Scarica Gestire il disagio a scuola e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! 1 GESTIRE IL DISAGIO A SCUOLA – AMENTA (RIASSUNTO) I CAPITOLO: IL DISAGIO NEI CONTESTI EDUCATIVI Il termine disagio ha cominciato ad affermarsi intorno agli anni ’70 in maniera più sfumata rispetto alle categorie forti di devianza e marginalità. Successivamente, in parallelo con la crisi di queste categorie, il concetto di disagio viene preferito perchè meno connotato ideologicamente e più adatto ad essere applicato ad un’ampia maggioranza di individui. Tuttavia, la maggior parte degli studi sul disagio si concentra sull’età giovanile meno sull’età preadolescenziale o adolescenziale. 1. DEFINIZIONE DEL DISAGIO Il disagio è inteso come esperienza strettamente personale e soggettiva da cui possono derivare dei segni osservabili dall’osservatore e dall’interlocutore. Il termine designa la condizione di chi vive ai margini, si sente escluso, isolato, lontano dagli altri e da se stesso. Nei dizionari socio-pscio- pedagogici, il termine risulta usato come sinonimo di disadattamento e di devianza, e nelle scienze psicologiche è usato per indicare uno stato soggettivo e generico di sofferenza psichica. Nell’ultimo decennio, il termine disagio è diventato una categoria descrittiva della condizione giovanile per cui non ha una definizione univoca. Tuttavia, le diverse descrizioni del disagio hanno una base oggettiva: l’insieme delle inadempienze, dei rinvii, degli inganni cui i giovani ricorrono e comprende un ventaglio di elementi quali i sentimenti, le percezioni, bisogni e domande. Le diverse definizioni proposte dagli studiosi prediligono un approccio descrittivo più che interpretativo del disagio e si individuano alcuni elementi chiavi: il disagio indica comportamento e atteggiamento non patologici, indica un malessere diffuso legato a difficoltà e problemi derivanti dai compiti evolutivi, dalle contraddizioni e dalla complessità relative alla relazione individuo- società complessa. Bisogna sottolineare che il concetto di disagio non deve essere confuso con fenomeni simili ma non identici quali disadattamento, frustrazione, stress, emarginazione, marginalità, devianza. 2. CARATTERIZZAZIONI E FORME 2.1 LIVELLI NELLA RIVELAZIONE DEL DISAGIO Una prima distinzione riguarda le aree in cui si può manifestare il disagio nella vita del soggetto: intrapsichica, interpersonale e sociale. A livello individuale, si delinea una condizione interiore caratterizzata dalla difficoltà a star bene con sé stessi e dentro di sé. A livello interpersonale, il disagio si manifesta nell’incontro tra persone (educatore-educando, genitore-figlio) che il soggetto vive con difficoltà (ansia, inquietudine, irritazione, sfida, rabbia.) A livello sociale, il disagio origina e si manifesta in tutte le situazioni note come condizioni disvantaggio e di emarginazione. Ad esempio disagio connesso alla nuova povertà: deriva dalla frustrazione dei bisogni primari oppure disagio legato al mancato soddisfacimento dei bisogni come quello di identità, espressione personale, di relazione, di realizzazione di sé, di felicità. 2.2 DISAGIO OGGETTIVO, SOGGETTIVO, “PROCURATO” 2 Un primo approccio allo studio del disagio è di tipo SOGGETTIVO: si focalizza sui vissuti psicoesistenziale del ragazzo come: malessere, irrequietezza, insicurezza, frustrazione, senso di impotenza. Questi possono manifestarsi attraverso vari segni divenendo osservabili e misurabili. Questo disagio nasce dalla risposta personale alle diverse situazioni, alle richieste della società, della famiglia. Il 2° approccio è di tipo OGGETTIVO: focalizza l’attenzione sulle situazioni o sulle condizioni di vita che vengono designate come premesse o antecedenti del disagio. Sono disagi legati ad un particolare periodo dello sviluppo, legati alle situazioni che il soggetto abita. Ogni situazione problematica non è mai indifferente, bensì ha degli effetti. La risposta