Scarica I DIRITTI UMANI: CONCETTO, TEORIA, EVOLUZIONE capitolo 1 e più Sintesi del corso in PDF di Diritti Umani solo su Docsity! I DIRITTI UMANI: CONCETTO, TEORIA, EVOUZIONE CAPITOLO 1 IL CONCETTO DI DIRITTI UMANI: DEFINIZIONE, GENESI E STRUTTURA SOMMARIO: 1. Premessa terminologica. - 2. La nozione giuridica di diritti umani: elementi costitutivi. - 3. Dai diritti naturali ai diritti umani come limite alla sovranità statale interna. - 4. Diritti fondamentali, Stato di diritto e principio di eguaglianza formale. - 5. Diritti fondamentali, Stato sociale e principio di eguaglianza sostanziale. - 6. | limiti euristici delle classificazioni dei diritti. 1. Premessa terminologica. Si propone, qui, una definizione dei diritti umani (HR), intesi come nozione giuridica ovvero come diritti positivi, mirante a valorizzare in essi due elementi. Innanzitutto il legame non recidibile tra elementi giuridici ed elementi morali. L'obiettivo è di evitare sia l’appiattimento della forza ideale dei HR sul livello di concretizzazione raggiunto in un dato contesto e in un dato tempo sia la loro liquidazione come ideale astratto, privo di relazioni con la sfera del diritto positivo. In secondo luogo, la definizione proposta mira a valorizzare, nel concetto di HR, il carattere potenziale e dinamico. L'interazione fra componente morale e componente giuridica spiega la costante potenzialità dei diritti, i quali sono sempre soggetti ad evolvere in nuovi modi; le specifiche modalità con cui i diritti si trasformano da ideale morale in concetto giuridico permettono di dar conto, poi, del loro dinamismo. Questa natura dinamica spiega il carattere spesso parziale della positivizzazione dei diritti, carattere esprimentesi sia nella gradualità con cui la volontà politica è andata realizzando gli input giuridici in materia, sia nella gradualità con cui questi stessi input si sono andati formando, in un processo che vede nei produttori del diritto gli attori principali, ma nel quale spesso anche gli organi giurisdizionali hanno svolto un ruolo determinante. Il termine “diritto” inteso in senso soggettivo indica una pretesa giusti- ficata (Guastini 1994, 164). | lemmi ‘HR’ in senso giuridico e ‘diritti fondamentali’ (FR) (intesi come legal rights) indicano pretese giustificate da ragioni particolarmente forti sotto il profilo morale e sostenute, all’interno di un ordinamento giuridico, da fonti di particolare livello gerarchico: la Costituzione o la legge. Pretese giustificabili sotto il profilo morale, ma non supportate da norme giuridiche, sono classificabili come diritti morali (MR, moral rights). E evidente che i HR presentano un duplice volto: morale e giuridico. La dimensione morale giustifica il loro carattere inviolabile; la dimensione giuridica è necessaria per rendere esigibile il loro contenuto e per individuare percorsi di garanzia sul piano dei rapporti civili ed istituzionali. In tal senso, è corretto sostenere che giustizia, normatività ed efficacia siano tre livelli imprescindibilmente propri del concetto di HR. Per procedere ad affrontare alcune ulteriori questioni connesse alla definizione dello statuto giuridico dei HR, è necessario introdurre la distinzione fra la categoria dei HR e quella dei diritti fondamentali (FR). La distinzione si discosta da quella finora avanzata da taluni fra i teorici del diritto più accorti a questo riguardo. Quest'ultima prospettiva, definibile funzionale, associa alla nozione di HR una funzione filosofica ideale ed un carattere astratto e invece a quella di FR_ una funzione giuridica ed un carattere concreto. | HR possono trasformarsi in FR, qualora siano concretizzati all’interno di un ordinamento giuridico nazionale e all’interno di. Di qui la preferenza accordata ora al lemma ‘HR’ da parte di chi muova da una concezione giusnaturalistica oppure intenda sviluppare una riflessione filosofica sui diritti, ora invece al lemma ‘FR’ da parte di quanti accolgono la prospettiva giuspositivistica o intendano affrontare il tema dei diritti in chiave giuridico-positiva. La distinzione ora sintetizzata sembra incontrare due limiti essenziali: in primo luogo, non può assumere una funzione euristica rispetto ai processi di positivizzazione odierni, dove la questione dei diritti non si risolve più all’interno dei singoli ordinamenti giuridici, a