesso si devono liofilizzare pochi milligrammi di sostanza che, una volta liofilizzati, risulterebbero eccessivamente piccoli, quasi invisibili; quindi si aggiunge volume per non dare al paziente la sensazione di essere ingannato o di non prendere nulla e anche per dargli la certezza di aver assunto tutto il p.a. e di non averlo lasciato nel flacone come residuo. Inoltre è possibile aggiungere un crioprotettore, ma generalmente si mettono solo eccipienti per dare corpo, se non servono si salta il passaggio. La seconda fase richiede diversi passaggi: • congelamento (-30/-45°C): il processo avviene nella camera di sublimazione, deve essere veloce e su una superficie ampia. Il materiale viene raffreddato fino a completo congelamento. • sublimazione: si fornisce energia, ma per evitare che la temperatura si alzi e sciolga di nuovo il ghiaccio si abbassa la pressione così da ridurre al minimo l'aumento di temperaura. La pompa oltre che per fare il vuoto, serve per rimuovere il vapore che si forma: aspira il vapore in modo che il processo vada avanti, e lo rilascia nella camera di condensazione dove la serpentina fredda lo fa condensare (perché il vapore non deve arrivare alla pompa, altrimenti si romperebbe). Ogni molecola di acqua ghiacciata che sublima lascia spazio al ghiaccio più interno per uscire e questo rende il materiale finito molto poroso, con tutti i vantaggi che ne conseguono. Una volta finita la sublimazione (quando arriva all'equilibrio il processo si interrompe da solo), una traccia di umidità può esere rimasta, quindi si procede con il desorbimento o essiccamento secondario: si riscalda il materiale alla temperatura massima sopportata (40°C, se il materiale sopporta una temperatura maggiore si utilizza direttamente un metodo di essiccamento diverso) e se necessario si abbassa ulteriormente la pressione. Perché una sostanza sia accettabile deve contenere un residuo massimo di acqua pari all'1%. Alla fine del processo, se si lavora direttamente nel flacone finale, questo può essere chiuso: si fa uscire il vapore e si abbassa il tappo lasciando il materiale sottovuoto (fondamentale, perché già intrappolate nei macchinari che quindi hanno bisogno più spesso di manutenzione, il che implica un aumento dei costi. Il processo della granulazione prevede sempre, oltre ai principi attivi, l'utilizzo di altre sostanze che sono: i leganti, i disgreganti, molto spesso anche i diluenti e in più, ma questi sono opzionali, coloranti ed edulcoranti. → leganti: permettono l'aggregazione delle singole particelle, alcuni esempi sono la gomma xantana, gomma arabica, gelatina, PVP e il saccarosio, che è il legante per eccellenza. I leganti possono essere mescolati alla miscela di polveri come solidi e quindi utilizzati a secco, oppure disciolti in una soluzione, detta granulante, e spruzzati sulle polveri. → disgreganti: alcuni esempi sono l'amido di patate, di mais ecc. oppure i tensioattivi, un'ampia categoria di composti che abbassano la tensione superficiale. Le due classi di sostanze hanno meccanismi d'azione diversi: l'amido è in grado di assorbire fino a 5 volte il suo peso di liquido e di rigonfiarsi, quindi se l'amido all'interno del granulo si rigonfia, questo si rompe; i tensioattivi invece rendono i granuli molto porosi (bagnabili), quindi l'acqua penetra all'interno e dissolve il materiale. → diluenti: non sono strettamente necessari come i precedenti, ma si utilizzano molto spesso per dare corpo. Un diluente deve avere determinate caratteristiche: essere biocompatibile; non igroscopico (perché l'umidità è dannosa per la conservazione); avere buone proprietà biofarmaceutiche e tecnologiche; un buon sapore (o almeno neutro); essere economico (fondamentale) perché è accettato un farmaco costoso solo se lo sono i p.a. contenuti, ma non se lo sono gli eccipienti. Un diluente molto utilizzato perché risponde a tutte queste caratteristiche è il lattosio. Un altro molto utilizzato è l'amido, perché molto versatile: può comportarsi da diluente, legante o anche da disgregante. La granulazione può essere fatta a umido, oppure a secco per quei p.a. che non sono stabili all'umidità. La granulazione a umido, quando è possibile, è da preferire perché garantisce risultati migliore (forma e dimensioni migliori) e il processo è più semplice. Per la granulazione a secco si utilizzano delle compattatrici (o anche un compattatore a rulli), in cui il materiale viene compattato in formelle che successivamente vengono rimacinate fino alla dimensione del granulo desiderata. La frantumazione avviene all'interno di molini di forma variabile. Il chilsonator è un macchinario che permette di effettuare la granulazione tutta in un unico passaggio: il materiale viene prima compattato, poi frantumato e infine setacciato, per quest'ultima operazione si utilizzano tre setacci in serie. Il primo preleva i granuli troppo grandi, l'ultimo quelli troppo piccoli e quello centrale i granuli della dimensione desiderata. I granuli scartati vengo reimmessi nel macchinario, ricompattati e rifrantumati. Con la granulazione a umido si ottiene un prodotto più omogeneo e regolare, e si fa per tutti quei prodotti stabili all’umidità e al calore. Si utilizzano in successione un’impastatrice, un granulatore o estrusore e un essiccatore, tutti di varie forme e tipologie. Si prepara un liquido, chiamato liquido di granulazione, che viene spruzzato sulla miscela di polveri in movimento (gli eccipienti si disperdono in soluzione o si inseriscono nelle polveri), per ottenere una pasta non troppo molle. Dopodiché la frantumazione avviene di solito per estrusione all’interno di granulatori: il materiale viene forzato a passare all’interno di fori, che possono essere setacci, maglie metalliche, ecc, oppure all’interno di estrusori che danno già la forma del granulo desiderata. Lo step successivo è l’essiccamento, che si effettua con i metodi di essiccamento visti in precedenza (vedi lezione 4). Esistono poi dei granulatori che hanno anche la funzione di mescolatori ed essiccatori. Sulla base hanno una struttura mescolatrice, lateralmente si ha un frantumatore che si attiva una volta formata la pasta (ruota il recipiente e l’elica sta ferma o viceversa), dopodiché si può inserire aria calda ed essiccare direttamente i granuli. Un altro metodo è quello dell’essiccatore a letto fluido: composto da una camera piuttosto grande, sul fondo si posiziona il materiale e dal basso si fa passare l’aria, i granuli si fondono con il gas fino a formare un fluido. Se si vogliono solo essiccare i granuli si immette un’aria calda, ma spesso il macchinario si utilizza direttamente per la formazione del granulo, quindi in questo caso si inserisce la miscela di polveri sul fondo e al posto dell’aria si spruzza la soluzione liquida con gli eccipienti. Man mano che le polveri sono investite dal liquido si forma il granulo che aumenta progressivamente di dimensioni (si ottengono granuli piuttosto regolari e compatti). Alla dimensione desiderata, si interrompe il fluido e si immette l’aria calda per l’essiccamento. E’ inoltre presente un foro di scappamento per l’aria munito di filtro. Alla fine del processo si spegne il macchinario e si raccolgono i granuli finiti. In seguito alla granulazione a umido si può effettuare la sferonizzazione, all’interno dello sferonizzatore, per rendere i granuli ancora più sferici: il granulo viene inserito ancora umido ed eventualmente investito da aria calda per essiccare contemporaneamente. Sulle forme farmaceutiche vengono fatti numerosi controlli, dei saggi, nel nostro caso ci interessano solo quelli di tipo tecnologico: • analisi granulometrica (dimensionale), effettuata tramite setacciatura • volume apparente, sia prima dell’impacchettamento (perché devo conoscere il volume del materiale per decidere le dimensioni del contenitore), sia dopo • friabilità • porosità, cioè la misura degli spazi all’interno del granulo, è essenziale per sapere quanto il granulo potrà essere compattato • area superficiale specifica • scorrimento, essenziale per il confezionamento perché i flaconi non si riempiono pesando la dose ma per volumi o per tempo • contenuto/tasso di umidità • dissoluzione, verificare se il p.a. si dissolve. Si effettua in vitro • uniformità di contenuto • uniformità di massa Queste ultime due analisi sono quelle che la Farmacopea Ufficiale impone su tutte le forme farmaceutiche a dose unica. In particolare, l’uniformità di contenuto può essere evitata se la forma farmaceutica contiene 2mg di p.a. o se il p.a. è il 2% del totale; quindi per p.a. contenuti in piccole quantità. COMPRESSE Sono una forma farmaceutica a dose unitaria (non si dividono, dentro c'è una singola dose di p.a.) di una o più sostanze attive, preparate per compressione di una miscela di polveri o più comunemente di un granulato. Sono la forma farmaceutica più utilizzata perché sono stabili e si conservano bene, hanno buone capacità di scorrimento (per la forma regolare, tondeggiante e liscia e le dimensioni contenute), buone proprietà coesive, sono ben accettate dal paziente e garantiscono precisione di dosaggio (ogni compressa contiene le stesse quantità di p.a. di tutte le altre). D'altro canto hanno anche qualche svantaggio quali: possibili effetti irritanti sulla mucosa gastrica, problemi di biodisponibilità (dovuti per esempio all'assunzione a stomaco vuoto/pieno ecc.), problemi di disgregazione e dissoluzione. Le compresse per essere idonee devo avere determinate qualità: • contenere una dose prestabilita di attivi • avere peso e dimensioni appropriate e aspetto gradevole • rilasciare l'attivo in modo riproducibile e controllato, nel senso che ogni compressa deve comportarsi allo stesso modo delle altre e rilasciare i p.a. nello stesso tempo • avere sufficiente resistenza meccanica (non devono rischiare di rompersi né in fase di produzione, quando dal macchinario vengono "gettate" nel contenitore di raccolta, né successivamente quando vengono tolte dal blister ecc.) Esistono diverse tipologie di compresse: • per uso orale, fra cui: compresse semplici (la FU le chiama "non rivestite"); compresse multistrato; rivestite; ad azione ripetuta (per esempio nelle cpr