Scarica giustizia amministrativa e più Dispense in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! 1 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA CAPITOLO I EVOLUZIONE DEL SISTEMA ITALIANO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA E TUTELA INNANZI AL GIUDICE ORDINARIO 1. Giustizia amministrativa: definizione e cenni di diritto comparato Con il termine “giustizia amministrativa” si indica un complesso di istituti assoggettati a discipline diverse. Essa, infatti, comprende: le disposizioni che trovano applicazione ad opera del giudice amministrativo o di un giudice amministrativo speciale; parte delle disposizioni relative al giudizio che si svolge dinanzi al giudice ordinario; la normativa sui ricorsi amministrativi. La giustizia amministrativa italiana si caratterizza per la presenza di rimedi giurisdizionali (dinanzi al giudice ordinario, a quello amministrativo e ai giudici amministrativi speciali) e di rimedi amministrativi. L’espressione “giustizia amministrativa” è usata nell’art. 125 Cost. per indicare rimedi giurisdizionali. La finalità è costituita dalla tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione attraverso il riconoscimento, in capo al privato, del potere di rivolgersi ad una autorità al fine di ottenere giustizia. L’attuale sistema è il frutto di un lungo processo che affonda le proprie radici nello Stato assoluto e nello Stato di polizia, in cui erano già presenti meccanismi volti a sindacare il rispetto delle regole di condotta del potere amministrativo. Tuttavia, l’esigenza di soddisfare la domanda di giustizia dei privati si fece più pressante dopo la Rivoluzione francese e in occasione della nascita dello Stato a regime amministrativo. Con l’affermazione della separazione dei poteri, fu creato un sistema di tutela speciale, articolato nei Consigli di prefettura, a livello dipartimentale, e nel Consiglio di Stato, a livello centrale. In questo modello la decisione finale veniva pur sempre emanata dal capo del potere esecutivo, per cui il Consiglio si limitava a formulare la decisione. Tale sistema può essere definito modello monistico con prevalenza del giudice amministrativo, in quanto caratterizzato dalla presenza di un giudice amministrativo, non completamente separato dell’esecutivo, che si presenta come maggior polo d’attrazione delle liti con l’amministrazione. Diverso è il modello monistico con prevalenza del giudice ordinario del sistema belga, dove la Costituzione del 1831 istituì la giurisdizione unica. 2. Evoluzione del sistema italiano Prima dell’unificazione, nel Regno di Sardegna si era avvertita in modo decisivo l’influenza francese. In particolare, nel 1831 Carlo Alberto istituì il Consiglio di Stato, inizialmente provvisto di sole funzioni consultive, diviso in tre sezioni. Attribuzioni contenziose erano invece riconosciute a livello periferico ai Consigli di intendenza, qualificati come giudici ordinari del contenzioso amministrativo. La competenza a giudicare in appello le decisioni di tali Consigli era attribuita alla Camera dei Conti. Le decisioni di questa potevano essere impugnate per incompetenza dinanzi al Consiglio di Stato, il quale doveva pronunciarsi a sezioni unite. Nel 1859, a seguito della riforma Rattazzi, giudice supremo del contenzioso venne riconosciuto il Consiglio di Stato, subentrato alla Camera dei conti, al quale poteva essere presentato appello nei confronti di una serie di controversie affidate tassativamente alla competenza dei Consigli di governo (subentrati nelle attribuzioni dei Consigli di intendenza). 2 Il Consiglio di Stato giudicava in unico grado sulle controversie relative al debito pubblico e alle pensioni. Questi organi costituivano, nel loro complesso, i Tribunali ordinari del contenzioso amministrativo. Il criterio di riparto tra la loro sfera di attribuzioni e la giurisdizione del giudice ordinario non era individuabile alla luce di un principio generale, ma derivava dalle scelte concrete della legge. Con l’unità d’Italia, il nuovo Stato dovette affrontare il problema di unificare il sistema di giustizia amministrativa, risolto con la l.n. 2248/1865, composta da un solo articolo e completata da sei allegati. Il legislatore unitario finì per accogliere il modello belga: in quello Stato, con la Costituzione del 1831, erano state devolute alla giurisdizione dei tribunali ordinari sia le questioni relative ai diritti privati, sia quelle attinenti ai diritti “politici”. La legge del 1865 fu detta legge abolitrice del contenzioso amministrativo: essa aboliva solo il contenzioso amministrativo “ordinario”, che faceva capo ai Tribunali sopra indicati, mentre lasciava sopravvivere alcune giurisdizioni amministrative “speciali”: le competenze della Corte dei conti in materia contabile e di pensioni; quelle del Consiglio di Stato in relazione ad alcune controversie tassativamente indicate, ed ai ricorsi per annullamento avverso le decisioni della Corte dei conti. La legge devolveva poi al giudice ordinario tutte le cause in materia penale per contravvenzioni, ma anche le materie nelle quali si fa questione di un diritto civile o politico, anche se fossero stati emanati provvedimenti del potere esecutivo e dell’autorità amministrativa: il criterio per individuare la giurisdizione era quello della natura della situazione giuridica di cui si affermasse la lesione. Per quanto attiene alle questioni non attinenti a diritti, la “tutela” era lasciata alle amministrazioni. In sintesi, lo spartiacque della tutela giurisdizionale consisteva nella distinzione tra diritti soggettivi (uniche situazioni tutelabili) e “altri affari”. Il potere del giudice ordinario era limitato alla conoscenza degli effetti dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, escluso dunque quello di revocare o annullare l’atto stesso. La soppressione dei tribunali del contenzioso amministrativo mostrò come fosse grave la lacuna di tutela che si era aperta in relazione alle situazioni dei privati che non avessero la dignità di diritti soggettivi, tenendo conto anche della “timidezza” mostrata dall’ordine giurisdizionale nei confronti della PA. In particolare, il giudice ordinario declinava la propria giurisdizione nei casi in cui, pur in assenza di un formale atto amministrativo, il comportamento del soggetto pubblico coinvolgesse in qualche modo le funzioni amministrative, ritenendo che ciò fosse sufficiente a determinare l’estinzione del diritto soggettivo. Dunque, le ipotesi in cui sopravveniva un sindacato giurisdizionale erano limitate, mentre per il resto la tutela era destinata ad essere amministrativa (annullamento dell’atto). Il sistema del 1865 fu così modificato nel 1877, attribuendo alle sezioni unite della Corte di cassazione di Roma (prima sussistevano più Corti di cassazione) la competenza a risolvere conflitti di attribuzione tra giudice ordinario e PA (competenza prima appartenente al Consiglio di Stato). La reazione al sistema del 1865 mostrò l’importanza essenziale dell’istituzione di un giudice per la soluzione delle controversie tra amministrazione e cittadini. 5 La Costituzione nulla dice riguardo ai ricorsi amministrativi, tuttavia una sentenza della Corte Costituzionale del 1966 ha ritenuto compatibile con la Costituzione il principio di alternatività del ricorso straordinario al Capo dello Stesso rispetto a quello giurisdizionale, attesa la volontarietà della scelta dell’interessato. Da ultimo, un riferimento alla giustizia amministrativa è contenuto nell’art. 117.2 lett. l), che ne attribuisce la disciplina alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. 4. L’evoluzione successiva all’entrata in vigore della Costituzione Dopo la soppressione delle giunte provinciali amministrative, nel 1971 furono istituiti i Tribunali amministrativi regionali, ai sensi dell’art. 125 Cost. A seguito di tale riforma, il Consiglio di Stato oggi si configura come giudice di secondo grado. Nel 1982 viene disciplinata la composizione delle sezioni del CdS e dei Tar. Con riguardo alla Corte dei conti, nel 1993 sono state istituite le sezioni regionali. Con la corte cost. n. 204/2004 viene ridimensionata l’area della giurisdizione esclusiva, individuando i limiti che incontra il legislatore nel delineare le relative materie. 5. La giurisdizione e i suoi limiti: la ripartizione tra giudice ordinario e amministrativo La giurisdizione è attuazione della legge: di conseguenza, essa si estende fin dove sussiste soggezione alla legge; fa parte dei presupposti processuali che devono essere verificati dal giudice amministrativo prima di poter scendere all’esame del merito della domanda. La legge attribuisce giurisdizione agli organi appartenenti alla magistratura, individuando contestualmente i limiti del relativo potere: ❏ i limiti esterni, nel senso che al di là di essi non sussiste nessun giudice dell’ordinamento che abbia giurisdizione; il superamento dei limiti esterni può condurre all’invasione di un ambito in cui non vi è giurisdizione in quanto manca la soggezione alla legge (es: il merito amministrativo), determinando un difetto assoluto di giurisdizione; ❏ i limiti interni, operanti nell’ambito della sfera di giurisdizione spettante ai vari organi del medesimo ordinamento; da questo punto di vista, la questione attiene all’individuazione dei criteri di distribuzione della potestà di risolvere le controversie tra i vari giudici dell’ordinamento: il superamento dei limiti interni comporta un difetto relativo di giurisdizione, nel caso in cui essa comunque sussista, ma sorga un conflitto circa l’appartenenza della controversia tra ordini giurisdizionali diversi (es: g.a e g.o.). Con riguardo all’azione esercitata nel processo, gli elementi di essa sono il soggetto, il petitum e la causa petendi. Il petitum è l’oggetto dell’azione e, nel giudizio amministrativo, consiste nella domanda di annullamento (oggi è anche possibile la domanda di risarcimento). La causa petendi è il titolo sul quale si fonda l’azione, ossia l’intrinseca natura della situazione giuridica dedotta. La IV sezione del CdS propose di operare il riparto tra le giurisdizioni secondo il criterio del petitum (in forza di esso il giudice amministrativo avrebbe avuto giurisdizione ove si fosse chiesto l’annullamento dell’atto, prescindendo dal tipo di norme violate, mentre il giudice ordinario avrebbe dovuto decidere le controversie se si fosse chiesta una sentenza di condanna o dichiarativa; questa soluzione poteva portare al rischio di conflitti tra giudicati di giudici diversi). Tale criterio fu rifiutato dalla Cassazione, la quale affermò che il riparto deve essere operato con riferimento alla situazione giuridica dedotta in giudizio. Con il concordato del 1930 si stabilì che il criterio decisivo fosse costituito dalla natura intrinseca della controversia, dunque ci si può rivolgere al g.a. solo se la pretesa riguarda interessi legittimi (criterio del petitum sostanziale): restano ininfluenti le formule giuridiche utilizzate dall’attore e le richieste rivolte al giudice adito, assume rilievo la causa petendi, l’effettiva natura della situazione giuridica dedotta. 6 Riconosciuta la rilevanza della causa petendi ai fini di riparto, la giurisprudenza doveva definire una regola per decidere quando si sia in presenza di della lesione di un diritto soggettivo ovvero di un interesse legittimo, individuato sulla base della contrapposizione tra carenza di potere e cattivo esercizio del potere. Sempre in base alla prospettazione della parte, se si contesta l’esistenza del potere si è in presenza di diritti soggettivi; ove si lamenti un cattivo uso del potere si fa valere un interesse legittimo. Si verifica carenza di potere in concreto quando l’amministrazione agisce in una situazione in cui difettano uno o più fatti stabiliti dalla legge come presupposti per l’esistenza in concreto del potere (es: provvedimento di esproprio emanato quando sia spirato il termine fissato dalla dichiarazione di pubblica utilità). 6. Conflitti di attribuzione, conflitti di giurisdizione e verifica della giurisdizione Sono competenti a conoscere le controversie riguardanti l’amministrazione due organi giurisdizionali: ordinario ed amministrativo. I conflitti possono essere: ➢ conflitti di attribuzione, se sorgono tra soggetti dotati di una sfera di competenza costituzionalmente riservata; spetta alla Corte Costituzionale dare loro soluzione; ➢ conflitti di giurisdizione, se riguardano organi appartenenti a diversi ordini giurisdizionali; la loro soluzione spetta alla Corte di Cassazione a sezioni unite; ➢ conflitti di competenza, nell’ipotesi in cui sorgano tra organi appartenenti allo stesso complesso giurisdizionale; la soluzione dei conflitti amministrativi spetta all’organo sovraordinato (nel caso di conflitti tra ministri, al Consiglio dei ministri), mentre la risoluzione dei conflitti giurisdizionali viene affidata alla Corte di cassazione a sezione semplice. Nel caso di conflitto di attribuzione, il conflitto tra poteri si riferisce alla contestata possibilità per uno dei due poteri di esercitare attribuzioni costituzionalmente riconosciute, come accade nell’ipotesi in cui un giudice, con provvedimento d’urgenza, invade la competenza del governo adottando un atto dal contenuto sostanzialmente amministrativo. Con riguardo alla disciplina processuale, non è previsto un termine per la presentazione del ricorso: la Corte Cost. risolve il conflitto individuando il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione e annulla, ove sussista (il conflitto potrebbe essere solo virtuale), l’atto emanato dall’altro potere. 7. Gli strumenti di verifica della giurisdizione Il meccanismo che evita la definizione solo in rito del processo è la translatio iudicii. Il legislatore ha disciplinato i casi di trasmigrazione del processo e ha sancito il superamento dell’incomunicabilità tra giudici. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica anche, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di Cassazione in sede di ricorso o di regolamento di giurisdizione, è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo. Entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia (intesa come comunicazione della decisione) la parte può riproporre la domanda al giudice indicato. In questo caso, le parti sono vincolate a tale indicazione e sono automaticamente fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se fosse stata fin dal primo momento proposta dinanzi al giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Il termine di decadenza per impugnare l’atto è di sessanta giorni. 7 L’inosservanza dei termini fissati per la riproposizione comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti della domanda. Il giudice davanti al quale è stata riproposta la causa può sollevare d’ufficio, con ordinanza, la questione davanti alle sezioni unite, ma solo fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Ove il secondo giudice, che declini la giurisdizione, manchi di sollevare la questione dinanzi alle sezioni unite, residuerebbe comunque la possibilità di impiegare lo strumento del conflitto negativo di giurisdizione in ogni tempo. L’art. 11 cpa ribadisce che, quando declina la propria giurisdizione, il giudice amministrativo indica, se esistente, il giudice nazionale che ne è fornito. Il comma 2 aggiunge che, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda se il processo è proposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato. Il comma 3 precisa che quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti a tale giudice, esso, alla prima udienza, può sollevare anche d’ufficio il conflitto di giurisdizione. Potrebbe accadere che l’indicazione vincolante provenga dalle sezioni unite della Corte di cassazione che, investite della questione di giurisdizione, attribuiscono quest’ultima al giudice amministrativo. In tal caso, il giudizio va riproposto nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle sezioni unite. Nei giudizi riproposti, il giudice ad quem può concedere la rimessione in termini per errore scusabile ove ne ricorrano i presupposti. Nel giudizio riproposto dinanzi al giudice amministrativo, le prove raccolte davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate solo come argomenti di prova; le misure cautelari perdono efficacia dopo trenta giorni dalla pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Tra gli strumenti di verifica della giurisdizione: a) il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della PA o dei giudici speciali può essere proposto dalla parte in qualunque stato e grado del processo ed è rilevabile anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 37 cpc. Tuttavia, a seguito di una pronuncia della Cassazione a sezioni unite, se le parti non impugnano la sentenza, o la impugnano, ma non eccepiscono il difetto di giurisdizione, pongono in essere un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire tale difetto e, di conseguenza, si verifica il fenomeno dell’acquiescenza (giudicato implicito sulla giurisdizione). Con riguardo al giudice amministrativo, l’art. 9 cpa dispone che il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio; nei giudizi di impugnazione, invece, è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione. b) Intervenuta una pronuncia espressa sono poi proponibili le impugnazioni previste per quel tipo di sentenza. Con riferimento al giudice amministrativo, ove la questione di giurisdizione rientri tra i motivi di appello, il giudice d’appello, se riconosce il difetto della giurisdizione affermata dal Tar, indica il giudice nazionale che ne è fornito, se esistente; nel caso in cui affermi la giurisdizione negata dal giudice di primo grado, annullerà la decisione con rinvio al giudice di primo grado; nel caso in cui ritenga legittima la statuizione del Tar in punto giurisdizione, confermerà la sentenza e l’appellante soccombente dovrà proporre ricorso alle sezioni unite della Cassazione. 10 L’analisi degli artt. 4 e 5 merita alcune ulteriori precisazioni: ❏ ai sensi dell’art. 4.2 (poteri di decisione del g.o.), le autorità amministrative hanno l’obbligo di conformarsi al giudicato dei tribunali. Il privato che abbia ottenuto una pronuncia favorevole può rivolgersi all’amministrazione al fine di ottenere la rimozione dell’atto. Se l’amministrazione non osserva l’obbligo, la legge istitutiva della IV sezione del CdS ha introdotto il rimedio del ricorso di ottemperanza, che consente alla parte che abbia ottenuto una pronuncia favorevole del giudice ordinario passata in giudicato di rivolgersi al giudice amministrativo nel caso in cui l’amministrazione non si conformi al giudicato. Tale rimedio può trovare applicazione dove il giudice conosce direttamente di diritti soggettivi lesi dall’atto, non nel giudizio in via incidentale; ❏ l’atto è disapplicabile quando sia affetto da qualsiasi vizio di legittimità, atteso che la legge non pone alcuna limitazione. Il sindacato non si estende al merito. Il potere di disapplicazione è esercitabile d’ufficio. 8.1. Le azioni ammissibili nei confronti della pubblica amministrazione Dottrina e giurisprudenza hanno provveduto ad individuare la tipologia di azioni esperibili dinanzi al giudice civile da parte dei privati nei confronti della pubblica amministrazione. Sulla base del divieto per il giudice ordinario di revocare o modificare l’atto amministrativo, si negava tradizionalmente la possibilità di pronunciare sentenze costitutive e sentenze di condanna ad un fare infungibile, un dare o un sopportare nei confronti dell’amministrazione. Pacificamente ammesse erano, e sono tutt’ora, le sentenze dichiarative e le sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro. Tale conclusione appariva coerente con il principio di divisione dei poteri: si impediva al potere giurisdizionale di ingerirsi nella sfera dell’amministrazione, la cui attività, finalizzata alla cura di interessi pubblici, non tollerava l’emanazione di ordini di fare o l’annullamento di atti da parte di un potere esterno: ❏ le sentenze dichiarative non incidono direttamente sull’atto né implicano svolgimento di attività esecutiva da parte dell’amministrazione, dunque non vi sono problemi di interferenze con l’attività amministrativa; ❏ le sentenze di condanna al pagamento di una somma, invece, impongono un obbligo di fare fungibile e non un’attività amministrativa qualificata. Nel corso del tempo sono stati individuati con maggior precisione i limiti del divieto del giudice ordinario di emanare sentenze costitutive o di condanna. I limiti attengono soltanto agli atti posti dai soggetti pubblici nell’esercizio del potere amministrativo: le sentenze di condanna e quelle costitutive possono essere emanate anche nei confronti di un’amministrazione che abbia posto in essere atti di diritto civile. Queste limitazioni non operano nei casi in cui l’amministrazione abbia agito in una situazione di carenza di potere: l’attività così posta in essere dall’amministrazione, che si configura come mera condotta materiale, è considerata dal giudice civile alla stregua dell’attività di qualsiasi altro soggetto di diritto comune. In particolare, in tema di diritti non suscettibili di essere degradati dall’amministrazione (es: diritto alla salute), parte della giurisprudenza ha pure ammesso la condanna ad un facere specifico e fungibile al fine di eliminare il pregiudizio arrecato al privato con un comportamento che non può essere espressione di un potere, in quanto incompatibile con l’esistenza di tale diritto. 11 Per quanto concerne le azioni possessorie (reintegrazione e manutenzione), le azioni nunciatorie (denuncia di nuova opera e di danno temuto), nonché le azioni volte a ottenere un provvedimento cautelare d’urgenza, si nega che queste siano esperibili nei confronti della PA quando determinano la paralisi dell’efficacia di un atto amministrativo che si pone alla base di un suo comportamento. Si pensi all’ordine di sgombero che abbia causato lo spossessamento del cittadino: ammettere l’azione di reintegrazione avverso l’amministrazione significherebbe revocare quell’atto. In queste ipotesi il privato può chiedere tutela al giudice amministrativo, lamentando la lesione di un proprio interesse legittimo. Peraltro, se l’amministrazione agisce nell’esercizio della capacità di diritto privato o sine titulo, il limite ai poteri del g.o. può essere superato. Si ritiene ammissibile la sentenza costitutiva pronunciata dal giudice con riferimento all’ipotesi in cui una parte, obbligata a concludere il contratto in forza di un preliminare, non adempia all’obbligazione assunta. Se la parte inadempiente è l’amministrazione, la possibilità di esercitare l’azione è stata riconosciuta, in quanto la sentenza non comporta alcuna interferenza nell’esercizio dei poteri amministrativi, considerato che la scelta discrezionale dell’amministrazione è stata effettuata nel momento in cui la stessa si è determinata a concludere il preliminare. In sostanza, i limiti ai poteri del giudice ordinario sussistono unicamente nel caso in cui il soggetto pubblico abbia esercitato con atto formale poteri pubblicistici attribuiti dalla legge. Soltanto in questa ipotesi, nel pieno rispetto del principio di legalità, si giustifica un regime differenziato per la pubblica amministrazione. I limiti si rivelano allora come garanzia rispetto ad un potere di annullamento o a una sovrapposizione della sentenza al potere esercitato dall’amministrazione con il provvedimento. Ciò significa che, nelle restanti ipotesi, le quali devono essere considerate la regola e non più l’eccezione, il giudice può emanare qualsiasi tipo di sentenza, anche di condanna ad un facere specifico, senza che ciò possa ritenersi in conflitto con l’interesse pubblico, atteso che la legge a monte non ha ritenuto di attribuire un potere pubblicistico che costituisca uno “schermo” nei confronti dell’intervento del giudice. 