Scarica Il cristiano nel mondo e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! IL CRISTIANO NEL MONDO NATURA E TECNICA 1. BIOETICA: UNA NUOVA SCIENZA? La bioetica non sorge da questioni accademiche o da ricerche teoriche, bensì la sua origine si colloca in un complesso intreccio di questioni socio-culturali e di riflessioni etiche e giuridiche. In questo contesto si situa lo sviluppo di una riflessione di tipo deontologico sulla medicina e sulla scienza che trova tre punti di emersione: il processo di Norimberga ed il Codice che ne è seguito; la riscoperta dell’etica medicina tradizionale; l’elaborazione della categoria di “diritti dell’uomo”. Tra il 21 Novembre 1946 e il 19 Agosto 1947, nella celebre cittadina della Baviera, si è celebrato il cosidetto “Processo ai medici”: sono condotti alla sbarra ventitre tra medici, chirurghi e scienziati accusati di essere stati mandanti, complici, esecutori e favoreggiatori di piani implicanti esperimenti medici senza il consenso dei pazienti coinvolti, utilizzando prigionieri civili e di guerra. Tra i tanti, esperimenti sulla sterilizzazione, sul congelamento, sulla frattura di ossa, muscoli e nervi. Ciò che lascia un segno è il fatto che quanto viene alla luce non è attribuibile unicamente alla perfidia o alla pazzia degli imputati: quelle pratiche sono espressione delle idee condivise e delle procedure normalmente utilizzate. Insomma, gli imputati non sono scienziati pazzi, ma semplicemente scienziati. Il Codice di Norimberga, che in dieci punti afferma la legittimità di sperimentazioni solo se socialmente utili e rispettose di indicazioni etiche e legali, è il primo di una lunga serie di regolamenti deontologici. Lo sforzo di formulazioni deontologiche porta alla riscoperta della tradizionale etica medica quale fonte di ispirazione. Essa raccoglie le esigenze etiche e professionali che il medico deve rispettare nella sua attività: il valore morale della cura del malato e le linee di condotta nei confronti delle responsabilità sociali di cui è investito. Espressione classica è il Giuramento di Ippocrate, attribuito al celebre medico greco vissuto tra il 460 e il 370 a. C. il testo è caratterizzato dalla ricerca del bene del paziente accessibile al medico in nome di un’autorità quasi sacrale sulla natura. Nel Processo di Norimberga emerge la necessità di una formulazione giuridica superiore a quella del diritto civile e statuale. Sorgono i concetti di “crimine contro l’umanità” e di “diritti dell’uomo”: da un lato i diritti umani sono visti come espressione del diritto naturale e dall’altra come conseguenze della libertà individuale e del consenso civile. Negli anni ’60 e ’70 del XX secolo matura l’esigenza di un nuovo discorso istituzionale e disciplinare che si raccoglie attorno al neologismo coniato nel 1970: bioethics. Il nuovo termine sembra diventare il magnete attorno a cui si dispongono una serie di correnti, di riflessioni provenienti da quattro differenti influssi: un crescente disagio sociale di fronte ai rapidi sviluppi della scienza e della medicina; una riflessione teologica; una riflessione etico-filosofica; un contesto culturale nord-americano in cui la bioetica sorge. Gli anni ’50 sono segnati da importanti e rapidi sviluppi della scienza medica: nel 1953 la scoperta della struttura a doppia elica del DNA; nel 1954 l’esordio delle tecniche di rianimazione; nel 1955 il primo trapianto di rene; nel 1959 i primi tentativi riusciti di fecondazione animale e nel 1960 la sperimentazione allargata della pillola anticoncezionale. Negli stati uniti poi iniziò a sorgere un movimento sociale e di una crescente sensibilità di fronte ai casi di abusi: largamente pubblicizzati sono i casi della Willowbrook State School e del Jewish Chronic Disease di NY e lo studio della sifilide di Tuskegee. Il primo episodio si riferisce ad alcuni studi sperimentali sull’epatite condotti in una scuola per bambini disabili dal ’56 al ’70; più di 80 bambini furono infettati con ceppi del virus e il loro consenso fu raccolto attraverso moduli ambigui e ricattatori. Nel secondo caso, a ventidue ospiti dell’istituto per anziani furono iniettate cellule cancerose per raccogliere dati sul cancro. Il terzo episodio spiega come a Tuskegee, piccolo villaggio dell’Alabama composto da circa 600 ex-schiavi di colore, è stato studiato l’andamento della sifilide privata di cure: tutti gli abitanti del villaggio furono sottoposti a procedure di ricerca presentate come trattamenti sanitari gratuiti e furono privati delle cure per la sifilide. Il passaggio alla cronaca di questi fatti ha creato un grosso movimento di indignazione e di sospetto nei confronti della scienza; il risultato è stata l’istituzione di tavoli di controllo e di dibattito. Il ruolo assunto dalla teologia nei confronti di questa nuova disciplina è evidenziato dal numero di teologi che hanno preso parte alle diverse istituzioni accademiche e sociali. Una spinta notevole è venuta poi dal Concilio Vaticano II e dalla discussione attorno ai temi della procreazione e della famiglia sfociata nell’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI. Nel Concilio si trovano i tratti che caratterizzano il contributo originario della teologia alla bioetica: l’attenzione all’elemento storico del fatto morale, l’assunzione di un paradigma personalista e la sottolineatura del carattere propriamente teologico del discorso morale. Accanto alla teologia ritroviamo anche la filosofia, che ha lasciato l’ambito accademico e troppo teorico in cui sembrava essersi chiusa, per assumere un ruolo pratico. La riscoperta della tradizione aristotelica e del tema della coscienza si colloca in questo contesto. Ultima radice che ha contribuito alla genesi e alla forma originaria della bioetica è il contesto socio-culturale in cui essa è nata. Perché in Nord- America la bioetica si è diffusa più rapidamente? La risposta è