Scarica iconografia del buon governo e più Tesine universitarie in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! Tesina sull’Iconografia politica dell’affresco del “Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti Introduzione Mi preme, prima di iniziare l’analisi iconografica dell’opera di Ambrogio Lorenzetti, porre in luce alcuni concetti che permetteranno a tale analisi di porsi all’interno di una cornice di significato. Il primo concetto che intendo chiarire è quello di “Allegoria” in quanto appunto l’opera rappresenta l’Allegoria del Buon Governo sul comune medievale. Il concetto di allegoria viene estrapolato direttamente dal contesto letterario. Dopo l’affermazione del cristianesimo come religione ufficiale imperiale, si sentì il bisogno di dare una base filosofica a questa nuova religione. Vennero quindi ripresi e reinterpretati in ottica giudaico-cristiana i grandi filosofi della grecia classica, in particolar modo Platone, di cui fu ripreso il concetto di anima, trasformata e reinterpretata, ma soprattutto il concetto di idea iperuranica e la concezione delle cose materiali, che appunto sono espressione dell’idea che rappresentano (non mi dilungo troppo nella filosofia, non è il mio campo e l’interesse dilettantistico che ho non mi permette di spaziare molto). È chiaro come questa forma mentis che figura un significato, un’idea, contestualizzandola in un esempio più concreto, abbia influenzati prima di tutto i grandi padri della chiesa, quindi la chiesa e, in un’evoluzione durata quasi mille anni di storia, anche tutta la società occidentale. L’estrapolazione dell’allegoria letteraria e la sua interpretazione iconografica è un fenomeno che ripercorre la storia dell’arte dall’antichità ai giorni nostri. Basti pensare ai primi esempi di statuaria greca, i Kuroi, che rappresentavano il concetto di bellezza per i greci arcaici, o un esempio completamente opposto, “l’Urlo” di Munch che esprime tutta l’angoscia dell’uomo all’interno di un unico gesto. Chiarita la nascita del concetto di Allegoria per la corrente ideologica che ci ha accompagnato negli ultimi duemila anni, veniamo al significato. Qui c’è da scindere il discorso in due parti, chiarendo il concetto e le differenze tra “Simbolo” e “Allegoria”. Il simbolo, dal greco antico σύμβολον symbàllein, dall’intererpretazione ideologica Hegeliana del termine è la rappresentazione di un oggetto, che una volta simbolizzato è simile alla sua espressione simbolica, come avviene per l’analogia. Rappresenta quindi i tratti dell’oggetto simbolizzato attraverso una forma che ne ricorda uno, o più, attributi. Un esempio che possiamo dare è il leone, simbolo di forza, o la volpe, simbolo dell’astuzia. L’allegoria, sempre dal greco antico ἀλληγορία, il concetto astratto viene espresso attraverso immagini oppure viene esplicitato in una serie di azioni collegate attraverso cui l'autore attribuisce significato metaforico. A differenza del simbolo, che ha un rapporto significato- significante diretto e intuitivo, nell'allegoria, il loro rapporto è razionale e intenzionale, necessita quindi di una decodifica personale, che viene influenzata dal contesto sociale e culturale di chi lo effettua. Il contesto occupa un ruolo di primo piano nell'interpretazione dell'allegoria: la rappresentazione della virtù della fortezza, la fermezza virile è espressa, ad esempio dall’allegoria proposta da Botticelli, come una donna in armi. Presa fuori contesto potrebbe altresì essere la rappresentazione della guerra ma, posta all’interno di un ciclo in cui possiamo riconoscere le altre virtù teologali, ecco che l’allegoria compie il suo processo cognitivo e viene colta. In conclusione, si può dire che il legame tra oggetto significato e immagine significante nell'allegoria sia razionale e intenzionale, mentre nel simbolo è "naturale". Ma perchè la scelta delle allegorie? La risposta è piuttosto facile: il comune uomo medievale era abituato fin da piccolo a cogliere le allegorie, attraverso esse gli si insegnava la religione, influiva sulla morale, appresa anch’essa attraverso allegorie. Le persone di alta estrazione sociale, i