8.2. Segue: le azioni ammissibili nei confronti della pubblica amministrazione Il principio di cui all’art. 4.2, che vieta al giudice ordinario di intervenire sull’atto, non è stato costituzionalizzato. Dunque sono legittime le norme che vi deroghino. In tema di sanzioni amministrative pecuniarie, il d.lgs. 150/2011 consente al giudice di pace di annullare le ordinanze amministrative con cui vengono irrogate le sanzioni, nonché di modificare l’entità della sanzione e di sospenderne l’esecuzione. Il procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie è disciplinato come segue: a seguito dell’accertamento della violazione, essa viene contestata al trasgressore e agli obbligati solidali immediatamente, oppure, quando ciò non sia possibile, entro novanta giorni; ove la parte accetti di conciliare pagando volontariamente una somma ridotta, il soggetto che ha accertato l’infrazione presenta rapporto all’autorità competente alla decisione, che decide con ordinanza motivata dopo aver esaminato i documenti e gli scritti difensivi che l’interessato può presentare (nell’ipotesi di violazione delle norme di circolazione stradale, l’autorità competente è il prefetto, che decide sull’istanza della parte entro sessanta giorni, pena l’illegittimità della sanzione irrogata). L’ordinanza costituisce titolo esecutivo e può essere impugnata dall’interessato dinanzi al giudice di pace e al tribunale del luogo in cui è stata commessa l’infrazione, entro trenta giorni dalla notificazione: il giudice può sospendere per gravi motivi l’ordinanza, decide con sentenza, la quale, ove sia di accoglimento, può annullare in tutto o in parte l’ordinanza stessa e modificarla anche limitatamente all’entità della sanzione. La sentenza è appellabile e ricorribile per cassazione. 12 In materia di atti giudiziali, una disposizione consente al giudice ordinario di provvedere con decreto (ordine al rilascio), nel caso di rifiuto o ritardo da parte dei cancellieri o dei depositari di pubblici registri tenuti per legge a spedire gli estratti degli atti giudiziali da essi detenuti. In materia di atti dello stato civile, che sono atti amministrativi, è prevista la rettificazione in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato, con la quale si ordina all’ufficiale di stato civile di rettificare un atto esistente nei registri o di ricevere un atto omesso o di rimuovere un atto smarrito o distrutto. E’ riconosciuta anche la possibilità di pronunciare tutti i tipi di sentenza nei confronti dei soggetti pubblici in tema di rapporto di impiego presso le pubbliche amministrazioni. In questo ambito, in cui l’amministrazione agisce in prevalenza con i poteri del privato datore di lavoro, “il giudice adotta, nei confronti delle PA, tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro”. Sono escluse dalla devoluzione al g.o. le controversie relative ai rapporti di lavoro sottratti alla “privatizzazione” e di quelle in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ED ESECUZIONE FORZATA Nei casi in cui siano ammissibili sentenze di condanna al pagamento di somme di denaro, si pone il problema della tutela che può essere offerta al privato ove l’amministrazione si rifiuti di eseguirle spontaneamente. Il codice di procedura civile prevede il rimedio dell’esecuzione in forma specifica (esecuzione forzata per consegna e rilascio, di obblighi di fare e di non fare) e quello dell’espropriazione. L’espropriazione forzata è ammissibile sia nell’ipotesi in cui il credito abbia ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, sia quando risulta impossibile ricorrere all’esecuzione in forma specifica. Un primo limite all’esecuzione forzata nei confronti dell’amministrazione debitrice di una somma di denaro deriva dal regime sostanziale dei beni che costituiscono il patrimonio dell’amministrazione debitrice stessa, si tratta di beni indisponibili e beni demaniali che non possono essere sottratti alla loro funzione pubblicistica e, quindi, non possono essere assoggettati ad espropriazione forzata. Con riguardo ai crediti dell’amministrazione relativi al denaro depositato presso le tesorerie, parte della giurisprudenza ritiene ammissibile l’esecuzione forzata da parte del terzo (creditore dell’amministrazione), anche se trattasi di crediti certi ma illiquidi e inesigibili. Tuttavia, la stessa giurisprudenza ritiene che denaro e crediti siano impignorabili quando siano stati oggetto di una specifica destinazione univoca, precisa e concreta da parte del soggetto pubblico, richiedendo un provvedimento o una norma di legge che li vincoli alla destinazione a pubblico servizio. Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali aventi efficacia esecutiva e comportanti il pagamento di somme di denaro, entro il termine di 120 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine dilatorio il creditore non ha diritto di procedere ad esecuzione forzata nei confronti delle suddette amministrazioni, né possono essere posti in essere atti esecutivi. In pratica, in deroga alla disciplina del cpc, si dispone per l’amministrazione un regime di favore. 15 I regolamenti non sono immediatamente impugnabili, salvo che da parte di un ente esponenziale di interessi omogenei lesi dall’atto normativo. La circolare meramente interpretativa, priva di efficacia normativa esterna, non è impugnabile. Nel caso in cui sia direttamente lesiva, essa deve essere tuttavia immediatamente impugnata. Con riguardo al bando di gara, esso deve essere autonomamente impugnato soltanto nei casi in cui contenga disposizioni immediatamente lesive degli aspiranti, oppure si intenda contestare, a monte, la scelta della PA di indire una procedura; si tratta di un’eccezione, in quanto la regola è quella secondo cui la legittimazione si concretizza solo quando il ricorrente abbia partecipato alla procedura presentando la relativa domanda, differenziando così la propria posizione che diviene meritevole di tutela. La legittimazione, però, implica che il soggetto possa legittimamente prendere parte alla gara: in caso contrario, la parte si trova nella stessa situazione dell’impresa esclusa o non partecipante, ed è dunque priva di una situazione giuridica differenziata, conseguentemente difetta di legittimazione, esponendosi al rischio di un ricorso incidentale escludente (cioè che mira a contestare la sussistenza di una condizione dell’azione) o di un ricorso che ne contesti l’ammissione. In sintesi, nelle procedure ad evidenza pubblica, la parte ha l’onere di impugnare il bando, e, comunque, la propria esclusione e l’altrui ammissione, nonché l’aggiudicazione finale che rende attuale la lesione. L’amministrazione, dal canto suo, non può disapplicare il bando che ritenga illegittimo, avendo solo a disposizione di annullarlo in via di autotutela. Nelle procedure ad evidenza pubblica, l’impugnazione della proposta di aggiudicazione è inammissibile, al pari di quella degli altri atti endoprocedimentali. Gli atti plurimi, che producono effetti scindibili e differenziabili per ciascun singolo destinatario, sono impugnabili immediatamente e separatamente; l’eventuale annullamento pronunciato dal giudice non è in grado di estendere automaticamente gli effetti favorevoli verso altri soggetti. Con riguardo al termine per ricorrere, esso varia a seconda del tipo di azione esercitata. Il fatto deve essere in grado di indicare gli elementi necessari a dimostrare la sussistenza della giurisdizione, della legittimazione ad agire, dell’interesse del ricorrente, nonché il rispetto del termine per ricorrere. Fondamentale, nella scrittura del ricorso, è il rispetto del principio di sinteticità (art. 3 cpa). Le questioni di diritto che vanno considerate sono: le questioni pregiudiziali e preliminari (sussistenza della giurisdizione del giudice adito; sussistenza della competenza; tempestività del ricorso; sussistenza delle condizioni dell’azione), e le questioni relative al merito. Il ricorrente deve narrare i fatti e le circostanze storico ambientali, la causa petendi e il petitum, ossia le ragioni della domanda e la pretesa avanzata in giudizio. Un vizio dell’atto è la causa dell’illegittimità, mentre i motivi dell’impugnativa sono le singole e concrete difformità del comportamento amministrativo rispetto al paradigma normativo e costituiscono le specificazioni del vizio. La deduzione dei vizi assume gradi di specificità differenti a seconda dei casi: nell’ipotesi di violazione di legge è necessaria l’indicazione della norma violata; nell’eccesso di potere occorre individuare la concreta situazione che integra la figura sintomatica (ad esempio la situazione utilizzata al fine di dimostrare la disparità di trattamento). 16 Ribadito che la domanda è unica e che il ricorso può articolarsi in più motivi, parte della dottrina ammette che questi ultimi possano essere raggruppati in capi in ragione del tipo di vantaggio cui mira il ricorrente. La deduzione di un nuovo vizio costituisce frazione di domanda nuova e va effettuata entro il termine di impugnazione. I motivi devono essere specificati nel ricorso, dunque sono inammissibili quelli generici e quelli dai quali non sia dato individuare la norma violata, oppure la configurazione che assume il vizio di eccesso di potere, anche se ciò vale a condizione che il ricorrente conosca, fin dall’inizio, l’atto amministrativo e le cause della sua invalidità. I motivi non identificati specificamente sono qualificati espressamente come inammissibili. Essi devono essere formulati distintamente nel contesto dell’atto introduttivo. Il giudice è vincolato alla deduzione dei motivi operata dal ricorrente, nel senso che, in virtù del principio dispositivo, il Tar non può scendere a esaminare profili di illegittimità non rappresentati dalla parte. In forza del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il giudice deve pronunciarsi su ogni domanda per intero e, in relazione a ogni domanda, su tutti i singoli motivi. Tale dovere incontra un limite nel potere della parte di graduare i motivi di ricorso ed è temperato con la tecnica dell’assorbimento dei motivi. La graduazione dei motivi implica una dichiarazione implicita di carenza dell’interesse alla coltivazione del motivo subordinato una volta accolta la doglianza ritenuta preminente. A fronte della graduazione decisa dalla parte, il giudice non può pronunciare sulla seconda domanda se non dopo aver respinto la prima. Il CdS delinea una deroga a tale dovere, individuando casi in cui alcuni vizi di legittimità esprimono una così grave alterazione dell’esercizio della funzione pubblica che il giudice non deve ritenersi vincolato alla prospettazione del ricorrente. Le fattispecie indicate dal CdS sono tre e danno luogo al c.d. assorbimento: le situazioni di incompetenza (adozione del provvedimento da parte di autorità diversa); la carenza di proposta vincolante; la mancata acquisizione di un parere obbligatorio. In tutte queste ipotesi siamo in situazioni in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, dunque il giudice non può fare altro che rilevare il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus. Con riguardo alla prassi giudiziale di assorbimento dei motivi: una volta accolto il ricorso per un motivo, il giudice rifiuta di scendere all’esame delle altre doglianze prospettate. Il riconoscimento del motivo con cui si censura il vizio di incompetenza, ad esempio, comportante l’annullamento dell’atto, produce l’assorbimento degli altri vizi. In questo modo, però, il ricorrente è esposto al rischio che sia successivamente emanato dall’autorità competente un provvedimento viziato sotto gli altri profili dedotti nel primo ricorso e non presi in considerazione. L’assorbimento dei motivi che va a cozzare con il principio di effettività della tutela è vietato, salvi i casi di espressa previsione legislativa, di evidenti ragioni di ordine logico-pregiudiziale (es: il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale subordinato o condizionato all’accoglimento di quello principale), e salva la sussistenza di ragioni di economia processuale (es: assorbimento dei motivi ripetitivi di altri già esaminati e respinti), se comunque non risulta lesa l’effettività della tutela dell’interesse legittimo e della funzione pubblica. 17 Infine, non è consentito attribuire un bene della vita diverso da quello richiesto. Per quanto riguarda il petitum, ossia il provvedimento richiesto al giudice, esso di solito consiste nella domanda di annullamento dell’atto, ma può trattarsi anche di richiesta di modificazione dell’atto stesso, di dichiarazione della situazione controversa, a seconda della tipologia di processo. 1.1. La magistratura amministrativa Il complesso organizzativo Tar-Consiglio di Stato-Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia costituisce l'ordinamento della giustizia amministrativa, e ha istituito un Consiglio di presidenza unico per i magistrati dei Tar e per quelli del CdS. Questo ordine unitario comporta che la ripartizione di attribuzioni tra i vari organi non dia luogo a problemi di giurisdizione, ma di competenza. Il Consiglio di presidenza è composto dal Presidente del CdS che lo presiede, da quattro magistrati in servizio presso il CdS, da sei magistrati in servizio presso i Tar, e da quattro cittadini eletti (due dalla Camera e due dal Senato, a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti) tra i professori ordinari di università in materie giuridiche o gli avvocati con venti anni di esercizio professionale; i componenti elettivi durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Il Consiglio di presidenza ha compiti deliberativi in materia di assunzioni, assegnazione di sedi, in materia di determinazione di criteri e modalità per la fissazione dei carichi di lavoro, funzioni, trasferimenti, promozioni, provvedimenti attinenti allo stato giuridico e alla carriera dei magistrati. Avverso i provvedimenti del Consiglio di presidenza (si pensi ai trasferimenti o ai provvedimenti disciplinari) è ammessa tutela davanti al giudice amministrativo. L’azione disciplinare relativa ai magistrati amministrativi può essere promossa dal presidente del CdS e dal Presidente del Consiglio dei ministri. La magistratura amministrativa è costituita dal Presidente del Consiglio di Stato, dai presidenti di sezione del CdS e dai presidenti dei Tar, i quali hanno funzioni direttive, nonché da consiglieri di Stato. IL CONSIGLIO DI STATO Il Consiglio di Stato, organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa, è composto da presidente del CdS, da presidenti di sezione e da consiglieri di Stato. Il Presidente del CdS, ogni anno, con proprio provvedimento, sentito il Consiglio di Presidenza, individua le sezioni che svolgono funzioni giurisdizionali e consultive, determinando le rispettive materie di competenza e la composizione, nonché la composizione dell’Adunanza Plenaria. L’Adunanza generale, con funzioni consultive per questioni di particolare importanza, è composta da tutti i magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato. L’Adunanza plenaria, con funzioni giurisdizionali, è composta da Presidente del CdS che la presiede e da dodici magistrati del CdS, assegnati alle sezioni giurisdizionali. La volontà dell’art. 99 cpa è quella di rafforzare il ruolo nomofilattico di questa Adunanza, secondo il modello della Cassazione, al fine di garantire l’uniformità degli indirizzi giurisprudenziali a fronte del disordine normativo e della relativa incertezza. 20 Poi, ai sensi del comma 2, per pubbliche amministrazioni si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo. Parliamo di giurisdizione di legittimità quando il g.a. giudica in via generale, senza necessità di una esplicita norma di legge, delle controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi ed agli altri diritti patrimoniali consequenziali. Caratteristiche di questa giurisdizione sono la generalità ed il fatto che la causa petendi sia l’interesse legittimo. Il giudice esercita i poteri istruttori definiti dal codice e quelli decisori che vanno dall’annullamento dell’atto alla condanna al risarcimento del danno. Parliamo di giurisdizione esclusiva quando il g.a. conosce, in determinate materie, anche di diritti soggettivi, pure a fini risarcitori: in tal caso vi è una deroga al criterio di riparto basato sulla natura della situazione giuridica lesa. Parliamo, infine, di giurisdizione di merito nei casi in cui il limite esterno può essere superato ed il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione. I tre ambiti di giurisdizione non sono comparabili in quanto non omogenei: a) la giurisdizione esclusiva e quella di merito sono eccezionali, perché sussistono solo nei casi previsti dalla legge, differenziandosi da quella generale di legittimità; b) la giurisdizione esclusiva e quella di legittimità si caratterizzano per il tipo di situazioni giuridiche alle quali offrono tutela, mentre la giurisdizione di merito è individuata in ragione dei diversi poteri cognitori e decisori del giudice. Essa, inoltre, riguarda casi in cui sono coinvolti diritti soggettivi ed altri che implicano interessi legittimi, sicché costituisce un tertium genus rispetto alla giurisdizione esclusiva e a quella di legittimità. 2.1. L’ambito della giurisdizione esclusiva L’art. 133 cpa ha raggruppato ed elencato le controversie devolute alla giurisdizione esclusiva. Alcune di esse sono trattate all’interno dei riti speciali. L’elenco è molto eterogeneo, riguardando interi ambiti o settori da cui vengono ricavate alcune fasce di controversie. Alcune controversie concernono fattispecie regolate dalla l.n. 241/1990, in materia di: ❏ risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo; ❏ formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo degli accordi tra pubbliche amministrazioni; ❏ silenzio inadempimento e provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di s.c.i.a; ❏ determinazione e corresponsione dell’indennizzo dovuto in caso di revoca del provvedimento amministrativo; ❏ nullità del provvedimento adottato in violazione o elusione di giudicato; ❏ diritto di accesso ai documenti amministrativi e violazione della trasparenza. Altre riguardano concessioni di beni, servizi pubblici, urbanistica ed edilizia. Poi vi sono le controversie concernenti i contratti delle amministrazioni, come quelle relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria o al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale. 21 Un altro gruppo di ipotesi attiene al settore delle espropriazioni e dei poteri ablatori. Si tratta di controversie aventi ad oggetto: gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili all’esercizio di un pubblico potere delle PA in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza degli atti di natura espropriativa o ablativa. 2.2. La giurisdizione di merito Si parla di giurisdizione di merito nei casi in cui si verifica un ampliamento del limite esterno della giurisdizione del giudice amministrativo, il cui superamento di regola determinerebbe il difetto assoluto di giurisdizione. Essa consente di sindacare non solo la legittimità, ma anche il merito, ossia l’opportunità dell’atto amministrativo, inserendosi in un ambito normalmente sottratto alla cognizione del giudice amministrativo. La tesi preferibile è quella che identifica la giurisdizione di merito con un’area in cui il giudice ha maggiori poteri decisori, i quali sono la conseguenza di poteri cognitori più ampi e, cioè, di un sindacato sull’opportunità. Il giudice ha la possibilità di annullare l’atto, di disporre il risarcimento dei danni nonché quello di sostituirsi all’amministrazione. Qualora si verifichi quest’ultima ipotesi, il g.a. può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta. Nei casi di giurisdizione di merito, il giudice adotta un nuovo atto, oppure modifica o riforma quello impugnato. Nel caso dell’ottemperanza può parlarsi di merito, ma il vero tema è quello dell’effettività della tutela, nel senso che una sostituzione dell’amministrazione che non ottemperi a una precedente statuizione giurisdizionale è necessaria onde garantire l’adempimento del dovere di dare attuazione alle sentenze e l’effettività della tutela. Trova conferma che il principio della divisione dei poteri è accolto in via soltanto tendenziale nel nostro ordinamento: esso può essere superato dopo la fase in cui l’amministrazione ha avuto la chance di agire. In sintesi, la giurisdizione di merito accoglie ipotesi diverse tra loro: i casi in cui il giudice ha maggiori poteri decisori giudicando scelte già effettuate dall’amministrazione; casi in cui può sindacare sull’opportunità di un precedente atto; e un’ipotesi di vera sostituzione, anche per il futuro, con riferimento all’ottemperanza, per consentire alla parte di conseguire il bene finale pur in presenza di spazi residui di discrezionalità e sul presupposto che ci sia già una sentenza. 2.3. Le materie rientranti nella giurisdizione di merito Rientrano in questa giurisdizione le materie aventi ad oggetto: a) l’attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato nell’ambito del giudizio di ottemperanza; b) gli atti e le operazioni in materia elettorale, attribuiti alla giurisdizione amministrativa; c) le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti; d) le contestazioni sui confini degli enti territoriali; e) il diniego di rilascio di nulla osta cinematografico. 22 SEZIONE II - IL PROCESSO AMMINISTRATIVO 3. Le fonti del processo amministrativo Il codice del processo amministrativo costituisce la fonte principale del processo. L’art. 1 afferma che la giurisdizione amministrativa assicura la tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo. L’art. 39, sul rinvio esterno, stabilisce che “per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”. Il rinvio è quindi subordinato al vaglio di compatibilità e all’identificazione di principi generali; la disposizione è di infelice formulazione, in quanto sembra ammettere che le norme espressione di principi generali siano applicabili anche se incompatibili. Di rilievo è l’art. 38, sul rinvio interno, ai sensi del quale il processo amministrativo si svolge secondo le disposizioni del libro II (processo di primo grado) che, se non espressamente derogate, si applicano anche alle impugnazioni e ai riti speciali. Il processo amministrativo telematico è regolato dal dpcm 40/2016: il deposito di ricorsi, memorie, motivi aggiunti e ricorsi incidentali, tutti redatti in formato di documento informatico e sottoscritti con firma digitale, nonché dei documenti, avviene esclusivamente per via telematica (modalità: Pec e upload). L’utilizzo della Pec è il metodo ordinario, potrebbero essere previste copie d’obbligo e di cortesia cartacee; le comunicazioni sono effettuate esclusivamente con modalità telematiche nei confronti di ciascun avvocato componente il collegio difensivo o nei confronti dell’avvocato domiciliatario eventualmente nominato, agli indirizzi Pec risultanti dai pubblici elenchi, mentre la notificazione degli atti giudiziari per via telematica è facoltativa. Ai sensi dell’art. 136, tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti possono essere sottoscritti con firma digitale. La formazione del fascicolo telematico è disciplinata dall’art. 5 dpcm 40/2016: esso è dematerializzato salvo casi eccezionali, ossia delle ipotesi in cui il sistema informativo non funzioni o nelle quali il giudice, in corso di causa, autorizzi per specifiche e motivate ragioni il deposito cartaceo. L’accesso allo stesso, consentito previo rilascio delle credenziali di accesso inviate via Pec (username e password), all’avvocato munito di procura, agli avvocati domiciliatari, agli avvocati delegati, alle parti personalmente e, previa autorizzazione del giudice, a coloro che intendono intervenire. 4. I principi del processo amministrativo I principi generali sono codificati nel d.lgs. 104/2010 agli artt. 1, 2 e 3. L’art. 1 si riferisce al principio della tutela piena ed effettiva, secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo. Il principio di effettività è spesso richiamato per invocare spazi di intervento maggiori a favore del giudice onde venire incontro alle esigenze del ricorrente e per soddisfarne pienamente le richieste. Il tema, ad esempio, emerge con riferimento alle questioni della tutela atipica, della convertibilità delle azioni e dei poteri del giudice di modulare gli effetti delle sentenze di annullamento. 