legata all’ethos americano: è il modo di leggere la moralità da parte degli abitanti degli USA a trasformare la risposta alla medicina nel discorso chiamato bioetica. Quali sono i tratti che possono descrivere questo ambiente culturale? Tre appaiono significativi: il moralismo, che tende a frammentare i diversi ambiti ed aspetti del vivere per trovare principi regolatori chiari e distinti; l’ottimismo progressista che non mette in discussione il carattere promettente del futuro guidato dalla scienza e dalla tecnica; l’individualismo che affida ai singoli la gestione della responsabilità confidando in modo illimitato nella libertà dell’individuo legato agli altri. La bioetica è una nuova sapienza capace di guidare il progresso dell’uomo. Il senso che ha guidato questo processo risponde al bisogno di formulare un nuovo sapere morale a fronte di una crisi della comprensione pratica e teorica della vita. Questa crisi si è presentata attraverso episodi concreti, che sono espressione di un’esperienza più profonda legata alla forma assunta dall’agire dell’uomo sulla vita attraverso la pratica medica e scientifica. La definizione di bioetica si lega alla comprensione di cosa siano natura e tecnica e il loro rapporto. Per capirlo è necessario superare alcune incomprensioni diffuse nel nostro contesto culturale. un primo riferimento nella descrizione della natura è al suo livello empirico: natura indica le cose naturali (animali, piante) ed i meccanismi organici che presiedono al funzionamento del cosmo e dell’uomo inserito in esso. Questo dice qualcosa di importante ma non il tutto, poiché da un punto vi vista oggettivo; per questo ogni interpretazione dal punto di vista empirico si presenta come una riduzione indebita: la persona si riduce all’organismo corporeo che la compone, il bene si identifica nella conformazione alla natura e la natura si riduce alla natura dell’organismo. Alcuni studi hanno dimostrato non solo che il livello empirico non può essere l’unico atto a dare contenuto alla parola “natura”, ma anche che l’accesso a questo strato non può avvenire in modo diretto. Per questo esiste un secondo livello, che spiega che la natura è l’insieme dei significati storicamente e culturalmente interpretati, accessibili al soggetto. In questo secondo senso il termine natura non si contrappone al termine artificio, ma lo assume. Questo ci permette di entrare a considerare le l’idea di una personalizzazione immediata, cioè il feto è portatore di diritti dal momento in cui avviene l’incontro tra i due gameti; per alcuni basta il richiamo al dato bio-fisiologico cioè che con la fecondazione siamo davanti ad un essere appartenente alla specie umana, cioè una persona; altri più scettici sostengono che nel dubbio circa la vita, essa va protetta come se fosse vita umana; infine coloro che riconoscono nell’embrione una persona in potenza, quindi già portatrice della dignità personale. Il secondo criterio attribuisce tutela all’embrione a partire dal suo annidamento in utero che avviene attorno al 14° giorno della fecondazione. Il terzo criterio riguarda coloro che parlano di una tutela differita: c’è chi attende lo sviluppo delle strutture fetali tipiche dell’uomo; chi richiede o sviluppo delle strutture in grado di ospitare le qualità razionali superiori tipiche dell’essere umano; chi lega la personalizzazione alla comparsa dell’autocoscienza, anche alcune settimane dopo la nascita. Quarto criterio è il rispetto della dignità della procreazione umana. 3. UN NUOVO MODO DI CURARE? Il 26 Giugno del 2000 si decise per la prima volta che l’uomo potesse leggere il codice che regola tutto il processo organico del suo vivere attraverso una lunga sequenza di sole quattro lettere. Questo passaggio epocale rappresenta un punto di svolta in quella che è stata definita come la “terza rivoluzione”: la rivoluzione genomica. Il nucleo di ogni singola cellula del nostro organismo contiene l’intero codice che regola il tutto-individuale caratteristico della nostra specie. Tale patrimonio è contenuto in un acido chiamato DNA. Le informazioni sono contenute in geni, cioè unità di base disposte su un lunghissimo filamento e composte dalla sequenza di quattro basi nucleotidiche. Ogni gene è capace di regolare la produzione di proteine. Per capirne il funzionamento dobbiamo immaginare un lungo nastro su cui si dispongono in sequenza le quattro basi. Queste corrispondono a lettere dell’alfabeto e sono sistemate in gruppi di tre, chiamate triplette o codoni. Ogni tripletta può essere tradotta dalla cellula i un aminoacido. La catena di aminoacidi compone una proteina. Il lungo nastro che stiamo immaginando si struttura in una doppia elica che custodisce all’interno due copie speculari della sequenza di basi. A sua volta il DNA è “impacchettato” nei cromosomi. Ogni nostra cellula somatica contiene 23 paia di cromosomi. Il Progetto Genoma Umano inizia nel 1990. La lettura del codice genetico si struttura in due fasi: la mappatura e il sequenziamento del DNA e la traduzione nelle diverse proteine e la scoperta della loro funzione. La prima fase è giunta ad una iniziale conclusione nel 2000 ed è consistita nel riconoscimento dei geni all’interno del filamento di DNA. Una volta ritrovati ed isolati i geni utili essi vengono sequenziati, cioè viene letta la sequenza di basi. La seconda fase, apertasi negli ultimi anni, cerca di comprendere la struttura delle diverse proteine, le loro interazioni con i geni e il loro funzionamento nell’organismo. Ma il PGU non è solo un protocollo di pura ricerca scientifica, al contrario è un programma ampio che comprende ricerche etiche, rapporti con la politica e l’economia. È il primo e più grande investimento di denaro pubblico, stanziato da Congresso degli Stati Uniti. Di fronte agli sviluppi della genetica si è assistito a reazioni forti, decise, sia in difesa delle diverse applicazioni aperte