personale, però, risulta notevolmente variabile e diversificata dinanzi allo stesso disagio oggettivo. L’analisi completa del disagio implica l’intreccio dell’approccio oggettivo e soggettivo. Tra questi due piano può esserci congruenza o incongruenza in quanto ognuno ha un proprio sistema cognitivo, una propria storia etc per cui alcuni rispondono alle situazioni in modo inadeguato, altri esagerato. I percorsi che generano esperienze e risposte incongruenti sono influenzati da una notevole quantità di fattori e di variabili. Per quanto riguarda il giudizio sui fatti, importante è il ruolo del locus of control, delle attribuzioni, della storia personale e passata. Gli psicologi definiscono "attribuzione" il processo tramite il quale il soggetto interpreta le proprie esperienze, individuando una o più cause in grado di renderne ragione. Secondo lo studioso austriaco Fritz Heider, l'attribuzione corrisponde al desiderio di capire la realtà e di poterne prevedere gli sviluppi. Essi possono variare per internalità- esternalità, stabilità e controllabilità. - Attribuzione interna: quando la causa di un evento viene cercata nella persona che agisce (intrinseco). - Attribuzione esterna: quando l'attribuzione è provocata da cause estranee al controllo o alla volontà della persona in questione. La dimensioni stabilità- instabilità riguarda il fatto che certe cause sono considerate momentanee e altre durevoli. La controllabilità riguarda possibilità percepita da parte del soggetto di poter determinare il proprio destino, di modificare e di guidare la sorte degli eventi. (La teoria dell’attribuzione è molto simile ma riguardante più l'attribuzione di successo personale ) Locus of control (teorizzato da Julian B. Rotter) è la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà. Può essere: - Interno: che è posseduto da quegli individui che credono nella propria capacità di controllare gli eventi. Questi soggetti attribuiscono i loro successi o insuccessi a fattori direttamente collegati all'esercizio delle proprie abilità, volontà e capacità. 5 un equilibrio dinamico tra assimilazione e accomodamento. Egli applica tale modello all’interazione individuo-ambiente per cui individua un processo di accomodamento passivo da parte dell’organismo all’ambiente e, successivamente, un processo di assimilazione volto ad adattare l’ambiente a sé così da soddisfare il maggior numero possibile di bisogni. Vi sono diverse forme di adattamento rispetto ai vari sistemi sociali: conformità, innovazione, ritualismo, rinuncia. Il disadattamento è la scarsa capacità di inserimento attivo e creativo nella società e nelle istituzioni. In realtà, l’ideale educativo non è l’adattamento ma l’integrazione cioè la possibilità di entrare in accordo con la realtà e di trasformarla in maniera attiva e creativa. Bisogna considerare anche i casi di iperadattamento. Per comprendere meglio il processo di adattamento e disadattamento è opportuno fare riferimento al modello della Analisi Transizionale che ha distinto il - comportamento libero caratterizzato da spontaneità e dal fare espressivo che ha come riferimento la persona nella sua autenticità. L’orizzonte è l’agire per essere che valorizza la persona. - comportamento adattato quando il soggetto si comporta come se ci fosse un genitore che sta a vedere o a sentire perciò agisce in modo controllato. Il comportamento compiacente (=conformismo) e quello disadattato(=ribellione) sono considerati propri del Bambino Adattato perché sono comportamenti volti a dare delle risposte per gli altri e agli altri (<= fare dimostrativo). Il criterio di riferimento è così l’agire per ottenere qualcosa. L’eccessivo adattamento comporta così un’ubbidienza, un ordine oltremisura. Tale adattamento sproporzionato si realizza a scapito dello sviluppo del sé autentico per lasciare spazio alla costruzione del falso sé. I comportamenti iperadattati (ipermaturi) passano inosservati nei contesti educativi. L’educatore dovrebbe evitare di assecondarli, incoraggiarli. 