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"Gerusalemme liberata", canti 16-17-18, Appunti di Letteratura

Parafrasi integrale dei sopraddetti canti con testo a fronte.

Tipologia: Appunti

2020/2021
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Caricato il 28/05/2021

vrughetti
vrughetti 🇮🇹

4.5

(56)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica "Gerusalemme liberata", canti 16-17-18 e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! CANTO SEDICESIMO 1 Tondo è il ricco edificio, e nel più chiuso grembo di lui, ch’è quasi centro al giro, un giardin v’ha ch’adorno è sovra l’uso di quanti più famosi unqua fioriro. D’intorno inosservabile e confuso ordin di loggie i demon fabri ordiro, e tra le oblique vie di quel fallace ravolgimento impenetrabil giace. 1 il ricco edificio (da intendersi come ‘palazzo circondato dalle sue mura’) è di forma circolare (tondo), e nel suo punto più interno (nel più chiuso grembo di lui), che è quasi centro rispetto al cerchio delle mura (giro), si trova (v’ha) un giardino che è più bello, più riccamente curato di quanti mai (unqua) ne sono esistiti (fioriro). I demoni costruttori (demon fabri) hanno posto tutt’intorno (d’intorno) ordini di logge intricatissime e impossibili da seguire con lo sguardo (perché non si riesce a trovare un ordine e una logica), e quel giardino resta impenetrabile tra le strade tortuose di quell’ingannevole labirinto (fallace ravolgimento). 2 Per l’entrata maggior (però che cento l’ampio albergo n’avea) passàr costoro. Le porte qui d’effigiato argento su i cardini stridean di lucid’oro. Fermàr ne le figure il guardo intento, ché vinta la materia è dal lavoro: manca il parlar, di vivo altro non chiedi; né manca questo ancor, s’a gli occhi credi. 2 Carlo e Ubaldo (costoro) passarono per la porta principale (perché ne aveva cento [da intendersi, per estensione, ‘moltissime’] la grande struttura architettonica (albergo). Le porte decorate con figure in argento soffermarono lo sguardo – i due cavalieri – sulle figure decorate tanto eccelsa è l’arte con la quale sono stati prodotti. Manca – alle figure scolpite – solamente la parola (il parlar), altro aspetto per renderle reali, vive non si richiede; né manca nemmeno questo, se si crede, ci si fida solamente agli occhi che inducono a credere ch le immagini stiano parlando. 3 Mirasi qui fra le meonie ancelle favoleggiar con la conocchia Alcide. Se l’inferno espugnò, resse le stelle, or torce il fuso; Amor se ’l guarda, e ride. Mirasi Iole con la destra imbelle per ischerno trattar l’armi omicide; e indosso ha il cuoio del leon, che sembra ruvido troppo a sì tenere membra. 3 Si può vedere qui illustrata la storia di Ercole (Alcide) che, per amore di Onfale, chiacchiera, racconta storie (favoleggiar) fra le fanciulle meonie (cioè le ancelle di Onfale, regina della Meonia o Lidia) mentre fila (con la conocchia). Se ha vinto l’inferno, se ha sostenuto sulle sue spalle la volta celeste (stelle), ora fila con il fuso: Amore lo guarda, e se ne ride. Se vede Iole che con la sua destra pacifica maneggia per scherzo le armi micidiali di Ercole; e indossa le pell’ di leone (abituale abito di Ercole) che sembrano troppo ruvide, rudi per una pelle così delicata 4 D’incontra è un mare, e di canuto flutto vedi spumanti i suoi cerulei campi. Vedi nel mezzo un doppio ordine instrutto di navi e d’arme, e uscir da l’arme i lampi. D’oro fiammeggia l’onda, e par che tutto d’incendio marzial Leucate avampi. Quinci Augusto i Romani, Antonio quindi trae l’Oriente: Egizi, Arabi ed Indi. 4 Dall’altra parte è scolpito un mare, e vedi le sue azzurre distese (cerulei campi) spumeggianti (spumanti) per i bianchi flutti in mezzo al mare. Si vedono schierate (instrutto) due flotte militari, e dalle armi si vedono scintillanti bagliori. L’onda diventa dorata per i riflessi, e sembra che tutto Leucade stia per accendersi (avampi) a causa di infiammato furore di guerra (incendio marzial). Da una parte ci sono i Romani capitanati da Augusto, dall’altra parte Antonio guida le forze orientali: Egiziani,Arabi e Indiani. 5 Svelte notar le Cicladi diresti per l’onde, e i monti co i gran monti urtarsi; l’impeto è tanto, onde quei vanno e questi co’ legni torreggianti ad incontrarsi. Già volàr faci e dardi, e già funesti sono di nova strage i mari sparsi. Ecco (né punto ancor la pugna inchina) ecco fuggir la barbara reina. 5 Tanto è l’impeto con cui le due flotte si corrono incontro (vv. 3-4) che ti sembra di vedere le isole Cicladi, divelte dal fondo (svelte), correre per il mare (notar...per l’onde) e i monti cozzare contro i monti. immediatamente, subito (già) volano frecce e frecce infuocate (faci) e le acque del mare sono funestate da un’orribile strage. Ecco, né ancora la battaglia volgeva a favore di uno dei due, ecco che Cleopatra prende la fuga. 6 E fugge Antonio, e lasciar può la speme de l’imperio del mondo ov’egli aspira. Non fugge no, non teme il fier, non teme, ma segue lei che fugge e seco il tira. Vedresti lui, simile ad uom che freme d’amore a un tempo e di vergogna e d’ira, mirar alternamente or la crudele pugna ch’è in dubbio, or le fuggenti vele. 6 E fugge Antonio, abbandonando la speranza di avere il dominio del mondo, cui aspirava non fugge in realtà, non teme veramente il fiero Antonio, ma segue Cleopatra che fugge e che lo porta via con sé. Potresti vedere lui che fugge simile ad un uomo che freme allo stesso tempo per l’amore e per l’ira vergognosa. Osservare alternativamente la feroce battaglia ancora incerta e la donna che fugge. 7 7 tanta il parlar che fu mirabil mostro. Tacquero gli altri ad ascoltarlo intenti, e fermaro i susurri in aria i venti. pedissequa e qui giunge a «connotare, per estensione, la sfera negativa delle contraffazioni artistiche e poetiche»; a ciò si aggiunga che nei resoconti poetici delle esplorazioni americane il pappagallo «simboleggia l’esotismo e il fascino edenico delle terre d’oltreoceano - Muove la lingua così agilmente (in guisa larga), che articola la voce in modo tale da riprodurre il linguaggio umano (sermon nostro). Questi allora continuò (continovò) a parlare come se fosse un incredibile prodigio (mirabil mostro), una sorta di meraviglia delle meraviglie, gli altri uccelli (gli altri) tacquero per ascoltarlo e anche il vento smise di soffiare. 14 «Deh mira» egli cantò «spuntar la rosa dal verde suo modesta e verginella, che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa, quanto si mostra men, tanto è più bella. Ecco poi nudo il sen già baldanzosa dispiega; ecco poi langue e non par quella, quella non par che desiata inanti fu da mille donzelle e mille amanti. 14 Deh guarda – cantò – nascere la rosa dal suo verde calice pudica (modesta) e verginella, che appena socchiusa, ancora mezza aperta e mezza chiusa, meno si fa vedere, tanto più è bella. Ecco che già mostra nudo il seno, cioè la sua corolla ecco che poi rapidamente smuore, e non sembra più quella di prima, quella non sembra che poco prima era desiderata da più di mille fanciulle e di mille amanti. 15 Così trapassa al trapassar d’un giorno de la vita mortale il fiore e ’l verde; né perché faccia indietro april ritorno, si rinfiora ella mai, né si rinverde. Cogliam la rosa in su ’l mattino adorno di questo dì, che tosto il seren perde; cogliam d’amor la rosa: amiamo or quando esser si puote riamato amando.» 15 Così passa e sfiorisce con il trascorrere di un giorno la giovinezza e il fiore della vita mortale, cogliamo la rosa nel bel mattino di questo giorno, perché rapidamente perde il suo splendore; cogliamo la rosa d’amore: amiamo ora – mentre siamo giovani – quando il nostro amore può essere ricambiato. 16 Tacque, e concorde de gli augelli il coro, quasi approvando, il canto indi ripiglia. Raddoppian le colombe i baci loro, ogni animal d’amar si riconsiglia; par che la dura quercia e ’l casto alloro e tutta la frondosa ampia famiglia, par che la terra e l’acqua e formi e spiri dolcissimi d’amor sensi e sospiri. 16 Tacque, e concordemente (concorde) al coro degli uccelli, quasi approvando, da quel momento riprende a cantare. Gli animali, già intenti a giochi amorosi, obbediscono all’invito del pappagallo ad abbandonarsi al piacere aumentando, se possibile, i loro corteggiamenti. La quercia è ricordata per la sua durezza ai richiami d’amore l’alloro è definito casto perché secondo il mito nacque da Dafne mentre sfuggiva all’amore di Apollo, sembra che (par che) la terra e le acque formino ed emanino dolcissimi sospiri e sentimenti amorosi; tutto il mondo naturale sembra animarsi ispirato da un profondo sentimento d’amore. 17 Fra melodia sì tenera, fra tante vaghezze allettatrici e lusinghiere, va quella coppia, e rigida e costante se stessa indura a i vezzi del piacere. Ecco tra fronde e fronde il guardo inante penetra e vede, o pargli di vedere, vede pur certo il vago e la diletta, ch’egli è in grembo a la donna, essa a l’erbetta. 17 Va quella coppia (Carlo e Ubaldo) e ferma (rigida) e inflessibile (costante) si rende ancora più solida (se stessa indura) in mezzo alle lusinghe del piacere. Vero e proprio viaggio allegorico tra le tentazioni dell’animo umano, il cammino dei due cavalieri diventa anche un processo di maturazione e crescita (benché, non si dimentichi, i due cavalieri conoscano già i prodigi grazie al mago d’Ascalona). Ecco che lo sguardo che scruta, spia davanti a sé tra le fronde e vede, o gli sembra di vedere, vede ora sicuramente (certo) Rinaldo (il vago) e Armida (la diletta), lui adagiato mollemente in grembo a lei, e lei posata sull’erba; vero protagonista della scena del ritrovamento di Rinaldo è lo sguardo: il narratore, fa cogliere al lettore, attraverso la ripetizione del verbo vedere, il progressivo passaggio da un indistinto quadro a una prima sfumata figura, fino a mettere poi perfettamente a fuoco i due personaggi 18 Ella dinanzi al petto ha il vel diviso, e ’l crin sparge incomposto al vento estivo; langue per vezzo, e ’l suo infiammato viso fan biancheggiando i bei sudor più vivo: qual raggio in onda, le scintilla un riso ne gli umidi occhi tremulo e lascivo. Sovra lui pende; ed ei nel grembo molle le posa il capo, e ’l volto al volto attolle, 18 Lei davanti al petto ha il velo diviso, ha i capelli sciolti scomposti, accarezzati dal vento estivo, si strugge quasi per gioco, e le gocce di sudore rendono più luminoso (biancheggiando) il suo viso acceso, arrossato per amore, come un raggio di sole che si riflette nell’acqua (raggio in onda), negli occhi umidi scintilla un sorriso tremolante e lascivo, sta sospesa sopra di lui; ed egli appoggia la sua testa nel morbido grembo, e solleva il suo verso il volto di lei 19 19 e i famelici sguardi avidamente in lei pascendo si consuma e strugge. S’inchina, e i dolci baci ella sovente liba or da gli occhi e da le labra or sugge, ed in quel punto ei sospirar si sente profondo sì che pensi: «Or l’alma fugge e ’n lei trapassa peregrina». Ascosi mirano i duo guerrier gli atti amorosi. nutrendo avidamente gli sguardi bramosi d’amore in lei, si consuma e strugge. Armida si abbassa e spesso assapora (liba) i dolci baci ora dagli occhi ora li prende (sugge) dalle labbra, e in quel momento si sente Rinaldo (ei) sospirare così profondamente che verrebbe da pensare: – ora la sua anima fugge via e passa tutta ospite in lei, in Armida. Carlo e Ubaldo osservano gli amoreggiamenti nascosti’ dietro le fronde. 20 Dal fianco de l’amante (estranio arnese) un cristallo pendea lucido e netto. Sorse, e quel fra le mani a lui sospese a i misteri d’Amor ministro eletto. Con luci ella ridenti, ei con accese, mirano in vari oggetti un solo oggetto: ella del vetro a sé fa specchio, ed egli gli occhi di lei sereni a sé fa spegli. 20 Dal fianco di Rinaldo (amante) pendeva (insolito strumento – per un guerriero –) uno specchio (cristallo) scintillante (lucido) e nitido (netto). Armida si alzò (sorse), e diede (sospese) a Rinaldo fra le mani lo specchio perché lo tenesse sollevato, strumento scelto per i riti amorosi, in altre parole, Rinaldo tiene lo specchio sollevato mentre Armida si prepara; con occhi sorridenti Armida, Rinaldo con occhi infiammati d’amore, guardano attraverso vari strumenti (vari oggetti) un solo oggetto, cioè il viso di Armida: lei contempla se stessa nello specchio, e lui fa degli occhi splendenti della sua donna il suo specchio; nel gioco di incroci di sguardi e di immagini riflesse si nota comunque un’asimmetria, poiché centro resta il volto della donna (che si guarda ed è guardata, ma, in questa situazione, non ricambia lo sguardo di Rinaldo); asimmetria del resto confermata nei vv. sgg. 21 L’uno di servitù, l’altra d’impero si gloria, ella in se stessa ed egli in lei. «Volgi,» dicea «deh volgi» il cavaliero «a me quegli occhi onde beata bèi, ché son, se tu no ’l sai, ritratto vero de le bellezze tue gli incendi miei; la forma lor, la meraviglia a pieno più che il cristallo tuo mostra il mio seno. 21 Rinaldo si vanta della sua servitù d’amore, Armida di signoreggiarlo; lei si compiace di se stessa, lui si compiace in lei. Rivolgi, deh, rivolgi a me quegli occhi con i quali tu ti compiaci (beata) e rendi beati, felici coloro che ti guardano (bèi), perché il mio ardore amoroso (gli incendi miei) sono, se non lo sai, il vero ritratto delle tue bellezze; il mio cuore per più versi illecito (sia per Rinaldo, dimentico dei suoi doveri di cavaliere cristiano, sia di Armida, maga al servizio dei pagani ora versata solo ad appagare un suo personale desiderio). Poi volta ai suoi lavori di maga (severi uffici) Armida lascia il giardino Carlo e Ubaldo (i duo) , che erano nascosti in mezzo ai cespugli, si fecero vedere da Rinaldo armati di tutto punto (pomposamente); l’irruzione nell’eden erotico di Armida dei cavalieri, risplendenti nella loro armatura, ha lo scopo di produrre una frattura, uno choc in Rinaldo. 28 Qual feroce destrier ch’al faticoso onor de l’arme vincitor sia tolto, e lascivo marito in vil riposo fra gli armenti e ne’ paschi erri disciolto, se ’l desta o suon di tromba o luminoso acciar, colà tosto annitrendo è vòlto, già già brama l’arringo e, l’uom su ’l dorso portando, urtato riurtar nel corso; 28 Come un cavallo (destrier) feroce che dopo aver vinto molte battaglie (vincitor) sia stato tolto dall’onore delle armi, e vaghi fra i pascoli e le greggi liberamente ormai come uno stallone (lascivo marito) che ozia vanamente, se lo risveglia (desta) o il suono della tromba militare o lo scintillio prodotto dalle armi, verso quella direzione è immediatamente si volge nitrendo, desidera subito, ardentemente il combattimento, portando sul dorso un cavaliere, urtare il cavallo nemico, essendone a sua volta colpito 29 tal si fece il garzon, quando repente de l’arme il lampo gli occhi suoi percosse. Quel sì guerrier, quel sì feroce ardente suo spirto a quel fulgor tutto si scosse, benché tra gli agi morbidi languente, e tra i piaceri ebro e sopito ei fosse. Intanto Ubaldo oltra ne viene, e ’l terso adamantino scudo ha in lui converso. 29 allo stesso modo reagì Rinaldo, quando improvviso (repente) il lampeggiare (lampo) prodotto dalle armi colpì (percosse) i suoi occhi. Quel suo animo (spirto) così guerriero, così ferocemente ardente tutto si turbò (scosse) allo scintillio delle armi (fulgor), benché il suo animo (ei) fosse impigrito tra i molli agi e fosse come addormentato e inebriato (ebro) tra i piaceri. Intanto Ubaldo supera i cespugli nei quali era nascosto (oltra ne viene) e rivolge verso di lui lo scudo d’acciaio lucido come il diamante. 30 Egli al lucido scudo il guardo gira, onde si specchia in lui qual siasi e quanto 30 Rinaldo rivolge lo sguardo al lucido scudo nel quale si rispecchia, si vede con delicato culto adorno; spira tutto odori e lascivie il crine e ’l manto, e ’l ferro, il ferro aver, non ch’altro, mira dal troppo lusso effeminato a canto: guernito è sì ch’inutile ornamento sembra, non militar fero instrumento. quale realmente è e quanto sia vestito con raffinata eleganza; lo scudo, allegoricamente immagine della coscienza, permette a Rinaldo di vedere il suo reale stato, mentre prima la sua immagine era riflessa dagli occhi di Armida, specchi ingannevoli e lusinghieri. e vede la spada al suo fianco, la spada, per non dire del resto (non ch’altro), resa anch’essa effeminata in mezzo all’eccessivo lusso: è così decorata (guernito) che sembra un inutile ornamento, non un feroce strumento di guerra. 31 Qual uom da cupo e grave sonno oppresso dopo vaneggiar lungo in sé riviene, tal ei tornò nel rimirar se stesso, ma se stesso mirar già non sostiene; giù cade il guardo, e timido e dimesso, guardando a terra, la vergogna il tiene. Si chiuderebbe e sotto il mare e dentro il foco per celarsi, e giù nel centro. 31 Come un uomo, sprofondato (oppresso) in un pesante (grave) e sodo sonno, che si risveglia, torna in sé (in sé riviene) dopo un vaneggiamento, così egli si risvegliò (tornò) guardandosi nello specchio dello scudo, ma non sopporta più di vedersi, abbassa lo sguardo e timido e dimesso, guardando a terra, si vergogna. Si chiuderebbe, nasconderebbe in fondo al mare, dentro il fuoco, o nel centro della terra. 32 Ubaldo incominciò parlando allora: «Va l’Asia tutta e va l’Europa in guerra: chiunque e pregio brama e Cristo adora travaglia in arme or ne la siria terra. Te solo, o figlio di Bertoldo, fuora del mondo, in ozio, un breve angolo serra; te sol de l’universo il moto nulla move, egregio campion d’una fanciulla. 32 Ubaldo disse: «L’Asia e l’Europa sono in guerra: tutti coloro che desiderano la gloria (pregio brama) e sono cristiani (Cristo adora) combattono e soffrono (travaglia in arme) in questo momento in Palestina. Un angolo remoto fuori del mondo chiude te, figlio di Bertoldo, ti esclude, mentre te ne stai ozioso; l’espressione fuora del mondo è da intendersi in senso letterale, dato che Rinaldo si trova all’esterno del mondo allora conosciuto. Solamente tu non sei turbato (nulla move) da questa battaglia che scuote il mondo, egregio campione di una fanciulla; campion d’una fanciulla è accusa grave quando si ricordi che i crociati sono campion di Cristo (e cfr. V, 33, 6; VII, 34, 4 e poi XVIII, 94, 1). 