dal progresso delle conoscenze, sia in opposizione ad esso. Tra le prime troviamo le espressioni entusiaste di chi vede qui il superamento trionfale del limite estremo dell’uomo: la possibilità di intervenire sul funzionamento proprio del suo vivere, la capacità di creare una nuova vita. Contro costoro si esprimono le posizioni di chi vede in questo progresso un orizzonte terribile, simile alle descrizioni di alcuni cupi film di fantascienza. Ciò che è visto con entusiasmo o con preoccupazione è questa possibilità di penetrare, conservare e brevettare l’identità stessa dell’uomo e del sistema ecologico che lo circonda. La persona, la natura, la vita è racchiusa e determinata da codice genetico. Oggi si parla di un nuovo modello di medicina, la medicina scientifica o sperimentale, in cui le espressioni della cura e della ricerca appaiono indistinguibili. L’aspetto di ricerca è insito nello sguardo del medico. Egli è ricercatore, chiamato a riconoscere la singolarità di ogni paziente accrescendo così la conoscenza pratica per sé e per i colleghi. Il carattere sperimentale della ricerca si declina così in due modi: da un lato con il tratto delle scienze esatte e del fare tecnico rivolto alla conoscenza delle dinamiche generali e all’acquisizione di nuove competenze; dall’altro con l’attenzione della cura rivolta al singolo paziente e alla sua condizione. Già le informazioni genetiche relative ad un soggetto esprimono un forte carattere sociale, ma scoprire una patologia significa scoprire qualcosa legato alla famiglia del soggetto. Un ulteriore problema etico-legale è quello della brevettabilità: le direttive europee indicano tre criteri per concedere un brevetto. La novità, la non ovvietà e l’utilità: da una parte la concessione di brevetti su geni umani è consentita in quanto si riconosce che i singoli geni non esistono da soli in natura e non sono ovvi; dall’altra la Dichiarazione “Genoma umano e diritti umani” dell’UNESCO riconosce la non utilità attuale del genoma umano e quindi non può essere concesso in proprietà. Una prima tipologia di diagnostica genetica fa riferimento alle diagnosi prenatali. Tali procedure consentono una diagnosi precoce di determinate malformazioni uterine o il riconoscimento di una predisposizione a malattie genetiche specifiche. Gli elementi presenti in una valutazione sono due: la rischiosità di certi test e la forbice tra diagnosi e terapia. Nel primo caso si deve riconoscere che i test genetici prenatali posseggono un certo grado di invasività con il rischio di danni all’embrione o al feto, sino all’aborto. Le tecniche più diffuse sono l’amniocentesi, la biopsia dei villi coriali, la fetoscopia e la cordocentesi. Ad una diagnosi di malattia genetica può far seguito una terapia. L’unica soluzione che spesso viene prospettata di fronte ad un esito negativo di simili test è l’aborto procurato. Una seconda tipologia diagnostica riguarda i test genetici adulti o postnatali. I risultati sono nell’ordine della statistica e a questo si deve aggiungere l’assenza di pratiche terapeutiche. In questo contesto, il criterio per la decisione a favore di un test non deve essere l’alta probabilità di malattia, quanto la reale disponibilità di possibili cure. Modificare il patrimonio genetico di un soggetto al fine di curare una malattia è un’impresa tuttora estremamente complessa e rischiosa. Le possibilità di correzione di un genoma difettoso si distinguono in due linee di ricerca: la terapia somatica e quella germinale. Nel primo caso si procede inserendo in un grande numero di cellule somatiche di un individuo il gene corretto rispetto al tratto di DNA errato nel caso di malattie monogenetiche, affinché la corretta produzione di proteine compensi l’errore. I metodi usati per inserire un gene nelle cellule somatiche si avvalgono di retrovirus, cioè microrganismi geneticamente modificati, capaci di entrare nelle cellule di un individuo e inserire il loro codice genetico nel patrimonio nucleico. Non si tratta di curare una malattia, ma se ne tratta l’espressione compensando una carenza con una nuova produzione. Nel secondo caso, si tratta di terapie germinali in cui si tenta di correggere un genoma difettoso nelle cellule della linea sessuale di un individuo adulto per poter trasmettere un “nuovo genoma” ai discendenti. Tale ipotesi è ancora lontana da una possibilità sperimentale, più possibile è invece la modifica del genoma nello stadio embrionale. La tecnologia genetica apre le porte ad un ulteriore orizzonte sperimentale e terapeutico rappresentato dall’utilizzo delle cellule staminali, cioè cellule del nostro organismo che non si sono ancora specializzate in una funzione determinata e sono quindi disponibili come “materiale di riserva” in grado di rigenerare tessuti. Le cellule staminali hanno diverse origini: le cellule dell’embrione, per esempio, sono totipotenti, cioè in grado di dare vita a tutte le cellule somatiche dell’individuo. Queste cellule possono essere tratte da altre origini, come materiale fetale come il cordone ombelicale. Al contrario, le cellule staminali adulte appaiono meno versatili di quelle embrionali e sono dette pluripotenti. Le cellule staminali comunque portano un problema etico: prelevare cellule da un embrione infatti può portare alla sua distruzione. D’altra parte la ricerca sulle cellule staminali più adulte appare oggi promettente poiché essendo meno flessibili, sono di più facile gestione ed il fatto che vengano dalla stessa persona, evita qualsiasi problema di rigetto. Legate alla ricerca sulle cellule staminali troviamo anche pratiche di clonazione terapeutica. Si definisce clone un insieme di entità biologiche che derivi da un unico progenitore attraverso una serie di duplicazioni successive. Il clone è copia identica del progenitore. Due sono i metodi possibili per la clonazione: lo splitting o il trasferimento nucleico. Nel primo