3.3 DISAGIO, VIOLENZA, ABBANDONO Nella società attuale predomina la “cultura della morte” considerando il numero degli aborti, dei bambini sottopeso, del calo delle nascite etc. All’origine vi sono una varietà di fattori socioculturali come la perdita del senso di sacralità e di inviolabilità della vita umana, la concezione materialistica della vita e della persona etc. Nella società italiana attuale si registra l’incremento di bambini trascurati dal punto di vista affettivo, psicologico ed educativo. I bambini sono invitati ad assumere precocemente i ruoli tipici degli adulti e a smettere di essere bambini. Presenta dei fenomeni come l’insensibilità diffusa, il calo delle nascite e della nuzialità, la programmazione e regolazione delle nascite che possono essere riassunti nel binomio generatività-stagnazione. Quando la generatività risulta carente si affermano le forme di stagnazione. 3.4 DISAGIO E FRUSTRAZIONE DEI BISOGNI Esistono diversi tipi di approccio che hanno studiato il disagio: negli anni '50-'60, l'approccio clinico privilegiava una lettura intrapsichica nello studio del disagio, si sono recuperate le interpretazioni 6 che consideravano, oltre ai dinamismi interni della personalità, anche il contesto sociale e ambientale. L’insoddisfazione e la privazione del soddisfacimento dei bisogni accompagnano il disagio. Essenzialmente i soggetti vivono in una costante situazione di necessità e di bisogni che incontra limitazioni, dinieghi e opposizioni. A seconda dei bisogni insoddisfatti si possono distinguere diversi tipi di disagio: - quando ci si riferisce alle nuove povertà, il disagio è derivante dalla frustrazione dei bisogni di tipo primario e agli aspetti qualitativi essenziali legati alla vita. - quando si parla di emarginazione, il bisogno frustrato è quello di integrazione, di appartenenza. - quando si parla di disagio esistenziale, il riferimento va alla frustrazione del bisogno di autorealizzazione, di dare un senso alla propria vita. Il bisogno negato a livello generalizzato è quello di “esistere”, di essere riconosciuti; tutte le forme di violenza adolescenziale sono alimentate dal bisogno di emergere da un abisso di impotenza, di disperazione e di incomprensione. L'individuazione e la determinazione dei bisogni educativi sono momenti fondamentali della programmazione educativa perché su di essi vanno progettati gli obiettivi. In campo educativo si individuano diversi significati del termine bisogno, tutti accomunati da un tratto: il bisogno deriva da un squilibrio che origina dal raffronto tra la situazione reale e quella ideale. Un modello di riferimento per comprendere il rapporto tra frustrazione de bisogni e di disagio è quello proposto da WEISS: dietro al disagio e la sua espressione si può individuare qualche bisogno frustrato a volte in modo persistente e cronico. Secondo il modello, l'espressione naturale e spontanea del bisogno è il passo iniziale e naturale per ogni individuo. Giunto alla consapevolezza del soggetto, il bisogno viene appagato oppure no. Nel primo caso la persona, rimane in una posizione sana ed è libera di occuparsi del bisogno successivo. Se il bisogno rimane frustrato, il soggetto può reagire manifestando, a seconda dei casi, collera, paura o tristezza e assumendo strategie straordinarie a volte distruttive. In base a questo schema, nella gestione del disagio nei contesti educativi il primo passo è quello di individuare ed accogliere i bisogni dell'educano. Il soggetto portatore di disagio, non avendo totale consapevolezza di sé, dei bisogni, dei conflitti, ricorre ai mezzi di cui dispone per comunicare e per esprimersi. Ricorre ad una situazione complessa: disturba, non studia, usa parolacce, picchia i compagni. Si tratta del suo modo di esternare il disagio. Occorre decodificare il disagio attraverso la capacità empatica in modo tale da cogliere cosa c'è dietro il disagio. 