vantaggio di una crescente osmosi tra ordinamenti statali, internazionale e ora anche comunitario. In secondo luogo, rischia di assecondare una radicata tendenza all’inasprimento della dicotomia fra teoria e prassi, la quale impedisce di scorgere l’articolarsi di evoluzioni concettuali entro i concreti contesti storici. Ciò significa anche escludere ogni possibilità di controllo, per ragioni diverse, sul contenuto sia dei HR che dei FR. Quest'ultimo dipenderà, infatti, sempre dalle condizioni del contesto istituzionale svincolate dal riferimento ad elementi di giustificazione almeno tendenzialmente universali; il primo sarà, invece, determinato in base a condizioni di razionalità astratta svincolate dalla loro possibilità di concretizzazione. La teorizzazione filosofica viene così sollevata da ogni responsabilità nei confronti delle conseguenze determinate entro i contesti reali; ed i contesti politici, giuridici e sociali vengono allontanati dal confronto con i principi e con la razionalità. Muovendo da questa distinzione non sarebbe possibile stabilire quali dovrebbero essere i diritti da riconoscere all’interno di un dato contesto, stabilire i meccanismi tramite i quali i diritti possono entrare a far parte delle “condizioni di autocomprensione” di una comunità o fungere da sommi criteri di riconoscimento di un ordinamento giuridico, né esprimere valutazioni sullo stadio di positivizzazione di volta in volta raggiunto dai HR. Contro la prevalente convinzione della loro equivalenza, è bene chiarire una distinzione fra HR e FR. Entrambi costituiscono sottoinsiemi di una categoria più ampia di diritti, rappresentata dai diritti soggettivi, ossia dalle posizioni giuridiche che conferiscono, tramite norme giuridiche, al titolare immunità, facoltà, poteri, o pretese. Sono FR i diritti soggettivi riconosciuti da fonti di rango costituzionale. Sono HR i diritti soggettivi riconosciuti da fonti internazionali. In termini ancora generali e provvisori si può affermare che la cifra identificativa dei diritti umani sia il loro legame con dimensioni essenziali dell'essere umano in quanto tale, ad esempio il fatto di esprimere bisogni, interessi o valori essenziali per una vita umana degna, oppure decente. Le due categorie si distinguono anche rispetto ad un altro elemento: la struttura della titolarità. | diritti umani sono diritti riconosciuti nelle fonti internazionali, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 (UDHR) e dai Patti internazionali sui diritti civili e politici del 1966 (ICCPR). Tanto i HR quanto i FR sono una classe speciale dei diritti soggettivi, ma la differenza riguarda precisamente (a) il contesto normativo di riferimento, per i primi è l’ordinamento internazionale, per i secondi quello interno; (b) l'estensione della titolarità, coincidente con la persona per i HR e tale da ammettere o non escludere necessariamente eventuali restrizioni (la cittadinanza, esempio) nel caso dei FR. Negli ultimi decenni, un ulteriore livello normativo, l'ordinamento comunitario, è andato riservando uno spazio crescente ai FR. La distinzione concettuale (e non ontologica né funzionale) tra FR e HR qui difesa non impedisce di predisposizione di misure a tutela dei beni civili. | NR costituiscono la chiave di volta che porterà al formarsi dello SDD e dello Stato costituzionale. Sotto il profilo sostanziale è la questione religiosa, con lo scenario creato dalle guerre di religione, a sollecitare la riflessione lockiana ed è questa la ragione per cui si è sostenuto che la LB religiosa costituisca il nucleo originario dell'intero complesso dei diritti civili. La prospettiva contrattualistica, mediante la metafora del “contratto sociale”, assegna uno spazio centrale al consenso individuale. Il potere politico (PP) risulta legittimato a condizione di ricevere il consenso dei singoli, i quali preferiranno vivere entro lo Stato a condizione che si tratti di uno Stato impegnato nella garanzia di quei NR di cui gli individui sono già titolari nello stato di natura. La circostanza del contratto sociale contiene i parametri per la legittimazione dello Stato e del PP: l’organizzazione politica è un rimedio ai difetti di garanzia dei NR e della LB naturale dell’uomo e può dirsi legittima nella misura in cui rispetti le ragioni fondanti il consenso dei singoli. Colpisce