caso, la procedura consiste nel provocare e gestire il fenomeno della gemellazione dividendo i gruppi di cellule belle prime fasi dello sviluppo embrionale. Queste danno vita ad individui autonomi ed identici come gemelli. Nel secondo caso, si procede prendendo un ovulo femminile, denuclandolo ed inserendovi all’interno il nucleo di una cellula uovo con patrimonio genetico diploide, come uno zigote. Questa cellula inizia a moltiplicarsi dando vita ad un embrione e ad un normale sviluppo fetale. Con questa procedura è nata nel 1996 la pecora Dolly. Il dibattito etico si è concentrato sull’applicazione di queste tecniche all’uomo. Le posizioni si dividono riguardo alla “clonazione terapeutica”. Lo scopo di questa pratica è la produzione di cellule staminali totipotenti assolutamente compatibili con l’individuo. Questo materiale può sviluppare tessuti e potenzialmente anche organi utili poi ad una terapia o ad un trapianto. 4. UN NUOVO MODO DI MORIRE? Fino a qualche anno fa il momento della morte era un istante solenne in cui l’uomo spirava circondato dalla liturgia, religiosa o laica, dei propri cari. Il medico poi giungeva a constatare il blocco delle normali funzioni vitali cardio-respiratorie. Oggi la cosa si fa più complessa. L’inaugurazione degli strumenti di rianimazione e la chirurgia dei trapianti ha modificato il momento del morire e l’immagine del cadavere. La morte non è più un attimo, ma un processo, , la morte è scomposta, frazionata in una serie di piccole tappe, in un progressivo morire dell’organismo. La diagnosi di morte viene oggi emessa misurando la totale assenza di attività celebrale, in ogni parte del sistema nervoso centrale, per un opportuno arco di tempo. a partire dai risultati della Commissione di Harvard, rapidamente assunti da tutti gli enti nazionali, si è aperta un’accesa discussione attorno a questo tema. Da un lato si sono schierati coloro che non ritengono sufficiente la certificazione della morte di un solo organo per definire il morire di un uomo e quindi difendono il criterio tradizionale. Dall’altra coloro che ritengono sufficiente la definitiva perdita della coscienza per definire morto l’individuo come persona. In questo secondo caso basta quindi la certificazione della compromissione delle strutture deputate alla coscienza. La definizione fisiologica di morte rimane la distruzione di un organismo in quanto organismo, cioè in quanto capacità di funzionare come tutto coordinato. Ciò può avvenire per la distruzione delle singole parti, o per l’irreversibile perdita del sistema che gestisce il tutto come unità. Tale ruolo di coordinamento è svolto nell’uomo dall’encefalo, per questo la diagnosi della sua morte corrisponde alla morte dell’individuo. Non esiste la morte in sé, esiste assumeva il compito di contenere e indirizzare la funzione procreativa dentro un ambito accettabile dal punto di vista morale, riconoscibile dalla società, formativo per la crescita della prole. In ordine a questi obiettivi gli sposi stipulavano un “contratto”, espresso nella forma di “consenso”, che permetteva lo scambio di quegli atti che erano moralmente leciti. Ne conseguiva una serie di doveri che costituivano l’impalcatura della famiglia, prima cellula della costruzione sociale. Giovanni Paolo II scriveva: “Poiché il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia riguarda l’uomo e la donna nella concretezza della loro esistenza quotidiana in determinate situazioni sociali e culturali, la Chiesa, per compiere il suo servizio, deve applicarsi a conoscere le situazioni entro le quali il matrimonio e la famiglia oggi si realizzano. Questa conoscenza è una imprescindibile esigenza dell’opera evangelizzatrice”. Il modo migliore per comprendere il rapporto uomo-donna nella famiglia è elencare le caratteristiche della famiglia di oggi, le esigenze, i bisogni che il rapporto di coppia deve affrontare e le difficoltà. Non si tratta solo di una questione metodologica, ma è una vera e propria operazione spirituale. La riflessione sistematica è chiamata ad avvicinarsi alla realtà con lo stesso sguardo amorevole di Colui che l’ha voluta per amore e per amore l’ha redenta: Dio-Trinità. Accostandosi con amore (divino) alla realtà dell’amore (tra uomo e donna), il credente verrà a contatto con uno scorcio di rivelazione del disegno della Trinità sulla relazione coniugale. Tra le situazioni, domande, ansie e speranze dei giovani di oggi, prevale la dimensione sessuale. La nostra cultura sembra allergica alle relazioni, sentite e sopportate come “legami”, “vincoli”. Anche se con qualche sospetto, oggi uomini e donne si cercano ancora, si avvicinano, aprono “connessioni”. Proponiamo una semplice rassegna di alcuni trend che possiamo ritrovare in una relazione di coppia oggi nella cultura occidentale: a) dimensione sessuale delle relazioni, affettive e non, in cui ogni contatto tra le persone ha una forte connotazione sessuale. Spesso la sessualità viene letta con la sola dimensione fisica, infatti da secoli la Chiesa viene vista come istituzione portatrice di una visione riduttiva della sessualità presentata in termini funzionali e morali; b) l’istituto del matrimonio era il binario su cui vivere rettamente la funzione sessuale, in una forma socialmente accettata. Questo oggi non accade più; c) l’inizio di una seria relazione amorosa è frutto di una decisione “liberà” dei due soggetti. Oggi sono sentiti meno vincolanti i motivi socio-economici che spingevano verso la costituzione di una nuova famiglia; d) il permanere in una storia affettiva e la sua evoluzione verso figure di tipo matrimoniale sono meno dipendenti dalle regole sociali; e) si è invertita la direzione del rapporto tra individuo e società, poiché fino a 50 anni fa il singolo sentiva di trarre il suo “valore” e la sua stabilità dall’appartenenza ad un gruppo sociale che gli offriva sostegno e sostentamento, oggi