3.5 QUALI BISOGNNI E PERMESSI NEGATI Trattando di bisogni si può distinguere tra processo e contenuto. - CONTENUTO: diventa centrale la questione relativa a quali sono i bisogni le necessità che risultano inascoltati. - PROCESSO: si presta maggiore attenzione ai dinamismi psicologici coinvolti, dal momento in cui un bisogno viene percepito fino alla sua soddisfazione o alla sua 7 frustrazione e quali sono le opzioni una volta che i bisogni vengono soddisfatti o ripetutamente non soddisfatti. Riguardo ai contenuti, un quadro di riferimento importante è il modello dei permessi e delle ingiunzioni proposto dall’Analisi Transazionale. Al di là del disagio, alcuni bisogni sono: - PERMESSO DI ESISTERE: o di appartenenza è fondamentale perché l'inserimento, l'integrazione, che si ripresentano in molte occasioni la rievocano e la riattivano. - NON ESSERE INTIMO: viene appreso con l'interazione delle figure significative. La capacità di integrarsi e la scelta di appartenenza al sistema familiare prima, ad altri sistemi poi, sono influenzati dalla presenza del permesso di essere intimi insieme a quello di esistere. - NON ESSERE PICCOLO: di poter agire, pensare e sentire come un soggetto che ha una determinata età. Bowlby aveva messo in evidenza come dietro a molti casi di violenza si ritrovano relazioni rovesciate in cui al figlio è richiesto di comportarsi come se fosse lui il genitore. 10 Per comprendere e gestire il disagio e i comportamenti problematici è quella di formulare una lettura in chiave comunicativa. Va insegnato all’allievo di comunicare il suo messaggio secondo una modalità alternativa socialmente costruttiva e appropriata. Alcune linee guida per comprendere gli interventi sul disagio sono: - Esigenze e bisogni: Precedentemente è stato proposto il modello per cui l’educatore deve comprendere e intervenire sul disagio andando oltre ai sintomi. Egli deve individuare la presenza di bisogni sotterranei. - Utilizzo del modello con gli educandi: Un secondo elemento proprio del modello proposto riguarda la possibile lettura secondo un doppio livello: superficiale e nascosto, sociale e psicologico. Ad esempio si vedrà che se a livello sociale un alunno vuole apparire forte, a livello psicologica può avere un bisogno di nascondere l’insicurezza. - Interazione tra docenti e duplice lettura: il principio della lettura a duplice livello (superficiale, profondo, sociale, psicologico) risulta utile per costruire anche tra adulti: ad esempio nel rapporto tra docente-docente, dirigente-docente. 4.2 LIVELLO SUPERFICIALE, LIVELLO NASCOSTO E VITA AFFETTIVA Educare implica anche la necessità di promuovere l’alfabetizzazione affettiva. La lettura dei sentimenti secondo un doppio livello consente di comprendere reazioni diversamente inspiegabili ed individuare possibili ipotesi di intervento. Gli studi condotti dagli analisti transazionali da Berne in poi hanno consentito di mettere in evidenza che esistono sentimenti naturali e sentimenti di riscatto. Si tratta di sentimenti che col tempo hanno sostituito e preso il posto di alcuni sentimenti genuini, originali: l’allegria al posto della tristezza, la paura al posto della rabbia, la tristezza al posto della rabbia, la rabbia al posto della tristezza. Nel momento in cui il sentimento espresso non risulti congruente alla situazione siamo dinanzi a un sentimento di riscatto. Un altro criterio per individuare i sentimenti di riscatto è dato dal cambiamento di direzione dell’azione pertinente attraverso la sostituzione radicale del sentimento rispondente alla situazione: ad esempio il ragazzo che subisce un sopruso, preso dalla paura, potrebbe passare a tranquillizzare l’interlocutore procurandosi ulteriormente svantaggi piuttosto che protestare. Un terzo criterio è la presenza di una manifestazione esagerata e sproporzionate. La finalità dell’educazione e dell’alfabetizzazione affettiva è quella di consentire all’educando di riappropriarsi della sua vita affettiva in tutta la sua gamma e secondo tutte le sfumature. Pertanto il bambino ha bisogno di socializzare, capire che va bene sentire e vivere la rabbia perché in molti casi è utile. 4.3 PREGIUDIZI, MANIPOLAZIONE, TRASFERT E CONTROTRANSFERT L’interazione educatore-educando attualizzata inconsciamente con modalità conflittuali si può definire di tipo Scenico o di tipo Copionico, in quanto alimentata e stabilita dal copione del soggetto. Per meglio comprendere la questione è utile ai concetti di trasfert e controtrasfert: - TRANSFER: attualmente è usato per indicare il processo proiettivo di affetti e pensieri da parte del paziente sulla figura del terapeuta e la conseguente attivazione di condotte 11 che originano dall’interazione con le figure significative del passato, in particolare con i genitori. Tecnicamente può essere positivo o negativo. È negativo se il paziente sperimenta ostilità nei riguardi del terapeuta che, in fondo è rivolto verso il genitore. È positivo quando i vissuti verso il terapeuta sono positivi: simpatia, affetto, stima. - CONTROTRANSFER: indica la reazione, spesso inconscia del terapeuta nei riguardi del transfert del paziente che assume notevole importanza ai fini dell’efficacia del trattamento. In terapia è considerato di notevole importanza che il terapeuta analizzi ed utilizzi il transfert e il suo controtrasfert per una comprensione profonda e articolata delle dinamiche e dei processi presenti nella situazione terapeutica. I fenomeni di trasfert e controtrasfert si realizzano in qualsiasi relazione interpersonale ed in particolare in quella educativa docente-allievo, educatore-educando. 4.4 EFFICACIA, ASCOLTO DI SE’, EMPATIA Gli atteggiamenti più comuni dinanzi al disagio vanno dal tentativo di ignorare facendo finta di non vedere preoccupandosi unicamente del programma da svolgere, all’atteggiamento persecutorio che si realizza quando il docente invita l’allievo a smetterla di disturbare ricorrendo a delle strategie comuni in classe: punizione, rimprovero. Esistono anche quei docenti che, facendo tesoro degli insegnamenti e della propria esperienza, si propongono di accettare coloro che vivono il disagio o che infastidiscono. Sulla base del proposito di accettare tutti, si rischia di mettere una specie di coperchio sulla situazione che impedisce di comprenderla adeguatamente. Uno dei motivi per cui il docente tende a reprimere e a rimuovere i sentimenti negativi verso gli studenti è dettato dal bisogno di evitare di sentirsi falliti, cercano di realizzare quello che tecnicamente è definito come Detached Concern: un interessamento distaccato inteso come ideale di equilibrio e di maturità professionale, volto a tutelare sé e l’altro da attivazioni emotive intese e ritenute rischiose in quanto potrebbe interferire nel rapporto con paziente, allievo. Tradurre in pratica il detached concern non è semplice. Piuttosto che eliminare i sentimenti negativi il docente potrebbe cominciare ad ASCOLTARE per comprendere meglio la situazione e per scoprire nuove opzioni. Per esempio, se il comportamento dello studente è ambivalente in quanto da una parte vorrebbe entrare a far parte del gruppo, dall’altra agisce in modo da farsi emarginare sempre di più, il suo agire conferma l’ipotesi che nessuno voglia stare con lui. Il bambino potrebbe essere aiutato a prendere atto di quello che fa e imparare, ad esempio, a chiedere in maniera diretta, assertiva, non distruttiva. L’ascolto di sé e l’utilizzo dei sentimenti risulta di grande valenza educativa nel rapporto interpersonale tra gli allievi e l’insegnante può assumere il ruolo di facilitatore. 12 III Capitolo: OPPOSIZIONE, RIFIUTO E CONFLITTO EDUCATIVO Due modalità usate dagli educatori per far fronte all’opposizione dell’educando sono: - MODALITÁ VESSATORIE: uno degli stili più usati dagli educatori, dinanzi al bambino che rifiuta di accondiscendere alla richiesta di fare una certa cosa, è quella vessatoria. - MODALITÁ MANIPOLATORIE: nel realizzare importanti obiettivi, pur di eludere la resistenza o il rifiuto dell’altro, non è facile in certe occasioni resistere alla tentazione di ricorrere all’inganno. 2. IL CONFLITTO EDUCATIVO Esistono diverse definizioni di conflitto e gli psicologi, a partire da Lewin, ne hanno individuati e descritti diversi tipi: - CONFLITTO INTRAPSICHICO: concepito come un insieme di forze, di istanze, di polarità, che spesso si scontrano. - CONFLITTO INTERPERSONALE: può avere origine intrapsichica o relazionale. Esso ha origine interna quando uno degli interlocutori mette in scena dinamiche che originano da problematiche irrisolte di cui non è consapevole. Tra i meccanismi di difesa più importanti vi è la proiezione. Esso ha origine relazionale quando il disaccordo riguarda invece un problema reale e non risulta da proiezioni. Esso viene considerato “sano”, da un punto di vista psichico, se si fonda sulla consapevolezza, sull’integrazione di sé nonché su un adeguato senso di differenziazione tra sé e gli altri. Il conflitto sano è auspicabile nei rapporti interpersonali perché contribuisce a migliorare le relazioni. - CONFLITTO EDUCATIVO: è proprio del rapporto tra educando e educatore, è caratterizzato dall’antinomia libertà e autonomia. Tale rapporto si realizza a livello normativo: l’educatore spesso richiama verso un dover essere, l’educando intende conservare e preservare ciò che è con tutti i suoi bisogni, desideri, interessi. L’azione educativa da una parte limita l’azione dell’educando, dall’altra è limitata dalla sua personalità, originalità, diversità. L’iniziativa dell’educatore viene vissuta, di conseguenza, come una sorta di limite e di diniego del diritto di essere sé stessi da parte dell’educando. La necessità che ne deriva è di cercare un equilibrio tra l’iniziativa dell’educatore e la risposta da parte dell’educando. La questione riguarda i contenuti, i tempi, le modalità, gli stili, le tecniche, le strategie educative e interpersonali impiegate. Si tratta di stabilire a che punto e in che misura l’azione educativa non soffochi, anzi sviluppi la personalità del soggetto. Essenzialmente, bisogna ricercare modalità autorevoli e non autoritarie. Il dilemma autorità-libertà, ovvero tra azione dell’educatore ed iniziativa dell’educando può essere ridefinito e riassunto in due modi: stimolare la crescita dell’educando dal suo interno assecondandone gusti, desideri, valori, obblighi; aiutarlo a realizzare un dover essere da cui derivano valori, obblighi, regole. Nell’interazione educativa si realizza l’interdipendenza dei fattori personali e di quelli sociali, per cui vi sono delle polarità/tendenza che nascono dall’educatore e altre dall’educando. 15 il senso comune suggerisce di strutturare messaggi secondo la logica “dell’opposizione” e del “più di prima”: ci si aspetta che l’educatore incoraggi il cambiamento, stimoli l’interesse, sviluppi la motivazione. Una prima alternativa potrebbe essere quella di gestire situazioni paradossali con strategia altrettanto paradossali, secondo quanto affermato dagli studiosi della scuola di Palo Alto. Essenzialmente, la resistenza non va scoraggiata ma va considerata un importante veicolo di cambiamento. 16 IV Capitolo: PROBLEMATICHE EDUCATIVE: COSA SI FA DI SOLITO, COSA SI PUÒ FARE DI DIVERSO. Un rischio diffuso tra quanti si propongono per mestiere di alleviare il disagio, di promuovere il benessere dei destinatari del loro intervento è tecnicamente noto come sindrome di Burnout: intesa come una modalità di adattamento, come una risposta allo stress sperimentato in situazione lavorative che implicano il contatto con le persone a scopo di aiuto; una fuga da una situazione lavorativa vissuta quotidianamente con forte stress in cui non si intravedono vie d'uscita e possibilità di miglioramento; si tratta di una reazione emotiva, cognitiva e comportamentale caratterizzata da allontanamento dalla forma di malessere. Il burnout viene concepito come una sindrome psicologica, caratterizzata da tre dimensioni basilari: esaurimento emotivo, depersonalizzazione, diminuzione del senso di realizzazione e di autoefficacia. Cherniss definisce il burnout come un processo transazionale caratterizzato da tre fasi tipiche: a) Stress lavorativo che nasce dalla discrepanza tra richiese e risorse disponibili; b) Tensione come risposta emotiva allo squilibrio (ansietà, nervosismo) c) Conclusione difensiva che costituisce l’accomodamento psicologico (rigidità, cinismo, ritiro). Uno dei modelli interpretatici più interessanti, proposto da Pines, considera il desiderio di dare un senso alla vita come la principale forza motivante dell’essere umano: quando un professionista, come l’educatore, risulta motivato, facilmente si propone di ricercare e di realizzare il significato della propria esistenza nell’ambito lavorativo. Diviene così un candidato privilegiato del burnout in quanto il senso di fallimento conseguente agli insuccessi produce una graduale disillusione. È l’eccesso di motivazione che comporta un eccesso di coinvolgimento che determina aumento di stress, di ansia, una sorte di “etica della consacrazione” che conduce facilmente a un maggiore coinvolgimento. Di seguito saranno proposti alcuni casi rappresentativi delle situazioni in cui gli educatori si trovano a dover fare i conti con il lavoro educativo. Ad essi sarà affiancata un’analisi volta a comprendere i meccanismi interni e a escogitare opzioni di intervento. 1. SCRIVERE PAROLACCE SUI LIBRI DEI COMPAGNI In quinta classe di scuola primaria una bambina trova un giorno diverse oscenità sul suo diario, l’insegnante minaccia l'intera classe assicurando che nessuno avrebbe più festeggiato le feste in classe, e che non avrebbe fatto nessuna attività, se non fosse venuto fuori al più presto l'autore ditale accaduto. Alessia, autrice delle scritte ascolta in silenzio, ma l'insegnate dopo alcuni giorni capisce che è stata lei e dopo averla convocata separatamente, con atteggiamento incalzante, ottiene dalla bambina la confessione e la promessa che non lo avrebbe più fatto. L'insegnate è soddisfatta ma incuriosita chiede perché mai abbia agito in quel modo. Alessia rispose che fin dal primo anno la compagna non aveva perso occasione per farle dei dispetti, emarginarla ed escluderla dai giochi. Il ravvedimento e l’atteggiamento moralistico La maestra di Alessia ha assunto un ruolo ispettivo per scoprire l’autore del reato. La logica soggiacente è di tipo moralistico. Tradizionalmente, le 17 strategie educative sono rivolte al controllo del disagio, all’adattamento da parte del soggetto, all’eliminazione dei sintomi esterni. La ricerca di opzioni efficaci Cosa si può fare di diverso? Intanto, occorre precisare a quale obiettivo educativo si intende puntare. Educare in questo caso vuol dire per prima cosa comprendere come mai l'allievo si mette ad imbrattare il diario, i libri. Il fatto che abbia subito dei dispetti e che voleva farla pagare di nascosto alla compagna, rivela che non può permettersi di sentire, di vivere e di usare apertamente la sua rabbia verso la compagna. La bambina, infatti è stata educata a non sentire, a nascondere e a non usare la sua rabbia perché secondo i suoi genitori è poco rispettoso. Il clima poliziesco creato in classe non consente di perseguire alcun obiettivo educativo, ma rischia di rivelarsi antieducativo in quanto promuove l'analfabetismo emozionale; infatti è fondamentale dal punto divista educativo insegnare ai bambini che va bene sentire e vivere la rabbia e che non c'è motivo di nascondersi o ricorrere a percorsi sotterranei. L'insegnamento può intervenire sull'intera classe, può avviare dei percorsi strutturali volti a promuovere l'alfabetizzazione affettiva in tutti i bambini. (ci sono altri due esempi)