Scarica Giusnaturalismo e positivismo di Noberto Bobbio e più Dispense in PDF di Filosofia solo su Docsity! CAPITOLO I: SITUAZIONI E ORIENTAMENTI. Dopo la II guerra mondiale si aprì una profonda crisi del diritto; il fascismo e la guerra avevano infatti fatto sorgere dubbi circa le teorie giuridiche fino ad allora dominanti, POSITIVISMO e FORMALISMO, i quali vengono messi in discussione (ci fu una vera e propria crisi del diritto) I giuristi cattolici videro nel ritorno al diritto naturale la soluzione più adatta alla crisi del diritto. Il giusnaturalismo muove 4 critiche contro il positivismo: • Critica alla giustificazione etica del diritto: La concezione giusnaturalistica del diritto, infatti, criticava al positivismo giuridico il fatto di considerare valide tutte le leggi dello Stato, indipendentemente da una valutazione etica e morale circa il contenuto; la validità delle norme dipendeva, quindi, dalla sola appartenenza di quest’ultime all’ordinamento giuridico dello Stato (Se la norma fa parte dell’ordinamento giuridico statuale è valida e va rispettata, indipendentemente dal fatto che sia eticamente giusta o meno). Le leggi fasciste ( in particolare quelle razziali e quelle restrittive delle libertà fondamentali) , invece, avevano fatto sorgere la domanda “il cittadino deve obbedire alle leggi ingiuste?”, proponendo una valutazione etico-morale del contenuto delle norme giuridiche (valutazione completamente sconosciuta alla concezione positivistica del diritto). Secondo il giusnaturalismo, infatti, una legge è obbligatoria, non solo se fa parte dell’ordinamento giuridico statale vigente (validità formale), ma deve anche corrispondere al diritto naturale, cioè deve essere giusta in quanto si ispira a valori supremi degni di essere perseguiti (validità materiale). Per arrivare a tali conclusioni, però, è necessario che il diritto naturale sia riconosciuto come un diritto valido, cioè come un INSIEME DI REGOLE OBBLIGATORIE PER TUTTI GLI UOMINI. In tal contesto, viene utilizzata per la prima volta l’espressione “diritto naturale vigente”: in quanto VIGENTE, il diritto naturale era diritto alla stregua di quello positivo, e quindi immediatamente obbligatorio; in quanto NATURALE era gerarchicamente superiore al diritto positivo, in quanto una legge per essere valida doveva essere anche giusta. PROMEMORIA. POSITIVISMO: il diritto coincide con il diritto positivo, cioè con le norme dell’ordinamento giuridico vigente. GIUSNATURALISMO: il diritto deve essere anche giusto. Le norme, per essere valide, devono rispettare il diritto naturale, inteso come insieme di norme di condotta (non scritte) universali, necessarie, e non sempre coincidenti con il diritto positivo. • Critica al rapporto tra diritto e Stato: il positivismo riduce il diritto al diritto dello Stato. In quest’ottica, lo stato totalitario è la conseguenza dell’esasperazione del positivismo. Per far fronte alla crisi del diritto alcuni movimenti di critica ed opposizione al positivismo sostennero la TEORIA ISTITUZIONALE o della pluralità degli ordinamenti giuridici (PLURALISMO GIURIDICO). Tale teoria sostiene che le norme giuridiche non sono prodotte soltanto dallo Stato, ma anche da ALTRE istituzioni, intendendo per istituzione qualsiasi forma di organizzazione sociale. Lo Stato non ha il monopolio della produzione normativa: non esiste soltanto l’ordinamento giuridico statale, ma una pluralità di ordinamenti giuridici corrispondenti a gruppi organizzati diversi dallo Stato. La teoria istituzionale mira quindi a contrastare lo statalismo e l’accentramento dei poteri e delle funzioni (in particolare quella legislativa) nelle mani dello Stato. PROMEMORIA: non esiste solo l’ordinamento giuridico dello Stato e lo Stato non è la sola fonte di norme giuridiche. Esistono una pluralità di ordinamenti giuridici corrispondenti a diversi gruppi organizzati. • Critica alla gerarchia delle fonti: secondo il positivismo giuridico le FONTI del diritto sono i fatti a cui l’ordinamento giuridico attribuisce come conseguenza la produzione di norme giuridiche (c.d. FATTI NORMATIVI). Circa la gerarchia delle fonti, il positivismo considera come fonte principale la legge, e come fonti secondarie il diritto consuetudinario e d il diritto giudiziario. Le più forti critiche contro la teoria formale delle fonti del diritto sono state mosse dagli studiosi di diritto internazionale i quali consideratono la nozione di diritto positivo troppo ristretta in quanto non comprensiva di tutto il diritto vigente. Da tale nozione, infatti, sono escluse alcune norme giuridiche, rilevabili soprattutto nel diritto internazionale, che costituiscono il c.d. DIRITTO SPONTANEO, cioè quel diritto derivante immediatamente dal comportamento effettivo dei soggetti della comunità internazionale. Nell’ambito delle critiche contro la teoria formale delle fonti del diritto, si colloca anche la rivalutazione del ruolo del giudice. Si afferma l’idea secondo cui l’attività del giudice NON ha valore meramente dichiarativo: il giudice, con le sue sentenze, non si limita all’applicazione della legge, ma contribuisce a definire il significato e la portata della norma mediante l’interpretazione e la valutazione del suo contenuto rispetto al caso concreto. Si criticava al positivismo di