invece è l’individuo che assegna valore a ciò che lo circonda. Citiamo due tra le caratteristiche più evidenti della stagione di coppia: l’avvio e la permanenza nella relazione. Un arco di tempo ben più lungo è richiesto dal processo della decisione di cominciare, proseguire e far evolvere verso le nozze una relazione affettiva. La possibilità del prolungamento del tempo della frequentazione e del “fidanzamento” getta luce sulla decisione di giungere al matrimonio. Il problema che si pone è che non basta essersi amati, ma occorre anche che il consenso dato all’inizio venga continuamente confermato per tutto il tempo del matrimonio. Nel momento in cui vengono meno le conferme esplicitate nel momento del matrimonio ecco che la coppia individua una via d’uscita legale che la liberi dagli aspetti difficili del legame: si chiede la separazione, avviando l’iter verso il divorzio. Se il legame affettivo può essere messo in discussione con facilità è perché viene vissuto come un “giogo”, nel senso negativo di ciò che appesantisce, schiaccia, impedisce la realizzazione personale. La vita di coppia può quindi essere intesa come “concorrenziale” alla vita del singolo. Nascono cosi due categorie: relazione pura e amore convergente. La prima si mantiene stabile fintato che le parti ritengono di trarne sufficienti benefici come per giustificare la continuità. Il secondo è amore attivo, che non fa rima con i “per sempre” e gli “unico e solo” tipici dell’amore romantico. La conseguenza di questo amore è una popolazione separante e divorziante. Le nuove generazioni preferiscono modelli di relazione affettiva meno vincolanti rispetto a quello matrimoniale. Le principali trasformazioni strutturali che la famiglia italiana sta vivendo sono: a)diminuisce la dimensione numerica dei nuclei di convivenza; b) cresce l’età al primo matrimonio; c) aumentano i separati ed i divorziati; d) decrescono i nuovi coniugi; e) cala il tasso di fecondità; f) i nuclei diventano di una sola persona, le famiglie diventano mono genitoriali. 2. IL SACRAMENTO DELL’AMORE La Chiesa si presenta alla società con una realtà che ha una sua visibilità: il rito. Ci si sposa “in chiesa”: questo complemento di stato in luogo, indica un ambiente, un luogo più che uno stato esistenziale, una convinzione. “In chiesa” si potrebbero “dare” diversi eventi che non esprimono la fede di chi li compie. “In chiesa” ci si muove, si parla, si guardano opere d’arte, si ascolta. Con l’inizio dell’Avvento del 2004 è stato introdotto l’uso nella Chiesa italiana della seconda edizione del Rito del matrimonio. Mons. Brandolini afferma che tra le principali motivazioni che hanno reso necessario l’adattamento ci sono: a) una rinnovata coscienza ecclesiale del matrimonio che richiede che nel rito siano esplicitati aspetti inerenti al senso cristiano del matrimonio, come la dimensione comunitaria, la presenza dello Spirito, la ministerialità degli ospiti nella celebrazione; b) il tener presente il caso di coppie che pur non avendo maturato un chiaro orientamento cristiano e non vivendo una piena appartenenza alla Chiesa, chiedono di celebrare cristianamente il matrimonio. Quindi dava ragione dei risultati più significativi: a) varietà e ricchezza di testi eucologici; b) introduzione di nuove sequenze rituali come la memoria del battesimo, le litanie dei santi; c) arricchimento del Lezionario per offrire una rassegna di pericopi. Il Lezionario può essere usato nelle nozze cristiane rendendo testimonianza della ricchezza nella Sacra Scrittura ed è caratterizzato da tre filoni: i passi che annunciano il disegno di Dio sull’amore coniugale; le vicende di coppie che esemplificano le qualità di questo amore e gli interventi di Dio a sua custodia e promozione; alcune indicazioni di tipo morale circa i modi concreti in cui stare dentro la relazione coniugale. Le origini del sacramento dell’amore fra uomo e donna si esplicitano nei testi del Vangelo di Matteo in cui troviamo dei tentativi da parte dei Farisei di mettere in difficoltà Gesù sulla questione del ripudio della donna “per qualsiasi motivo>”. La risposa di Gesù è duplice e convergente: riannunciare il disegno originario del Creatore nel fallimento di un legame tra uomo e donna e coinvolgere i suoi uditori nell’accoglienza delle esigenze che nascono dall’amore del Padre affinché sia criterio decisivo per la valutazione di ogni relazione. La Scrittura ci presenta il “fare” di Dio come un “separare”: la parola di Dio crea distinguendo a partire dalle tenebre. Esempio, la luce è definita differendosi dalle tenebre, il cielo separa le acque che stanno sotto da quelle sopra, il mare si ritira per lasciare spazio alla terra, gli alberi sono diversi perché fanno frutti secondo la propria specie, gli astri sono al servizio della distinzione tra giorno e notte, gli animali si moltiplicano nella loro varietà. La stessa Bibbia afferma che “tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra, egli non ha fatto nulla d’incompleto”. Il “fare” di Dio non intende negare la comunione di tutto ciò che non è Dio, bensì porre le condizioni affinché ogni cosa abbia la sua autonomia. La dinamica creativa “a coppie” sembra venir meno nella creazione dell’uomo. Inizialmente viene presentato l’uomo e solo alla fine si fa distinzione tra “maschio” e “femmina”, come se prima l’uomo sia presentato come una sola persona, in sé completa, e solo in un secondo momento, tratta da lui, compare la donna. L’uomo viene indicato col termine di “adam”, la sua caratteristica è di essere usato sempre al singolare, dunque il significato può essere quello generico di “umanità”. Quindi il termine “adam” sta ad indicare entrambi i sessi, cioè la coppia di maschio e femmina. L’espressione “Non è bene che l’uomo sia solo”, indica che non si tratta solo della mancanza di una compagna, bensì della sensazione di smarrimento dell’uomo che non ha di fronte a sé