25 Comunque, al fine di non cagionare problemi alle esigenze del ricorrente di ottenere immediatamente la tutela cautelare, il giudice, nelle more dell’integrazione del contraddittorio, può pronunciare provvedimenti cautelari interinali, ossia provvisori. Ai sensi dell’art. 49.2 cpa, l’integrazione del contraddittorio non è ordinata nel caso in cui il ricorso sia manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato. In questi casi si provvede con sentenza in forma semplificata. Il ricorrente è il titolare del diritto di azione che agisce a tutela di un interesse legittimo o, nei casi di giurisdizione esclusiva, di un diritto soggettivo. Può trattarsi anche di un ente pubblico, ove esso impugni un atto amministrativo lesivo della propria sfera giuridica o azioni una pretesa a tutela di un proprio diritto pure nei confronti di un privato. L’amministrazione resistente è l’autorità che ha emanato l’atto o nei cui confronti deve essere fatta valere la pretesa: nel caso di trasferimento di competenze si ritiene che il contraddittorio debba instaurarsi con l’autorità subentrata, la quale ha il potere di disporre dell’atto annullato e di ottemperare all’eventuale sentenza sfavorevole. Nell’ipotesi di impugnazione di atto soggetto a controllo, l’organo di controllo non è considerabile autorità emanante. Ai sensi dell’art. 7, per PA si intendono anche soggetti ad esse equiparati. Gli (eventuali) controinteressati sono soggetti titolari della legittimazione a contraddire. Essi traggono vantaggio dall’atto impugnato, quindi il suo annullamento arrecherebbe loro uno svantaggio. Il controinteressato ha un interesse giuridicamente rilevante di segno opposto rispetto a quello del ricorrente, che mira alla conservazione dell’atto. Vi sono alcuni controinteressati sul piano sostanziale, e cioè in possesso della legitimatio ad causam, perché a essi è riferibile il rapporto giuridico controverso, che comunque potrebbero non diventare parti necessarie e legittimi contraddittori nel processo, in quanto non identificabili dal provvedimento. Atteso che essi sono titolari di un interesse legittimo di segno contrario rispetto a quello del ricorrente, essi possono sempre intervenire nel giudizio e proporre opposizione di terzo. Può anche accadere che il giudice non individui correttamente la cerchia dei controinteressati-parti necessarie, nei confronti dei quali integrare il contraddittorio; se l’integrazione non viene ordinata, la decisione sarà affetta da vizio di procedura, rilevabile d’ufficio in appello dal giudice che deve annullarla con rinvio al giudice di primo grado. Abbiamo anche i cointeressati, ossia i soggetti che si trovano nella stessa posizione del ricorrente, i quali hanno la possibilità, a determinate condizioni, di intervenire, realizzando un ipotesi di litisconsorzio facoltativo attivo. 5.1 Le parti non necessarie; in particolare: le parti eventuali L’intervento volontario può assumere varie forme. In particolare, chi abbia un interesse indiretto, accessorio e collegato a quello azionato, può porre in essere l’intervento adesivo ad adiuvandum, per sostenere la posizione del ricorrente; mentre chi abbia un interesse contrario può intervenire ad opponendum, per appoggiare l’amministrazione e gli eventuali controinteressati. Ai sensi dell’art. 28.1 cpa, se il giudizio non è stato promosso contro alcuna delle parti nei cui confronti la sentenza deve essere pronunciata, queste possono intervenire, senza pregiudizio del diritto di difesa. La disposizione si riferisce ai casi di intervento ad opponendum del controinteressato non intimato: in tal caso, in realtà, si tratta di costituzione in giudizio, nelle forme dell’intervento, di una parte necessaria ed è per questo che la norma specifica che non vi è pregiudizio per i diritti di difesa. 26 Trattandosi di legittimi contraddittori, a essi spettano gli stessi poteri delle parti principali, senza alcuna limitazione. L’art. 28.2 aggiunge che chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova. Questa disposizione contempla invece ipotesi diverse: si può pensare sia all’intervento del cointeressato che avvenga prima della consumazione del termine di decadenza (intervento litisconsortile), sia all’intervento adesivo; entrambi però devono accettare lo stato ed il grado in cui il giudizio si trova. Con riguardo all’intervento adesivo (successivo al consumarsi del termine di decadenza), l’interesse che legittima l’intervento ad adiuvandum non può essere uguale a quello del ricorrente, nel senso che l’interveniente non può essere un cointeressato in senso proprio, altrimenti risulterebbe eluso il termine perentorio di decadenza. Il cointeressato sul piano sostanziale, in tal caso, dovrebbe impugnare autonomamente l’atto, o comunque intervenire prima dello spirare del termine di decadenza. Nell’intervento adesivo, l’interveniente si trova in una posizione accessoria rispetto a quella della parte con cui coopera, dunque non può ampliare l’oggetto della controversia, proponendo domande nuove (l’interveniente ad opponendum, dunque, non potrà che aderire alla richiesta di rigetto del ricorso), o nuovi motivi di ricorso o nuove ragioni di difesa, e può compiere solo quelle attività che non pregiudichino la posizione della parte principale, rimanendo comunque assoggettato agli effetti della sentenza. Tuttavia, essi possono addurre argomenti a favore delle contrapposte tesi. L’art. 28.3 cpa ammette anche l’intervento iussu iudicis che, nella propria discrezionalità, valuta l’opportunità che il processo si svolga nei confronti di un terzo. In tal caso, esso ordina alla parte di chiamare il terzo in giudizio, indicando gli atti da notificare e il termine della notificazione; ove la chiamata non venga effettuata, il ricorso è dichiarato improcedibile. Il terzo può essere un controinteressato pretermesso sostanziale, ma potrebbe trattarsi anche di un’altra amministrazione interessata al giudizio o nei confronti della quale si vuole estendere la portata soggettiva della domanda (es: nel caso in cui non sia chiaro quale sia il soggetto legittimato passivo). Questo tipo di intervento risponde a ragioni di economia processuale: i terzi pretermessi, infatti, potrebbero successivamente esperire l’opposizione di terzo, dunque è preferibile che il giudice possa ordinarne la chiamata prima di emettere la sentenza. In sintesi, possiamo individuare ipotesi di: a) litisconsorzio necessario dal lato passivo (tra amministrazione e controinteressati, nel caso in cui ce ne siano); b) litisconsorzio facoltativo dal lato passivo, nel caso di intervento di controinteressati; c) litisconsorzio facoltativo dal lato attivo, nel caso di intervento in causa di cointeressati entro il termine di decadenza. Esso può anche realizzarsi per effetto del ricorso collettivo e dell’esercizio del potere del giudice di procedere alla riunione dei ricorsi. 6. I presupposti processuali. Osservazioni generali. La giurisdizione del giudice amministrativo. I presupposti processuali consentono che si instauri un processo legittimo. Essi fanno sì che l’azione processuale sia dotata di una serie di requisiti, la cui esistenza deve essere accertata dal giudice prima di poter esaminare la fondatezza della domanda, al fine di accoglierla o respingerla. 27 Tra questi presupposti rientra l’esistenza di una domanda rivolta ad un giudice: il c.d. presupposto di esistenza del processo, nel senso che la presentazione di una domanda a un organo che non sia giurisdizionale ne impedisce l’instaurazione. Sono presupposti processuali di ammissibilità del ricorso la capacità di essere parte nel processo, la capacità processuale, il rispetto del contraddittorio. La loro assenza comporta che il giudice dichiari inammissibile il ricorso, in quanto il rapporto processuale non è stato validamente costituito (pronuncia di rito). Si noti che il giudice deve pronunciarsi anche se non può scendere all’esame del merito della domanda avanzata dalla parte. Essi devono sussistere al momento in cui il ricorso viene proposto. Vi sono anche i presupposti di procedibilità del ricorso, la cui assenza osta a che il giudizio giunga legittimamente alla sua conclusione. In tal caso il ricorso viene dichiarato improcedibile: l’improcedibilità deriva, ad esempio, dalla rinuncia agli atti e dalla mancata integrazione del contraddittorio. La pronuncia di inammissibilità o di improcedibilità del ricorso non ha il valore del rigetto nel merito della domanda, ma significa che essa non può essere fatta valere in quel processo, in quanto non validamente costituito o proseguito: la parte potrebbe far valere la propria pretesa in un altro processo, in cui il relativo ricorso potrebbe essere ammissibile o procedibile, sempre nel rispetto del termine di decadenza. Le condizioni dell’azione, invece, indicano il complesso delle circostanze che consentono al giudice di entrare nel merito della domanda. Esse attengono alla pretesa sostanziale, nel senso che in loro assenza non si può ottenere, neppure in altro processo, una decisione sul merito. Secondo la giurisprudenza, l’assenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione è rilevabile anche d’ufficio in ogni grado e stato del processo. 6.1. La competenza dei giudici amministrativi Spetta al ricorrente individuare il giudice competente. I Tar sono giudici di primo grado di un solo tipo, dunque il legislatore, al fine di individuare il criterio con cui ripartire tra di essi la competenza, ha affrontato unicamente il tema della competenza per territorio. Anche se, in realtà, rilevano pure la competenza per grado e quella funzionale per materia. Quanto alla competenza per territorio, basata sul criterio territoriale e relativa alla distribuzione della giurisdizione tra giudici dello stesso tipo, essa è inderogabile. Viene individuata sulla base di quattro criteri, relativi a sede, effetti dell’atto, tipologia di controversie e carattere di atto (statale o emanato da soggetti pubblici a carattere ultra regionale). L’art. 13 cpa introduce il criterio generale, applicabile salvo eccezioni: sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni è competente il Tar nella cui circoscrizione territoriale esse hanno sede. Poi aggiunge che il Tar è comunque competente sulle stesse controversie i cui effetti diretti sono limitati all’ambito territoriale della regione in cui il tribunale ha sede. Il termine “comunque” sembra avallare la tesi per cui questo criterio degli effetti è speciale rispetto al precedente e, dunque, prevalente in caso di concorso di criteri. 30 Nei giudizi di impugnazione, infine, il difetto di competenza è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo esplicito o implicito, ha statuito sulla competenza: in caso di mancata impugnazione, la competenza del giudice di primo grado rimane fissata in modo definitivo. La sentenza di accoglimento del motivo di appello determina l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice competente. 6.3. Modificazioni della competenza: connessione, litispendenza, continenza Con riguardo alla connessione, l’art. 43 cpa dispone che “i ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti… domande nuove purché connesse a quelle già proposte”. E’ dunque ipotizzabile l’impugnazione di atti diversi e sopravvenuti nelle more del giudizio, purché siano connesse a quelle già formulate: la disposizione potrebbe anche determinare uno spostamento di competenza. La proposizione di più ricorsi separati dinanzi allo stesso giudice relativi ad atti oggettivamente connessi, può dar luogo all’ipotesi di riunione dei ricorsi, ex art. 70 cpa. Vi è anche l’istituto del cumulo delle domande connesse. La connessione, inoltre, legittima la proposizione di domande incidentali e, ove non sia possibile il simultaneus processus, determina la sospensione dei processi. Nel processo amministrativo, a differenza del giudizio civile, viene in evidenza solo la connessione oggettiva, nel senso che essa ricorre quando, sul piano sostanziale, tra i provvedimenti impugnati esista una connessione procedimentale di presupposizione giuridica (cioè sulla base di uno schema normativo, ad esempio la dichiarazione di pubblica utilità e dell’esproprio), o quantomeno di carattere logico, poiché i diversi atti incidono sulla medesima vicenda, o quando gli atti costituiscano manifestazioni collegate ad un unico sviluppo dello stesso episodio di concreto esercizio del potere (es: bando ed atto di esclusione di un candidato). Tornando al tema del riflesso sulla competenza della connessione, il codice si riferisce al caso di impugnazione congiunta, dinanzi al medesimo giudice, di più atti con riferimento ad un particolare tipo di connessione, quella tra atto principale applicativo e atto presupposto che rientrino in diverse competenze. Questa ipotesi ricorre quando l’atto “presupposto” non è immediatamente lesivo per il ricorrente, e dunque non autonomamente impugnabile; l’interesse alla sua impugnazione sorge a seguito dell’adozione dell’atto applicativo. La norma, richiamando il concetto dell’interesse a ricorrere avverso il provvedimento applicativo, stabilisce la competenza territoriale del Tar nella cui circoscrizione si producono gli effetti del provvedimento applicativo di un precedente “atto presupposto”, dunque anche nei casi in cui quest’ultimo sia stato emanato da un’autorità centrale. Si determina così l’attrazione in capo al Tar periferico della competenza relativa anche agli atti presupposti. Tale regola, tuttavia, non si applica nel caso si tratti di atti normativi o generali, per la cui impugnazione restano fermi gli ordinari criteri di attribuzione della competenza. In questo caso, la soluzione preferibile è quella di concentrare la competenza in capo al Tar centrale, giudice dell’atto normativo o generale, anche con riferimento all’atto immediatamente lesivo. Si ricordi che questa disciplina vale solo nei casi di impugnazione contestuale. Nell’ipotesi di sopravvenuta, e non congiunta, impugnazione dell’atto connesso, mediante motivi aggiunti, si realizza l’attrazione del ricorso per motivi aggiunti alla competenza relativa al provvedimento presupposto, originariamente impugnato. 31 La litispendenza si verifica nel caso in cui la stessa azione venga proposta dinanzi a giudici diversi. In tema troverebbe applicazione analogica l’art. 29 cpc (in forza del rinvio esterno), con il quale si afferma il principio della prevenzione: giudice competente a pronunciarsi è quello adito per primo in ordine di tempo, avendo riguardo alla data di deposito del ricorso. Il giudice successivamente adito deve rilevare, anche d’ufficio, la litispendenza, dichiararla con sentenza e disporre la cancellazione della causa dal ruolo. La continenza si ha tra due azioni, quando il petitum di una delle due sia più ampio, ricomprendendo in sé quello che costituisce oggetto dell’altra. Questa ipotesi si verifica raramente: nei giudizi di annullamento è difficile che l’oggetto di un giudizio possa ricomprendere un altro oggetto relativo all’impugnazione di un atto diverso. 7. La capacità di essere parte, la capacità di stare in giudizio (rappresentanza processuale o legitimatio ad processum). Lo ius postulandi. I presupposti processuali sono costituiti dalla capacità di essere parte nel processo, dalla capacità processuale e dal rispetto del contraddittorio. La capacità di essere parte è una manifestazione della capacità giuridica, indicando l’idoneità ad essere centri di imputazione di situazioni e rapporti collegati al processo: possono essere parti nel processo amministrativo le persone fisiche e quelle giuridiche (spetta all’ente pubblico e non all’organo). La capacità processuale, c.d. legitimatio ad processum, è la capacità di stare in giudizio, ossia la capacità di gestire i rapporti processuali. Si tratta della proiezione sul piano processuale della capacità di agire. Essa, dunque, spetta soltanto alle persone fisiche che abbiano il libero esercizio dei diritti. Le persone fisiche prive di legitimatio ad processum non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che disciplinano la loro capacità. Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo delle persone fisiche che ne hanno la legale rappresentanza, le quali agiscono in nome e per conto dell’ente. La legitimatio ad processum non va confusa con la legittimazione ad agire (condizione dell’azione), né con lo ius postulandi, ossia la rappresentanza in giudizio. Con riguardo a quest’ultima, ai sensi dell’art. 22 cpa, le parti non possono stare in giudizio se non con il patrocinio di avvocato, mentre per i giudizi davanti al CdS è obbligatorio il ministero di avvocato ammesso al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori. Il mandato speciale al difensore può essere conferito dalla parte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, oppure in calce o a margine del ricorso. L’amministrazione statale è rappresentata ex lege dall’avvocatura dello Stato, il cui patrocinio si estende anche alle regioni a statuto speciale e a quelle a statuto ordinario che abbiano deciso di avvalersene. 7.1 Le condizioni dell’azione La mancanza delle condizioni impedisce al giudice di esaminare la fondatezza della domanda, dando luogo ad una pronuncia di inammissibilità, la quale può essere pronunciata anche d’ufficio in ogni stato e grado. Essa preclude ulteriori possibilità di ottenere una decisione sul merito della domanda, almeno finché l’esistenza della condizione non si verifichi. 32 Le condizioni dell’azione sono di carattere soggettivo e oggettivo. Tra quelle soggettive abbiamo la legittimazione ad agire e a contraddire (legitimatio ad causam) e l’interesse a ricorrere. Condizioni oggettive sono l’esistenza di un provvedimento impugnabile e la circostanza che il provvedimento richiesto al giudice rientri nell’ambito della sua giurisdizione. → La legitimatio ad causam spetta al titolare della situazione giuridica sostanziale che si assume essere stata ingiustamente lesa dal provvedimento amministrativo e che viene dedotta in giudizio. Questa legittimazione ad agire (e a contraddire) si lega al concetto di parte in senso sostanziale: non cioè al problema di definire chi propone o resiste a una domanda, ma al fatto che chi agisce sia una giusta parte, perché titolare della relazione sostanziale. Il nostro ordinamento conosce una serie di ipotesi di legittimazione ex lege per evitare lacune della rappresentanza e nella protezione di alcuni interessi, come ad esempio la legittimazione delle associazioni ambientaliste riconosciute in ordine a provvedimenti illegittimi nel settore ambientale; la legittimazione per cui l’AGCM è legittimata ad agire in giudizio contro atti amministrativi generali, regolamenti e provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato; la legittimazione dell’Anac ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, atti generali e provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Nel caso delle azioni popolari, la legittimazione ad agire spetta ad una cerchia molto ampia di soggetti. Ad esempio, ai sensi dell’art. 9 T.U.e.l., ogni elettore può far valere le azioni e i ricorsi che spettano al comune. In questa ipotesi chi ricorre non è titolare di un interesse legittimo, ma agisce in rappresentanza della comunità, dando luogo ad una sostituzione processuale, poiché chi agisce in nome proprio fa valere una situazione soggettiva di altri. → L’interesse al ricorso consiste in un vantaggio pratico e concreto che può derivare dall’accoglimento dello stesso. Il vantaggio può essere anche solo di carattere morale, o può consistere in una utilità strumentale e ulteriore rispetto alla mera eliminazione dell’atto (ad es: impugno l’aggiudicazione di una gara a favore dell’unica altra impresa concorrente; in caso di esito positivo del giudizio, la gara andrebbe ripetuta e vi sarebbe la chance di una possibile aggiudicazione). L’interesse al ricorso va tenuto distinto dall’interesse legittimo, che sussiste già prima del processo. Si pensi al soggetto che impugna una graduatoria concorsuale (titolare di interesse legittimo) lamentando l’attribuzione di un punteggio inferiore, e non riesce a dimostrare che il punteggio corretto lo avrebbe collocato in una posizione utile per l’assunzione. Il ricorso potrebbe essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse anche se sussiste l’interesse legittimo. L’interesse al ricorso deve essere: ❖ personale: non è ammissibile il ricorso proposto per conseguire il vantaggio di un terzo; ❖ diretto: non può impugnarsi un provvedimento solo perché la decisione del giudice, direttamente riferibile ad una situazione altrui, potrà avere riflessi indiretti sulla sfera giuridica del ricorrente. Si pensi alla mancata promozione del proprio superiore, che solo indirettamente lede l’interesse del subordinato ad essere promosso al posto lasciato libero; 35 Ai sensi dell’art. 44 cpa, il ricorso è nullo qualora manchi la sottoscrizione della parte, oppure se, per inosservanza delle norme, non vi è certezza assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda. La nullità della domanda è rilevabile sia su istanza di parte che d’ufficio. Ai sensi del comma 2, se il ricorso contiene irregolarità, ossia violazioni formali che non impediscono all’atto di raggiungere il suo scopo e che non comportano nullità (es: violazione prescrizioni sul contenuto del ricorso non previste a pena di nullità), il giudice può ordinarne la rinnovazione entro un termine stabilito nell’ordinanza. La costituzione dell’intimato sana l’irregolarità del ricorso, solo se questa avviene prima che i termini per ricorrere siano spirati. La comparizione rileva anche ai fini della sanatoria della nullità, salvo il caso di nullità per mancanza della procura speciale. Ove i ricorrenti siano più di uno, essi possono agire insieme proponendo un unico ricorso denominato ricorso collettivo, che realizza una ipotesi di litisconsorzio facoltativo dal lato attivo, giustificato da ragioni di economia processuale. Ai fini di questo litisconsorzio, è necessaria la sussistenza di identità totale o parziale del petitum o causa petendi, nonché l’identità dei motivi di impugnazione e dell’interesse di cui i ricorrenti sono portatori, o comunque il non contrasto tra le rispettive posizioni, che devono essere omogenee. Il ricorso proposto da più soggetti dà luogo ad una pluralità di azioni, dunque avremo una pluralità di domande. A causa dell’autonomia di ciascuna, le vicende o le individualità relative ad un ricorso non producono effetti sulla situazione degli altri ricorrenti. Ai sensi dell’art. 32 cpa, è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via incidentale o principale (cumulo oggettivo). L’articolo, in realtà, disciplina quattro diversi istituti: 1) cumulo oggettivo di domande, sempre ammesso ove esista una connessione oggettiva; 2) domande che danno luogo a riti diversi, in tal caso si applica quello ordinario, con l’estensione delle relative regole, salvo quanto previsto dalla disciplina sui riti abbreviati relativi a speciali controversie; 3) la qualificazione delle azioni proposte al giudice sulla base dei loro elementi essenziali, in ossequio al principio iura novit curia; 4) la conversione delle azioni: in tema di ottemperanza, si ammette la conversione di una domanda di nullità in ordinaria domanda di annullamento, purché sia stata esercitata nel termine di decadenza. 9.1. Le azioni esperibili nel processo amministrativo e i “tipi” di processo A differenza del giudizio civile, ove è prevista un’azione generale, a fronte del potere amministrativo il legislatore ha scelto di tipizzare le forme di azione che la parte può proporre. Un ruolo centrale è stato rivestito dall’azione di annullamento, che corrisponde all’idea di un processo in cui si faccia questione della lesione di interessi oppositivi. La negazione di altri e diversi poteri in capo al giudice amministrativo, come il potere di condanna e quello di accertamento giudiziale, dipendeva dalla volontà di rispettare la sfera autonoma dell’amministrazione. Lo schema interesse legittimo - impugnazione dell’atto - decisione di annullamento si adatta bene alle ipotesi nelle quali l’atto impugnato incida sfavorevolmente sulla sfera soggettiva del cittadino. Tale modello è più difficilmente applicabile nelle situazioni in cui un atto da impugnare manchi (es il silenzio), oppure nel caso in cui il cittadino si ponga nei confronti dell’amministrazione come titolare di un interesse pretensivo: il mero annullamento dell’atto non consente di soddisfare la pretesa finale, la quale richiede un comportamento attivo della PA. 36 Per quanto attiene alla tutela degli interessi pretensivi, sono stati utilizzati strumenti processuali quali azioni cautelari, effetto conformativo della decisione di annullamento, risarcimento in forma specifica, ricorso avverso il silenzio e azione di accertamento. L’azione principale e generalmente proponibile dinanzi al giudice amministrativo consiste nell’azione di impugnazione, la quale mira ad ottenere una pronuncia di annullamento dell’atto amministrativo, ossia l’eliminazione dei suoi effetti. Decidendo sull’azione di annullamento il giudice conosce della legittimità dell’atto: ai sensi dell’art. 34 cpa, salvi due casi legati all’attivazione di pretese risarcitorie, il giudice non può conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento. La parte può anche proporre l’azione di condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante sia dal illegittimo esercizio dell’azione amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria, sia nei casi di giurisdizione esclusiva, dalla lesione di diritti. Il risarcimento del danno può essere richiesto in forma specifica, qualora non sia eccessivamente oneroso per il debitore. Il giudice, se accoglie il ricorso, condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma specifica. L’azione di condanna al rilascio di un provvedimento richiesto è esercitata contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento di diniego o all’azione avverso il silenzio. Essa è esperibile solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione. L’azione di condanna in generale, può essere proposta contestualmente ad altra azione o anche in via autonoma. Con riferimento all’azione proposta contestualmente non vi sono questioni particolari circa il termine, che sarà quello di proposizione dell’azione correlata. Con l’azione autonoma, il ricorrente deve agire nel termine di decadenza di 120 giorni decorrente dal giorni in cui il fatto si è verificato o dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. In questi casi, il giudice effettua, in deroga ai principi generali, un accertamento dell’illegittimità dell’atto senza pronunciarne l’annullamento. Occorre tener conto delle seguenti regole. Per il caso del risarcimento dell’eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di 120 giorni non decorre fintanto che perdura l’inadempimento e inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. Nel caso in cui sia stata proposta un’azione soltanto per l’annullamento, la domanda risarcitoria proposta in via autonoma può essere formulata anche nel corso del giudizio o, comunque, sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza. L’art. 104 cpa vieta la proposizione di domande nuove in appello, dunque l’azionabilità della pretesa risarcitoria sarebbe consentita in primo grado. Tale azione non può proporsi in sede di ottemperanza, dove si possono però richiedere i danni maturati dopo la decisione del giudice. 