laici acculturati, erano formati nel basso medioevo attraverso l’ideale cortese, espresso dalla letteratura (il roman de la Rose) appunto attraverso le allegorie. Pian piano quindi verso la fine del medioevo l’allegoria quindi si stacca dalla componente eminentemente teologica per arrivare ad un uso ampio in vari campi, di cui ci interessa particolarmente in questo caso quello artistico. Fissate le giuste definizioni, per capire ancor meglio il contesto in cui è stata creata l’opera, passiamo ad un veloce quadro storico. L’opera si trova a Siena ed è datata tra il 1338 e il 1339, la penisola italiana verte in condizioni diverse tra territori e territori, nel centro-sud due grandi sfere d’influenza, il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa offrono stabilità politica. Sopra allo Stato della Chiesa però la situazione è ben diversa, dominano infatti i comuni, o meglio, i comuni che non sono stati inglobati nei territori dei comuni più vigorosi, ad esempio Milano, Mantova, Ferrara, Firenze e Siena, che hanno iniziato appena a percorrere quella strada che li porterà verso il passaggio da Comuni a Signorie. La situazione politica di Siena nella prima metà del XIV era piuttosto turbolenta. Nel 1287 dopo una pesante sconfitta Siena passò da roccaforte ghibellina, in contrasto quindi con la guelfa Firenze, a feudo guelfo. Non bisogna farsi però trarre in inganno dalla dicotomia Papa- Imperatore, infatti il cambio di parte di Siena fu frutto di interessi prevalentemente economici e sociali, piuttosto che ideologici. All’epoca della realizzazione dell’opera quindi ci troviamo in un periodo nel quale Siena è sorretta da una forma di governo di popolo detto Governo dei Nove, in cui nove persone governano per un tempo limitato lasciando poi il posto ad altre nove e così via. Ci troviamo quindi di fronte ad un governo di un’altra fazione rispetto a quello che dominò Siena per oltre un secolo, bisognoso di affermare il potere di popolo contro l’avanzare dell'ideologia signorile che iniziava, a metà trecento, a farsi sempre più presente nel contesto comunale italiano. Inoltre Siena possedeva all’epoca una fiorente economia che permettere la realizzazione di un ciclo pittorico così imponente, frutto di commesse pubbliche. La commessa pubblica fu croce e delizia dell’arte senese, i grandi interpreti cittadini dell’arte della dipintura corrispondono agli artisti che si succedono alla posizione egemone sul mercato della commessa pubblica, citiamo giusto per elencarne alcuni Duccio di Buoninsegna che dipinse la Maestà per il Duomo, Simone Martini che affrescò la Maestà della Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico, situata proprio accanto a dove Ambrogio Lorenzetti dipinse il ciclo del Buon e Cattivo Governo. Tutto il ciclo, ed in particolar modo l’Allegoria del buon governo e gli Effetti del Buon Governo offrono svariati punti di vista su cui indagare, che vanno dallo straordinario spaccato sul quotidiano di un comune medievale se ci si sofferma a questo primo livello interpretativo, Significato allegorico del Buon Governo Il primo punto su cui soffermarsi per arrivare ad un’interpretazione politica dell’affresco è valutare la sua posizione. L’affresco si trova nel Palazzo Pubblico della città. dove i Nove sono chiusi e costretti a risiedervi per due mesi. I Nove, espressione del governo di Popolo, pescavano i propri esponenti tra “la gente di mezzo” e non tra la nobiltà rendendo quindi possibile a quasi chiunque l’accesso al potere. Perciò la visione dell’affresco non era appannaggio di pochi, un lusso da nobili, ma essendo bene pubblico il suo messaggio travalicava le stanze della Sala della Pace, divenendo così fonte d’ispirazione per i Nove ma anche monito per la popolazione che risiedeva fuori dal palazzo. Ce ne fa un esempio San Bernardino da Siena che durante un suo sermone nel 1427 cita proprio l’affresco, ben impresso nella mente dei senesi dell’epoca. Questo primo aspetto permette di mettere in luce varie sfaccettature del discorso intorno al significato allegorico dell’affresco. Essendo un bene pubblico, esso non celebra la grande potenza