33 Qual sonno o qual letargo ha sì sopita 33 la tua virtute? o qual viltà l’alletta? Su su; te il campo e te Goffredo invita, te la fortuna e la vittoria aspetta. Vieni, o fatal guerriero, e sia fornita la ben comincia impresa; e l’empia setta, che già crollasti, a terra estinta cada sotto l’inevitabile tua spada». Quale sonno ha addormentato in questo modo (ha sì sopita) la tua virtù? O quale viltà la attira, seduce (alletta)? Su, su, il campo cristiano e Goffredo ti invitano a tornare, tu sei atteso dal destino e dalla vittoria. Vieni, oh destinato da Dio (fatal guerriero) a copiere grandi imprese, e sia completata (fornita) l’impresa già ben avviata (comincia); e il popolo infedele (empia setta), che hai già colpito gravemente (crollasti), crolli e muoia sconfitto per mezzo della tua inesorabile (inevitabile) spada 34 Tacque, e ’l nobil garzon restò per poco spazio confuso e senza moto e voce. Ma poi che diè vergogna a sdegno loco, sdegno guerrier de la ragion feroce, e ch’al rossor del volto un novo foco successe, che più avampa e che più coce, squarciossi i vani fregi e quelle indegne pompe, di servitù misera insegne; 34 Tacque, e il nobile ragazzo rimase per un po’ di tempo confuso, immobile (senza moto) e muto (senza voce); analoga espressione di stupore nel corso dell’agnizione di Clorinda da parte di Tancredi a XII, 67, 7-8. Ma poi che la vergogna lasciò il posto (diè loco) allo sdegno, sdegno che è un feroce difensore della ragione, in altre parole lo sdegno permette alla ragione di avere il sopravvento sulle pulsioni irrazionali, e al rossore provocato dalla vergogna nel volto seguì un nuovo rossore (foco), che più infiamma ed è più cocente (coce), si squarciò, strappò gli ornamenti vani e le vesti raffinate, segnali, testimonianze (insegne) di una triste servitù’ d’amore. 35 ed affrettò il partire, e de la torta confusione uscì del labirinto. Intanto Armida de la regal porta mirò giacere il fier custode estinto. Sospettò prima, e si fu poscia accorta ch’era il suo caro al dipartirsi accinto; e ’l vide (ahi fera vista!) al dolce albergo dar, frettoloso, fuggitivo il tergo. 35 e si affrettò a partire, ed uscì dalla contorta serie di strade del labirinto. Intanto Armida vide morto a terra il custode della porta regale; torna in scena Armida e comprende subito che qualcosa è mutato; tuttavia il particolare del guardiano ucciso – il drago di 48-49 – è una incongruenza, dato era stato semplicemente messo in fuga. Dapprima sospettò e poi si accorse che Rinaldo (il suo caro) si era preparato per partire, per andarsene, e lo vide (ah che visione dolorosa!) dare frettolosamente ultime); non dico che io possa darti dei baci, quelli li avrai da una donna più degna di me. Di che cosa hai paura, spietato (empio) se ti arresti per un momento (se resti)? Potrai anche avere il coraggio di respingere ogni mia preghiera (potrai negar), dato che ne hai avuto abbastanza per fuggire da me». 41 Dissegli Ubaldo allor: «Già non conviene che d’aspettar costei, signor, ricusi; di beltà armata e de’ suoi preghi or viene, dolcemente nel pianto amaro infusi. Qual più forte di te, se le sirene vedendo ed ascoltando a vincer t’usi? così ragion pacifica reina de’ sensi fassi, e se medesma affina». 41 Allora Ubaldo gli disse: «Non conviene aspettare che ella rifiuti (ricusi); viene armata della sua bellezza e di preghiere bagnate (infusi) dal pianto. Chi potrà dirsi più forte di te, se ti abitui (t’usi) a sconfiggere le sirene vedendo e ascoltando i loro allettamenti? In questo modo la ragione diventa pacifica signora, sovrana dei sensi, e perfeziona, affina, se stessa». 42 Allor ristette il cavaliero, ed ella sovragiunse anelante e lagrimosa: dolente sì che nulla più, ma bella altrettanto però quanto dogliosa. Lui guarda e in lui s’affisa, e non favella, o che sdegna o che pensa o che non osa. Ei lei non mira; e se pur mira, il guardo furtivo volge e vergognoso e tardo. 42 Allora Rinaldo (il cavaliero) si fermò (ristette), e ella lo raggiunse in affanno per la corsa precipitosa e in lacrime per la disperazione (anelante e lagrimosa): così disperata che non è forse possibile esserlo in misura maggiore, ma altrettanto bella quanto sofferente guarda Rinaldo, in lui punta lo sguardo, e non parla, o perché è sdegnata, o perché sta pensando o perché non ha il coraggio di parlare; il punto di vista di Armida segna una enigmatica sospensione del personaggio, quasi un paralisi che le impedisce, per il momento, di parlare; Rinaldo non la guarda (non mira), e anche se la guarda, gira il suo sguardo furtivamente, vergognoso ed esitante (tardo); con un gioco incrociato dei punti di vista, vediamo Rinaldo manifestare il suo imbarazzo nei confronti di Armida, quasi incapace di guardarla apertamente. 43 Qual musico gentil, prima che chiara altamente la voce al canto snodi, a l’armonia gli animi altrui prepara con dolci ricercate in bassi modi, 43 Come un abile cantante (musico gentil), prima che liberi a tutto volume la sua voce al canto, prepara gli animi degli ascoltatori alla musica con armonie così costei, che ne la doglia amara già tutte non oblia l’arti e le frodi, fa di sospir breve concento in prima per dispor l’alma in cui le voci imprima. delicate cantate a mezza voce (in bassi modi); il cantante, in altre parole, scalda la voce con brevi esercizi che preparano il pubblico al vero e proprio concerto; che anche nella situazione di un atroce dolore non dimentica del tutto le sue arti seduttive e i suoi inganni (frodi), fa prima una sorta di breve preludio di sospiri, per predisporre meglio l’animo nel quale dovranno poi imprimersi le sue parole; Armida gioca le sue ultime carte di maga e di maestra di seduzione, fingendosi sottomessa all’uomo che ama per tenerlo ancora con sé. 44 Poi cominciò: «Non aspettar ch’io preghi, crudel, te, come amante amante deve. Tai fummo un tempo; or se tal esser neghi, e di ciò la memoria anco t’è greve, come nemico almeno ascolta: i preghi d’un nemico talor l’altro riceve. Ben quel ch’io chieggio è tal che darlo puoi e integri conservar gli sdegni tuoi. 44 Poi cominciò a parlare: «Non aspettare che ti preghi, crudele, come deve fare una persona innamorata con chi la corrisponde tali, cioè amanti, siamo stati un tempo; ora se rinneghi di esserlo, e anche ricordarlo (la memoria) ti pesa (t’è greve), ascoltami almeno come un nemico: a volte l’altro accoglie (riceve) le preghiere di un nemico. Ciò che chiedeo (chieggio) è tale che puoi concedermelo e mantenere intatti i tuoi sdegni. 45 Se m’odii, e in ciò diletto alcun tu senti, non te ’n vengo a privar: godi pur d’esso. Giusto a te pare, e siasi. Anch’io le genti cristiane odiai, no ’l nego, odiai te stesso. Nacqui pagana, usai vari argomenti che per me fosse il vostro imperio oppresso; te perseguii, te presi, e te lontano da l’arme trassi in loco ignoto e strano. 45 Se mi odi, e provi un certo piacere nell’odiarmi, non te ne voglio privare: godi pure di quest’odio. Ti sembra giusto e sia così come vuoi (siasi). Anche io ho odiato i cristiani e odiai anche te. Nacqui pagana, usai diversi mezzi, stratagemmi (argomenti) affinché attraverso le mie azioni la vostra potenza militare fosse sconfitta ti ho perseguitato, catturato (presi) e poi portato in un luogo sconosciuto (ignoto) e meraviglioso (strano) lontano dalla guerra. 46 Aggiungi a questo ancor quel ch’a maggiore onta tu rechi ed a maggior tuo danno: t’ingannai, t’allettai nel nostro amore; empia lusinga certo, iniquo inganno, lasciarsi còrre il virginal suo fiore, far de le sue bellezze altrui tiranno, 46 Aggiunsi – a ciò che ho già detto – anche quello che tu giudichi essere (rechi) il maggior danno e la più grande vergogna (onta): t’ingannai, t’allettai nel nostro amore; certamente una lusinga scellerata e un inganno malizioso, quelle ch’a mille antichi in premio sono negate, offrire a novo amante in dono! lasciare cogliere il frutto della propria verginità, fare un altro signore, tiranno delle proprie bellezze, quelle che a mille precedenti amanti sono state negate come premio, offrire in dono a un nuovo amante! 47 Sia questa pur tra le mie frodi, e vaglia sì di tante mie colpe in te il difetto che tu quinci ti parta e non ti caglia di questo albergo tuo già sì diletto. Vattene, passa il mar, pugna, travaglia, struggi la fede nostra: anch’io t’affretto. Che dico nostra? ah non più mia! fedele sono a te solo, idolo mio crudele. 47 Sia pure inclusa, inserita tra tutte le mie colpe (frodi) anche questa, e il difetto di così tante colpe che ho commesso basti, sia sufficiente a far sì che tu parta da qui (quinci), e non ti importi nulla (caglia) di questa tua dimora, rifugio sino a poco tempo fa a te così caro (diletto). Vattene, combatti, soffri, distruggi la nostra religione: ti esorto anch’io ad affrettarti ma che dico nostra? Non più mia, dato che io ora sono fedele solamente a te, mio idolo crudele; Armida, in un crescendo drammatico, rinnega la sua fede per dichiararsi devota d’amore nella persona di Rinaldo, divinità però crudele, dato che la sta abbandonando senza esitazioni. 48 Solo ch’io segua te mi si conceda: picciola fra nemici anco richiesta. Non lascia indietro il predator la preda; va il trionfante, il prigionier non resta. Ma fra l’altre tue spoglie il campo veda ed a l’altre tue lodi aggiunga questa, che la tua schernitrice abbia schernito mostrando me sprezzata ancella a dito. 48 Mi sia concesso (mi si conceda) solamente di poterti seguire: una richiesta davvero minima anche tra i nemici. Il vincitore non abbandona dietro di sé la sua preda; va trionfante, il prigioniero non si arresta, non si ferma (e cioè, lo segue); si noti come nelle parole di Armida si profili un completo rovesciamento dei ruoli amorosi: ora è Armida a richiedere di essere preda ed è lei, che si era allontanata dal campo cristiano portando trionfante dietro di sé la «folle turba de gli amanti» (V, 71, 5), a pregare di essere al seguito del suo trionfatore; che l’esercito crociato (campo) mi veda tra gli altri tuoi trofei (tue spoglie) ed aggiunga alle altre tue lodi questa, che tu abbia ingannato (schernito) colei che ti voleva ingannare (schernitrice) indicandomi a dito come tua disprezzata ancella. 49 Sprezzata ancella, a chi fo più conserva 49 Deh! non voler che segni ignobil fregio tua beltà, tuo valor, tuo sangue regio. in Europa, in Africa e in Asia (ne le due vicine parti), cali il silenzio, non se ne parli. Deh, non volere che un ignobile disonore (ignobil fregio) sfregi (segni) la tua bellezza, il tuo valore, il tuo sangue regale; per alcuni interpreti l’ignobil segno sarebbe da riferire all’intenzione di Armida di tagliarsi i capelli per mostrarsi ancella di Rinaldo. 56 Rimanti in pace, i’ vado; a te non lice meco venir, chi mi conduce il vieta. Rimanti, o va’ per altra via felice, e come saggia i tuoi consigli acqueta». Ella, mentre il guerrier così le dice, non trova loco, torbida, inquieta; già buona pezza in dispettosa fronte torva riguarda, al fin prorompe a l’onte: 56 Resta qui in pace, io vado: a te non è permesso (non lice) venire con me, me lo vieta chi mi guida; in senso più lato nei versi, che riverberano movenze evangeliche si avverte un rinnovato spirito di fede in Rinaldo, pentito e pronto alla redenzione dopo essere scivolato nell’errore amoroso. Resta in pace o vai per un’altra strada felice, e come una donna saggia placa (acqueta) i tuoi propositi (consigli). Lei mentre il guerriro le parla non smette di muoversi, turbata, inquieta; già da un bel po’ (buona pezza) guarda con il volto corrucciato (dispettosa fronte), alla fine esplode ingiuriando, offendendo (prorompe a l’onte) 57 «Né te Sofia produsse e non sei nato de l’azio sangue tu; te l’onda insana del mar produsse e ’l Caucaso gelato, e le mamme allattàr di tigre ircana. Che dissimulo io più? l’uomo spietato pur un segno non diè di mente umana. Forse cambiò color? forse al mio duolo bagnò almen gli occhi o sparse un sospir solo? 57 «Tu non sei nato da Sofia, da una donna, né dal sangue degli Azii (famiglia romana da cui deriverebbero gli Estensi): l’onda tempestosa (insana) del mare ti ha partorito e le fredde montagne del Caucaso, e ti hanno allattato le mammelle di una tigre feroce e selvaggia (ircana) a che scopo continuo a fingere, a dissimulare? Rinaldo, uomo spietato, non ha dato nemmeno un segnale di umanità. Forse ha cambiato colore, arrossendo o impallidendo? Forse ha speso qualche lacrima di fronte al mio dolore o ha tratto un solo sospiro? 58 Quali cose tralascio o quai ridico? S’offre per mio, mi fugge e m’abbandona; quasi buon vincitor, di reo nemico oblia le offese, i falli aspri perdona. 58 Quali cose di quelle che mi ha detto tralascio o quali riprendo? Mi si offre come mio cavaliere (s’offre per mio), fugge da me e mi abbandona come un Odi come consiglia! odi il pudico Senocrate d’amor come ragiona! O Cielo, o dèi, perché soffrir questi empi fulminar poi le torri e i vostri tèmpi? generoso (buon) vincitore, dimentica (oblia) le offese di un crudele avversario, perdona le gravi colpe senti come ragiona d’amore il pudico Senocrate! Oh cielo, oh dei, perché sopportate (soffrir) questi empi che distruggono poi le vostre torri e i vostri templi? 59 Vattene pur, crudel, con quella pace che lasci a me; vattene, iniquo, omai. Me tosto ignudo spirto, ombra seguace indivisibilmente a tergo avrai. Nova furia, co’ serpi e con la face tanto t’agiterò quanto t’amai. E s’è destin ch’esca del mar, che schivi gli scogli e l’onde e che a la pugna arrivi, 59 Armida lo invita ad andarsene lasciandole la «pace» che le aveva augurato mi avrai subito alle tue spalle (a tergo) come una nuda anima (ignudo spirto, cioè privata del corpo), come un’ombra persecutrice che non ti abbandonerà mai sarò per te una nuova furia infernale, e con le serpi per capelli e la fiaccola in mano ti tormenterò quanto ti ho amato se è destino, se lo vuole il fato che tu sopravviva al viaggio in mare, che eviti le onde dei marosi e le insidie degli scogli e arrivi a combattere in guerra 60 là tra ’l sangue e le morti egro giacente mi pagherai le pene, empio guerriero. Per nome Armida chiamerai sovente ne gli ultimi singulti: udir ciò spero». Or qui mancò lo spirto a la dolente, né quest’ultimo suono espresse intero; e cadde tramortita e si diffuse di gelato sudore, e i lumi chiuse. 60 là, nel campo di battaglia, giacendo ferito e in fin di vita mi pagherai le pene tra il sangue e le morti, empio guerriero con gli ultimi respiri invocherai spesso il nome di Armida: spero di sentire ciò». Armida (la dolente) svenne (mancò lo spirto) né poté proferire completamente le ultime parole; cadde tramortita e si cosparse (diffuse) di gelato sudore e chiuse gli occhi (lumi). 61 Chiudesti i lumi, Armida; il Cielo avaro invidiò il conforto a i tuoi martìri. Apri, misera, gli occhi; il pianto amaro ne gli occhi al tuo nemico or ché non miri? Oh s’udir tu ’l potessi, oh come caro t’addolcirebbe il suon de’ suoi sospiri! Dà quanto ei pote, e prende (e tu no ’l credi!) pietoso in vista gli ultimi congedi. 61 Chiudesti gli occhi Armida; il Cielo crudele (avaro) negò (invidiò) il conforto alle tue sofferenze apri, infelice, gli occhi: perché non guardi ora il pianto sofferente (amaro) del tuo nemico (di Rinaldo)?; si noti come prenda il sopravvento la voce del narratore che enfatizza il momento drammatico, quasi spettatore commosso della scena, tanto che apprendiamo i fatti attraverso un filtro patetico che permette una lettura più sfumata e chiaroscurale dei sentimenti in gioco; o se tu lo potessi sentire (udir), oh come ti sarebbe gradito (addolcirebbe) sentire il suono dei suoi lamenti (sospiri)! Ti dà e prende gli ultimi addii, per quanto glielo conceda la sua condizione di cavaliere cristiano (e tu forse non credi), con atteggiamento commosso (pietoso in vista) 62 Or che farà? dée su l’ignuda arena costei lasciar così tra viva e morta? Cortesia lo ritien, pietà l’affrena, dura necessità seco ne ’l porta. Parte, e di lievi zefiri è ripiena la chioma di colei che gli fa scorta. Vola per l’alto mar l’aurata vela: ei guarda il lido, e ’l lido ecco si cela. 62 Ora che farà? la lascerà sulla spiaggio spoglia (sull’ignuda arena) mezza morta? La cortesia lo trattiene, vorrebbe farlo restare, la pietà lo frena, lo rallenta, l’implacabile necessità lo trascina via con sé (seco); con una sorta di teatralizzazione delle passioni (cortesia, pietà, senso del dovere) che convivono nell’animo di Rinaldo in questo difficile momento, viene ribadita la fatalità dell’eroe che non può indugiare né in sentimenti propri della cortesia cavalleresca né in una sentita compartecipazione al dolore della donna; ma non si tratta di un processo meccanico e rettilineo perché i due valori, l’uno culturale, l’altro primordialmente umano, della “cortesia” e della “pietà”, fino all’estremo si ergono contro la forza obbligante della “necessità” come dimostra lo sguardo “elegiaco” di Rinaldo che mentre abbandona l’isola osserva il corpo di Armida sulla spiaggia farsi un punto lontano all’orizzonte, fino a che gli sarà nascosto dalla stessa isola; parte e i capelli della Fortuna che lo guida (colei che gli fa scorta) sono agitati da leggeri venticelli (lievi zefiri) vola per l’alto male la vela dorata; Rinaldo guarda la spiaggia, ed ecco che la spiaggia sparisce, si nasconde; si noti che il particolare de l’aurata vela è un relitto dimenticato di una redazione precedente, quando la Fortuna faceva dei suoi lunghi capelli la vela per il viaggio. del palazzo (quanto gira il palagio) potresti sentire sibili irati, urli, fremiti e latrati. 