multistrato ogni strato può avere un'azione specifica); ad azione protratta; gastroresistenti; rivestite con zuccheri; rivestite con film; masticabili • per uso buccale, che non si ingeriscono, fra cui: compresse buccali da sciogliere in bocca e deglutire il p.a.; sublinguali, che si assorbono attraverso la parete sublinguale; mucoadesive, nelle quali sono inseriti degli eccipienti particolari che fanno aderire le cpr alla pareti buccali e rilasciano il p.a. attraverso la mucosa o nella cavità buccale • somministrate per altre vie: per uso rettale, vaginale, per impianto sottocutaneo ecc. • compresse per la preparazione di soluzioni: cpr effervescenti, cpr per la preparazione di soluzioni a titolo noto. N.B. la monografia relativa alle compresse è la 478. Come si preparano le compresse? Per compressione di volumi uniformi di polveri o granulati all'interno delle comprimitrici (il materiale non viene pesato, ma prelevato a volumi, la scorrevolezza dunque gioco un ruolo fondamentale perché se il materiale non fosse estremamente scorrevole il misurino non si riempirebbe mai allo stesso modo e si otterrebbero quindi cpr di volumi e messe diversi fra loro). Per le polveri si utilizza una comprimitrice diretta, mentre per i granulati si usano due diverse comprimitrici: la comprimitrice alternativa e la comprimitrice rotativa. Tutte e tre le tipologie sono costituite fondamentalmente da due pistoni (punzoni) che si alternano e comprimono il materiale. La compressione avviene in 3 fasi principali: 1. riempimento: il materiale scende nella camera di compressione il cui diametro è determinato dal diametro della matrice e l'altezza dalla posizione del punzone inferiore nella matrice (più in alto o più in basso a seconda del volume di materiale che deve contenere ogni cpr) 2. compressione: il punzone superiore scende nella matrice provocando la compressione del materiale. L'altezza che il materiale assume alla fine della compressione corrisponde all'altezza finale della compressa 3. espulsione: una volta formata la compressa il punzone superiore si alza e quello inferiore sale per espellere la compressa pronta per il confezionamento. Le comprimitrici alternative sono in grado di formare una compressa alla volta perché funzionano a fasi alternate (si riempie, si pressa, si espelle e così via). Le comprimitrici rotative invece hanno una più alta produttività, perché hanno tante coppie di punzoni e relative matrici (le più grandi presentano 32 matrici, quindi sono in grado di produrre simultaneamente 32 cpr, circa 250-600 mila cpr all'ora). In questo caso il piano di lavoro ruota e quindi il macchinario lavora in continuo, ma cos'è che fa alzare e abbassare i punzoni? Ci sono dei rulli posizionati al di sopra/sotto dei piani su cui sono posizionati i punzoni, quando il piano gira e incontra i rulli questi spingono in basso/alto il pistone, quindi il movimento dei punzoni è un effetto di questi rulli (prima differenza con la comprimitrice alternativa); inoltre in questo caso i punzoni si muovono e comprimono entrambi il materiale (seconda differenza con la comprimitrice precedente in cui il punzone inferiore non comprime il materiale, ma lo espelle soltanto). Come si preparano le capsule rigide? Gli involucri si preparano immergendo dei pistoncini freddi di forma arrotondata alla base in una soluzione di gelatina, il contatto con il pistone freddo fa sì che la gelatina intorno si rapprenda immediatamente, dopodiché si estrae e contemporaneamente si fa ruotare l'involucro per evitare la formazione di goccioline antiestetiche. A questo punto si termina la solidificazione con correnti d'aria, si uniforma la superficie e si taglia l'involucro per ottenere il contenitore (corpo) e il tappo (testa). NB è il corpo che infila dentro la testa. Di solito l'azienda produttrice non riempie le capsule, ma le invia (chiuse per evitare contaminazioni e disposte in appositi alloggi) a un'azienda che si occupa della riempitura. Per questa operazione si utilizzano le incapsulatrici (quelle industriali hanno molti alloggi che ruotano) in cui le capsule vengono riaperte, riempite per caduta diretta (a volumi→fondamentale la scorrevolezza), richiuse ed espulse dal macchinario. Le prime capsule prodotte erano completamente lisce, quindi tendevano ad aprirsi facilmente, per far sì che questo non avvenisse si sono studiati design diversi che assicurassero una chiusura migliore: le prime ideate si chiamavano snap-fit: formate da due parti, il corpo e la testa, che si infilano l’una sull’altra con rispettivamente una scanalatura realizzata in modo tale da evitare l’apertura accidentale dopo il riempimento. Le coni-snap hanno sulla testa due scanalature (la prima meno profonda per chiudere la capsula al momento della produzione, ma con la possibilità di essere riaperta per essere riempita; e la seconda più accentuata per la chiusura finale), sul corpo una sola. Le licaps sono destinate a contenere liquidi e materiali pastosi e sono caratterizzate dalla presenza di due scanalature ad incastro e di sei fossette per aumentare la sicurezza della chiusura, sono inoltre sigillate facendo fondere e saldando i due strati di gelatina (NB il liquido contenuto non è mai acquoso perché dissolverebbe la gelatina). Di solito queste capsule sono trasparenti perché più belle. Le vcaps hanno l'involucro in HPMC e sono solitamente destinate a contenere prodotti naturali. Di solito sono semitrasparenti per permettere di vedere il contenuto. → Il colore nelle capsule si usa spesso perché le rende più belle e comunque non richiede costi e passaggi aggiuntivi. L'aspetto che si dà è puramente estetico e deriva da indagini di mercato e studi psicologici. Esistono tantissimi abbinamenti di colori e tonalità diverse: la capsula è di un determinato colore a seconda del suo effetto e generalmente si seguono degli schemi predefiniti (ma non è un obbligo legislativo), ad esempio si utilizza il blu scuro-bruno per i sedativi; oliva/bruno- chiaro per i lassativi; arancione-giallo per gli stimolanti; bruno/blu-chiaro per i sedativi della tosse; turchese/blu-chiaro per i disinfettanti e così via. NB se il dosaggio richiesto ha un volume eccessivo il materiale può essere compresso per occupare meno spazio. Le capsule molli hanno forme e dimensioni diverse (rotonde, ovali, oblunghe, supposte e tube) e contengono sempre un p.a. sottoforma di liquido o semisolido, mai solido, solubilizzato o sospeso in un veicolo liquido (oleoso o miscibile con acqua, come PEG, alcool isopropilico ecc, mai acqua). Sono tutte intere o al massimo hanno una linea di saldatura, quindi non hanno le due parti che si incastrano. Si tratta di una forma farmaceutica piuttosto costosa perché il metodo di produzione è lento e quindi richiede costi maggiori rispetto alle capsule rigide, inoltre l'intimo contatto tra la capsula e il liquido contenuto accresce la possibilità di interazioni chimiche che degradano la gelatina e gli attivi possono migrare dal veicolo oleoso nella capsula stessa, per questo sono poco utilizzate. Come si preparano le capsule molli? Esistono due metodi per questa preparazione: il metodo Scherer e il metodo a goccia. Il metodo Scherer prevede l'utilizzo di un'apparecchiatura a matrici rotanti, cioè due cilindri con scanalature di forme diverse (per ottenere capsule di forme diverse) che ruotano. Un foglio di gelatina abbastanza molle (la cui consistenza è mantenuta tale da un'adeguata temperatura) viene fatto scorrere sui due rulli in modo che la gelatina si stratifichi nella parte vuota, quando le due parti si sovrappongono quasi completamente si inserisce il liquido di riempimento con una pompa/ago di precisione e successivamente la capsula si chiude. Quindi le capsule appena formate cadono su un nastro trasportatore e vengono immediatamente raffreddate (solidificate) e sgrassate, perché i rulli sono lubrificati per facilitare lo scorrimento e la formazione delle capsule. NB anche se sgrassate, una percentuale oleosa sulla superficie rimane. Il metodo a goccia consente solo la produzione di perle, cioè di capsule sferiche, contenenti liquidi aventi una certa densità, e non richiede stampi. L’apparecchiatura consiste in due ugelli concentrici: in quello esterno scorre la gelatina liquefatta, in quello interno la soluzione da incapsulare. All’uscita dall’ugello, a causa della tensione superficiale, la gelatina tende a raccogliersi in gocce sferiche contenenti all’interno la soluzione. Quando raggiungono la dimensione massima le gocce cadono in un bagno di olio di vaselina fredda (4-5°C) dove si induriscono (è necessario farle cadere in un mezzo liquido per evitare la deformazione). Vengono poi sgrassate ed asciugate e si ottengono così perle completamente uniformi e prive di saldature. NB questo metodo non è adatto a tutti i materiali, perché alcuni di essi non gocciolano bene e non si ottiene la quantità desiderata. FORMULAZIONI LIQUIDE L’acqua in campo farmaceutico è di notevole importanza e si ritrova in tutte le formulazioni liquide. E’ il principale solvente utilizzato perché è di piccole dimensioni, possiede protoni in grado di formare legami a H e ha un’elevata costante dielettrica; caratteristiche che gli conferiscono buone capacità di sorbatazione, cioè le molecole di acqua riescono a frapporsi fra le molecole di altre sostanze e isolarle. L’acqua più utilizzata dal punto di vista farmaceutico è quella depurata, ma esistono vari livelli:  acqua di primo livello: acqua di pozzo o superficiale, di solito si utilizza a scopo antincendio per non sprecare l’acqua potabile. Se sottoposta a vari trattamenti (addolcimento, clorazione, prefiltrazione) si ottiene l’acqua potabile  acqua potabile: si usa per la pulizia (primo risciacquo) e in generale per i servizi igienici  acqua depurata: si ottiene mediante i processi precedenti, che devono essere eseguiti con più cura e maggiore intensità  acqua per preparazioni iniettabili: utilizzata per la produzione di tutti quelle formulazioni che devono essere sterili. Si ottiene per distillazione a partire da acqua potabile o depurata. Allo stato naturale l’acqua non è pura, quindi per essere utilizzata per produrre forme farmaceutiche deve essere