del comune, prettamente fine a se stessa, ma si impegna a rilanciare un messaggio che colpisca il popolo e chi lo governa. Proprio il messaggio che vuole lanciare è il punto focale di questo lavoro, ma ci arriveremo col discorso. Possiamo dire quindi che il valore intrinseco dell’affresco non sta nei principi che lo guidano ma negli effetti che produce, infatti l’Allegoria del Buon Governo, sulla parete Nord, produce i suoi frutti che sono raffigurati nell’affresco della parete Est della sala. Gli effetti del Buon Governo sono spesso suddivisi in effetti in città e in campagna, ma è un effetto mandela in quanto in realtà sono un unico affresco in continuum, ma sono spesso divisi per facilitarne l'impaginazione in manuali e guide. Non possiamo considerare gli effetti del Buon Governo però senza aver prima speso le dovute parole sul significato che Lorenzetti decide di affidare alla sua opera allegorica. Riprendiamo per un attimo il discorso sui Nove che si sono prodigati, dopo l’insediamento di questa forma di potere, ad un’opera di abbellimento cittadino e basti pensare alle già citate opere di Duccio o di Simone Martini, ma anche al progetto, poi abbandonato per cause di forza maggiore, dell’ampliamento della cattedrale cittadina che guardando al progetto doveva utilizzare l’attuale cattedrale di Santa Maria Assunta come braccio del transetto della futura cattedrale. L’abbellimento della città è essa stessa una manovra di potenza politica che attraverso beni e simboli mostra la sua efficacia e la sua autorità. Il discorso è leggermente diverso invece per quanto riguarda il ciclo di Lorenzetti, nella Siena dei Nove il bene comune non è solo un principio retorico, esso corrisponde ad una precisa esperienza politica che i Nove intendono portare avanti. L’intero ciclo mette in scena la contesa civica, la controversia che è fondatrice dell’ordine pubblico, quella tra pace e guerra, tra Buon Governo e Cattivo Governo. Ecco come i Nove infatti non si fanno rappresentare, non si appropriano della scena, ma viene preferito rappresentare una schiera di uomini che rappresentano il popolo, ordinati e tutti della stessa altezza, che procedono verso il patio con il Comune. Essi portano in mano la corda che dagli angeli passa per Concordia e finisce proprio al polso del Comune. Perchè sono tutti alti uguali? L’iconografia della Concordia ci viene in aiuto. Sopra alle gambe infatti ella tiene una pialla, dove è inciso il suo titulus, strumento per appianare il legno, e l’allusione è presto fatta: si tratta infatti di una pialla “fiscale” perché una delle rivendicazioni principali del popolo era una tassazione equivalente calcolata sulle ricchezze possedute, mentre invece i grandi signori spingevano per una tassazione sui consumi, molto meno equa. Essendo l’Allegoria del Buon Governo un bene pubblico legato alla forma di governo che amministra la città, esso si slega dalla componente religiosa tipica dell’allegoria letteraria. Non avremo il mosè presente ad esempio nella Sala dei Notari del Palazzo dei Priori di Perugia, ma avremo il Comune circondato da Virtù cardinali e guidato Ne risulta quindi che i modelli dell’allegoria senese sono di derivazione fiorentina e giottesca, infatti Giotto dipinse nel Palazzo del Podestà proprio una raffigurazione del Comune allegorizzato in forma di giudice. Ma l’opera allegorica di Lorenzetti prende sì spunto da Giotto, cogliendone però l’aspetto di “lotta” del comune contro l’avanzata di chi vorrebbe che il comune passi sotto tutela signorile. Ogni significato civico-allegorico che incontriamo nell’affresco è stato studiato e riprodotto per questa e solamente questa rappresentazione. Il voler trovare delle somiglianze mimetiche o simboliche qui equivale a smembrare il significato dell’insieme dell’allegoria, cosa che non avviene in parte negli effetti, dove sono rappresentati castelli in lontananza che suggeriscono le conquiste senesi, con il solo preciso titulus di Talam per la città di Talamone. Prendiamo ora in esame la Magnanimità, essa è rappresentata a fianco del Comune ed è carica di preziosi poggiati sulle sue gambe ed è interessante