una “donna”, nel senso di essere sessualmente differente. Questa solitudine non sarebbe secondo la bontà/bellezza di Dio, tant’è che è lo stesso Dio a porre la decisione dell’alterità: “gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Questa ricerca del “simile che sta di fronte” nasce dal desiderio dell’eros: grazie ad esso l’uomo è portato ad abbandonare la presunzione di essere autosufficiente. L’uomo riconosce questa persona come “un’altra persona”, cioè diversa da lui, però è simile. La Bibbia stessa usa due termini “uomo-marito” e “donna-moglie” cioè “is” e “issa”. La Genesi poi si fa plastica: “carne della mia carne”, “osso delle mie ossa”; nel momento in cui l’essere umano riconosce di essere “due” afferma di essere nell’unità dei due corpi. “Una sola carne” è quella della comunione delle condizioni di vita che ha come caratteristica di unire i corpi. La “fecondità” della comunione si conserva a patto che i due restino due, differenti, desiderosi l’uno dell’altra. I frutti di questa relazione, come la coppia, la prole, la famiglia, la società, non hanno il DNA di uno solo dei due né tantomeno sono la semplice “somma” dei due: sono una novità. Giovanni Paolo II scriveva: “Il matrimonio come sacramento primordiale costituisce, da una parte, la figura secondo cui viene costruita la fondamentale struttura portante della nuova economia della salvezza e dell’ordine sacramentale, che trae origine dalla gratificazione sponsale che la Chiesa riceve da Cristo, insieme con tutti i beni della redenzione”. Il matrimonio non è solo paragonabile al vincolo tra la Chiesa e Cristo, bensì contribuisce per se stesso a far sì che la Chiesa nella sua concretezza appaia, anche nella dimensione della realtà storica, come sposa di Cristo e in tal modo come colei che, attraverso la sua esistenza e la sua struttura, testimonia che Cristo nella Chiesa si è unito definitivamente all’umanità. Il matrimonio- sacramento è manifestazione culturale, è simbolo reale, ha una sua dimensione fisica, manifesta l’auto partecipazione di Dio all’uomo attraverso la grazia. Manifesta l’essenza della Chiesa la quale è, in Cristo, il sacramento fondamentale di questa auto partecipazione divina. Infine manifesta anche l’atto libero in cui questa partecipazione viene accettata, nella grazia, da chi permette che il sacramento si compia sopra di lui e contribuisce a costituirlo. 3. LE CARATTERISTICHE DELL’AMORE Sono dunque le dimensioni dell’amore di Cristo ad essere il “criterio”, il “punto prospettico” di ogni altra forma d’amore: per sapere cos’è l’amore dobbiamo guardare a Lui. Il magistero ha ritenuto opportuno raccogliere lungo quattro direttrici le dimensioni dell’amore coniugale: “E’ prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma anche atto di volontà libera, destinato non solo a mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana; così che gli sposi diventino un cuor solo e un’anima sola e raggiungano insieme la loro perfezione umana. E’ poi amore totale, vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi condividono ogni cosa. Chi ama davvero il proprio consorte, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso. E’ ancora amore fedele ed esclusivo mature; puntare sul coinvolgimento di tutta la comunità cristiana. Questo chiede di preparare gli sposi alla famiglia e non solo alla vita di coppia, e a riconoscersi soggetti sociali, titolari di diritti e di doveri nella società e nella Chiesa. Giunti alla celebrazione nunziale si dà avio alla vita coniugale. “Unirsi nel matrimonio sacramentale significa coinvolgere Dio nella propria vita, volere che l’amore che Lui ha vissuto diventi lo stile della propria vita di coppia. Celebrare il sacramento del matrimonio significa ricevere la possibilità di amare il proprio uomo, la propria donna, i figli, con lo stesso stile con cui Gesù amò i suoi. La prima responsabilità degli sposi nei confronti del matrimonio è che la coppia cristiana coltivi la grazia del sacramento del matrimonio con una vita cristiana che consideri adeguatamente l’ascolto della Parola, la pratica dei sacramenti, la partecipazione alla vita di carità della comunità cristiana. La parola spiritualità indica la vita secondo lo spirito del Signore Risorto, cioè vita nell’amore, resa possibile dalla grazia dei sacramenti. Giovanni Paolo II scrive: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Ciò ha valore anche per la coppia e la famiglia cristiana: loro guida e norma è lo Spirito di Gesù, diffuso nei cuori con la celebrazione del sacramento del matrimonio. La famiglia cristiana viene così amata e guidata con la legge nuova dello Spirito ed in intima comunione con la Chiesa, popolo regale, è chiamata a vivere il suo servizio d’amore a Dio e ai fratelli”. L’etica matrimoniale spiega che le esigenze che rendono autentico l’amore coniugale che desidera essere sacramento non sono altro rispetto alle leggi della morale matrimoniale, che indica le condizioni affinché esso possa realizzarsi in modo pieno. Le varie regole dell’etica matrimoniale sono i sentieri lungo i quali l’amore sessuale diviene comunione legale. Totalità, fedeltà, indissolubilità, fecondità sono le caratteristiche che le regole morali intendono salvaguardare e favorire. Essere sacramento dell’amore totale di Gesù implica che ciascuno dei due orienti se stesso all’unione con l’altro, ciascuno dei due deve accogliere l’altro in tutte le sue dimensioni. Si tratta di riconoscere l’altro per quello che è, senza che il dominio o la seduzione impediscano all’altro/a di essere se stesso/a. La comunione amorosa integrale assegna alla relazione amorosa il carattere di esclusività. Voler appartenere totalmente all’altro comporta il non essere di altri: ci saranno anche gli altri nella vita di due coniugi, ma come il proprio coniuge non ci sarà nessun altro. La comunione integrale tra uomo e donna è il sorgere di una realtà