37 Sempre con riguardo all’azione autonoma, gli avvocati che intendono azionare la pretesa risarcitoria sono incentivati a impugnare nei termini o, comunque, a sollecitare interventi di autotutela, salvi i casi in cui l’interesse all’annullamento oggettivamente non esista, sia venuto meno e, in generale, non sia adeguatamente suscettibile di soddisfazione. Quando nel corso del giudizio l’annullamento non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori. L’azione avverso il silenzio consente di chiedere l’accertamento dell’obbligo della amministrazione di provvedere e della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, nonché l’ordine all’amministrazione di provvedere entro un termine. Questa azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. L’azione di nullità è volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge e si propone entro il termine di decadenza di 180 giorni, di cui la legge non indica il momento di decorrenza, in quanto la scoperta delle ragioni di nullità potrebbe anche successivamente alla conoscenza del provvedimento. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal solo giudice. Con parte resistente sembra riferirsi ai casi in cui la sola amministrazione si difende in giudizio da pretese avanzate da un ricorrente, con un’eccezione di nullità in senso tecnico, nel senso che la posizione pretensiva del ricorrente si basa su un atto nullo. L’azione di accertamento della soluzione controversa, salvi i casi di pretese risarcitorie, il giudice non può conoscere della legittimità degli atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento, così si esclude l’azione di accertamento autonomo della legittimità dell’atto. Secondo la dottrina, avrebbero contenuto di accertamento l’azione avverso il silenzio e quella in tema di accesso. L’azione di ottemperanza consente di soddisfare la pretesa del ricorrente, qualora l’amministrazione rimanga inerte o, comunque, non ottemperi alle statuizioni della decisione. In tal caso il ricorrente può esperire l’azione, chiedendo, all’occorrenza, al giudice di sostituirsi all’amministrazione nell’emanazione dei provvedimenti necessari. 9.2 Il problema dell’individuazione dell’oggetto del processo Essendo la giurisdizione del giudice amministrativo una giurisdizione di tipo soggettivo, l’accentuazione del ruolo delle parti e dell’interesse sostanziale di cui queste sono titolari ha ripercussioni sul tema dell’oggetto del giudizio, inizialmente identificato con la verifica della legalità dell’azione. Oggi può dirsi che il processo amministrativo ha per oggetto il modo con cui è stato esercitato il potere finalizzato al perseguimento di interessi pubblici, e a questo principio fanno eccezione i casi di giurisdizione esclusiva, le ipotesi di azione di adempimento e il ricorso avverso il silenzio. 9.3 Motivi aggiunti e temperamenti al principio di rigidità della domanda I motivi aggiunti sono motivi presentati dal ricorrente in una fase successiva alla scadenza del termine per la proposizione del ricorso iniziale. La possibilità di presentare motivi successivamente alla proposizione del ricorso sussiste quando i fatti che si pongono alla base dei motivi stessi non erano conosciuti inizialmente. 40 La notifica può anche avvenire per via telematica: si tratta di una facoltà e non di un obbligo. Essa si considera perfezionata, per il notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna. Ai fini della prova in giudizio della notificazione a mezzo Pec, le ricevute di avvenuta consegna contengono anche la copia completa del messaggio di posta elettronica certificata consegnato. La nullità della notifica determina l’irricevibilità del ricorso. Essa si ha quando risulta mancante di un requisito che le impedisca di raggiungere lo scopo suo proprio: si pensi alla mancata indicazione degli estremi del ricorso nella notifica per pubblici proclami. Tuttavia, la comparizione dell’intimato sana la nullità della notificazione, salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparizione: l’effetto della sanatoria opera ex nunc e i diritti acquisiti non sono solo quelli sostanziali ma anche quelli procedurali, nel senso che la parte intimata, costituendosi dopo la scadenza del termine entro cui la regolare notificazione doveva avvenire, potrà eccepire l’inammissibilità del ricorso per nullità della notificazione. Nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza; ove ciò non avvenga, il ricorso viene dichiarato inammissibile. 11. La costituzione della parte in giudizio Successivamente alla notifica, la costituzione in giudizio costituisce il vero contatto tra il giudice e le parti. Per quanto riguarda il ricorrente, essa ha luogo con il deposito del ricorso notificato. Il processo si intende instaurato e va considerato pendente. L’originale del ricorso va depositato per via telematica a pena di irricevibilità, rilevabile d’ufficio, nel termine perentorio di trenta giorni decorrente dal momento in cui l’ultima notificazione dell’atto si è perfezionata anche per il destinatario. Di norma il ricorrente deposita anche la copia del provvedimento. Il deposito del ricorso, della procura alle liti, della relata di notifica e dei documenti allegati avviene esclusivamente in via telematica. L’avvocato deve scaricare un apposito modulo dal sito in PDF compilabile dal proprio pc, compilarlo e sottoscriverlo in forma digitale. Il deposito sarà effettuato ordinariamente mediante posta elettronica certificata: l’avvocato, dalla propria casella Pec, invierà alla casella Pec dell’autorità giudiziaria la documentazione. Il deposito è tempestivo quando entro le ore 24 del giorni di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, la quale attesta la tempestività del deposito a condizione che il deposito sia andato a buon fine. Se al mittente perviene il messaggio di mancata consegna della Pec di deposito, l’attività di deposito deve essere ripetuta con il medesimo contenuto e ai fini della rimessione in termini da parte del giudice, ove la mancata consegna sia dipesa da cause non imputabili al mittente, per cui deve essere allegato il messaggio di mancata consegna unitamente alla ricevuta di avvenuta accettazione generata tempestivamente. 41 La mancata produzione, da parte del ricorrente, della copia del provvedimento impugnato e della documentazione a sostegno del ricorso non implica la decadenza. L’amministrazione, nel termine ad essa assegnato per la costituzione, deve produrre l’eventuale provvedimento impugnato, gli atti ed i documenti in base ai quali esso è stato emanato, e quelli che l’amministrazione ritiene utili al giudizio: ciò è importante per l’eventuale proposizione di motivi aggiunti. In sintesi: ❏ la mancata produzione della copia del provvedimento da parte del ricorrente non implica decadenza; ❏ il ricorrente ha la possibilità di produrre documentazione fino a quaranta giorni liberi anteriori al giorno fissato per l’udienza; ❏ l’amministrazione è chiamata a depositare l’eventuale provvedimento impugnato nel termine fissato per la costituzione in giudizio, anche indipendentemente dall’effettiva costituzione; ❏ la legge non prevede alcuna sanzione in caso di inosservanza della disposizione che impone che impone all’amministrazione di depositare il provvedimento e gli altri atti; ❏ il presidente del Tar o un magistrato da lui delegato può supplire alla mancata produzione dell’atto ordinando all’amministrazione il deposito in giudizio. Ai sensi dell’art. 136 cpa, le comunicazioni avvengono utilizzando la Pec risultante da pubblici elenchi. Esse sono effettuate esclusivamente con modalità telematiche. 11.1 La costituzione delle parti diverse dal ricorrente Il giudizio è strutturato come dialogo tra ricorrente e giudice (vocatio iudicis), in virtù del principio della unilateralità dell’azione: non necessaria la presenza di altre parti. Ove tali parti intendano costituirsi, devono rispettare il termine di 60 giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso; le parti “intimate” possono costituirsi con modalità telematica, previa compilazione dell’apposito modulo, presentare memorie, fare istanze, indicare mezzi di prova di cui intendono valersi e produrre documenti. L’atto di costituzione non va notificato al ricorrente, dunque si riduce talora ad una mera memoria di stile, contenente la procura al difensore, con cui si chiede il rigetto del ricorso avverso, riservando le difese più approfondire a un successivo momento. La costituzione solo formale, peraltro, è utile onde poter ricevere comunicazioni e avvisi da parte della segreteria. Anche il controinteressato a cui non sia stato notificato il ricorso può intervenire. Il termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente non è perentorio, esse possono costituirsi anche successivamente al suo spirare, fino al momento dell’udienza di discussione, depositando il solo mandato. Nel giudizio di primo grado, la regola è che il codice non prevede preclusioni o decadenze particolari in capo alla parte evocata in causa che si costituisce. Le parti possono produrre documenti fino a 40 giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a 30 giorni liberi e presentare repliche fino a 20 giorni liberi. La costituzione in udienza consente soltanto la difesa orale nel corso della stessa. L’amministrazione potrebbe anche decidere di svolgere le proprie difese per iscritto con la memoria, fino a 30 giorni prima dell’udienza, e ciò giustifica la previsione della replica fino a venti giorni prima dell’udienza, volta a garantire un’adeguata trattazione della causa in vista dell’udienza. Le repliche, tuttavia, sono consentite solo a fronte di nuovi documenti e delle nuove memorie depositate in vista dell’udienza; il loro contenuto deve essere coerente con questa funzione, dunque non dovrebbe 42 essere consentito a resistenti e controinteressati evitare la memoria e usare le repliche per scoprire le proprie carte. L’amministrazione resistente, a prescindere dalla costituzione, è comunque tenuta a depositare il provvedimento impugnato e gli atti e i documenti sui quali esso si basa. Il termine coincide con quello di costituzione: sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso. 11.2 Il ricorso incidentale Si tratta del ricorso con cui si propongono domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, denunciando vizi dell’atto impugnato diversi da quelli proposti dal ricorrente oppure impugnando altri atti. Esso può essere proposto dalle parti contro cui l’impugnazione originaria era diretta (resistenti e controinteressati). Il controinteressato è favorito dal provvedimento impugnato. Si pensi all’impugnazione della graduatoria finale da parte di un candidato che abbia partecipato ad un concorso pubblico e sia stata collocato al secondo posto: questi, ricorrente, afferma che al vincitore è stato attribuito un punteggio più alto di quello che gli sarebbe spettato e chiede, a seguito dell’annullamento dell’atto, di essere collocato al primo posto. Controinteressato è il candidato collocato al primo posto: tale soggetto potrebbe non limitarsi a contestare la domanda avversaria, chiedendo la conservazione del provvedimento, ma affermare, in via subordinata, mediante ricorso, che la graduatoria è illegittima in quando pure la sua posizione personale non è stata correttamente valutata. Non essendo pienamente soddisfatto dall’esito del concorso, anche se vincitore, egli non poteva impugnare l’atto in quanto privo di interesse: a seguito dell’azione esperita dal soggetto collocato in posizione deteriore, si determina a censurare l’esito del concorso, chiedendo un annullamento per motivi diversi da quelli affermati dal ricorrente principale. La parte resistente, ossia l’amministrazione, potrebbe difendere il proprio operato e paralizzare l’azione del ricorrente censurando un atto, emanato da un altra autorità (dunque non annullabile dalla prima in via di autotutela) che il ricorrente principale, per fondare la propria azione, aveva invocato quale parametro di legittimità del provvedimento impugnato, ritenendolo violato dall’amministrazione resistente. Questa possibilità potrebbe implicare un allargamento del giudizio ad altre amministrazioni e altri controinteressati. Legittimati passivi sono le altre parti del giudizio: il ricorso incidentale deve essere notificato a esse personalmente, entro il termine di 60 giorni decorrenti dalla ricevuta notificazione del ricorso principale. Per i soggetti intervenuti il termine decorre dall’effettiva conoscenza della proposizione del ricorso principale. A differenza del termine ordinatorio di costituzione in giudizio dell’amministrazione e dei controinteressati, quello per la proposizione del ricorso incidentale è previsto a pena di decadenza. Abbiamo detto che con il ricorso incidentale si contesta lo stesso atto o se ne impugna uno differente, purché connesso. L’ammissibilità di questo ampliamento dell’oggetto del giudizio si ricava dall’art. 42.3 cpa, ai sensi del quale la cognizione del ricorso incidentale è attribuita al giudice competente per quello principale, salvo che la domanda introdotta con il ricorso incidentale sia devoluta alla competenza funzionale di altro Tar. Una volta notificato, il ricorso va depositato nei termini e secondo le modalità previste per il ricorso iniziale, ossia trenta giorni decorrenti dal momento in cui l’ultima notificazione dell’atto stesso si è perfezionata anche per il destinatario. 45 L’articolo, però, aggiunge due importanti precisazioni: ➔ con la “non contestazione”, si introduce un onere per le parti costituite di contestare i fatti affermati dalla controparte, per cui il fatto non contestato sarà valutato come qualsiasi altra prova introdotta dalle parti secondo il prudente apprezzamento del giudice. In altri termini, si realizza una limitazione del thema probandum, nel senso che quei fatti non vanno provati in caso di non contestazione e il giudice non dovrà applicare la regola di cui all’art. 2697 cc, secondo cui chi agisce in giudizio ha l’onere di fornire la prova dei fatti che costituiscono il fondamento della sua pretesa. A differenza della disciplina del cpc, non è stabilito che la parte che si costituisce debba prendere posizione sui fatti nella comparsa di costituzione (ciò collide con la possibilità di una proficua e anticipata trattazione anche sotto il profilo probatorio). Tuttavia, parte della giurisprudenza stabilisce l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile; dunque sembra preferibile ritenere che la contestazione debba comunque avvenire non oltre il momento dell’irreversibile fissazione del thema probandum e, cioè, non oltre il deposito delle memorie prima dell’udienza. In dottrina prevale la tesi secondo cui, potendo avvenire la costituzione anche in udienza, solo dopo lo svolgimento della stessa la non contestazione assume rilevanza. ➔ l’art. 64 cpa afferma che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte, “salvi i casi previsti dalla legge”. I fatti dovranno essere provati dalle parti mediante i mezzi istruttori al fine di verificare la fondatezza o l’infondatezza della pretesa del ricorrente; il giudice, tuttavia, può chiedere alle parti, anche d’ufficio, chiarimenti o documenti e disporre altri mezzi istruttori. Il principio dell’onere della prova è temperato in forza del c.d. metodo acquisitivo. Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. Dove manca la disponibilità della prova, trova applicazione l’art. 64 e il giudice può esercitare poteri probatori officiosi, a condizione che la parte abbia assolto l’onere attenuato di fornire almeno un principio di prova. In ordine alla valutazione delle prove e dei risultati dell’istruttoria, ai sensi dell’art. 64.4 cpa, il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento. Si applica, dunque, il principio del libero convincimento del giudice, il quale non tollera la presenza di prove legali in grado di vincolarlo in modo assoluto e, comunque, rese da soggetti non direttamente titolari delle situazioni giuridiche coinvolte e che non hanno la libera disponibilità delle medesime. Nel caso in cui l’istruttoria non abbia permesso al giudice di controllare la fondatezza dell’affermazione fatta da una parte sulla base della rappresentazione dei fatti (es: perché non si è affermato o rappresentato un fatto che si colloca a fondamento della pretesa), ai sensi dell’art. 2697 cc il giudice deve respingere la domanda della parte che non ha dimostrato la fondatezza della propria affermazione in giudizio. L’art. 2697 cc trova alcuni temperamenti, legati appunto alla sussistenza del metodo acquisitivo. Il giudice può verificare quale, tra le parti processuali, sia in grado di fornire la prova, distribuendo, con proprio provvedimento, l’onere della prova stessa: può ordinare all’amministrazione, più vicina al fatto, di rappresentare e provare un fatto. Sul punto le opinioni non sono omogenee: secondo la maggioranza delle pronunce la mancata ottemperanza all’ordine giudiziale non significa che il soggetto non abbia assolto all’onere probatorio come ripartito dal giudice (cui dovrebbe conseguire la soccombenza nella causa), ma ha una rilevanza minore, nel senso che costituisce elemento da cui desumere argomento di prova. 46 12.1 La disciplina dell’istruzione probatoria Mezzi istruttori sono quelli attraverso cui sono acquisite le “fonti materiali di prova”; si tratta di strumenti attraverso cui le conoscenze sono veicolate nel giudizio: ❏ nella fase iniziale, mediante allegazione di documenti; ❏ prima dell’udienza finale, le parti per la produzione dei documenti devono rispettare le scadenze temporali fissate dal codice (40 giorni liberi prima dell’udienza nel rito ordinario; 2 giorni prima della camera di consiglio, per il rito cautelare); ❏ durante l’udienza o in esecuzione di decisioni assunte dal presidente o dal collegio, d’ufficio o su istanza, nell’esercizio dei poteri acquisitivi. Nel giudizio amministrativo sono consentiti: l’esibizione di documenti e di quanto altro la parte ritenga necessario; la richiesta di chiarimenti alle parti; l’ispezione; la verificazione; la consulenza; la testimonianza scritta e gli altri mezzi di prova previsti dal cpc, esclusi l’interrogatorio formale ed il giuramento. Vige la regola dell’esercizio d’ufficio dei poteri istruttori, la quale, però soffre di alcune eccezioni: ❏ l’istruttoria monocratica richiede istanza di parte; ❏ l’ordine di deposito del provvedimento è adottato su istanza di parte; ❏ i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell’istruttoria sono adottati in sede cautelare dal collegio “su istanza”; ❏ la prova testimoniale richiede istanza di parte. L’esibizione di documenti può essere il frutto dell’iniziativa spontanea delle parti, ovvero essere ordinata dal giudice; è sempre esercitabile dal collegio anche d’ufficio. Il giudice, inoltre, può chiedere chiarimenti alle parti, relativi a fatti che già integrano il thema probandum, e devono essere resi in forma scritta. Ove l’amministrazione non provveda al deposito del provvedimento impugnato e degli altri atti, il presidente o un magistrato da lui delegato, o il collegio, ordina, anche su istanza di parte, l’esibizione degli atti e dei documenti nel termine e nei modi opportuni. Il giudice, pure d’ufficio, può ordinare a terzi di esibire in giudizio documenti o quanto altro ritenga necessario. Può anche disporre l’ispezione, ordinando alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo. Se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice può desumere argomenti di prova; se rifiuta il terzo, il giudice lo condanna ad una pena pecuniaria. Verbali e atti pubblici fanno prova fino a querela di falso; circa le scritture private, la parte che disconosce l’autenticità della propria firma non ha necessità di proporre querela di falso, spettando alla parte avversa agire per farne accertare l’autenticità. Il giudice può disporre, anche d’ufficio, l’acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione. Il collegio, qualora reputi necessario l’accertamento di fatti o l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche, può ordinare l’esecuzione di una verificazione oppure disporre una consulenza tecnica. 47 La verificazione è affidata ad un organismo pubblico, munito di specifiche competenze tecniche ed estraneo alle parti del giudizio. Essa viene disposta con ordinanza del collegio, la quale individua l’organismo che deve provvedervi, formula i quesiti e fissa un termine per il suo compimento e per il deposito della relazione conclusiva. Non è previsto l’intervento delle parti, tuttavia la Cassazione ha affermato la regola generale secondo cui, in forza del principio del contraddittorio, la verificazione è nulla qualora non siano stati comunicati alle parti giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni e ne sia derivato pregiudizio al diritto di difesa, per non essere state le parti poste in condizioni di intervenire alle operazioni e di esplicare le attività ritenute utili e conducenti ai fini della decisione. Terminata la verificazione, il presidente liquida con decreto il compenso complessivamente spettante al verificatore, ponendolo provvisoriamente a carico di una delle parti. L’incarico di consulenza, invece, può essere affidato a dipendenti pubblici, a professionisti iscritti in appositi albi, o ad altri soggetti aventi particolare competenza tecnica. La consulenza ha la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti nel caso in cui sussistano margini di opinabilità o nella soluzione di questioni che necessitano specifiche conoscenze. La disciplina della consulenza rinvia al cpc: il collegio nomina il consulente, formula i quesiti e fissa il termine entro cui il consulente deve comparire dinanzi al magistrato per assumere l’incarico e prestare giuramento. I consulenti tecnici delle parti, oltre a poter assistere alle operazioni del ct del giudice e ad interloquire con questo, possono partecipare all’udienza e alla camera di consiglio ogni volta che è presente il ct del giudice per chiarire e svolgere, con l’autorizzazione del presidente, le loro osservazioni sui risultati delle indagini tecniche. Il giudice, solo su istanza di parte, può ammettere la prova testimoniale. Essa può vertere solo su fatti storici, mentre non possono costituire oggetto le valutazioni del testimone, ed è sempre assunta in forma scritta. L’assunzione degli altri mezzi istruttori previsti dal cpc, esclusi l’interrogatorio formale e il giuramento, può essere disposta d’ufficio. L’istruttoria può essere monocratica o collegiale. Ai sensi dell’art. 65 cpa, il presidente della sezione o un magistrato da lui delegato, adotta con ordinanza i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell’istruttoria. Quando questa è disposta dal collegio, questo provvede con ordinanza, con la quale è contestualmente fissata la data della successiva udienza di trattazione del ricorso. Il codice detta una disciplina comune per lo svolgimento delle operazioni. Il presidente, o il magistrato delegato, o il collegio, nell’ammettere i mezzi istruttori, fissano i termini da osservare e determinano luogo e modalità dell’assunzione, applicando le disposizioni del cpc in quanto compatibili. 