la centralità assegnata alla LB, una LB che, diversamente dalla descrizione fornitaci da Hobbes, è “perfetta”, cioè non esposta ai pericoli dell’altrui abuso e dell’altrui sopraffazione. In Hobbes lo stato di natura è disordine assoluto, sul quale il PP fonda la propria legittimità in quanto realizzatore di ordine, pace, sicurezza. Nella descrizione di Locke è, invece, assente il concetto di guerra di tutti contro tutti, sicché anche lo Stato non è sempre e comunque una soluzione preferibile allo stato di natura, ma lo è solo a condizione che rispetti determinati vincoli: la non arbitrarietà nell'esercizio della sovranità; il suo mantenersi entro i confini delle proprie prerogative; il rinviare ad un diritto certo ed eguale per tutti. Inoltre, nella prospettiva lockiana, giustizia e ingiustizia sono determinabili già nella condizione naturale, sicché risulta più coerente e motivata la tesi secondo cui il diritto positivo debba ricercare nel diritto naturale il proprio riferimento assiologico (assiologia = dottrina dei valori, il diritto naturale è il riferimento valoriale del diritto positivo). Lo stato di natura lockeano finisce per assumere una duplice configurazione: da un lato descrive “l'ordine normativo conforme alla ragione umana”, dall'altro evidenzia che tale ordine naturale è consegnato alla capacità dei soggetti di realizzarlo, ed in questo senso è un potenziale stato di guerra. Si noti tuttavia che l'accento viene posto sul fatto che lo Stato deve agire in modo non arbitrario e giusto, vale a dire rispettando i diritti individuali; in caso contrario sarebbe preferibile lo stato di natura. Il modello di stato proposto ed elaborato da Locke si dice “liberale”. | NR riconosciuti nello stato di natura e difesi dallo Stato sono il diritto alla vita, alla LB ed alla proprietà. Ancora, della condizione di eguaglianza (EG) che contraddistingue gli uomini nello stato di natura viene sottolineata la dimensione della EG ad una comune natura, in modo che siffatta EG non è all'origine del conflitto, ma la ragione per la quale sarebbe ingiusto che gli individui si distruggessero l’un l’altro. Oltre che liberi, nello stato di natura, gli individui sono anche eguali. Libertà (LB) ed EG sono i principi che il PP legittimo deve impegnarsi a garantire nella con- dizione civile. L’EG gioca in Locke un ruolo opposto a quello svolto nella ricostruzione hobbesiana: proprio perché eguali, gli uomini non devono ledere la vita né la proprietà altrui, laddove, per Hobbes, l’EG conduce alla guerra di tutti contro tutti. Per questo si afferma che nell’idea lockiana di EG vi sia una componente deontologica (studio di determinati doveri), anzi, un fondamento deontologico, giacché è imposta agli uomini dalla legge di natura, la quale stabilisce anche il limite alla LB naturale nel dovere di riconoscere la LB altrui. La fiducia di Locke nella razionalità degli individui è tale da ammettere la punizione dei trasgressori, con finalità sia retributiva che preventiva. La punizione di quanti trasgrediscano, per un difetto di conoscenza, alla legge di natura è consentita perché chi commette una simile violazione diviene pericoloso per l’intera specie. La ragione giustificante la necessità del passaggio allo stato civile è in Locke rappresentata dal rischio che gli uomini procedano talora alla punizione in modo parziale e che si lascino trascinare dalle passioni anziché farsi guidare dalla ragione. Affinché le leggi di natura siano rispettate e la punizione inferta giustizia, è necessario un potere che le renda esecutive ed è necessario istituire un terzo che giudichi delle violazioni alla legge naturale, che dirima le controversie. Il limite della legge naturale è quello di essere solo direttiva e non coattiva, ossia di indicare ciò che è giusto ma di non poter costringere l’individuo ad adottare un comportamento ad essa conforme. Locke muove dal fondamentale presupposto dell’individualismo e non può non giungere alla conseguente idea della potenziale divaricazione tra bene collettivo e bene individuale, idea che è alla base del conflitto potenzialmente sotteso alla convivenza umana. Non si dà in Locke la possibilità di individuare un bene comune come bene in sé. Il contrattualismo lockeano risposa su premesse riconducibili a varie forme di individualismo: antropologico, in