69 Ombra più che di notte, in cui di luce raggio misto non è, tutto il circonda, se non se in quanto un lampeggiar riluce per entro la caligine profonda. Cessa al fin l’ombra, e i raggi il sol riduce pallidi; né ben l’aura anco è gioconda, né più il palagio appar, né pur le sue vestigia, né dir puossi: «Egli qui fue». 69 Il palazzo è completamente avvolto (tutto il circonda) da un’ombra più scura di una notte nella quale non vi è nemmeno un bagliore di luce (raggio) se non per il fatto che riluce un pallido scintillìo (lampeggiar) in mezzo (per entro) all’oscurità fittissima (caligine profonda). Sparisce, si dissolve’ l’ombra e i raggi del sole diventano pallidi, né l’aria è tornata serena, salubre (gioconda), né più si vede il palazzo, né le sue fondamenta, né si può dire: un tempo ci fu il palazzo. 70 Come imagin talor d’immensa mole forman nubi ne l’aria e poco dura, ché ’l vento la disperde o solve il sole, come sogno se ’n va ch’egro figura, così sparver gli alberghi, e restàr sole l’alpe e l’orror che fece ivi natura. Ella su ’l carro suo, che presto aveva, s’assise, e come ha in uso al ciel si leva. 70 Il gigantesco edificio (immensa mole) si formano nubi che il vento disperde o lo dissolve lo faceva evaporare il sole (solve il sole) come si svanisce il sogno che si immagina il malato (egro) così sparì il palazzo e rimasero solamente le montagne e l’ambiente spaventoso che aveva creato in quel luogo la natura. Armida si siede (s’assise) sul suo carro, che aveva sempre pronto (presto), e com’è solita spicca il volo. 71 Calca le nubi e tratta l’aure a volo, cinta di nembi e turbini sonori, passa i lidi soggetti a l’altro polo e le terre d’ignoti abitatori; passa d’Alcide i termini, né ’l suolo appressa de gli Espèri o quel de’ Mori, ma su i mari sospeso il corso tiene insin che a i lidi di Soria perviene. 71 Preme le nuvole e fende (tratta) nel volo l’aria, circondata di nuvole e temporali assordanti (turbini sonori), oltrepassa le terre che stanno sotto a un altro polo (nel senso di ‘opposto rispetto al nostro’) e i territori di popolazioni sconosciute (ignoti abitatori), passa le colonne d’Ercole (d’Alcide i termini) né si avvicina (appressa) alle terre d’Africa (Mori per Mauri ma, in senso lato, Africani) o di Spagna (Esperi) ma tiene il cammino sospeso sopra i mari sino a che non giunge (perviene) sulle spiagge della Siria (Soria). 72 Quinci a Damasco non s’invia, ma schiva il già sì caro de la patria aspetto, e drizza il carro a l’infeconda riva ove è tra l’onde il suo castello eretto. 72 Da qui non si dirige verso Damasco, ma evita (schiva) l’aspetto della sua patria, un tempo così caro e dirige (drizza) il carro verso il Mar Morto Qui giunta, i servi e le donzelle priva di sua presenza e sceglie ermo ricetto; e fra vari pensier dubbia s’aggira, ma tosto cede la vergogna a l’ira. (infeconda riva) dove è eretto tra le acque il suo castello. Arrivata nel palazzo, non si fa vedere (priva di sua presenza) dai servitori né dalle damigelle e si sceglie un nascondiglio, un rifugio solitario (ermo ricetto) si arrovella turbata tra mille pensieri ma ben presto la vergogna lascia il posto (cede) all’ira; Armida, in altre parole, sostituisce la vergogna per essere stata abbandonata con l’ira vendicativa. 73 «Io n’andrò pur,» dice ella «anzi che l’armi de l’Oriente il re d’Egitto mova. Ritentar ciascun’arte e trasmutarmi in ogni forma insolita mi giova, trattar l’arco e la spada, e serva farmi de’ più potenti e concitargli a prova: pur che le mie vendette io veggia in parte, il rispetto e l’onor stiasi in disparte. 73 «Io andrò» dice lei «prima (anzi) che il re d’Egitto metta in movimento (mova) il suo esercito (l’armi) devo (mi giova) tentare nuovamente con tutte le mie arti seduttive e trasformarmi in ogni forma nuova (insolita) usare (trattar) l’arco e la spada, farmi ancella dei comandanti più forti ed eccitarli in competizione tra di loro purché io veda almeno in parte realizzate le mie vendette, siano messi da parte e il rispetto e l’onore. 74 Non accusi già me, biasmi se stesso il mio custode e zio che così volse. Ei l’alma baldanzosa e ’l fragil sesso a i non debiti uffici in prima volse; esso mi fe’ donna vagante, ed esso spronò l’ardire e la vergogna sciolse: tutto si rechi a lui ciò che d’indegno fei per amore o che farò per sdegno.» 74 Non accusi già me, ma anzi biasimi se stesso mio zio e tutore Idraote che volle che accadesse questo cfr. IV, 20; lui per prima ha diretto l’anima audace e il sesso femminile ad uffici che non le sono propri; lui mi ha reso una donna errante (vagante), e lui ha incitato l’ardire e ha cancellato ogni senso di pudore; donna vagante ha un tocco insieme leggero e molto amaro, memore delle proprie passate glorie (cfr. IV, 87, 5-6) e insieme intriso della malinconica percezione di un presente fatto di dolore e tradimento; Si attribuisca (si rechi) a lui ciò che feci per amore e ciò che farò per sdegno.» 75 Così risolse, e cavalieri e donne, paggi e sergenti frettolosa aduna; e ne’ superbi arnesi e ne le gonne l’arte dispiega e la regal fortuna, e in via si pone; e non è mai ch’assonne o che si posi al sole od a la luna, 75 Decise alla fine così (così risolse), e cavalieri e donne, paggi e sergenti frettolosa raduna (aduna) e manifesta, mostra tutta la sua arte seduttiva nei preziosi ornamenti, nel vestiario e nella ricchezza regale, e si mette in viaggio (in via si pone) che dorma (assonne) o che si sin che non giunge ove le schiere amiche coprian di Gaza le campagne apriche. fermi per riposare di notte (a la luna) o di giorno (al sole) sino a che non raggiunge il luogo in cui l’esercito (schiere) amico d’Egitto occupa le spiagge soleggiate di Gaza. CANTO DICIASSETTESIMO 1 Gaza è città de la Giudea nel fine, su quella via ch’inver Pelusio mena, posta in riva del mare, ed ha vicine immense solitudini d’arena, le quai, come Austro suol l’onde marine, mesce il turbo spirante, onde a gran pena ritrova il peregrin riparo o scampo ne le tempeste de l’instabil campo. 1 Gaza è una città posta ai confini (nel fine) della Giudea, su quel percorso (via) che conduce (mena) verso la città di Pelusio, posta in riva al mare e ha vicino sterminati deserti, il vento avvolgente (turbo spirante) mescola e solleva (mesce) le sabbie del deserto (le quai rif. al v. 4), come il vento del sud agita il mare, per cui (onde) con gran fatica (a gran pena) il viaggiatore (il peregrin) trova un riparo o la salvezza nelle tempeste del deserto sempre in movimento (instabil campo, perché modifica con il vento il suo aspetto) 2 Del re d’Egitto è la città frontiera, da lui gran tempo inanzi a i Turchi tolta; e però ch’opportuna e prossima era a l’alta impresa ove la mente ha vòlta, lasciando Egitto e la sua regia altera qui traslato il gran seggio e qui raccolta già da varie provincie insieme avea l’innumerabil oste a l’assemblea. 2 è situata al confine del regno d’Egitto, dove il suo re, Abdul Kassem (e cfr. I, 67, 2), già molto tempo prima l’aveva sottratta al dominio dei Turchi; il dato riportato da T. non è del tutto preciso, poiché la città passò sotto il controllo egiziano già nel 635- 640, durante il califfato di Omar I. ‘e dato che era vicina (prossima) e strategicamente ben collocata (opportuna) rispetto alla grande impresa, cioè la guerra contro i cristiani, che intende compiere (la mente ha volta)’ lasciando Egitto e la sua regia altera ha trasferito (traslato) qui, a Gaza, le sede del trono (il gran seggio) e ha chiamato qui a riunirsi (a l’assemblea) da molte province uno sterminato esercito (innumerabil oste) 3 Musa, quale stagione e qual là fosse stato di cose or tu mi reca a mente: qual arme il grande imperator, quai posse, qual serva avesse e qual compagna gente, quando del Mezzogiorno in guerra mosse 3 Musa, ricordami tu ora (or tu mi reca a mente) quale tempo (stagione) e quale fosse in quel luogo la situazione; prende avvio la rassegna dell’esercito egiziano con un’invocazione alla 8 Ancor guerreggia per ministri, ed have tanto vigor di mente e di parole che de la monarchia la soma grave non sembra a gli anni suoi soverchia mole. Sparsa in minuti regni Africa pave tutta al suo nome e ’l remoto Indo il cole, e gli porge altri volontario aiuto d’armate genti ed altri d’or tributo. 8 ancora conduce guerre attraverso (per) i suoi ministri e ha, possiede (have) che il gravoso peso (soma grave) della carica di sovrano non sembra eccessivo (soverchio) per la sua età. divisa, disseminata (sparsa) in tanti piccoli (minuti) regni l’Africa trema per lo spavento (pave) solo a sentire il suo nome, e anche le popolazioni delle lontanissime regioni indiane lo venerano (il cole) e alcuni (altri) gli offrono volontariamente un aiuto di truppe armate (armate genti), altri tributi in oro. 9 Tanto e sì fatto re l’arme raguna, anzi pur adunate omai l’affretta contra il sorgente imperio e la fortuna franca, ne le vittorie omai sospetta. Armida ultima vien: giunge opportuna ne l’ora a punto a la rassegna eletta. Fuor de le mura in spazioso campo passa dinanzi a lui schierato il campo. 9 un re così forte e potente riunisce l’esercito (l’arme raguna), anzi avendole già riunite (pur adunate) le sollecita ormai (omai l’affretta ) contro il nascente (sorgente) impero e la fortuna dei cristiani (franca), ormai sospetta, minacciosa per i troppi successi; in altre parole, vede nei cristiani una fonte di pericolo anche per il suo regno; Armida si aggiunge per ultima: arriva proprio nel momento scelto (eletta) per la rassegna dell’esercito; si ricordi che la maga a XVI, 75 aveva deciso di partire alla volta di Gaza per mettere in atto la sua vendetta contro Rinaldo. inizia la rassegna dell’esercito egiziano; si noti che il distico riecheggia, anche nella rima equivoca campo | campo, quello di I, 34, 7-8 che dava analogamente avvio alla rassegna dei crociati. Più in generale i due cataloghi si rispondono a distanza, con una caratterizzazione di quello egiziano all’insegna dello sfarzo esotico e della babelica confusione di lingue 10 Egli in sublime soglio, a cui per cento gradi eburnei s’ascende, altero siede: e sotto l’ombra d’un gran ciel d’argento porpora intesta d’or preme co ’l piede, e ricco di barbarico ornamento 10 il re d’Egitto sta seduto altero su un alto trono (sublime soglio), al quale si accede (ascende) salendo cento gradini di avorio (cento gradi eburnei) e sotto un padiglione dalla volta argentea in abito regal splender si vede: fan torti in mille fascie i bianchi lini alto diadema in nova forma a i crini. (gran ciel d’argento) poggia i piedi su di un tappeto di porpora intessuto con fili d’oro (intesta d’or) e si vede risplendere in un abito regale impreziosito da fregi orientali (barbarico ornamento) i bianchi lini avvolti tra loro in mille giri formano un alto turbante, strana e inusitata corona da poggiare sulla testa (a i crini) 11 Lo scettro ha ne la destra, e per canuta barba appar venerabile e severo; e da gli occhi, ch’etade ancor non muta, spira l’ardire e ’l suo vigor primiero, e ben da ciascun atto è sostenuta la maestà de gli anni e de l’impero. Apelle forse o Fidia in tal sembiante Giove formò, ma Giove allor tonante. 11 Nella mano destra ha lo scettro e a causa della barba bianca (canuta) appare venerabile e severo; tratti che ricordano la ieratica rispettabilità del Catone dantesco (cfr. Purg. I, 31-36, già ripreso a XIV, 33); che la vecchiaia non ha cambiato, mutato; lo sguardo, in altre parole, resta vigile e forte, spira l’ardire dell’età giovanile, di quanto era nel fiore degli anni (primiero) e da ogni suo gesto (ciascun atto) è sorretta, dimostrata (sostenuta) la composta regalità (maestà) dell’età e del comando. forse Apelle o Fidia ritrassero (formò) in un simile atteggiamento (tal sembiante) Giove, ma Giove irato nell’atto di scagliare fulmini (Giove tonante); Apelle, famoso pittore greco vissuto nel IV secolo a.C.; Fidia (490 a.C.-430 a.C.), celebre scultore della Grecia. 12 Stannogli, a destra l’un, l’altro a sinistra, due satrapi, i maggiori: alza il più degno la nuda spada, del rigor ministra, l’altro il sigillo ha del suo ufficio in segno. Custode un de’ secreti, al re ministra opra civil ne’ grandi affar del regno, ma prence de gli esserciti e con piena possanza è l’altro ordinator di pena. 12 Gli uno alla sua destra e uno alla sua sinistra due ministri (satrapi), i più importanti strumento di giustizia; il primo dei due ministri è quello della guerra, per questo ritenuto il più degno (e vedi la spiegazione fornita ai vv. 5-8): l’altro ministro tiene il sigillo come emblema della sua carica; il sigillo serviva per deliberare leggi e decisioni del re, per cui il secondo ministro dovrebbe essere una sorta di cancelliere il secondo ministro (quello del sigillo) è custode dei segreti di stato, e offre, presta (ministra) al sovrano il suo servizio (opra civil) nei grandi affari di stato, ma l’altro ministro è con pieni poteri amministratore della giustizia (ordinator di pena) e comandante dell’esercito. 13 Sotto, folta corona al seggio fanno con fedel guardia i suoi Circassi astati, ed oltre l’aste hanno corazze ed hanno spade lunghe e ricurve a l’un de’ lati. Così sedea, così scopria il tiranno d’eccelsa parte i popoli adunati; tutte a’ suoi piè nel trapassar le schiere chinan, quasi adorando, armi e bandiere. 13 sotto – l’alto trono – è circondato (folta corona) da una schiera di uomini della Circassia armati di lancia che fanno attenta guardia, e oltre alle lance hanno corazze e scimitarre (spade…lati). così osservava dall’alto del suo trono (eccelsa parte) i tutti i militari radunati (popoli adunati), tutte le schiere passando (nel trapassar) sotto il suo trono (a’ suoi piè) abbassano, per segno di riverenza quasi adorante (quasi adorando), le armi e le bandiere. 14 Il popol de l’Egitto in ordin primo fa di sé mostra, e quattro i duci sono: duo de l’alto paese e duo de l’imo, ch’è del celeste Nilo opera e dono. Al mare usurpò il letto il fertil limo, e rassodato al cultivar fu buono; sì crebbe Egitto: oh quanto a dentro è posto quel che fu lido a i naviganti esposto! 14 Il popolo d’Egitto al primo posto (in ordin primo) nella rassegna; inizia il vero e proprio catalogo; si noti come nella rassegna vengano sottolineati, per tutti i diversi contingenti militari, limiti e debolezze intrinseche (scarsa abilità militare, mollezza, ambizione, cieco desiderio di bottino, ecc.) i comandanti sono: due provengono dalle regioni dell’alto Egitto (da l’alto del paese, cioè a sud, la regione detta Tebaide) e due dal basso Egitto (imo) opera e dono Nilo. il fertile limo rubò al mare il suo letto (cioè formò un delta che espanse la terra verso il mare) e dopo averlo reso solido, stabile (rassodato) fu un terreno ottimo per le coltivazioni (al cultivar fu buono) così crebbe e prosperò l’Egitto: oh quanto ora è all’interno quella che un tempo fu la costa visibile (esposto) dai marinai (naviganti). 15 Nel primiero squadron appar la gente ch’abitò d’Alessandria il ricco piano, ch’abitò il lido vòlto a l’occidente ch’esser comincia omai lido africano. 15 Nella prima schiera ci sono le persone che abitarono ad Alessandria la fertile pianura (ricco piano) che abitarono le coste (lido) occidentali (vòlto a overchio del gelo) né l’eccezionale arsura, calore, sono, in altre parole, insensibili alle condizioni climatiche, per quanto estreme. dove crescono le piante aromatiche dove rinasce la fenice immortale; si riferisce all’araba fenice, uccello che si pensava vivesse cinquecento anni e poi, una volta morto, rinascesse dalle proprie ceneri, divenendo così immortale; grandissima la fortuna letteraria di questo mitico uccello; che nel profumato nido (ricca fabrica), che costruisce (aduna) per la morte (essequie) e per la nascita (natali), ha sia la tomba sia la culla (cuna) 21 L’abito di costoro è meno adorno, ma l’armi a quei d’Egitto han simiglianti. Ecco altri Arabi poi, che di soggiorno certo non sono stabili abitanti: peregrini perpetui usano intorno trarne gli alberghi e le cittadi erranti. Han questi voce e feminil statura, crin lungo e negro, e negra faccia e scura. 21 indossano armature meno sfarzose di quelle degli egiziani (cfr. 18, 7-8), ma un simile armamento leggero (cfr. 18, 5-6). Ecco altri arabi che non sono abitanti di un luogo fisso; sono cioè gli Arabi Sceniti, popolazione nomade che vive nel deserto eterni nomadi (peregrini perpetui) portano sempre ovunque vadano (erranti) le tende e le città hanno voce e statura femminei, lunghi capelli (crin) neri, e la faccia di carnagione scura. 22 E gran canne indiane arman di corte punte di ferro, e ’n su destrier correnti diresti ben che un turbine lor porte, se pur han turbo sì veloce i venti. Da Siface le prime erano scòrte, Aldino in guardia ha le seconde genti, le terze guida Albiazàr ch’è fiero omicida ladron, non cavaliero. 22 hanno come armi delle canne con la punta di ferro e cavalcano cavalli velocissimi (correnti) tanto che li diresti trasportati del turbine di vento, se pure i venti sono in grado di formare turbini così veloci le prime truppe, quelle d’Arabia Petrea, accompagnavano il comandante Siface Aladino guida le truppe dell’Arabia Felice (le seconde) quelle dell’Arabia Deserta (le terze) guida Albiazar che non è un cavaliere, ma un feroce (fiero) predone omicida 23 La turba è appresso che lasciate avea l’isole cinte da l’arabiche onde, da cui pescando già raccòr solea conche di perle gravide e feconde. 23 il successivo gruppo di soldati aveva lasciato l’isola di Socotra e le isole vicine, circondate dal Mar Rosso (arabiche onde) dalle quali era solita Sono i Negri con lor su l’eritrea marina posti a le sinistre sponde. Quegli Agricalte e questi Osmida regge, che schernisce ogni fede ed ogni legge. raccogliere pescando conchiglie, ostriche ricche e feconde di perle. La popolazione eritrea dalla pelle scura i primi sono guidati da Agricalte, i secondi da Osmida, uomo che si prende gioco, si fa beffa di ogni credo religioso e di ogni legge. 