13. Considerazioni di sintesi in ordine alla disciplina della costituzione delle parti, dell’istruzione e dello svolgimento del giudizio Mentre il termine per la costituzione del ricorrente è perentorio, quello previsto per le altre parti è semplicemente ordinatorio, ciò è giustificato dal fatto che il punto di vista dell’amministrazione dovrebbe già essere esposto nel provvedimento, dunque la legge non fissa un termine perentorio per la proposizione delle sue difese. 50 Nel caso in cui dalla decisione sulla domanda cautelare derivino effetti irreversibili, il collegio può disporre la prestazione di una cauzione cui subordinare la concessione o il diniego della misura. La concessione o il diniego non può essere subordinata a cauzione quando la domanda attiene a diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale, la cui tutela peculiare esclude sul punto la discrezionalità del giudice. Il provvedimento che impone la cauzione ne indica l’oggetto, il modo di prestarla ed il termine entro cui la prestazione va eseguita. La legge, oggi, estende notevolmente il contenuto della tutela cautelare: il giudice può disporre tutte quelle misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso: ➔ Talora è utilizzata la tecnica del remand, mediante la quale il giudice rimette in gioco l’assetto degli interessi definiti dall’atto impugnato, restituendo all’amministrazione il potere decisionale iniziale. ➔ Il codice prevede la possibilità di fissare il merito in sede cautelare, anziché decidere sull’istanza cautelare. In questo caso il legislatore ritiene inutile la concessione di una misura cautelare a fronte di un meccanismo volto ad accelerare la decisione nel merito. Ai sensi dell’art. 55.10 cpa, il Tar, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili con la sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data di discussione del ricorso nel merito. ➔ L’art. 60 cpa disciplina un ulteriore rito speciale accelerato, che si innesta sul processo cautelare con possibile decisione immediata del giudizio nel merito in sede di esame della domanda cautelare, ove sussistano alcuni presupposti. In sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno 20 giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il collegio, una volta accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camere di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata. In questo caso la definizione immediata segue ad una cognizione piena della causa. La conversione non opera qualora una delle parti dichiari di voler proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza o di giurisdizione. Nel caso in cui il giudice definisce nel merito il giudizio nelle ipotesi di giudizio cautelare, ai sensi dell’art. 62 cpa, le ordinanze cautelari sono appellabili dinanzi al Consiglio di Stato nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell’ordinanza, o di sessanta giorni dalla sua pubblicazione. L’appello, depositato nel termine generale di 30 giorni, è deciso in camera di consiglio con ordinanza; al giudizio si applicano le norme, dettate per l’incidente cautelare di primo grado, sulla cauzione, sulla conversione del rito, sul deposito dei documenti e sulle spese. L’ordinanza, inoltre, è revocabile e modificabile. Le parti possono riproporre la domanda cautelare al collegio o chiedere la revoca o la modifica del provvedimento cautelare collegiale in due casi: se si verificano mutamenti nelle circostanze; se allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In quest’ultimo caso, l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. 51 Ove la decisione non sia auto-applicativa, ma implica la necessità di un’attività esecutiva dell’amministrazione, si pone il problema della tutela della parte a fronte dell’inottemperanza del soggetto pubblico. Qualora i provvedimenti cautelari non siano eseguiti, l’interessato, con istanza motivata e notificata alle altre parti, può chiedere al Tar le opportune misure attuative, il quale eserciterà i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza. La domanda cautelare, oltre che in corso di causa, può anche essere proposta indipendentemente dal ricorso principale, qualora vi sia un’urgenza così rilevante da non consentire la proposizione del ricorso medesimo. Oggi, l’art. 61 cpa dice che, in casi di eccezionale gravità ed urgenza, tale da non consentire la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale, il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per l’adozione, con decreto, delle misure interinali e provvisori indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa. L’istanza deve essere notificata nelle forme prescritte per la notificazione del ricorso, che dia conto del fumus, ed è diretta al presidente del Tar competente per il giudizio, il quale, accertato il perfezionamento della notificazione per i destinatari, provvede sull’istanza. Il decreto che rigetta l’istanza non è impugnabile, tuttavia essa può essere riproposta dopo l’inizio del giudizio di merito con le forme delle domande cautelari in corso di causa. Non è impugnabile neppure il provvedimento di accoglimento. Per l’applicazione delle misure cautelari ante causam si applicano le disposizioni sui provvedimenti cautelari in corso di causa. Il provvedimento di accoglimento perde comunque effetto ove entro 15 giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare, ed esso non sia depositato nei successivi cinque giorni corredato da istanza di fissazione dell’udienza. In ogni caso, la misura concessa perde effetto decorsi 60 giorni dalla sua emissione, dopo di che rimangono efficaci le sole misure cautelari che siano confermate o disposte in corso di causa. 15. Le vicende e le modificazioni del rapporto processuale Il rapporto processuale può subire una serie di vicende che condizionano il procedere verso la sua conclusione finale, ossia la pronuncia della sentenza di merito. Esse, dunque, costituiscono un “incidente” del processo, nel senso che, in attesa della pronuncia di un altro giudice o di un atto di impulso della parte, il processo non può proseguire. Alcuni incidenti impongono la sospensione del processo, non possono essere compiute attività processuali, salvo quelle relative all’azione cautelare, in attesa della rimozione della causa di sospensione. Per la prosecuzione del processo è sufficiente che sia presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni, termine non perentorio, dalla comunicazione dell’atto che fa venir meno la causa di sospensione. Ove non proseguito, il giudizio si estingue. Costituiscono cause di sospensione la questione di legittimità costituzionale di una legge, la sussistenza di una questione pregiudiziale rientrante nella competenza riservata della Corte di Giustizia dell’Unione europea, la querela di falso, una questione pregiudiziale relativa a stato o capacità delle persone la cui soluzione sia riservata al giudice ordinario. Sussistono poi ipotesi in cui la sospensione è facoltativa, ad esempio in caso di proposizione di regolamento preventivo di giurisdizione, pendenza di altro giudizio amministrativo connesso, richiesta di ricusazione, la quale, a differenza delle altre ipotesi, comporta la decisione dello stesso giudice investito della cognizione del ricorso. 52 Alcuni fatti determinano l’interruzione del processo, come morte e perdita della capacità di stare in giudizio delle parti, cessazione della rappresentanza legale; morte, radiazione e sospensione dall’albo dell’avvocato costituito. Il processo interrotto prosegue se la parte nei cui confronti si è verificato l’evento interruttivo presenta nuova istanza di fissazione dell’udienza; se non avviene la prosecuzione, il processo deve essere riassunto, a cura della parte più diligente, con apposito atto notificato a tutte le altre parti, nel termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo. Altri comportano l’estinzione del giudizio, come la perenzione, la mancata riassunzione o prosecuzione, rinunzia, mancato deposito della sentenza passata in giudicato sulla querela di falso. 15.1 Le cause di sospensione: il regolamento preventivo di giurisdizione Il regolamento preventivo di giurisdizione consente alle parti di rivolgersi immediatamente alle sezioni unite della Corte di cassazione al fine di ottenere una pronuncia risolutiva in punto di giurisdizione. Il ricorso può essere proposto da ciascuna delle parti ritualmente costituite, quindi anche dal ricorrente; esso va notificato alle controparti presenti nel giudizio e depositato presso la cancelleria delle sezioni unite entro venti giorni dall’ultima notifica. Le controparti possono contraddire mediante controricorso da notificare al ricorrente entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso e da depositare nella cancelleria entro venti giorni dalla notificazione. Questa viene anche depositata presso la segreteria del Tar, in modo tale da porre il giudice amministrativo nella condizione di venire formalmente a conoscenza del fatto della proposizione del regolamento e, eventualmente, di disporre con ordinanza del collegio la sospensione del giudizio, qualora non ritenga l’istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione non manifestamente infondata. Se la pronuncia di merito viene emessa nel giudizio proseguito, questa non rende inammissibile/improcedibile il ricorso per regolamento; inoltre, la sentenza emessa dal giudice di merito sarà condizionata al riconoscimento della giurisdizione: nel caso in cui le sezioni unite ritengano il giudice privo di giurisdizione, la sentenza sarà priva di effetto, a prescindere dal fatto che venga impugnata o meno. In ogni caso, questo meccanismo introduce un fattore di instabilità del giudicato eventualmente formatosi. Nel giudizio sospeso possono essere chieste misure cautelari, ma il giudice non può disporle se non ritiene sussistente la propria giurisdizione. Il regolamento può essere proposto finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado. La Cassazione decide a sezioni unite e la statuizione sulla giurisdizione sarà incontestabile. Circa l’eventuale trasmigrazione del processo, le parti devono riassumere entro il termine perentorio di tre mesi dalla pubblicazione della decisione della Cassazione. 15.2 Segue: il regolamento di competenza La proposizione del regolamento non comporta una sospensione, ma un differimento del giudizio. L’ordinanza del Consiglio che regola la competenza vincola i Tar e le parti possono riassumere il giudizio dinanzi al Tar competente, se diverso da quello adito, nel termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione dell’ordinanza che pronuncia sul regolamento, ovvero entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. 55 Per la perenzione, la regola è quella secondo cui il ricorso si considera perento se nel corso di un anno (computando il periodo di sospensione dei termini per le ferie estive) non sia compiuto alcun atto di procedura, da parte del giudice o degli altri atti presenti nel processo. Il termine di perenzione non decorre dalla presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza e finché non si è provveduto su di essa. In altri termini, adempiuto l’onere di presentare l’istanza di fissazione, la perenzione è impedita per tutto il tempo in cui l’iniziativa spetta al giudice. Celebrata l’udienza, l’onere di impulso torna alle parti. La perenzione opera di diritto e può essere rilevata anche d’ufficio. Ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio. La rinuncia al ricorso e agli atti del giudizio avviene mediante dichiarazione sottoscritta dalla parte stessa o dall’avvocato munito di mandato speciale. La rinuncia va poi notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza e depositata presso la segreteria (rinuncia scritta), o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale (rinuncia orale). Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue. Il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio ritenga di compensarle. Si badi che il legale non può rinunciare all’azione in assenza di apposito mandato; tuttavia egli può rinunciare a singoli motivi di ricorso. In caso di mancata riassunzione o prosecuzione, il processo si estingue. Questo tipo di estinzione va eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra difesa, anche se opera di diritto. 16. La discussione del ricorso L’udienza di discussione si svolge dinanzi al collegio ed è pubblica, ad eccezione dei casi stabiliti dalla legge. In ogni caso, il presidente del collegio, se ricorrono ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume, può disporre che si svolga a porte chiuse. Il presidente dirige l’udienza, il segretario procede alla verbalizzazione, il relatore espone i termini della controversia e i difensori presenti possono discutere sinteticamente, svolgendo le proprie difese, anche se nella prassi essi richiamano gli atti scritti. Terminata la discussione, il ricorso è assegnato in decisione. In alcuni casi la trattazione avviene in camera di consiglio, senza la fissazione dell’udienza in cui si tenga il pubblico dibattimento (a porte chiuse). La procedura si svolge in tempi più rapidi: tutti i termini processuali sono dimezzati, tranne che, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. La camera di consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate. In essa, poi, sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta. L’art. 87 cpa individua i casi in cui la trattazione deve avvenire in camera di consiglio, in cui alcuni procedimenti sono autonomi, altri accessori in quanto si innestano su di un giudizio pendente: i giudizi cautelari e quelli relativi all’esecuzione di misure cautelari collegiali; il giudizio in materia di silenzio; il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi e di violazione degli obblighi di trasparenza amministrativi; i giudizi di ottemperanza; i giudizi in opposizione ai decreti che pronunciano l’estinzione o l’improcedibilità del giudizio. 56 Altri procedimenti in camera di consiglio sono quello di correzione dei provvedimenti del giudice, quello con cui il giudice decide della propria competenza su eccezione di parte, il regolamento di competenza, proposto d’ufficio o su istanza di parte, nonché due giudizi in appello: quello contro i provvedimenti dei Tar che hanno declinato la giurisdizione o la competenza, e l’appello contro le ordinanze di sospensione ai sensi dell’art. 295 cpc. 16.1 La decisione del ricorso; l’ordine di esame delle questioni e le questioni pregiudiziali Dopo la trattazione di tutte le cause dell’udienza, il collegio decide in camera di consiglio (locuzione che qui non indica la procedura speciale, ma il luogo fisico di decisione). Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e po il merito della causa. L’art. 73 cpa dispone che, se il giudice ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, la indica in udienza dandone atto a verbale. Deve trattarsi di questioni nuove, non prima sollevate dalla difesa della parte. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, in aderenza al principio del giusto processo, il giudice riserva quest’ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie, evitando così “decisioni a sorpresa”: il giudice deve provocare il dibattito tra le parti, consentendo lo svolgimento delle rispettive difese, mentre non è necessaria la fissazione di una nuova udienza pubblica. La sorte della sentenza di primo grado resa in violazione di questa regola è l’annullamento con rinvio. Si distingue tra questioni che riguardano la forma del processo, cioè l’esistenza dei presupposti processuali, le c.d. questioni preliminari di rito, i quali condizionano la possibilità di scendere all’esame del merito; e le questioni pregiudiziali in senso proprio, le c.d. questioni pregiudiziali di merito, che attengono agli elementi in base ai quali la domanda deve essere accolta o respinta nel merito. Le questioni processuali, ossia irricevibilità, inammissibilità, nullità, decadenza, incompetenza, sono rilevabili d’ufficio. Le questioni relative alla procedibilità e alla ricevibilità del ricorso devono avere la precedenza sulle altre; segue poi l’esame delle questioni relative alla giurisdizione e alla competenza, alle condizioni dell’azione e, infine, alle cause di estinzione del processo. Con riguardo alle pregiudiziali di merito, si tratta di questioni la cui soluzione condiziona la soluzione di un’altra questione. Si distingue tra questione pregiudiziale, riguardante un punto contestato che, senza comportare spostamento di competenza, può essere deciso dal giudice incidenter tantum e con efficacia limitata al giudizio in corso; e causa pregiudiziale, la quale attiene ad un punto contestato da decidere in via principale in un autonomo giudizio di cui costituisce l’oggetto esclusivo, comportando la sospensione del processo in cui è sorta. Il giudice della questione principale, dunque, è anche giudice delle questioni pregiudiziali, fatte salve alcune eccezioni. Circa la pregiudiziale amministrativa, nel caso in cui pendono di fronte a giudici amministrativi diversi due processi aventi ad oggetto provvedimenti connessi per presupposizione, applicando l’art. 295 cpc si ammette che, in attesa della decisione sull’atto presupposto, venga sospeso il processo vertente sul provvedimento connesso. Ulteriori cause pregiudiziali sono l’incidente di costituzionalità e l’interpretazione delle norme di trattati comunitari. 57 16.2 Forma e contenuto della sentenza. Pubblicazione e notificazione della sentenza. La correzione degli errori materiali Ai sensi dell’art. 88 cpa, la sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano e contiene: l’indicazione dell’autorità giudiziaria e del collegio che l’ha pronunciata; la menzione delle parti e dei loro avvocati; le domande; la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi; il dispositivo, ivi compresa la pronuncia sulle spese; l’ordine che la decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa; l’indicazione del giorno, mese, anno e luogo in cui la decisione è pronunciata. La sentenza dovrebbe essere redatta dall’estensore entro quarantacinque giorni da quello della decisione della causa. Essa non può più essere modificata dopo la sua sottoscrizione ed è pubblicata mediante deposito nella segreteria del giudice che l’ha pronunciata. Ai sensi della normativa sul processo telematico, i provvedimenti del giudice sono redatti e depositati sotto forma di documento informatico sottoscritto con firma digitale. I provvedimenti collegiali sono redatti dall’estensore, da lui sottoscritti e trasmessi telematicamente al Presidente del collegio, che li sottoscrive e li trasmette telematicamente alla segreteria per il deposito. Il segretario di sezione sottoscrive con la propria firma digitale, provvede al loro deposito nel fascicolo informatico ed alla contestuale pubblicazione. Dalla pubblicazione della sentenza decorre il termine di sei mesi, oltre al quale va computata la sospensione feriale dei termini, per proporre le impugnazioni. Il giudice decide sulle spese anche d’ufficio ed in difetto di esplicita richiesta della parte vittoriosa, a meno che vi sia un’espressa volontà contraria di quest’ultima che ne chieda la compensazione. Il giudice, nel pronunciare la condanna, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese che, per trasgressione al dovere di lealtà e probità, essa ha causato all’altra parte. Se vi è soccombenza reciproca o nel caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni, il giudice può compensare le spese tra le parti. L’art. 96 cpc prevede che, se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida nella sentenza. Il comma 3 prevede, poi, la possibilità di una condanna della parte soccombente di una somma di denaro equitativamente determinata: non è richiesta la domanda di parte, né la prova di un danno. Il giudice, d’ufficio, può anche condannare la parte soccombente al pagamento al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, in presenta di motivi manifestamente infondati (c.d. sanzione per abuso del processo). Infine, il giudice può condannare d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo “quando la parte soccombente ha agito o resistito temerariamente in giudizio”. 60 La parte che abbia ottenuto una sentenza di accoglimento, sempre che questa richieda un’attività esecutiva dell’amministrazione, si rivolge in primo luogo ad essa affinché si conformi alla decisione, ponendo in essere l’attività o i provvedimenti necessari per eseguire la sentenza. A fronte dell’inerzia dell’amministrazione, è possibile poi esperire il giudizio di ottemperanza: in caso di accoglimento del ricorso, il giudice può fissare un termine per l’ottemperanza medesima. Si pone il problema dei limiti in cui l’amministrazione è tenuta ad eseguire la sentenza, in quanto è spesso rischioso per l’amministrazione e per l’interesse pubblico ottemperare alla sentenza di primo grado quando la soluzione adottata dal Tar potrebbe essere riformata in appello, aprendo il via a delicate questioni anche risarcitorie: il soggetto pubblico ha comunque a disposizione il rimedio dell’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza da proporre al CdS e, in ogni caso, non dovrebbe porre in essere comportamenti che producano effetti irreversibili. L’art. 34 cpa consente al giudice, su istanza di parte, di nominare un commissario per il caso in cui l’amministrazione non adempia nel termine assegnato dalla sentenza. Le pronunce del giudice amministrativo che costituiscono titolo esecutivo sono spedite, su richiesta di parte, in forma esecutiva. Con riferimento alle pronunce che dispongono il pagamento di una somma di denaro, esse costituiscono titolo anche per l’esecuzione forzata e per l’iscrizione di ipoteca. Al di fuori di questo ultimo tipo di sentenze, per l’esecuzione delle decisioni del giudice amministrativo non è possibile utilizzare l’esecuzione forzata, ma solo il giudizio di ottemperanza. 17. I mezzi di gravame: premessa e disciplina comune Il sistema processuale amministrativo prevede un articolato sistema di impugnazioni delle sentenze, composto dall’appello, dalla revocazione, dall’opposizione di terzo e dal ricorso per Cassazione. Questi mezzi di impugnazione si distinguono in ordinari e straordinari: i primi impediscono la formazione della cosa giudicata in senso formale; i secondi sono esperibili pure nei confronti di una sentenza passata in giudicato. Altre classica distinzione è quella tra mezzi di gravame di tipo eliminatorio, che tendono a demolire la sentenza impugnata in vista di un nuovo giudizio, e mezzi di gravame rinnovatori, che hanno la funzione di fornire in via immediata una nuova soluzione alla controversia.I primi sono caratterizzati dal fatto che la critica della sentenza può solo essere vincolata agli aspetti fissati dalla legge; mentre i mezzi di gravame rinnovatori sono tendenzialmente a critica libera, potendosi censurare qualsiasi vizio della sentenza. Tra gli aspetti disciplinati in generale per tutte le impugnazioni ricordiamo il regime del luogo della notificazione: ai sensi dell’art. 93 cpa, l’impugnazione deve essere notificata nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dalla parte nell’atto di notificazione della sentenza o, in difetto, presso il difensore (o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio e risultante dalla sentenza). Quanto al tema del contraddittorio, occorre distinguere: nelle cause inscindibili o tra loro dipendenti, l’impugnazione deve essere notificata a tutte le parti in causa; negli altri casi va notificata soltanto alle parti che hanno interesse a contraddire e, cioè, a coloro ai quali potrebbe derivare un pregiudizio dall’accoglimento dell’impugnazione, e non anche a coloro che, pur parti del giudizio di primo grado, dall’accoglimento dell’appello potrebbero ricevere un vantaggio. 