decontaminata, ma quali sono i contaminanti? Principalmente particelle sospese in soluzione: non incidono sulla potabilità, ma non sono accettabili in campo farmaceutico (microorganismi, sostanze organiche, sostanze inorganiche ecc) o disciolte (sostanze organiche o inorganiche). Esistono diversi modi per purificare l’acqua, ciascuno dei quali in grado di eliminare una parte di contaminanti, infatti di solito si usano diversi metodi in combinazione oppure la distillazione che è l’unico metodo che elimina tutti i contaminanti. La distillazione è il metodo più efficace, utilizza il passaggio di stato dell’acqua da liquido a gas e poi di nuovo a liquido per far sì che le sostanze disciolte (che devono essere volatili) vengano eliminate. Se le sostanza disciolte non sono volatili queste tronano in soluzione, quindi prima di iniziare il procedimento si tratta l’acqua con carbonati per eliminare le particelle non volatili. Generalmente si alimenta il distillatore con acqua già depurata o potabile, per evitare che si incrosti il macchinario (=più manutenzione, quindi più costi), ma volendo si potrebbe distillare anche acqua di pozzo. La distillazione prevede l’utilizzo di una certa quantità di calore per permettere l’evaporazione dell’acqua, e questo rappresenta uno svantaggio dal punto di vista economico. Gli impianti di distillazione attualmente utilizzati nell’industria farmaceutica sono di due tipologie:  impianti di distillazione a termocompressione, questo tipo di distillazione è caratterizzata da un certo risparmio energetico che si traduce quindi in un abbattimento dei costi totali: il sistema usa il calore latente della vaporizzazione per evaporare altra acqua. Schematicamente l’acqua contenuta nella caldaia (A) viene portata all’ebollizione dal dispositivo di riscaldamento (R). Il vapore viene aspirato dal compressore (C), così che nella caldaia ci sia un lieve abbassamento di pressione e temperatura, mentre il vapore viene compresso con aumento di temperatura. Data questa differenza di temperatura, il vapore condensa cedendo il suo calore all’acqua che a sua volta evapora. Come già anticipato questo metodo prevede un certo abbassamento dei costi oltre ad altri vantaggi, quali: funzionamento ininterrotto e assenza di acqua di raffreddamento. D’altro canto ci sono anche alcuni svantaggi come la dimensione e i materiali degli impianti, parti meccaniche in movimento soggette ad usura ecc.  impianti a semplice o a multiplo (doppio/triplo..possono arrivare fino al nono) effetto, nella distillazione a semplice effetto (alambicchi) si utilizza un distillatore costituito da una caldaia, dove avviene l’evaporazione, e un condensatore, dove il vapore condensa. Si lavora a pressione atmosferica ed è parecchio dispendiosa sia in termini di energia sia di acqua di  comportamento pseudoplastico (tipico dei sistemi colloidali, dispersioni di macromolecole in solventi liquidi che sembrano soluzioni ma in realtà le macromolecole non sono disperse): in questo caso la viscosità diminuisce all’aumentare di D, perché mano a mano le molecole si allineano;  comportamento plastico: in questo caso ho una soglia di scorrimento, la parte superiore del grafico è una retta perché dopo una certa forza il fluido si comporta come un fluido ideale. In questo caso l’equazione deve tener conto anche del valore soglia, entro il quale il fluido non scorre: η = τ – τ’/D;  comportamento dilatante (tipico delle paste): in queste soluzioni c’è un’elevata quantità di solido dispersa in una piccola quantità di fluido necessaria a bagnare tutte le particelle. Quando il fluido si muove le particelle tendono a dilatarsi (allontanarsi) e quindi il fluido non bagna più tutte le particelle, si formano cioè degli spazi vuoti che aumentano la viscosità, infatti in questo caso la viscosità aumenta all’aumentare di D. L’unità di misura della viscosità nel sistema cgs è il Poise (P) o centoPoise, nel Sistema Internazionale si misura in Pascal per secondo (Poiseuille). Per misurare la viscosità si utilizzano i viscosimetri, di cui i più complessi e completi sono i viscosimetri rotativi: misurano la viscosità a diverse velocità e dunque permettono di costruire un reologramma con cui catalogare un comportamento reologico di un fluido. Sono tutti accomunati da un contenitore che raccoglie il fluido e una parte che ruota che fa muovere il fluido ed esistono di diverse geometrie a seconda del fluido trattato;  tensione superficiale: è la proprietà che hanno i liquidi di radunarsi su loro stessi, cioè di interagire più o meno con l’ambiente esterno, di solito i liquidi tendono a reagire poco con l’ambiente ma piuttosto a reagire con sé stessi. Maggiore è la tensione superficiale di un liquido, minore sarà la sua interazione con l’esterno e in questo caso le forse interne di coesione sono molto forti. Quando la tensione superficiale è massima il liquido prende la forma di una sfera, perché ha un’area superficiale minima per unità di volume. Si parla di tensione superficiale nel caso dei liquidi puri a contatto con l’atmosfera, mentre si parla di tensione interfacciale nel caso di liquidi a contatto e non miscibili fra loro. Questo valore, che si rappresenta con γ, è una forza per unità di lunghezza (=[dine/cm]) e si misura con il tensiometro, di cui ne esistono diversi tipi, ma che sfruttano tutti lo stesso principio: si mette a contatto un corpo con il liquido in esame e si imprime una forza che faccia allontanare il corpo dal liquido, quando il liquido non rimane più aderito all’oggetto si ha il valore della tensione superficiale.  proprietà colligative: pressione osmotica, ovvero quella pressione esterna che deve essere applicata ad una soluzione per prevenire il processo di osmosi, la diffusione spontanea di solvente da una soluzione di bassa concentrazione di soluto ad una a concentrazione maggiore. Quando si produce una formulazione liquida bisogna accertarsi che il solvente sia compatibile con i fluidi fisiologici, cioè devono esercitere la stessa pressione per evitare che il liquido dalle cellule vada nel formulato e viceversa. Questa pressione in ambito clinico non si misura in atmosfere ma in osmoli o milliosmoli. L’osmolarità di una soluzione equivale al numero di osmoli su un litro di soluzione (osmolalità=osmoli/1kg solvente). Per essere compatibile con l’organismo una soluzione deve essere isotonica, ovvero avere una certa isoosmoticità (pressione osmotica=pressione osmotica fluidi fisiologici) e una certa biocompatibilità. Un esempio è la così detta soluzione fisiologica, una soluzione di NaCl allo 0,9%. Esistono varie formulazioni di forme farmaceutiche liquide, una prima suddivisione generica è in: soluzioni, sospensioni, colloidi ed emulsioni, tutti definibili più genericamente come sistemi dispersi. Queste formulazioni presentano diversi vantaggi: sono semplici da preparare, il farmaco è ben distribuito nel solvente ed è immediatamente disponibile per l’assorbimento, la somministrazione è facile e attraverso diverse vie; presentano però anche alcuni svantaggi: i principi attivi e anche alcuni eccipienti nei solventi liquidi sono maggiormente a rischio di degradazione, quindi la stabilità del sistema è compromessa, inoltre questi sistemi non sono adatti per tutte quelle sostanze insolubili. Si definisce sistema disperso un qualunque miscuglio di due o più sostanze, queste costituiscono sistemi eterogenei se la composizione varia localmente ed è possibile distinguervi fasi diverse, altrimenti se le fasi sono indistinguibili si parla di sistemi omogenei. Nella tabella seguente sono riportati alcuni esempi di sistemi eterogenei bifasici, nei quali una sostanza è dispersa uniformemente in forma di particelle o gocce finemente divise. In questi sistemi il componente presente in forma divisa è detto fase dispersa e il mezzo continuo in cui è distribuito è detto fase disperdente. Le dispersioni si possono classificare anche in base alle dimensioni della fase dispersa in: • dispersioni molecolari: molecole (< 1.0 nm) invisibili al microscopio elettronico che diffondono rapidamente (per es. ioni e glucosio) • dispersioni colloidali: particelle (1.0 nm-0.5 μm) visibili al microscopio elettronico e ultramicroscopio che diffondono lentamente (per es. dispersioni polimeriche) • dispersioni grossolane: particelle (> 0.5 μm) visibili al microscopio ottico e spesso visibili anche a occhio nudo che non diffondono (per es. emulsioni e sospensioni farmaceutiche). SOLUZIONI La formulazione più semplice e antica sono gli sciroppi. In FU sono descritti come preparazioni acquose caratterizzate da un sapore dolce e una consistenza viscosa, se la preparazione non ha queste due caratteristiche non è classificabile come sciroppo e proprio per queste caratteristiche, che facilitano la somministrazione, si usano soprattutto in pediatria. Il principale utilizzo è quello di agenti mucolitici, vitamine e antibiotici (solo in pediatria) sottoforma di granulati a cui aggiungere acqua al momento dell'apertura e utilizzo. Gli sciroppi sono nati come soluzioni dolcificate, infatti sono generalmente a base di zuccheri. Lo sciroppo semplice si prepara mescolando 2 parti di saccarosio e 1 parte di acqua (665g e 335g), il processo di preparazione è piuttosto lungo perché man mano che la soluzione diventa satura aumenta la difficoltà di disciogliere il soluto. Un'altra tipologia di sciroppi base sono gli sciroppi speciali, che non contengono saccarosio ma sono dolcificati con altri zuccheri (edulcoranti sintetici o polialcoli) e sono viscosizzati con altre sostanze perché la quantità di edulcorante inserita è molto piccola. Dagli sciroppi base derivano gli sciroppi medicati e gli sciroppi aromatizzati. N.B. per preparare uno sciroppo medicato a partire da uno sciroppo semplice, ovvero una soluzione satura di saccarosio, sarà necessario aggiungere una quantità di acqua sufficiente per potervi disciogliere il p.a., quindi sarà necessario effettuare una diluizione. Gli sciroppi semplici presentano il grande vantaggio, se preparati bene, di automantenersi perché l'elevata concentrazione di saccarosio provoca una pressione osmotica molto elevata che impedisce la vita dei microorganismi, quindi