24 Gli Etiòpi di Mèroe indi seguiro: Mèroe, che quindi il Nilo isola face ed Astrabora quinci, il cui gran giro è di tre regni e di due fé capace. Li conducea Canario ed Assimiro, re l’uno e l’altro e di Macon seguace e tributario al Califé; ma tenne senza credenza il terzo e qui non venne. 24 vennero poi (indi seguiro) gli Etiopi provenienti dalla regione di Mèroe; Mèroe è un’antica città posta sulla riva orientale del Nilo; l’area che prende il suo nome è collocata tra il Nilo azzurro e l’Astabora Mèroe, che da un lato il Nilo, dall’altro l’Astabora rendono un’isola (isola face), la cui vastità è tale da comprendere in sé tre regni e due religioni differenti; proprio perché era circondata dai corsi d’acqua la regione fu chiamata anticamente Isola di Mèroe; i due regni mussulmani vengono precisati ai vv. 5-7; mentre il terzo, il cui reggente è taciuto, è di religione cristiana. Li guidavano Canario ed Assimiro, tutti e due re mussulmani (di Macon seguace) e tributari del Califfo (Califé, cioè il re d’Egitto) restò fedele alla sua santa religione il terzo re (cioè quello cristiano), e non venne qui 25 Poi due regi soggetti anco venieno con squadre d’arco armate e di quadrella: un, soldano è d’Ormùs, che dal gran seno persico è cinta, nobil terra e bella; l’altro, di Boecan; questa è nel seno del gran flusso marino isola anch’ella, ma quando poi scemando il mar s’abbassa, co ’l piede asciutto il peregrin vi passa. 25 Poi vennero anche due regi tributari (soggetti); in rapporti di vassallaggio con il re, anche loro, come Canario e Assimiro; schiere armate di arco e frecce (quadrella) uno è il sultano (soldano) dell’isola di Ormùs, terra nobile e bella, che è circondata dal Golfo Persico; l’altro è signore di Boecan: anch’essa isola bagnata dal Golfo Persico ma quando poi il mare si ritira per la bassa marea (scemando...s’abbassa), il viaggiatore può passare a piedi senza bagnarsi. 26 Né te, Altamoro, entro al pudico letto potuto ha ritener la sposa amata. Pianse, percosse il biondo crine e ’l petto 26 Né te Altamoro, dentro al letto coniugale (pudico letto) ha potuto tenerti la sposa amata. Pianse colpì i per distornar la tua fatale andata: «Dunque,» dicea «crudel, più che ’l mio aspetto, del mar l’orrida faccia a te fia grata? fia l’arme al braccio tuo più caro peso che ’l picciol figlio a i dolci scherzi inteso?». capelli biondi e il petto per distoglierti da partire per il tuo viaggio fatale: ‘dunque – diceva – o crudele, ti è più grato l’orribile volto del pericoloso mare del mio? sarà (fia) la spada un peso più caro al tuo braccio che il tuo figlioletto intento (inteso) ai dolci giochi infantili?’ 27 È questi re di Sarmacante; e ’l manco ch’in lui si pregi, è il libero diadema, così dotto è ne l’arme, e così franco ardir congiunge a gagliardia suprema. Saprallo ben (l’annunzio) il popol franco, ed è ragion ch’insino ad or ne tema. I suoi guerrieri indosso han la corazza, la spada al fianco ed a l’arcion la mazza. 27 È questi il re di Samarcanda (Samarcante); posta sulla Via della seta, fu centro commerciale floridissimo; e il suo minor pregio è che è un sovrano autonomo (libero diadema)’; quindi ha deciso di prestare soccorso al re d’Egitto volontariamente, non perché suo vassallo (e per questo l’inserto patetico della moglie a 26, 5-8 pare ancor più pregnante). così è abile nell’uso delle armi e così unisce a un valoroso coraggio una grandissima forza (gagliardia suprema). lo saprà ben, lo annuncio fin da ora (l’annunzio), l’esercito crociato, ed è ben motivo che già da adesso ne abbia timore (ne tema) con evidente contrasto rispetto ai soldati sfilati sino ad ora, quelli comandati da Altamoro, uomo di cui si sono fatti grandi elogi, sono armati di tutto punto, veri combattenti. 28 Ecco poi fin da gl’Indi e da l’albergo de l’aurora venuto Adrasto il fero, che di serpenti indosso ha per usbergo il cuoio verde e maculato a nero, e smisurato a un elefante il tergo preme così come si suol destriero. Gente guida costui di qua dal Gange che si lava nel mar che l’Indo frange. 28 ecco poi passare in rassegna il feroce (fero) Adrasto venuto dall’estremo Oriente, dove l’Aurora risiede e si fa vedere che indossa una corazza (usbergo) fatta di pelle (cuoio) di serpente verde con macchie nere; la provenienza geografica sempre più lontana degli eserciti comporta anche un accresciuto elemento di esotismo misto alla bizzarria, come si può vedere nel ritratto di Adrasto e cavalca (il tergo preme) come si fa con un cavallo (destriero) un enorme (smisurato) elefante conduce soldati al di qua del Gange che vivono sulle anche loro con le spalle cinte con la faretra; e cavalcano (premono il dorso) cavalli bianchi che sono rapidi a volteggiare (al giro pronti) e leggeri (lievi) nella corsa. 35 Segue il suo stuolo, ed Aradin con quello ch’Idraote assoldò ne la Soria. Come allor che ’l rinato unico augello i suo’ Etiòpi a visitar s’invia vario e vago la piuma, e ricco e bello di monil, di corona aurea natia, stupisce il mondo, e va dietro ed a i lati, meravigliando, essercito d’alati, 35 segue Armida la sua schiera (stuolo), ed Aradin con quella schiera (con quello) che Idraote ha assoldato in Siria; per il parallelo tra Armida e la Fenice, l’uccello che risorge ed è nuovamente splendido nella sua bellezza; come quando la Fenice (’l rinato unico augello) parte per tornare a visitare l’Etiopia; si riferisce alla credenza secondo la quale, dopo essere morta ed essere rinata, la Fenice si dirigesse verso Heliopolis, con le piume di vari ed eleganti colori, e con una collana che le cinge il collo e una ricca corona sulla testa, fa rimanere stupefatto il mondo intero, e la segue, dietro e ai lati, meravigliato da tanto splendore, un corteo di uccelli 36 così passa costei, meravigliosa d’abito, di maniere e di sembiante. Non è allor sì inumana o sì ritrosa alma d’amor che non divegna amante. Veduta a pena e in gravità sdegnosa, invaghir può genti sì varie e tante; che sarà poi, quando in più lieto viso co’ begli occhi lusinghi e co ’l bel riso? 36 così passa Armida (costei), splendida nell’abito, nei modi (maniere) e nell’aspetto (sembiante). non vi è un’anima così resistente o insensibile all’amore che non se ne innamori (non divegna amante). vista appena per un momento e con un atteggiamento di sdegnosa gravità, può far innamorare di sé (invaghir) un numero così grande di uomini che cosa potrà accadere poi, quando con un viso più sereno (lieto) seduca con i suoi occhi belli e con il suo sorriso?. 37 Ma poi ch’ella è passata, il re de’ regi comanda ch’Emireno a sé ne vegna, ché lui preporre a tutti i duci egregi e duce farlo universal disegna. Quel, già presago, a i meritati pregi con fronte vien che ben del grado è degna: la guardia de’ Circassi in due si fende e gli fa strada al seggio, ed ei v’ascende; 37 Pochè lei è passata, il re d’Egitto (il re de’ regi) comanda che venga Emireno, che ha intenzione (disegna) di preferirlo tra tutti i grandi comandanti e di eleggerlo (farlo) capitano supremo Emireno (quel), che già intuiva l’intenzione del re (presago), viene per accettare l’onore del comando che sa di meritare con il viso (fronte) ben degno del grado, cioè, con una postura solenne e orgogliosa: il corpo di guardia dei Circassi (che circonda il trono, cfr. 13, 1-4) si allarga in due per lasciargli aperta la strada verso il trono, e lui vi sale (ascende). 38 e chino il capo e le ginocchia, al petto giunge la destra. Il re così gli dice: «Te’ questo scettro; a te, Emiren, commetto le genti, e tu sostieni in lor mia vice, e porta, liberando il re soggetto, su’ Franchi l’ira mia vendicatrice. Va’, vedi e vinci; e non lasciar de’ vinti avanzo, e mena presi i non estinti». 38 e inginocchiatosi e con la testa bassa, pone la mano destra sul petto’. Il re dice: «Tieni (te’) questo scettro a te, Emireno, affido (commetto) i soldati (le genti), e tu prendi il mio posto (sostieni mia vice) su di loro (in loro) e porta la mia ira vendicatrice contro l’esercito cristiano, liberando Aladino mio vassallo (soggetto). Vai, osserva la situazione e poi vinci; e non lasciare nessuno degli sconfitti, e conduci (mena) prigionieri (presi) quelli che non saranno morti durante il combattimento (non estinti)». 39 Così parlò il tiranno, e del soprano imperio il cavalier la verga prese: «Prendo scettro, signor, d’invitta mano,» disse «e vo co’ tuo’ auspici a l’alte imprese, e spero, in tua virtù, tuo capitano, de l’Asia vendicar le gravi offese; né tornerò se vincitor non torno, e la perdita avrà morte, non scorno. 39 Così parlò il re d’Egitto (il tiranno) Emireno (il cavalier) prese lo scettro (la verga) del comando affidatogli dal re: «Prendo lo scettro da una mano mai sconfitta, invincibile (invitta mano) » disse «e vado (vo) sotto i tuoi auspici a un’impresa gloriosa; e spero, per tua volontà (in tua virtù), come tuo capitano di vendicare le gravi offese arrecate a tutta l’Asia né ritornerò se non sarò vincitore, e la sconfitta, se dovesse esserci, mi darà la morte, non il disonore (scorno); in altre parole, dichiara di essere disposto a morire piuttosto di perdere e sopravvivere in modo poco coraggioso. 40 Ben prego il Ciel che, s’ordinato male (ch’io già no ’l credo) di là su minaccia, tutta su ’l capo mio quella fatale tempesta accolta di sfogar gli piaccia; e salvo rieda il campo, e ’n trionfale più che in funebre pompa il duce giaccia». Tacque, e seguì co’ popolari accenti misto un gran suon de’ barbari instrumenti. 40 prego il Cielo che, se minaccia di lassù una predestinata sconfitta (ma io non lo credo affatto), gli piaccia di sfogare tutta sulla mia testa (su ’l capo mio) quella destinata (fatale) tempesta e l’intero esercito (il campo) ritorni (rieda) salvo, e il capitano (cioè lui stesso) giaccia in un corteo trionfale più che funebre». Tacque e seguì con le acclamazioni di tutti i soldati dell’esercito (co’ popolari accenti) insieme al suono degli strumenti barbari. 41 E fra le grida e i suoni in mezzo a densa nobile turba il re de’ re si parte; e giunto a la gran tenda, a lieta mensa raccoglie i duci e siede egli in disparte, ond’or cibo, or parole altrui dispensa, né lascia inonorata alcuna parte. Armida a l’arte sue ben trova loco quivi opportun fra l’allegrezza e ’l gioco. 41 e il re d’Egitto se ne va (si parte) circondato da un grande (densa) seguito di nobili (nobile turba) e fra le grida e al suono degli strumenti e giunto al suo padiglione (la gran tenda), ad un gradevole banchetto (lieta mensa) raccoglie i condottieri e egli siede (in disparte) in un luogo appartato, riservato a lui da dove ora fa mandare cibo, ora parla con i suoi ospiti (altrui), né dimentica, priva dell’onore della sua attenzione nessuna parte degli invitati Armida trova qui un posto ben adatto (opportuno) alle sue arti seduttive, nel clima allegro e scherzoso (fra l’allegrezza e ’l gioco). 42 Ma già tolte le mense, ella che vede tutte le viste in sé fisse ed intente, e ch’a’ segni ben noti omai s’avede che sparso è il suo venen per ogni mente, sorge e si volge al re da la sua sede con atto insieme altero e riverente, e quanto può magnanima e feroce cerca parer nel volto e ne la voce. 42 ma dopo che sono già stati portati via i cibi (tolte le mense), Armida si accorge di avere tutti gli sguardi concentrati su di sé e si accorge (s’avede) dai segnali ormai a lei ben noti che il suo veleno – amoroso – ha ormai pervaso ogni persona; analogamente a quanto era accaduto nel campo cristiano nel corso della sua apparizione (IV, 28 sgg.), Armida attira tutte le attenzioni (cfr. IV, 28, 4: «...’l guardo ognun v’intende») e legge nei volti altrui i segni del suo fascino (cfr. IV, 33); solo dopo questa prima opera seduttiva comincia a parlare. si alza (sorge) e si rivolge dal suo posto al re con atto nello stesso tempo coraggioso e rispettoso (riverente)’e quanto può nobile e fiera (magnanima e feroce) cerca parer nel volto e nella voce. 43 «O re supremo,» dice «anch’io ne vegno per la fé, per la patria ad impiegarmi. Donna son io, ma regal donna: indegno 43 «O re supremo,» dice «anch’io vengo ad arruolarmi (impiegarmi) in difesa della mia religione e della mia patria; dei propositi dichiarati da Armida a XVI, 66, 1-2 e 5-6. Ne faccio qui ferma (stabil) promessa ne faccio giuramento inviolabile. ora se c’è qualcuno che giudichi (stimi) la nostra ricompensa degna del rischio, parli e si faccia vedere. » 49 Mentre la donna in guisa tal favella, Adrasto affigge in lei cupidi gli occhi: «Tolga il Ciel» dice poi «che le quadrella nel barbaro omicida unqua tu scocchi, ché non è degno un cor villano, o bella saettatrice, che tuo colpo il tocchi. Atto de l’ira tua ministro sono, ed io del capo suo ti farò dono. 49 Mentre la donna parla in questo modo, Adrasto fissa su di lei gli occhi desiderosi non voglia (tolga) il Cielo che tu mai (unqua) debba scoccare (scocchi) le frecce (quadrella) contro Rinaldo (barbaro omicida, con ripresa di 47, 5), perché un cuore vile (cor villano) non è degno di essere colpito (il tocchi) da una tua freccia (tuo colpo); si noti come nelle pieghe del discorso di Adrasto serpeggi l’atteggiamento di un uomo già conquistato dall’amore; io sono il perfetto esecutore (atto...ministro) della tua ira, ed io ti darò in dono la sua testa 50 Io sterparogli il core, io darò in pasto le membra lacerate a gli avoltoi». Così parlava l’indiano Adrasto, né soffrì Tisaferno i vanti suoi: «E chi sei,» disse «tu, che sì gran fasto mostri, presente il re, presenti noi? Forse è qui tal ch’ogni tuo vanto audace supererà co’ fatti, e pur si tace». 50 io gli strapperò (sterparogli) il cuore, io darò il suo corpo smembrato in pasto agli avvoltoi. Parlava così l’indiano Adrasto né sopportò (soffrì) le vanterie di Adrasto’ e chi sei tu, che dimostri una così grande presunzione (fasto) davanti al re e davanti a noi?’ ‘forse c’è qui qualcuno che ogni tua vanteria audace supererà con i fatti, e però tace, non parla’; evidente il riferimento a se stesso. 51 Rispose l’Indo fero: «Io mi son uno ch’appo l’opre il parlare ho scarso e scemo. Ma s’altrove che qui così importuno parlavi, tu parlavi il detto estremo». Seguito avrian, ma raffrenò ciascuno dimostrando la destra il re supremo. Disse ad Armida poi: «Donna gentile, ben hai tu cor magnanimo e virile; 51 Rispose l’indiano sono uno che rispetto alla fierezza delle opere ha una debole e scarsa abilità oratoria’; in altre parole, i miei fatti sono assai più eloquenti delle mie misere parole, secondo un ritratto canonico dell’eroe epico cavalleresco; ma se tu avessi pronunciato queste tue parole così inopportune, offensive in un altro posto che qui, alla presenza del re, tu avresti detto le tue ultime parole (detto estremo)’; benché interpretato secondo modalità più tipicamente epiche, sia per contegno sia per il linguaggio adottato, il diverbio tra Adrasto e Tisaferno ripropone il tema delle conflittualità interna al campo prodotta da Armida, così come era avvenuto per l’esercito cristiano avrebbe continuato – a litigare –, ma il re d’Egitto placò (raffrenò) gli animi sollevando la destra. Poi disse ad Armida: donna nobile, hai un cuore regale e coraggioso (magnanimo e virile). 52 e ben sei degna a cui suoi sdegni ed ire l’uno e l’altro di lor conceda e done, perché tu poscia a voglia tua le gire contra quel forte predator fellone. Là fian meglio impiegate, e ’l vostro ardire là può chiaro mostrarsi in paragone» Tacque, ciò detto; e quegli offerta nova fecero a lei di vendicarla a prova. 52 e sei ben degna che a te (a cui) sia Adrasto che Tisaferno (l’uno e l’altro) ti concedano e ti offrano (conceda e done) i loro sdegni e le loro ire, affinché tu le possa poi, secondo il tuo desiderio (a tua voglia), rivolgere (le gire) contro Rinaldo (forte predator fellone) là, nel combattimento con Rinaldo, saranno (fian) utilizzate in modo più opportuno (meglio impiegate) e il vostro coraggio (ardire) là potrà mettersi in luce (chiaro mostrarsi) nella lotta, nella battaglia (in paragone). Detto ciò tacque e fecero a gara, in competizione (a prova), tra di loro per vendicarla. 53 Né quelli pur, ma qual più in guerra è chiaro la lingua al vanto ha baldanzosa e presta. S’offerser tutti a lei, tutti giuraro vendetta far su l’essecrabil testa, tante contra il guerrier ch’ebbe sì caro armi or costei commove e sdegni desta. Ma esso, poi ch’abbandonò la riva, felicemente al gran corso veniva. 53 né solamente quei due, ma tutti i più famosi (chiaro) i cavalieri e hanno la lingua veloce e baldanzosa a vantarsi’ di promettere di vendicare Armida. Si offrirono a lei giurarono tutti di farle vendetta sulla testa di Rinaldo (essecrabil per ‘ignobile’), ‘contro Rinaldo, il guerriero che le era stato così caro, ora incita (commove) tante armi e risveglia (desta) tanti sdegni’. ma Rinaldo (esso), poi che aveva lasciato la spiaggia (cfr. XVI, 62, 5-8), felicemente continuava (veniva) il suo gran viaggio (gran corso); con sapiente dissolvenza dal nome di Rinaldo, oggetto dell’ira di Armida, e proprio nel momento in cui si registra la nuova strategia di questa nei suoi confronti, si apre la seconda, grande sequenza narrativa del canto, con protagonista il cavaliere cristiano. 54 Per le medesme vie ch’in prima corse, la navicella indietro si raggira; e l’aura, ch’a le vele il volo porse, non men seconda al ritornar vi spira. Il giovenetto or guarda il polo e l’Orse ed or le stelle rilucenti mira, via de l’opaca notte, or fiumi e monti che sporgono su ’l mar l’alpestre fronti; 54 la navicella torna indietro (indietro si raggira) seguendo lo stesso itinerario compiuto nel viaggio d’andata il vento, che gonfiò le vele e le spinse, soffia (spira) non meno propizio, favorevole (non men seconda) per il viaggio di ritorno (al ritornar) Rinaldo (il giovenetto) ora guarda nel cielo le costellazioni dell’Orsa maggiore e minore e ora osserva (mira) le stelle brillanti, scintillanti (rilucenti), che sono la via, la strada nella notte buia (opaca), ora guarda fiumi e monti che affacciano (sporgono) sul mare le loro alte cime (alpestre fronti) 55 or lo stato del campo, or il costume di varie genti investigando intende. E tanto van per le salate spume, che lor da l’orto il quarto sol risplende; e quando omai n’è disparito il lume, la nave terra finalmente prende. Disse la donna allor: «Le palestine piaggie son qui: qui del viaggio è il fine». 55 ora chiedendo notizie (investigando) – ai suoi compagni di viaggio (Carlo, Ubaldo e la Fortuna) – si informa sullo stato dell’esercito crociato (campo) e sulle diverse popolazioni (varie genti); varie genti dovrebbe essere allusione all’esercito egiziano, già sorvolato dalla nave della Fortuna all’andata, anche se potrebbe essere, con minore rigore epico, riferito alle diverse regioni e popoli che vedono viaggiando, e tanto vanno per il mare (le salate spume) che il sole risplende per la quarta volta dall’oriente; la durata del viaggio è identica a quella dell’andata e quando ormai il sole sta tramontando (n’è disparito il lume), la nave raggiunge finalmente la terra. Disse la donna: ‘le spiagge della Palestina (palestine piaggie) sono qui, questa è la fine del viaggio (là) vorrai rimanere (giacer) tu lontano dalle alte cime – della virtù –, quasi come un uccello destinato a volare nei cieli più alti (sublime) che invece volteggia nelle basse valli? 62 T’alzò natura inverso il ciel la fronte, e ti diè spirti generosi ed alti, perché in su miri e con illustri e conte opre te stesso al sommo pregio essalti; e ti diè l’ire ancor veloci e pronte, non perché l’usi ne’ civili assalti, né perché sian di desideri ingordi elle ministre, ed a ragion discordi, 62 La natura ti ha alzato verso il cielo e ti ha dato sentimenti generosi e nobili (alti), perché tu rivolga verso l’alto il tuo agire e con opere gloriose ed egregie (conte) tu possa innalzare (essalti) te stesso verso la più alta e nobile virtù’ e ti ha dato le forze dell’ira rapide e pronte, non perché tu le usassi nelle battaglie civili, né perché siano strumento (ministre) di un avido desiderio, e contrarie, ostili alla ragione; evidente il riferimento all’uccisione di Gernando, frutto di un eccesso d’ira non guidata dalla ragione, e agli amori con Armida, cedimento alle lusinghe della passione erotica; il mago d’Ascalona rivolge a Rinaldo un discorso perfettamente allineato alla sua funzione di «umana sapienza» che «indirizzata da virtù superiore libera l’anima sensitiva dal vizio, e v’introduce la moral virtù 63 ma perché il tuo valore, armato d’esse, più fero assalga gli aversari esterni, e sian con maggior forza indi ripresse le cupidigie, empi nemici interni. Dunque ne l’uso per cui fur concesse l’impieghi il saggio duce e le governi, ed a suo senno or tepide or ardenti le faccia, ed or le affretti ed or le allenti». 63 ma perché il tuo valore, scortato dalle ire (armato d’esse), assalga con ancora maggior determinazione i nemici (aversari) esterni, e siano poi anche soggiogati, sopraffatti con maggior energia, forza i desideri passionali, terribili e peccaminosi nemici interni, che risiedono cioè nell’animo dell’uomo; la maturazione morale interiore e quella esteriore di cavaliere degno vanno di pari passo, anzi, la sede dove si annidano più pericolosamente gli “errori” è proprio l’interiorità ‘dunque le utilizzi nell’uso per le quali furono concesse Goffredo (il saggio duce) e le guidi, e secondo la sua volontà ora le inciti ora le raffreddi, ora le solleciti ora le trattenga 64 Così parlava; e l’altro, attento e cheto a le parole sue d’alto consiglio, fea de’ detti conserva, e mansueto volgeva a terra e vergognoso il ciglio. Ben vide il mago veglio il suo secreto, e gli soggiunse: «Alza la fronte, o figlio, e in questo scudo affissa gli occhi omai, ch’ivi de’ tuoi maggior l’opre vedrai. 64 Così diceva e l’altro attento e in silenzio alle sue parole di grande saggezza (d’alto consiglio) conservava le parole nella sua memoria, e teneva rivolto a terra, mansueto e vergognoso, lo sguardo ‘solleva la fronte, o figlio, e fissa lo sguardo su questo scudo, perché qui vedrai le opere dei tuoi antenati, della tua stirpe’; prende avvio la descrizione dello scudo raffigurante le imprese della casata estense; in competizione soprattutto con Virgilio, T. dedica questa ampia parentesi al motivo encomiastico del poema.A differenza però del modello latino, non sarà indicata qui la progenie futura di Rinaldo, quanto una vera e propria genealogia degli avi. 65 Vedrai de gli avi il divulgato onore, lunge precorso in loco erto e solingo; tu dietro anco riman’, lento cursore, per questo de la gloria illustre arringo. Su su, te stesso incita: al tuo valore sia sferza e spron quel ch’io colà dipingo». Così diceva; e ’l cavalier affisse lo sguardo là, mentre colui sì disse. 65 vedrai la fama dei tuoi avi spiegata minutamente (divulgato), che inizia da lontano in un luogo ripido e solitario; potrebbe essere allusione alla regione geografica da cui proviene la casata come allusione al colle della virtù ricordato poche ottave sopra (cfr. 61, 3-4) tu resti ancora indietro, corridore lento (lento cursore), in questa nobile competizione (illustre arringo) per la gloria sia stimolo e sprone alla tua virtù ciò che io là, cioè sullo scudo, ti vengo ad illustrare’; lo scudo istoriato assume quindi il valore di un racconto per immagini esemplari. Così disse e mentre lui disse 66 Con sottil magistero in campo angusto forme infinite espresse il fabro dotto. Del sangue d’Azio, glorioso, augusto l’ordin vi si vedea, nulla interrotto: vedeasi dal roman fonte vetusto i suoi rivi dedur puro e incorrotto. Stan coronati i principi d’alloro, mostra il vecchio le guerre e i pregi loro. 66 l’abilissimo scultore (fabro dotto) ha rappresentato (espresse) con raffinata tecnica (sottil magistero) in uno spazio ristretto (campo angusto) un’infinità di figure (forme infinite) Del sangue...interrotto: vi si vedeva la gloriosa e nobile discendenza (ordin) degli Estensi (sangue Azio), senza alcuna interruzione, tutta intera si vedevano dall’antica sorgente romana pura e incorrotta derivare (dedur) i suoi fiumi, in altre parole la progenie successiva che ha mantenuto inalterata la nobiltà romana delle origini. I princi hanno la corona d’alloro, il vecchio mostra le loro guerre e i loro pregi (le glorie) 67 Mostragli Caio, allor ch’a strane genti va prima in preda il già inclinato impero, prendere il fren de’ popoli volenti e farsi d’Esti il principe primiero, ed a lui ricovrarsi i men potenti vicini a cui rettor facea mestiero. Poscia, quando ripassa il varco noto, a gli inviti d’Onorio, il fero goto, 67 secondo la versione proposta da Pigna Caio Azio divenne signore d’Este all’epoca delle invasioni dei Goti, guidate da Alarico; i Goti (strane genti) sono preda del declinanate, decadente impero romano (inclinato impero) che si sottoposero volontariamente al suo dominio (popoli violenti) che avevano bisogno di un governatore, poi quando ripassa il passo delle Alpi già conosciuto da Alarico (varco noto) perché vi era passato nel corso della prima invasione dei Visigoti. 68 e quando sembra che più avampi e ferva di barbarico incendio Italia tutta, e quando Roma, prigioniera e serva, sin dal profondo teme esser destrutta, mostra ch’Aurelio in libertà conserva la gente sotto al suo scettro ridutta. Mostragli poi Foresto che s’oppone a l’unno regnator de l’Aquilone. 68 e quando sembra che tutta l’Italia sia infiammata e avvampi dell’incendio dei barbari e quando Roma prigioniera e serva crede di essere distrutta dalle fondamenta (dal profondo) fa vedere che Aurelio (il successore di Caio) conserva in libertà tutte le popolazioni che si erano radunate sotto la protezione del suo scettro’ gli fa vedere Foresto d’Este che si oppone ad Attila, il re degli Unni 69 Ben si conosce al volto Attila il fello, ché con occhi di drago ei par che guati, ed ha faccia di cane, ed a vedello dirai che ringhi e udir credi i latrati; poi vinto il fero in singolar duello mirasi rifuggir fra gli altri armati, e la difesa d’Aquilea poi tòrre il buon Foresto, de l’Italia Ettorre. 69 è ben noto il volto del fellone Attila, perché sembra che guardi con occhi di drago, ed ha la faccia simile al muso di un cane, e vedendolo diresti che ringhi e crederesti di sentire i latrati; i tratti selvaggiamente animaleschi della figura di Attila appartengono alla tradizione narrativo-cronachistica che lo disegna, per l’appunto, come un mostro selvaggio poi dopo averlo battuto nel duello singolare, lo si vede fuggire in mezzo agli altri per trovare scampo e il buon Foresto prendere Non si vedea virile erede a tanto retaggio a sì gran padre esser successo. Seguia Matelda, ed adempia ben quanto difetto par nel numero e nel sesso, ché può la saggia e valorosa donna sovra corone e scettri alzar la gonna. Ferrara e conte di Canossa), Bonifacio III (figlio di Tedaldo) con sua moglie Beatrice non si vedeva succedere un erede maschio a un così nobile padre a tanta nobiltà (retaggio); dal matrimonio con Beatrice non nacquero infatti eredi maschi, ma solo un’erede donna, Matilde ra poi raffigurata Matilde, che compensò largamente il difetto del numero (era la sola erede) e del sesso (essendo donna), perché può governare e imporre la sua autorità grazie alla sua saggezza e al suo coraggio 78 Spira spiriti maschi in nobil volto, mostra vigor più che viril lo sguardo: là configea i Normanni, e ’n fuga vòlto si dileguava il già invitto Guiscardo; qui rompea Enrico il quarto, ed a lui tolto offriva al tempio imperial stendardo; qui riponea il pontefice soprano nel gran soglio di Pietro in Vaticano. 78 il suo nobile volto è animato da un animo virile (spiriti maschi), e il suo sguardo mostra una forza più che virile, in una parte dello scudo (là) è rappresentata mentre sconfigge i Normanni, e già si vede mentre si allontana (si dilegua) in fuga Guiscardo un tempo invincibile (invitto) in quest’altra parte dello scudo la si vede mentre sbaraglia (rompea) Enrico IV, e preso a lui lo stendardo imperiale, lo offre al papa (al tempio) Matilde liberò il papa, probabilmente Gregorio VII, imprigionato dal prefetto di Roma. 79 Poi vedi, in guisa d’uom ch’onori ed ami, ch’or l’è al fianco Azzo il quinto, or la seconda. Ma d’Azzo il quarto in più felici rami germogliava la prole alma e feconda. Va dove par che la Germania il chiami Guelfo il figliuol, figliuol di Cunigonda; e ’l buon germe roman con destro fato è ne’ campi bavarici traslato. 79 poi vedi rappresentato nello scudo Azzo V, nell’atteggiamento di un uomo che onori e ami Matilde, ora è al suo fianco, ora la segue ma in più lieti rami fioriva la figliolanza nobile e feconda di Azzo IV in realtà si tratta di Azzo II Guelfo, figlio di Cunegonda e Azzo IV (in realtà II), andò in Germania, dove diede origine al ramo tedesco degli Estensi e il valoroso seme romano con un destino favorevole si trapianta nei campi della Baviera 80 Là d’un gran ramo estense ei par ch’inesti l’arbore di Guelfon, ch’è per sé vieto, quel ne’ suoi Guelfi rinovar vedresti 80 sembra che in Germania si innesti in un ramo della dinastia dei Guelfi, ormai di per sé vecchio, sterile il ramo scettri e corone d’or, più che mai lieto, e co ’l favor de’ bei lumi celesti andar poggiando, e non aver divieto: già confina co ’l ciel, già mezza ingombra la gran Germania, e tutta anco l’adombra. estense (quel) lo potresti vedere mentre si rinnova con scettri e corone d’oro, più felice e florido che mai ‘e con il favore delle stelle benigne continuare salendo negli onori, senza trovare impedimenti il ramo estense tocca quasi il cielo e sovrasta quasi mezza Germania, e tutta intera la ricopre d’ombra 81 Ma ne’ suoi rami italici fioriva bella non men la regal pianta a prova. Bertoldo qui d’incontra a Guelfo usciva, qui Azzo il sesto i suoi prischi rinova. Questa è la serie de gli eroi che viva nel metallo spirante par si mova. Rinaldo sveglia, in rimirando, mille spirti d’onor da le natie faville, 81 ma la stirpe estense (la regal pianta) fioriva non meno bella nei suoi rami italiani a gara con quelli tedeschi’si vede rappresentato Bertoldo di fronte (d’incontra) a Guelfo, e qui Azzo VI rinnova le gesta dei suoi antenati; Bertoldo e Azzo VI sarebbero i due capostipiti del ramo italiano degli Estensi, come Guelfo lo è per quello tedesco; questa è la rassegna, la serie degli eroi che sembra muoversi come se fosse viva nel metallo animato (spirante) Rinaldo, osservando questa serie di eroi (mirando), risveglia dal suo naturale ardore mille spiriti di gloria e di onore 82 e d’emula virtù l’animo altèro commosso avampa, ed è rapito in guisa che ciò che imaginando ha nel pensiero, città abbattuta e presa e gente uccisa, pur, come sia presente e come vero, dinanti a gli occhi suoi vedere avisa; e s’arma frettoloso, e con la spene già la vittoria usurpa e la previene. 82 e il suo animo altero si infiamma commosso, profondamente toccato da una virtù che intende emulare ed è esaltato in modo tale che quello che si figura con il pensiero, cioè Gerusalemme distrutta e conquistata (abbattuta e presa) e la strage dei nemici (gente uccisa), gli sembra (avisa), come se fosse presente e vero, di averlo davanti ai suoi occhi e in tutta fretta indossa le armi, e con la speranza strappa (usurpa) – ai nemici – la vittoria e la anticipa 83 Ma Carlo, il quale a lui del regio erede di Dania già narrata avea la morte, la destinata spada allor gli diede: «Prendila,» disse «e sia con lieta sorte, e solo in pro de la cristiana fede l’adopra, giusto e pio non men che forte; e fa del primo suo signor vendetta 83 Ma Carlo, che già aveva raccontato a Rinaldo la morte di Sveno (del regio erede di Dania), gli consegnò la spada a lui destinata prendila – disse – e sia con sorte lieta, e utilizzala (l’adopra) solamente a vantaggio (in pro) della fede cristiana, giusto e pio non meno che t’amò tanto, e ben a te s’aspetta». che forte; la spada destinata da Dio a Rinaldo deve essere potente strumento di giustizia e di fede, non solamente di morte e vendica il suo primo proprietario, Sveno, che tanto ti ammirò (t’amò tanto), e ben a te spetta questo compito 84 Rispose egli al guerriero: «A i cieli piaccia che la man che la spada ora riceve, con lei del suo signor vendetta faccia: paghi con lei ciò che per lei si deve». Carlo, rivolto a lui con lieta faccia, lunghe grazie ristrinse in sermon breve. Ma lor s’offriva il mago, ed al viaggio notturno l’affrettava il nobil saggio. 84 Rispose egli al guerriero: «A i cieli piaccia che la man che la spada ora riceve con questa spada (con lei) vendicate il suo signore paghi attraverso la spada (con lei) il tributo che si deve per averla (per lei)», in altre parole, che io vendichi Sveno uccidendo Solimano ‘un breve discorso’ (sermon breve) nel quale riassume mille ringraziamenti a Rinaldo ma si offriva a loro come guida il mago, e lo stesso mago li sollecitava al viaggio notturno 85 «Tempo è» dicea «di girne ove t’attende Goffredo e ’l campo, e ben giungi opportuno. Or n’andiam pur, ch’a le cristiane tende scorger ben vi saprò per l’aer bruno.» Così dice egli, e poi su ’l carro ascende e lor v’accoglie senza indugio alcuno; e rallentando a’ suoi destrieri il morso gli sferza, e drizza a l’oriente il corso. 85 è ormai ben tempo di andare (girne) dove ti aspettano Goffredo e tutto l’esercito cristiano (campo), e arrivi (giungi) ben utile, opportuno ora andiamoci, che vi saprò ben guidare (scorger) attraverso le tenebre notturne (aer bruno) verso il campo dei crociati (le cristiane tende). Così egli dice e poi sale (ascende) sul carro e allentando il morso ai cavalli (destrieri) li incita e rivolge verso oriente la corsa (il corso) 86 Taciti se ne gìan per l’aria nera, quando al garzon si volge il veglio e dice: «Veduto hai tu de la tua stirpe altera i rami e la vetusta alta radice; e se ben ella da l’età primiera stata è fertil d’eroi madre e felice, non è né fia di partorir mai stanca, ché per vecchiezza in lei virtù non manca. 86 Se ne vanno (se ne gian) nella notte : il mago d’Ascalona (veglio) si rivolge a Rinaldo (garzon) tu hai ben visto l’antica e nobile radice e i diversi rami della tua stirpe e sebbene sin dall’inizio (età primiera) è stata feconda e felice madre di eroi non è né sarà (fia) mai stanca di partorire, perché in lei non manca la virtù a causa della sua antichità’; in altre parole, la stirpe non vanta solo un passato glorioso, ma continua, e continuerà nel futuro, a generare correttamente, stabilendo le giuste pene e i giusti premi (librar), saper prevedere con abile intelligenza i pericoli e trovare rimedio in anticipo 93 Oh s’avenisse mai che contra gli empi che tutte infesteran le terre e i mari, e de la pace in quei miseri tempi daran le leggi a i popoli più chiari, duce se ’n gisse a vendicare i tèmpi da lor distrutti e i violati altari, qual ei giusta faria grave vendetta su ’l gran tiranno e su l’iniqua setta! 93 o se avvenisse che contro i Turchi (empi) che infestano le terre e i mari e in quei tempi tristi i Turchi stabiliranno le condizioni della pace (de la pace...daran le leggi) alle popolazioni più illustri e civili andasse come capitano (duce se ’n gisse) a vendicare le chiese distrutte da loro e gli altari profanati (violati) quale legittima, giusta vendetta compirebbe sul sultano turco e su quella religione ingiusta (iniqua setta) 94 Indarno a lui con mille schiere armate quinci il Turco opporriasi e quindi il Mauro, ch’egli portar potrebbe oltre l’Eufrate, ed oltre i gioghi del nevoso Tauro ed oltre i regni ov’è perpetua state, la Croce e ’l bianco augello e i gigli d’auro, e per battesmo de le nere fronti del gran Nilo scoprir le ignote fonti”». 