base al quale l'identità o gli obiettivi del singolo non dipendono dal contesto; etico, per il quale l'individuo è in quanto tale portatore di valori; e metodologico, secondo cui la spiegazione dei fini del vivere civile e dell’ordine politico nascono dall'assunzione del pdv dell'individuo come decisivo. Ciò ha importanti ripercussioni sulla formazione del concetto di legge secondo i canoni tipici della tradizione liberale e dello Stato liberale. L'uomo è spinto ad associarsi, ma la forma di associazione rappresentata dallo Stato è qualitativamente distinta dalle altre. Inoltre, a spingere gli individui verso la vita associata sono impulsi di necessità, vantaggio e inclinazione, impulsi legati al perseguimento dell’utile individuale. Locke pare consapevole dell’impossibilità di eliminare conflitto e dissenso entro l’organizzazione civile. Anzi, la concezione lockiana dello Stato presenta la mancanza di dissenso come una situazione sgradita, espressione di un governo totalitario e non rispettoso dei diritti individuali. La necessità di giungere ad una decisione e di far sì che lo Stato si muova come un corpo politico impone il rispetto della decisione accettata dalla maggioranza, ma la maggioranza deve essere la somma delle volontà individuali. La posizione lockiana, appare decisamente più articolata e consapevole delle difficoltà legate alla rappresentanza. La rappresentanza in Locke è il parametro per la legittimazione dell’esercizio del potere, la garanzia del rispetto dei diritti. La difesa delle istanze garantiste è evidente nella concezione lockiana nella limitazione dei poteri dello stato. Compito dello stato civile è quello di regolare l’espressione della LB individuale, limitando al minimo le interferenze. Lo Stato lockeano è uno Stato “minimo” e rappresenta il modello classico liberale: uno Stato il cui unico obiettivo consiste nel reprimere la violazione dei diritti individuali e nell’impedire l'interferenza reciproca tra gli individui. Il funzionamento del potere deve pertanto essere guidato da garanzie: in questo senso va intesa la teorizzazione lockiana della tolleranza religiosa (garanzia nei confronti della LB di pensiero e di coscienza del cittadino), della separazione dei poteri e del privilegio assegnato al potere legislativo. Ultima garanzia contro l’abuso di potere è il cosiddetto “appello al Cielo”, ossia il diritto di resistenza, cui l'individuo lockeano non rinuncia neppure con il contratto sociale. Quando il PP è esercitato in senso contrario al mandato ricevuto con il contratto sociale, il popolo ha il diritto di disobbedire, di resistere. Troviamo qui espresso il legame fra legge naturale e legge positiva e la legittimazione svolta da tale legame nei confronti della legge positiva stessa. La limitazione del PP è impostata sulla distinzione tra sfera pubblica - di competenza statale - e sfera privata - regno individuale. Il contesto che conduce all'elaborazione di questa tesi è rappresentato dalle guerre di religione e dalla teoriz- zazione del concetto di tolleranza da parte del filosofo inglese: quel principio ritenuto fondamentale per la convivenza di uomini con diverse credenze religiose all’interno della medesima comunità politica. La nozione di beni civili, come oggetto sul quale si esercita la sovranità interna, limita l'ambito di intervento legittimo dello Stato nella vita dei cittadini. La prospettiva lockiana ci presenta tutti gli elementi relativi alla concezione dello Stato e dei suoi fini, della legge e del suo spazio di competenza, nonché dei diritti come principale chiave di volta per la legittimazione del PP. Minore incidenza ha dimostrato la prospettiva di Rousseau. Due sono gli elementi di cui Rousseau intende rendere conto con la propria giustificazione delle origini della sfera politica: l'elemento della LB del singolo individuo e l'elemento del bene comune. Quest'ultimo dovrà necessariamente possedere dei requisiti che ne giustifichino l’importanza, ma nel rispetto della LB individuale. Con il contrattualismo si pone il problema del potenziale dissidio tra interesse individuale e bene comune. Per questo il problema della filosofia politica diviene quello di conciliare le due istanze - quella particolare/individuale e quella generale/sociale e politica. In Rousseau la soluzione a tale dissidio viene formulata attraverso il concetto di volontà generale. Quest'ultima si impone come sintesi della LB di ogni individuo e quindi anche dei suoi interessi particolari, trasvalutandoli. Il singolo individuo trasferisce alla società (attraverso il contratto) la propria LB, ritrovandola in quanto cittadino e riconoscendosi pertanto nella volontà che la società vorrà esprimere, in quanto suo membro. Nel Contratto sociale viene ribadita la necessità dell'ordine politico di fondarsi sulla volontà generale e non sulla volontà individuale. Per Hobbes il contratto ha una duplice scansione e caratterizzazione: si presenta come “pactum unionis” e come “pactum domi- nationis”. In Rousseau è il primo ad avere un ruolo decisivo, tanto da assorbire in sé anche il secondo. L'andamento dell’argomentazione di Rousseau rende evidente l’obiettivo che essa LB propone di raggiungere: l'individuazione e la giustificazione di un ordine politico che rispetti la LB del singolo individuo e al tempo stesso legittimi il dovere di osservanza nei suoi confronti. All’analisi del concetto di LB segue la ricerca della legittimazione del potere. La difficoltà di conciliare il PLB con la legittimazione di un ordine politico che non sia fondato sulla mera forza emerge con evidenza. Alla base del contratto sociale v'è, da parte di ciascuno, la cessione di tutti i diritti alla comunità. L'idea dell’alienazione totale dei diritti è fondamentale: essa non si ritrova, in questi termini nelle teorie degli altri contrattualisti. Per Rousseau la totale alienazione dei NR è funzionale a garantire la stabilità del vincolo associativo. Siamo di fronte ad un’interpretazione del momento associativo come processo di non siano autorizzati alla creazione di norme; (3) i giudici abbiano l'obbligo di conoscere le leggi; (4) i giudici non sono autorizzati a disapplicare le leggi; (5) i giudici sono soggetti solo alla legge. A quest’ultimo proposito va sottolineato che le cose stanno in termini più complessi. Per effetto del processo di “costituzionalizzazione dell'ordinamento giuridico”), ovvero del processo mediante il quale la Costituzione permea ogni livello normativo dell'ordinamento, la Costituzione non’ solo rappresenta un livello normativo ulteriore rispetto a quello legislativo e in grado di controllare quest’ultimo, ma anche intro- duce nell'ordinamento giuridico principi e concetti capaci di svilupparsi capillarmente all’interno di esso, non raramente per il tramite dell’atti- vità giudiziaria. Con la costituzionalizzazione dell'ordinamento si è affermato il principio per il quale la Costituzione diviene anche punto di riferimento per l’interpretazione delle norme di grado inferiore. L'interpretazione adeguatrice diviene un canone interpretativo. Lo SDD rinvia, a livello filosofico, ad una preferenza di fondo per un ordine politico razionale e prevedibile; per una prospettiva individualistica dell’uomo e del suo rapporto con lo Stato. Esso, pur non implicando di per sé un giudizio etico-politico sul contenuto delle leggi, non è un modello autoreferenziale ed orienta invece l'applicazione dei principi sopra richiamati alla tutela dei FR. Finché il potere legislativo, che sfugge al controllo esercitabile tramite il principio di legalità, non verrà sottoposto a specifici vincoli, determinati dalla Costituzione tramite il principio di legittimità, questo obiettivo non può dirsi garantito. Lo Stato di diritto contiene, un’intima contraddizione, nella misura in cui, pur mirando alla realizzazione degli ideali espressi nelle carte dei diritti, non presenta 5. Diritti fondamentali strumenti giuridici sufficienti alla loro sicura e stabile realizzazione. Connesso al principio di legalità vi è il PEG in senso formale. Esso riguarda l’esercizio del potere giudiziario, ed impone l'applicazione imparziale delle norme ma anche l'esercizio imparziale del potere legislativo, nella misura in cui vieta l'emanazione di provvedimenti discriminatori per qualche soggetto giuridico. L'universalità non riguarda tanto il contenuto delle norme, quanto il rapporto tra ratio e contenuto: la norma deve disciplinare tutti e soli i casi cui la sua ratio è riferibile. Ciò si connette alle proprietà della generalità e dell’astrattezza associate per definizione alla legge. Di fatto, non tutte le norme sono generali, aumentano le leggi