61 L’impugnazione deve essere notificata, a pena di inammissibilità, ad almeno una delle parti interessate a contraddire. Se la sentenza non è stata impugnata nei confronti di tutte le parti, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio, fissando il termine entro cui la notificazione deve essere eseguita, nonché la successiva udienza di trattazione. L’impugnazione è dichiarata improcedibile se nessuna delle parti provvede all’integrazione nel termine fissato dal giudice. In appello si applica la norma secondo cui il giudice, se riconosce che il processo si debba concludere con una decisione di rito, o che riconosca manifestamente infondata l’impugnazione, può non ordinare l’integrazione del contraddittorio, quando l’impugnazione di altre parti è preclusa o esclusa. L’art. 96 cpa si occupa dell’impugnazione avverso la stessa sentenza, dunque del tema delle impugnazioni incidentali. L’appello incidentale è una contro impugnazione con la quale una parte parzialmente soccombente, con l’intento di conservare il risultato raggiunto con la sentenza, fa valere in via subordinata censure differenti rispetto a quelle proposte dall’appellante principale attraverso la medesima sentenza. Il rigetto dell’appello principale comporta l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, di quello incidentale proprio. Si parla, invece, di appello incidentale improprio (o autonomo) per indicare l’impugnativa da parte del soccombente sostanziale che confluisce nel giudizio di appello pendente ai soli fini della concentrazione delle impugnazioni. Si consideri che, dopo la proposizione dell’appello principale, tutte le altre impugnazioni relative alla stessa sentenza devono essere effettuate con le forme dell’appello incidentale, a prescindere dal fatto che la parte sia soccombente soltanto in modo formale. L’appello incidentale improprio è proposto dalla parte che versa in una situazione di soccombenza sostanziale, ossia dal soggetto la cui situazione sfavorevole deriva direttamente dalla sentenza di primo grado che, ad esempio, abbia rigettato le difese da esso proposte (avente la veste di controinteressato dinanzi al Tar) e, quindi, sia legittimato ad un’autonoma impugnazione. Nell’appello incidentale proprio l’interesse ad impugnare nasce dall’appello altrui; in quello improprio dalla sentenza medesima. In linea di principio, tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite in un solo processo. L’art. 96.2 cpa ammette espressamente la proposizione anche dell’impugnazione incidentale tardiva, quando per la parte è decorso il termine per impugnare: la parte, pur parzialmente soccombente, sarebbe disposta ad accettare la sentenza ove anche le altre parti la accettassero e si determina ad impugnare solo in conseguenza dell’altrui impugnazione. L’impugnazione incidentale deve essere tempestivamente proposta dalla parte entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, dalla prima notificazione nei suoi confronti di altra impugnazione principale. Quella tardiva, invece, va proposta pur sempre entro 60 giorni, calcolati avendo riguardo unicamente alla data di notifica dell’impugnazione principale. Essa va poi depositata, unitamente alla prova dell’avvenuta notificazione, entro trenta giorni. Anche con l’impugnazione incidentale tardiva possono essere impugnati capi autonomi della sentenza. Tuttavia, se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile o è rigettata, l’impugnazione incidentale tardiva perde ogni efficacia e l’appello va dichiarato improcedibile. Viceversa, l’impugnazione incidentale impropria non tardiva non è condizionata all’esito di quella principale. Circa l’intervento, può intervenire nel giudizio di impugnazione, con atto notificato a tutte le parti, chiunque vi abbia interesse. La disposizione sembra ammettere qualsiasi forma di intervento. 62 L’impugnazione non ha effetto sospensivo, dunque il codice si occupa in generale dei poteri cautelari: il giudice dell’impugnazione può, su istanza di parte, valutati i motivi proposti e qualora dall’esecuzione possa derivare un pregiudizio grave e irreparabile, disporre la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, nonché le altre misure cautelari. 17.1 L’appello Ai sensi dell’art. 100 cpa, contro le sentenze dei tribunali amministrativi è ammesso appello al Consiglio di Stato, ferma restando la competenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana per gli appelli proposti contro le sentenze del Tar per la Sicilia. Le decisioni che possono essere appellate paiono soltanto le sentenze. Il codice però ammette l’appellabilità dell’ordinanza con cui decide sulla domanda cautelare; le sentenze parziali e alcune del giudizio di ottemperanza. L’art. 103 cpa stabilisce che contro le sentenze non definitive è proponibile l’appello immediato o la riserva di appello, con atto notificato entro il termine per l’appello e depositato nei successivi trenta giorni presso la segreteria del Tar. 17.2 Segue: la legittimazione ad appellare e le altre parti in giudizio Possono proporre appello le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado. L’appello è proposto in primo luogo dalla parte privata soccombente e, cioè, dal soggetto nei cui confronti si è prodotto un effetto sfavorevole come conseguenza della sentenza: tale situazione può essere causata dal mancato accoglimento della domanda, o dall’accoglimento di una domanda dell’avversario. Il ricorrente che abbia visto accogliere soltanto alcune delle censure proposte può appellare se può ricavare dall’accoglimento vantaggi ulteriori. Con riguardo al interveniente nel giudizio di primo grado, questi può proporre appello soltanto se titolare di una posizione giuridica autonoma e non di un mero interesse di fatto. Egli, anche se non titolare di una posizione autonoma, può impugnare il capo di sentenza che ha dichiarato l’intervento inammissibile o irricevibile, o quello che lo ha condannato al pagamento delle spese processuali. 17.3 Segue: effetto devolutivo e ius novorum L’appello è definito come un rimedio caratterizzato dall’effetto devolutivo: nel giudizio di secondo grado emerge automaticamente tutto il materiale di cognizione introdotto in primo grado, nel senso che il giudice di appello può riesaminare pienamente domanda, eccezioni, deduzioni e difese in relazione alle quali ha pronunciato il tribunale amministrativo. Nei limiti dei capi di sentenza investiti dall’impugnativa dell’appellante, ed eventualmente dall’appellante incidentale, con specifiche censure: vige pur sempre il principio dispositivo, dunque le parti, con il loro comportamento acquiescente, possono sottrarre alla cognizione del giudice d’appello uno o più punti della controversia. Il giudizio in appello, tuttavia, può anche estendersi a questioni che, pur non espressamente riproposte, siano logicamente preliminari o conseguenze automatiche del tema proposto. Ai fini dell’appello, si considera capo di sentenza ogni decisione su qualsiasi questione sollevata dalle parti o rilevata d’ufficio, così determinando un frazionamento della sentenza (e delle potenziali impugnazioni). 65 Il giudice d’appello decide la causa, riesaminando la lite e sostituendo la decisione “ingiusta” emanata in primo grado. Il giudice può decidere la causa anche senza scendere nel merito quando annulla la sentenza perché il giudizio in primo grado non poteva svolgersi (difetto assoluto di giurisdizione, nullità insanabile del ricorso, sussistenza di cause estintive); qui non si ha riforma, ma annullamento senza rinvio della decisione di primo grado. L’art. 105 cpa, invece, prevede espressamente la possibilità eccezionale di rimettere la causa al giudice di primo grado. Questa eventualità è prevista con riferimento ad alcuni casi che derogano al principio secondo cui l’appello è un rimedio rinnovatorio: si tratta di mancanza del contraddittorio (mancata integrazione o nullità dell’atto introduttivo); lesione del diritto di difesa di una delle parti (mancata comunicazione del decreto che fissa l’udienza); nullità della sentenza. A queste ipotesi, legate all’invalidità del giudizio di primo grado, il codice accosta quella in cui il Consiglio di Stato riforma la sentenza o l’ordinanza con cui il giudice di primo grado ha declinato la propria giurisdizione o pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio. Si tratta di casi in cui il CdS riconosce che il Tar avrebbe dovuto decidere il merito e, invece, non lo ha fatto. In sostanza, si ha annullamento con rinvio quando il processo non si è svolto nel merito mentre avrebbe dovuto spingersi a quel livello di cognizione; si ha invece annullamento senza rinvio se il giudizio si è svolto mentre non avrebbe dovuto avere luogo. In caso di rinvio, le parti devono riassumere il processo con ricorso notificato nel termine perentorio di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della sentenza o dell’ordinanza. 18. La revocazione La revocazione è una impugnativa a critica limitata, volta a ottenere in via non immediata la rinnovazione del giudizio, che avverrà solo nella fase rescissoria: in via diretta è infatti finalizzata all’eliminazione della sentenza (profilo rescindente). Le varie ipotesi di revocazione sono contemplate dall’art. 395 cpc, ai sensi del quale le sentenze sono impugnabili per revocazione nei seguenti casi: 1) se sono l’effetto di dolo di una delle due parti a danno dell’altra; 2) se il giudice ha giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza, oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario (l’onere della prova dell’impossibilità grava sul ricorrente); 4) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita; 5) se la sentenza è contraria ad altra precedente, avente fra le parti autorità di cosa giudicata; 6) se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato. 66 I casi di cui ai nn. 4 e 5 danno luogo alla revocazione ordinaria, nel senso che si tratta di vizi palesi, rilevabili direttamente dalla sentenza, ed il mezzo di impugnazione è esperibile avverso sentenze non ancora passate in giudicato. Il termine per proporre l’impugnazione decorre dalla notifica della sentenza medesima. L’art. 396 cpc si occupa della revocazione delle sentenze per le quali sia scaduto il termine per appellare, limitandola ai casi di cui ai nn. 1,2,3,4,6 dell’art. 395 cpc. Si tratta della c.d. revocazione straordinaria, in cui il vizio è occulto, non rilevabile direttamente dalla sentenza. Il termine per impugnare decorre dal momento, successivo alla conoscenza della sentenza in cui è stato scoperto il fatto o la circostanza su cui si fonda il vizio revocatorio. Nel cpa l’istituto è disciplinato dall’art. 106 cpa, secondo cui le sentenze dei Tar e del CdS sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli artt. 395 e 396 cpc. Il comma 3 precisa però che, contro le sentenze dei Tar la revocazione è ammessa solo se i motivi non possono essere dedotti con l’appello, dunque l’idea è quella secondo cui, nei confronti delle sentenze del Tar, la revocazione è ammessa nei casi in cui i motivi non sono suscettibili di confluire nell’appello perché i termini sono scaduti, dunque vi è spazio solo per la revocazione straordinaria. Di conseguenza, se i vizi revocatori straordinari sono scoperti durante la pendenza del termine per appellare, i motivi revocatori si tramutano in motivi d’appello. Nelle ipotesi in cui i fatti e le circostanze che fondano il vizio revocatorio ordinario si manifestano durante il corso del termine per l’appello, il vizio stesso si tramuta in motivo di appello. Nei confronti delle sentenze del CdS, invece, si può proporre revocazione per tutti i vizi revocatori indicati dall’art. 395 cpc. Il termine per l’impugnazione è di sessanta giorni decorrenti, nel caso di revocazione ordinaria, dalla notifica della sentenza; nei casi di revocazione straordinaria, invece, il termine decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità, o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza di cui al n. 6 dell’art. 395 cpc. In difetto di notificazione della sentenza, la revocazione ordinaria deve essere notificata entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (termine lungo). Il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall’ultima notificazione, unitamente ad una copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni. Il giudice accerta la sussistenza dei presupposti di ammissibilità della revocazione e, solo ove questa fase rescindente abbia avuto esito positivo, passa al giudizio rescissorio, il quale attiene al riesame del ricorso nel merito. Il ricorso deve contenere la domanda volta ad eliminare la sentenza (richiesta di revocazione) e la domanda relativa alla rinnovazione del giudizio sulla controversia. Contro la sentenza emessa nel giudizio di revocazione sono ammessi i mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione, ad eccezione della revocazione stessa. 19. Il ricorso per Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione Il ricorso alle sezioni unite della Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione avverso la sentenza del Consiglio di Stato è previsto dagli artt. 110-111 cpa. Si tratta di una impugnativa a critica vincolata: può essere impugnata per Cassazione unicamente una sentenza del CdS che statuisca espressamente sulla giurisdizione a seguito di specifica contestazione. 67 Il ricorso va proposto entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata ovvero entro sei mesi dalla sua pubblicazione. La Cassazione, ove accolga il ricorso: a) cassa la decisione impugnata se nega la sussistenza di giurisdizione; b) cassa con rinvio se afferma la giurisdizione negata dal g.a.; a ciò segue la possibile riassunzione del processo entro tre mesi dalla pubblicazione della decisione. Per impedire l’esecuzione della sentenza impugnata, la parte interessata ha a disposizione lo strumento di cui all’art. 111, ai sensi del quale il CdS medesimo, se richiesto con istanza previamente notificata alle altre parti, in caso di eccezionale gravità ed urgenza, può sospendere gli effetti della sentenza impugnata e disporre le altre opportune misure cautelari. 20. L’opposizione di terzo Gli artt. 108-109 cpa prevedono due forma di opposizione di terzo: ordinaria e revocatoria. La legittimazione in quella ordinaria spetta al terzo, che può fare opposizione contro una sentenza del Tar o del CdS pronunciata tra altri soggetti, anche se passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti ovvero i suoi interessi legittimi. Si tratta di offrire una tutela al controinteressato pretermesso, quando l’assenza dal processo non sia dipesa da una sua decisione. Legittimato potrebbe anche essere un controinteressato sopravvenuto. L’opposizione revocatoria prevede che gli aventi causa ed i creditori di una delle parti possano fare opposizione dalla sentenza, quando questa sia effetto di dolo o collusione a loro danno. La frode del soccombente, parte di un giudizio amministrativo, nei confronti del proprio creditore (che vede ridursi il patrimonio del suo debitore) o avente causa, pregiudica tale terzo estraneo al giudizio, il quale può reagire con questo mezzo. Il pregiudizio derivante dalla sentenza inter alios acta è il rimedio che porta alla totale eliminazione della sentenza nei confronti delle parti del processo originario, concesso solo ove si provi il dolo o la collusione a danno del terzo. L’opposizione di terzo è proposta davanti al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Ma, in applicazione del principio della prevalenza dell’appello, una regola specifica è dettata con riferimento alle sentenze di primo grado. Qualora contro di essa sia già stato proposto appello, bisogna distinguere: ❏ se l’opposizione di terzo non è stata ancora proposta, il terzo deve introdurre la domanda intervenendo nel giudizio di appello, entro sessanta giorni dalla conoscenza della pendenza dell’impugnazione; ❏ se, invece, l’opposizione di terzo è già stata proposta al giudice di primo grado, questo la dichiara improcedibile e, se l’opponente non vi ha ancora provveduto, fissa un termine per l’intervento nel giudizio di appello. Il terzo diventa dunque interventore-litisconsorte autonomo in appello. L’opposizione ordinaria si propone con ricorso notificato entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza, depositato nella segreteria del giudice adito entro trenta giorni dall’ultima notificazione unitamente ad una copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni. Per l’opposizione revocatoria, invece, il termine di sessanta giorni decorre dal giorni in cui è stato scoperto il dolo o la collusione. La sentenza che pronuncia sull’opposizione di terzo, se resa dal Tar, è appellabile. 70 21.4 Segue: natura e presupposti del giudizio di ottemperanza L’obbligo di eseguire le decisioni sorge direttamente dalle medesime. Ciò non esclude l’esistenza, nel giudizio di ottemperanza, di un momento cognitorio, volto a verificare la sussistenza dei presupposti per l’intervento del giudice. Per comprendere i caratteri del giudizio di ottemperanza occorre considerare tre aspetti: ➔ sussiste la possibilità di introdurre domande risarcitorie, relative a danni diversi da quelli prodotti dal comportamento iniziale dell’amministrazione, in sede di ottemperanza. Ai sensi dell’art. 112.3 cpa, “può essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica del giudicato o alla sua violazione o elusione”; ➔ il giudizio può essere attivato pure per chiedere chiarimenti sulle modalità di adempimento. Si tratta di uno strumento utile per l’amministrazione chiamata a porre in essere attività esecutive; ➔ ai sensi dell’art. 34 cpa, in sede di cognizione il giudice può nominare il commissario ad acta per il caso in cui la sentenza non venga attuata entro un termine stabilito dal giudice. Il ricorso di ottemperanza costituisce l’ipotesi più importante di giurisdizione di merito: il giudice può sostituirsi all’amministrazione nell’esercizio dei poteri amministrativi. I presupposti del giudizio di ottemperanza sono: ➔ sussistenza di una decisione non autoapplicativa; ➔ necessità di dare attuazione alla pronuncia, in caso di inadempimento o parziale adempimento da parte dell’amministrazione o di altra parte soccombente. Possiamo avere tre distinti scenari: 1. Quello in cui l’amministrazione deve dare esecuzione ad una sentenza a fronte di “sopravvenienze”: la sentenza contiene un giudizio che ha anche la virtù del comando, dunque, pone vincoli per il futuro. L’amministrazione non può legittimamente rifiutare di conformarsi alla pronuncia, salva l’ipotesi di irreversibile trasformazione del bene da restituire o di ius superveniens, che giustifica l’inottemperanza. Il principio generale è quello secondo cui la situazione normativa e fattuale da prendere in considerazione è quella del momento in cui la sentenza viene notificata. Al momento successivo alla notifica, occorre distinguere tra sopravvenienze di fatto, che rendono impossibile l’esecuzione della sentenza e l’integrale ripristino dello status quo ante (in tal caso si può fare domanda di risarcimento del danno); e sopravvenienze di diritto: la legge sopravvenuta si ammette che incida sulle situazioni durevoli; la giurisprudenza dà rilievo alle sopravvenienze successive alla notificazione solo ove la statuizione giurisdizionale non abbia pienamente vincolato la successiva attività amministrativa, lasciando spazi liberi che la normativa sopravvenuta può integrare. Nell’ipotesi di annullamento del provvedimento che apra la via alla riedizione del potere, l’amministrazione deve osservare la regola di diritto stabilita dalla sentenza e porre in essere i necessari atti di natura attuativa della sentenza. 71 2. Quello in cui il soccombente appella una sentenza sfavorevole nel caso in cui l’amministrazione dia esecuzione, nel frattempo, alla statuizione di primo grado. La mera esecuzione della sentenza di primo grado, che ricorre quando l’amministrazione, in esecuzione della decisione, abbia agito senza in alcun modo eccedere rispetto agli effetti della sentenza stessa, comporta che il relativo atto non debba essere nuovamente impugnato dal soccombente in primo grado che proponga appello. 3. Quello in cui l’amministrazione non rispetta le statuizioni del giudice: qui si apre lo spazio per il giudizio di ottemperanza. Per inadempimento dell’amministrazione si intende non solo la semplice inerzia, ma anche l’adempimento parziale e incompleto, il comportamento elusivo da cui risulti in modo inequivoco e obiettivo la volontà di sottrarsi agli obblighi scaturenti dalla pronuncia. L’art. 133 cpa dispone che le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In sintesi, il regime dell’ottemperanza pare essere il seguente: ❏ l’atto in violazione di giudicato, cioè in contrasto con la statuizione vincolante del giudicato, è nullo e apre la via al giudizio di ottemperanza; ❏ l’atto elusivo di giudicato, che appalesa la volontà dell’amministrazione di sottrarsi all’obbligo consacrato nella pronuncia, è nullo e, del pari, apre il via all’ottemperanza. In entrambi i casi si configura un giudizio in cui si tratta di giurisdizione di merito ed esclusiva. ❏ l’atto elusivo o in violazione di sentenze non passate in giudicato o di altri provvedimenti è inefficace e apre la via al giudizio di ottemperanza (in tal caso in ricorre giurisdizione esclusiva). In tutti i casi, la contestazione può avvenire nel termine decennale di prescrizione. Rimane il problema dell’atto successivo al giudicato illegittimo per motivi diversi dal contrasto con la statuizione giurisdizionale. Onde consentire la considerazione unitaria della vicenda, vi è la possibilità per il giudice di disporre la riunione di più ricorsi - uno di ottemperanza e l’altro di impugnazione ordinario - dinanzi al giudice dell’ottemperanza, a condizione che il ricorso ordinario che censura i vizi di legittimità sia stato tempestivamente proposto. La competenza per il giudizio di ottemperanza è distribuita tra Tar e Consiglio di Stato. Con riguardo all’ottemperanza delle pronunce del giudice amministrativo si utilizza un criterio di paternità sostanziale: è competente quello che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta. Con riguardo all’ottemperanza delle sentenze del giudice ordinario o di altri giudici, o dei lodi arbitrali esecutivi, si dispone che il ricorso si propone dinanzi al Tar nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emanato la sentenza di cui è chiesta l’ottemperanza. 72 21.4 Segue: lo svolgimento del giudizio e i poteri del giudice Il ricorso può essere proposto da coloro che furono parti nel giudizio concluso con la decisione da ottemperare. L’azione si propone con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta. Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica la sentenza di cui si chiede l’ottemperanza, con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato. In giurisprudenza si ammette che la legittimazione passiva spetti all’amministrazione che sia competente a porre in essere l’attività esecutiva, anche se estranea al precedente giudizio. L’Adunanza plenaria ha anche statuito che il ricorso di ottemperanza può essere esperito nei confronti di un soggetto privato esercente un pubblico servizio nell’ipotesi di controversia sul diritto di accesso. Questi orientamenti sono confermati dal fatto che l’art. 7 cpa parifica alle amministrazioni pubbliche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo. L’azione si prescrive decorsi dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza. La parte può agire anche senza previa diffida. Siamo al cospetto di un rito camerale, dunque con termini dimezzati; il giudice decide con sentenza in forma semplificata, ma se è chiesta l’esecuzione di un’ordinanza, provvede con ordinanza. Il giudice, inoltre, dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza. Più in particolare può: ➔ ordinare l’ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso in luogo dell’amministrazione. Ove il giudice decida di usare questo potere di sostituzione, non può procedere direttamente ma nominare un commissario, atteso che l’art. 21 cpa stabilisce che “nell’ambito della propria giurisdizione, il giudice amministrativo, se deve sostituirsi all’amministrazione, può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta”; ➔ dichiarare nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato; ➔ nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti emessi in violazione o elusione e provvedere di conseguenza; ➔ nominare, ove occorra, un commissario ad acta; ➔ comminare penalità di mora, esercitando una coercizione indiretta per costringere la parte ad adempiere; ➔ condannare al risarcimento del danno. Avverso gli atti del commissario ad acta le parti, dinanzi al giudice dell’ottemperanza, possono proporre reclamo, che viene depositato, previa notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni. Gli atti emanati dal giudice dell’ottemperanza o dal commissario sono impugnabili dai terzi estranei al giudicato con l’azione di impugnazione e con rito ordinario. In sintesi, a seguito della proposizione del giudizio di ottemperanza si configura un doppio regime di rimedi a seconda del soggetto che si dolga degli atti del commissario: reclamo per le parti, ricorso per i terzi. 