notare cosa succede ai suoi piedi. Sotto l’imponente figura si assembrano un gruppo di soldati e cavalieri, davanti a loro si trovano due cavalieri senza elmo, inginocchiati, che le offrono due castelli, chiara laicizzazione dell’iconografia mariana della dedicazione di una chiesa. Questo particolare ci offre una prima interpretazione politica di questo affresco, non l'interpretazione totale ma quanto più una sfaccettatura di un più ampio significato. La sottomissione territoriale dei feudatari allo Stato Comunale senese, ovvero alla sovranità della città, equivale alla sottomissione politica dei milites portatori di certi valori sociali, vedasi la cultura cortese. Essi sono vestiti in abiti da guerra e offrono alla Magnanimità del Comune, alla legge e al bene comune dunque, la torre simbolo del loro potere in città. Oltre di loro un gruppo di prigionieri, tra cui un condannato a morte, che possono rappresentare gli avversari del Comune sconfitti. Ciò oltretutto configura quindi una divisione del popolo che vive nel comune, rappresentato in tutto il registro inferiore: abbiamo il popolo che partecipa alla vita comunale ovvero il Populo, i vinti, sottomessi all’autorità comunale e non, e la classe guerriera, i Milites, che chiudono il lato destro del registro. Ne risulta che il popolo, visto come unione di Populo e Milites, è uno dei pilastri fondamentali che reggono il potere del Comune. Possiamo quindi considerare l’insieme di versi in volgare e i titulus delle allegorie come una precisa, e innovativa, scelta politica che il Governo dei Nove effettua, proprio per rendere ancora più comprensibile il significato civico dell’affresco. Tra il titulus e l’allegoria infatti vi è un legame organico in cui il primo esplica la seconda, oltre ovviamente ai versi, e ciò permette di inquadrare una seconda sfaccettatura del significato politico che l’Allegoria ha, ovvero la volontà di essere universalmente comprensibile da parte di tutta la popolazione. Lorenzetti pone le parole nella pittura col preciso scopo di farla parlare per tutti, in modo diretto e accessibile. Ma esse non sovrastano l’immagine, sono bensì poste a guidare lo sguardo che vi si abbandona, offrendo anche uno spunto di interpretazione poetica. Il cartello coi versi poetici che si pone tra i quadrilobo della Grammatica e della Dialettica, esalta i benefici civici di “questa santa virtù” che altri non è che la Giustizia. Non sorprende quindi che sia posta proprio sotto al corteo dei ventiquattro che consegnano la corda che si origina dai due angeli della Giustizia e che finisce nelle mani del Comune. Per quanto riguarda i versi in sé per sé, è chiaro che non è Lorenzetti l’autore ne tantomeno l’ideatore. Maria Monica Donato suggerisce che si tratti di una sorta di suggerimento all’ordine di lettura dell’affresco dipinto da Lorenzetti, ma Patrick Boucheron in “Scongiurare la paura” non risulta particolarmente convinto dalla tesi della studiosa. Centrata la funzione civica dell’affresco è il momento di concentrarsi sul contesto ideologico e filosofico che esso esprime. È possibile riscontrare delle fonti dottrinali al suo interno? Analizziamo le virtù che adornano la scena, il Comune ha sopra di esso le tre Virtù teologali, ma nel terzetto fa cuspide la Caritas, una relazione molto simile si riscontra anche nella parte sinistra dell’affresco, dove la Giustizia è sormontata dall’immagine della Sapienza Divina, coronata come simbolo di dominio, alata simbolo della sua superiorità trascendente e con un libro in mano, simbolo di imperscrutabile ed infinita saggezza dovuta alla sua conoscenza onnisciente del tutto.. Nicolai Rubinstein nell’articolo “Political ideas in Siena art” spiega, in una risoluzione piuttosto semplice e incisiva, quasi un rasoio di Occam, che l’opera di Lorenzetti rappresenta la summa visuale della filosofia aristotelica mediata attraverso il Tomismo, secondo un’interpretazione diffusa che vede nell’Aristotelismo-Tomismo, lo zoccolo dottrinale del pensiero politico del Regimen, il governo medievale. La prova di questa teoria è insita nei due angeli posti nella bilancia che rappresentano