non considerare il momento “creativo” della decisione giudiziaria. In tal senso, viene anche contestata la supremazia della legge rispetto alla decisione giudiziaria. • Critica all’interpretazione giuridica: le critiche al positivismo ebbero ad oggetto anche il METODO della scienza giuridica, ossia delle tecniche di interpretazione delle norme giuridiche e della loro portata pratica. In quest’ambito si cercò di valorizzare il valore creativo dell’interpretazione giuridica sotto l’influenza del sistema anglosassone. Questa critica, infatti, può essere più chiaramente illustrata mediante la distinzione tra law in book e law in action.; i giusnaturalisti fecero notare che alcuni istituti del codice non trovano riscontro nella realtà e che,viceversa, istituti e prassi con grande importanza pratica, non sono disciplinati da norme scritte. In tale contesto, si propone una valorizzazione dell’interpretazione operata dal giudice; sarà infatti quest’ultimo, dopo aver valutato la funzione economica e sociale degli istituti giuridici, ad adattare il diritto scritto alla realtà mutevole mediante il suo lavoro di interpretazione delle norme. In tal senso, l’attività di interpretazione ed applicazione del diritto può essere considerata un’opera di creazione giuridica. (l’interpretazione della norma operata dal giudice permette di accorciare le distanze tra il diritto scritto ed il diritto operante nella realtà). 6. BATTUTA D’ARRESTO. Le critiche contro la concezione positiva e formalista del diritto fin qui analizzate, inerenti la giustificazione etica del diritto, il rapporto tra diritto e Stato, la gerarchia delle fonti e l’interpretazione giuridica, sono state a loro volta oggetto di perplessità. La riaffermazione del diritto naturale non fece molta strada, in quanto i giuristi positivisti affermarono che giustizia e validità sono due concetti diversi e che, se il diritto naturale permette di giudicare della giustizia o dell’ingiustizia di una legge, ciò non toglie che una legge ingiusta sia valida e che il giudice debba applicarla. Minore resistenza incontrò la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici. Ciò che è messo in discussione da tale teoria, infatti, non è il positivismo, ma la sua espressione più estrema, lo statualismo (esiste solo l’ordinamento giuridico statale). Tale crisi deve essere superata non con la riaffermazione del diritto naturale, ma attraverso la scoperta e il riconoscimento di altri ordinamenti positivi diversi da quello dello Stato. Circa il ruolo del giudice, il quale non deve limitarsi ad applicare formalmente la norma, ma fornire un’interpretazione più adatta alle esigenze del caso concreto, è stato osservato che si tratta di un quello sociologico, e si affermò che l’unico metodo utile al giurista fosse il primo. In conclusione, i filosofi emarginano la sociologia giuridica, mentre i giuristi dimostrarono di non averne bisogno. La crisi della sociologia fu determinata anche dall’affermarsi dei regimi totalitari. La sociologia professava di essere il modo scientifico per affrontare la questione sociale prediligendo il dialogo con il popolo. L’idealismo ed i regimi totalitari era di opposta opinioni. Solo nel dopoguerra si affermò, quindi, un rinnovato interesse per la sociologia giuridica; le rapide trasformazioni sociali, il più frequente intervento dello Stato nei rapporti economici, i problemi nati dal passaggio da un regime totalitario ad un regime democratico,fermi restando i testi legislativi, hanno costretto i giuristi ad esaminare con maggiore attenzione la realtà degli interessi sociali e a non considerare come loro unico compito l’interpretazione della legge.In generale, il regime democratico stimola le ricerche sociologiche, il regime totalitario le ostacola. E’ infatti noto che le ricerche sociologiche sono più avanzate nei paesi con governi democratici: questo perché, ove si ricorre per governare meno alla forza e più alla persuasione, occorre una più esatta conoscenza degli interessi e dei bisogni dei diversi gruppi che compongono la società. Le inchieste sociologiche sono proprio uno degli strumenti di questa conoscenza. 4. IL PROBLEMA METODOLOGICO. Il problema metodologico è quello che ha suscitato maggiore interesse fra giuristi e filosofi. Esso si divide tradizionalmente in 2 problemi: • Se la giurisprudenza sia scienza (SI) • Posto che lo sia, a quale tipo di scienza appartenga. La questione più dibattuta è stata la seconda. La classificazione delle scienze più accreditata distingue tra SCIENZE NATURALI e SCIENZE STORICHE. Secondo i filosofi del diritto, la scienza giuridica è una scienza naturale. La scienza giuridica è infatti il momento della ricerca obiettiva della volontà astratta del legislatore. Anche i giuristi sostenevano che la scienza giuridica fosse una scienza naturale, in quanto la scienza giuridica compie tutte quelle operazioni di osservazione del dato esterno e di comparazione e classificazione che sono proprie delle scienze naturali, e le distinguono dalla storia come studio di ciò che è individuale ed irripetibile. Filosofi e giurista, però, attribuivano all’espressione “scienza naturale” un significato diverso; i filosofi negativo, i giuristi positivo. Per un filosofo affermare che la scienza del diritto era una