75 I destinatari della diffida, se ritengono che la violazione, l’omissione o l’inadempimento siano imputabili anche ad altre amministrazioni o concessionari, invitano il privato a notificare la diffida anche a questi ultimi. Inutilmente decorso il termine, ove l’amministrazione o il concessionario non abbia provveduto, o abbia provveduto in modo parziale, a eliminare la situazione denunciata, il ricorso può essere proposto entro il termine perentorio di un anno. L’udienza di discussione del ricorso viene fissata d’ufficio tra il novantesimo ed il centoventesimo giorno dal deposito del ricorso; i soggetti che si trovano nella medesima situazione giuridica del ricorrente possono intervenire nel termine di venti giorni liberi prima dell’udienza. Circa il petitum, non è possibile ottenere risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai comportamenti dell’amministrazione o dai concessionari, per cui restano fermi i rimedi ordinari: il giudice, se accoglie la domanda, ordina di porre rimedio alle violazioni, omissioni o inadempimenti entro un congruo termine, “nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. La disciplina si occupa anche della trasparenza e della pubblicità: del ricorso è data immediatamente notizia nel sito istituzionale dell’amministrazione o del concessionario intimati; il ricorso viene anche comunicato al ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione; della sentenza è data notizia nei modi sopra indicati e analogo regime riguarda le misure adottate in ottemperanza alla sentenza. Si tratta di un procedimento spezzato in due tronconi di giudizio: il primo, di cognizione, si chiude con la sentenza; nei casi di inottemperanza di una PA si apre il secondo troncone e, cioè, l’ottemperanza, per cui si richiede la proposizione di un nuovo ricorso con la possibilità di giungere alla nomina di un commissario ma senza arrivare all’estremo del commissariamento dell’intero ente. IL GIUDIZIO IN MATERIA DI DIRITTO DI ACCESSO Disciplinato dall’art. 116 cpa: contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e contro il silenzio serbato per trenta giorni successivi alla richiesta, “il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un controinteressato”. Il procedimento ha struttura impugnatoria: il termine di trenta giorni ha natura decadenziale e il suo inutile spirare impedisce la reiterazione dell’istanza a meno che non sopravvengano elementi di novità della fattispecie. Trattandosi di rito camerale, tutti i termini processuali sono dimezzati, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti, fissati espressamente in trenta giorni. Il giudice decide con sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti e la pubblicazione, entro un termine non superiore a trenta giorni, dettando le modalità, senza che residuino margini di discrezionalità in capo alla PA. In pendenza di un giudizio cui la richiesta di accesso è connessa, il ricorso può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notificazione all’amministrazione e agli eventuali controinteressati. L’istanza viene decisa con ordinanza separatamente dal giudizio principale, oppure con la sentenza che definisce il giudizio. In tal caso il rito si configura come incidentale rispetto a quello ordinario e si caratterizza per la modalità di presentazione della domanda e per la natura del possibile provvedimento decisorio (ordinanza). 76 Secondo parte della giurisprudenza, l’ordinanza non avrebbe natura decisoria e dovrebbe essere adottata non sulla base della mera sussistenza dei requisiti sostanziali stabiliti dalla l. 241/1990, ma sul presupposto della acclarata utilità dei documenti ai fini della decisione. Posizione più articolata è quella del CdS, il quale ha statuito che occorre distinguere tra: ➔ ordinanze che si pronunciano sul ricorso, accogliendolo o respingendolo in relazione ai presupposti inerenti all’accesso in quanto tale; in tal caso l’ordinanza ha natura decisoria ed è appellabile nel caso in cui il giudice escluda l’accessibilità, sia nel caso in cui il giudice accolga la domanda; e ➔ ordinanze che respingono il ricorso perché ritengono i documenti non utili ai fini del giudizio; in tal caso l’ordinanza ha natura meramente istruttoria e non è appellabile autonomamente. Tornando al rito autonomo, siamo al cospetto di un’azione, c.d. actio ad exhibendum, che può portare all’adozione di una sentenza con cui si ordina un facere specifico. La camera di consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate; non vi è obbligo del giudice di comunicare la data dell’udienza camerale. IL RICORSO AVVERSO IL SILENZIO Si tratta di un altro rito camerale speciale, disciplinato dall’art. 117 cpa. Tale norma dispone che il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un controinteressato. Formatosi il silenzio inadempimento, l’azione può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti: ciò significa che il decorso dell’anno non ha effetti di consolidamento sul piano sostanziale. La diffida, comunque, può essere proposta e avrebbe l’effetto di interrompere il termine annuale, che si configurerebbe come prescrizionale. Il ricorso viene deciso con sentenza in forma semplificata. Le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti. Circa i poteri del giudice, in caso di totale o parziale accoglimento, questi ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. Non è previsto un separato giudizio di ottemperanza, ma è designato un giudizio unitario, in cui si intrecciano fase cognitoria e fase esecutiva. Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente, sempre su istanza della parte interessata. Il giudizio di cognizione si trasforma in ottemperanza senza necessità di un ricorso ad hoc e senza che siano previste censure, al fine di consentire al privato di ottenere una risposta. Il commissario, poiché chiamato ad emanare il provvedimento, si configura come sostituto dell’amministrazione e non come ausiliario del giudice. Il giudice, peraltro, conosce tutte le questioni relative all’esatta adozione del provvedimento richiesto, comprese quelle inerenti agli atti del commissario. In ossequio al principio di concentrazione, se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento. L’intero giudizio prosegue con tale rito, abbandonandosi così il rito camerale che, in ragione dei termini ridotti, assicura meno garanzie: si realizza un caso di conversione obbligatoria del rito da speciale a ordinario. 77 Nell’ipotesi in cui, contestualmente al ricorso avverso il silenzio, venga proposta l’azione di risarcimento del danno da ritardo, il giudice può definire con il rito camerale e sentenza non definitiva l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria. L’azione avverso il silenzio contiene due domande, una di accertamento dell’obbligo di provvedere e una diretta ad ottenere una sentenza di condanna, finalizzata a costringere l’amministrazione a provvedere o a sostituirsi ad essa qualora permanga l’inerzia. Altro importante potere è quello del giudice che, su istanza di parte, può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, anche se ciò è possibile solo quando si tratta di attività vincolata, o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori da parte della PA. Questo rito speciale integra una forma di azione di adempimento, si tratta di condanna a provvedere: ciò spiega perché il giudizio deve essere esteso ai controinteressati, cioè ai soggetti che potrebbero subire effetti sfavorevoli dall’ipotetico provvedimento favorevole emanato in forza della decisione di accoglimento. RITO ABBREVIATO COMUNE A DETERMINATE MATERIE EX ART. 119 C.P.C. L’art. 119 cpc delinea un rito speciale relativo a giudizi di impugnazione, che si caratterizza per la previsione di un percorso procedurale accelerato in vista di una rapida decisione. Esso può riguardare i giudizi aventi ad oggetto: provvedimenti concernenti procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture; provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti; provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici. L’obiettivo complessivo è la celerità della decisione. Il rito si applica anche ai giudizi di appello, revocazione ed opposizione di terzo, e si caratterizza: ➔ per l’abbreviazione dei termini processuali ordinari che sono dimezzati, salvo, nei giudizi di primo grado, quelli per la proposizione delle domande (notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti) e per il ricorso per Cassazione e per il giudizio di ottemperanza; ➔ per la previsione della possibile decisione differita nel merito a fronte di un’istanza cautelare: pur se chiamato a decidere su di un’istanza cautelare, il giudice, al ricorrere di taluni requisiti, supera la fase cautelare e apre la via alla decisione di merito. Nel dettaglio, il Tar chiamato a pronunciare sulla domanda cautelare, accertata la completezza del contraddittorio o disposta l’integrazione dello stesso, se ritiene, ad un primo sommario esame, la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso e di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione del merito alla prima udienza successiva alla scadenza del termine dilatorio di trenta giorni dalla data di deposito dell’ordinanza, disponendo il deposito dei documenti necessari e l’acquisizione delle eventuali altre prove occorrenti. In caso di estrema gravità ed urgenza, dispone le opportune misure cautelari. In sintesi, salvo questa situazione eccezionale, che non consente di attendere l’udienza di merito, la decisione dell’istanza cautelare di norma non avviene, perché il giudice fissa il merito. ➔ per la previsione di speciali modalità di pubblicazione del dispositivo, ma solo su richiesta di parte, la quale potrebbe dichiarare di avere interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo rispetto alla sentenza. In tal caso il dispositivo è pubblicato mediante deposito in segreteria, non oltre sette giorni dalla decisione della causa e, dunque, prima della stesura della motivazione. 80 Circa gli altri termini processuali, essi sono dimezzati. Il deposito del ricorso notificato, ad esempio, deve avvenire entro 15 giorni. Con riguardo alla disciplina dell’incidente cautelare, la regola è quella per cui il giudice decide interinalmente sulla domanda cautelare. Quando dispone misure cautelari, il collegio ne può subordinare l’efficacia alla prestazione di una cauzione. Tali misure sono disposte per una durata non superiore a sessanta giorni dalla pubblicazione della relativa ordinanza, ferma restando la possibilità di decisione differita nel merito a fronte dell’istanza cautelare. Contro le ordinanze cautelari è ammesso appello al CdS, da proporre nel termine di trenta giorni dalla notificazione dell’ordinanza, ovvero di sessanta giorni dalla sua pubblicazione. Con riguardo al merito, il giudizio può essere deciso con fissazione del merito a breve, oppure viene definito immediatamente nell’udienza cautelare: il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire il giudizio in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata. Una terza possibilità è quella in cui il giudizio deve essere definito con sentenza in forma semplificata a una udienza fissata d’ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Della data di udienza è dato avviso alle parti a cura della segreteria a mezzo di Pec. In caso di esigenze istruttorie o quando è necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini di difesa, la definizione del merito viene rinviata, con l’ordinanza che dispone gli adempimenti necessari, ad un’udienza da tenersi non oltre trenta giorni. La sentenza che definisce il giudizio di primo grado è pubblicata entro trenta giorni dall’udienza di discussione. Tuttavia, la parte può chiedere, dichiarando l’interesse in udienza, l’immediata pubblicazione del dispositivo entro due giorni dall’udienza medesima. Con riguardo alle impugnazioni, la parte può proporre appello avverso il dispositivo, al fine di ottenerne la sospensione prima della pubblicazione della sentenza. Il contributo unificato è dovuto anche per i motivi aggiunti e per i ricorsi incidentali ove contengano domande nuove. Il giudizio è strutturato come rito originato dall’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, dunque si può parlare di rito ad oggetto necessario, posto che la legge introduce la pregiudiziale di annullamento, nel senso che la caducazione dell’aggiudicazione definitiva è il presupposto per la pronuncia di inefficacia del contratto. Il giudice dispone di incisivi poteri in relazione al contratto già nella fase di cognizione, configurabili come applicazione di prescrizioni normative. Dopo aver annullato l’aggiudicazione o dichiarato l’inefficacia del contratto, può condannare l’amministrazione ad aggiudicare e disporre il subentro nel contratto (tutela in forma specifica). Si può inoltre osservare quanto segue: ➢ nelle ipotesi di violazioni gravi la regola è l’inefficacia del contratto, salva la possibilità del giudice di salvarlo; ➢ nei casi di violazioni meno gravi, invece, l’inefficacia non è conseguenza ordinaria della pronuncia del giudice, anche se non è esclusa: decide caso per caso; ove il contratto rimanga efficace, a differenza di quanto accade per le violazioni gravi, non trovano applicazione le sanzioni alternative; ➢ nelle ipotesi in cui non ha luogo la tutela specifica, in quanto il contratto rimane efficace, la parte, su domanda, può ottenere il risarcimento dei danni per equivalente; 81 ➢ la disciplina dell’inefficacia del contratto è delineata senza tener conto del suo contenuto. In caso di violazioni gravi, il giudice, se dichiara l’inefficacia del contratto, ne decide anche l’eventuale retroattività e indica il momento dal quale essa decorre. E’ prevista una deroga, la quale stabilisce che il contratto resti efficace, pur in presenza delle gravi violazioni, qualora venga accertato che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti. Tra le esigenze imperative rientrano quelle imprescindibili di carattere tecnico, tali da rendere evidente che i residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall’esecutore attuale. Nei casi in cui, nonostante le violazioni, il contratto sia considerato efficace o l’inefficacia sia temporalmente limitata, si applicano le sanzioni alternative, fatto salvo il rimedio del risarcimento del danno per equivalente. Con riguardo alle violazioni meno gravi, il giudice può dichiarare inefficace il contratto. Se non dichiara l’inefficacia, dispone il risarcimento per equivalente del danno subito e provato. A fronte di vizi gravi, quando il contratto viene conservato oppure il giudice lo dichiara inefficace solo ex nunc, il giudice amministrativo individua sanzioni alternative da applicare alternativamente o cumulativamente: si tratta di sanzioni pecuniarie punitive, che colpiscono solo la stazione appaltante, oppure reali, consistenti nella riduzione della durata del contratto, la cui misura colpisce anche il contraente. Il giudice applica le sanzioni assicurando il rispetto del principio del contraddittorio, e ne determina la misura in modo che siano effettive, dissuasive, proporzionate al valore del contratto, alla gravità della condotta della stazione appaltante e all’opera svolta dalla stessa per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione. In ogni caso, l’eventuale condanna al risarcimento dei danni non costituisce sanzione alternativa e si cumula con le sanzioni alternative. Esse, poi, si applicano nelle ipotesi in cui il contratto sia stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito per la stipulazione, o senza rispettare la sospensione della stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva. La parte può proporre un ampio ventaglio di domande: accanto all’annullamento dell’aggiudicazione o della dichiarazione di inefficacia del contratto, può chiedere il subentro nell’aggiudicazione, o il subentro nel contratto. L’accoglimento della domanda di subentro equivale all’accoglimento di un’azione di adempimento. Altra domanda è quella del risarcimento del danno per equivalente, che trova spazio quando non si sia riusciti ad assicurare una tutela in forma specifica prima della stipula del contratto. In conclusione, il rito sugli appalti si configura speciale non solo in ragione delle peculiarità procedurali, ma anche e soprattutto come conseguenza degli incisivi poteri attribuiti al giudice e della logica che lo ispira, ossia le esigenze di tutela della concorrenza. Non mancano tracce di una giurisdizione di tipo oggettivo, in cui prevale l’esigenza di assicurare il rispetto delle norme sulla concorrenza più che di proteggere la posizione della parte, in ragione del condizionamento europeo. 82 CONTENZIOSO SULLE OPERAZIONI ELETTORALI Con riguardo alla disciplina relativa al contenzioso sulle elezioni elettorali, è opportuno premettere che il contenzioso elettorale si distingue in attivo (relativo alle controversie che concernono lo status di elettore) e passivo (attinente alle controversie che riguardano il diritto a conseguire o a mantenere la carica elettiva). Le vertenze nel contenzioso elettorale attivo sono devolute al giudice ordinario. Il contenzioso elettorale passivo raggruppa, a sua volta, due diversi tipi di tutela: la prima, relativa alle questioni di eleggibilità, incompatibilità e decadenza dall’ufficio, affidata al giudice ordinario; la seconda, relativa alla tutela in tema di regolarità delle operazioni elettorali, è devoluta al giudice amministrativo sul presupposto che in tal caso siano coinvolti interessi legittimi. Il contenzioso elettorale attivo si occupa delle controversie relative alle elezioni politiche, amministrative ed europee. La legittimazione attiva è attribuita a tutti i cittadini, anche se non elettori, e al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio. Giudice competente è la Corte d’appello in unico grado. L’azione, preceduta dalla proposizione di reclamo davanti alla commissione elettorale mandamentale, è rivolta contro le decisioni della commissione stessa in materia di iscrizione nelle liste elettorali. Questa fase non ha natura giurisdizionale, dunque l’impugnativa proposta dinanzi alla Corte d’appello non si configura come ricorso in appello, ma ha ad oggetto l’accertamento della titolarità o della negata titolarità della qualità di elettore. L’azione si propone con ricorso, esente da tasse, in calce al quale viene steso il decreto con cui il presidente della Corte d’appello fissa in via d’urgenza l’udienza di trattazione della causa. La pronuncia della Corte, che è ricorribile in Cassazione, decide in ordine alla titolarità dello status di elettore. La Corte può anche rettificare la decisione della commissione elettorale. La decisione deve essere immediatamente comunicata al presidente della commissione elettorale e al sindaco, che ne cura l’esecuzione e la notifica agli interessati. Nel contenzioso elettorale passivo, relativo alle controversie in tema di eleggibilità, la legittimazione attiva nelle controversie devolute al giudice ordinario è riconosciuta in capo a qualsiasi cittadino elettore del comune, della provincia o della regione, a chiunque vi abbia interesse, nonché al prefetto rispettivamente competente. La competenza spetta in primo grado al tribunale nella cui circoscrizione è compreso l’ente della cui elezione si tratta. L’azione è esente da tasse e può esercitarsi senza patrocinio legale. Il giudizio, in realtà, ha ad oggetto l’accertamento di un diritto: esso si propone con ricorso depositato in cancelleria entro trenta giorni decorrenti dalla data della notifica (per il soggetto direttamente interessato) o dall’ultimo giorno di pubblicazione della delibera nell’albo pretorio (per gli altri soggetti); il presidente del tribunale fissa in via di urgenza la data dell’udienza di trattazione con decreto; entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto, il ricorrente deve notificare il ricorso, unitamente al decreto, ai controinteressati. Entro 15 giorni dalla notifica del ricorso le parti possono contraddire per iscritto. La causa viene decisa in camera di consiglio subito dopo l’udienza. Il dispositivo della sentenza è letto immediatamente in pubblica udienza dal presidente. Entro dieci giorni la sentenza deve essere depositata in cancelleria. E’ ammesso l’appello alla Corte d’appello entro venti giorni e, contro la sentenza di questa, il ricorso in Cassazione, sempre entro venti giorni. In pendenza di appello e fin quando non siano decorsi i termini per appellare, la sentenza di primo grado non diventa esecutiva. Per il principio di fungibilità dell’azione popolare, l’appello può essere proposto anche da un soggetto privato che non abbia partecipato al giudizio di primo grado. Il ricorso in Cassazione può invece essere proposto solo dalla parte soccombente. 85 Il legislatore ha proceduto ad attuare il decentramento della giurisdizione contabile e ad istituire il doppio grado di giurisdizione. A livello centrale, l’attività giurisdizionale della Corte dei conti è esercitata dalle prime tre sezioni e dalle sezioni riunite: ➔ le sezioni centrali svolgono funzioni di giudice di appello e giudicano con la presenza di cinque magistrati; ➔ le sezioni riunite, giudicanti con la presenza del Presidente e di sei magistrati, assicurano l’uniforme interpretazione e la corretta applicazione delle norme di contabilità pubblica (modello nomofilattico analogo a quello delineato dal cpa); decidono le questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali d’appello, dal Presidente della Corte dei conti o a richiesta del procuratore generale: la sezione di appello che non condivide un principio di diritto di cui debba fare applicazione, rimette alle sezioni riunite la decisione dell’impugnazione. Le sezioni riunite decidono anche sui regolamenti di competenza avverso le ordinanze che si pronunciano sulla competenza senza decidere il merito e avverso i provvedimenti che sospendono il processo. Infine, hanno competenza in unico grado con riferimento a materie indicate dalla legge. In tutti i capoluoghi di regione sono state istituite sezioni giurisdizionali, le quali giudicano con la presenza di tre giudici, compreso il Presidente. In materia di pubblico impiego, il giudice decide in composizione monocratica. Le funzioni del pubblico ministero sono esercitate dal procuratore generale, a tutela del corretto funzionamento dell’amministrazione pubblica. L’esercizio dell’azione pubblica di responsabilità, d’ufficio o su domanda, è irretrattabile. La competenza territoriale è distribuita secondo i seguenti criteri: a) criterio della residenza anagrafica del ricorrente nei giudizi pensionistici; b) criterio del luogo dove si è svolta l’attività di gestione o in cui si è verificato il fatto produttivo del danno per i giudizi di responsabilità dei dipendenti dello Stato o di enti pubblici aventi sede nella regione; c) criterio della sede dell’amministrazione presso cui operano i responsabili dipendenti o amministratori di regioni, città metropolitane, province, comuni e altri enti locali o regionali; d) riservati alla competenza funzionale della sezione giurisdizionale Lazio sono i giudizi di responsabilità in cui il fatto dannoso si è verificato all’estero e i giudizi pensionistici relativi ai residenti all’estero. I conflitti di competenza tra le varie sezioni regionali sono risolti dalle sezioni riunite della Corte. 2.1 Il giudizio di responsabilità amministrativa La responsabilità amministrativa viene fatta valere dal procuratore regionale della Corte dei conti, il quale agisce sulla base di una specifica e concreta notizia di danno (informazioni circostanziate e non riferibili a fatti ipotetici o indifferenziati), fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge (responsabilità tipizzate). Gli atti istruttori e processuali posti in essere in violazione di queste regole sono nulli e la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse in qualunque momento, rilevabile anche d’ufficio. Il procuratore ha notizia dell’evento produttivo di danno a seguito di autonoma iniziativa, anche su segnalazione da parte dei privati, o di denuncia. 