si prepara prima lo sciroppo semplice e poi si medica al momento del bisogno. Con il tempo l'impossibilità di inserire negli sciroppi dei p.a. insolubili ha portato un'evoluzione, per poter utilizzare p.a. insolubili esistono due possibilità: preparare una sospensione (che però non è semplice e non è molto stabile) oppure utilizzare un solvente diverso, e così sono nate le soluzioni alcoliche. N.B. con il termine alcool si intente l'alcool etilico al 96% in volume (cioè 4 volumi di H2O e 96 volumi di etanolo), con il termine etanolo si intende l'alcool etilico assoluto. L'alcool è il solvente più utilizzato perché è economico, ha un sapore gradevole, è molto stabile infatti a dosi opportune si può usare anche come conservante, rallenta i processi idrolitici ed è biocompatibile (purché diluito, infatti si utilizza l'alcool e non l'etanolo perché non si somministra mai alcool etilico puro, quindi è preferibile partire direttamente dal solvente già diluito). Inoltre presenta un buon potere solvente verso numerosi composti chimici e componenti vegetali, ma scarso potere solvente verso gomme, mucillagini e amido. Un'altra tipologia di soluzione sono gli elisir, preparazioni liquide ad uso orale in veicolo idroalcolico edulcorato ed aromatizzato: nella maggior parte dei casi si fanno per estrazione di droghe vegetali con vini liquorosi a una gradazione piuttosto alta che ne garantisce la conservabilità, ma non sono molto utilizzati. COLLOIDI I colloidi liofili (o idrofili se il solvente è acqua) sono formati da particelle colloidali che interagiscono con il solvente (hanno affinità con esso), a occhio nudo non si percepisce la particella sospesa, ma il solvente appare più opalescente, si vede che dentro c'è qualcosa. (I colloidi idrofili sono anche liofili, mentre non è detto il contrario). Nel caso in cui il solvente sia H2O si assiste al fenomeno di solvatazione: le molecole vengono circondate da molecole di acqua e vengono portate in soluzione una alla volta formando il colloide. Comprendono sia prodotti naturali (gomme vegetali, gelatina, amido), sia semisintetici (metilcellulosa, carbossimetilcellulosa), sia sintetici (polivinilpirrolidone). In generale le sospensioni presentano vari problemi formulativi, fra cui: • crescita delle particelle: non esistono prodotti per niente solubili, ci sarà sempre una percentuale di molecole che passa in soluzione e una che cristallizza, queste due parti si trovano in equilibrio, un equilibrio mobile, perché le particelle in soluzione tendono ad aumentanre di dimensioni, di conseguenza il loro peso aumenta e con esso il rischio di sedimentazione; • adesione di particelle di sospensione alle pareti del contenitore: si tratta di un problema marginale perché si può sempre utilizzare per il recipiente un materiale che non interferisca con la sospensione; • sedimentazione: rappresenta il problema principale e può dar luogo a due diversi fenomeni: la compattazione del sedimento (caking), in cui le particelle si attraggono con forze piuttosto grandi, vengono strettamente in contatto e formano un precipitato compatto (cake); e la flocculazione in cui le particelle si attraggono con forze deboli, rimangono separate da un sottile strato di liquido e formano aggregati porosi (flocculi), molto pesanti e che tendono a sedimentare in fretta. In un sistema flocculato le particelle disperse si aggregano e sedimentano molto velocemente. Non appena la sospensione viene lasciata a riposo il surnatante diventa limpido e i flocculi si depositano sul fondo, ma per semplice agitazione è possibile riformare facilmente la sospensione. In questo caso il sistema è costituito da particelle ben bagnabili, che quindi non lasciano allontanare il sottile strato di liquido che le circonda. In un sistema deflocculato invece le particelle disperse rimangono come unità separate e la velocità di sedimentazione è lenta e il surnatante anche a riposo continua a rimanere torbido per un tempo prolungato. La lenta velocità di sedimentazione previene l'intrappolamento di liquido nel sedimento che diventa quindi molto compatto e difficile da ridisperdere. A livello di formulazione sono preferibili i sistemi flocculati, ma se il tempo di sedimentazione dei sistemi deflocculati è ampio (4 anni) anche questi sono utilizzabili. Come si preparano le sospensioni? E' possibile sospendere l'attivo nel veicolo simultaneamente alla formazione, oppure nel veicolo già preparato. Qualunque sia il metodo utilizzato, le particelle devono sempre essere di dimensioni adeguate: né troppo piccole e né troppo grandi (gravità→sedimentazione); essere trattate con un agente bagnante (indispensabile per la stabilità); essere accuratamente disperse nel mezzo con uno strumento che può essere il molino colloidale, il molino a palle, oppure un dissolutore, un sistema molto più semplice costituito da un braccio che agita vigorosamente la sospensione. Come altre formulazioni anche le sospensioni sono soggette a controlli tecnologici: • granulometria: per verificare che non ci sia il fenomeno dell'accrescimento delle particelle • velocità di sedimentazione e risospendibilità • viscosità: se aumenta o diminuisce la velocità di sedimentazione (le sospensioni sono sempre un po' viscose) • densità: per rilevare l'incorporazione di aria (spesso l'aria è presente incorporata quando ho scarsa bagnabilità ed elevata viscosità) • stabilità: valuatata con l'invecchiamento accelerato, la sospensione viene tenuta 3 mesi a 40°C (in questo modo si accelerano tutti i processi cinetici delle particelle) o con cicli di caldo/freddo, se a questi shock si ha una buona stabilità si passa a verificare quella a lungo termine, al contrario la formulazione viene direttamente scartata. Le sospensioni possono essere impegate per uso orale, uso intramuscolare o sottocutaneo, come formulazioni topiche, aerosol e come forma di deposito (le particelle formano un deposito, ad esempio sottocutane, che piano piano rilascia il p.a. per dare il suo effetto). EMULSIONI Sono sistemi bifasici formati da due liquidi non miscibili (un liquido lipofilo e uno idrofilo) in cui la fase dispersa è quella interna o discontinua (globuli di 0.5-100 μm, se superiori l'emulsione non è stabile e le due fasi si separano, mentre se sono <50 μm l'emulsione è trasparente); la fase disperdente è quella esterna o continua. A seconda della distribuzione delle due fasi si possono distinuguere emulsioni acqua in olio (A/O) ed emulsioni olio in acqua (O/A). Esistono anche le emulsioni multiple (o miste) A/O/A o O/A/O. Le emulsioni si presentano come sferette di liquido immerse in un altro liquido. Per stabilizzare le emulsioni è necessaria la stabilizzazione delle gocce, e si possono utilizzare metodi diversi, il più efficace è quello di ridurre la tensione interfacciale per mezzo dei tensioattivi: il tensioattivo circonda completamente il globulo isolandolo dal mezzo in cui è disperso; in particolare per garantire una copertura totale della superficie si utilizzano due diversi tensioattivi che si intercalano e formano una struttura più omogenea. NB in base al tipo di emulsione (A/O o O/A) il valore di HLB richiesto varia per ogni tensioattivo (questo diverso valore si ottiene con l'utilizzo di emulsionanti diversi). Altri metodi per la stabilizzazione delle gocce sono: • stabilizzazione con macromolecole come colloidi idrofili (ad es. gomma arabica, alginati, pectine...) (molto efficace); • formazione di un doppio strato elettrico, cioè l'aggiunta di elettroliti inorganici semplici (sali) per formare una barriera elettrica (utile per stabilizzare emulsioni già formate, ma da solo non basta) • formazione di un film interfacciale rigido, cioè l'aggiunta di particelle solide finissime che riescono a stratificarsi sui globuli formando una barriera meccanica (anch'esso non sufficiente da solo). Come si prepara un'emulsione? Si versa una fase nell'altra tenendo conto di alcune teorie (alcune più efficaci e alcune meno): ‣ volume di fase: la fase presente in quantità maggiore avrà maggior tendenza a costituire la fase continua, ma con determinati valori di viscosità e determinati tensioattivi si può invertire l'emulsione da O/A a A/O ‣ viscosità delle fasi: più la fase continua è viscosa, più è stabile, perché si suddivide in globuli meno facilmente ‣ caratteristiche del tensioattivo (regola di Bancroft): (è la teoria che funziona di più) la fase continua è quella in cui il tensioattivo è più solubile ‣ metodo di preparazione: la fase che si versa sotto agitazione costituirà la fase interna. Esistono poi una serie di metodi per verificare che tipo di emulsione si è formata: ⁎ diluizione: se una data emulsione è diluibile in acqua (per es. latte o maionese) è di tipo O/A ⁎ uso di coloranti: un'emulsione addizionata con un colorante idrosolubile (ad es. blu di metilene) risulta uniformemente colorata se è di tipo O/A ⁎ conducibilità elettrica: solo le emulsioni di tipo O/A permettono il passaggio di corrente fra due elettrodi ⁎ fluorescenza: la maggior parte degli olii, e quindi le emulsioni A/O, emettono fluorescenza se eccitati con radiazioni elettromagnetiche di opportuna lunghezza d'onda. Uno dei principali problemi in cui si può incorrere con la preparazione delle emulsioni è il fenomeno di rottura dell'emulsione: il punto di partenza è il così detto creaming, ovvero l'unione spontanea di globuli di emulsione per formare gocce più grandi, fino alla completa separazione delle fasi. Questo accade generalmente se l'emulsione non è stabile. Fasi del processo: Creaming e sedimentazione: concentrazione della fase dispersa rispettivamente sulla superficie o sul fondo dell'emulsione. Le goccioline sono ancora circondate dal film di emulsionante e con una buona agitazione si può tornare alla situazione iniziale. E’ da evitare poiché rappresenta il primo passo verso la coalescenza. Flocculazione: è il processo di aggregazione dei globuli per formare degli aggregati tenuti insieme da deboli forze attrattive. Anche in questo caso il film di emulsionante che circonda i globuli è intatto e la ridispersione per agitazione è ancora possibile. Coalescenza e separazione di fase: la coalescenza è la fusione degli agglomerati in goccioline più grandi. E’ un fenomeno irreversibile. Può essere notevolmente ridotta dalla presenza di tensioattivi, che depositandosi sulle goccioline di fase dispersa, formano film molecolari particolarmente resistenti in grado di impedire la fusione degli agglomerati ed aumentano la viscosità della fase dispersa. Il progredire della coalescenza porta alla separazione delle fasi: l'emulsione si "rompe" (l'ideale, anche se la maggior parte sono a equilibrio), cioè la rimozione completa delle sostanze estraibili. I due trattamenti con solventi a freddo sono la macerazione e la percolazione. Come si fanno? La macerazione prevede il contatto della droga, adeguatamente frantumata, con il solvente a temperatura ambiente in un contenitore munito di idonea chiusura per 5 giorni. Il prodotto di estrazione (detto macerato) viene recuperato per decantazione e successivamente spremitura del residuo di droga. Per aumentare la capacità estrattiva si può fare una rimacerazione che prevede un primo trattamento con una metà di solvente e consecutivamente un altro trattamento con l'altra metà. Oppure si può agire con la macerazione dinamica che velocizza e rende più efficace il processo di dissoluzione, consiste nel mantenere la droga in movimento con una continua agitazione. Se si aumenta la temperatura fino a 40-50°C il processo di macerazione prende il nome di digestione e si fa di solito con solventi viscosi come glicerina o oli vegetali perché diffondono più facilmente nelle cellule. La turboestrazione invece è il trattamento della droga con il solvente in un trituratore veloce per 5- 10 minuti che fa sì che la droga sia sminuzzata in particelle molto piccole (più cellule vengono rotte) quindi aumenta l'efficacia, in più ho un piccolo aumento di temperatura che contribuisce a migliorare l'estrazione. Se si aumenta ancora di più la temparatura fino al punto di ebollizione del solvente il processo di macerazione prende il nome di decozione: la droga viene fatta bollire in acqua per 15-45 minuti, dopodiché si procede con una filtrazione attraverso un mezzo che consenta la separazione dei frammenti di droga e infine la frazione di decotto che impregna il residuo di droga viene recuperata facendo passare una piccola quantità di acqua attraverso la droga raccolta sul filtro. Questo procedimento risulta particolarmente appropriato per droghe a tessuto legnoso, di più difficile estrazione, data la più lunga esposizione ad alte temperature. Se i pa sono scarsamente solubili in acqua vengono introdotte nell'acqua piccole quantità di acidi (cloridirico o citrico) che favoriscono l'estrazione di pa alcalini (per es alcaloidi) o viceversa basi (bicarbonato di sodio) per favorire l'estrazione di pa acidi. Secondo la FU XI "i decotti sono preparazioni liquide ottenute estemporaneamente facendo bollire in acqua le droghe opportunamente polverizzate dalle quali si vogliono estrarre i pa. L'operazione corrispondente si chiama decozione ed essa non si applica mai a droghe contenenti principi attivi volatili. Solitamente si impiegano 5 parti di droga per preparare 100 parti di decotto (quindi 5 parti di droga in 100 parti di acqua, se questa durante il processo di perde va reintegrata per tornare a 100); nel caso di droghe contenenti alcaloidi, l'acqua viene addizionata di una quantità ci acido citrico R o acido cloridrico diluito R (R indica la concentrazione dell'acido) approssimativamente corrispondente alla quantità totale di alcaloidi contenuti nella droga". Un altro metodo di macerazione a caldo è l'infusione, la droga viene trattata con acqua bollente, lasciandola macerare per 5-15 minuti in un recipiente coperto e agitando ogni tanto. Dopodiché si procede con la filtrazione e il recupero della frazione di infuso che impregna la droga filtrata come per la decozione. Anche in questo caso per solubilizzare pa alcalini o acidi si può aggiungere acido o base. Secondo la FU XI "gli infusi sono preparazioni liquide ottenute estemporaneamente versando sulle droghe, ridotte ad un grado conveniente di suddivisione, dalle quali si vogliono estrarre i pa acqua R alla temperatura di ebollizione e lasciando poi a contatto con l'acqua stessa per un tempo più o meno lungo. Dopo raffreddamento completo, filtrare attraverso ovatta o garza, senza comprimere; portare il filtrato alla massa prescritta con acqua R calda con la quale si lava il residuo di filtro. In qualche caso può essere necessaria l'aggiunta di piccole quantità di sostanze acide o alcaline al fine di facilitare l'estrazione dei pa dalla droga. Generalmente si usano da 1 a 10 parti di droga (dipende dalla consistenza della droga) per la preparazione di 100 parti di infuso". Infine la tisana è la più giovane in farmacopea e anche la più utilizzata fra le soluzioni estrattive estemporanee. Si tratta di un mix di prodotti vegetali che hanno più o meno attività simile, in alcuni casi alcuni prodotti hanno solo effetto edulcorante o colorante. Il termine è benaugurante: ti sana, vengono somministrati al paziente come coadiuvante. Si tratta di una vera e propria forma farmaceutica perché contiene una dose unica di pa e quindi, come tutte le forme farmaceutiche, deve sottostare a determinati controlli, infatti è riportata in FU ed è l'unica che può arrivare in commercio già frazionata. Secondo la FU XI "le piante per tisane sono costituite esclusivamente da una o più droghe vegetali destinate a preparazioni acquose orali ottenute per decozione, infusione o macerazione. La preparazione viene effettuata immediatamente prima dell'uso. Solitamente si utilizzano 10-20g di droga in taglio tisana per litro di acqua potabile. Il taglio tisana è la dimensione che le parti di droga deveno avere: per le parti morbide (fiori, foglie, erbe) è 5600 μm, per le parti dalla consistenza più dura come radici, rizomi, semi o parti legnose e per foglie e parti dallo spessore superiore a 300 μm, la dimensione consentita è 4000 μm. Le polveri fini vanno scartate e se commercializzate in sacchetti devono sottostare all'uniformità di massa. La percolazione consiste nel far seguire ad una macerazione un flusso continuo di solvente attraverso lo strato di droga, all'interno del percolatore (una specie di cono con un rubinetto in basso). Nella prima fase di macerazione avviene il dilavamento delle cellule lacerate e la diffusione di solvente nelle cellule integre. Il successivo flusso di solvente consente un'efficace diffusione dei componenti estraibili. Vediamo i vari passaggi: ⁎ umettamento della droga: si tratta con solvente (30% peso droga) e si lascia a riposo per 3-4 ore ⁎ caricamento del percolatore: sul fondo si mette una grigla di materiale appropriato per sostenre il peso della droga con un filtro di carta e ovatta. Sopra si appoggia la droga, poi altra carta da filtro, delle sferette di vetro per fare peso e infine il solvente fino a ricoprire la droga ⁎ macerazione intermedia della droga: per 24-48 ore la situazione rimane statica in questo modo ⁎ percolazione: si apre il rubinetto del percolatore e si fa gocciolare lentamente il solvente, che man mano deve essere riaggiunto per non lasciare mai la droga a secco. Il processo termina quando finisce la droga→unico metodo a esaurimento. 20 gtt/minKg o 1-3 ml/minKg. Questo metodo è adatto alle droghe vegetali perché consente un recupero completo dei componenti estraibili (percolato con volume triplo della droga), mentre non è adatto a resine, oleoresine che lasciano un residuo gommoso e per droghe che si rigonfiano troppo da impedire il flusso di solvente. La tecnica di estrazione a caldo è la distillazione, che consente la separazione di componenti volatili (si usa soprattutto per gli oe) grazie a due diversi metodi: la distillazione in corrente di vapore, per droghe fresche opportunamente triturate. Si inserisce la droga nel distillatore e si fa attraversare da vapore acqueo, che trascina le componenti volatili e successivamente, tramite raffreddamento si condensa il vapore per recuperare l'acqua e gli oli essenziali che si separano in uno strato oleoso. L'acqua che si estrae è un'acqua aromatizzata. Il processo può essere ripetuto per ottenre un'acqua più concentrata, che in questo caso verrà detta coobata, appunto molto più ricca e concentrata per la maggior quantità di oe. Queste acque si trovano poco in commercio perché non sono molto stabili e dopo apertura vanno usate in tempi brevi. NB spesso le acque aromatizzate sono addizionate di alcool o profumi. L'altro metodo, per droghe secche, prevede una macerazione in alcool a 50-70 gradi. E' un processo molto più efficace quindi anche se si parte da una droga con meno oe (perché un po' si perde con l'essiccamento) il prodotto finito è comunque migliore. In alcuni casi (raramente) si può utilizzare una droga fresca ma l'alcool deve essre più concentrato perché l'acqua della droga non lo diluisca troppo, altrimenti la distillazione non avviene correttamente. Il macerato alcoolico deve essere separato dalla droga per distillazione e le componenti volatili separate dopo condensazione. Un altro metodo, molto meno utilizzato e più costoso è tramite fluidi supercritici. Si utilizza come solvente l'anidride carbonica che, allo stato supercritico, diventa liquida e può attraversare la droga estraendo il materiale. L'anidride carbonica in fase supercritica si comporta da solvente non polare ed è perciò possibile estrarre composti non polari da matrici solide. Il vantaggio è che alla fine dell'estrazione il solvente viene allontanato sottoforma di gas dando la possibilità di recuperare composti estratti concentrati. Il processo in sé è semplice, ma il macchinario e i fluidi sono molto costosi e inoltre non è universalmente utilizzabile. Il naviglio estrattore invece estrae le sostanze tramite pressione: si esercita una forte pressione un po' alla volta tramite pistoni che poi improvvisamente vengono rilasciati per produrre una pressione negativa dall'interno verso l'esterno della matrice solida e provocare così il rilascio di tutti i fluidi. Con piccole quantità di solvente (di solito alcolico) si può ottenere un'estrazione a esaurimento. L'enfleurage è il metodo usato per l'estrazione di oe dalle parti tenere della pianta, come il fiore, che altrimenti si danneggerebbero facilmente con la tecnica della distillazione. I fiori vengono messi su lastre di vetro ricoperte di grasso animale purificato, dopodiché si girano in modo che entrambe le facce siano in contatto con il grasso e si sfrutta la capacità dei grassi, in particolare quelli animali, di assorbire gli odori: quando il grasso è impregnato si raschia via dal vetro, si solubilizza con etanolo e si separa l'olio essenziale. Lo stesso grasso può anche essere riutilizzato più volte e con fiori diversi. NB nelle tabelle in FU sono riportate le quantità di verie specie di piante per ottenre 100 parti di decotto, infuso o tisana e i vari tempi di decozione. Gli estratti, dunque, sono preparazioni concentrate liquide, molli o solide, ottenute generalmente da materie prime vegetali o animali essiccate. Come solvente si utilizza quasi sempre etanolo oppure acqua e glicerina. L'estrazione va portata fino ad esaurimento, quindi di solito si utilizza la percolazione. Questo metodo richiede grandi quantità di liquido, infatti poi tramite evaporazione si elimina parzialmente o totalmente il solvente per ottenere un liquido concentrato, una massa semisolida o un residuo secco a seconda dell'estratto. Gli estratti liquidi sono preparazioni liquide nelle quali in genere una parte di esso è equivalente a una parte di materiale originale essiccato. Oltre che per macerazione e percolazione sono ottenibili per dissoluzione di un estratto molle o secco. Poiché la gradazione alcoolica a volte è bassa possono necessitare di conservanti. Esistono quelli per sciroppo che si possono facilmente solubilizzare in acqua; e quelli per tintura che sono facilmente solubilizzabili in alcool. NB in FU sono riportati i vari metodi (percolazione, percolazione con due solventi, percolazione frazionata, percolazione con acqua) con le rispettive quantità e istruzioni. Gli estratti fluidi devono soddisfare gli stessi saggi delle tinture e riportare in etichetta più o meno le solite cose (vedi più avanti) più il nome e la concentrazione di ogni conservante eventualmente aggiunto. Gli estratti molli sono di consistenza intermedia tra quelli fluidi e quelli secchi e si ottengono per una maggiore concentrazione degli estratti fluidi. Come solvente si utilizzano acqua o alcool, possono contenere conservanti, devono avere un residuo secco non inferiore al 70% m/m e possono essere usati per la preparazione estemporanea di tinture o estratti fluidi (raramente) e la preparazione di forme farmaceutiche per via orale o cutanea. Saggi: residuo secco. Etichetta: la stessa degli estratti fluidi. Gli estratti secchi sono preparazioni solide ottenute per evaporazione totale del solvente di estrazione. I solventi utilizzati sono alcool e acqua e l'evaporazione può essere fatta tramite spray- drying, liofilizzazione e sottovuoto. Devono contenere un residuo secco non inferiore al 95% m/m ed è possibile aggiungere sostanze inerti polverizzate per ottenere una massa solida polverizzabile. Si usano per la preparazione estemporanea di tinture ed estratti fluidi o molli (raramente) o per la percentuale di farmaco arriva anche nel derma. Ci sono diverse forme farmaceutiche ad applicazione cutanea, classificate in base alla consistenza: solide (polveri aspersorie e matite cutanee); liquide (soluzioni, sospensioni ed emulsioni, che possono essere lozioni, spray, shampoo, lacche ungueali); semisolide (pomate, che comprendono unguenti, creme, geli e paste; cataplasmi e impiastri medicati). Le polveri per applicazione cutanea, come riporta la FU, devono soddisfare diversi requisiti: avere una finezza adeguata e assenza di aggregati per non essere abrasivi; avere una certa adesività sulla pelle per non volare via ed esplicare l'azione sulla cute; avere una buona scorrevolezza che faciliti l'applicazione e la fuoriuscita dal tubetto. Tutti i prodotti ad applicazione cutanea hanno una loro carica microbica, cioè hanno dei microorganismi (che ovviamente non devono essere patogeni e non devono essere in quantità pericolose) all'interno, ma nel caso di applicazione su grandi ferite aperte e cute molto lesa, è previsto dalla FU che le preparazioni dermatologiche siano sterili. Come tutte le forme farmaceutiche devono soddisfare diversi saggi: • finezza determinata per setacciatura o altro metodo appropriato • uniformità delle unità di dosaggio (sono esentate le droghe vegetali polverizzate) • uniformità di contenuto si fa se la polvere a dose unica contiene meno di 2mg di pa o meno del 2% di pa sulla massa totale • uniformità di massa non è richiesto se per tutti i pa è richiesta l'uniformità di contenuto • sterilità si effettua solo qualora sia richiesta e la condizione di sterilità deve essere riportata in etichetta. Le preparazioni liquide possono essere di diversa viscosità ma comunque devono essere versabili. Possono essere soluzioni, sospensioni o emulsioni di uno o più pa e possono essere addizionate con eccipienti come stabilizzanti, emulsionanti ecc. Come le polveri cutanee, se si applicano su ferite aperte devono essere sterili e dunque soddisfare al saggio di sterilità. Queste formulazioni comprendono shampoo e schiume cutanee. Gli shampoo sono destinati all'applicazione sul cuoio capelluto e successivo risciacquo con acqua. Se agitati con acqua generalmente producono schiuma e normalmente contengono tensioattivi. La schiuma dal punto di vista formulativo è una soluzione liquida con un tensioattivo; perché diventi una schiuma la soluzione deve essere erogata attraverso una valvola apposita in modo che la soluzione si disponga a film intorno a delle particelle di aria formando la schiuma. NB anch'esse se applicate su cute lesa devono essere sterili. Le preparazioni semisolide sono preparazioni liquide addizionate con eccipienti, che devono avere determinate caratteristiche: una consistenza adeguata, buona tollerabilità e assenza di potere allergizzante, capacità di favorire la penetrazione del pa, buona conservabilità e stabilità, facilmente lavabile o asportabile dalla cute e, se richiesto, essere sterilizzabili. Ci sono eccipienti lipofili, che non si mescolano con acqua, non la incorporano o al massimo solo frazioni piccolissime, si miscelano con gli oli e sono asportabili con i tensioattivi. Essi comprendono idrocarburi, che possono essere liquidi (paraffina), semisolidi (vaselina) o solidi (paraffina solida) e possono essere miscelati per ottenere consistenze diverse; gliceridi, anch'essi liquidi (oli vegetali), semisolidi (grassi di tipo animale o vegetale) o solidi (mono-, di-, tri-gliceridi); esteri di acidi grassi; alcoli grassi (alcool cetilstearilico, cetilico, stearico...); cere (d'api, carnauba, candelilla...); siliconi. E ci sono eccipienti idrofili, lavabili con acqua e miscelabili con essa. Essi comprendono polialcoli (glicerina) non molto usati perché sono liquidi, quindi non mi aiutano ad ottenere la consistenza semisolida e idrocolloidi che aumentano la viscosità dell'acqua e quindi portano facilmente alla formazione di un prodotto semisolido. Possono essere naturali (gomme, amido, gelatina...), semisintetici (derivati della cellulosa), sintetici (carbossipolimetilene...). Fra quelli lipofili e quelli idrofili c'è una categoria di mezzo che comprende quegli eccipienti lipofili in grado di incorporare acqua/liquidi idrofili rimanendo stabili. Uno di questi è la lanolina, una sostanza semisolida cerosa, giallo pallido, con odore caratteristico, ottenuta dal lavaggio della lana di pecora con solventi organici. Si tratta di una miscela di idrocarburi, acidi grassi e alcooli liberi ed esteri di acidi grassi (per es steroli). L'insieme di questo sostanze, con attività tensioattiva, conferisce alla lanolina la capacità di incorporare stabilmente acqua (formando un'emulsione A/O) e questo permette un aumento consistente di viscosità. Dalla lanolina, per idrolisi, separazione e purificazione della frazione ad attività tensioattiva, si ottengono gli alcoli della lanolina, che hanno una migliore consistenza, purezza, conservabilità e potere emulsionante. I polietilenglicoli sono derivati di policondensasione dell'ossido di etilene. Possono essere solidi o liquidi in rapporto con il peso molecolare. In FU sono riportati come Macrogol e sono igroscopici. Sono miscelabili e solubili in acqua e in alcool ma insolubili negli oli. Questa classe di preparazioni contiene diverse sottoclassi: UNGUENTI: prodotti con un veicolo a fase unica (non sono sospensioni o emulsioni) dove viene dispersa una sostanza liquida o solida che è l'attivo. Possono essere idrofobi, cioè che incorporano solo piccolissime quantità di acqua o non ne incorporano affatto→sono preparati a base di grassi, oli, paraffine o siliconi; idrofili, cioè che presentano basi miscibili con acqua, non sono untuosi né occlusivi→sono preparati a base di polietilenglicoli liquidi e solidi; assorbenti acqua, cioè che incorporano importanti quantità di acqua ma non necessariamente sono idrofili→preparati a base di lanolina o suoi alcoli, vaselina idrofila ecc. CREME: sono preparazioni bifasiche, sistemi dispersi in cui due fasi immiscibili vengono disperse l'una nell'altra per mezzo di tensioattivi. Comprendono emulsioni A/O (creme idrofobe), emulsioni O/A (creme idrofile) ed emulsioni doppie A/O/A o O/A/O poco utilizzate in tecnologia farmaceutica perché costose. NB devono essere addizionate di conservanti sia per la fase acquosa sia per quella oleosa, perché essendo a stretto contatto con quella acquosa è facilmente inquinabile. GELI: sistemi semisolidi costituiti da una massa condensata che racchiude un liquido. Sono considerati a fase unica perché non c'è un preciso confine tra le macromolecole disperse e il liquido. Questi comprendono gli idrogeli, che contengono acqua e devono essere addizionati di conservanti e gli organogeli, che contengono liquidi organici lipofili e non hanno bisogno di conservanti. Fenomeno di swelling: assorbimento di liquido con aumento di volume; imbibizione: assorbimento di liquido senza notevole aumento di volume (vedi lezione 9 - xerogeli, sineresi). PASTE: prodotti con una fase unica come veicolo di pa. Hanno un'alta percentuale di polveri dispersa in eccipiente idrofilo o lipofilo che gli conferisce proprietà di protezione, infatti si usano principalmente come protettivo meccanico. CATAPLASMI: consistono in una base idrofila, che trattiene il calore, in cui sono dipersi principi attivi solidi o liquidi. Sono usualmente spalmati in strato spesso su una tela adatta e scaldati prima dell'applicazione sulla pelle, per evitare l'ustione si splama un olio sulla parte da trattare che funge da barriera. IMPIASTRI MEDICATI: sono preparazioni flessibili che contengono uno o più pa, sono destinati ad essere applicati sulla pelle, ma a differenza dei precedenti non sono caldi, quindi non sono irritanti sulla pelle e hanno bisogno di uno strato adesivo per aderire perfettamente e rimanere sulla cute anche per diversi giorni (invece i cataplasmi si tolgono subito). La corrispondente forma moderna sono i cerotti medicati. Le forme farmaceutiche ad uso cutaneo occludenti (unguenti, paste, creme idrofobe, impiastri medicati) non sono facilmente lavabili, fungono da protettivi e idratanti e quindi consentono una maggiore penetrazione del pa. Come si preparano queste formulazioni? A livello industriale si utilizzano i turboemulsori, macchinari che frammentano il materiale e dunque favoriscono l'emulsione. Una volta preparata l'emulsione questa deve essere migliorata, raffinata, per mezzo di una raffinatrice tricilindrica: è composta da 3 cilindri allineati, di cui i primi due ruotano in un senso e il terso in quello opposto. Il materiale passa fra i cilindri 1 e 2 dove viene raffinato (si eliminano eventuali globuli e bolle d'aria) e, poiché è molto appiccicoso, rimane aderito al cilindro 2 che a sua volta lo trasferisce sul cilindro 3 da cui viene recuperato. POMATE: devono sottostare a numerosi saggi: sterilità (se richiesto); uniformità delle unità di dosaggio; dimensione delle particelle; aspetto, colore e odore; perdita di acqua e altri componenti volatili; viscosità; sensazione sulla pelle (untuosità: richiede un tecnico che la testi e consistenza: è importante perché è ciò che rende più o meno facile l'applicazione, si fa con il penetrometro); pH; tipo di emulsione; capacità di spandimento (si fa con l'estensometro, costituito da due lastre di vetro con cerchi concentrici, si mette la pomata al centro della prima lastra e la seconda sopra, si schiaccia e si verifica l'espansione della pomata). Esistono diverse vie di penetrazione attraverso la cute: il pa può usare la via transepidermica, che può essere intercellulare (lipidica) o intracellulare (polare); oppure può entrare nei pori presenti sulla palla attraverso i dotti delle ghiandole (via transeccrina), o attraverso i follicoli piliferi (via transebacea, via transfollicolare). Lo strato più difficile da superare è lo strato corneo perché le cellule formano una specie di muro: sono immerse in una matrice di tipo lipidico e sono totalmente disidratate, se il pa è lipofilo usa la via intercellulare, se è più idrofilo segue quella intracellulare. Altri fattori poi entrano in gioco in questo passaggio, in particolare la diffusione, ovvero il meccanismo di passaggio di un farmaco attraverso la barriera cutanea. Nei sistemi cutanei c'è sempre una dose in eccesso di farmaco, che si sa già che non passerà, ma che serve per dare la spinta al pa. La quantità di farmaco che passa nel tempo è direttamente proporzionale a diversi fattori, secondo la legge di Fick: dQ/dt=KCvDA/h=PCvA dove K è il coefficiente di ripartizione; D è il coefficiente di diffusione; h è lo spessore della barriera (strato corneo); Cv è la concentrazione del pa nel veicolo e A è la superficie di permeazione. Su A si può giocare un po' di più durante la produzione; su h anche si può giocare applicando il farmaco nelle zone in cui lo strato corneo è più sottile e inoltre si può giocare su C, perché serve una concentrazione adeguata per dare la spinta al pa. Una particolare somministrazione cutanea è quella dei sistemi transdermici, la cui attività non è locale ma sistemica: sono formulati per essere applicati a livello del derma, passare la barriera cutanea e arrivare al circolo sanguigno. Questi prodotti possono essere semplici come geli, cerotti transdermici, oppure più complessi con una parte elettronica ecc. Qual è il vantaggio della somministrazione transdermica rispetto a quella sistemica e orale? Per quanto riguarda la via orale, non si ha la degradazione dei farmaci a causa del pH del sistema gastro-intestinale; viene by-passato il metabolismo di primo passaggio; si ha la possibilità di interrompere la somministrazione per semplice rimozione della forma farmaceutica; si semplifica il piano terapeutico (vantaggio principale) perché, nel caso di terapia multipla, si somministrano più pa con una sola applicazione invece di dover prendere 3-4 capsule/compresse con il rischio di dimenticarne alcune e quindi si aumenta la compliance del paziente. Per quanto riguarda la via parenterale, invece, i vantaggi sono una minore invasività e dolorosità; possibilità di controllare il rilascio del pa (ritardato, graduale ecc) e un miglioramento della compliance del paziente. D'altra parte ci sono anche degli svantaggi quali: possibile comparsa di irritazioni locali; possibili fenomeni di tolleranza dovuti alla somministrazione continua; l'attività enzimatica cutanea potrebbe presentare imprevedibili metabolismi del farmaco; la scarsa permeabilità della cute fa sì che la somministrazione transdermica sia applicabile esclusivamente a farmaci potenti e con opportune caratteristiche chimico-fisiche che spesso devono essere addizionati o modificati per facilitare la permeazione (il principale). Quindi i farmaci idonei a questo tipo di somministrazione sono quelli che: per via orale danno luogo a irritazioni GI, decomposizione per metabolismo epatico, formazione di metaboliti causa di effetti collaterali e farmaci che hanno un tempo di emivita corto e dunque necessitano di frequenti somministrazioni. I farmaci non idonei sono quelli per cui è necessaria una dose elevata ad azione immediata (perché le concentrazioni plasmatiche si raggiungono con un certo ritardo), farmaci che irritano la cute, farmaci metabolizzati in maniera rilevante dalla cute e farmaci con caratteristiche chimico-fisiche inadatte. I TTS, sistemi terapeutici transdermici, sono strutture multilamellari composte da vari elementi ben differenziati e con specifiche funzioni. I TTS presenti in commercio possono essere classificati in tre categorie: ▫ sistemi farmaco nell'adesivo, sono i più semplici e comuni sul mercato ma la velocità di cessione • isotonicità con le lacrime • presenza di antisettici (se multidose). Le pomate oftalmiche sono miscele di idrocarburi essenzialmente lipofili e lanolina e/o suoi alcoli se c'è necessità di inglobare acqua o pa idrofili. Solitamente queste medicazioni vengono riservate alla notte o se c'è bisogno di un bendaggio, perché possono risultare fastidiosi e offuscare la vista. Allo stesso tempo hanno però dei vantaggi: essendo semisolide con l'ammiccamento si espellono meno e quindi restano molto più a lungo nella zona di applicazione, inoltre essendo lipofile le lacrime non riescono a lavarle via. Un metodo per aumentare la biodisponibilità delle pomate oftalmiche è quello di aumentare la viscosità con l'aggiunta di piccole quantità di polimeri, in questo modo aumenta il tempo di ritenzione oculare e si favorisce l'assorbimento del farmaco. Non si può però aumentare troppo la viscosità perché altrimenti si ha la stratificazione sul tessuto corneale. Un altro metodo è invece quello di aggiungere piccole quantità di polimeri adesivi che non aumentano la viscosità ma lasciano il farmaco adeso all'occhio per più tempo. Alcuni di questi polimeri sono i derivati della cellulosa, acido ialuronico, gomme naturali ecc. Altrimenti per aumentare la biodisponibilità si possono utilizzare sistemi gelificanti "in-situ", liquidi leggermente viscosi con notevole aumento della viscosità dopo instillazione causato da una variazione di temperatura, di pH o dalla presenza di particolari ioni. Gli inserti oftalmici sono medicazioni solide, da inserire nel sacco congiuntivale, superiore o inferiore, destinate a rilasciare lentamente il farmaco in esse contenuto. Gli inserti possono presentare importanti vantaggi rispetto alle preparazioni liquide e semisolide tradizionali, quali: lunghi tempi di permanenza oculare, ampi dosaggi, possibilità di cedere il farmaco a velocità controllata e costante, maggiore stabilità del farmaco, minore assorbimento sistemico, possibilità di direzionamento del farmaco verso strutture oculari. Nonostante questo però non sono ben accettati dai pazienti, anche se in realtà non sono fastidiosi e non si avvertono. Una classificazione generale li divide in base alle caratteristiche fisiche in solubili, che subiscono graduale dissoluzione ed erosione una volta posti nell'occhio, infatti non hanno avuto grande sviluppo commerciale, e in insolubili. Esistono diversi tipi di inserti oculari, quelli non medicati a base di derivati della cellulosa (per stimolare la lacrimazione), o a base di collagene (simili a una lente a contatto per il bendaggio oculare), oppure quelli medicati che restano nell'occhio fino a 3 giorni e rilasciano il pa. Un altro metodo per aumentare l'assorbimento del farmaco è l'utilizzo di inserti oftalmici intraoculari. L'inserto è un pellet di ganciclovir, uno dei migliori farmaci usati nella retinite da citomegalovirus. L'impianto è inserito mediante un piccolo intervento chirurgico. Il pellet è rivestito in modo da rilasciare il pa per diffusione per un periodo di 6-8 mesi. Altri possibili metodi sono l'utilizzo di sistemi particellari, che diminuiscono la velocità di eliminazione della forma farmaceutica dalla superficie oculare e dunque aumentano la quantità di farmaco assorbita. Questi sistemi comprendono liposomi, microparticelle e nanoparticelle. I liposomi sono vescicole formate da un doppio strato lipidico che racchiude una soluzione acquosa. I farmaci possono essere inclusi nella fase lipidica oppure in quella acquosa. I vantaggi sono una assoluta atossicità e perfetta tollerabilità, possibilità di controllare la velocita di rilascio del farmaco incapsulato, proteggere il farmaco dall'azione di enzimi, venire in intimo contatto con le superfici corneo-congiuntivali favorendo l'assorbimento dei farmaci. Gli svantaggi però sono la scarsa stabilità, limitata capacità di caricamento di farmaci e la difficoltà di sterilizzazione. Le micro e le nanoparticelle sono particelle solide di natura polimerica, di dimensioni colloidali, che supportano il farmaco e possono essere somministrate come dispersione acquosa, in forma di collirio. Il principio attivo è incapsulato, dissolto, adsorbito o legato covalentemente alla matrice polimerica. In particolare le microparticelle (microsfere o microcapsule) sono i sistemi con dimensione maggiore di 1μm. La somministrazione di microsfere a livello oculare richiede che le loro dimensioni non siano però più grandi di 5-10 μm. Le nanoparticelle invece sono i sistemi con dimensione inferiore a 1 μm. I saggi che la FU prevede per tutte le preparazioni oftalmiche sono: sterilità (che deve riguardare anche gli applicatori forniti separatamente); dimensione delle particelle; uniformità delle unità di dosaggio; uniformità di contenuto. ▪ parenterale: per definizione le preparazioni parenterali sono preparazioni sterili destinate alla somministrazione per iniezione, infusione o impianto nel corpo umano o animale. Questa via comprende la via intramuscolare, che consiste in iniezioni di soluzioni, sospensioni o emulsioni (Vmax 5mL, è quella che accoglie il volume di liquido più elevato in un'unica somministrazione) di quasi tutti i farmaci nella massa muscolare striata (gluteo, deltoide ecc); endovenosa, che consiste nell'iniezione diretta nel torrente sanguigno (attraverso la vena dell'avambraccio) per ottenere una risposta immediata o nel caso di farmaci irritanti per i tessuti. Prevede volumi inferiori rispetto alla precedente, ma ha il vantaggio di poter fare somministrazioni molto lente (in infusione lenta) e quindi inserire in totale grandi volumi, oppure (in bolo) di inserire piccole quantità a distanza di poco tempo; sottocutanea, che consiste in iniezioni nel tessuto adiposo sottostante il derma (Vmax 2mL). Data la bassa irrorazione sanguigna l'assorbimento risulta più lento e la risposta compare più tardi; intracardiaca, che riguarda le urgenze assolute (adrenalina); intrarticolare, per antiinfiammatori nell'artrite; intradermica, per esami allergometrici; intrarteriosa, per mezzi di contrasto a scopo diagnostico; intratecale, per anestesia spinale o farmaci che non superano la barriera ematoencefalica; intraoculare, per i farmaci che agiscono sul segmento posteriore dell'occhio. Si possono distinguere varie categorie di preparazioni parenterali: preparazioni iniettabili, infusioni, concentrati per preparazioni iniettabili o infusioni, polveri per preparazioni iniettabili o infusioni, gel per preparazioni iniettabili e impianti. I vantaggi di questa via di somministrazione sono l'elevatissima biodisponibilità, rapidità della risposta, risposta riproducibile e controllabile ed evita il metabolismo di primo passaggio. Gli svantaggi comprendono innanzitutto alti costi di produzione, reazioni avverse improvvise e che compaiono solo in alcuni pazienti, quindi potenzialmente gravi e bassa compliance. Per quanto riguarda queste formulazioni i fattori di cui tenere conto sono molteplici: la sterilizzazione (prima o dopo il confezionamento), il veicolo del pa, sostanze coadiuvanti, confezionamento e locali per la produzione. Veicoli: acqua PPI, ottenuta per bidistillazione di acqua potabile o depurata; è sterile ed apirogena. Viene mantenuta per massimo 3 giorni in contenitori in acciaio inox a T>70°C e saggiata con raggi UV. L'acqua PPI in grande volume viene conservata e distribuita in condizioni designate a prevenire la crescita di microorganismi e ad evitare ogni altra contaminazione; acqua PPI sterile, acqua PPI apirogena e sterile già confezionata e venduta in farmacia per tutti gli usi che richiedono acqua sterile; oli PPI, oli vegetali, facilmente metabolizzabili e resistenti all'irrancidimento (olio di mais, girasole, cotone, sesamo). Prima di usare gli oli si possono usare altri veicoli miscibili con acqua, ovvero dei cosolventi come PEG, glicerolo, etanolo che però non si usano mai da soli. Sostanze coadiuvanti, alcune non sono essenziali, come gli anestetici locali, altri invece, come tamponi e isotonizzanti, sono fondamentali. Poi antiossidanti, chelanti e sinergici antiossidanti aumentano la stabilità (usati solo se il prodotto può andare incontro a ossidazione). Se ho una sospensione avrò bisogno di sospendenti come stabilizzanti. Supporto per polveri liofilizzate se il prodotto è un liofilizzato (per es per dare corpo ecc). Conservante da usare con molto controllo perché per uso sistemico può risultare tossico; si usano in caso di preparazioni multidose e preparazioni acquose preparate in ambiente asettico che non possono essere sterilizzate nel contenitore finale. Il confezionamento ha diversi scopi: protezione (contenitore primario, generalmente in vetro), presentazione (contenitore di solito in cartone) e identificazione. Secondo la FU XII il contenitore per uso farmaceutico è un oggetto che contiene o che è destinato a contenre un prodotto con il quale è, o può essere, in contatto diretto. La chiusura fa parte del contenitore. Questo contenitore deve essere caratterizzato da: trasparenza (essenziale nel caso di forme parenterali, per altre forme solide come cps o cpr non lo è), inerzia chimica, impermeabilità, resistenza. Il materiale utilizzato può essere vetro oppure plastica, entrambi comportano dei vantaggi: i contenitori in vetro garantiscono un'alta protezione, sono economici, impermeabili, rigidi, non deteriorano nel tempo e sono chimicamente inerti, però sono anche fragili e piuttosto pesanti; quelli in plastica sono invece leggeri, resistenti e adattabili, allo stesso tempo però possono risultare permeabili, rilasciare costituenti e deformarsi. I contenitori inoltre esistono di varie forme e volumi: flaconcini e flaconi, fiale, siringhe, sacche, flaconi in PVC. Esistono diversi tipi di interazione possibili fra il recipiente e il suo contenuto, tutti fenomeni che i contenitori per uso farmaceutico non devono provocare: • adsorbimento: fenomeno di concentrazione del pa o degli attivi alla superficie interna; • assorbimento: può seguire all'adsorbimento, è il passaggio del pa nella massa del materiale; • permeabilità: passaggio dall'altro lato della barriera(esterno)(di solito avviene all'H2O o O2) • cessioni: migrazione di un costituente del recipiente nel preparato Il vetro utilizzato può essere incolore oppure colorato per aggiunta di piccole quantità di ossidi metallici per proteggere il contenuto dai raggi luminosi. Per quanto riguarda la tecnologia farmaceutica il vetro si divide in 4 tipologie, in base alla sua resistenza idrolitica: vetro neutro/borosilicato (resistenza idrolitica: alta, usi: tutti); vetro sodico-calcico trattato (resistenza idrolitica: alta, usi: soluzioni acide o neutre, non riutilizzabile); vetro sodico-calcico tipo III (resistenza idrolitica: moderata, usi: liquidi non acquosi, polveri); vetro sodico calcico tipo IV (resistenza idrolitica: bassa, usi: solidi, alcuni liquidi non parenterali). I materiali plastici non sono ancora molto utilizzati per l'uso parenterale, anche se ultimamente si sta diffondendo l'utilizzo. Si usano polietilene e polipropilene (più rigido e resistente) per preparazioni oftalmiche e parenterali. Il PVC (polivinilcloruro plastificato) invece si usa per soluzioni acquose per infusione endovenosa. Non è indicato in presenza di lipidi poiché questi sono in grado di estrarre i plastificati. L'EVA (etilvinilacetato) è indicato per miscele nutritive parenterali ma anche per uso oftalmico. In base alla FU le preparazioni iniettabili devono soddisfare determinati saggi: • contaminazione particellare: la presenza di particelle nelle preparazioni iniettabili è molto critica, infatti viene sempre controllata in doppio con il metodo della sperlatura: per le particelle visibili si osserva la preparazione a occhio nudo, e in più si fa un secondo controllo, con appositi strumenti, per le particelle non visibili (con microscopio o con raggi di luce: se c'è una particella questa devia la luce e l'apparecchio lo segnala); • volume estraibile: il volume di riempimento del contenitore deve essere leggermente superiore a quello dichiarato in etichetta per consentire l'estrazione e la somministrazione dell'intero volume, al contempo l'eccesso non deve essere tale da rappresentare un rischio qualora tutto il contenuto fosse somministrato; • siringabilità, iniettabilità; • sterilità, presenza di pirogeni (sostanze o prodotti che iniettati provocano innalzamento della T, talvolta anche mortale), ricerca delle endotossine batteriche (anch'esse danno reazioni avverse→queste ultime due in qualche modo appartengono alla sterilità. La sterilizzazione ha lo scopo di eliminare tutti i microorganismi presenti su un oggetto o in una preparazione farmaceutica (non solo i patogeni). Difficilmente ad occuparsi della sterilizzazione è l'azienda farmaceutica produttrice, di solito se ne occupa un'azienda terza perché le operazioni richiedono macchinari costosi e poco reperibili. Quello di sterilità è un concetto assoluto, perché non esiste un prodotto più o meno sterile: se c'è anche un solo microorganismo non è sterile. Esistono strumenti per la sterilizzazione più o meno efficienti in termini di tempo richiesto, ma non in termini di qualità. Il raggiungimento ed il mantenimento dello stato sterile, così come tutti gli altri aspetti che riguardano la qualità e la sicurezza sono di responsabilità del produttore, indipendentemente dal fatto che le operazioni di sterilizzazione vengano effettuate all'interno o all'esterno dell'azienda. Il saggio di sterilità ovviamente non può essere eseguito su ogni fiala (si fa solo quello visivo su ognuna), perché aprendola automaticamente si rompe il suo stato di sterilità, quindi si effettuano controlli a campione e lo scopo del processo è quello di raggiungere una probabilità inferiore a 1 su