un concetto proprio dell’aristotelismo, ovvero la giustizia commutativa e distributiva. Soffermiamoci brevemente sui due concetti: Aristotele intende per “giustizia distributiva” quel tipo di giustizia che consiste nel “dare a ciascuno il suo”, in base alla proporzione, ed è allegorizzata mediante l’angelo che decapita e incorona, mentre la “giustizia commutativa” o “regolatrice” fa perno sul concetto di uguaglianza tra individui, nella misura in cui tende a riparare i danni subiti, indipendentemente dalle differenze tra gli stessi individui, sostanzialmente il concetto moderno di giustizia sociale, e l’angelo è infatti rappresentato mentre porge a dei mercanti gli strumenti del proprio lavoro. È perciò chiaro come Lorenzetti abbia avuto Aristotele come ispiratore, ovviamente mediato e presentatogli da Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae. Anche il concetto di Bene Comune, che è una delle ipotesi interpretative di colui che finora ho chiamato Comune è centrale all’interno del pensiero Aristotelico-Tomistico, e viene riportato all’interno delle strofe poetiche sotto l’Allegoria. Alla teoria di Aristotelica-Tomistica fa resistenza Quentin Skinner, che la rifiuta in toto, relegando le idee di Rubinstein ad un singolo argomento all’interno di un discorso molto più ampio. Skinner infatti tenta, attraverso l’affresco, di delineare un punto di partenza della storia del liberismo prima del liberismo stesso che poggia la sua base teorica sul Retoricismo di ciceroneo rimando. Boucheron propone invece un approccio più distensivo, avanzando In alto a sinistra spuntano il campanile e la cupola del Duomo, il simbolo cittadino. La città è delimitata e separata dalla campagna del contado dalle mura rappresentate di scorcio, attraverso una prospettiva che mette il punto di vista dell’osservatore non a livello del suolo, ma più alto, per permettere una visione d’insieme con una prospettiva a volo d’uccello. Le mura scorciate permettono di rappresentare anche la porta cittadina che apre al contado. E proprio in prossimità delle mura la piazza sembra popolata da quelle attività lavorative cittadine che più hanno legami con la campagna: in basso a destra un pastore sta lasciando la città per dirigersi in campagna insieme al suo gregge di pecore. Più in alto due muli sono carichi di balle di lana, altri recano fascine, mentre un signore ed una signora a piedi portano, rispettivamente, un cesto di uova ed un'anatra. Tutta merce proveniente dalla campagna portata in città per essere venduta al mercato. Appena superata la porta cittadina si apre la rappresentazione degli Effetti del Buon Governo sul Contado, dove si vedono cittadini e contadini che viaggiano sulle strade, giovani a caccia con la balestra tra vigne ed ulivi, contadini che lavorano la terra e tenute dominate da vigne ed uliveti. Sono riconoscibili anche case coloniche, ville e borghi fortificati. In alto appena dopo la porta si libra in aria la personificazione della Sicurezza, identificata dal titulus Securitas, che regge un delinquente impiccato, simbolo di una giustizia implacabile con chi trasgredisce le leggi e un cartiglio che recita: «Senza paura ogn'uom franco camini e lavorando semini ciascuno mentre che tal comuno manterrà questa donna in signoria ch'el alevata arei ogni balia» Una nota da considerare è la nudità di Securitas, uno dei primi nudi non relativi al Cristo bambino con significato positivo del medioevo, in quanto nell’iconografia medievale la nudità era usata nella rappresentazione delle anime dei dannati. Nel cartiglio c’è quindi un messaggio moralizzatore dove si esplica che, fin quando regnerà la Sicurezza, ognuno potrà percorrere la città e la campagna in piena libertà. Ciò si ricollega al secondo punto estrapolato dal significato politico dell’opera, ovvero che il Comune forte e giusto, dedito alla protezione Bene Comune, deve mantenere lo status quo attraverso la forza contro i suoi nemici e ciò è esplicato appunto dall’allusione alla pena di morte che Securitas mostra: il Comune protegge coloro che agiscono nel Bene Comune e punisce chi non rispetta le leggi, poste a protezione proprio di esso. Le attività contadine che si svolgono in campagna come l'aratura, la semina, la raccolta, la mietitura, la battitura del grano, riguardano però periodi diversi dell'anno. Nel programma iconografico finora esplicato, ciò non sorprende, l’intento della commissione era infatti di mostrare la floridezza e la sicurezza della campagna ben governata, in quanto gli effetti del Buon Governo non sono transitori ma duraturi, si mostrano a lungo nel tempo per generazioni. Quindi a partire dalla porta delle mura, che potremmo riconoscere come Porta Romana, la porta sud della città, inizia una strada lastricata in discesa, che porta alla campagna del contado. Sulla strada vediamo incrociarsi dei nobili a cavallo in partenza per una battuta di caccia col falcone in campagna e due borghesi, ben vestiti e anch'essi a cavallo, che stanno rientrando in città. Uno dei signori a cavallo, quello sulla destra, è una dama, a dimostrare come la campagna sia talmente sicura che le donne possono tranquillamente percorrerla per diletto e svago. Un contadino entra in città a piedi conducendo un maiale, probabilmente un esemplare tipico di cinta senese, un altro conduce un mulo con un sacco ed una cesta, mentre altri ancora più in basso recano sulle some dei loro muli sacchi di farina o granaglie, tutta merce da vendere in città. Ancora più in basso due contadini camminano e conversano, portando in città delle uova. Sul ciglio della stessa strada, all'altezza dei cacciatori a cavallo, troviamo un mendicante seduto. Nella raffigurazione della campagna non sono tenute in considerazione le regole prospettiche, infatti si nota che gli alberi e gli edifici all'orizzonte presentano le stesse dimensioni di quelli vicini, ma come vedremo più avanti, nell’opera di Lorenzetti non c’è intenzione di replicare fedelmente il paesaggio, quanto più, si ritorna allo stesso punto, di mostrare di effetti di un Buon Governo indipendentemente dalla città. Passiamo ora ad analizzare più in dettaglio gli aspetti iconografici dell’affresco, che per comodità dividerò come fa la critica nelle due parte, quella relativa alla Città e quella relativa al Contado. Prendiamo in esame ora la città. In qualsiasi città medievale, lo spazio della Civitas è delineato da alte mura che lo proteggono e che dividono lo spazio “politico” dalla campagna, Lorenzetti dipinge le mura attraverso un audace artificio prospettico che alza il punto di vista dal suolo realizzando un effetto di scorcio che schiaccia le linee, permettendo di rappresentare così anche la porta cittadina, vista di lato, evidenziando così la sua funzione politica, ovvero l’accesso alla città, a discapito della sua dimensione di monumentalità. La critica avanza le ipotesi che tale porta sia o Porta Romana o Porta Tufi, due delle porte sud della città, per il semplice motivo che l’espansione territoriale del comune senese si estendeva verso sud, sfogandosi sulla zona montuosa delle Crete e dell’Amiata fino alle zone paludose della maremma e alle rive del Tirreno, in quanto a nord si estendevano i domini territoriali del comune di Firenze, per la cronaca, esso arrivava a circa dieci chilometri dalla cinta muraria senese, in quanto proprio nel XIV° secolo, firenze aveva annesso Valdelsa ai propri possedimenti. Notiamo come lo spazio cittadino intorno alle mura sia libero da costruzioni, questo perchè l’espansione muraria era effettuata prevedendo una certa espansione dell’abitato, non sarebbe stato produttivo costruire infatti le ura proprio a ridosso delle ultime case. La città è in espansione quindi, ce lo dimostrano anche i muratori intenti a lavorare sui tetti, e una delle politiche portate avanti dai Nove fu infatti una mirata attenzione alla viabilità, elemento subito d’impatto quando si guarda lo spiazzo sotto le mura della città. Le case fanno invece da quinta alla scena, recenti studi riportati da Boucheron spiegano come esse siano riprese da sei punti di vista sfalsati, adattati e combinati in un’unica rappresentazione. Strade ed edifici si presentano quindi come l’ambiente dove si sviluppa una città ben governata, animata da un popolo