86 L’obbligo di denuncia immediata è posto in capo all’organo di vertice dell’amministrazione e ai dirigenti e ai responsabili dei servizi in relazione ai settori cui sono preposti, ma anche agli organi di controllo e di revisione, ai magistrati della Corte dei conti con funzione di controllo. Vi è l’obbligo per la pubblica amministrazione denunciante di porre in essere tutte le iniziative necessarie a evitare l’aggravamento del danno, intervenendo ove possibile in via di autotutela o comunque adottando gli atti amministrativi necessari a evitare la continuazione dell’illecito e a determinarne la cessazione. Nei casi in cui la prescrizione del diritto al risarcimento sia maturata a causa di omessa denuncia o di ritardo, i responsabili rispondono del danno, la cui azione è proponibile entro cinque anni dalla data in cui la prescrizione è maturata. A questo punto, se il procuratore non decide di provvedere all’archiviazione, svolge la fase istruttoria, in cui è titolare di notevoli poteri: può richiedere l’esibizione di atti e documenti, avvalersi di consulenti, disporre accertamenti diretti, ispezioni, audizioni personali e sequestri documentali; egli, inoltre, può delegare le attività istruttorie, i cui atti devono essere motivati (a pena di nullità, fatta valere nella prima difesa successiva all’atto). Prima di notificare la citazione (mediante la quale la pretesa risarcitoria viene azionata), il procuratore invia al presunto responsabile un invito a fornire deduzioni, da depositare entro un termine non inferiore a quarantacinque giorni dal ricevimento dell’invito. L’invito deve esplicitare gli elementi essenziali del fatto, di ciascuna condotta contestata e del suo contributo causale alla realizzazione del danno contestato. Per conoscere le fonti di prova che stanno alla base dell’addebito, ai fini della difesa, è previsto uno speciale procedimento relativo al diritto di accesso agli atti detenuti dalle PA, in cui i termini sono ridotti a metà e, di fronte al diniego o al silenzio, l’interessato può chiedere l’intervento del pubblico ministero. Sempre nel termine di quarantacinque giorni, il presunto responsabile può chiedere di essere sentito personalmente. L’invito a dedurre fissa anche un importante limite all’esercizio di attività istruttorie, nel senso che dopo di esso il pubblico ministero non può più compiere attività, salva la necessità di compiere accertamenti sugli ulteriori elementi di fatto emersi a seguito delle controdeduzioni. L’istruttoria può terminare con l’archiviazione, quando la notizia di danno risulta infondata o gli elementi sono insufficienti a sostenere le contestazioni di responsabilità, per mancanza di colpa grave quando l’azione della PA si è conformata al parere reso dalla Corte dei conti. I fascicoli archiviati possono essere riaperti con decreto motivato del procuratore solo se sopravvengono fatti nuovi e diversi, successivi all’archiviazione stessa. Nel caso in cui abbia ritenuto non sufficienti o inattendibili le giustificazioni addotte dal presunto responsabile, il procuratore promuove l’azione mediante atto di citazione a comparire davanti la sezione giurisdizionale competente. La citazione (depositata nella segreteria del giudice entro 120 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni) deve contenere l’istanza di fissazione dell’udienza di discussione, cui si provvede con decreto fissando un termine non inferiore a venti giorni prima dell’udienza per la costituzione ed il deposito di documenti e memorie. Il pubblico ministero notifica l’atto di citazione con il decreto presidenziale. Tra il giorno della notifica e quello dell’udienza devono decorrere almeno novanta giorni liberi. 87 La citazione, che in caso di più convenuti deve indicare la quota di danno per ciascuno, è nulla se è omessa o risulta assolutamente incerta l’identificazione del convenuto o la sottoscrizione del pubblico ministero, l’individuazione o quantificazione del danno (o l’indicazione dei criteri per la sua determinazione), ovvero se manca l’esposizione dei fatti. Tuttavia, la costituzione del convenuto sana la nullità. Con riguardo alle azioni di tutela del credito erariale, il pubblico ministero può: ➢ può chiedere al presidente della sezione competente a conoscere del merito del giudizio il sequestro conservativo (ante causam e in corso di causa) di beni immobili e mobili del presunto responsabile, per evitare che venga meno la garanzia del credito dell’ente. Il Presidente provvede con decreto motivato, fissando l’udienza di comparizione delle parti dinanzi al giudice designato, entro un termine non superiore a 45 giorni. Questa seconda fase è a “contraddittorio pieno”, poiché con il medesimo decreto il presidente assegna al procuratore un termine massimo di 30 giorni per la notificazione della domanda e del decreto. All’udienza, il giudice designato, con ordinanza motivata, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto; ➢ può esperire l’azione revocatoria e quella surrogatoria. Il giudice competente a decidere sulle relative istanze è quello contabile. Qualora abbiano, in virtù di sentenza definitiva di condanna passata in giudicato per responsabilità erariale, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni o enti, l’amministrazione o l’ente danneggiati possono chiedere la sospensione del pagamento. Premesso che nel processo per responsabilità amministrativa il patrocinio legale è obbligatorio, quando il fatto dannoso costituisce ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale, tutte le parti nei cui confronti deve essere assunta la decisione debbono essere convenute nello stesso processo. Nei casi in cui alcune parti non siano state convenute, il giudice tiene conto di tale circostanza ai fini della determinazione della minor somma da porre a carico dei condebitori nei confronti dei quali pronuncia sentenza. Qualora nel corso del processo emergano fatti nuovi rispetto a quelli posti a base dell’atto introduttivo del giudizio, il giudice ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero per le valutazioni di competenza, senza sospendere il processo. Dal punto di vista dell’istruttoria, le parti hanno l’onere di fornire le prove dei fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. Il giudice pone poi a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalle parti costituite; valuta le prove secondo il suo prudente apprezzamento e può desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo. Ampi poteri istruttori sono riconosciuti al collegio: d’ufficio può disporre consulenze tecniche, ordinare alle parti di produrre atti e documenti necessari alla decisione, richiedere alla PA informazioni scritte relative ad atti e documenti che siano nella disponibilità della stessa, procedere all’interrogatorio non formale del convenuto, assistito dal difensore se costituito, ammettere mezzi di prova previsti dal cpc ad eccezione di interrogatorio formale e giuramento. Non è previsto l’intervento ad opponendum, ma solo quello a sostegno delle ragioni della procura. All’udienza pubblica, il magistrato relatore riferisce sulla causa; successivamente il convenuto, a mezzo del suo avvocato, può svolgere le proprie tesi difensive e il procuratore può illustrare l’accusa. 90 Dopo la trattazione orale della causa, il giudice pronuncia sentenza, provvisoriamente esecutiva nei casi in cui sia di condanna a favore del pensionato, dando lettura del dispositivo. La sentenza va depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia e la segreteria ne dà immediata comunicazione alle parti. Il giudice unico pronuncia sentenze dichiarative dell’esistenza o inesistenza del diritto nei confronti dell’amministrazione; sono peraltro ammissibili anche sentenze costitutive di annullamento, ad esempio, del provvedimento di liquidazione della pensione affetto da vizi di legittimità. Ove l’amministrazione non provveda al pagamento delle somme cui è tenuta, per l’ottemperanza della decisione si può esperire il giudizio di esecuzione dinanzi al medesimo giudice contabile, previa diffida. 2.5 I mezzi di impugnazione contro le decisioni della Corte dei conti Avverso le decisioni della Corte dei conti sono ammessi appello, revocazione, opposizione di terzo e ricorso per Cassazione (solo per motivi attinenti alla giurisdizione). L’appello si propone alle prime tre sezioni centrali entro sessanta giorni dalla notificazione della decisione o entro un anno dalla pubblicazione. In materia di pensioni, l’appello è consentito solo per motivi di diritto (per esempio, vizi che determinano la nullità della sentenza o del processo), mentre sono escluse le questioni di fatto. Il rimedio ha effetto sospensivo automatico dell’esecutività della sentenza di primo grado. Nel giudizio pensionistico, la sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado non è automatica, ma deve essere concessa dal giudice d’appello. Il ricorso per revocazione può essere proposto dalle parti e dal pubblico ministero: esso è rivolto al medesimo giudice che ha emesso la decisione. Il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione avviene per motivi inerenti alla giurisdizione, dalle parti o dal pubblico ministero entro sessanta giorni dalla notifica della sentenza impugnata o un anno dalla pubblicazione. Opposizione di terzo, ricorso per Cassazione e ricorso per revocazione non sospendono l’esecuzione della sentenza impugnata. Tuttavia, nel caso di revocazione e di opposizione, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, il collegio può disporre in camera di consiglio, sentite le parti, con ordinanza non impugnabile, che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione. 3. Le giurisdizioni amministrative speciali: il Tribunale superiore delle acque pubbliche Tale tribunale ha sede a Roma ed è composto da un presidente, quattro consiglieri di Cassazione, quattro consiglieri di Stato e tre tecnici membri effettivi del Consiglio superiore dei lavori pubblici, tutti nominati per cinque anni. Il Tribunale superiore delle acque pubbliche giudica in unico grado con l’intervento di sette votanti: il presidente, due consiglieri di Cassazione, tre consiglieri di Stato e un tecnico. Con riguardo alla procedura del giudizio, il testo unico fa rinvio al cpc e alle norme che regolano il processo innanzi al Consiglio di Stato. 91 Il processo si instaura con ricorso, che deve contenere la citazione a comparire in udienza a data fissa innanzi al giudice delegato. Il termine per proporre ricorso è di sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato; il ricorso deve essere notificato all’autorità amministrativa e ad almeno uno dei controinteressati. Almeno cinque giorni prima dalla scadenza del termine assegnato nel ricorso per la comparizione delle parti, esso, unitamente a copia del provvedimento impugnato, deve essere depositato dal ricorrente presso la cancelleria del giudice. Il ricorso non ha effetto sospensivo, ma su istanza di parte, ove ricorrano gravi ragioni, l’esecuzione dell’atto può essere sospesa con ordinanza motivata del giudice delegato, al quale spetta anche lo svolgimento dell’istruttoria. Le controversie che rientrano nelle materie devolute al Tribunale superiore delle acque pubbliche attengono agli interessi legittimi, anche se il criterio di individuazione della sua giurisdizione è quello della materia. Il Tribunale, di conseguenza, pronuncia tradizionalmente sentenze di annullamento, ma sono state anche ammesse sentenze dichiarative e risarcitorie. La sentenza è soggetta ad impugnazione, i cui mezzi sono: ➔ ricorso per revocazione nei casi previsti dall’art. 395 cpc, nei termini e con le modalità fissate dal codice di rito; ➔ ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione, entro quarantacinque giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza. Il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha duplice natura: di organo specializzato della giurisdizione ordinaria, quando giudica in grado di appello, e di giudice speciale, quando giudica in unico grado. Ogni tribunale delle acque è costituito da una sezione della Corte d’appello, alla quale sono aggregati tre funzionari dell’amministrazione statale dei lavori pubblici. 3.1 Segue: le altre giurisdizioni amministrative speciali ❏ le commissioni per i ricorsi in materia di brevetti decidono i ricorsi avverso i provvedimenti con i quali l’ufficio centrale dei brevetti ha respinto le domande volte ad ottenerne la concessione; ❏ i commissari regionali per la liquidazione degli usi civici, competenti a decidere le controversie circa l’esistenza, la natura e l’estensione dei diritti di godimento spettanti alle collettività su beni demaniali e privati che possono sorgere nel corso delle procedure di accertamento, valutazione e liquidazione degli usi civici; ❏ le commissioni di vigilanza per l’edilizia popolare ed economica; ❏ i consigli nazionali degli ordini professionali (per alcune professioni), che decidono in ultima istanza circa le questioni relative all’iscrizione all’ordine o alla materia disciplinare. SEZIONE II - I RICORSI AMMINISTRATIVI 4. I ricorsi amministrativi (nozioni generali) I ricorsi amministrativi sono istanze rivolte dai soggetti interessati ad una pubblica amministrazione per ottenere la tutela di una situazione giuridica soggettiva che si assume essere lesa da un provvedimento o da un comportamento amministrativo. Si tratta di rimedi giuridici offerti per la soluzione di una controversia che può sorgere dalla emanazione di un atto (ricorsi impugnatori), oppure, in via eccezionale, indipendentemente da esso (ricorsi non impugnatori). 92 Non hanno natura giurisdizionale: non sono rivolti ad un giudice, ma all’amministrazione, che non si trova in posizione di estraneità rispetto alle parti in causa e agli interessi coinvolti. Il procedimento che si instaura a seguito del ricorso ha carattere amministrativo, così come l’atto con cui l’autorità si pronuncia è un atto amministrativo espressione di autotutela. I ricorsi amministrativi sono retti dal principio della domanda e si svolgono nel contraddittorio tra le parti. Il privato ha un interesse giuridicamente protetto alla pronuncia e questo carattere vale a differenziare i ricorsi da altri atti con cui semplicemente si sollecita l’esercizio dei poteri di autotutela dell’amministrazione. I ricorsi amministrativi presuppongono che sia insorta una controversia e che vi sia la presenza di un atto, oggetto dell’impugnazione del privato, o comunque di un assetto di interessi già determinato dall’amministrazione. Il concetto di “atto definitivo” è strettamente collegato al tema dei ricorsi, nel senso che l’esaurimento di alcuni di essi (quelli ordinari) è condizione perché si l’atto definitivo; per altro verso, il ricorso al Presidente della Repubblica è straordinario in quanto esperibile avverso un atto definitivo. Quindi, la sussistenza o l’insussistenza della definitività è l’elemento discriminante per stabilire se un provvedimento sia suscettibile di un ricorso amministrativo ordinario o straordinario. La definitività si acquisisce con la decisione sul ricorso gerarchico, sul ricorso in opposizione, sul ricorso gerarchico improprio, oppure in caso di mancata decisione dell’autorità adita nel termine di novanta giorni dalla proposizione del ricorso. Sono definitivi anche gli atti espressamente dichiarati tali dalla legge (definitività esplicita). La definitività è altresì riferibile agli atti emanati dalle autorità di vertice dell’amministrazione (definitività soggettiva), come, ad esempio, gli atti dei ministri. Si ritiene che siano definitivi anche i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell’amministrazione e agli uffici dirigenziali generali. I ricorsi amministrativi offrono alla parte la possibilità di ottenere un’ulteriore pronuncia da parte dell’amministrazione, tendenzialmente in tempi rapidi e con una spesa inferiore rispetto a quella che il ricorrente dovrebbe sopportare in caso di ricorso giurisdizionale; alcuni ricorsi, inoltre, consentono di far valere vizi di merito, in linea di massima non sindacabili dal giudice. Con riguardo all’amministrazione, i ricorsi offrono al soggetto pubblico l’opportunità di risolvere in via “interna” le controversie, reintegrando l’ordine giuridico violato dalla emanazione di atti illegittimi ed evitando una pronuncia giurisdizionale sfavorevole. In materia di ricorsi amministrativi trovano applicazione molti dei principi relativi a condizioni dell’azione e presupposti processuali esaminati in tema di tutela giurisdizionale. Ad esempio, il ricorrente deve avere la legittimazione ad agire, che spetta ai titolari di una situazione giuridica soggettiva, e un interesse ad agire. Del pari devono ricorrere i caratteri della personalità, immediatezza e attualità dell’interesse e valgono alcuni tra i presupposti di ricevibilità stabiliti per i ricorsi in sede giurisdizionale: in particolare, l’assenza di acquiescenza e il mancato decorso del termine per la proposizione del ricorso. Il ricorso deve essere redatto in forma scritta e deve contenere l’indicazione dell’autorità adita, generalità del ricorrente, estremi del provvedimento impugnato, motivi di impugnazione, data, la sottoscrizione del ricorrente. Non è richiesto il patrocinio di un avvocato. 95 Il ricorso gerarchico improprio è un rimedio ordinario, ammesso nei casi tassativamente previsti dalla legge, proponibile ad un’autorità che, pur non essendo quella gerarchicamente superiore rispetto all’autorità che ha emanato l’atto, è investita di un potere di generica vigilanza; di norma la parte può far valere solo vizi di legittimità. Il ricorso in opposizione è un ricorso ordinario e a carattere rinnovatorio, proponibile, nei casi tassativamente previsti dalla legge, alla stessa autorità che ha emanato l’atto impugnato, la quale agisce esercitando un potere diverso da quello utilizzato al momento dell’emanazione dell’atto. Il ricorrente può far valere sia vizi di legittimità, sia vizi di merito. 6. Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica Si tratta di un rimedio di carattere generale, esperibile contro i provvedimenti definitivi di qualsiasi autorità, anche se si tratta di una autorità amministrative indipendenti o di una amministrazione regionale, per la tutela sia di diritti soggettivi, sia di interessi legittimi. Il provvedimento, pur non essendo formalmente giurisdizionale, è suscettibile di tutela mediante il giudizio di ottemperanza. Ai sensi dell’art. 7 cpa, il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa. Ulteriori limitazioni: in ossequio al principio di celerità, il rito speciale sulle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture si caratterizza per la previsione della sola possibilità di proporre ricorso dinanzi al giudice amministrativo; l’art. 128 cpa esclude l’esperibilità del ricorso straordinario con riferimento al contenzioso sulle operazioni elettorali. Il ricorrente può far valere solo i vizi di legittimità dell’atto. Il ricorso si caratterizza per: 1. l’alternatività nei confronti del ricorso giurisdizionale amministrativo; ciò comporta che il ricorso straordinario non può più essere ammesso quando lo stesso provvedimento definitivo sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale e, per altro verso, non è più ammesso il ricorso giurisdizionale amministrativo quando sia stato proposto ricorso straordinario da parte del medesimo ricorrente; 2. maggiori garanzie del principio del contraddittorio rispetto agli altri ricorsi amministrativi; 3. obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato; 4. presenza di un termine di impugnazione più ampio rispetto a quello stabilito per il ricorso giurisdizionale amministrativo, di 120 giorni. I soggetti controinteressati, in caso di proposizione di ricorso straordinario, si vedrebbero privati del diritto di ottenere una pronuncia giurisdizionale in ordine ad una controversia che incide sulle loro posizioni giuridiche. Di qui la possibilità che essi facciano opposizione a che il ricorso sia trattato in sede di ricorso straordinario, chiedendo che questo sia trasferito alla sede giurisdizionale. Si tratta della c.d. opposizione dei controinteressati: il mancato esperimento di tale facoltà di scelta preclude loro l’impugnazione della decisione in sede giurisdizionale. L’art. 48 cpa, disciplinando l’opposizione, parla genericamente di “parte nei cui confronti sia stato proposto il ricorso straordinario”, dunque sembra che l’opposizione medesima possa essere proposta anche dall’amministrazione resistente. L’opposizione si propone con atto da notificarsi alle altre parti entro 60 giorni dalla data di ricevimento della notificazione del ricorso straordinario, rendendo improcedibile il ricorso stesso. 96 Il giudizio prosegue in sede giurisdizionale a seguito della trasposizione dinanzi al Tar se il ricorrente, entro il termine perentorio di 60 giorni dal ricevimento dell’atto di opposizione, deposita nella relativa segreteria l’atto di costituzione in giudizio e notifica alle altre parti. Si tratta di una riassunzione che non deve contenere motivi nuovi. Le pronunce sull’istanza cautelare rese in sede straordinaria perdono efficacia alla scadenza del sessantesimo giorno successivo alla data di deposito dell’atto di costituzione in giudizio. Qualora l’opposizione sia inammissibile, il Tar dispone la restituzione del fascicolo per la prosecuzione del giudizio in sede straordinaria. Entro il termine di centoventi giorni, il ricorso non solo deve essere notificato nei modi e con le forme prescritti per i ricorsi giurisdizionali ad almeno uno dei controinteressati, ma anche presentato, con la prova dell’eseguita notificazione. La presentazione, che corrisponde al deposito del ricorso notificato nel processo amministrativo, può avvenire secondo tre modalità: consegna diretta, notificazione o lettera raccomandata con avviso di ricevimento (la data di spedizione vale come data di presentazione). La legge non richiede la notifica del ricorso nei confronti dell’autorità che ha emanato l’atto . Il problema non si pone se viene impugnato un atto statale, in quanto la presentazione del ricorso investe della questione l’autorità di vertice del settore di amministrazione cui appartiene l’organo che ha emanato l’atto oggetto di impugnativa. Se, invece, l’autorità emanante è un’amministrazione non statale, è stata affermata la necessità della notificazione anche all’amministrazione non statale. I controinteressati, entro sessanta giorni dalla notificazione del ricorso (termine non perentorio), possono presentare memorie e documenti al Ministero che istruisce la pratica, e proporre ricorso incidentale, in tal ultimo caso il termine di sessanta giorni è perentorio. Trascorsi sessanta giorni, inizia a decorrere un altro termine, di centoventi giorni, entro il quale il ministero competente deve effettuare l’istruttoria e trasmettere il ricorso istruito, insieme con gli atti e i documenti che vi si riferiscono, al Consiglio di Stato per il parere previsto dalla legge. Può accadere che il termine non sia rispettato dal ministro. In questo caso il ricorrente può notificare al ministro un atto con cui chiede se il ricorso è stato trasmesso al CdS. In caso di risposta negativa o di mancata risposta entro trenta giorni, il ricorrente può depositare direttamente una copia del ricorso presso il CdS, affinché quest’organo renda il parere. Conclusa l’istruttoria, il ministero competente deve trasmettere atti, documenti e la propria relazione al CdS affinché emetta il suo parere, salva la possibilità per il CdS di chiedere un supplemento di istruttoria o l’integrazione del contraddittorio. Il ricorso straordinario viene deciso con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministro competente in base al parere conforme del Consiglio di Stato, al quale, in sostanza, spetta la paternità sostanziale della decisione. In caso di annullamento di atti amministrativi generali o a contenuto normativo la legge prescrive che, entro trenta giorni, sia data pubblicità della decisione nelle stesse forme previste per gli atti annullati. La decisione del ricorso straordinario, per il suo carattere amministrativo, è ritenuta assoggettabile all’istituto della disapplicazione da parte dell’autorità giurisdizionale ordinaria e impugnabile dinanzi al giudice amministrativo, anche se solo per vizi di forma e di procedura propri della decisione. 97 E’ anche previsto il rimedio della revocazione nei casi previsti dall’art. 395 cpc. Il ricorso, diretto allo stesso Presidente della Repubblica, deve essere presentato nell’osservanza delle forme previste per il ricorso straordinario. L’amministrazione è tenuta a dare esecuzione alla decisione. Infine, il decreto che decide il ricorso è anche sottoposto al sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione.