Scarica Giovan Battista Marino e l'Adone e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! GIOVAN BATTISTA MARINO Nasce il 14 ottobre del 1569 a Napoli punto della sua formazione letteraria non si sa molto, certamente conosce bene il latino ma non il greco. È possibile suddividere la sua vita in sette periodi, ognuno corrispondente al luogo in cui ha vissuto: • Dal 1569 al 1600 – Napoli Nonostante tentativi del padre di fargli studiare legge, Marino abbandona gli studi e il padre lo caccia di casa. Frequenta l’accademia degli Svegliati, ambiente che gli consentì di allacciare contatti con i più importanti intellettuali e mecenati del tempo. Il poeta ha bisogno di finanziatori e trova in Gian Battista Manso il suo protettore. Nel 1598 fu arrestato, probabilmente con l’accusa di sodomia. Una volta liberato fu nuovamente accusato di aver falsificato alcune bolle vescovili con l’intento di salvare un amico: venne salvato riesci a fuggire dalla città. • Dal 1600 al 1606 – Roma Marino lascia Napoli e si trasferisce a Roma, dove trova il protettorato di Pietro Aldobrandini, nipote del papa Clemente VIII Aldobrandini. A Roma nel 1602 pubblica la sua prima opera presso l’editore Ciotti, un volume di rime divise in due libri stampati a Venezia. • Dal 1606 al 1609 – Ravenna Dopo la morte del Papa e la caduta in disgrazia di Pietro che decide di trasferirsi nella sua diocesi di Ravenna, Marino lo segue. A Ravenna l’autore entra in contatto con alcune importanti letture che lo influenzeranno nel suo percorso. • Dal 1609 al 1615 – Torino Marino viene invitato a Torino in occasione delle nozze delle figlie di Carlo Emanuele I. In occasione delle nozze scrivere due testi per ciascuno dei due matrimoni. Dopo la scrittura di “Ritratto del serenissimo Don Carlo Emanuello duca di Savoia” Marina viene nominato cavaliere. Nella corte torinese il più stipendiato è famoso era Gaspare Murtola, con il quale inizia una grande rivalità. Rientrato a Ravenna nel 1609, il Marino torna a Torino nello stesso anno entrando servizio del duca e rimpiazzando il Murtola come segretario. Nel 1611 il poeta viene incarcerato: la causa si riferisce alla diffusione da parte del poeta di una serie di componimenti ingiuriosi nei confronti del duca, prodotti probabilmente dai suoi nemici per screditarlo. Inoltre ricevette una denuncia dal sacro Uffizio per componimenti osceni e testi eretici, evidentemente scritto non di sua mano. Al poeta vengono così sequestrati i manoscritti. Nel 1614 il Marino completa la stampa della Lira con la terza parte E pubblica leDicerie sacre. • Dal 1615 al 1623 - Parigi Marino lascia Torino e diventa poeta della corte francese su invito di Maria de’ Medici. Quando Luigi XIII fa un colpo di Stato esiliando la madre e diventando il nuovo re, Marino riesce a farsi apprezzare anche dalla nuova corte con un manoscritto anti ugonotti. Nel 1620 stampa a Parigi la Sampogna e nel 1623 l’Adone. • Dal 1623 al 1624 – Roma A Roma è ospitato da Crescenzio Crescenzi • Dal 1624 al 1625 – Napoli Muore il 25 marzo del 1625. Tra le opere di Marino • 1600: “La strage degli innocenti” • 1602: “Rime” • 1605. “Il tebro festante” • 1608: “Il ritratto” • 1608-09: “Murtoldeide” • 1614: “Lira” III w “Dicerie sacre” • 1617: “La sferza” • 1620: “La Sampogna” • 1623: “L’Adone” • 1615: “Il tempio” ADONE È il poema più lungo della storia della letteratura italiana con un totale di 40.900 versi, poco più dell’Orlando furioso, ma tre volte più lungo della divina commedia della Gerusalemme liberata (è così lungo perché ha una storia compositiva molto lunga, che prevede la continua aggiunta di materiali vari, probabilmente anche indirizzati ad opere diverse poema composito). L’opera descrive le vicende amorose di Adone e Venere, Dedicato a Luigi XIII re di Francia, esso è composto da 20 canti ed è preceduto da una lettera indirizzata alla regina Maria de’ Medici. Essa è preceduta anche dalla prefazione del critico francese Jean Chapelain, in cui poema viene presentato come “poème de la paix” (poema della pace), epico, ma non eroico. Il sogno del Marino è quello di sfidare la tradizione del poema eroico portata perfezione da Tasso con la Gerusalemme liberata, creando un’opera capace di inglobare i vari generi letterari sperimentati nel passato. Il nuovo genere viene definito poema eroico di pace e non di guerra. Secondo Marino il nuovo poema di pace non è tenuto a seguire le regole di Aristotele di tipo bellico (così si giustifica l’autore). Le due realtà, ossia l’amore e la guerra, non possono essere raccontati insieme. Esistono però nell’Adone alcuni sostituti della guerra: • Guerra con gli scacchi: descritta tessile per segno, evento simbolico (guerra sublimata). Nel 15º canto tra i versi 118 e 130 Marino fa una descrizione precisa della regola degli scacchi, spiegando pezzo per pezzo la funzione che hanno. • Rissa tra due bande di briganti (canto XIV) • La caccia: vero sostituto della guerra. Adone è un cacciatore che viene amato da Venere e che per tutto il poema mantiene questa duplice potenzialità di amante e il cacciatore. La sua morte avverrà nel momento in cui egli, nonostante tutti divieti di Venere, tornerà a caccia. Nel 1596 gli è la prima testimonianza di Camillo Pellegrino, il quale in una lettera dichiara che marina sta scrivendo l’Adone. Prima del 1600 vi è la prima testimonianza di Marino i “Sospiri di Ergasto”. Si diceva che le testimonianze si riferissero ad un idillio, un breve componimento in versi che racconta un avvenimento mitologico o un po’ emette di ambientazione pastorale. Nel 1614 pubblica la terza parte della Lira, firmata da Onorato Claretti. Viene descrizione dettagliata delle opere che Marino ha incorso di protezione, ma che non ancora pubblicato. Si dice che è arrivato a poco meno di 1000 ottave perché il libro è diviso in quattro: gli amori, i trastulli (divertimenti amorosi), la dipartita (partenza di Venere che lascia Adone da solo), la morte. In realtà il tentativo di Marino era quello di scrivere un poema anti tassiano che gli permettesse di confrontarsi con la Gerusalemme liberata. A questo proposito inizia a scrivere la “Gerusalemme distrutta”. Nel 1614 però si rende conto che Tommaso Stigliani era avanti a lui, così inizia a scrivere l’Adone. Stigliani infatti nel 1627 pubblica “L’occhiale”, un’opera volta distruggere criticare Marino, al tempo già morto. Le critiche che gli vengono fatte sono: • L’Adone è come un libro di disegni anatomici non unitario nel quale non esiste una figura umana intera ma ci sono solo particolari del corpo, come la testa i piedi le mani. • L’Adone non è come il palazzo Vaticano, ossia un unico agglomerato, ma è come i palazzi di Parma. Secondo Stigliani un poema deve avere una struttura armonica ordinata. • Secondo lui la Gerusalemme liberata è una pianta con foglie rami, mentre l’Adone è una pianta di fico d’India con foglie che crescono le une sulle altre sullo stesso tronco. Non c’è quindi dubbio che l’Adone sia un poema composito ed ha una natura disorganica: al suo interno contiene dei pezzi che non erano stati scritti apposta per questo componimento, poema Il Mondo Nuovo di Tommaso Stigliani appena pubblicato) e nella Sala del Mappamondo dove è possibile conoscere le guerre del futuro: Mercurio annuncia le guerre di Francia e d'Italia. Gran parte anche di questo canto è forse stata composta durante il periodo francese, viste le fonti (Pico della Mirandola, Menenio Agrippa) difficilmente circolanti in Italia. 11. Le Bellezze (canto XI): Proemio dedicato a Maria de' Medici. 