provvedimento, che riguardano precise categorie di persone; non tutte le norme sono astratte. Se non può mirare a garantire l’universalità delle norme, il PEG esclude quelle differenziazioni che non si riconducono ad uno scopo. Stato sociale e principio di eguaglianza sostanziale. Il modello dello Stato sociale, con il PEGS, è alla base delle numerose e complesse istanze che inducono progressivamente al riconoscimento dei diritti sociali. Il PEG è enunciato nella Costituzione italiana all'art. 3. Il primo comma di tale articolo esprime il principio di EGF e risulta connesso, al principio di legalità ed all'essenza dello SDD. Il PEG non implica assoluta parità di trattamento, bensì che situazioni eguali siano trattate in modo eguale e situazioni diverse in modo diverso. Il secondo comma dell'art. 3 costituisce una puntualizzazione di questo aspetto dell’EG: lo Stato è chiamato a considerare le concrete situazioni di partenza dei soggetti e a rimuovere le cause di potenziali forme di discriminazione lesive della pari dignità e del pieno sviluppo della persona. Il fine che lo Stato si prefigge è la garanzia dell’EG. Nel primo caso tale fine è raggiunto mediante l'astensione da parte del potere legislativo/giudiziario, da provvedimenti discriminatori. Nel secondo caso l’obiettivo è raggiunto mediante l'attuazione di programmi e l'erogazione di servizi miranti ad azzerare gli effetti altrimenti discriminatori esercitati da differenze naturali o sociali tra gli individui. Il principio di EG è il cardine del nostro sistema costituzionale ma anche un parametro fondamentale nell’interpretazione dell’intero ordinamento giuridico. Ciò significa che l’art. 3 Cost. è una delle norme-para- metro maggiormente invocate nei giudizi di legittimità costituzionale. Da esso traggono giustificazione i diritti sociali. Le misure poste in essere in applicazione del principio di EGS e tali da realizzare una “discriminazione inversa” si dicono “azioni positive”. In esse l’EG rappresenta il fine. Obiettivo generale delle azioni positive è la garanzia a tutti gli individui di pari opportunità relativamente ad alcuni aspetti salienti e condizionanti la loro dignità ed il loro benessere. Esse includono misure di tutela ma anche misure di promozione sulla scorta dell’accoglimento di una visione pluralistica o multiculturale della società. Ai diritti sociali, principale strumento nella costruzione delle azioni positive, risultano correlati obblighi dalla struttura diversa rispetto a quelli connessi ai diritti civili. AI variare della struttura dell'obbligo correlativo connesso ai diritti sociali mutano anche alcuni aspetti essenziali del modo di intendere il rapporto tra individuo e Stato. L'obbligo correlativo dei diritti civili è essenzialmente negativo ed implica per lo Stato un dovere di non intraprendere una serie di azioni. L'obbligo correlativo creato dai diritti sociali è invece di tipo positivo ed impone allo Stato di attivarsi, di intervenire per offrire servizi o assistenza. La garanzia dei diritti civili riconosciuti nella Costituzione non richiede ulteriori passaggi legislativi, richiede la predisposizione di misure sanzionatorie; la garanzia dei diritti sociali richiede invece il passaggio attraverso la fase attuativa, realizzata mediante lo strumento legislativo. La legge nel caso dei diritti sociali si trasforma in strumento di elaborazione di programmi di attuazione. Lo Stato sociale rappresenta un modello di organizza- zione istituzionale distante dallo SDD liberale. Quest'ultimo risulta imperniato su quello che è stato denominato come “stato minimo”, uno Stato che non interviene se non per impedire l'interferenza all’interno della sfera privata dei singoli, un concetto pienamente compatibile con l'ideale della LB negativa, intesa come LB di agire. Lo Stato sociale è invece chiamato ad “assistere” l'individuo e il cittadino, è uno Stato che deve intervenire nei rapporti tra gli individui e all’interno delle rispettive sfere private. Lo Stato liberale favorisce l’idea dei diritti come “side-constraints” (Nozick 1974, 28-35), come vincoli col- laterali sulle azioni dei soggetti diversi dal titolare. Dire che un soggetto ha un diritto significa affermare che alle altre persone sono interdetti tutti i comportamenti che interferiscano con il godimento di quanto previsto