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Riassunto Federalismo , Sintesi del corso di Auxologia

il federalismo di giovanni bognetti

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 01/03/2015

piccola901
piccola901 🇮🇹

4.4

(7)

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Scarica Riassunto Federalismo e più Sintesi del corso in PDF di Auxologia solo su Docsity! Giovanni Bognetti Federalismo FORME DI STATO E DI GOVERNO 1. Il federalismo nelle prospettive della vecchia e della nuova scienza del diritto Con il termine federalismo si indica la tendenza a organizzare ordinamenti politico- giuridici ripartendo i poteri di comando tipici dello Stato tra enti politici distinti: un apparato di governo centrale e una pluralità di apparati di governo periferici. Nell'antichità e durante il medioevo il fenomeno della ripartizione di poteri pubblici di comando tra varie formazioni politiche non mancò di certo, anzi, il medioevo europeo fu un esempio di organizzazione politico-giuridica per vari centri di potere con diverse sfere di competenza o, come si diceva, di giurisdizione. Tuttavia sarebbe fuorviante applicare l'aggettivo federalistico a queste forme passate di divisione organizzativa dei poteri politici: il federalismo è un fenomeno storico connesso strettamente con la figura dell'ente politico “stato”, una figura tutta moderna che ha le sue origini nella storia europea post-medievale. La scienza del diritto del XIX secolo e della prima metà del XX ha posto efficacemente in luce il vincolo più forte che lega in uno stato federale l'apparato centrale e quelli periferici, rispetto al nesso che corre tra autorità centrali e stati membri nelle confederazioni e nelle organizzazioni sovranazionali, e ha allo stesso modo illustrato la maggiore subordinazione delle regioni allo stato nello stato regionale rispetto al rapporto che stringe i cosiddetti stati membri allo stato centrale in uno stato federale. Ma essa ha per lo più tentato di fondare la distinzione tra quelle varie figure classificatorie soprattutto utilizzando un concetto dogmatico di sovranità come potere originario, assoluto e illimitato di comando che sarebbe caratteristico dell'ente stato e in base al quale, attraverso la ricerca della sua diversa collocazione nel sistema di ciascuna figura, si potrebbero identificare precisi tratti qualitativi differenzianti di tutte esse. Sul piano della realistica descrizione del fenomeno storico-giuridico “stato”, e dei sottotipi stato federale e regionale e confederazione e organizzazione sovranazionale di stati, il concetto non può servire per un'intelligente trattazione della materia. I concetti di stato federale e di stato regionale, di confederazione e di organizzazione sovranazionale di stati sono astrazioni classificatorie che sfumano l'una nell'altra e che si riferiscono a ordinamenti concreti tra i quali intercorrono differenze ma non cesure rigidamente separanti. Di fronte alle diverse distribuzioni dei poteri la scienza del diritto dovrà conoscere, se non le molteplici cause delle diverse forme di distribuzione dei poteri, almeno i valori che le classi politiche hanno inteso servire. Proprio l'insoddisfazione nei confronti della scienza tradizionale del diritto ha spinto nella seconda metà del Novecento vari giuristi, primo fra essi Friedrich, a rifiutare la statica equazione federalismo = instaurazione di uno stato federale in senso stretto e ad attribuire al termine un significato largo, coprente l'insieme dei processi attraverso cui gli ordinamenti tendono a ripartire, in varia misura, i poteri politici tra distinti centri o livelli di governo. 2. Lo stato occidentale moderno e le diverse figure di organizzazione federalistica dei poteri Il federalismo moderno di distingue dal pluralismo politico che l'Europa ereditò dal medioevo e conservò, per alcuni aspetti, fino alla rivoluzione francese, perché presuppone la semplificazione nel sistema delle autorità con potere di comando che caratterizza lo stato moderno e predispone il riconoscimento dell'individuo, con le sue libertà e i suoi diritti fondamentali, come il valore centrale dell'ordinamento. Sorto dall'età del Rinascimento e della Riforma, lo stato punta di solito a una concentrazione rigorosa di poteri nelle mani di un apparato governativo unico, il quale non ammette altra autorità sopra di sé o sotto di sé (eccetto le modeste autonomie delle ridotte amministrazioni locali). Questa concentrazione intransigente di poteri opera indirettamente, nella prima età moderna, per la liberazione dell'individuo. Lo stato a forte concentrazione di poteri, lo stato unitario, diventa un presidio per la libertà individuale, tanto più quando la costituzione materiale – e spesso anche quella formale – enuncia i diritti fondamentali dell'individuo che quell'apparato governativo col monopolio dei poteri politici deve rispettare. Ma naturalmente lo stato unitario non è l'unico modello di organizzazione dei poteri, anzi, nell'età contemporanea esso tende a diventare un caso abbastanza raro. In molti casi l'unitarietà dello stato o l'assenza per esso di precisi vincoli istituzionali verso l'esterno appare pericolosa per la conservazione delle fondamentali libertà e dei fondamentali diritti dell'individuo; risulta necessaria la divisione dei poteri tra più enti o la loro limitazione a favore di autorità terze. V'è persino chi afferma che senza strutture “federalistiche” - in senso largo – del potere politico, le moderne libertà civili e politiche della persona non potrebbero mai essere sicure. Ma occorre fare delle distinzioni. Le forme espresse dai processi “federalistici” cambiano di contenuto e di ruolo a seconda del contesto: stato liberale (durato più o meno fino alle due guerre mondiali) o democrazia sociale (affermatasi nella seconda metà del Novecento). Schematicamente i principali tipi di sistemi di distribuzione “federalistica” di poteri politici tra soggetti istituzionali distinti sono stati, finora, i seguenti: a) L'unione confederale di stati. Qui una pluralità di Stati conferisce a un'autorità politica centrale una serie di poteri per la cura di alcuni interessi comuni (solitamente difesa e politica estera, ma talvolta anche materie economiche). Le decisioni dell'autorità centrale vincolano gli stati membri e valgono, verso l'esterno, come decisioni di tutti essi ma, salvo casi eccezionali, norme e comandi dell'autorità centrale non penetrano negli ordinamenti statuali a vincolare direttamente i singoli individui. Il documento giuridico che dà vita all'unione ne proclama non di rado la “perpetuità” o “indissolubilità”, ma anche in questi casi la dottrina prevalente afferma il diritto dello stato al recesso dall'unione. b) L'organizzazione sovranazionale di stati. I tratti sono analoghi all'unione confederale. Di solito le materie di competenza dell'autorità centrale sono di natura economico sociale e non hanno a che fare con la difesa. Qualche volta le norme e i comandi dell'unione raggiungono immediatamente, all'interno dei singoli ordinamenti statali, gli individui. c) Lo stato federale. In esso l'autorità centrale possiede le dimensioni di un vero e proprio stato-apparato, in quanto le appartengono tutti i tipi di funzioni (legislative, giudiziarie, amministrative) che non possono mancare a uno stato. Anche le materie affidate alla competenza dell'autorità centrale oltre a includere sempre politica estera e difesa, spaziano in altri campi, e non sono così particolari e circoscritte come nelle precedenti figure. L'autorità statale stabilisce norme e comandi che vincolano direttamente gli individui e può imporre loro tributi. Include in sé un organo che ha il potere di interpretare la “costituzione federale” e dunque, tra l'altro, la ripartizione dei poteri tra lo stato centrale e gli “stati membri”. La modificazione formale della “costituzione federale” richiede in qualche modo l'assenso degli stati membri. Il recesso dall'unione del singolo stato membro, anche se non esplicitamente vietato, è escluso (a meno che la costituzione federale, eccezionalmente, non lo permetta). d) Lo stato regionale. In questo caso sono i poteri delle regioni a essere enumerati e limitati dalla costituzione a materie particolari. Essi possono essere talvolta assai vasti, ma non includono quasi mai poteri giurisdizionali. Le regioni come tali non partecipano di solito al procedimento di revisione della costituzione statale. Alla regione non è riconosciuto il diritto di separarsi dallo stato. Questi sistemi “federalisti” di distribuzione dei poteri sono presenti sia tra gli ordinamenti dell'epoca liberale sia tra gli ordinamenti contemporanei di democrazia erano gli effetti rallentatori dei complessivi meccanismi di divisione “orizzontali”. Un discorso pressoché uguale riguarda due altri stati del periodo: Canada e Australia. Il British North American Act del 1867 diede al Dominion del Canada una sostanziale indipendenza, organizzandolo contemporaneamente attorno a un apparato statale centrale e a 8 “province”. Contrariamente alla regola solita degli stati federali (che vuole enumerati i poteri dello stato centrale e assegna i residui agli stati membri) la legge istitutiva del Canada faceva una duplice enumerazione e attribuiva al governo centrale le materie non menzionate. Ma ciò non toglieva il carattere strettamente federale dell'ordinamento, poiché le materie assegnate alle “province” erano vastissime, in particolare vi rientrava la legislazione sulla “proprietà e i diritti civili”. Di questa venne data un'interpretazione tale che fino oltre alla seconda guerra mondiale la gran parte dell'area economico-sociale venne sottratta al centro e riservata alle periferie. E il medesimo effetto produsse la Costituzione concessa dalla Gran Bretagna all'Australia nel 1900: una Costituzione che faceva dell'Australia uno stato federale per moltissimi aspetti ricalcato sull'esempio americano (tranne la forma parlamentare anziché presidenziale del governo). Come in America, l'autorità centrale poteva disciplinare l'area dell'economia in base a una clausola costituzionale; come in America la clausola non permise all'autorità di intromettersi nelle faccende economico-sociali interne del paese. Discorso in parte diverso e più complesso va fatto riguardo allo stato federale della Germania imperiale (1871-1918). L'importanza dell'esperienza federale tedesca durante l'epoca liberale dipende dal suo presentare tratti di ispirazione inequivocabilmente liberale insieme ad altri che riflettono un diverso indirizzo e che, per certi lati, anticipano il futuro. Rispetto ai precedenti esempi di stato federale, il federalismo tedesco mette in mostra alcuni aspetti di maggiore accentramento nel sistema, di maggior robustezza nell'apparato governativo centrale. Nel secondo Reich gli stati membri erano, nella loro sfera, oggettivamente indipendenti e l'influsso che potevano esercitare sulla politica nazionale attraverso la camera alta (in cui erano rappresentati addirittura gli Esecutivi di quegli stati) non era di scarso rilievo. Tuttavia v'erano differenze sostanziali. Intanto, uno degli stati – la Prussia – era molto più popolosa degli altri e il suo voto godeva di un peso nettamente superiore. Inoltre, per il modo in cui la federazione s'era formata, il suo re era anche, istituzionalmente, il capo dell'impero. Poiché nell'impero non vigeva un regime parlamentare, l'Esecutivo imperiale finiva per essere appannaggio esclusivo della Corona prussiana. Questa preponderanza prussiana introduceva elementi di concentrazione del potere. Ma ciò non era tutto. Allo stato centrale, il Reich, la Costituzione garantiva poteri più ampi di quelli goduti dagli stati centrali negli altri sistemi federali del periodo. Il Legislativo dell'impero deteneva la competenza “sull'insieme del diritto civile, sul diritto penale e sulla procedura”: di fatto, per esempio, lo sviluppo di un organico diritto del lavoro e dei primi spezzoni di uno stato “sociale” a livello nazionale (sviluppo voluto da Bismarck) non incontrò in Germania gli ostacoli costituzionali esistenti negli altri paesi. Va ribadito che il federalismo dell'impero tedesco portava ben chiara su di sé l'impronta del costituzionalismo liberale. Il suo stato centrale, a dispetto delle sue forti strutture, operava a rilento. A dispetto della sua capacità di introdurre nell'ordinamento i primi spezzoni di uno stato “sociale” nazionale, non aveva i mezzi di andar molto oltre e di porsi come un centro di distribuzione equitativa di ricchezza. Gli mancava, tra l'altro, l'adeguato mezzo fiscale: come gli altri stati federali liberali non poteva stabilire imposte dirette e doveva vivere su quelle indirette. 4. Stati federali e stati regionali nel modello costituzionale “sociale” A) Modello “sociale e stato federale” L'avvento del ventesimo secolo ha profondamente modificato il concetto prevalente in Occidente del rapporto ideale tra stato e società civile. Sotto certi aspetti il desiderio che il potere politico si astenga dal regolare le attività dei privati è persino cresciuto, ma codesto desiderato ampliamento dell'autonomia dell'individuo riguarda essenzialmente le libertà di natura non economica. In tutto ciò che invece tocca i rapporti economici l'idea della netta separazione tra stato e società civile è venuta meno nell'epoca contemporanea, che anzi vuole un regolamento statale abbastanza intenso della vita economico-sociale della comunità al fine di realizzare valori di solidarietà e di eguaglianza sostanziale. Proprietà privata dei mezzi di produzione, libertà di iniziativa economica, libertà di lavoro permangono ma sono ormai contornati da molteplici restrizioni e limiti. Il modello costituzionale del nesso tra società civile e stato non è più dunque, complessivamente, quello liberale della “separatezza”, ma un modello nuovo, di “parziale compenetrazione” ossia “sociale”. L'affermarsi negli ordinamenti occidentali del modello costituzionale “sociale” ha inevitabilmente prodotto anche una profonda modificazione nel sistema liberale della divisione “orizzontale” dei poteri. Il Legislativo ha in genere perso quella posizione di centralità e preminenza, posizione assunta dall'Esecutivo (il “Governo”). Il Giudiziario rimane il garante imparziale e indipendente dell'attuazione del sistema normativo, ma spesso esercita il suo potere non in prima istanza e ha a che fare con un sistema normativo più complicato. Il sopravvenire del modello “sociale” si è ripercosso anche sulle forme “federalistiche” o di “divisione verticale” dei poteri. La prima e più vistosa ripercussione riguarda la forma dello “stato federale” in senso proprio e stretto. Nei paesi in cui il legame sentimentale – oltreché quello di interessi d'ogni genere – tra le popolazioni di diverse unità statali è forte, la soluzione federalista liberale che attribuiva allo stato centrale pochi poteri non basta più. Quella soluzione giovava all'attuazione della “società civile separata” e dell'individualismo “economico”, ma l'opinione pubblica vuole oggi un certo sensibile controllo dello stato sulla società e l'adozione di istituti di solidarietà tra i cittadini che permettano ai deboli il godimento di un minimo di “diritti sociali”. In un certo senso sia l'ordinamento federale liberale che quello contemporaneo chiedono che allo stato centrale spetti di tutelare l'attuazione di tutti i valori essenziali e in particolare dei diritti fondamentali della persona. Ma nel federalismo liberale valore essenziale era la libertà del mercato, mentre ora il catalogo dei diritti fondamentali si è arricchito della categoria dei “sociali” che richiede un intervento attivo del centro. La struttura dualistica non può più venire accolta e il federalismo diventa cooperativo, ossia le competenze normative dello stato centrale diventano estesissime in campo economico-sociale, ma non escludono analoghe competenze degli stati membri nelle stesse materie: le competenze si sovrappongono e la legislazione periferica ha spazi in cui può cooperare con quella centrale. La cooperazione del nuovo federalismo si può realizzare anche sul piano amministrativo: lo stato centrale detta le regole, e le amministrazioni degli stati periferici le mandano ad effetto (si parla di “federalismo di esecuzione”). Nel tipico stato federale contemporaneo lo stato centrale ha anche acquisito poteri di imposizione tributaria conformi all'esigenza di una ridistribuzione equitativa delle ricchezze propria del modello “sociale”. La maggior parte delle risorse finanziarie dello stato centrale proviene oggi dalle imposte progressive sui redditi, ed esse sono di solito superiori a quelle di cui possono disporre tutti insieme gli stati membri. Questa maggiore disponibilità determina il fenomeno non infrequente di “trasferimenti in dono” (più o meno condizionati) di fondi dalle casse statali centrali a quelle periferiche. Dovendo intervenire con larghezza e con rinnovati continui adattamenti nella società civile, allo stato “sociale” occorre poter assumere con rapidità le sue decisioni. La lentezza dell'azione dello stato centrale è un pericolo che incombe negli ordinamenti federali contemporanei: un pericolo che è stato in genere superato sia talvolta strutturando la composizione della seconda Camera in modo che sia meno “rappresentanza di stati” di quanto non fosse in passato, sia riducendo i poteri di detta Camera, sia eliminando i poteri sostanziali di veto, sia soprattutto attraverso la modifica del sistema della divisione “orizzontale” dei poteri di cui s'è fatto cenno. L'assurgere dell'Esecutivo a vero motore complessivo dell'apparato statale ha determinato, anche nel quadro dell'apparato centrale di un ordinamento federale, il recedere del ruolo del legislativo. Questi, in sommario, i principali caratteri assunti dallo stato federale quando è divenuto uno stato “sociale”. Questi caratteri si riscontrano in tutti gli ordinamenti federali di cui abbiamo parlato con riferimento all'epoca liberale: Stati Uniti d'America, Canada, Australia, Svizzera, Repubblica federale tedesca, a cui può aggiungersi l'Austria in Europa e i paesi dell'America latina (quasi tutti formalmente federali, ma con tratti peculiari). Negli Stati Uniti la grande crescita dello stato centrale ha incontrato la forte opposizione della Corte Suprema, custode di una Costituzione nata liberale. Per superare questa opposizione si dovette ricorrere al procedimento difficoltoso della revisione costituzionale (approvata dai 2/3 dei membri di entrambe le Camere del Congresso oppure da una speciale Convenzione nazionale e ratificata dai ¾ dei Legislativi degli Stati membri) quando si trattò di permettere allo stato centrale di imporre tributi ad aliquota progressiva sui redditi (1913), e per inserire l'elezione popolare diretta dei senatori in luogo dell'elezione da parte delle assemblee legislative degli stati. Per il resto, le nuove competenze furono acquisite dallo Stato centrale dopo che la Corte Suprema decise di non poter più reggere il contrasto con la prevalente volontà del paese e con le tendenze dei tempi. La commerce clause venne reinterpretata in modo da attribuire al Congresso il potere di regolare qualsiasi fenomeno economico che, in qualsiasi campo, presentasse un rilievo di interesse nazionale. Il “potere di spesa” dello stato centrale fu inteso nel senso che a questo fosse consentito di di offrire agli stati membri contributi in denaro affinché fossero tenute condotte anche in campi che il Congresso non potrebbe altrimenti regolare. Contemporaneamente la Corte Suprema abbandonò l'interpretazione liberale delle due process clause in campo economico, ossia permise all'autorità dello stato centrale di regolare a fondo i vari aspetti della vita della società civile. In virtù di questa interpretazione innovatrice della Costituzione, oggi negli Stati Uniti lo stato centrale può in pratica disciplinare tutti i rapporti di cui si intesse la vita collettiva nazionale, economici e non economici. Il Congresso è abbastanza cauto: interi settori dell'ordinamento, civili e penali, sono tuttora lasciati integralmente alla legislazione diversificata dei cinquanta stati membri, anche se l'importanza e il peso complessivo di questi ultimi sono di certo assai diminuiti rispetto all'Ottocento. Le vicende dell'evoluzione australiano e canadese non si discostano di molto da quelle americane. Come in America, la tendenza dello stato centrale ad assumere il controllo complessivo dell'economia nazionale incontrò in Australia e Canada l'ostilità dei Giudiziari guardiani della Costituzione, ostilità superata solo dopo la seconda guerra mondiale per un addolcirsi della giurisprudenza o per qualche marginale ritocco al testo costituzionale. In Australia e in Canada vige, a livello centrale e periferico, la forma di governo parlamentare, ma il bipartitismo “all'inglese” assicura l'incisività e la speditezza dell'azione statale. In entrambi i Paesi la Costituzione è stata “rimpatriata” cioè resa modificabile senza bisogno di intervento del Parlamento britannico, ed è anche cessata ogni supervisione di Londra in campo giurisdizionale (per l'Australia solo nel 1986). Il “rimpatrio” della Costituzione canadese ha avuto luogo nel 1982 e ha comportato varie modifiche alla Costituzione, soprattutto per tranquillizzare la provincia del Quebec che temeva possibili attentati alla propria identità culturale francofona. Questa identità, insieme ai diritti civili e politici, ha ricevuto speciali garanzie nella Costituzione. La procedura ordinaria di revisione costituzionale richiede il consenso di due terzi delle Province; ma per una serie di importanti materie (tra le quali quella della parità linguistica) il consenso deve venire dottrina costituzionalistica ha coniato il termine di “stato regionale”. Il termine forse non dovrebbe neppure applicarsi all'ordinamento francese, che resta ancora il più vicino alla figura di uno stato unitario. Le regioni francesi sono entità giuridiche la cui esistenza non è garantita dalla Costituzione ma deriva solo da leggi statali ordinari. Ai Consigli regionali la legge non riserva nemmeno spazi specifici di autonomia normativa. D'altra parte, il trasferimento all'esecutivo della regione del più dei poteri amministrativi ha senza dubbio intaccato a fondo il centralismo plurisecolare del sistema francese. Pienamente applicabile appare il termine ai presenti ordinamenti d'Italia e di Spagna. In Italia la Costituzione nazionale prevede l'esistenza di regioni a statuto ordinario e a statuto speciale. Per queste ultime particolari leggi costituzionali assicurano sfere abbastanza ampie di competenza legislativa e amministrativa, esclusive e concorrenti (sfere comunque sempre enumerate e definite, ricavate per sottrazione dai globali poteri di imperio dello stato); ma anche le regioni ordinarie sono dotate dalla Costituzione di una loro competenza garantita, legislativa e amministrativa. Questa competizione è solo concorrente, in posizione con quella statale ed è meno ampia di quella delle regioni speciali. Peraltro la Costituzione consente deleghe legislative e amministrative, le quali sono state con larghezza deliberate principalmente in tre vasti settori: agricoltura, governo del territorio, servizi sociali. La Corte Costituzionale veglia che l'autonomia delle regioni sia rispettata dallo Stato, anche se occorre dire che la sua giurisprudenza appare ispirata prevalentemente a simpatie centralistiche. In Spagna la Costituzione del 1978 non contempla come necessaria la suddivisione dell'intero paese in regione o Comunità autonome: prevede come certa l'istituzione di tali Comunità tra province con caratteristiche, culturali ed economiche comuni, mentre riguardo le altre province ne prevede la semplice possibilità. Di fatto le Province, cui competeva l'iniziativa, hanno fatto sì che tutto il territorio del Regno spagnolo risulti oggi diviso in Comunità. La Spagna è dunque uno stato regionale simile a quello italiano. Le autonomie delle Comunità spagnole sono più differenziate di quelle più omogenee delle regioni italiane. Sono anche nel complesso più larghe sia sul terreno legislativo sia su quello amministrativo. Anche qui la tutela delle autonomie è affidata al giudizio indipendente del Tribunale costituzionale. Il Belgio rappresenta il caso dello stato unitario che si “federalizza” sotto la spinta prepotente di due gruppi etnici distinti. Questo processo comincia negli anni Sessanta e per tappe successive si completa nel ventennio seguente. Lo stato ha deciso nel 1970 di istituire al suo interno tre Comunità e quattro Regioni, con rispettivi organi legislativi ed esecutivi; e fin dal 1980 ha attribuito alle istituite Comunità vallone e fiamminga ampie competenze in campo culturale e dei servizi “personalizzabili” (sanità, assistenza, ecc.) nonché in campo economico. Il Belgio può senza dubbio venir considerato uno stato regionale. Ma a qualcuno è parso addirittura di poter parlare di stato federale. E in effetti nell'ordinamento costituzionale belga figurano oggi alcuni tratti che sembrano appartenere più al tipo dello stato federale: tutte le norme statali che attengono alle questioni etnico- culturali necessitano dell'approvazione a maggioranza qualificata di entrambi i gruppi parlamentari di lingua francese e olandese, nelle due Camere del Parlamento nazionale; il Governo nazionale deve essere composto di un egual numero di ministri di lingua francese e di lingua olandese. D) Le figure di organizzazione “federalistica” dei poteri nel quadro di una nuova sistematica concettuale 1) Vi sono ordinamenti che, pur appartenendo a un tipo di organizzazione “federalistica”, presentano isolate caratteristiche proprie di altre figure. Per esempio: lo stato centrale nell'ordinamento canadese è il titolare dei “poteri residui”, contrariamente a quanto vorrebbe la definizione del tipo “stato federale” e in conformità invece a quella dello “stato regionale” 2) In ordinamenti solitamente qualificati come “stati federali” la massa dei poteri attribuiti allo stato centrale è così grande che a volte fa sorgere la questione se non ci si trovi di fronte a uno “stato regionale”. E' il caso della Repubblica Federale Tedesca. D'altra parte, vi sono “stati regionali” in cui le attribuzioni delle regioni sono così importanti e così ferreamente garantite da far pensare a uno stato federale. E' il caso del Belgio. 3) I tratti che abbiamo detto caratteristici dello “stato federale” si trovano sia in ordinamenti federali dell'epoca liberale che in quelli dell'epoca nostra. Tuttavia il rapporto tra lo stato centrale e gli stati membri è completamente diverso nelle due epoche. Da queste tre considerazioni non si deve dedurre che le definizioni delle figure di organizzazione “federalistica” dei poteri sono imprecise e dunque inutili. Occorre piuttosto concludere che: I) Le varie figure di organizzazione “federalistica” sono costruiti raccogliendo tratti istituzionali simili in una pluralità di elementi, allo scopo di porre in luce approssimative somiglianze. II) Le varie figure di organizzazione “federalistica” dei poteri sono senza dubbio insufficienti a spiegarci la particolare portata delle loro stesse strutture nell'ambito degli ordinamenti a cui si applicano. Queste strutture acquistano un più preciso significato solo nel quadro dei valori della formula politica a cui si ispira un ordinamento, in quanto sono esse stesse strumenti per la realizzazione di quei valori. Nel passaggio da un modello liberale a uno democratico-sociale, non vi è nulla di strano che una figura come lo “stato federale” muti profondamente di contenuti e di finalità. 5) Stati federali e stati regionali nei paesi socialisti e in quelli in via di sviluppo Aldilà del campo socialista [cose vecchie e superate], nel campo dei “nonallineati”, in Asia, Africa, America Latina, molti sono gli esempi di stati federali e regionali: India, Pakistan, Sudafrica, Messico, Brasile, Argentina, Cile, Venezuela, Columbia... Di alcuni di questi potrebbe dirsi lo stesso degli stati socialisti: è legittimo il sospetto che i testi costituzionali, che delineano l'ordinamento come federale o regionale, si riferiscono ad istituzioni più apparenti che reali. Gli enti autonomi sono democraticamente rappresentativi, ma spesso sono del tutto manovrati dagli organi centrali dello stato o dall'apparato militare o da cricche autocratiche locali. Una parola a parte merita l'ordinamento dell'India. La Costituzione dell'India designa il paese una “repubblica federale”, attribuisce allo stato centrale la competenza su una lista di 97 materie, mentre su altre 66 la competenza è assegnata agli stati membri e su 47 la competenza è concorrente (con eventuale prevalenza della legislazione federale). I poteri residui spettano allo stato centrale. Tutto farebbe propendere verso una classificazione che confermi il titolo ufficialmente dato dalla Costituzione alla repubblica, ma vi sono altri elementi che fanno pensare a uno stato sostanzialmente regionale. Tra essi: la facilità con cui la Costituzione può essere modificata senza un largo concorso degli stati membri; la possibilità per lo stato centrale di legiferare anche nelle materie riservate agli stati membri in caso di “necessità”; il potere dello stato centrale di sciogliere gli organi costituzionali degli stati membri e di provvedere alla loro sostituzione quando lo richiede la “sicurezza nazionale” (un potere tipico degli stati regionali, come attestano gli ordinamenti d'Italia e di Spagna). 6. Le organizzazioni sovranazionali di stati La propensione dei nostri tempi ad attivare “processi federalistici” non si manifesta solo nella recente proliferazione di stati federali e di stati regionali. A livello internazionale è molto diffusa la tendenza a creare, per una svariata serie di fini, organizzazioni particolari di stati, istituendo organi centrali che provvedono alla cura del fine comune: organi centrali che, peraltro, come nelle vecchie confederazioni, non dispongono di poteri tanto forti quanto quelli di un vero e proprio stato. Si va da legami molto circoscritti nel fine e da organi con poteri autonomi formalmente debolissimi (per esempio nelle alleanze politico-militari come la Nato) a fattispecie più complesse e robuste in cui l’apparato centrale dell’organizzazione dispone di una massa di poteri propri che si approssimano a quelli di uno stato. Rispetto a questi casi si parla di solito di organizzazioni non tanto “internazionali” quanto “sovranazionali”. L’esempio attualmente più rilevante è senza dubbio l’UE. 7. Lo stato federale mondiale come pretesa soluzione per il superamento delle guerre e come garanzia di pace perpetua A partire dal diciottesimo secolo la mente dell’uomo ha seriamente cominciato a vagheggiare come possibile una convivenza, non di alcuni, ma di tutti i popoli della terra: l’unico mezzo sicuro per garantire la pace mondiale sembrava fosse l’instaurazione di uno stato federale mondiale. Kant espresse questa speranza di pacifismo universale nel suo opuscolo sulla “pace perpetua”, auspicando l’avvento di una federazione mondiale. Dopo di lui, nel secolo diciannovesimo e nel ventesimo, non pochi sono stati coloro che hanno caldeggiato lo stato federale mondiale come soluzione idonea al superamento delle guerre. Se per stato federale mondiale si intende un ordinamento che corrisponda al tipo dello “stato federale”, bisogna dire che – almeno per un futuro abbastanza lungo – rappresenta ancora un’utopia. Uno stato federale non può formarsi o mantenersi se tutti gli ordinamenti degli stati membri e quello dello stesso stato centrale non si ispirano sostanzialmente a un medesimo modello costituzionale (liberale, sociale, socialista o altro che sia). Sebbene al presente la maggior parte degli stati del mondo abbia sottoscritto le stesse convenzioni internazionali per la tutela dei diritti dell’uomo, di fatto i loro ordinamenti incorporano modelli costituzionali del tutto diversi e contrapposti. D’altra parte, anche se si formasse una convergenza di tutti i popoli verso un unico modello di rapporto tra potere politico e società civile, mancherebbe pur sempre quell’alto grado di “solidarietà” tra i diversi popoli del mondo che è precondizione per la creazione di ogni solida unione federale. Le differenze etnico-lingistiche e culturali sono molto grandi; le distanze nello sviluppo economico sono poi abissali. Nel prossimo futuro, dunque, la causa della pace non potrà contare su uno stato federale mondiale. Ciò non vuol dire però che essa sia una causa perduta. Le Nazioni Unite facilitano la cooperazione tra gli stati in varie aree; inoltre la fioritura di organizzazioni sovranazionali potrebbe diffondere in generale lo spirito della collaborazione, insegnando quanto esso paghi più dello spirito del conflitto. Infine, la vera garanzia della pace risiederà negli atteggiamenti più distesi e concilianti – che oggi non appaiono inverosimili – delle maggiori potenze fra loro.
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