3) Raggiunto il cielo di Venere, vedono passare in rassegna le donne più celebri e belle del futuro; elogio delle bellezze d'Italia e di Francia (qui si ritrova l'ottava di dedica al Concini che nell’Adone1616 apriva il poema); Adone vuole conoscere da Mercurio il suo oroscopo e apprende che è negativo. Venere, che intanto ha lanciato frasi di sdegno contro l'astrologia, desidera ritornare sulla terra anche perché è gelosa nel vedere tante bellezze. Sono trascorsi tre giorni. Termina qui l'intero percorso iniziatico fisico e intellettuale di Adone iniziato nel canto VI (e che verrà ripreso nel canto XV con la lettura della mano e la partita a scacchi). 12. La Fuga (canto XII): Invettiva contro la gelosia. Intanto Gelosia avvisa Marte della vita felice della coppia e questi si precipita a Cipro. Venere fa fuggire Adone dandogli un anello (come quello di Angelica dell'Orlando Furioso) contro cui non valgono incanti e che lo manterrà fedele. Adone incontra una ninfa che lo porta alla dimora sotterranea della maga Falsirena che tende insidie amorose al giovinetto, il quale, sempre fedele a Venere, tenta la fuga ma viene imprigionato. Durante l'avventura sotterranea nel regno di Falsirena, aumentano sensibilmente i rimandi cristologici ed agiografici sulla figura di Adone. Alcune ottave di questo canto erano già state messe in musica e pubblicate nel 1615 da Sigismondo d'India e nell’Adone1616 (che manca dell'odierno II canto) sono collocate nel II canto per descrivere l'incontro di Adone con Venere (che ora è nel III canto): il personaggio di Falsirena, quindi, deve avere preso corpo dopo il 1616 e il poeta deve aver riferito a lei solo dopo questa data le ottave che prima riguardavano Venere. 13. La Prigione (canto XIII): Invettiva contro la magia. Attraverso un sanguinoso maleficio (preso dalla Farsaglia lucanea) Falsirena apprende che Adone è innamorato di Venere, che gli ha donato l'anello; ad Adone è sottratto l'anello fatato, ma gli appare Mercurio e gli spiega le insidie che ancora lo aspettano. Trasformato per sbaglio dalla stessa Falsirena in pappagallo (simbolicamente lo stesso uccello che cantava le lodi della rosa nel giardino di Armida della Gerusalemme liberata), Adone può volare via dalla prigione. In questa forma si sottrae, grazie a Mercurio, ad un agguato di Vulcano e, tornato a Cipro, assiste inerme agli amori di Marte e Venere nel giardino del tatto. Su consiglio di Mercurio torna nel regno sotterraneo di Falsirena per recuperare la forma prima e il suo anello, ma contro il monito del suo consigliere, giunto al tesoro di Falsirena, sottrae anche le funeste armi di Meleagro, che lo porteranno alla morte. 14. Gli Errori (canto XIV): Deplorazione della decadenza dell'arte militare. Tornato sulla terra si traveste da donna per far perdere le sue tracce, ma incappa nelle trame di due opposte banda di briganti, concupito, in quanto donna, da più parti. Se ne libera grazie a una romanzesca serie di equivoci e di ammazzamenti ma è poi coinvolto nel non meno complesso romanzo amoroso di Sidonio e Dorisbe, il cui racconto include quasi intera la seconda metà del canto. Gran parte di questo canto è tratta dalle Etiopiche di Eliodoro, dal Palmarin di Lodovico Dolce e dal Mondo nuovo dell'avversario Tommaso Stigliani (prima parte stampata nel 1617). 15. Il Ritorno (canto XV): Invito alla speranza amorosa. Andato via Marte, Venere travestita da zingara incontra Adone e gli legge la mano: è una nuova occasione per metterlo in guardia dal suo oroscopo e dai pericoli della caccia. I due tornano agli amori. Per distrarlo dalla noia incipiente, Venere propone una partita a scacchi (presa dagli Scacchia ludus di Marco Girolamo Vida) e Adone vince, anche se con la frode di Mercurio, guadagnandosi così il regno di Cipro che in realtà è già di Adone, in quanto figlio di Mirra e di Ciniro, re di Cipro. Mercurio narra la favola della ninfa Galania: essa un giorno barò a scacchi contro Venere, e Venere la costrinse a portare sempre con sé la scacchiera trasformandola in tartaruga (la favola è tratta dagli Ecatommiti di Giambattista Giraldi Cinzio). L'intero canto è parallelo al primo incontro nel III canto (là Venere è travestita da Diana e qui da zingara) e riassume simbolicamente l'educazione sensoriale (la mano) e intellettuale (gli scacchi) di Adone svolta nei canti VI-IX. 16. La Corona (canto XVI): La bellezza corporea è specchio dell'anima. Si deve eleggere con un concorso di bellezza il nuovo re di Cipro; lunga parata dei principi che vengono al tempio (la scena è parallela al Giudizio di Paride nel II canto). Anche Adone partecipa e vince. Giunge intanto una donna, la vecchia nutrice di Adone, che rivela lui essere il vero figlio del re di Cipro e porta come conferma che lui abbia una macchia a forma di rosa sul costato, cosa che è vera. Adone viene incoronato, ma non vuole esercitare alcun potere e lascia il suo ruolo all'anziano reggente e torna nel giardino di Amore. 17. La Dipartita (canto XVII): La separazione è il più grande dei dolori. Venere deve essere presente alle feste che si danno a Citera in suo onore e Adone le strappa la concessione di poter cacciare nel parco di Diana. Durante il viaggio per mare a dorso di Tritone, Proteo le predice la morte di Adone; Tritone le narra la storia di Glauco che si è reso immortale con delle erbe; Venere lo cerca ma fallisce. 18. La Morte (canto XVIII): Amore e Sdegno travagliano l'uomo. Su delazione di Aurilla, strumento di Falsirena, Marte tende ad Adone un agguato nel parco, coadiuvato da Diana: irritano un cinghiale contro Adone. Questi lo affronta con le armi di Meleagro, fatali a chi le porta, e per di più colpisce la belva con una freccia di Amore, infondendogli furia amorosa. Un vento, intanto, inviato da Marte e Diana, scopre la coscia di Adone ed eccita la fiera che gli morde l'anca per baciarlo. Adone morso muore dissanguato. Venere avvisata in sogno (preso dal De raptu Proserpinae di Claudiano) accorre e assiste alla morte del suo amato, piangendolo a lungo. Si cerca e si processa il cinghiale, che viene assolto, intese le ragioni amorose che l'hanno mosso. 19. La Sepoltura (canto XIX): Il pianto e il destino. Quattro divinità accorrono a consolare Venere intorno alla bara con racconti di sei dolorosi casi mitici analoghi al suo: Apollo narra di Giacinto, Bacco di Pampino, Cerere di Aci, Galatea e Polifemo, Teti di Calamo e Carpo, di Leandro, di Achille (scena parallela ai racconti del canto V; è qui che il Marino trova modo di riciclare forse anche il suo poema Polifemo). Si celebrano i funerali. Venere trasforma il cuore di Adone in anemone (in opposizione simbolica alla rosa del canto III) e indice tre giorni di giochi in onore del defunto. 20. Gli Spettacoli (canto XX): Congedo del poeta. Gli dèi accorrono ai giochi. La parata (qui il poeta ha probabilmente riciclato le ottave della Gerusalemme Distrutta).Il primo giorno è dedicato alle gare di tiro all'arco e di danza; il secondo alla lotta e alla scherma; il terzo alla giostra, cui partecipa la nobiltà italiana e straniera e in cui i cavalieri Fiammadoro e Austria (Francia e Spagna), dopo il duello, sono uniti da Venere. Sullo scudo istoriato ottenuto in premio da Fiammadoro, Apollo legge le guerre tra Francia e Spagna, l'unione dei regni tramite il matrimonio di Anna d'Austria e Luigi XIII e tesse gli elogi di Luigi XIII, trascritti in forma di poema dal pescatore Fileno (il Marino). Marino era considerato rappresentante dell’epoca, il re del secolo.Uno studioso molto importante di Marino, Giovanni Pozzi, pubblico per Mondadori un’edizione di commento dell’Adone, diviso in due volumi (uno con il testo, l’altro con il commento). In questo saggio egli analizza i meccanismi narrativi dell’opera, prendendo in esame le narrazioni dell’Adone e della Secchia rapita e paragonandole con la Gerusalemme liberata. Pozzi nota di come Tasso avesse rispettato i meccanismi narrativi, costruendo una macchina perfettamente funzionante, basata sulle simmetrie e su una costruzione armonica. Nella Gerusalemme liberata vi era un rapporto tra la finzione e la storia e gli era una certa unità d’azione. L’Adone poni un rapporto diverso con la storia perché è un poema mitologico: Marino non si cura della verosimiglianza narrativa. Nel seicento tutta questa attenzione per le strutture narrative viene a cadere, in quanto i nuovi letterati spostano la loro attenzione sullo stile, andando alla ricerca di una lingua politica radicalmente diversa da quella in uso. La poesia è artificiosa e ciò porta alla rinuncia del realismo e della verosimiglianza. Secondo Pozzi l’autore infrange gli elementi che sono alla base della narrativa, ossia il nesso cronologico ed il legame di causa-effetto. Allegoria LA FORTUNA. Nella sferza di rose e di spine con cui Venere batte il figlio si figura la qualità degli amorosi piaceri, non giamai discompagnati da’ dolori. In Amore che commove prima Apollo, poi Vulcano e finalmente Nettuno, si dimostra quanto questa fiera passione sia potente per tutto, eziandio negli animi de’ grandi. In Adone che con la scorta della Fortuna dal paese d’Arabia sua patria passa all’isola di Cipro, si significa la gioventù che sotto il favore della prosperità corre volentieri agli amori. Sotto la persona di Clizio s’intende il signor Giovan Vincenzo Imperiali, gentiluomo genovese di belle lettere, che questo nome si ha appropriato nelle sue poesie. Nelle lodi della vita pastorale si adombra il poema dello Stato rustico, dal medesimo leggiadramente composto. Argomento Passa in picciol legnetto a Cipro Adone dale spiagge d’Arabia, ov’egli nacque. Amor gli turba intorno i venti e l’acque, Clizio pastor l’accoglie in sua magione. Canto primo Io chiamo te, per cui si volge e move 1ª ottava la più benigna e mansueta sfera, santa madre d’Amor, figlia di Giove, bella dea d’Amatunta e di Citera; te, la cui stella, ond’ogni grazia piove, dela notte e del giorno è messaggiera; te, lo cui raggio lucido e fecondo serena il cielo ed innamora il mondo, tu dar puoi sola altrui godere in terra 2ª ottava di pacifico stato ozio sereno. Per te Giano placato il tempio serra, addolcito il Furor tien l’ire a freno; poiché lo dio del’armi e dela guerra spesso suol prigionier languirti in seno e con armi di gioia e di diletto guerreggia in pace ed è steccato il letto. Dettami tu del giovinetto amato 3ª ottava le venture e le glorie alte e superbe; qual teco in prima visse, indi qual fato l’estinse e tinse del suo sangue l’erbe. E tu m’insegna del tuo cor piagato a dir le pene dolcemente acerbe e le dolci querele e’l dolce pianto; e tu de’ cigni tuoi m’impetra il canto. Ma mentr’io tento pur, diva cortese, 4ª ottava d’ordir testura ingiuriosa agli anni, prendendo a dir del foco che t’accese i pria sì grati e poi sì gravi affanni, Amor, con grazie almen pari al’offese, lievi mi presti a sì gran volo i vanni Come fia tardo ad ubbidirti il vento se’l re de’ venti ancor per te sfavilla e ricettan l’ardor ne’ freddi cori Borea d’Orizia e Zefiro di Clori? Tu virtù somma de’ superni giri, 116ª ottava dispensier dele gioie e de’ piaceri, imperador de’ nobili desiri, illustrator de’ torbidi pensieri, dolce requie de’ pianti e de’ sospiri, dolce union de’ cori e de’ voleri, da cui natura trae gli ordini suoi, dio dele meraviglie e che non puoi? Sicome tanti qui fiumi che vedi, 117ª ottava del mio reame tributari sono, così, signor che l’anime possiedi, tributario son io del tuo gran trono. Onde a quant’oggi brami e quanto chiedi da questo scettro a te devoto in dono, o gioia, o vita universal del mondo, altro che l’esseguir più non rispondo. - Così dice Nettuno e così detto 118ª ottava crolla l’asta trisulca e’l mar scoscende. D’alpi spumose oltre il ceruleo letto cumulo vasto inver le stelle ascende; urtansi i venti in minaccioso aspetto, dele concave nubi anime orrende e par che rotto o distemprato in gelo voglia nel mar precipitare il cielo. Borea d’aspra tenzon tromba guerriera 119ª ottava sfida il turbo a battaglia e la procella; curva l’arco dipinto Iride arciera, e scocca lampi in vece di quadrella; vibra la spada sanguinosa e fiera il superbo Orion, torbida stella e’l ciel minaccia ed ale nubi piene d’acqua insieme e di foco apre le vene. co’ tuguri cangiar voglio i palagi, altro tesor che povertà non bramo; sazio de’ vezzi perfidi e malvagi, ch’han sotto l’esca dolce amaro l’amo, qui sol quella ottener gioia mi giova che ciascun va cercando e nessun trova. Non ti meravigliar che la selvaggia 161ª ottava vita tanto da me pregiata sia, ch’ancor di Giano insu la patria spiaggia ne cantai già con rustica armonia; onde vanto immortal d’arguta e saggia concesse Apollo ala sampogna mia, de’ cui versi lodati in Elicona il ligustico mar tutto risona. - Del maestro d’amor gli amori ascolta 162ª ottava stupido Adone ed a’ bei detti intento. Colui, poich’affrenò la lingua sciolta, fè da’ rozzi valletti in un momento recar copia di cibi, a cui la molta fame accrebbe sapore e condimento; ma pur dubbioso e di suo stato incerto, ch’ancor gli par del’orgoglioso flutto veder l’abisso orribilmente aperto. Volgesi intorno e scorge esser pertutto, circondato dal mar, bosco e deserto, ma quella solitudine che vede, gioconda è sì, ch’altro piacer non chiede. Quivi si spiega in un sereno eterno 129ª ottava l’aria in ogni stagion tepida e pura, cui nel più fosco e più cruccioso verno pioggia non turba mai, né turbo oscura, ma, prendendo dipar l’ingiurie a scherno del gelo estremo e del’estrema arsura, lieto vi ride né mai varia stile un sempreverde e giovinetto aprile. I discordi animali in pace accoppia 130ª ottava Amor, né l’un dal’altro offeso geme; va con l’aquila il cigno in una coppia, va col falcon la tortorella insieme, né dela volpe insidiosa e doppia il semplicetto pollo inganno teme; fede al’amica agnella il lupo osserva, e secura col veltro erra la cerva. Da’ molli campi, i cui bennati fiori 131ª ottava nutre di puro umor vena vivace, dolce confusion di mille odori sparge e’nvola volando aura predace: aura, che non pur là con lievi errori suol tra’ rami scherzar spirto fugace, ma per gran tratto d’acque anco da lunge peregrinando i naviganti aggiunge. Va oltre Adone e Filomena e Progne 132ª ottava garrir ode pertutto ovunque vanne e di stridule pive e rauche brogne sonar foreste e risonar cappanne di villane sordine e di sampogne, di boscherecci zuffoli e di canne e, con alterno suon, da tutti i lati doppiar muggiti e replicar balati. Solitario garzon posarsi stanco 133ª ottava vede al’ombra d’un lauro in rozza pietra; ha l’arco a’ piedi e gli attraversa il fianco d’un bel cuoio linceo strania faretra; veste pur di cerviero a negro e bianco macchiata spoglia e tiene in man la cetra; dolce con questa al mugolar de’ tori accorda il suon de’ suoi selvaggi amori. Di dorato coturno ha il piè vestito, 134ª ottava eburneo corno a verde fascia appende; ride il labro vivace e colorito, sereno lampo il placid’occhio accende; ha fiorita la guancia, il crin fiorito e fiorita è l’età che bello il rende; tutto in somma di fiori è sparso e pieno, fior la man, fior la chioma e fiori il seno. Formidabil mastin dal destro lato 135ª ottava in un groppo giacer presso gli scorse, che con rabbioso ed orrido latrato Fuor el c nfin prescritto in alto poggia 120ª ottava tumido il mar di gran sup rbia e cresce; ruinosa el mar scende la pioggia, il mar col cielo, il ciel col mar si mesce; in novo stile, n susata foggia, l’augello il nuoto impara, il volo il pesce; oppongonsi elementi ad elementi, nubi nubi, acque ad acque e venti a venti. Potè, tant’alto quasi il flutto sorse, 121ª ottava la sua sete ammorzar la cagna estiva e di nova t mpesta a r schio corse, non ben secura in ci l, la nave argiva. E v i fuor d’ogni legge, o gelid’orse, malgrado ancor dela gelosa diva, nel mar vietato i luminosi velli lav ste pur dele stellate pelli. Deh che farai dal patrio suol lonta o, 122ª ottava misero Ad e, a navigar mal atto? vaghezza pu ril tanto pian piano mal guida alischelmo ha tratto, che l terra natia sospiri invano, dal gran rischio c nfuso e sovr fatto. Tardi ti penti e sbigottito e smorto m i cominci a desperar del porto. Già già convien che il timido n cchiero 123ª ottava al’ bitrio de caso s’abbandoni; fremono per lo ciel torbido e ne fra baleni ondeggianti i rauchi tuoni e tuona anch’egli il re del’acque altero, ch’a suon d’austri soffianti e d’aquiloni, col fulmine dentato, emulo a Giov , tormentando la terra, il mar commove. Co e la navicella e ratta e lieve 124ª ottava la co rente del mar seco la porta; p ega l’orlo talvolta e l’onda beve, assai vicina a rimanerne absorta; più pallido e più geli o che neve v lgesi Adon, né scorge più la scorta e d morte sì vasta il fiero spetto confonde gli occhi suoi, spaventa il petto. Ma mentre privo di terreno aiuto 125ª ottava l’agitato battel vacilla ed erra, ambo i fianchi sdruscito c mbattut da quell’ondosa e t mpestosa guerra, quando il fanciul più si tenea perduto, e rap dament approda in terra e, tra’ giunchi palustri insu l’arena vomitato dal’acque, il corso affrena. Oltre l’Ege , là donde spunta in prima 126ª ottava il pianet maggior he’l dì rimena, sotto benigno e temperato clima stende le falde un’isoletta amena. Quindi il superbo Tau o erge la cima, quinci il famoso Nil fende l’arena; ha Ro o incontro e di Soria vicini e di Cilicia i fertili confini. Questa è la ter a ch’ala dea, che nacque 127ª ottava già di Lig ria ad abitar venn’io; asco per ’odorif ra verdura i bianchi armenti, e Clizio è il nome mio; de suo b parco la custodia in cura d emmi la m dre d l’alato dio, dov’entr r, fuorch’a Vener , non lice, ed ala ea selvaggia e c ciatrice. Trovato ho qu ste s lve ai flutti am ri 145ª ottava d’ogn um n travaglio il vero porto; q d e guerre d ’ civili affari quasi in s curo asilo, l ciel m’ha scorto; ser ci dr ppi n n mi fur sì cari c me ’arnese ruvido ch’io porto ed arno m glio le spelonch e i prati, che le logge marmoree e i palchi aurati. Oh qu nto qui più volent eri ascolto 46 i sussurri d l’acque e dele fronde, che quei del foro strepitoso e stolto che il fremito vulg r rauco confonde! Un’erba, un pomo e di fortun un volto quanto più di quiete in sé nasconde di que ch’ varo principe dispensa sudato pane in malcondita mens . Ques a f lice e semplic tta gen e 47 che qui meco si spazia e s trastulla, g d quel ben che ten r e nascente ebbe a g r sì p co il mondo n culla: lecita lib rtà, vita innocent , appo’l cui bas o stato il regio è nulla, ché sp ezzare i eso né cur r l’ ro, questo è secolo d’or, questo è tesor . N n cibo o pasto prezioso lauto 48 il mio povero desco orn compone; r damma rrant , or avriuolo incauto ’empi , or frutto maturo in sua stagione; etto talora suon ’aven o flauto discepoli boschi umil c nz ; serva no, ma compagna amo l greggia; quest mandra malculta è l mia eggia. Lunge da’ fasti ambiziosi e vani 49 m’è sce tro il mio baston, porpor il vello, ambrosia il latte, a cui le proprie mani sc san oppa e n ttare il rusc llo; son ministri i bifolci, amici i cani, sergente il toro e cor gian l’agnel o, musici gli a gelletti e l’aur e l’onde, piume l’erbette e padiglion le fronde. Ce e a q est’ombre ogn più chiara luce, 150ª ottava ai lor silenzi i più canori ccenti; ostro qui non fi mmeggia, r non riluce, di cui sangue e allor son gli or menti; e n n bastano i fior che’l su l produce, di più bell’os ro e più bell’or luc nti, con sereno splendor spi gar vi suol p mpe d’ostr l’ urora e d o il sol . Altro m rmor tor non è che s’oda 51 q i mo morar che’l morm rio del ivo; adulator non mi lusing o loda quegli ala gola intorno allor gli lega con tenace cordon serica lassa; poscia il real donzello invita e prega ch’oltre vada securo: ed egli passa. Passa colà, dove raccoglie umile famiglia pastoral rustico ovile. Stassene alcun su le fiorite rive 137ª ottava d’una sorgente cristallina e fresca; altri per l’elci folte al’ombre estive i vaghi augelli insidioso invesca; altri ne’ verdi faggi intaglia e scrive d’amor tutto soletto il foco e l’esca; altri rintraccia di sua ninfa l’orme, altri salta, altri siede ed altri dorme. Quei con versi d’amor l’aure addolcisce 138ª ottava al sussurrar de’ lubrici cristalli; questi al tauro, al monton, che gli ubbidisce, insegna al suon dela siringa i balli; qual fiscelle d’ibisco e qual ordisce serti di fiori o purpurini o gialli; chi torce al’agne le feconde poppe, chi di latte e pie i giunchi e chi le coppe. Col bel fanciullo, ove grand’ombra stende 139ª ottava pergolato di mirti, il pastor siede. Quivi Adon sue fortune a narrar prende, dela contrada e di lui stesso chiede. L’un gli risponde e l’altro intanto pende dal parlar, che d’amore il cor gli fiede. - Strani (gli dice) oltr’ogni creder quasi, peregrino gentil, sono i tuoi casi! Ma cangiar patria omai, deh! non ti spiaccia 140ª ottava con sì bel loco e rasserena il ciglio, ché se pur, come ostri, ami la caccia, qui fere avrai senz’ira e senz’artiglio. Né creder vo’ che’ndarno il ciel ti faccia campar da tanto e sì mortal periglio o senz’alta cagion per via sì lunga perduto legno a queste rive giunga. Così compia i tuoi voti amico cielo 141ª ottava e secondi i desir destra fortuna, come, fra quanti col suo piè di gelo paesi inferior scorre la luna, non potea più conforme a sì bel velo terra trovarsi o regione alcuna. Certo con lei, che con Amor qui regna, sol di regnar tanta bellezza è degna. L’isola, dove sei, Cipro s’appella, 142ª ottava che del mar di Panfilia in mezzo è posta; la gran reggia d’Amor, vedila, è quella ch’io là t’addito inver la destra costa, né, se non quanto il vuol la dea più bella, colà giamai profano piè s’accosta. Scender di ciel qui spesso ella ha per uso; in altro te po il ricco albergo è chiuso. V’ha poi templi ed altari, havvi Amor seco, 143ª ottava simulacri, olocausti e sacerdoti, dal c i mo so rudel t afitta a m rte è l Innocenza e lacera la Fede; qu non regna Perfidia e, se per s te, picciol’ap tal ti punge e fiede, fiede senza veleno le ferite c usu e di mel son risarcite. N n sugge qui crudo tiranno il sangue, 153ª ottava ma d screto bifolco il l tte coglie; n n m o var l poverello es angue la pelle scarna le sostanze togli ; solo l’agnel, che n n però ne l ngue, havv chi o e le l nose spoglie; pu stimulo acuto i fi co ’ buoi, non desi e immodesto il petto a noi. Non si tratta fr noi del fi ro Ma te 154ª ottava sanguinoso e mor a ferro pungente, ma di Cerere sì, l cui bell’arte sos ien l vita, vomere e’l bidente, né mai di gu rr in questa o i quella parte furor insa o r pito si sente, salvo di quella che talor fra lor an con cozzi mo i capro e’l toro. Con l ncia o brando m i non si contrasta 155ª o tava in queste beatissime contrade; sol di Bacco talor si vibra l’asta, on vin e non sangue in terra cad ; ol qu l presidio ai ostri campi b st di tenerell e erdeggianti spade che, n te là su le vicine sponde, st n i tremando a guerreggiar con l’onde. Bo a c soffi o ribili b n pote 156ª ottava crollar la selva e batter la foresta: p c fici p nsier n n turba o scote di cure vigilanti aspr tempesta. E se Gi v alor fiacca e percote l’a te que ce la superba testa, in n i non vien mai ch s occhi o mandi ful i i i fur r l’ira de’ grandi. C sì ra ver i e solitari boschi 157ª ottava s lati ne meno i giorni e gli anni; quel sol, che scacci i t isti r ri e foschi seren anco i p nsier, sgomb a gli ffanni; non emo d’orso o d’angue tigli o toschi, n di rapa e lupo insid o danni, ché non nu re il terren f re o serpenti, o se ne nutre p r, sono innocenti. Se cos è che talor t rbi d nn i 158ª ottava i miei riposi placidi e tranquilli, ltri on è ch’amor. Lasso, d poi ch mi giunse ed r la bella Filli, p lei languisco e sol per hi suoi c nvien che quant’io viva arda e sfavilli v ’ ch chiuda una medes a fossa del foco insieme il cenere e del’oss . Ma così s n d’amo d lci gli stral , 159ª ot ava sì l sua fiamma e la catena è lieve, che ille straz rigidi e rtali mel di diletto e nettare d’amore, soave al gusto e velenoso al core; né mai di loto abominabil frutto 163ª ottava di secreta possanza ebbe cotanto, né fu giamai con tal virtù costrutto di bevanda circea magico incanto, che non perdesse e non cedesse intutto al pasto del pastor la forza e’l vanto: licore insidioso, esca fallace, dolce velen ch’uccide e non dispiace. Nel giardin del Piacer le poma colse164ª ottava Clizio amoroso e quindi il vino espresse, ond’ebro in seno il giovinetto accolse fiamme sottili, indi s’accese in esse. Non però le conobbe e non si dolse, ché, finch’uopo non fu, giacquer soppresse, qual serpe ascosa in agghiacciata falda, che non prende vigor se non si scalda. Sente un novo desir ch’al cor gli scende 165ª ottava e serpendo gli va per entro il petto; ama né sa d’amar, né ben intende quel suo dolce d’amor non noto affetto; ben crede e vuole amar, ma non comprende qual esser deggia poi l’amato oggetto e pria si sente incenerito il core che s’accorga il suo male essere amore. Amor ch’alzò la vela e mosse i remi 166ª ottava quando pria tragittollo al bel paese, va sotto l’ali fomentando i semi dela fiamma ch’ancor non è palese. Fa su la mensa intanto addur gli estremi dela vivanda il contadin cortese; Adon solve il digiuno e i vasi liba, e quei segue il parlar mentr’ei si ciba - Signor, tu vedi il sol ch’aventa i rai 167ª ottava di mezzo l’arco, onde saetta il giorno; però qui riposar meco potrai tanto che’l novo dì faccia ritorno. Ben da sincero cor, prometto, avrai in albergo villan lieto soggiorno; avrai con parca mensa e rozzo letto accoglienze cortesi e puro affetto. Tosto che sussurrar tra’l mirto e’l faggio 168ª ottava io sentirò l’auretta mattutina, teco risorgerò per far passaggio ala casa d’Amor ch’è qui vicina. Tu poi quindi prendendo altro viaggio, potrai forse saldar l’alta ruina, conosciuto che sii l’unico e vero successor dela reggia e del’impero. - Benché non tema il folgorar del sole, 169ª ottava tra fatiche e disagi Adon nutrito, di quell’oste gentil non però vole sprezzar l’offerta o ricusar l’invito. Risposto al grato dir grate parole, quivi di dimorar prende partito e ringrazia il destin che, lasso e rotto, a sì cara magion l’abbia condotto. Sceso intanto nel mar Febo a corcarsi 170ª ottava lasciò le piagge scolorite e meste e, pascendo i destrier fumanti ed arsi nel presepe del ciel biada celeste, di sudore e di foco umidi e sparsi nel vicino Ocean lavar le teste; e l’un e l’altro sol stanco si giacque, Adon tra’ fiori, Apollo in grembo al’acque. Allegoria L'INNAMORAMENTO. In Amore, che ferisce il cuore alla madre, si accenna che questo irreparabile affetto non perdona a chi che sia. In Venere, che s'innamora d'Adone addormentato, si dinota quanto possa in un animo tenero la bellezza, eziandio quando ella non è coltivata. Nella medesima, che volendo guadagnarsi l'affezzion d'Adone cacciatore, prende la sembianza della dea cacciatrice e d'impudica si trasforma in casta, s'inferisce che chiunque vuole adescare altrui si serve di que' mezzi a' quali conosce essere inclinato l'animo di colui che disegna di tirare a sé, e che molte volte la lascivia viene mascherata di modestia; né si trova femina così sfacciata, ch'almeno insu i principi non si ricopra col velo della onestà. Nella rosa tinta del sangue di essa dea ed a lei dedicata, si dimostra che i piaceri venerei son fragili e caduchi; e sono il più delle volte - Madre (risponde Amor) s'erro talora, 31ª ottava ogni error mio per ignoranzia accade. Tu vedi ben che son fanciullo ancora, e pur di Giove il folgore non temi? Ma dimmi or perché'l cor d'alcuna Musa non mai del foco tuo riceve i semi? Queste sguardo non han rigido e crudo, né del Gorgone il mostruoso scudo. - - Vero dirotti (egli ripiglia) io queste 40ª ottava non temo no, ma reverente onoro. Accompagnata da sembianze oneste virginal pudicizia io scorgo in loro. Poi sempre intente al bel cantar celeste, o in studio altro occupato è il sacro coro; talché non mai, senon ne' molli versi, da conversar tra lor varco m'apersi.- Ed ella allor: - Poiché ritiene a freno 41ª ottava tanto furor qui zelo, ivi paura, vorrei saver perché Diana almeno dale quadrella tue vive sicura? - - Né di costei (risponde) il casto seno vaglio a ferir, rivolta ad altra cura. Fugge per monti, né posar concede, sich'ozio mai la signoreggi al piede. Ben ho quel chiaro dio, che di Latona 42ª ottava seco nacque in un parto, arciero anch'esso, dico quel che di foco il crin corona, piagato e d'altra fiamma acceso spesso. - Così mentre con lei scherza e ragiona, il tratto studia e le si stringe appresso; e tuttavia dialogando seco, coglie il tempo a colpir l'occhiuto cieco. Dal purpureo turcasso, ilqual gran parte 43ª ottava dele canne pungenti in sé ricetta, parve caso improviso e fu bell'arte, la punta uscì dela fatal saetta. Punge il fianco ala madre, indi in disparte timidetto e fugace il volo affretta; in un punto medesmo il fier garzone ferille il core ed additolle Adone. Gira la vista a quel ch'Amor l'addita, 44ª ottava che scorgerlo ben può, sì presso ei giace, ed: - Oimé! (grida) oimé ch'io son tradita, figlio ingrato e crudel, figlio fallace! Ahi! qual sento nel cor dolce ferita? ahi! qual ardor che mi consuma e piace? qual beltà nova agli occhi miei si mostra? A dio Marte, a dio ciel, non son più vostra! Pera quell'arco tuo d'inganni pieno, 45ª ottava pera, iniquo fanciul, quel crudo dardo. Tu prole mia? no no, di questo seno no che mai non nascesti, empio bastardo! Né mi sovien tal foco e tal veleno concetto aver, per cui languisco ed ardo. e vaga pur del non curato male, mille in sé di pensier machine aggira. Or si rivolge al velenoso strale, or l'esca del suo ardor lunge rimira e'n questi accenti ale confuse voglie con un ahi doloroso il groppo scioglie: - Ahi ben d'ogni mortal femina vile 48ª ottava omai lo stato invidiar mi deggio, poiché di furto e con insidia ostile da chi meno il devria schernir mi veggio. Mi ferisce il suo stral, m'arde il focile, né dele mie sventure è questo il peggio; ch'alfin le fiamme sue son tutte spente, se la madre d'Amore amor non sente. Ma ch'io soggiaccia a sì perversa sorte, 49ª ottava che le bellezze mie si goda un fabro, un aspro, un rozzo, un ruvido consorte, inculto, irsuto, affumigato e scabro? e che legge immortal peggior che morte mi costringa a baciar l'ispido labro? labro assai più nel'orride fornaci atto a soffiar carbon, ch'a porger baci? Un ch'altro unqua non sa, che col martello 50ª ottava tempestando l'ancudini infernali, le caverne assordar di Mongibello per temprar del mio padre i fieri strali, che dan cadendo in questo lato e'n quello vano spavento ai semplici mortali e, del maestro lor sembianti espressi, com'è torto il suo piè son torti anch'essi? Deh quante volte audacemente accosta 51ª ottava importuno ala mia l'adusta faccia e quella man, ch'ha pur allor deposta la tanaglia e la lima, in sen mi caccia! Ed io, malgrado mio, son sottoposta ai nodi pur del'aborrite braccia ed a soffrir, che mentre ei mi lusinga, la fuligine e'l fumo ognor mi tinga. Pallade, o saggia lei, quantunque meco 52ª ottava non s'agguagli in beltà, ne fè rifiuto. Né Giove il volse in ciel, ma nel più cieco fondo il dannò d'un baratro perduto; onde piombando in quell'arsiccio speco l'osso s'infranse e zoppicò caduto. E pur zoppo ne venne entro il mio letto l'altrui pace a turbar col suo difetto. Già non m'è già di mente ancor uscita 53ª ottava la rimembranza del'indegne offese. Altamente nel cor mi sta scolpita l'insidia, che sì perfida mi tese, quando ala rete di diamante ordita questo sozzo villan nuda mi prese, follemente scoprendo ai numi eterni dele mie membra i penetrali interni. Un rabbioso dispetto ancor sent'io 54ª ottava Ti generò di Cerbero Megera, o del'oscuro Cao la Notte nera. - Si svelle in questo dir con duolo e sdegno 46ª ottava lo stral, ch'è nel bel fianco ancor confitto e tra le penne e'l ferro in mezzo al legno trova il nome d'Adon segnato e scritto. Volto ala piaga poi l'occhio e l'ingegno vede profondamente il sen trafitto e sente per le vene a poco a poco serpendo gir licenzioso foco. Ben egli è ver che quella fiamma è tale, 47ª ottava che non senza piacer langue e sospira; stupor, ch'immoto e tacito restossi; indi da lei, ch'al'improviso il colse, per fuggir sbigottito il piè rivolse. Ma la diva importuna il tenne a freno: 103ª ottava - Perché (disse) mi fuggi? ove ne vai? Mi volgeresti il bel'guardo sereno, se sapessi di me ciò che non sai. - Ed egli allora abbarbagliato e pieno d'infinito diletto a tanti rai, a tanti rai ch'un sì bel sol gli offerse, chiuse le luci, indi le labra aperse, ed: - O qual tu ti sia, ch'a me ti mostri 104ª ottava tutta amor, tutta grazia, o donna, o diva, diva certo immortal da' sommi chiostri scesa a bear questa selvaggia riva, se van (disse) tant'alto i preghi nostri, se reverente affetto il ciel non schiva, spiega la tua condizion, qual sei o fra gli uomini nata, o fra gli dei. - Ala madre d'Amor, ch'altro non vole 105ª ottava ch'aver le luci a quelle luci affisse, parve, ch'aprendo l'un e l'altro sole de' duo begli occhi, il paradiso aprisse. E le calde d'amor dolci parole, ch'a lei tremando e sospirando disse, le furo soavissime e vitali fiamme al cor, lacci al'alma, al petto strali. Ma pur del'esser suo celando il vero, 106ª ottava mentitrice favella intanto forma. - Così poco conosci, incauto arciero, lei, che non solo il primo cielo informa, ch'ha nel centro infernal non solo impero, ma da cui queste selve han legge e norma? E pur m'imiti e segui a tutte l'ore. (poco men che non disse: "e m'ardi il core".) I' men venia, sicome soglio spesso 107ª ottava quando l'estivo can ferve e sfavilla, in questo bosco a meriggiar là presso quanto al bel crin, ch'ogni ornamento sprezza, accresce quel disordine bellezza. Tien duo veltri la destra, al lato manco 63ª ottava pende d'aurea catena indico dente. D'argento in fronte immacolato e bianco, vedesi scintillar luna lucente. Lasciasi l'arco e la faretra al fianco, prende d'acuto acciar spiedo pungente. Tal ch'ai cani, agli strali, al corno, al'asta la più lasciva dea par la più casta. Non sol per suo diletto ella usar vole, 64ª ottava ma per infamar l'emula quest'arte, perché temendo, se la vede il Sole, non l'accusi a Vulcano overo a Marte, vuol ch'egli, o qualche satiro, che suole da lui fuggire in quell'ombrosa parte, a Pan piuttosto il riferisca e dica, ch'ancor Diana sua non è pudica. Per più spedito agevolarsi il calle 65ª ottava l'aureo coturno si disfibbia e scalza, poi del'obliqua ed intricata valle premendo va la discoscesa balza. L'erbe dal sole impallidite e gialle verdeggian tutte, ogni fior s'apre ed alza; sotto il piè pellegrin del bosco inculto ogni sterpo fiorisce, ogni virgulto. Ed ecco audace e temeraria spina, 66ª ottava ma quanto temeraria anco felice, che la tenera pianta alabastrina punge in passando, e'l sangue fuor n'elice e vien di quella porpora divina ad ingemmar la cima impiagatrice. Ma colorando i fior del proprio stelo, scolora i fior dela beltà del cielo. Pallidetta s'arresta e dolorosa 67ª ottava que' begli ostri a stagnar col bianco lino e'n tanto folgorar vede la rosa, già di color di neve, or di rubino. Ma per doppia ferita ancor non posa, né dela traccia sua lascia il camino. Vinta la doglia è dal desire e cede ala piaga del cor quella del piede. Or giunta sotto il solitario monte, 68ª ottava dove raro uman piè stampò mai l'orme, trova colà sul margine del fonte Adon, che'n braccio ai fior s'adagia e dorme; ed or che già dela serena fronte gli appanna il sonno le celesti forme e tien velato il gemino splendore, veracemente egli rassembra Amore. Rassembra Amor, qualor deposta e sciolta 69ª ottava la face e gli aurei strali e l'arco fido, stanco di saettar posa talvolta su l'Idalio frondoso o in val di Gnido e dentro i mirti, ove tra l'ombra folta L'Aurora innanzi dì si cala in terra 55ª ottava per abbracciar d'Atene il cacciatore. La Luna a mezza notte il ciel disserra per vagheggiar l'arcadico pastore. Io perché no? Se'l mio desir pur erra, quella somma beltà scusa ogni rrore. Vo' che'l garzon, ch'io colà presso ho scorto, sia vendetta al'ingiuria, emenda al torto. - Qui tace e po , qual cacciatrice al guado 56ª ott va colà correndo, al'alta preda anel Vesta di lieve candido zendado le membra assai più candide le vela, che, com'opposto al sol leggiero rado vapor, le copre sì, ma non le cela. V la l falda intorno abile e crespa, zefiro la racc rcia e la rincrespa. Sudata dal'artefice marito 57ª ottava su l'omero gent fibbia di smalto on branche d'oro lucido e forbito sospende a un zaffir l'abito in alto. L'arco, onde suole ogni animal ferito mercé dela man bella ambir l'assalto, c n la faretra ch'al bel fianco scende ozioso e dimesso al tergo pende. Sotto il confin dela succinta onna, 58ª ottava alv l bel iè, ch'ammanta aureo calzare, del'una e l'altra tenera colonna l'alabastro spirante ignudo ap are. Non vide il mondo mai, se la mia donna non l'agguaglia pe ò, forme sì are. Da lodar, da ritr r corpo sì bello Tracia canto no ha, Grecia p nnello. Voi Grazie voi, che dolcemente vete 59ª ottava nel nettare del ciel le abra infus e ne' l vacri più riposti si te nude le sue bellezz a mi ar use, voi snodar la mia lingua e voi potete narrar di lei ciò che non san le Muse. Intellet terreno al ci l non sale, né fa v l divi penna mortale. Pastor di Troi , o te felice all ra 60ª ottava che senza vel tant b ltà mirasti; e saggio te, quanto felice ancora, che'l pregio a lei d'ogni beltà donasti. Beltà che gli occhi e gli animi innamora, iva dele bellezze, e nto basti. Se non fus 'ella Citer a, direi, che Citer a s'assomigliasse lei. Non osa al bell'Adon Venere intanto61ª ott va il v ro aspetto suo sc prir sì t sto, ma vuol, per torne gioco innanzi alquanto, che sia sotto altra imagine nascosto. Novo, i' non saprei dir con qual incanto, simulacro mentito ha già compost e già sì ben di Cinzia rnesi e gesti finge, che'n tutto lei la crederest . forma l'essempio con lo strale aurato e co lo stral medesimo d'Amore se l'inchioda e confige in mezzo al core. A piè gli siede e studia attentament 79ª ttava come la bella im go in sen si stampi. In lui si specchia ed l'i cendio ardente trag n v'esca, onde più forte avampi. Ma dele stelle innecclissate e spente u itati veder vorrebbe i lampi e consum nd va tr lieta e trista in quel dolce spettacolo la vista. Benché'l f vor de' r mi ombrosi e d si 80ª ottava dal sol difenda il giovane ch giace, pur l'a ia, impress di vapori acc nsi e ripercossa dal'e tiv face e quelche lega dolcement i s nsi e sopisc i pensier sonno tenace, il volto insiem ed umidett ed arso di fia me tutto e di sudor gli h n sparso, onde l dea pietosa or dela vesta 81ª ottava il lembo, or un suo vel c dido e lieve in lui scotendo, a lusingar s'appresta dela front e del crin l'ambra e la neve. E mentre l'aria tepida e molesta move e scaccia il c lor noioso e greve, con l' ure vane a va eggiar intesa foga in sospir l'interna fiamma accesa. - Aure o Aur (dicea) vaghe e vezzose 82ª ottava peregrine del'aria, Aure odorate, v i che di questa selv infra l'ombrose cime sonore a stuol a stuol vol te, voi, cui de' miei s spir l' ure amorose d ppian forza le piume, Aure beate, voi dal'estivo ingiurioso ardore d h defendete il nostro amat am re! Così di erno mai, così i g lo 83ª ottava ira nemica non v'offenda o tocchi; e qu n o i monti h più anuto il pelo dolce dale vostr'ali ambrosia fiocchi; e secur vi presti il bosco e'l cielo schermo dal vivo sol di que' begli occhi; e molle abbiate e di salute piena ombra sempre tranquilla, aria serena. - Indi al fiorito e verd ggiante prato, 84ª ottava letto del vago suo, rivolta dice: - Terreno alpar d l ciel sacro e beato, aventurosi fiori, erba felice, cui sostener t nta bellezza è to, cui p ss der tanta ricchezza lice, che del'idolo mio languido e stanco siet guanciali al volt e piume al fianco, si qu l raggio d'amor, che vi percote, {{R|85 di s le in vece a voi, fiori ben nati. Ma che veggio? che veggio? or che non pote la virtù ' begli occhi anc r serrati? Dal bel color dele divi e gote, dal pur odor di que' celesti fiati par che voce non oda, cchio non batta, mentre il v rco la preda ov'ella sia immobilment insidioso spia, così la dea d'amor, poiché soletta 71ª ottava giunge a mirar l'angelic sembianza, ch'ale gioi morose il bosco alletta e del suo ciel le meravigli avanza, resta immobile e fre da, e'nsu l'erbetta di stupor sovrafatta e di speranza, siede tremante e il bel che l'innamora, stupida ammira e reverent adora. I atto sì gentil prende riposo, 72ª ottava che tutto leggiadria spira e dolcezza; e'l Sonno istesso in sì begli occhi ascoso abbandonar non sa tanta bellezza; anzi par che, di lor fatto g loso, di starsi ivi a diletto abbia vaghezza c n nido sì bel non gli dispi ccia cangiar di Pasitea l'a ate braccia. Placido figlio dela Notte bruna 73ª ttava il Sonno ardea d'amor per Pasitea e perché questa dele Grazie er'una, l'ottenne in sposa alfi da Citerea. Or mentre che di lor se'n gia ciascuna l'erbe scegliendo er lavar la dea, scherzando intorno ignudo pirto alato partir non si sapea dal vicin prato. Vanno ove Flora i suoi tapeti stende74ª ottava le Grazie a côr qual più bel fior germoglia. Qual dala spina sua rapisce e prende la rosa e qual del giglio il g mbo sp glia. Quella al balsamo ebreo la scorza fende, questa al'indica canna il crin disfoglia. Altra, ove suol vibrar lingue di foco, ricerca di Cilicia il bi ndo cr co. Or il tranquillo dio, mentre che move 75ª ottava invisibil tra lor l'ali sue chete, posar veggendo il b ll'Ad n là dove tesso n tte di fronde ombre secret , per piacer ala figlia alma di Giove, gli pone agli occhi il ra scel di Lete; talché ben pote, oppresso in quella guisa, star quanto vuol a contem larlo assisa. Tanta in lei gioia dal bel viso fiocca, 76ª ottava e t l da' chiusi lumi incendio appiglia, che tutta sovra a lui pende e trabocca di desir, di iacer, di meraviglia. E mentre or dela gu ncia, or dela bocca rimira pur la porpora v rmiglia, sos irando, un oimé svelle dal petto, c non è di dol r ma di dil tto. Qual industre pittor, che'nte t e fiso 77ª ottava in bel ritratto ad emular natura, tutto il fior, tutto il bel d'un vago viso celatamente investigando fura, del dolce sguard e del soave riso pria l'ombra ignuda entro'l pensier figura, poi con la an disc pola del'ar e dispiccargli lo a forz e disparire. Sog ando il bel garzon si dole e geme, iché l ver dea e langue insieme, e, traendo un sospir piano e sommess , 95 te pra il n vo tir ch la tormenta lang i c gioisce a un tempo istesso, sp ra, te e, arde, aggh ccia, osa p venta. La mano e'l se s' mpie di fiori e spess l iso un n mbo al bel fanciul n'aventa. Indi, ché lui est r non vuol, s'inchina dolcement a baci r l'erba vicina. P sci il b l iso entro le labra accolto, 96ª ottav che'n carcer d perle s'imprigion , ontempla atte ta e te e d l bel volto gheggiando la bocca l i ragiona: - Urna di gemm , ov'è il mi cor epolto, a temedesma il mio fallir p rdona, s'io tr ppo disco; orché u t ci e dormi, l'alma, che mi rapisti, io vo' ritormi. C e fo (seco dicea) che non acc st 97ª ottava volto volto pi n pia o e p tto a petto? V a il t mpo fug ce e seco osto, s guit dal dolor, fugge il diletto. Ahi! qu l dil tto, a ui n n vien risposto c n bel camb o d' m , n è perf t , né con v ro piac r b cio si prend , cui l'amata beltà b cio non rend . Qu l dunque tr gua attendo a' miei martiri, 98 s' cc sion sì bell oggi tral sso? M s' vien che si vegli e ch s' diri, dov rivolg rò co fusa il pa s ? Movera o il suo cor pianti e sospiri purché non abbia l' nima di s sso. N n l' vrà, s'egli è bel. - Così dubbiosa p r baci rlo s'abba sa, e poi non osa. m est il villan, s'ale fresch'ond 99ª ott va qu nd più latra in ciel Sirio rabbioso co e per b re e v de i u l sp nde la vi er crudel pren r riposo, o come il caccia or, che fra e fronde cerca di Fil mena il nido asc so ficc ndo la man entro la ov in vece l'augel, l'aspe vi trova, così liet in un punto e timidett 100ª tr ma costei, q anto pur dianzi ardia. L'afflige l beltà, ch l diletta, il tropp timular la fa restia. Brama qu lche l' ffende ed è costretta t ttavolt a temer qu lch esi . Pentesi, che tant'oltre erri il desi e si pente ancor poi del suo pen ire. Tre volt i li vi e dolci fiati appr ssa 101ª ottava la b cca e'l b cio e tre s'arresta e cede e spron insiem e fre fatta sestessa, vuole e disv ole, or si ritragge, or riede. Amor, pur s ll citar n n cessa, la sforza alfine ale soavi pr de, occhi de' mi i desi i e specchi e soli, fines r del'auror , usci el di , possenti a ischi rar e otti mie. Occhi, ov'Amor sosti n lo scettro e'l reg o, 87ª ottav ov'egli arrot i più pu genti artigli, voi sol pot t il io b ttuto ingegno campar dal t mpest e da' p rigli, n n m n che st co e tr vagliat legno ogli di Leda i duo luc nti g i. Già par i i v i veder, eggio pur certo tra ue chiuse p lpebr un c el aperto. Ma perché n n v' rite? e i dolci rai88ª ottava n n volget a c stei, ch'umil v' hina? Ap igli, neghi to o, e sì v d ai qual v ntura il fato or ti d stin . Re di ai sensi il vigor, richiama om i l'ani a ' bei membri per grina. Ah non gli aprir! h chiuso an o il bel c glio spir l'ardor del mio pietato figlio. S o, m tu, s'egli è pur v r che i 89ª ottav iv e verac imagine di Morte, anzi di qu lità simil a l i uo germ no t'appelli suo consort , co , come po re ti a' d nni miei entrar el ciel n le beate porte? che licenz oltre l'usato rdit p oi negli occhi a itar dela i vita? E se sei pu del' mbre e degli orror , 90ª ottava scuro figlio e gelido comp gn c me i cocenti r ggi e chi ri ardo i s ffri di qu l bel vis , ond'io mi l gno? F g i il rischio mortal! Semplici c i fan tr i ve zi d' m r sc rso guadagno. Va e anne lontan, vattene in loco, ove tanto non sia plendore e foc ! Ma se st nder vuoi pur le brune pium 91ª ottava s vra il nov llo utor de' miei t rm nti, deh! porgi a l'ombre tue t to di lume, ch l'imagine mi gli rappresenti, laqual sicome dolce i i consum gli mostri in atti supplici e dol nt , nde nel pigro cor, me tr g c'egli so nacchioso dormendo, Am r si svegli. - Appena ha qu s no e ultime spress , 92ª tt va l' mico Morfeo, che l'è vici o, fab ica d' ria e di vapori ntesse si ulacro legg d o e p r grino. Di tai forme si veste e scopre in ess di celes bel à lu divino. Do , ch'è utta luc f co sp a, n l teatro el sonn Ad n amm a Corona tal, ch'altrui la vist off nd 93ª ott va cerchia la fronte lucida e s re di g mme stellata vamp e pl nde di st lle mmata rde e b len . E dal titolo s o ben si compr d , che on è chi la tien c sa t rr na. gni or duro, gni anima feri for da sì be s l vinto e ste p to. Né mera iglia fi , qual r s'acc sta, h'arda a fiam a vora e ca disposta. Rever nza piet te, amore tema 111ª tt fan l dubbios c r fiera t sa; m p rché deve ogni fortu estrema subit mente sser lasciata o pr sa, n n ricusa il f vor, ma g l e tre a, m tr s' ppresta a sì so ve imp es , gesto pi toso d ttra tivo, ui ide languendo occhi lascivo. - S nt nume (dicea) ui Cinto e Delo 112ª ottava g v ti, off inc nsi, altar infio , ostra gr e in ab sso, in terra e'n cielo virtù, i non conosce non dor ? Scusate il cor, e c n pe fetto z lo celebr r non v s quanto v'o or e l' r ir la man pren et in pace, c ' sì gn'opra è d'ubbidirvi udace. D h qual ventura mai, qual proprio m rt 113ª ott va d'inf m rtal tant' lto giun ? B ho ben dir qu sto es rt , l fi e d voi s rv isgiu s qu l, per u m'è ta to b ne offer o, spin so stel, ch ' bi nc piè vi punse; e vo s n r per ta e glorie i co pietra l sbia sì felice die. Scin illan t t fiamme e tanti raggi 114ª ottava el emb ant , ch'io scorgo altero e b llo d r pori no i vidi e f r tr gi al vostro ar ente e lucido fratell . O de non già e' b schi a p i e selvaggi, ma a de' cori e deg i amor v'appello; che s'i m'affiso voi, i ved r parmi al v lto Citer , Diana al'armi.- Con questo ragionar el piè gentile 115ª tt v si eca in grembo l' imato lat e , posci h con v l bi nc sottile 'ha le gelat still espresse tratt , d la destra v'acc sta ass i simile qu si i be p r gon, le n vi int tte. Disse Am r, ch non er indi l nt o: - Non v lea sì bel piè me bella mano! - Tasta l cica rice e terg cca 116ª t v morbidament i sangui osi vori e, e t e un o i n tta vi fi cca tra cen o erbe salu ri c nto od i, fan c n occhio l qua e muta bocca eco amor sa i rmentati cori, dove inv ce d voce il vago sguardo quinci e quindi risponde: " rdi, ch'i ardo". Dicea l'un fra su cor: - Deh! quali io mi 117ª ott a str ni pr di e m r vi lie nove? Il ciel d'amor d l cristallino iro di s nguig e ugiad un embo pi ve. in riva al'onda lucida e tranquilla, ch'una bolla vivente aperta in esso di cavernosa pomice distilla e forma un fonticel, ch'ale vicine odorifere erbette imperla il crine, quando il mio piè, che per l'estrema arsura, 108ª ottava sicome vedi, è d'ogni spoglia ignudo, con repentina e rigida puntura ago trafisse ingiurioso e crudo. E bench'uopo non sia medica cura per farmi incontr'al duol riparo e scudo, colsi quest'erbe, il cui vigore affrena il corso al sangue e può saldar la vena. Ma perch'ogni mia ninfa erra lontano 109ª ottava e chi tratti non ho l'aspra ferita, porgimi tu con la cortese mano, a te ricorro, in te ricovro, aita. - Qui del trafitto piè, del cor non sano l'una piaga nasconde e l'altra addita e scioglie, testimon de' suoi martiri, un sospiro diviso in duo sospiri. Non era Adon di rozza cote alpina, 110ª ottava né di libica serpe al mondo nato. Ma quando fusse ancor d'adamantina selce e di crudo tosco un petto armato, che tante accogli in te faville ascose? O non mai più vedute in alcun loco gemme mie peregrine e preziose, di sì nobil miniera usciste fore, che ben si vende a tanto prezzo un core. E tu candido piede insanguinato, 119ª ottava che di minio sì fino asperso sei e ricca pompa fai così smaltato de' tesori d'amore agli occhi miei, quanto più del mio cor sei fortunato, del mio cor, che trafitto è da costei? Langue ferita e di ferir pur vaga impiagato m'ha il cor con la sua piaga. A te fasciato pur di bianco invoglio 120ª ottava efficace licor rimedio serba. Senza fasce ei si dole, al suo cordoglio non giova industria d'arte o virtù d'erba. Consenta pur Amor, che s'io mi doglio, trovi ristoro almen la doglia acerba e, stringendomi il fianco in dolce laccio, se mi ferisce il piè, mi sani il braccio. Chi più giamai di me felice fia, 121ª ottava s'egli averrà, che questa bella essangue, ch'al chiuder dela sua la piaga mia apre così, che'l cor ne geme e langue, d'omicida crudel medica pia m'asciughi il pianto, ov'io l'asciugo il sangue? siché tra noie e gioie e guerre e paci quante mi dà ferite io le dia baci? - - Lassa (l'altra dicea) che dolce pena! 122ª ottava Questa, che la mia piaga annoda e cinge, non è fascia, anzi è ceppo, anzi è catena, che mentre il piè mi lega, il cor mi stringe. Questo purpureo umor, che'n larga vena tal si smarrisce Adon, quando scoverto 127ª ottava dela dea gli si mostra il lume intero; e tanto più, pur di sognar incerto, d'alta confusion colma il pensiero, perché conosce espressamente aperto del sogno suo nela vigilia il vero, rivedendo colei, che poco dianzi, rubatrice del cor gli apparve innanzi. Al bel garzon, che stupefatto resta 128ª ottava veduto il primo aspetto in aria sciolto, la bella dea discopre e manifesta in un punto medesmo il core e'l volto: - Ben mio (dicea) qual meraviglia è questa, che tra dubbi pensier ti tiene involto? quel traveder, che ti fa star dubbioso, fu di mia deità scherzo amoroso. Or non più mi nascondo. Io mi son quella 129ª ottava per cui d'amore il terzo ciel s'accende; quella son io, la cui lucente stella innanzi al sole, emula al sol risplende. Taccio che dal mio bel, qualunque bella bella è detta quaggiù, bellezza prende, taccio che figlia son del sommo padre: dirò sol ch'amo e che d'Amor son madre. Quando ben fusse a tua notizia ignoto 130ª ottava quelche t'abbaglia, insolito splendore, qual è clima sì inospito e remoto, alma qual'è, che non conosca amore? Che se pur poco agli altri sensi è noto, malgrado suo n'ha conoscenza il core. Se ti piace d'amor dunque il piacere, dimmi il tuo stato e dammi il tuo volere. - Sì disse e Pito il persuase e vinse, 131ª ottava ch'entro le labra dela dea s'ascose; Pito, ministra sua, d'ambrosia intinse quelle faconde ed animate rose; Pito in leggiadri articoli distinse le note accorte e'l bel parlar compose; Pito dala dolcissima favella sparse catene ed aventò quadrella. Fusse la gran soavità di queste 132ª ottava voci, che'l giovenil petto percosse, o del bel cinto, ond'ella il fianco veste, pur la virtù miracolosa fosse, dal dolce suon del ragionar celeste invaghito il fanciul tutto si mosse; ma quelche'n lui più ch'altro ebbe possanza, fu la divina oltramortal sembianza. Un diadema Ciprigna avea gemmante, 133ª ottava gemme possenti a concitare amore: v'era la pietra illustre e folgorante, ch'ha dala luna il nome e lo splendore, la calamita, ch'è del ferro amante e l'giacinto, ch'a Cinzio accese il core. Ma la virtù de' lucidi gioielli fu nulla appo l'ardor degli occhi belli. La destra ella gli stese e'l vago lino 134ª ottava scorciò, che nascondea la neve pura, ond'implicato in un cerchietto fino, che con mista di gemme aurea scultura facea maniglia al gomito divino rigido di barbarica ornatura, fuss'arte o caso, dilicato e bianco fece il fuso veder del braccio manco.