dal contenuto del diritto. Lo Stato che si apre al riconoscimento dei diritti sociali crea un contesto istituzionale rispetto al quale la giustificazione e la comprensione dei diritti subisce un ampliamento, anche a scapito della coerenza. Se i FR/HR nascono come strumenti per tutelare le ragioni dell'autonomia individuale contro lo Stato e contro fini collettivi, può risultare difficile far rientrare entro questo disegno la struttura, come pure i contenuti, dei diritti sociali. Si ritiene che diritti civili e diritti sociali presiedano a due logiche in conflitto: quella “del mercato, del contratto e della proprietà”, e quella “dell’attribuzione ai cittadini di diritti sociali”. Se la tendenza a leggere in termini dicotomici il rapporto fra LB ed EG può ricondursi ad una pregiudiziale visione dello Stato, dalla quale dipendono i criteri per stabilire la soglia “minima” di diritti sociali tollerabili dal sistema, l’idea di LB ed in generale gli obiettivi di una comunità politica, non ci si deve nascondere l’esistenza di elementi di tensione fra le idee di Stato e di legge sottese ai diritti civili e ai diritti sociali. Essi sono però da riconoscere ad un livello più profondo, nelle pieghe della complessità del concetto di EG, di fronte alla quale la distinzione tra aspetto formale ed aspetto sostanziale può risultare artificiosa e di scarsa utilità. L’EGS richiede che si stabilisca quali siano le differenze rilevanti ai fini della tutela o della promozione e quale sia il livello adeguato di vantaggio, di tutela o di promozione da accordare. Ciò richiede un costante dialogo tra piano giuridico e piano extra-giuridico e solleva problemi di fronte ai quali non esiste un criterio valido a priori. La difficoltà filosofica di fondo emerge quando si noti che una caratteristica moralmente e giuridicamente irri- levante, nella misura in cui si dimostri essere all'origine di discriminazioni, diviene rilevante ai fini della definizione dei destinatari di azioni risarcitorie, di tutela o di promozione. Ma la difficoltà può essere ulteriormente articolata: se un gruppo ha subito ingiustizia, è (moralmente e giuridicamente) legittimo utilizzare tale caratteristica come base per fornire speciali trattamenti o vantaggi come forma di riparazione. L'idea di EGS costringe il diritto a prendere in considerazione non soltanto individui ma anche gruppi o categorie, risulta indirizzata anche verso entità collettive. Buona parte dei diritti sociali può risultare deficitaria sotto il profilo dell’universalità: la loro titolarità è legata alla sussistenza di specifiche condizioni denotanti l'appartenenza del titolare a gruppi svantaggiati. E ciò può essere un problema, se si muove dal presupposto che un diritto possa dirsi fondamentale solo qualora sia attribuibile a tutti. Infine, il principio di EG è da tempo al centro di numerose critiche, principalmente provenienti da due prospettive: il c.d. “pensiero della differenza” e la prospettiva della “politica del riconoscimento”. Entrambi gli orientamenti propongono di fare spazio ad una valorizzazione delle differenze e delle specifiche identità radicalmente alternativa o complementare al principio di EG. 6. I limiti euristici delle classificazioni dei diritti. Le classificazioni utilizzate nei discorsi sui HR o ai FRsono di tre tipologie: analitico-concettuali, storiche, giuridico-concettuali. Pur nella diversità le classificazioni assumono rilievo per la riflessione intorno ai diritti nella misura in cui concorrono all’identificazione della struttura dei diritti e possono, così, rappresentare un supporto per la costruzione di un punto di vista descrittivo e normativo, atto a valutare le pretese formulate ricorrendo al linguaggio dei diritti. Elemento trasversale è la struttura del dovere correlativo, che può essere negativa, nel caso in cui il diritto implichi per il destinatario del dovere correlativo la mera non interferenza, oppure positiva, quando la realizzazione del diritto implichi l'obbligo per il destinatario di una condotta attiva. | diritti civili sembrerebbero implicare obblighi negativi, i diritti sociali parrebbero invece chiaramente implicare obblighi positivi. Va tuttavia riconosciuta plausibilità alla lettura che ammette la possibilità di correlare ad entrambe le tipologie di diritti doveri negativi e positivi.