scienza naturale, voleva dire considerarla come una forma inferiore di conoscenza rispetto alla filosofia e alla storia. Per il giurista, invece, che aveva considerato da sempre le scienze della natura come un modello di ricerca scientifica, attribuire alla scienza giuridica il titolo di scienza naturale, significava riconoscere il lungo cammino che essa aveva percorso dalla pura e semplice esegesi dei codici all’elaborazione sistematica delle categorie giuridiche. Il dualismo tra scienza naturale e scienza storica ha permesso di individuare 2 grandi pericoli insiti nel naturalismo dei giuristi (cioè nel fatto di considerare la scienza giuridica come una scienza naturale): • Il pericolo dell’OGGETTIVISMO in virtù del quale il lavoro dell’interprete, come quello di un biologo o di un chimici, finisce per consistere nel riprodurre e ricostruire i fenomeni dati SENZA VALUTARLI. L’interpretazione giuridica diviene così un’attività riproduttiva e non anche creativa. • Il pericolo del FORMALISMO, per cui staccata la norma giuridica dalla storia che l’ha prodotta e dalla società che essa rispecchia, il lavoro del giurista si risolve nell’elaborazione di categorie formali e nel tentativo disperato di ricavare la soluzione del caso controverso dai principi anziché dall’indagine della realtà sociale. PARTE SECONDA: DEL POSITIVISMO GIURIDICO. CAPITOLO IV: FORMALISMO GIURIDICO Secondo Bobbio è difficile definire compiutamente il formalismo giuridico, in quanto si tratta di un’espressione che significa cose molto diverse tra loro. Bobbio esamina 4 significati di formalismo giuridico, non escludendo che possano essercene anche altri. 1. LA CONCEZIONE FORMALE DELLA GIUSTIZIA. (formalismo etico) In una prima accezione per formalismo giuridico si intende una teoria della giustizia secondo cui l’atto giusto è quello conforme alla legge, quello ingiusto è invece difforme alla legge. Più propriamente bisogna parlare di FORMALISMO ETICO perché ha in comune con la teoria formalistica dell’etica l’idea che ogni giudizio etico consiste in un GIUDIZIO DI CONFORMITA’ DI UN ATTO AD UNA NORMA, e quindi è buono l’atto compiuto per adempiere la norme, cattivo quello posto in essere per trasgredirla. In questa prima accezione il formalismo giuridico coincide, quindi, con la CONCEZIONA LEGALISTICA DELLA GIUSTIZA La concezione legalistica-formale della giustizia nella sua purezza può essere formulata in questo modo: la legge positiva è giusta per il solo fatto di essere legge (riduzione della giustizia a validità). Essa è rara e se ne conoscono 2 modelli: uno ispirato ad una concezione convenzionalistica dell’etica, sostenuto da HOBBES, l’altro ad una concezione naturalistica, sostenuto da SPINOZA. Secondo il modello convenzionalistico, non esiste giustizia o ingiustizia prima di una qualsiasi convenzione perché in natura tutto è lecito; una volta stabilita una convenzione, la giustizia consiste nel rispettarla, l’ingiustizia nell’infrangerla. Secondo il modello naturalistico, invece, è giusto ciò che ciascuno ha da natura il potere di fare, onde non vi è altro criterio per distinguere il giusto dall’ingiusto che la regola posta da colui che ha il potere di farla rispettare. Più diffusa della concezione legalistica-formale della giustizia nella sua purezza, è sicuramente la concezione giusnaturalistica secondo cui “ la legge positiva è valida solo se è giusta”. La teoria giusnaturalistica classica è stata accompagnata dalla teoria dell’obbedienza, cioè dalla teoria per cui la legge deve essere ubbidita, in molti casi anche se ingiusta. In tal modo la teoria dell’obbedienza corregge la teoria giusnaturalistica pura sino a trasformarla nella formula “La legge è valida anche se ingiusta”. Questa formula finisce per coincidere con quella dei giuristi positivisti secondo cui “La legge anche se ingiusta può essere valida”; si tratta di una diversa formulazione rispetto a quella dei giusnaturalismi ma con uguale significato. Entrambe le formulazioni, quella giusnaturalista e quella positivistica, sono fondate sulla distinzione fra validità e giustizia secondo la formula: “una norma può essere giusta senza essere valida e valida senza essere giusta”. In questo senso le due correnti si avvicinano perché affermare che la giustizia consista nella corrispondenza alle leggi divine o naturali, dà una definizione legalistica della giustizia non diversamente da colui che afferma essere la giustizia corrispondenza alle leggi positive. 2. DIRITTO COME FORMA E TEORIA FORMALE DEL DIRITTO. (formalismo giuridico) Con formalismo giuridico si indica, in secondo luogo, una TEORIA DEL GIURIDICO, ossia di quella sfera dell’attività dell’uomo che vuole essere distinta dalla morale, dal costume, dall’economia ecc. Mentre una teoria della giustizia mira a definire ciò che il diritto dovrebbe essere, una teoria del diritto mira a definire il diritto com’è, allo scopo di distinguerlo dalla morale, dal costume ecc. (vuole comprendere quali sono le attività giuridiche dell’uomo, e quindi il diritto). Si dicono FORMALISTICHE quelle teorie che presentano il diritto come una forma (generalmente costante) rispetto ad un contenuto (generalmente variabile). Tutte le teorie del diritto mirano a dar rilievo agli aspetti costanti del diritto ed in questo senso tutte le teorie sono formali. Ma vi sono teorie che definiscono proprio il diritto come forma, cioè fanno del diritto stesso un momento formale di una realtà più ampia che lo comprende. In questa sede sarà posto l’attenzione proprio sulle TEORIE DEL DIRITTO COME FORMA. Tra le più interessanti vi è quella di KANT secondo cui la a relazione giuridica è caratterizzata dall’essere ESTERNA, RECIPROCA e FORMALE. Questa terza caratteristica va interpretata nel senso che il compito del diritto non è stabilire che cosa gli individui debbano fare nei loro rapporti reciproci, ma COME debbono farlo per non urtarsi a vicenda. (il diritto non deve dire se devo comprare un’auto o un cavallo, ma dice come, cioè con quali forme, debbo comprare una cosa affinchè diventi effettivamente mia). Questa definizione del diritto, però, è chiaramente unilaterale in quanto gli ordinamenti giuridici prevedono sia norme che stabiliscono il modo in cui alcuni comportamenti devono essere eseguiti, sia norme che entrano nel merito del comportamento La teoria della forma oggi prevalente è diversa da quella di Kant e prevede la COAZIONE come elemento costitutivo del diritto. E’stato KELSEN a consacrare la coazione come elemento costitutivo del diritto e la definizione di ordinamento giuridico come ordinamento coercitivo. Ciò che caratterizza il diritto non è questa o quella materia della regolamentazione, ma la forma della regolamentazione, in particolare, secondo Kelsen, la regolamentazione mediante l’esercizio del potere coercitivo. 3. LA SCIENZA DEL DIRITTO COME SCIENZA FORMALE (formalismo scientifico) Di scienza giuridica come scienza formale non si parla nel senso più stretto e rigoroso della parola, secondo cui si distinguono le scienze formali (come la logica) e le scienze empiriche (come la biologia); se ne parla in senso lato come FORMA DEL SAPERE che non ha per oggetto fatti ma QUALIFICAZIONI NORMATIVE DI FATTI, e il cui compito non è la spiegazione ma la COSTRUZIONE. Il termine costruzione è utilizzato dai giuristi per indicare l’operazione caratteristica della scienza del diritto consistente nel definire un fatto, allo scopo di inserirlo nel sistema dei concetti giuridici. Attraverso la costruzione il giurista assume un determinato fatto in una certa categoria giuridica al fine di attribuirgli una certa qualificazione normativa e classificarlo nel sistema. Dalla costruzione dipende, inoltre, anche l’attribuzione di determinate conseguenze giuridiche a un fatto, a un rapporto o ad un istituto.Lo scopo del diritto non è né la spiegazione causale né la spiegazione teologica di un istituto, bensì la determinazione del suo STATUS NORMATIVO. In questo ambito vi è un forte collegamento tra formalismo della scienza giuridica e normativismo; alla base della concezione formale della scienza giuridica sta la concezione del diritto, propria della teoria normativa, secondo cui il diritto è un insieme di qualificazioni normative di comportamenti; quindi, il compito di una ricerca scientifica del diritto si risolve in una riconduzione dei comportamenti alle strutture giuridiche e in una continua costituzione e modifica di tali strutture. Ciò non toglie che si possa parlare di ricerche formali nel campo del diritto indipendentemente dall’assunzione del punto di vista normativo. Il normativismo non è, infatti, la sola teoria del diritto 4. L’INTERPRETAZIONE FORMALE DEL DIRITTO. Un quarto significato di formalismo giuridico riguarda la teoria dell’interpretazione giuridica che si occupa del metodo adottato per interpretare ed applicare la legge e della funzione attribuita all’interprete. Rispetto al In seguito passò dalla teoria all’ideologia del positivismo giuridico mediante il passaggio dalla constatazione di un fatto alla valutazione favorevole di esso: il sistema vigente non è più soltanto oggettivamente descritto, ma considerato il miglior sistema. L’effetto di tale passaggio è la trasformazione del positivismo da teoria del diritto a teoria della giustizia, cioè a teoria che non pretende di indicare quello che è, sul piano dei fatti, il diritto, ma di raccomandare ciò che è, sul piano dei valori, il giusto. Anche in questo caso il passaggio da un aspetto ad un altro del positivismo giuridico è storico. L’ideologia positivista è infatti connessa all’esaltazione dello stato moderno. (si passa dalla teoria del positivismo giuridico, che si limita a prendere atto dei fatti in modo oggettivo, all’ideologia del positivismo giuridico che compie una valutazione positiva/favorevole. Tale ideologia si collega proprio all’esaltazione dello stato moderno.) CONCLUSIONI La distinzione fra i 3 aspetti del positivismo giuridico consente di realizzare il “bilancio” del positivismo giuridico. Come modo di avvicinarsi allo studio del diritto, il positivismo giuridico si fonda su un giudizio di convenienza o opportunità alla luce del quale bisogna considerare il diritto QUAL E’, e NON il diritto quale deve essere, perché meglio soddisfa lo scopo principale della scienza giuridica che è quello di fornire schemi di decisione alla giurisprudenza e di elaborare un sistema di diritto vigente. Questo presupposto è fondato sulla constatazione che il diritto che si applica nei tribunali è un insieme di regole la cui validità deriva NON dalla loro conformità ad un diritto ideale, ma dal fatto di essere state poste da certe autorità o dal fatto di essere effettivamente seguite da coloro che debbono applicarle. Quanto al positivismo come teoria, esso si appoggia ad un GIUDIZIO DI FATTO e può essere riassunto in questa formula: “E’ attualmente vero che il diritto vigente è un insieme di regole di condotta che sono formulate e fatte valere dallo Stato”.Chi vuole respingere questa teoria non dovrà provare che essa non serve allo scopo prestabilito, ma dovrà provare che è falsa, cioè che i fatti da essa enunciati non si sono verificati affatto o non si sono verificati nel modo in cui sono stati interpretati. Infine, l’ideologia del positivismo giuridico sostiene che il diritto, per il modo in cui è posto e fatto valere o per il fine cui serve, qualunque sia il contenuto, ha di per seì stesso un valore positivo e gli si deve prestare obbedienza. Chi vuole confutare questa ideologia, non potrà avvalersi delle argomentazione adoperate per provare o smentire fatti, ma dovrà contrapporre ai postulati etici cui l’ideologia positivistica rinvia, ALTRI POSTULATI ETICI. 7. DIFESA DEL POSITIVISMO GIURIDICO COME IDEOLOGIA A seconda che la polemica contro il positivismo giuridico sia stata diretta al metodo, alla teoria o all’ideologia, la linea di difesa dei positivisti è stata conseguentemente diversa. Le critiche al positivismo, in questi anni di ritorno al diritto naturale, hanno avuto ad oggetto soprattutto il positivismo come ideologia. Il maggior capo di accusa è dato dal fatto che il positivismo è ritenuto responsabile di alcuni fenomeni tipici del totalitarismo. Vediamo se queste accuse sono fondate o meno. Anzitutto è falso affermare che la dottrina dell’obbligo di ubbidire alle leggi positive sia una dottrina positivistica:in realtà la teoria dell’obbedienza è stata affermata dalle teorie giusnaturalistiche tradizionali. Ma più in generale si può dire che l’obbligo morale di obbedire alle leggi positive non è né giusnaturalista né positivista, perché deriva dalla constatazione, vecchia quanto la filosofia, che nessun ordinamento giuridico può sostenersi affidandosi esclusivamente all’obbedienza derivante dal timore della sanzione. Infatti, per obbligo morale si intende quello adempiuto per rispetto della legge, per obbligo giuridico quello adempiuto per timore della sanzione; è un dato di fatto che ogni ordinamento conta su entrambi. In secondo luogo bisogna distinguere la dottrina che fonda l’obbligo morale di ubbidire alle leggi positive sull’affermazione che le leggi positive sono giuste in quanto tali, dalla dottrina che fonda il medesimo obbligo sull’affermazione che le leggi positive, giuste o ingiuste, sono da ubbidire. La prima dottrina sostiene un obbligo incondizionato di obbedire alle leggi. Ma c’è davvero qualche giurista positivista che ha sostenuto una simile teoria? In realtà NO. Per la seconda dottrina, che è quella più attribuita ai positivisti, l’obbligo morale di ubbidire alle leggi è doppiamente condizionato: • Al riconoscimento che le leggi siano mezzi idonei al raggiungimento del fine che è loro proprio; • Al riconoscimento che i valori garantiti dal diritto non entrino in conflitto con altri valori (quali rispetto, vita, libertà ecc.) Infine per quanto riguarda il rapporto tra ideologia del positivismo e dittatura, non bisogna dimenticare che i postulati etici del positivismo (principio di legalità; l’ordine come fine principale dello Stato; la certezza come valore del diritto) siano stati elaborati nel XVIII secolo da KANT e MONTESQUIEU per porre limiti al dispotismo. In Italia la lotta al fascismo è stata condotta dai giuristi, in nome dei postulati etici del positivismo, difendendo la giustizia legale contro la giustizia sostanziale. Ciò dimostra che l’ideologia del positivismo giuridico può condurre alla dittatura o allo stato liberale a seconda del contesto storico. In tal senso è significativo che alcuni giuristi che durante il fascismo avevano sostenuto il principio di legalità, hanno poi sostenuto il principio opposto ai tempi della ricostruzione democratica. In definitiva, le leggi positive sono mezzi per attuare dei fini: la loro obbedienza è raccomandabile quando questi fini sono buoni, è sconsigliabile quando sono cattivi. L’obbedienza della legge in quanto tale non è sempre un bene così come non è sempre un bene il contrario. E’ per questo che non si può ritenere il positivismo giuridico responsabile delle conseguenze che sono state tratte dai suoi principi in un regime di cattive leggi. 8. DIFESA DEL POSITIVISMO GIURIDICO COME TEORIA. L’opposizione al positivismo giuridico come teoria è nata sul terreno della sociologia giuridica. Di fronte all’avanzata delle teorie sociologiche del diritto, il positivismo giuridico ha reagito in vari modi: • Negando gli errori ad esso attribuiti e accusando gli avversari di incomprensione; • Modificando le proprie tesi in modo da tener conto delle critiche degli avversari senza venir meno ai propri principi; • Riconoscendo apertamente l’errore e adattando la teoria in moda da farle abbracciare anche le tesi avversarie. Un esempio della prima risposta riguarda la critica dell’INCOMPLETEZZA DELL’ORDINAMENTO GIURUDICO. La risposta del positivismo è stata, da un lato, la teoria dello spazio giuridico vuoto secondo cui il caso non regolato da leggi positive non è una lacuna dell’ordinamento, ma un fatto giuridicamente irrilevante; dall’altro, la teoria della norma giuridica esclusiva, secondo cui il caso non regolato dalla norma speciale cade nell’ambito della norma generale che esclude dalla regolamentazione della norma speciale tutti i possibili casi che non rientrano in questa. Un esempio interessante del secondo tipo di risposta emerge nella discussione circa l’IMPERATIVITA’. Positivisti per eccellenza, come Kelsen, hanno abbandonato la nozione di imperatività ed adottando la nozione di PROPOSIZIONE PRESCRITTIVA la quale sembra più adatta ad abbracciare i vari tipi di regole che compongono un ordinamento giuridico. L’esempio più importante di accoglimento delle critiche avversarie riguarda la TEORIA DELLE FONTI. Una delle più forte critiche al positivismo riguarda la concezione meccanicistica dell’interpretazione giudiziaria e il disconoscimento del potere creativo del giudice. Accade, infatti, molto spesso di sentir dire che il positivismo giuridico considera il giudice come un automa e la decisione giudiziaria come un sillogismo. In quest’ambito le critiche al positivismo hanno aperto una breccia che non è stata più chiusa perché i fatti dedotti erano difficilmente confutabili. E’ stato osservato che il giudice, di fatto, crea diritto, nonostante la supremazia della legge e l’obbligo di decidere in conformità di regole poste precedentemente. Anche i più fedeli sostenitori del positivismo giuridico non hanno potuto far altro che prendere atto di questa realtà e così la teoria meccanicistica dell’interpretazione è stata abbandonata quasi da tutti. Con questo non si vuol cancellare la concezione meccanicistica dell’interpretazione, ma le si vuole dare il posto che le spetta, che non è quello di essere il fedele rispecchiamento di ciò che accade di fatto nei sistemi a prevalenza legislativa, ma quello di essere uno dei possibili atteggiamenti che il giudice può assumere di fronte alle regole che deve applicare. 9. DIFESA DELL’APPROACH (approccio) POSITIVISTICO DEL DIRITTO. La questione riguarda la scelta del punto di partenza più adatto all’elaborazione della scienza giuridica e della teoria generale del diritto. Il punto di partenza dei positivisti è quello di considerare il punto di vista fattuale, ciò che il diritto è. Sembra difficile provare il contrario, cioè che la scienza giuridica debba occuparsi del diritto quale dovrebbe essere. L’esempio del linguaggio è calzante: il linguista considera il linguaggio effettivamente parlato, non importa che esso sia barbaro o raffinato. Tuttavia l’attacco è alla sua insufficienza in quanto le considerazioni fattuali non sarebbero sufficienti a dare una giustificazione del diritto. I positivisti, in risposta a tale critica, affermano che non ci può chiedere ad una dottrina che si propone una ricerca fattuale del diritto di essere buona anche a offrire criteri etici di giustificazione dei fatti. O meglio, il giurista che si ispira al positivismo ha criteri per giustificare il diritto, ma non li mescola all’analisi fattuale. L’accusa più grave mossa al positivismo è costituita dal fatto di ritenere infondata la pretesa di essere eticamente neutrale. In risposta a tale critica si può affermare che quando il positivista sostiene che oggetto della scienza giuridica è il diritto qual è e non quale deve essere, non vuole affermare che il diritto qual è non sia costituito anche da una serie di apprezzamenti su situazioni di fatto, da cui nascono le regole, e che il dare questi apprezzamenti spetti solo al legislatore e non anche al giudice e al giurista. Il fatto che l’attività del giurista non sia solo logica ma valutativa ed eticamente orientata, non modifica il fatto che queste sue valutazioni diventano diritto non per il fatto di essere giuste, ma per il fatto di diventare regole valide del sistema. In definitiva, la tesi che il diritto è ciò che è di fatto non porta ad escludere che tra questi fatti vi siano anche le valutazioni personali del legislatore, del giurista e del giudice. CAPITOLO VI: GIUSNATURALISMO E POSITIVISMO GIURIDICO. 1. DEFINIZIONE DEI DUE TERMINI. Bobbio intende per GIUSNATURALISMO quella corrente che distingue diritto naturale e diritto positivo e sostiene la supremazia del primo sul secondo. Per POSITIVISMO intende, invece, quella corrente che NON ammette la distinzione tra diritto naturale e diritto positivo e afferma che non esiste altro diritto che il positivo. Le due definizioni sono asimmetriche; mentre il giusnaturalismo afferma la superiorità del diritto naturale sul diritto positivo, il positivismo giuridico non afferma la superiorità del diritto positivo sul diritto naturale, ma l’esclusività del diritto positivo. Quindi il giusnaturalismo è la teoria della superiorità del diritto naturale su quello positivo; il positivismo giuridico è invece la teoria dell’esclusività del diritto positivo. Il giusnaturalismo è dualistico, il positivismo giuridico è monistico. Queste definizioni, però, NON esauriscono tutte le possibili concezioni generali del diritto. Infatti, se ne posso immaginare almeno altre 3: mutevole) ma nella COSTANTE NATURA UMANA. Chi cerca di trovare un’etica comune a tutti i giusnaturalisti non la trova perché non ha compreso che il giusnaturalismo NON è una morale ma un MODO DI FONDARE LA MORALE. In conclusione, giusnaturalismo e positivismo, come teorie, sono ben lontani dall’esaurire tutto il possibile campo delle teorie del diritto: essi sono poli estremi entro cui si inseriscono teorie intermedie. 7. RAPPORTO TRA GIUSNATURALISMO E POSITIVISMO GIURIDICO COME MODI DIVERSI DI ACCOSTARSI ALLO STUDIO DEL DIRITTO. Il positivismo come metodo è da intendersi come quel modo di rivolgersi al diritto come fatto storico e sociale e di studiarlo come metodologia scientifica. Il giusnaturalismo, invece, si manifesta in questo ambito come richiesta di una definizione di diritto che, considerando il diritto non come mero fatto ma come qualcosa che ha un valore, limiti l’uso del termine diritto al diritto giusto. La polemica del giusnaturalismo ha ad oggetto la pretesa del positivismo di distinguere il diritto dal non-diritto senza far alcun riferimento al contenuto. In altri termini, quest’ultima contrapposizione tra giusnaturalismo e positivismo riguarda la disputa se convenga introdurre nella definizione del diritto un riferimento al fine (bene comune, giustizia, pace ecc.) oppure sia preferibile definire il diritto mediante il riferimento ai procedimenti con cui viene posto e fatto valere. PARTE TERZA: DEL GIUSNATURALISMO. CAPITOLO VII: ARGOMENTI CONTRO IL DIRITTO NATURALE. 1. POSIZIONE DEL PROBLEMA. Le vecchie e le nuove critiche al diritto naturale si possono raccogliere in 2 gruppi: • Quelli che hanno preso di mira il SOSTANTIVO, cioè hanno negato che il diritto naturale sia diritto. Si tratta soprattutto dei giuristi. • Quelli che hanno preso di mira l’AGGETTIVO, cioè hanno negato che il diritto propriamente detto possa dirsi naturale. Si tratta di una posizione propria dei filosofi. 2. DIRITTO E DIRITTO NATURALE. Lo sviluppo della scienza giuridica è stato accompagnato dalla polemica contro la pretesa del diritto naturale di essere diritto alla stregua del diritto positivo. Il risultato di questa polemica contro il diritto naturale è il seguente: il termine diritto nelle espressioni “diritto naturale” e “diritto positivo” è usato con 2 significati diversi. Infatti, il giurista che rifiuta di riconoscere al diritto naturale il carattere di vero e proprio diritto, non esclude la sua esistenza, ma contesta il fatto che sia diritto allo stesso modo del diritto positivo. Per diritto i giuristi intendono un complesso di regole della condotta umana che hanno come caratteristica quella di essere fatte valere in caso di loro violazione (alla violazione dell’obbligo giuridico corrisponde una sanzione). Quello che manca al diritto naturale è proprio l’EFFETTIVITA’. E’ un diritto “disarmato”; non avendo la forza di farsi valere in caso di violazione, non è diritto secondo l’uso corrente della parola. 3. IL FINE DEL DIRITTO NATURALE. Il fine del diritto è quello della conservazione della società umana; il diritto naturale NON serve a questo fine. Infatti, per diritto naturale deve intendersi il diritto che vige nello stato di natura. Tuttavia, lo stato di natura è impossibile perché le leggi naturali, da sole, non sono in grado di garantire agli uomini la sicurezza della loro esistenza. Hobbes, Locke, Rousseau e Kant sostengono, infatti, che gli uomini sono dovuti uscire dallo stato di natura perché questo è uno stato pericoloso, impossibile, ingiusto; l’unico stato adatto all’uomo è lo stato civile (cioè lo stato in cui le regole di condotta dell’uomo in società sono garantite dal potere sovrano) L’unica funzione che si potrebbe riconoscere al diritto naturale è quella di fornire la soluzione di casi dubbi o senza disciplina giuridica, tratta proprio dalla NATURA DELLE COSE. 5. MOLTI SIGNIFICATI DI NATURA. Il termine natura è uno dei termini più ambigui nella storia della filosofia. Vi sono tantissimi significati attribuiti da diversi autori. Il disaccordo sul punto di partenza (significato di natura) si ripercuote sulla risposta data dai giusnaturalisti alla domanda: quali diritti o istituti sono da considerarsi naturali e quali no? Non è possibile affermare che un diritto sia naturale senza riconoscere come naturale anche il diritto opposto. Ad esempio, il diritto di libertà, per i giusnaturalisti moderni, era un diritto naturale. Aristotele, invece, considerava naturale anche la schiavitù perché la natura aveva fatto sì che vi fossero uomini naturalmente padroni e uomini naturalmente schiavi. Anche circa il dovere di obbedienza vi erano, da un lato, i sostenitori del dovere incondizionato di obbedienza anche alla legge ingiusta; dall’altro i sostenitori del diritto di resistenza. La legge naturale faceva da supporto di entrambe le tesi. Coloro che affermavano il dovere assoluto di obbedienza allo stato dicevano che il potere dello stato era imposto dalla legge di natura,; coloro che affermavano il diritto di resistenza dicevano che la legge naturale, che stava a fondamento dello stato, non sopprimeva le leggi naturali da cui derivavano i diritti naturali individuali, e pertanto era naturale disobbedire alla legge dello stato non rispettosa di questi diritti. 