94 invano gli si opporrebbero mille schiere di soldati, da una parte dei Turchi, dall’altra dei Mauri (da intendersi come popoli dell’Africa settentrionale) che egli (Alfonso II) potrebbe portare le insegne cristiane (la Croce) e della casata d’Este (la cui insegna araldica era formata da un’aquila bianca e dai gigli dorati) ben oltre l’Eufrate, oltre i passi montani del nevoso Tauro (monte dell’Anatolia), oltre i regni africani ‘e scoprire le misteriose sorgenti del Nilo per battezzare le popolazioni di colore (nere fronti) 95 Così parlava il veglio, e le parole lietamente accoglieva il giovenetto, che del pensier de la futura prole un tacito piacer sentia nel petto. L’alba intanto sorgea nunzia del sole, e ’l ciel cangiava in oriente aspetto, e su le tende già potean vedere da lunge il tremolar de le bandiere. 95 Così parlava il vecchio e le parole accoglievano il giovanotto che si sentiva un silenzioso compiacimento (tacito piacer) nell’animo pensando alla sua progenie futura (futura prole) l’alba intanto annunciava il sole (nunzia il sole) e il cielo cambiava aspetto e sulle tende si potevano già vedere da lontano (da lunge) il tremolar delle bandiere. 96 Ricominciò di novo allora il saggio: «Vedete il sol che vi riluce in fronte, 96 Ricominciò il mago d’Ascalona (il saggio) «vedi lo sol che in fronte ti e vi discopre con l’amico raggio le tende e ’l piano e la cittade e ’l monte. Securi d’ogni intoppo e d’ogni oltraggio io scòrti v’ho fin qui per vie non conte; potete senza guida ir per voi stessi omai; né lece a me che più m’appressi». riluce», a sottolineare ulteriormente la trama allegorica che accompagna il canto e il rapporto tra il mago e Rinaldo modellato su quello tra la ragione-Virgilio e il pellegrino Dante l’accampamento dei crociati (tende), la zona pianeggiante, Gerusalemme (la cittade) e i colli che la circondano vi ho condotti sin qui proteggendovi da ogni ostacolo (intoppo) e da ogni attacco dei nemici (oltraggio) percorrendo strade nascoste, segrete (non conte) potete andare (ir) ormai da soli, senza guida né mi è consentito (lece a me) avvicinarmi di più (m’appressi) 97 Così tolse congedo, e fe’ ritorno lasciando i cavalier ivi pedoni; ed essi pur contra il nascente giorno seguìr lor strada e gìr a i padiglioni. Portò la fama e divulgò d’intorno l’aspettato venir dei tre baroni, e inanzi ad essi al pio Goffredo corse, che per raccòrli dal suo seggio sorse. 97 Così si congedò lasciando a piedi (pedoni) Rinaldo, Carlo e Ubaldo (i cavalier) e loro, procedendo verso oriente (nella direzione opposta a quella del sole che sorgendo annunciava il nuovo giorno), andarono verso i padiglioni cristiani la fama fece circolare l’attesa notizia dell’arrivo dei tre nobili cavalieri, e Goffredo, che per andare ad accoglierli si alzò dal suo seggio, corse verso di loro CANTO DICIOTTESIMO 1 Giunto Rinaldo ove Goffredo è sorto ad incontrarlo, incominciò: «Signore, a vendicarmi del guerrier ch’è morto cura mi spinge di geloso onore; e s’io n’offesi te, ben disconforto ne sentii poscia e penitenza al core. Or vegno a’ tuoi richiami, ed ogni emenda son pronto a far, che grato a te mi renda». 1 Arrivato Rinaldo da Goffredo disse: ‘Signore, la difesa (cura) gelosa del mio onore mi spinse a vendicarmi di Gernando che è morto e se io così facendo ti ho offeso, ho offeso la tua autorità, ne ho provato poi nell’animo dolore (di sconforto) e pentimento (penitenza) ora vengo per sottopormi ai tuoi ordini, e sono pronto a fare qualunque ammenda, espiazione (emenda) che mi possa far tornare (renda) caro, gradito a te’ 2 A lui ch’umil gli s’inchinò, le braccia stese al collo Goffredo e gli rispose: «Ogni trista memoria omai si taccia, 2 a Rinaldo che si era umilmente inchinato Goffredo gettò le braccia al collo, lo abbracciò e disse: ‘si taccia ogni ricordo e pongansi in oblio l’andate cose. E per emenda io vorrò sol che faccia, quai per uso faresti, opre famose; e ’n danno de’ nemici e ’n pro de’ nostri vincer convienti de la selva i mostri. triste (trista memoria), e si dimentichino (pongansi in oblio) i fatti del passato e per ammenda, espiazione (emenda) io vorrò solamente che tu faccia, compia azioni gloriose (opre famose), quelle che tu faresti in ogni caso per il tuo valore (per uso, abitualmente) ed è necessario (convienti) che tu sconfigga i demoni della selva di Saron per aiutare i cristiani e a danno dei nostri nemici 3 L’antichissima selva, onde fu inanti de’ nostri ordigni la materia tratta, qual si sia la cagione, ora è d’incanti secreta stanza e formidabil fatta, né v’è chi legno di troncar si vanti, né vuol ragion che la città si batta senza tali instrumenti: or colà dove paventan gli altri, il tuo valor si prove». 3 dalla quale già fu prelevato il legname (materia tratta) per le nostre macchine da guerra ora quale ne sia la causa, è divenuta sede misteriosa (secreta) e spaventosa (formidabil) ‘né si trova qualcuno che possa vantarsi di tagliare un albero, né è possibile, ragionevole (ragion) che Gerusalemme sia abbattuta, conquistata senza l’aiuto delle macchine da guerra (tali instrumenti) ora dove tutti gli altri temono di andare, sia messo alla prova il tuo valore’; con un sapore da racconto fiabesco, Rinaldo deve dimostrare la sua piena redenzione sottoponendosi a una prova. 4 Così disse egli, e il cavalier s’offerse con brevi detti al rischio, a la fatica; ma ne gli atti magnanimi si scerse ch’assai farà, benché non molto ei dica. E verso gli altri poi lieto converse la destra e ’l volto a l’accoglienza amica: qui Guelfo, qui Tancredi, e qui già tutti s’eran de l’oste i principi ridutti. 4 Così disse egli e il cavaliere si offrì con poche parole (brevi detti) accetta di sottoporsi alla fatica e al rischio’ della prova ma nei gesti magnanimi si comprese (si scerse) che farà molto, benché parli poco e poi rivolse (converse) il volto e la mano felici all’amichevole accoglienza: Guelfo, Tancredi, e tutti qui si erano già radunati (ridutti) i più importanti cavalieri dell’esercito crociato (oste) 5 Poi che le dimostranze oneste e care con que’ soprani egli iterò più volte, placido affabilmente e popolare l’altre genti minori ebbe raccolte. Non saria già più allegro il militare grido o le turbe intorno a lui più folte se, vinto l’Oriente e ’l Mezzogiorno, trionfando n’andasse in carro adorno. 5 dopo che ebbe rinnovato (iterò) più volte le dimostrazioni (dimostranze) affettuose e cortesi con quei grandi cavalieri raccolse intorno a sé con fare amabile e modesto anche i soldati gerarchicamente meno importanti (l’altre genti minori) non sarebbe (saria) già più allegro il grido militare o più folte intorno a lui le truppe se, dopo aver vinto l’Asia e l’Africa bellezze incorrottibili e divine. contemplando tutt’intorno le incorruttibili bellezze divine da una parte notturne e dall’altra mattutine’, cioè gli astri, rispettivamente le stelle e il sole 13 Fra se stesso pensava: «Oh quante belle luci il tempio celeste in sé raguna! Ha il suo gran carro il dì, l’aurate stelle spiega la notte e l’argentata luna; ma non è chi vagheggi o questa o quelle, e miriam noi torbida luce e bruna ch’un girar d’occhi, un balenar di riso, scopre in breve confin di fragil viso». 13 quante splendide stelle (luci) ha in sé (raguna) il cielo (il tempio celeste) durante il giorno ha il carro del sole, la notte dispone in cielo le luminose stelle (aurate stelle) e l’argentata luna ma non c’è chi contempli o questa o quelle’, o la luna o le stelle ma noi osserviamo, guardiamo la luce torbida e oscura (bruna) che uno sguardo fuggevole o un sorriso ci fa vedere nel ristretto spazio di un volto femminile; al culmine del suo cammino di crescita, Rinaldo, dopo aver attraversato i pericolosi terreni dell’errore, diventa un perfetto cavaliere cristiano e comprende la miseria delle passioni umane in rapporto alla vastità del cosmo e alla potenza divina. 14 Così pensando, a le più eccelse cime ascese; e quivi, inchino e riverente, alzò il pensier sovra ogni ciel sublime e le luci fissò ne l’oriente: «La prima vita e le mie colpe prime mira con occhio di pietà clemente, Padre e Signor, e in me tua grazia piovi, sì che ’l mio vecchio Adam purghi e rinovi». 14 salì le più alte vette’ del Monte Oliveto inginocchiatosi con atteggiamento reverente innalzò il suo pensiero sublime sopra ogni cielo, per arrivare a Dio e tenne lo sguardo fisso verso oriente guarda con un occhio benevolo e clemente la mia prima vita e le mie prime colpe, Padre e Signore, fai cadere (piovi) in me la tua grazia, così che il mio corpo vecchio e peccatore (’l mio vecchio Adam) sia purificato e possa rinascere rinnovato 15 Così pregava, e gli sorgeva a fronte fatta già d’auro la vermiglia aurora che l’elmo e l’arme e intorno a lui del monte le verdi cime illuminando indora; e ventillar nel petto e ne la fronte sentia gli spirti di piacevol òra, che sovra il capo suo scotea dal grembo de la bell’alba un rugiadoso nembo. 15 Pregava e di fronte (a fronte) ormai già dorata la rosseggiante aurora che illumina con la sua luce dorata (indora) l’elmo, la corazza e le cime verdeggianti del monte che gli stanno intorno entiva le brezze (spirti) di un gradevole vento (òra) che lo accarezzavano sul petto e sulla fronte ‘che sopra la sua testa (capo) scuoteva dal grembo dell’alba una soffusa pioggia di rugiada (rugiadoso nembo) 16 La rugiada del ciel su le sue spoglie cade, che parean cenere al colore, e sì l’asperge che ’l pallor ne toglie 16 la rugiada del cielo cade sulle sue vesti (spoglie), che sembrano del colore della cenere, e si diffonde sopra di esse che ne e induce in esse un lucido candore; tal rabbellisce le smarrite foglie a i matutini geli arido fiore, e tal di vaga gioventù ritorna lieto il serpente e di novo or s’adorna. toglie il pallore e genera in loro un luminoso candore così le fresche rugiade della mattina (matutini geli) ravvivano (rabbellisce) le foglie smorte (smarrite) e il fiore inaridito (arido) e così il serpente lietamente rinasce a una felice gioventù e con una nuova pelle dorata (novo or) si adorna 17 Il bel candor de la mutata vesta egli medesmo riguardando ammira, poscia verso l’antica alta foresta con secura baldanza i passi gira. Era là giunto ove i men forti arresta solo il terror che di sua vista spira; pur né spiacente a lui né pauroso il bosco par, ma lietamente ombroso. 17 Rinaldo stesso ammira stupito (riguardando ammira) lo splendido candore della sua sopravveste che ha cambiato aspetto (mutata vesta) poi con sicura audacia, risolutezza (baldanza) si indirizza (i passi gira) verso l’antica foresta di Saron era arrivato in quel punto in cui i meno audaci sono fermati solamente dal terrore che suscita la vista del bosco pure a lui il bosco sembra (par) né spaventoso (pauroso) né sgradevole (spiacente), ma lietamente ombroso 18 Passa più oltre, e ode un suono intanto che dolcissimamente si diffonde. Vi sente d’un ruscello il roco pianto e ’l sospirar de l’aura infra le fronde e di musico cigno il flebil canto e l’usignol che plora e gli risponde, organi e cetre e voci umane in rime: tanti e sì fatti suoni un suono esprime. 18 Passa oltre e ode un suono che si diffonde dolcemente sente il tenue mormorio (roco pianto) di un ruscello e una lieve brezza (l’aura) sospirare tra i rami il debole, flebile canto di un cigno canoro e quello di un usignolo che gli risponde piangendo (plora e gli risponde) organi, cetre e voci umani che cantavano melodie in versi (in rime); così tanti suoni esprime un unico suono 19 Il cavalier, pur come a gli altri aviene, n’attendeva un gran tuon d’alto spavento, e v’ode poi di ninfe e di sirene, d’aure, d’acque, d’augei dolce concento, onde meravigliando il piè ritiene, e poi se ’n va tutto sospeso e lento; e fra via non ritrova altro divieto che quel d’un fiume trapassante e cheto. 19 Rinaldo si aspettava un terribile tuono che incutesse paura, così come era accaduto agli altri e ode un dolce concerto, la gradevole armonia (dolce cocento) delle ninfe delle sirene dell’acque degli uccelli, da ogni parte egli vada si meraviglia e poi se ne va sospettoso e prudente (sospeso e lento) e nel percorso non trova nessun altro ostacolo se non quello di un fiume che scorre placidamente (trapassante e cheto) 20 L’un margo e l’altro del bel fiume, adorno di vaghezze e d’odori, olezza e ride. Ei stende tanto il suo girevol corno 20 e due rive (margo) del bel fiume, arricchito di fiori bellissimi e profumati (vaghezze e d’odori), profuma e sorride il fiume che tra ’l suo giro il gran bosco s’asside, né pur gli fa dolce ghirlanda intorno, ma un canaletto suo v’entra e ’l divide: bagna egli il bosco e ’l bosco il fiume adombra con bel cambio fra lor d’umore e d’ombra. distende sinuosamente il suo corso fino a formare un corno all’interno del quale sta (s’asside) il gran bosco né solamente lo circonda facendogli una dolce ghirlanda, ma entra al suo interno con un fiumicello (canaletto) e divide in due il bosco rinfresca bagnandolo il bosco, e il bosco lo rinfresca con le sue ombre, con un felice scambio di acqua (umore) e di ombra 21 Mentre mira il guerriero ove si guade, ecco un ponte mirabile appariva: un ricco ponte d’or che larghe strade su gli archi stabilissimi gli offriva. Passa il dorato varco, e quel giù cade tosto che ’l piè toccata ha l’altra riva; e se ne ’l porta in giù l’acqua repente, l’acqua ch’è d’un bel rio fatta un torrente. 21 Mentre guarda il guerriero dove lo si possa guadare, attraversare (ove si guade) un ponte riccamente ornato d’oro che gli offriva un passaggio largo sopra le sue solidissime arcate passa il ponte d’oro (dorato varco) appena il piede tocca la riva e immediatamente – non appena Rinaldo ha raggiunto l’altra sponda – il ponte dorato è portato via, trascinato via dal fiume, dall’acqua che si è trasformata da un bel fiume in un impetuoso torrente 22 Ei si rivolge e dilatato il mira e gonfio assai quasi per nevi sciolte, che ’n se stesso volubil si raggira con mille rapidissime rivolte. Ma pur desio di novitade il tira a spiar tra le piante antiche e folte, e ’n quelle solitudini selvagge sempre a sé nova meraviglia il tragge. 22 Rinaldo si gira e lo guarda ingrossato (dilatato) e pieno d’acqua come durante lo scioglimento delle nevi montane che forma mille instabili mulinelli e vortici ma un desiderio di vedere nuovi prodigi lo spinge a spiare attraverso quelle piante secolari e folte ‘e in quel bosco solitario lo attirano delle sempre nuove meraviglie (nova meraviglia) 23 Dove in passando le vestigia ei posa, par ch’ivi scaturisca o che germoglie: là s’apre il giglio e qui spunta la rosa, qui sorge un fonte, ivi un ruscel si scioglie, e sovra e intorno a lui la selva annosa tutta parea ringiovenir le foglie; s’ammolliscon le scorze e si rinverde più lietamente in ogni pianta il verde. 23 dove camminando lascia le impronte dei suoi piedi, sembra che lì spuntino o germoglino fiori: là nasce un giglio, qui spunta una rosa, da un parte sgorga una fonte, e dall’altra scorre un ruscello e il bosco secolare (selva annosa) sopra e intorno a lui le cortecce indurite dal tempo si fanno morbide e si rinnova in ogni pianta lietamente il verde 24 Rugiadosa di manna era ogni fronda, e distillava de le scorze il mèle, e di novo s’udia quella gioconda strana armonia di canto e di querele; ma il coro uman, ch’a i cigni, a l’aura, a l’onda facea tenor, non sa dove si cele: 24 ogni ramo era carico di rugiadosa manna e dalle cortecce usciva il miele e di nuovo udia quella stana e gioconda armonia e lamenti (querele) ma il coro di voci umane che accompagnava (facea tenor) il canto dei cigni, del vento e dell’acqua, non si sa nascondi il bel volto dietro la celata, la visiera (celi), e mi fai vedere la spada? 32 giungi amante o nemico? Il ricco ponte io già non preparava ad uom nemico, né gli apriva i ruscelli, i fior, la fonte, sgombrando i dumi e ciò ch’a’ passi è intrico. Togli questo elmo omai, scopri la fronte e gli occhi a gli occhi miei, s’arrivi amico; giungi i labri a le labra, il seno al seno, porgi la destra a la mia destra almeno» 32 Giungi amante o nemico; si ricordi che Armida, a causa della bellezza di Rinaldo, aveva vissuto una metamorfosi proprio da nemica ad amante non avrei predisposto per arte magica non avrei predisposto per arte magica ud un nemico né gli facevo scorrere (apriva) i ruscelli, i fiori, la fonte ‘liberando i pruni, i cespugli (dumi) e ciò che ostacola il cammino, e gli occhi agli occhi miei se vieni come amico e ultime parole sono un invito esplicito a cedere alle lusinghe erotiche, a quel folle error da cui lo aveva messo in guardia Pietro l’Eremita’ 33 Seguia parlando, e in bei pietosi giri volgeva i lumi e scoloria i sembianti, falseggiando i dolcissimi sospiri e i soavi singulti e i vaghi pianti, tal che incauta pietade a quei martìri intenerir potea gli aspri diamanti; ma il cavaliero, accorto sì, non crudo, più non v’attende, e stringe il ferro ignudo. 33 Continuava a parlare e girava gli occhi (lumi) suscitando commozione (pietosi giri) e impallidiva (scoloria) nel volto simulando (falseggiando) i dolci sospiri, il singhiozzare soave e i dolci (vaghi) pianti n modo tale che un incauto sentimento di pietà di fronte a quei lamenti poteva intenerire i cuori più duri ma Rinaldo (cavaliero), non perché crudele (crudo) ma perché sa di trovarsi di fronte a una finzione (accorto sì), non aspetta oltre e stringe la spada sguainata (ferro nudo) 34 Vassene al mirto; allor colei s’abbraccia al caro tronco, e s’interpone e grida: «Ah non sarà mai ver che tu mi faccia oltraggio tal, che l’arbor mio recida! Deponi il ferro, o dispietato, o il caccia pria ne le vene a l’infelice Armida: per questo sen, per questo cor la spada solo al bel mirto mio trovar può strada». 34 Se ne va (vassene) al mirto, la finta Armida si abbraccia al tronco, si mette in mezzo, fa da scudo all’albero (s’interpone) e grida: ‘non succederà che mi faccia un tale oltraggio, e che tu tagli l’albero a me consacrato (l’arbor mio) solamente (solo) attraverso (per) il mio petto, attraverso il mio cuore la spada può trovare la strada per arrivare al bel mirto’ 35 Egli alza il ferro, e ’l suo pregar non cura; ma colei si trasmuta (oh novi mostri!) sì come avien che d’una altra figura, trasformando repente, il sogno mostri. Così ingrossò le membra, e tornò oscura la faccia e vi sparìr gli avori e gli ostri; crebbe in gigante altissimo, e si feo 35 Egli alza il ferro non si preoccupa delle preghiere della falsa Armida ‘così come accade che durante il sogno si passi da un’immagine all’altra con una rapidissima trasformazione così si ingrandirono le membra del corpo, il volto divenne scuro e sparirono la pelle d’avorio e rosata (ostri) con cento armate braccia un Briareo. divenne un gigante altissimo, si creò una specie di Briareo con cento braccia armate’, mitico gigante dalle cinquanta teste e cento braccia 36 Cinquanta spade impugna e con cinquanta scudi risuona, e minacciando freme. Ogn’altra ninfa ancor d’arme s’ammanta, fatta un ciclope orrendo; ed ei non teme: raddoppia i colpi a la difesa pianta che pur, come animata, a i colpi geme. Sembran de l’aria i campi i campi stigi, tanti appaion in lor mostri e prodigi. 36 impugna cinquanta spade e con cinquanta scudi risuona, e freme minaccioso. Ogni altra ninfa si riveste trasformata in un orrendo ciclope; e Rinaldo non ne ha paura come se fosse viva (animata), si lamenta (geme) quando subisce i colpi i campi, gli spazi del cielo sembrano, da quanti orrendi mostri e prodigi appaiono, i campi, gli spazi dell’inferno (stigi)’ 37 Sopra il turbato ciel, sotto la terra tuona: e fulmina quello, e trema questa; vengono i venti e le procelle in guerra, e gli soffiano al volto aspra tempesta. Ma pur mai colpo il cavalier non erra, né per tanto furor punto s’arresta; tronca la noce: è noce, e mirto parve. Qui l’incanto fornì, sparìr le larve. 37 tuonano sopra il cielo minaccioso, sotto la terra: il primo scaglia fulmini, la seconda scatena un terremoto vengono i venti e le tempeste tumultuose (procelle di guerra) e gli soffia sul viso una terribile tempesta ma nonostante ciò (pur) Rinaldo non sbaglia alcun colpo, né per questo diminuisce, si smorza la sua furia taglia l’albero di noce; è noce, e sembrava mirto. Qui finirono tutti gli incanti e scomparvero i fantasmi (le larve)’; l’albero di noce è caro alle streghe, poiché lo ritenevano propizio per i loro riti 38 Tornò sereno il cielo e l’aura cheta, tornò la selva al natural suo stato: non d’incanti terribile né lieta, piena d’orror ma de l’orror innato. Ritenta il vincitor s’altro più vieta ch’esser non possa il bosco omai troncato; poscia sorride, e fra sé dice: «Oh vane sembianze! e folle chi per voi rimane!». 38 Tornò l’aria serena (aura cheta) come il cielo, prima cupamente nuvoloso e popolato da apparizioni demoniache la foresta tornò ‘alla sua condizione naturale avvolta da un’aura spaventosa, ma sua propria naturale’, non effetto di magia Rinaldo prova più volte se non vi siano altri ostacoli che impediscano al bosco di essere tagliato o ingannevoli fantasmi! E folle chi a causa vostra si ferma (rimane) 39 Quinci s’invia verso le tende, e intanto colà gridava il solitario Piero: «Già vinto è de la selva il fero incanto, già se ’n ritorna il vincitor guerriero: vedilo». Ed ei da lunge in bianco manto comparia venerabile e severo, 39 da qui, dal bosco va verso le tende e intanto dal campo dei crociati gridava l’eremita Piero: ‘già vinto il feroce, terribile incantesimo (fero canto) se ne ritorna il guerriero vincitore: eccolo (vedilo)’ Rinaldo (ei) si vedeva da lontano avvolto e de l’aquila sua l’argentee piume splendeano al sol d’inusitato lume. da un bianco mantello, venerabile e sereno; dopo aver superato la prova, e al culmine della sua piena redenzione, Rinaldo viene caratterizzato da una coppia aggettivale che ne contraddistingue una moralità e un decoro ormai propri del cavaliere maturo e saggio e alla luce di un luminosissimo sole risplendevano le piume argentate della sua aquila’; cioè del simbolo araldico degli Estensi 40 Ei dal campo gioioso alto saluto ha con sonoro replicar di gridi; e poi con lieto onore è ricevuto dal pio Buglione, e non è chi l’invìdi. Disse al duce il guerriero: «A quel temuto bosco n’andai, come imponesti e ’l vidi: vidi, e vinsi gli incanti; or vadan pure le genti là, ché son le vie secure». 40 Rinaldo (ei) riceve dal campo gioiose e alte grida di giubilo più volte ripetute (replicar di gridi) ed è ricevuto onorevolmente e lietamente da Goffredo e poi viene ricevuto con onore dal poi Buglione nessuno lo invidia il condottiero guerriero disse: ‘andai in quel bosco pericoloso come mi hai comandato ho visto e ho vinto gli incantesimi: ora vadano pure gli artigiani, perché le strade sono sicure 41 Vassi a l’antica selva, e quindi è tolta materia tal qual buon giudicio elesse; e bench’oscuro fabro arte non molta por ne le prime machine sapesse, pur artefice illustre a questa volta è colui ch’a le travi i vinchi intesse: Guglielmo, il duce ligure, che pria signor del mare corseggiar solia; 41 ‘vanno (vassi) al bosco antico e da qui (quindi) è preso il legno (materia), quello che viene scelto dall’occhio esperto e abile degli artigiani (buon giudicio) e benché i carpentieri comuni (oscuro fabro) non avessero saputo costruire le prime macchine con molta abilità (arte), ora è un famoso costruttore (artefice illustre) quello che intreccia le travi con i giunchi di vimini (vinchi) Guglielmo, il capitano genovese, che prima era solito navigare (corseggiar) come un signore del mare 42 poi sforzato a ritrarsi ei cesse i regni al gran navilio saracin de’ mari, ed ora al campo conducea da i legni e le maritime arme e i marinari; ed era questi infra i più industri ingegni ne’ mecanici ordigni uom senza pari, e cento seco avea fabri minori, di ciò ch’egli disegna essecutori. 42 poi obbligato (sforzato) a ritirarsi lasciò (cesse) il dominio (i regni) dei mari alla potente flotta mussulmana (gran navilio saracin) e ora conduceva al campo dei crociati dalle navi i marinai e gli utensili, gli strumenti per riparare le navi; ora impiegati, invece, allo scopo di perfezionare la costruzione delle macchine da guerra. e Guglielmo (questi) era uno fra i più abili costruttori (industri ingegni), uomo senza uguali nella costruzione delle macchine da guerra (mecanici ordigni) e 50 quando di non so donde esce un falcone d’adunco rostro armato e di grand’ugna che fra ’l campo e le mura a lei s’oppone. Non aspetta ella del crudel la pugna; quegli, d’alto volando, al padiglione maggior l’incalza e par ch’omai l’aggiugna, ed al tenero capo il piede ha sovra: essa nel grembo al pio Buglion ricovra. 50 Quando non si sa da dove esce un falcone armato, dotato di un becco (rostro) adunco e di un grande artiglio (ugna) e si frappone, sta in mezzo tra il campo dei cristiani e Gerusalemme. Ella non aspetta l’attacco il falcone (quegli), volando a grande altezza, la incalza spingendola verso la tenda più grande (quella di Goffredo) e sembra che ormai la raggiunga (l’aggiugna) ed ha l’artiglio sopra la morbida testa della colomba; essa si rifugia (ricovra) nel grembo di Goffredo 51 La raccoglie Goffredo, e la difende; poi scorge, in lei guardando, estrania cosa, ché dal collo ad un filo avinta pende rinchiusa carta, e sotto un’ala ascosa. La disserra e dispiega, e bene intende quella ch’in sé contien non lunga prosa: «Al signor di Giudea» dice lo scritto «invia salute il capitan d’Egitto. 51 Goffredo la raccoglie poi la guarda e scorge qualcosa di insolito, di strano perché dal collo, legata con un filo, pende una lettera sigillata (rinchiusa carta), e nascosta sotto un’ala la apre e la allarga per poterla leggere e comprende perfettamente il messaggio scritto con un breve testo (non lunga prosa): ‘al re Aladino (Al signor di Giudea) porge i suoi saluti Emireno, capitano dell’esercito egiziano’; secondo una formula latineggiante (salutem dicit) canonica nell’epistolografia.’ 52 Non sbigottir, signor: resisti e dura insino al quarto o insino al giorno quinto, ch’io vengo a liberar coteste mura, e vedrai tosto il tuo nemico vinto». Questo il secreto fu che la scrittura in barbariche note avea distinto dato in custodia al portator volante, ché tai messi in quel tempo usò il Levante. 52 non temere (sbigottir), signore: resisti e sopporta (dura) per quattro o cinque giorni che sto arrivando per liberare Gerusalemme (coteste mura) e vedrai ben presto il tuo avversario sconfitto (nemico vinto) questo era il messaggio segreto scritto in lingua araba (messaggio) affidato (dato in custodia) alla colomba viaggiatrice, perché questo tipo di messaggeri erano usati in quel tempo in Oriente 53 Libera il prence la colomba; e quella, che de’ secreti fu rivelatrice, come esser creda al suo signor rubella, non ardì più tornar nunzia infelice. Ma il sopran duce i minor duci appella, e lor mostra la carta e così dice: 53 Goffredo (prence) libera la colomba che aveva svelato i suoi segreti come se credesse di essere stata ribelle al suo signore, non ebbe più il coraggio di tornare come messaggera che aveva fallito la sua missione ma Goffredo, il «Vedete come il tutto a noi riveli la providenza del Signor de’ cieli. comandante supremo, chiama a sé (appella) i principali comandanti dell’esercito e allora mostra il messaggio e dice. ‘vedete come la provvidenza del Signore ci riveli tutto 54 Già più da ritardar tempo non parmi: nova spianata or cominciar potrassi, e fatica e sudor non si risparmi per superar d’inverso l’Austro i sassi. Duro fia sì far colà strada a l’armi, pur far si può: notato ho il loco e i passi. E ben quel muro che assecura il sito, d’arme e d’opre men deve esser munito. 54 ormai non mi sembra più tempo di indugiare, di ritardare l’attacco ora si potrà (potrassi) cominciare a fare una nuova strada pianeggiante (spianata), e non si risparmi nessuna fatica o sudore per superare il terreno sconnesso (d’inverso...i sassi) che conduce verso la porta posta a sud (Austro, vento proveniente da sud) di Gerusalemme sarà difficile fare una strada per le nostre macchine da guerra in quel luogo, ma si può fare: ho visto e studiato (notato) il luogo e i varchi e quella parte delle mura già ben difese dall’asperità del luogo (sito), deve essere provvista di meno armi e macchine’; i difensori di Gerusalemme si attendevano ragionevolmente un attacco dalla porta più agevolmente raggiungibile (cioè quella posta verso il lato settentrionale), non dai lati troppo impervi per gli attaccanti. 55 Tu, Raimondo, vogl’io che da quel lato con le machine tue le mura offenda, vuo’ che de l’arme mie l’alto apparato contra la porta Aquilonar si stenda sì che il nemico il vegga ed ingannato indi il maggior impeto nostro attenda; poi la gran torre mia, ch’agevol move, trascorra alquanto e porti guerra altrove. 55 Raimondo di Tolosa; a differenza di quanto aveva pianificato nel corso del primo attacco durante il quale gli sforzi dei cristiani si erano concentrati nel lato più agevole delle mura, quello settentrionale, ora Goffredo decide di assalire la città contemporaneamente su tre fronti, spostando il grosso del suo esercito e delle sue macchine presso la porta meridionale, quella meno difesa dai cittadini, per giocare un effetto a sorpresa; voglio che assalga, attacchi (offenda) le mura con le tue armi, Goffredo intende attaccare nuovamente la porta settentrionale, ma per creare un diversivo e ingannare i difensori della città così che il nemico veda il mio schieramento (il vegga) e ingannato si aspetti da quel fronte (indi) il nostro attacco (impeto) principale poi la macchina da guerra che sarà sul mio fronte, che si sposta facilmente (agevol move), si sposti un po’ (trascorra alquanto) e porti la battaglia in un altro luogo 56 Tu drizzarai, Camillo, al tempo stesso non lontana da me la terza torre». Tacque; e Raimondo, che gli siede appresso e che, parlando lui, fra sé discorre, disse: «Al consiglio da Goffredo espresso nulla giunger si pote e nulla tòrre. Lodo solo, oltra ciò, ch’alcun s’invii nel campo ostil ch’i suoi secreti spii, 56 ti indirizzerai, rivolgerai, Camillo, nello stesso momento (al tempo stesso) la terza macchina da guerra (terza torre) non lontano dal mio schieramento (da me).’ Tacque e Raimondo seduto vicino e che, mentre parla Goffredo (parlando lui), sta riflettendo (fra sé discorre) disse: ‘alla strategia dichiarata (consiglio...espresso) da Goffredo non si può aggiungere o togliere (tòrre) niente ritengo solamente opportuno, consigliabile (lodo solo), oltre a ciò, che si mandi qualcuno a spiare le mosse segrete dell’esercito avversario (campo ostil) 57 e ne ridica il numero e ’l pensiero, quanto raccòr potrà, certo e verace». Sogiunge allor Tancredi: «Ho un mio scudiero che a questo uffizio di propor mi piace: uom pronto e destro e sovra i piè leggiero, audace sì, ma cautamente audace, che parla in molte lingue, e varia il noto s uon de la voce e ’l portamento e ’l moto». 57 e ci comunichi poi le intenzioni e le reali dimensioni (certo e verace) di quell’esercito, per quanto gli sarà possibile sapere (quanto raccòr potrà)’ Tancredi candida un suo scudiero; si tratta di Vafrino, personaggio abile ed astuto (come il nome stesso Vafrino rivela, poiché in latino vafer significa “astuto”) un uomo rapido e abile (destro) e veloce nella corsa sì audace, ma audace con cautela e muta l’abituale (noto) tono della voce, il portamento e l’andatura’; è, in altre parole, abilissimo nei travestimenti 58 Venne colui, chiamato; e poi ch’intese ciò che Goffredo e ’l suo signor desia, alzò ridendo il volto ed intraprese la cura e disse: «Or or mi pongo in via. Tosto sarò dove quel campo tese le tende avrà, non conosciuta spia; vuo’ penetrar di mezzodì nel vallo, e numerarvi ogn’uomo, ogni cavallo. 58 Arrivò Valfrino e sentì (intese) cosa desiderano (desiderano) da lui, quali sono gli ordini di Goffredo e del suo signore, sollevò la testa sorridendo e accettò la missione (intraprese la cura) e disse mi metto subito (or or) in cammino. Ben presto (tosto) sarò dove quell’esercito (campo) avrà stabilito il suo accampamento (tese le tende avrà) come una spia sconosciuta voglio entrare nell’accampamento egiziano (nel vallo) in pieno giorno (di mezzodì) e osservare Ma il capitan, ch’a tergo aver rammenta l’oste d’Egitto, ha quelle vie già prese; e Guelfo e i due Roberti a sé chiamati: «State» dice «a cavallo in sella armati (appresenta) le macchine da guerra ma Goffredo, che sa di avere alle spalle (a tergo) l’esercito egiziano (l’oste d’Egitto), ha occupato (prese) le vie’ dalle quali dovrebbe passare; Goffredo teme di essere schiacciato sui due fronti. si tratta di Guelfo, lo zio di Rinaldo, e di Roberto di Normandia e di Fiandra, dice ‘state armati a cavallo 66 e procurate voi che, mentre ascendo colà dove quel muro appar men forte, schiera non sia che subita venendo s’atterghi a gli occupati e guerra porte». Tacque, e già da tre lati assalto orrendo movon le tre sì valorose scorte; e da tre lati ha il re sue genti opposte, che riprese quel dì l’arme deposte. 66 fate in modo (procurate) che, mentre salgo (ascendo) in quel punto (colà) dove le mura appaiono meno forti, non vi sia una schiera avversaria che arrivando all’improvviso (subita venendo) giunga alle spalle (s’atterghi) degli assedianti e li attacchi (e guerra porte)’ prende avvio l’assalto alla città; si noti come l’iterazione tre lati segni l’improvviso e contemporaneo muoversi degli attaccanti e dei difensori; arme deposte indica che Aladino, benché anziano, ha ripreso le armi per difendere in prima persona la sua città 67 Egli medesmo al corpo omai tremante per gli anni, e grave del suo proprio pondo, l’arme, che disusò gran tempo inante, circonda, e se ne va contra Raimondo. Solimano a Goffredo e ’l fero Argante al buon Camillo oppon, che di Boemondo seco ha il nipote; e lui fortuna or guida, perché ’l nemico a sé dovuto uccida. 67 lo stesso re Aladino indossa (circonda) la corazza (l’arme), che da molto tempo non aveva più utilizzato (disusò...inante), sul suo corpo ormai tremante per gli anni e già affaticato (grave) per dover sostenere il suo stesso peso (pondo), e va sul lato dove attacca Raimondo Solimano si oppone alla schiera di Goffredo, e il feroce Argante si oppone al lato dove si trova il buon Camillo, che ha con sé (seco) Tancredi (di Boemondo...il nipote); e il destino lo guida, perché possa uccidere il nemico predestinato (dovuto)’ 68 Incominciaro a saettar gli arcieri infette di veneno arme mortali, ed adombrato il ciel par che s’anneri sotto un immenso nuvolo di strali. Ma con forza maggior colpi più feri ne venian da le machine murali: indi gran palle uscian marmoree e gravi, 68 gli arcieri iniziarono a scagliare (saettar) frecce avvelenate (infette di veneno), vere armi mortali e sembra che il cielo si oscuri adombrato da un incredibile numero di frecce ‘ma dalle macchine da guerra arrivavano con maggiore intensità (forza maggior) colpi più feroci (feri) dalle e con punta d’acciar ferrate travi. macchine uscivano delle palle di marmo enormi e pesanti (gravi) e travi ferrate con la punta rinforzata in acciaio (acciar) 69 Par fulmine ogni sasso, e così trita l’armatura e le membra a chi n’è colto, che gli toglie non pur l’alma e la vita, ma la forma del corpo anco e del volto. Non si ferma la lancia a la ferita; dopo il colpo, del corso avanza molto: entra da un lato e fuor per l’altro passa fuggendo, e nel fuggir la morte lassa. 69 ogni masso sembra un fulmine, e schiaccia (trita) l’armatura e il corpo a chi ne resta colpito così che non solo gli toglie la vita e l’anima, lo uccide, ma distrugge anche la forma del corpo e del volto la lancia non si ferma nel luogo dove ha ferito; dopo il colpo, continua a procedere: entra da un lato ed esce dall’altro come fuggendo, e nella sua fuga semina la morte 70 Ma non togliea però da la difesa tanto furor le saracine genti: contra quelle percosse avean già tesa pieghevol tela e cose altre cedenti; l’impeto, che ’n lor cade, ivi contesa non trova, e vien che vi si fiacchi e lenti; essi, ove miran più la calca esposta, fan con l’arme volanti aspra risposta. 70 ma tanto ardore, furore – dimostrato nell’attacco dai crociati – non faceva abbandonare le postazioni di difesa dei mussulmani (saracine genti) contro quei colpi avevano già disposto delle tele morbide e altri materiali soffici (cedenti); il colpo (impeto) che scende su di loro, non trova resistenza e diventa più debole e lento i difensori (essi riferito a le saracine genti), dove vedono l’esercito cristiano più esposto, rispondono aspramente agli attacchi con le frecce e i proiettili (armi volanti). 71 Con tutto ciò d’andarne oltre non cessa l’assalitor, che tripartito move; e chi va sotto gatti, ove la spessa gragnuola di saette indarno piove, e chi le torri a l’alto muro appressa che da sé loro a suo poter rimove: tenta ogni torre omai lanciare il ponte, cozza il monton con la ferrata fronte. 71 nonostante ciò l’esercito cristiano (l’assalitor), che attacca sui tre fronti (tripartito move), non smette (cessa) di avanzare (d’andarne oltre) e chi procede protetto dalla difesa dei gatti dove (sotto ai gatti) la fitta pioggia di colpi scende invano, perché sono appunto protetti che il muro, per quanto gli è possibile, cerca di ostacolare’; verso non del tutto perspicuo, potrebbe riferirsi alla conformazione stessa delle mura o, forse più plausibilmente, ai difensori che vi stanno sopra ogni torre cerca ormai di gettare, lanciare il ponte sulle mura, l’ariete colpisce con la sua testa ferrata 72 Rinaldo intanto irresoluto bada, ché quel rischio di sé degno non era, e stima onor plebeo quand’egli vada 72 Rinaldo intanto indugia (bada) indeciso sul da farsi (irresoluto), perché giudica che il rischio di attaccare protetto dalle macchine per le comuni vie co ’l vulgo in schiera. E volge intorno gli occhi, e quella strada sol gli piace tentar ch’altri dispera. Là dove il muro più munito ed alto in pace stassi, ei vuol portar assalto. non sia degno del suo valore e stima che conquisterebbe un onore plebeo se egli andasse per le vie comuni schierato con le truppe di semplici soldati si guarda attorno, e gli piace solamente tentare quella via, provare ad attaccare quella parte che scoraggia tutti gli altri in quella parte delle mura più solidamente difese (munito) e più alte (alto) che sta tranquilla – perché non attaccata da nessuno – Rinaldo vuole portare l’assalto 73 E volgendosi a quegli, i quai già furo guidati da Dudon, guerrier famosi: «Oh vergogna,» dicea «che là quel muro fra cotant’arme in pace or si riposi! Ogni rischio al valor sempre è securo, tutte le vie son piane a gli animosi: moviam là guerra, e contra a i colpi crudi facciam densa testugine di scudi». 73 è la schiera degli avventurieri, un tempo comandati da Dudone; l’invito di Rinaldo poteva apparire poco ortodosso, non essendo egli vero comandante di una schiera; ‘Oh vergogna’ diceva ‘quel muro stia tranquillo e in pace in mezzo a così tante armi’ tutti i rischi sono privi di rischio per chi è valoroso (al valor), tutti gli ostacoli sono facili da superare per i coraggiosi (animosi) e per proteggerci dai duri colpi costruiamo una fitta testuggine con gli scudi; testugine è la formazione compatta che si ottiene con gli scudi alzati 74 Giunsersi tutti seco a questo detto; tutti gli scudi alzàr sovra la testa, e gli uniron così che ferreo tetto facean contra l’orribile tempesta. Sotto il coperchio il fero stuol ristretto va di gran corso, e nulla il corso arresta, ché la soda testugine sostiene ciò che di ruinoso in giù ne viene. 74 si unirono, si strinsero (giunsersi) tutti tra di loro (seco) dopo aver sentito queste parole; è possibile anche riferire seco a Rinaldo, quindi il senso sarebbe: si strinsero con lui; alzarono tutti gli scudi sopra la testa così che il tetto formato con il ferro degli scudi uniti tra di loro (fero tetto) faceva da protezione contro i colpi provenienti dalle mura di Gerusalemme sotto il tetto di ferro vanno velocemente ‘e niente frena la corsa (corso), perché la solida e compatta testuggine sopporta tutti i colpi che precipitano giù dall’alto delle mura 75 Son già sotto le mura: allor Rinaldo scala drizzò di cento gradi e cento, e lei con braccio maneggiò sì saldo ch’agile è men picciola canna al vento. Or lancia o trave, or gran colonna o spaldo d’alto discende: ei non va su più lento; 75 allora Rinaldo alzò (drizzò) una scala con moltissimi gradini (cento gradi e cento), e la maneggiò con così tanta forza (saldo) che si muove meno agilmente una piccola canna al vento. Ora scendono lance ora pietre e pezzi delle mura: non procede tal giù traea da la sublime altezza l’orribil trave e merli ed arme e genti; diè la torre a quel moto uno e due crolli, tremàr le mura e rimbombaro i colli. foreste e gli armamenti allo stesso modo la gigantesca trave trascinava con sé dalla sua incredibile altezza e i merli delle mura e armi e uomini la torre ebbe uno o due scossoni per quella caduta (a quel moto), tremarono le mura e rimbombarono i colli 83 Passa il Buglion vittorioso inanti e già le mura d’occupar si crede, ma fiamme allora fetide e fumanti lanciarsi incontra immantinente ei vede; né dal sulfureo sen fochi mai tanti il cavernoso Mongibel fuor diede, né mai cotanti ne gli estivi ardori piovve l’indico ciel caldi vapori. 83 Passa il vittorioso Goffredo che approfitta della breccia apertasi nelle mura per incalzare ma si vede lanciarsi addosso immediatamente (immantinente) fiamme fumanti e maleodoranti né l’Etna (cavernoso Mongibel) ha mai fatto uscire dal suo cratere così tanti fuochi, né mai durante la calura estiva il cielo indiano (indico ciel) fece piovere tante gocce di fuoco 84 Qui vasi e cerchi ed aste ardenti sono, qual fiamma nera e qual sanguigna splende. L’odore appuzza, assorda il bombo e ’l tuono accieca il fumo, il foco arde e s’apprende. L’umido cuoio alfin saria mal buono schermo a la torre, a pena or la difende. Già suda e si rincrespa; e se più tarda il soccorso del Ciel, conven pur ch’arda 84 qui ci sono vasi e cerchi e aste fiammeggianti, alcuni con fiamme nere altri con fiamme rosseggianti (sanguigne); vasi e cerchi sono diversi strumenti con i quali si cerca di appiccare il fuoco alla torre l’odore appesta (appuzza) l’aria, il tuono e il rimbombo assorda, il fumo acceca, il fuoco si appicca (s’apprende) e brucia (arde) il cuoio bagnato (umido) a lungo andare (alfin) sarebbe una protezione inefficace per la macchina da guerra, e ora la difende a malapena 85 Il magnanimo duce inanzi a tutti stassi, e non muta né color né loco; e quei conforta che su i cuoi asciutti versan l’onde apprestate incontra al foco. In tale stato eran costor ridutti, e già de l’acque rimanea lor poco, quando ecco un vento, ch’improviso spira, contra gli autori suoi l’incendio gira. 85 Goffredo sta davanti a tutti e non cambia né la posizione né il colore del volto versano – sul cuoio che va seccandosi – l’acqua che avevano preparato per spegnere eventuali incendi (fuoco), erano ridotti in questo stato e stavano finendo l’acqua quand’ecco che arriva un vento che soffia improvvisamente e che gira le fiamme verso i suoi autori, cioè verso chi l’aveva appiccato 86 Vien contra al foco il turbo; e indietro vòlto il foco ove i pagan le tele alzàro, quella molle materia in sé raccolto l’ha immantinente, e n’arde ogni riparo. Oh glorioso capitano! oh molto 86 Arriva il fuoco contro il vento che spinge le fiamme in direzione di Gerusalemme, e il fuoco tornato indietro dove sono le coperte e le balle di cotone predisposte per attutire i colpi dell’ariete quei materiali morbidi dal gran Dio custodito, al gran Dio caro! A te guerreggia il Cielo; ed ubidenti vengon, chiamati a suon di trombe, i venti. (molle materia) ricevono immediatamente il fuoco e brucia ogni riparo; si noti come nella cronaca storica lo stratagemma di dare alle fiamme le protezioni dei difensori fosse diretta iniziativa di Goffredo, mentre nella rielaborazione tassiana diventa un intervento divino 87 Ma l’empio Ismen, che le sulfuree faci vide da Borea incontra sé converse, ritentar volle l’arti sue fallaci per sforzar la natura e l’aure averse, e fra due maghe, che di lui seguaci si fèr, su ’l muro a gli occhi altrui s’offerse; e torvo e nero e squallido e barbuto fra due furie parea Caronte o Pluto. 87 ma l’empio Ismeno, che vide le sue fiaccole di zolfo e di pece tornare contro la sua parte a causa del vento del nord (Borea) volle nuovamente utilizzare le sue arti magiche ingannatrici (fallaci) per violare la natura e mutare il corso del vento divenuto nemico (aure averse) e si fece vedere agli occhi di tutti sulle mura, in mezzo a due maghe che erano diventate sue seguaci; e sembrava torvo, nero, terribile e barbuto Caronte o Satana in mezzo a due furie infernali 88 Già il mormorar s’udia de le parole di cui teme Cocito e Flegetonte, già si vedea l’aria turbar e ’l sole cinger d’oscuri nuvoli la fronte, quando aventato fu da l’alta mole un gran sasso, che fu parte d’un monte; e tra lor colse sì ch’una percossa sparse di tutti insieme il sangue e l’ossa. 88 già risuonavano nell’aria le formule magiche temute da Cocito e Flegetonte, dagli esseri infernali, il sole si offuscò circondato da nuvole cupamente scure quando fu lanciato (aventato) dalla gran torre un enorme masso, che era stato prelevato da un monte e colpì in mezzo a loro, tanto che un solo colpo distrusse (sparse) le parti del corpo e le ossa di tutti e tre, in altre parole li uccise 89 In pezzi minutissimi e sanguigni si disperser così l’inique teste, che di sotto a i pesanti aspri macigni soglion poco le biade uscir più peste. Lasciàr gemendo i tre spirti maligni l’aria serena e ’l bel raggio celeste, e se ’n fuggìr tra l’ombre empie infernali. Apprendete pietà quinci, o mortali. 89 Le teste malvagie si dispersero in pezzi minuscoli e sanguigni che il grano (biade) esce solitamente appena più macinato (peste) sotto le pesanti macine dei mulini (aspri macigni). I tre spiriti maligni gemevano e fuggirono tra le anime colpevoli dell’inferno apprendete, imparate o mortali da questo esempio (quinci) il necessario timore nei confronti di Dio 90 In questo mezzo, a la città la torre, cui da l’incendio il turbine assecura, s’avicina così che può ben porre e fermare il suo ponte in su le mura; ma Solimano intrepido v’accorre, e ’l passo angusto di tagliar procura, e doppia i colpi: e ben l’avria reciso; 90 nel frattempo (in questo mezzo), la torre, ora assicurata dal pericolo dell’incendio grazie al vento (turbine) favorevole, si avvicina alla città al punto che (così che) può agevolmente (ben) gettare (porre) e consolidare il ponte sulle mura ma Solimano accorre ardito e cerca (procura) di ma un’altra torre apparse a l’improviso. tagliare il ponte, lo stretto varco (passo angusto) e raddoppia i colpi; e l’avrebbe sicuramente (ben) tagliato (reciso), ma all’improvviso apparve un’altra torre 91 La gran mole crescente oltra i confini de’ più alti edifici in aria passa. Attoniti a quel mostro i saracini restàr, vedendo la città più bassa. Ma il fero Turco, ancor ch’in lui ruini di pietre un nembo, il loco suo non lassa; né di tagliar il ponte anco diffida, e gli altri che temean rincora e sgrida. 91 l’enorme macchina da guerra che si innalza progressivamente oltrepassando i più alti edifici della città i saraceni sono attoniti a quel prodigio, costruzione eccezionale ma Solimano (fero Turco), nonostante piova su di lui un nugolo di pietre, non abbandona la sua posizione né ha ancora (anco) perso la speranza (diffida) di tagliare il ponte, e gli altri uomini intimoriti (che temean) rincuora e rimprovera 92 S’offerse a gli occhi di Goffredo allora, invisibile altrui, l’agnol Michele cinto d’armi celesti; e vinto fòra il sol da lui, cui nulla nube vele. «Ecco,» disse «Goffredo, è giunta l’ora ch’esca Siòn di servitù crudele. Non chinar, non chinar gli occhi smarriti; mira con quante forze il Ciel t’aiti. 92 si offrì allora alla vista di Goffredo, invisibile per tutti gli altri, l’arcangelo Michele, con armi divine, celesti e per il suo splendore sarebbe (fòra) vinto anche il sole stesso, non velato da nessuna nuvola disse ‘ecco Goffredo è arrivato il momento in cui Gerusalemme (Siòn) deve uscire dalla feroce servitù non abbassare, non abbassare lo sguardo abbagliato (smarriti), guarda con quante forze il cielo ti aiuta e sostenga 93 Drizza pur gli occhi a riguardar l’immenso essercito immortal ch’è in aria accolto, ch’io dinanzi torrotti il nuvol denso di vostra umanità, ch’intorno avolto adombrando t’appanna il mortal senso, sì che vedrai gli ignudi spirti in volto; e sostener per breve spazio i rai de l’angeliche forme anco potrai. 93 alza pure lo sguardo per osservare l’immenso esercito che si è radunato (accolto) di anime guerriere del paradiso ti toglierò dagli occhi la densa nebbia (nuvol denso) propria degli esseri umani, che adombrando e avvolgendo i tuoi sensi mortali li offusca, così che vedrai in volto gli spiriti privi del corpo (ignudi) e potrai sopportare (sostener) per un breve istante anche gli sfolgoranti raggi (rai) degli angeli 94 Mira di quei che fur campion di Cristo l’anime fatte in Cielo or cittadine, che pugnan teco e di sì alto acquisto si trovan teco al glorioso fine. Là ’ve ondeggiar la polve e ’l fumo misto vedi e di rotte moli alte ruine, tra quella folta nebbia Ugon combatte e de le torri i fondamenti abbatte. 94 osserva le anime di coloro che furono cavalieri crociati (campion di Cristo) che ora stanno, vivono in Paradiso che combattono con te (teco), e si trovano al tuo fianco (teco) alla gloriosa conclusione (fine) di una così onorevole impresa (alto acquisto, cioè l’espugnazione di Gerusalemme). Là dove vedi una grande nube di polvere (ondeggiar 101 Allor tutte le squadre il grido alzaro de la vittoria altissimo e festante, e risonaro i monti e replicaro gli ultimi accenti; e quasi in quello istante ruppe e vinse Tancredi ogni riparo che gli aveva a l’incontro opposto Argante, e lanciando il suo ponte anch’ei veloce passò nel muro e v’inalzò la Croce. 101 Tutti gli schieramenti gridano vittoriosi e festosi e i monti risuonarono e riecheggiarono (replicaro) le ultime grida (ultimi accenti) e quasi nello stesso istante Tancredi sbaragliò e vinse ogni resistenza che gli aveva opposto Argante la seconda bandiera segna il travolgente avanzare dell’esercito crociato 102 Ma verso il mezzogiorno, ove il canuto Raimondo pugna e ’l palestin tiranno, i guerrier di Guascogna anco potuto giunger la torre a la città non hanno, ché ’l nerbo de le genti ha il re in aiuto ed ostinati a la difesa stanno; e se ben quivi il muro era men fermo, di machine v’avea maggior lo schermo. 102 sul lato sud’ (mezzogiorno), dove si fronteggiavano (pugna) Raimondo e Aladino (’l palestin tiranno) gli uomini di Raimondo di Guascogna non hanno ancora potuto avvicinare la macchina da guerra alle mura della città perché Aladino ha con sé i corpi scelti del suo esercito (il nerbo de le genti) e resistono ostinati nell’azione di difesa e benché questa parte della mura fosse meno solida (men fermo), era però protetto da un grande numero di macchine belliche 103 Oltra che men ch’altrove in questo canto la gran mole il sentier trovò spedito, né tanto arte poté che pur alquanto di sua natura non ritegna il sito. Fu l’alto segno di vittoria intanto da i difensori e da i Guasconi udito, ed avisò il tiranno e ’l tolosano che la città già presa è verso il piano, 103 oltre al fatto che la grande macchina da guerra trovò da questo lato (in questo canto) la strada meno facile (sentier...spedito) rispetto agli altri lati delle mura (altrove) né l’abilità (arte) di coloro che avevano spianato la strada poté far così tanto che il luogo non avesse ancora la sua naturale asperità l’alto grido di vittoria dei cristiani fu sentito sia dai difensori delle mura sia dai soldati di Raimondo (Guasconi), e Aladino (tiranno) e Raimondo (’l tolosano) capirono che la città era già stata conquistata dal lato pianeggiante (verso il piano) 104 Onde Raimondo a i suoi: «Da l’altra parte,» grida «o compagni, è la città già presa. Vinta ancor ne resiste? or soli a parte non sarem noi di sì onorata presa?». Ma il re cedendo alfin di là si parte perch’ivi disperata è la difesa, e se ’n rifugge in loco forte ed alto ove egli spera sostener l’assalto 104 Raimondo dice ai suoi: ‘dall’altra parte, oh compagni, la città è stata già presa, già sconfitta (vinta) ancora resiste per noi? Solamente noi saremo esclusi (a parte) da una conquista (presa) così gloriosa?’ ma Aladino ritirandosi (cedendo) alla fine se ne va da quella parte delle mura perché dispera ormai di riuscire a difenderla e fugge in un luogo più alto e protetto – il tempio di Salomone – da dove spera di poter sostenere l’attacco (assalto) 105 Entra allor vincitore il campo tutto per le mura non sol, ma per le porte; ch’è già aperto, abbattuto, arso e destrutto ciò che lor s’opponea rinchiuso e forte. Spazia l’ira del ferro; e va co ’l lutto e con l’orror, compagni suoi, la morte. Ristagna il sangue in gorghi, e corre in rivi pieni di corpi estinti e di mal vivi. 105 l’esercito (campo) vincitore entra tutto non solo attraverso le mura, ma anche dalle porte perché è già stato aperto, abbattuto, bruciato e distrutto tutto ciò che di chiuso e di forte si opponeva loro si muovono senza freni le spade dei cristiani guidate dell’ira; e la morte va con i suoi degni compagni, il lutto e l’orrore. L’immagine finale, quasi a dare l’intonazione ai due canti successivi, prelude a un feroce spettacolo di morte e di sangue