felice e prospero. Osserviamo ora proprio il popolo. Abbiamo la scena di corteo matrimoniale che non è un fatto slegato, produce effetti sulle persone vicine, infatti notiamo come alcune figure li vicino indichino e parlino tra loro, altri meno interessati giocano a dadi chini su un banco. Ognuno occupa la sua posizione nella piazza. Sotto l'affresco del muro est vediamo come Lorenzetti abbia piazzato le quattro arti liberali del Quadrivium, con l’aggiunta della Filosofia e delle armi di Siena, ovvero il suo blasone, e sono posizionati proprio sopra la città operosa. Ci permette quindi di indagare cinque mestieri che sono presenti nell’affresco, e sono legati all’arte della lana (Lanificium), dell’Armatura, (che include l’Architectura e i lavori coi materiali), la Navigatio (i lavori aventi a che fare col commercio), la Venatio (la caccia) e ovviamente l’arte dell'Agricultura espressa dalla campagna, secondo la divisione di arti meccaniche di Ugo di San Vittore. Davanti ai lavoratori e alle loro botteghe troviamo un gruppo di danzatori. Sono posti nel cuore vivo della città, quel luogo idealmente astratto che è lo spazio pubblico di una città italiana di fine medioevo. Al centro della scena troviamo in abito scuro una figura che notiamo sta suonando un tamburello, intorno troviamo dei personaggi che formano un cerchio danzante, altri ne formano un altro poco più in là, in cui uno di loro è intento a passare sotto alle braccia per completare il girotondo. Sono nove danzatori (ritorno del numero nove) ed un cantore, possiamo credere siano semplicemente delle ragazze che ballano, lo sembrano anche ad un primo sguardo. Ma se ci soffermiamo a studiare il gruppo, notiamo che non ci sono gli attributi iconografici tipici delle donne raffigurate da Lorenzetti: la linea delle caviglie, i seni dalla dolce rotondità e la capigliatura bionda spesso acconciata. Nel gruppo non ci sono tracce di questi stilemi, infatti le danzatrici sono in realtà danzatori, secondo Boucheron, più precisamente un gruppo di danzatori professionisti. Essi sono l’espressione del gaudium, la gioia che è vista come la necessità politica di un’emozione collettiva, in quanto se il popolo si lascia sopraffare dalla tristitia il Buon Governo non ha fatto il suo lavoro. Spostiamoci con lo sguardo verso la porta della città e quindi verso il contado. L’integrazione geografica è uno degli strumenti di governo che il comune aveva a disposizione in campo economico. il Contado infatti si estendeva dalle mura fino al mare, e doveva essere gestito e integrato nel tessuto economico della città. Dei muli carichi di merci sono appena entrati in città pronti per vendere le merci in surplus che i contadini, attraversando il ponte costruito sul corso d’acqua, hanno portato in città per il mercato. Oltrepassate le mura si aprono le colline del senese, e seguendo il corso d’acqua, si arriva fino alla città di Talamone, conquistata nel 1303 e qui unico luogo cui Lorenzetti affida un titulus, che fu oggetto della pianificazione urbana che prima citavo. Nelle campagne pacificate di Lorenzetti possiamo osservare il ventaglio dei lavori contadini, indipendentemente dal periodo dell’anno troviamo tutti insieme chi semina e chi miete il grano, chi ripone i covoni di paglia e chi ripara i greggi, in una scena di “idillio economico” di fine medioevo. Fuori le mura si trovano anche delle persone che provengono dalla città, osserviamo infatti due cavalieri, di cui uno col falcone e l’altro donna, seguita da due cani. Entrambi partono per la caccia al volo, un rito sociale proprio della nobiltà. Gli animali sono molto importanti per la comunità campestre, essi lavorano a servizio per l’uomo, sia il falcone per la caccia che il mulo per il trasporto, tanto da essere in questa parte dell’affresco più numerosi degli uomini, vi sono infatti 59 animali e 56 umani in tutto. Più che per i contadini che vi lavorano, la campagna è ideale per i cittadini che ne vivono idealizzandola come spazio rurale idilliaco per ritirarsi. Questo paradiso però è in primo luogo quello degli investimenti urbani che trasformano l’economia agraria dell’italia