7. LA PRETESA DEDUZIONE DI UN GIUDIZIO DI VALORE DA UN GIUDIZIO DI FATTO. Ammettiamo però che, nonostante le divergenze, sia possibile raggiungere un accordo per distinguere ciò che è naturale da ciò che non lo è. Anche ammettendo ciò, non si comprende come dalla distinzione tra ciò che è e ciò che non è naturale si possa trarre un criterio per distinguere il giusto dall’ingiusto (che è l’obiettivo del diritto naturale). Che un evento sia naturale è un giudizio di fatto; che sia giusto o meno è un giudizio di valore. E’ quindi possibile dedurre da un giudizio di fatto un giudizio di valore? Dalle tesi dei giusnaturalisti si ricava una risposta negativa. Infatti, quando il giusnaturalista pretende di dedurre il valore del fatto si illude; in realtà deduce UN VALORE DA UN ALTRO VALORE, cioè ricava ciò che è giusto che accada da ciò che accade solo perché ha già attribuito a ciò che accade un valore positivo o negativo, trasformando un giudizio di fatto ( il pesce grosso mangia il pesce piccolo) in un giudizio di valore (E’ giusto o sbagliato che il pesce grande mangi il piccolo). Ma per affermare che un certo evento sia giusto o meno, egli non fa più appello alla natura, ma a un si sistema di valori presupposto alla natura. La miglior prova che il criterio di distinzione tra ciò che è naturale e ciò che non lo è, non coincide col criterio di distinzione fra giusto e ingiusto, è data dalla constatazione che l’accordo sul fatto che un certo evento è naturale non implica anche l’accordo sulla giustizia di quell’evento. In conclusione, questo disaccordo avviene perché, il giudizio che un evento è naturale è un giudizio di fatto, mentre quello che lo stesso evento sia giusto è un giudizio di valore. Se due persone sono d’accordo su un fatto non è detto che siano d’accordo anche sul valore da attribuire a quel fatto. Da ciò consegue che, se anche i giusnaturalisti fossero d’accordo sui fatti da considerare naturali, non ne sarebbe derivato necessariamente un accordo anche sulla valutazione di questi fatti come giusti o ingiusti. 8. TRAMONTO DEL MITO DI UNA NATURA BENEFICA. Se mai un accordo vi fu tra i giusnaturalisti circa alcune leggi della società considerate naturali, esso deriva dalla considerazione della natura come benefica. La forza del diritto naturale riposava proprio sull’idea della bontà della natura. L’uomo doveva liberarsi dalla storia, dalle istituzioni, dai costumi per poter recuperare la libertà dello stato naturale. Il mito della natura benefica è poi crollato. Così, il rapporto gerarchico tra natura e storia è stato invertito; non è la natura benefica che deve orientare la storia e la cultura, ma è la continua creazione della storia e della cultura che deve prevalere sulla natura. All’idea del ritorno alla natura, si è contrapposta l’idea di dominare la natura. E’ allora possibile dopo questo rovesciamento del rapporto tra cultura e natura, far rivivere il diritto naturale che si era affermato in una situazione opposta? Secondo Bobbio no. CAPITOLO VIII: IL GIUSNATURALISMO COME TEORIA DELLA MORALE. 1. LA RINASCITA DEL GIUSNATURALISMO NON E’ UNA NOVITA’. Il giusnaturalismo continua a rinascere. Il ritorno al diritto naturale caratterizza il momento attuale (fina anni ’60) ma era stato affermato già alla fine delle due guerre mondiali. Se una dottrina continua a rinascere le possibili spiegazioni sono 2: • Rinasce continuamente perché è sempre viva (tesi dell’eterno ritorno del diritto naturale) • Rinasce sempre perché stenta a crescere (tesi dell’eterna crisi del diritto naturale) Bobbio è a favore della seconda. 2. BISOGNA DISTINGUERE LA MORALE DALLA TEORIA DELLA MORALE. La rinascita del giusnaturalismo si invoca come rimedio alla crisi morale. Il giusnaturalismo non è una morale ma una TEORIA DELLA MORALE; infatti, ciò che hanno in comune le teorie del diritto naturale, non è di aver proposto una determinata morale, ma di aver sostenuto un determinato FONDAMENTO DELLA MORALE quale che fosse il suo contenuto. Per MORALE si intende un insieme di prescrizioni della condotta umana generale, ordinate intorno a massime fondamentali, ispirate all’accettazione di un valore considerato preminente. Per TEORIA DELLA MORALE si intende un insieme di argomentazioni ordinatamente elaborate, aventi lo scopo di dare di una morale, quale che sia, una giustificazione razionale che deve essere di solito tale da persuadere gli altri ad accettarla. 3. IL GIUSNATURALISMO NON E’ UNA MORALE. Nell’espressione “diritto naturale” il termine “natura” non dà alcuna informazione circa il contenuto delle prescrizioni. L’unica massima che si può ricavare erigendo la natura a principio dell’azione è “Agisci secondo natura”. Ma si tratta di una massima che può essere riempita con qualsiasi contenuto. Nell’espressione “diritto naturale”, infatti, il termine “natura” indica 2 cose: la fonte o il fondamento del diritto. Non offre suggerimenti per determinare il contenuto della morale. Una prova generale di ciò è data dal fatto che, quando si vogliono dare maggiori informazioni rispetto al contenuto, si è costretti ad aggiungere un’ulteriore specificazione, come diritto naturale cristiano o diritto naturale personalista. Una prova più specifica è data dal fatto che sotto il nome di giusnaturalismo sono state sostenute massime morali molto diverse ed addirittura opposte. 4. IL GIUSNATURALISMO E’ UNA TEORIA DELLA MORALE.