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Gabriele D'Annunzio: Una Figura Chiave del Decadentismo Italiano, Appunti di Italiano

Gabriele D'Annunzio, nato a Pescara il 12 marzo 1863, è una figura di grande spicco nella cultura italiana tra Ottocento e Novecento. Influenzato dalla vita eccezionale e piena di avventure, D'Annunzio pubblica il suo primo romanzo, 'Il Piacere', nel 1889, e inizia una relazione con Eleonora Duse nel 1894. Nel 1897, viene eletto deputato di destra e si dedica al teatro. Nel 1905, abbandona Alessandra di Rudinì e, a causa di immense difficoltà economiche, si reca in Francia. Il suo soggiorno termina all'inizio della prima guerra mondiale, durante la quale D'Annunzio esprime i suoi ideali superomistici e estetizzanti. Nel 1938, si oppone all'avvicinamento dell'Italia fascista al regime nazista. D'Annunzio scrisse sette romanzi, tra cui 'Il Piacere' e 'Alcyone', e fu per 40 anni il dominatore del gusto poetico italiano.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 23/12/2022

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Scarica Gabriele D'Annunzio: Una Figura Chiave del Decadentismo Italiano e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! 1 GABRIELE D’ANNUNZIO Francavilla a Mare (Pescara) il 12 marzo 1863 Gardone Riviera, 1º marzo 1938 Gabriele D’Annunzio è stato un personaggio complesso: eroe, pilota, oratore, drammaturgo e poeta dalla sensibilità decadente, fece di sé stesso un’icona da imitare negli atteggiamenti e nel vestiario. Esponente, con Pascoli, del Decadentismo Italiano è una figura di grande spicco nell’Italia fra Otto e Novecento (attraversa oltre un cinquantennio di cultura italiana, influenzandola profondamente), dalla vita eccezionale e piena. Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863. Appartiene ad una famiglia borghese e agiata. A 11 anni andò al Collegio Cicognini a studiare, da 1874 al 1881: Gabriele D’Annunzio è uno studente brillante e diligente. Nel 1879 scrive una lettera al Carducci, nella quale chiede di poter inviare al «gran vate» della poesia italiana, alcuni suoi versi; nello stesso anno scrisse il suo primo libro di poesie, Primo Vere, pubblicato a spese del padre. D’Annunzio voleva distinguersi dalla massa e per farlo ricorre ad eventi eclatanti. Poco prima che uscisse una seconda edizione ampliata, un editore di Firenze ricevette una cartolina anonima da Pescara che diceva che l'autore era morto per una caduta da cavallo. L'esperimento riuscì. Da quel momento per lui fu un crescendo di notorietà. Nel 1881 Gabriele D’Annunzio consegue la licenza liceale classica. Si ferma a Firenze, da Giselda Zucconi, detta “Lalla”, il suo primo vero amore; la passione per «Lalla» ispirò i componimenti di «Canto Novo». Si trasferisce a Roma dove si iscrive alla facoltà di lettere ed inizia a collaborare con vari periodici e a frequentare gli ambienti giornalistici romani. D’Annunzio non prenderà mai la laurea distratto dalla vita mondana della capitale a cui partecipa intensamente frequentando l’alta società. L’attività di poeta e prosatore lo porta ad un immediato successo letterario ed a crearsi quel prestigio artistico grazie al quale viene ammesso nel giro esclusivo delle case aristocratiche. Nel 1883 Gabriele D’Annunzio sposa un’aristocratica, la duchessa Maria Altemps Hardouin di Gallese, con la quale avrà tre figli. Dopo qualche anno conobbe Elvira Fraternali Leoni, l’amore della sua vita che chiamerà Barbara Leoni: bella e provocante, sarà la sua musa, e lui trasfigurerà la loro storia d’amore e di passione nelle pagine del Trionfo della morte (1894). Nel 1889 pubblica il suo primo romanzo, IL PIACERE, basato su situazioni frivole che si svolgono in ambienti mondani ed eleganti e che ruota attorno al principio della vita come opera d’arte. Si separa dalla prima moglie l’anno seguente e a causa di difficoltà economica si trasferisce a Napoli. Nel 1891 si lega sentimentalmente alla contessa Maria Gravina Anguissola Cruyllas di Ramacca, che gli dà altri due figli, tra cui Renata, la sua prediletta soprannomina "la Sirenetta". Nel 1894 incontra Eleonora Duse, famosa attrice di teatro Eleonora Duse, con il quale D’Annunzio inizia una storia d’amore (1894/1903). Nel 1897 fu eletto deputato di destra, e tre anni dopo con la Duse si trasferì in un villino nella Maremma, La Capponcina dove si dedica al teatro. Venuto meno il sentimento tra la Duse e D'Annunzio e incrinatosi definitivamente il loro rapporto, il poeta ospita alla Capponcina, una residenza estiva, Alessandra di Rudinì, vedova Carlotti, con la quale instaura un tenore di vita oltremodo lussuoso e mondano, trascurando l'impegno letterario. La Di Rudinì, lungi dall'essere la nuova musa ispiratrice favorisce lo snobismo del poeta, spronandolo ad un oneroso indebitamento, che decreta in seguito l'imponente crisi finanziaria. Nel maggio del 1905 Alessandra si ammala, travolta dal vizio della morfina: D'Annunzio la assiste ma, dopo la sua guarigione, la abbandona. Segue poi un rapporto tormentato e drammatico con la contessa Giuseppina Mancini. Le immense difficoltà economiche costringono D'Annunzio ad abbandonare l'Italia e a recarsi nel marzo 1910 in Francia. Rimase in Francia fino allo scoppio delle prima guerra mondiale. trascorre anche qui cinque anni immerso negli ambienti mondani intellettuali. Il canale che permette a D'Annunzio di conservare la presenza artistica in Italia è "Il Corriere della sera" di Luigi Albertini 2 Il soggiorno francese termina all'inizio della guerra, considerata da D'Annunzio l'occasione atta ad esprimere con l'azione gli ideali superomistici ed estetizzanti, affidati, sino ad allora, alla produzione letteraria. Inviato dal governo italiano a inaugurare il monumento dei Mille a Quarto, D'Annunzio, il 14 maggio 1915 rientra in Italia presentandosi con una orazione interventista e antigovernativa. Dopo aver sostenuto a gran voce l'entrata in guerra contro l'impero Austro-ungarico, non esita ad indossare i panni del soldato l'indomani della dichiarazione. Si arruola come tenente dei Lancieri di Novara e partecipa a numerose imprese militari. Nel 1916 un incidente aereo gli causa la perdita dell'occhio destro; assistito dalla figlia Renata, nella «casetta rossa» di Venezia. Tornato all'azione e desiderando gesti eroici si distingue nel 1918 dalla Beffa di Buccari, dove ci fu un’incursione con motosiluranti del golfo del Carnaro dove c’ero i nemici, e nel volo su Vienna con il lancio di manifestini tricolori. Insignito al valor militare, il "soldato" D'Annunzio considera l'esito della guerra una vittoria mutilata. Caldeggiando l'annessione dell'Istria e della Dalmazia e considerando la staticità del governo italiano, decide di passare all'azione: guida la marcia su Fiume e la occupa il 12 settembre 1919. Guidò un esercito di irregolari e ammutinati nella città di Fiume (ora Rijeka, in Croazia), contesa da Italia e Regno di Jugoslavia, e si costituì dittatore. Per 15 mesi regnò come Duce, finché la marina italiana non intervenne a cannonate per mettere fine all'impresa, su ordine dell'allora governo Giolitti. La occupa fino al 1920, quando il governo non costrinse D’Annunzio a ritirarsi per non violare i trattati internazionali. Con questa impresa diede voce al malcontento popolare (volevano che Fiume fosse un paese italiano), dove accusavano la classe dirigente a non aver sfruttato il successo militare. I rapporti di D'Annunzio con il fascismo non sono ben definiti: se in un primo tempo la sua posizione è contraria all'ideologia di Mussolini, in seguito la adesione scaturisce da motivi di convenienza, consoni allo stato di spossatezza fisica e psicologica, nonché a un modus vivendi elitario ed estetizzante. Non rifiuta, quindi, gli onori e gli omaggi del regime: nel 1924, dopo l'annessione di Fiume il re, consigliato da Mussolini, lo nomina principe di Montenevoso. Il fascismo lo elogia a parole ma nei fatti lo confina nella Villa di Gardone, che trasforma in un museo delle sue gesta e della sua attività, il Vittoriale. Trascorre gli ultimi anni ossessionato dal vedersi invecchiato. Vivrà in semi-reclusione fino alla morte, il 1° marzo 1938, tra cocaina, belle donne e umore sempre più nero. Il suo pensionamento fu in gran parte finanziato dal governo fascista, che era desideroso di tenerlo alla larga. Fu un grande Modernista. Si fece installare il telefono tra i primi in Italia e guidò le automobili, poi divenne un pilota d’aereo. Lavorò per il cinema e per la pubblicità. Il suo rapporto con Mussolini infatti fu sempre ambiguo: il Duce da un lato voleva promuoverlo a Padre nobile del fascismo, dall'altro sapeva che il Vate era uno spirito critico, lucido e indipendente. Così lo ricoprì di onori - lo finanziò con un assegno statale regolare che gli permise di far fronte ai numerosi debiti - ma lo rese politicamente ininfluente. Nel 1938 D'Annunzio si oppose all'avvicinamento dell'Italia fascista al regime nazista di Adolf Hitler, che definiva "pagliaccio feroce". Ma ormai, anche grazie a lui, il Fascismo era salito al potere, e nessuno aveva più il diritto di dissentire. Muore il 1° marzo 1938 per emorragia cerebrale. 5 La centralità della sensazione era il suo criterio-guida, paganeggiante, per conoscere la realtà. SUPEROMISMO: deriva dal termine “superuomo”, introdotto da Nietzsche in filosofia. Il superuomo di D’Annunzio è una figura per la quale non valgono i valori della gente comune, è un personaggio legato all’idea dell’eroe tradizionale, al di sopra della morale comune e delle regole imposte dal mondo. D’Annunzio viene considerato uno dei massimi esponenti dell’estetismo: è convinto, infatti, che i sensi siano l’unico mezzo per accostarsi alla realtà, ma anche che solo l’arte può dare forma a un mondo di raffinata bellezza, lontano dalla vita banale di tutti i giorni, un mondo ideale contrapposto alla volgarità della vita materiale. Lui stesso si definiva “L’immaginifico”, cioè creatore di immagini suggestive, come un mago, che colpivano i sensi del pubblico. Voleva che la sua vita fosse un’opera d’arte, per lui il vivere doveva essere Inimitabile. Tuttavia, il mito dell'esteta, ha anche le sue sfaccettature, ovvero i suoi ''limiti''; egli per la sua aspirazione veniva distinto per la sua meschinità e veniva considerato un perdente, tanto che lo portava a un isolamento. Nei romanzi dannunziano si sente il sapore della sconfitta e il contrasto con la dichiarata volontà di potenza del superuomo. Ma anche si vede un superuomo fragile, che è vittima delle sue aspirazioni irrealizzabili, ostacolato dalla presenza del nemico e condannato alla sconfitta che si conclude spesso tragicamente. A segnare una svolta nella sua vita fu anche la tematica del ''superuomo'', un individuo capace di esprimere una nuova libertà creativa, ovvero un uomo con tutti i valori considerati fondamentali dalla società. Sposandosi con l'ideologia nazionalistica, il superuomo legittimava il ricorso a una politica aggressiva. Legato a questa ideologia si affianca il ''panismo'', termine che deriva dal dio greco Pan, è uno stato di esaltazione, eccitazione ed ebbrezza dei sensi che portano l'uomo a fondersi con la natura, dimenticando quasi la distinzione tra il poeta-scrittore e il mondo naturale. Il panismo è una percezione molto profonda del mondo e della natura che crea quasi una fusione tra gli elementi naturali e l’essere umano. Questa corrente esalta la bellezza e la gioia di vivere, poiché fa riferimento a tutte le meraviglie naturali che permettono agli scrittori e ai poeti di esprimere i loro sentimenti e i loro stati d’animo, osservando la loro bellezza. Poiché l’Io può confondersi ed essere parte della natura, vivendo una compenetrazione gioiosa e un senso di comunione con tutto ciò che lo circonda, ogni persona riesce a vivere secondo il ritmo naturale della vita e potenzia se stesso. Il Superomismo dannunziano si manifesta nell’estremo individualismo dei protagonisti. E le tematiche del disfacimento, della corruzione, la lussuria e la morte. Durante la prima guerra era impegnato in una propaganda interventista, facendo molti discorsi alla folla per spingere l’Italia ad entrare in guerra. Questo lo fece diventare il poeta “Vate”, perché è stato in grado di guidare il pensiero della folla. IL PIACERE Il Piacere è il primo romanzo di D’annunzio, viene scritto tra il luglio e il dicembre del 1888 e pubblicato nel 1889. Con questo romanzo la cultura decadente, iniziata nella narrativa con l’opera di Huysmans “A rebours” (1884), si afferma per la prima volta in Italia. Il Piacere ottiene un grande successo e allo stesso tempo solleva scandalo e polemiche per l’immoralismo del protagonista. Questo romanzo ed i seguenti: L’Innocente e Il trionfo della morte, verranno uniti da D’Annunzio in un ciclo dal nome “I romanzi della Rosa”, dove la rosa è simbolo della lussuria. È suddivisa in quattro parti, ciascuna strutturata in capitoli. Queste quattro sezioni sono collocate cronologicamente, in quattro momenti precisi della vita del protagonista: Andrea Sperelli. La scelta del titolo è il fondamento della vita del protagonista, fatta di piacere sensuale e di lussuria, di avventure amorose, di opere d’arte, della bellezza a tutti i costi. DESCRIZIONE DEL PERSONAGGIO DI ANDREA SPERELLI Andrea Sperelli incarna la figura dell’eroe decadente. È un esteta, dotato di grande sensibilità e ciò lo rende incline alla bellezza ed al piacere, ai piaceri. D’Annunzio ne descrive le ambizioni, le idee, i gusti artistici e le contraddizioni. È un personaggio che disprezza la mediocrità, lo spirito antidemocratico, la carenza di umanità, inoltre si distingue per la sapiente ricerca del piacere. 6 L’esistenza di Andrea Sperelli, così come lo ha educato il padre, è concepita come un’opera d’arte. Lui vive in un edificio del Cinquecento, palazzo Zuccari, a Trinità dei Monti a Roma. E’ totalmente arredato e pieno di opere d’arte e oggetti molto raffinati. Insomma conduce una vita piena di fascino, uno stile di vita aristocratico ed elegante. L’autore di lui descrive anche le debolezze morali. Andrea è un uomo privo di genuinità e di spontaneità, è incoerente e si arrende agli istinti. Andrea incentra la sua vita sull’artificio e la finzione, di conseguenza questo lo porta a costruire un rapporto ambiguo e distaccato da tutto ciò che lo circonda. E’ un uomo dalla volontà molto debole, che non ha uno slancio morale, il suo agire è puramente cerebrale. È incapace di provare dei veri sentimenti. Ciò lo conduce alla solitudine e all’isolamento e ne esce anche sconfitto nel rapporto con le donne. Questo aspetto è ben delineato alla fine del romanzo. I PERSONAGGI FEMMINILI Tra le donne protagoniste c’è Elena Muti, duchessa di Scerni: lei è la donna fatale, sensuale e aggressiva, che incarna l’erotismo lussurioso. La donna è il grande amore di Andrea, o meglio: il grande piacere. Infatti tra i due il sentimento vero è assente: è conquista e corteggiamento, è sensualità. Poi c’è la donna pura, dolce, piena di curiosità intellettuali: Maria Ferres. Ella rappresenta una femminilità opposta a quella di Elena. Maria è per Sperelli un’alternativa, un’opportunità di riabilitazione. Però diventa solo una parte di un gioco erotico in sostituzione di Elena, che Andrea desidera ancora ma che lo respinge. La scelta dei nomi femminili è simbolica: Elena evoca infatti Elena di Troia, che portò a causa della sua bellezza a sciagure terribili. Mentre Maria (donna angelo) evoca la madre di Gesù e la purezza della Vergine. IL RIASSUNTO DEI QUATTRO LIBRI LIBRO I c’è la descrizione dell’ambiente sofisticato in cui vive Andrea. Lui vive a Roma. È un uomo dai gusti raffinati, predilige studi insoliti, ma è anche un uomo senza alcun freno morale. Dopo la relazione con Elena, abbandonato dalla donna che si è stancata di lui ed è andata via da Roma, lui cerca senza successo di sostituire la passione per Elena con numerose avventure, passando da una donna all’altra. Questo accade sino a quando l’amante geloso di una donna che corteggia, Ippolita Albònico, lo sfida a duello. Il protagonista del romanzo riesce a colpire l’avversario, ma a sua volta resta ferito. Così decide di abbandonare Roma e di trascorrere la convalescenza in campagna da sua cugina marchesa d’Ateleta: è qui che spera di ritrovare la pace e la purezza morale che è andata perduta. LIBRO II Nel secondo libro Andrea, mentre si trova nella villa della cugina, incontra e conosce Maria Ferres. La donna è la moglie di un ministro guatemalteco. Lei è un ritratto di dolcezza e purezza aristocratica. Tra i due nasce un amore, inizialmente platonico. Il tema di tutta la seconda parte del romanzo è incentrato sull’amore per Maria. Andrea sfida se stesso, vuole la donna anche carnalmente e riesce infine a sedurla, cede alla passione la donna dall’alta moralità. Lei stessa lo scrive sul suo diario. LIBRO III Nel terzo libro si passa al ritorno a Roma. È finita per Andrea la convalescenza in autunno, quindi rientra a Roma convinto di essere cambiato. Nel frattempo anche Elena è tornata in città. I due si incontrano al teatro, ma lei si è sposata. Così Sperelli, ricevuto l’invito ad andarli a trovare a casa il giorno successivo, entra in crisi. Si insinua in lui il ricordo della passione vissuta con la donna. Nei confronti di Elena, Andrea prova un amore morboso e rivive con la nuova amante Maria l’amore per la prima, in un gioco di trasposizioni di persona: mentre ha una relazione con Maria – la donna angelo, continua a desiderare Elena – la donna lussuriosa. Un giorno commette l’errore, accecato dalla gelosia per aver scoperto che Elena ha un nuovo amante, di salutare Maria pronunciando erroneamente il nome di Elena. La donna scoperto l’inganno di quel legame, lo respinge e fugge via. Andrea tenta, ma senza troppa convinzione, di fermarla, quindi rimane da solo ed in preda alla disperazione. LIBRO IV 7 Infine, il quarto libro, racconta della sconfitta dell’esteta. L’azione si conclude nella casa di Maria, che è stata abbandonata dal marito, fuggito via e che l’ha lasciata piena di debiti a causa del vizio del gioco. Andrea gironzola dentro il palazzo di Maria, dove si sta svolgendo un’asta per ripagare i creditori. La scena è incentrata sul confronto tra la bellezza e il pregio del palazzo e la volgarità degli acquirenti, che sono rozzi furfanti e che hanno invaso quel luogo in cerca dell’affare. Sul finire del racconto si assiste al fallimento dello stile di vita del protagonista. Infatti nelle ultime righe si legge di Andrea costretto a salire le scale lentamente, proprio come se stesse recandosi ad un funerale, dietro ad un armadio trasportato dai facchini che era appartenuto alla donna angelo. ANALISI L’elemento di grande importanza di questo romanzo è dato dal fatto che con esso viene introdotto in Italia la figura dell’eroe decadente già presente nella letteratura straniera. Nel Piacere si trovano ancora tracce della tradizione naturalistica del romanzo d’ambiente che si mescola con la nuova tendenza decadente della narrativa lirico-evocativa. Narratore esterno onnisciente, l’utilizzo del discorso indiretto libero, l’analisi psicologica dei personaggi, ricorso al flash-back ed anche il registrare in presa diretta il punto di vista del protagonista o di altri personaggi (una parte della narrazione è per esempio affidata al diario di Maria). Fa spesso ricorso alla paratassi (le proposizioni possono essere tutte principali accostate tra loro per coordinazione) ed i singoli episodi e i diversi particolari della rappresentazione sono come giustapposti. Il racconto non segue il corso cronologico degli accadimenti ma avanza per blocchi discontinui, infatti spesso ci sono flash-back (scarto temporale) legati ai ricordi di Andrea ed avvenimenti passati, che mescolano passato e presente. Utilizza uno stile molto ricercato e dotto, la prosa è levigata e preziosa, l’italiano utilizzato è ricco e raffinato, lo scrittore sceglie infatti con grande accuratezza parole rare e preziose, nomi esotici o sonori, latinismi, arcaismi, termini liturgici e aulici, intenzionalmente non alla portata di tutti in cui le parole sono ordinate secondo un preciso schema metrico. Il linguaggio mostra di frequente procedimenti tipici della poesia, come il troncamento, l’uso sistematico di simmetrie sintattiche (amato e goduto e sofferto), il ricorso a figure retoriche come antitesi, analogie, allitterazioni, similitudini, metafore ed assonanze. Grande spazio viene riservato a lunghissime descrizioni e divagazioni erudite. Nonostante la componente autobiografica il romanzo è scritto in terza persona. Il Piacere affascina più per le atmosfere che per la vera e propria storia, un po’ come il ritratto di Dorian Grey. L’autore vi esalta la sua esperienza di vita salottiera, mondana, preziosa. I TEMI E L’AMBIENTAZIONE DEL ROMANZO “IL PIACERE” Il periodo storico scelto è quello della fine dell’Ottocento. La storia inizia nel 1887, due anni dopo la separazione da Elena, avvenuta il 25 marzo 1885. Il romanzo Il Piacere di D’annunzio è ambientato a Roma: lo sfondo è quello aristocratico della Roma tardo-rinascimentale e barocca. Le tematiche che emergono dal romanzo Il Piacere sono: • la critica alla società alto borghese di fine ottocento, completamente vuota di contenuti e sentimenti. • La decadenza di questo tipo di società che ha mercificato tutto finalizzando ogni fervore al profitto e trascurando il senso del bello; • affermazione della figura dell’esteta intellettuale inquieto, che vive in un mondo tutto suo, dominato dal culto della bellezza. • La riflessione sui diversi tipi di amore: da quello finalizzato al puro piacere, il cui raggiungimento diventa una vera e propria ossessione, all’amore puro e spirituale. I vari temi vengono introdotti direttamente dal personaggio di Andrea Sperelli attraversi i suoi pensieri e le sue passioni. L’intreccio ha un’importanza secondaria e rimane in secondo piano rispetto alle riflessioni di tipo esistenziale e di natura estetica, artistica e letteraria. 10 TESTO PARAFRASI Taci. Su le soglie del bosco non odo parole che dici umane; ma odo parole più nuove 5 che parlano gocciole e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici 10 salmastre ed arse, piove su i pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, 15 su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti, piove su i nostri vólti 20 silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri, 25 su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri 30 t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione. Odi? La pioggia cade su la solitaria verdura 35 con un crepitìo che dura e varia nell’aria secondo le fronde più rade, men rade. Ascolta. Risponde 40 al pianto il canto delle cicale che il pianto australe non impaura, né il ciel cinerino. 45 E il pino ha un suono, e il mirto altro suono, e il ginepro altro ancóra, stromenti diversi 50 sotto innumerevoli dita. E immersi noi siam nello spirto silvestre, d’arborea vita viventi; 55 e il tuo vólto ebro è molle di pioggia come una foglia, e le tue chiome auliscono come 60 le chiare ginestre, o creatura terrestre che hai nome Taci. Al limitare del bosco non ascolto le parole umane che dici; ma ascolto parole pià nuove pronunciate da gocce e foglie lontane. Ascolta. Piove dalle nuvole rade. Piove sulle tamerici coperte di salsedine e bruciate dal sole, piove sui pini squamosi e pungenti, piove sui mirti sacri alla divinità [Venere], sulle ginestre splendenti di fiori raccolti, sui ginepri ricchi di bacche profumate, piove sui nostri volti diventati della stessa sostanza del bosco, piove sulle nostre mani nude, piove sui nostri vestiti leggeri, piove sui pensieri puri che l’anima rinnovata fa sbocciare, sulla favola bella [l’amore] che ieri, o Ermione, ti ha illuso, e che oggi illude me. Senti? La pioggia cade sulla vegetazione deserta con un rumore che è costante e che varia di intensità a seconda che il fogliame su cui cade sia più o meno folto. Ascolta. Il pianto delle cicale che né il vento del sud né il cielo grigio spaventano, risponde al rumore lamentoso della pioggia. E il pino ha un suono, e il mirto un altro suono, e il ginepro un altro ancora, come se fossero strumenti musicali suonati da innumerevoli dita. E noi siamo immersi nella natura profonda del bosco, vivendo una vita simile a quella degli alberi; e il tuo volto estasiato è umido di pioggia come una foglia, e i tuoi capelli profumano come le ginestre splendenti, o creatura terrestre che hai nome Ermione. Ascolta, ascolta. Il canto concorde 11 Ermione. Ascolta, ascolta. L’accordo 65 delle aeree cicale a poco a poco più sordo si fa sotto il pianto che cresce; 70 ma un canto vi si mesce più roco che di laggiù sale, dall’umida ombra remota. Più sordo e più fioco 75 s’allenta, si spegne. Sola una nota ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne. Non s’ode voce del mare. 80 Or s’ode su tutta la fronda crosciare l’argentea pioggia che monda, il croscio che varia 85 secondo la fronda più folta, men folta. Ascolta. La figlia dell’aria è muta; ma la figlia 90 del limo lontana, la rana, canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove! E piove su le tue ciglia, 95 Ermione. Piove su le tue ciglia nere sì che par tu pianga ma di piacere; non bianca ma quasi fatta virente, 100 par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca aulente, il cuor nel petto è come pèsca intatta, 105 tra le pàlpebre gli occhi son come polle tra l’erbe, i denti negli alvèoli son come mandorle acerbe. E andiam di fratta in fratta, 110 or congiunti or disciolti (e il verde vigor rude ci allaccia i mallèoli c’intrica i ginocchi) chi sa dove, chi sa dove! 115 E piove su i nostri vólti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti 120 leggieri, su i freschi pensieri che l’anima schiude novella, su la favola bella 125 che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione. delle cicale nell’aria si fa a poco a poco più smorzato sotto la pioggia che aumenta; ma ad esso si mescola un canto più roco che proviene da un luogo impreciso, dall’oscurità umida e lontana. Il canto si fa più debole e flebile, diminuisce, si spegne. Solo una nota ancora si sente, si spegne, ricomincia, vibra, si spegne. Non si sente il rumore del mare. Ora si sente su tutto il fogliame scrosciare la pioggia lucente come l’argento che purifica, lo scrocio che varia la sua intensità a seconda che il fogliame su cui cade sia più o meno folto. Ascolta. La figlia dell’aria [la cicala] è in silenzio; ma la figlia del fango che è lontana, la rana, canta nell’oscurità più fitta, chissà dove, chissà dove! E piove sulle tue ciglia, Ermione. Piove sulle tue ciglia nere tanto che sembra tu pianga ma di piacere; non hai più la tua carnagione bianca, ma sei quasi diventata verde, sembra che tu esca da una corteccia. E tutta la nostra vita è pura e profumata, il cuore nel petto è come una una pesca non colta, gli occhi tra le palpebre sono come pozze d’acqua tra l’erba, i denti tra le gengive sono bianchi come mandorle acerbe. E andiamo di cespuglio in cespuglio, ora uniti ora separati (e la forza selvaggia degli arbusti ci avvinghia le caviglie, ci impiglia le ginocchia) chissà dove, chissà dove! E piove sui nostri volti diventati della stessa sostanza del bosco, piove sulle nostre mani nude, piove sui nostri vestiti leggeri, piove sui pensieri puri che l’anima rinnovata fa sbocciare, sulla favola bella [l’amore] che ieri, o Ermione, mi ha illuso, e che oggi illude te. 12 RITRATTO D'ESTETA (LIBRO I, CAPITOLO II) D'Annunzio ci presenta in questo secondo capitolo, il ritratto del suo protagonista: un vero esteta, come si coglie dall'educazione ricevuta, dal suo gusto, dal mondo in cui vive. Rimasto orfano da poco, ricchissimo a soli ventuno anni, Andrea Sperelli ha posto dal 1884 la sua residenza a Roma, la città che merita la sua speciale predilezione. Vive in uno splendido palazzo e coltiva i suoi gusti signorili ed esclusivi, tra cui l'amore passionale. L'esordio del romanzo ci mostrava in azione il personaggio, nell'ultimo giorno del 1886, mentre attendeva, in casa sua, l'arrivo dell'ex amante Elena; ora l'autore presenta la storia precedente del personaggio, come un flashback dell'autore stesso. Il passo delinea il ritratto dell'esteta: rievoca la sua formazione intellettuale, letteraria e artistica, e contemporaneamente mette a fuoco le sue aspirazioni superiori, che lo distinguono dagli altri uomini. Due caratteri fondamentali contraddistinguono il giovane personaggio: -Da una parte, la forte sensibilità estetica: Andrea è tutto impregnato di arte; possiede il gusto delle cose d'arte, il culto passionato della bellezza; -Dall'altra, la sua scelta di vivere secondo gli istinti: dotato di grande forza sensitiva, egli fu fin dal principio... prodigo di sé, disposto, com'era il padre, alla vita voluttuaria, all'avidità del piacere. Il narratore precisa che Andrea non è nato così, cioè esteta e sensitivo: è invece, il prodotto di un apposito programma educativo, di un'educazione estetica. Fu infatti suo padre, un gentiluomo aristocratico cresciuto in mezzo agli estremi splendori della corte borbonica, a insegnare al figlio il gusto delle cose d'arte, il culto passionato della bellezza. Lo scopo è quello proprio della classe nobiliare: distinguersi dalla rozzezza del popolo, incapace di bellezza. Sempre il padre ha educato Andrea al sofisma, ovvero a non accettare nessuna verità come assoluta, a voler criticare sofisti. Tale distacco dalla morale corrente è, assieme all'accesa sensibilità estetica, l'altro principio basilare dell'estetismo. Una simile educazione, secondo il giudizio del narratore, ha prodotto danni gravi nel carattere del giovane Andrea. Lo scrittore definisce infatti incauto educatore quel padre che ha finito per deprimere, nel figlio, la forza morale, fino al punto da creare in lui una potenza volitiva...debolissima. In realtà, però, D'Annunzio aderisce al modello di uomo delineato in Andrea Sperelli. L'autore si compiace del fatto che l'espandersi della forza sensitiva (cioè istinti, capacità percettive, sensazioni) finisca per annullare, in Andrea, la forza morale. Tutto il brano, e tutto il romanzo, non fanno che amplificare le sensazioni, le impressioni, i gusti di chi nella vita tiene fede solo al principio del culto della bellezza. In questo brano il narratore interrompe la narrazione d'intreccio per costruire, a beneficio dei lettori, un vero e proprio ritratto del protagonista. Ma si tratta di un ritratto speciale, ovvero di un ritratto d'esteta. Il narratore sembra censurare la debolezza morale del suo personaggio, anche se poi si mostra in piena consonanza con lui. In tal senso è assai indicativo il trinomio (gruppo di tre termini) che figura nel primo capoverso del brano. Eppure il narratore non teme di orchestrare un ambiguo gioco di luci e di ombre, notando come Andrea sia interiormente malato, debole, incapace di riprendere su sé stesso il libero dominio. Andrea predilige nettamente la Roma barocca, la Roma delle grandi famiglie aristocratiche e soprattutto la Roma splendida e un po' corrotta dei papi rinascimentali.