nuova. L’uomo integrale è gravido di fecondità. La fecondità è già insita nella relazione di coppia. “Desidero un figlio da te” è una dichiarazione d’amore maturo. La fecondità può essere: interpersonale, cioè il primo frutto della coppia è la coppia stessa; sociale, che si esprime nell’accoglienza, nell’ospitalità, nella relazione con altre famiglie; spirituale, che avviene quando due persone comunicano in profondità la loro vita, aiutandosi reciprocamente a rinascere come persone nuove; procreativa, in cui la comunione amorosa integrale, giungendo fino all’intimità sessuale, può generare un’altra vita. “Quando si può dire che un uomo e una donna sono in Cristo così da raggiungere la comunione amorosa? Affinché l’amore di Cristo circoli come linfa nella vita di una coppia non è sufficiente che essi dichiarino di credere: è necessario che lo frequentino. Una relazione amorosa non vive di proclami, per quanto struggenti possano essere, ma del vivo contatto. Esistono situazioni matrimoniali “irregolari: l’irregolarità di riferimento è di tipo canonico. L’irregolarità morale si chiamerebbe peccato e da questo punto di vista ogni matrimonio sarebbe irregolare, poiché non praticherebbe mai pienamente la carità di Cristo, che si pone come regola della morale cristiana. Esistono situazioni difficili e situazioni irregolari: le prime riguardano divorziati e separati; le seconde riguardano divorziati risposati, sposati solo civilmente e conviventi. Per indicare che coloro che si trovano in una situazione matrimoniale irregolare non sono in piena comunione con il corpo ecclesiale, la Chiesa cattolica ritiene di non poterli ammettere alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica. Occorre richiamare l’appartenenza alla Chiesa anche dei cristiani che vivono in situazione matrimoniale difficile o irregolare: tale appartenenza si fonda sul battesimo con la novità che esso introduce e si alimenta con una fede non totalmente rinnegata. È la consapevolezza che la comunità cristiana può e deve prendersi cura di questi suoi membri; è nella stessa consapevolezza che essi possono e devono partecipare alla vita e alla missione della Chiesa, sin dove lo esige e lo consente la loro tipica situazione ecclesiale. Infine alla Chiesa non resta che verificare, rinnovare, rinvigorire le forme della vicinanza materna a questi figli che attraversano territori di sofferenza, smarrimento, confusione affettiva e relazionale. Il ministero chiede di essere attenti al discernimento delle diverse situazioni: infatti c’è differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutti ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio valido; ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli e sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio non era mai stato valido. Non c’è dunque un giudizio sulle persone e sul loro vissuto, ma una norma necessari a motivo del fatto che queste nuove unioni nella loro realtà oggettiva non possono esprimere il segno dell’amore unico, fedele, indiviso di Gesù per la Chiesa. PERSONA E SOCIETA’ 1. UN’ETICA SOCIALE CRISTIANA La fondatezza di un’etica sociale cristiana riguarda l’individuare gli elementi di base, sempre necessari per interpretare un fenomeno sociale di qualsiasi tipo: dal lavoro, alla vita politica, ad una questione giuridica pubblica.. interessanti sono tre elementi basilari: 1) l’elemento sociale, in quanto oggetto specifico di questo approccio etico “Che cos’è la società, oggi? Quali sono le sue caratteristiche peculiari? In che senso ci riguarda?”; 2) l’eticità del sociale “In che senso la vita sociale è frutto di decisioni libere? In quale senso e modo una società potrebbe trovare le vie per divenire migliore?”; infine la cristianità del sociale ”In che senso la fede cristiana ha a che fare con la società?”. Lo sguardo complessivo sulla società attuale coglie una serie di sintomi rilevanti: frammentazione, flessibilità, multicentricità. La società si presenta oggi all’insegna della complessità, ovvero come una realtà in cui è necessario comprendere, tenere insieme le differenti tensioni presenti al suo interno, l’articolazione tra i suoi diversi soggetti, il continuo mutamento. “Fino a che punto siamo liberi nella vita sociale?”. La tensione sussistente sembra essere quella tra individuo e società. Alcuni sintomi possono essere rintracciati nello scarto tra il cittadino, o l’uomo che pensa a se stesso come un “io” isolato, e la società intesa come realtà periferica e sganciata da vissuto personale. In realtà la persona è sempre un “essere in relazione “: riceve vita da altri, apprende, è educata, assistita, cresciuta da altri; da altri sempre dipenderà, pur imparando a dare. Particolarmente apprezzate sono oggi le relazioni comunitarie o primarie, in cui prevalgono i tratti della prossimità, del pieno riconoscimento dell’altro, dell’attivo coinvolgimento dei membri di una famiglia o di un gruppo; le relazioni in cui la logica del io-tu tende a costruire alcuni “ noi essenziali”, dove ritrovarsi e ritrovare l’altro (nella famiglia, nell’amicizia, nell’ambito associativo). A questo punto occorre domandarsi quale ruolo rivestono oggi le istituzioni sociali o meglio l’agire, spesso considerato estraneo alla libertà in quanto solo strutturale. L’istituzione merita di essere riconosciuta come “prodotto” dell’accumularsi della libertà di molti e che predispone, orienta tutte le scelte che ad essa si riferiranno. Si pensi all’istituzione familiare, alle istituzioni educative, economiche, politiche; allo Stato e alle sue leggi che mediano la gran parte dell’agire condiviso socialmente. Tali realtà rendono più strutturata e agevole la vita sociale, consentono alle società di tramandare se stesse, la propria cultura, civiltà, estendendola nel tempo e nello spazio. L’istituzione è realtà anch’essa viva. Non è neutrale per la libertà, ma proviene dalla libertà congiunta dei molti che nel tempo hanno dato vita ad essa. Raccogliendo in unità le tre configurazioni analizzate affiora una considerazione relazionale della libertà dell’uomo che si rende afferrabile in tre dimensioni: personale, comunitaria e istituzionale. Un’etica sociale dovrà strutturarsi secondo queste dimensioni perché è dal loro intreccio che la libertà può essere colta in modo non ingenuo o parziale. Tre dimensioni irrinunciabili attraversate e unificate dal tempo perché la società è esperienza storica. Prendersi cura della società è un modo di prendersi cura dell’altro nel senso più ampio possibile, anche di colui che non conosciamo. Le principali tappe di un metodo che porti al riconoscimento dei tratti essenziali finalizzati all’interpretazione dell’etica sociale sono: 1) il fenomeno sociale (storia), letto a partire dall’uomo in quanto suo protagonista, che spiega come la società accomuni la vicenda di tutti; 2) la rilettura alla luce della fede cristiana (Bibbia), in quanto attestazione rivelatrice di Dio all’uomo e dall’uomo a se stesso, entro la relazione salvifica posta con lui; 3) l’etica sociale (Dottrina Sociale della Chiesa), o esigenza etica che si manifesta in quanto direzione di compimento della libertà. In questo modo la libertà è chiamata a riconoscere nel momento biblico il punto più alto del suo rivelarsi, e in quello etico la possibilità di una mediazione alta in cui la libertà stessa può essere di nuovo attratta e rilanciata. La libertà nella Scrittura si dà mediante la narrazione di vicende esemplari ad alto contenuto simbolico. Nell’Antico Testamento si fa riferimento alla Legge di Israele in cui troviamo tre elementi di novità: 1) il presupposto, non si parte dalla giustizia intesa come ordine astratto da ristabilire qualora fosse violato, ma dalla concreta vicenda storica in cui non vi sono dei cittadini ma il povero e il ricco in relazione; 2) la natura, giustizia è innanzitutto qualità personale che si manifesta nell’agire ed è sempre riferita all’altro, giusti/ingiusti lo si può essere in relazione all’altro, non in relazione ad una norma astratta; 3) la motivazione, è riferita all’esigenza di giustizia che l’altro si attende. Dalla giustizia cosi concepita, l’uomo non è artefice né protagonista, ma da sempre il suo agire è preceduto dall’agire fedele di Dio. La Profezia denuncia forme di ingiustizia che la Legge non sempre mette in luce: 1) ingiustizia generalizzata, tutti Israele è peccatore e la sua ingiustizia riguarda tutta la Legge; 2) ingiustizia occultata, nascosta dietro il velo dell’apparente legalità, Israele è come una vigna che produce uva selvatica. Il ridimensionamento delle attese di Israele nel riguardi delle istituzioni, l’apertura al riconoscimento delle altre nazioni e la speranza nella propria Promessa portano al passaggio tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Nel Nuovo Testamento si parla come al tempo di Gesù il giudaismo era percorso da due correnti: il radicalismo di zeloti ed esseni e la posizione di compromesso dei farisei e dei sadducei. L’atteggiamento di Gesù è il rifiuto di ogni malinteso messianismo di carattere politico-sociale. Il rapporto tra la fede cristiana e la realtà politica soggiace al noto episodio in cui Gesù è interrogato circa il potere di Cesare. Suggeriamo alcuni rilievi: il primo riguarda il contesto, pretestuoso, ingannevole, relativo non ad un quesito di carattere religioso ma pubblico. La politica è una risorsa, possibilità o anche potenzialità straordinaria posta al servizio del progresso della civiltà. Dalla politica scaturiscono anche guerre, distruzioni di intere aree dell’umanità. La forza della politica risiede nel fatto che essa attinge ad un potere proveniente da molti, e che interagisce con moltissimi altri. La politica rappresenta il potere sociale, cioè su molti, nella sua massima espressione storica. La politica può essere riferita a tre livelli basilari: - la policy, l’orizzonte più ampio degli orientamenti, ideali, linee di condotta, finalità, valori, costumi e modi di vivere, cioè qualcosa che tutti svolgono; la polity, il livello riguardante gli aspetti istituzionali e strutturali e il loro governo; - la politics, la politica attiva svolta dai suoi professionisti, cioè i politici. Il primo livello è fondamentale, gli altri due devono essere posti al suo servizio; il secondo rappresenta la codificazione, cioè la struttura e l’attuarsi della politica; il terzo è decisionale, il più ricco di responsabilità. Nell’Antico Testamento, in primo piano troviamo la legge e i suoi mediatori, i giudici e re chiamati a esercitare la giustizia presso il popolo. Un ruolo importante è svolto dalla Profezia, giudizio importante sulla prassi di Israele: i profeti affermano l’esigenza di istituzioni giuste e di una giustizia praticata dai re e dai capi. Nel Nuovo Testamento si parla di potere politico e sociale nella sua ambivalenza: esso è una tra le massime tentazioni, quella di asservire gli altri e se, fosse possibile, Dio stesso, alle proprie finalità. L’agire politico è soggetto a limitatezza e imperfezione, ma anche al peccato; non è espressione diretta del male ma ambivalente. L’itinerario della fede cristiana nella storia presenta svariati modelli: in epoca patristica vige il modello di S. Agostino, in cui la lettura della storia presenta la dialettica tra le due città, la città di Dio e quella terrena. I due amori che le sorreggono, amor sui e amor Dei, esprimono due logiche contrapposte. Ne consegue un tratto pessimista: la politica è contrassegnata dal peccato in grado di produrre alcune utilità; la conseguenza è la differente logica che a essa occorre riconoscere. In epoca medievale prevale il modello di S. Tommaso, in cui i due poteri, ecclesiale e civile, sono differenti per qualità ma coordinati entro l’unica città degli uomini, la res publica christiana. La politica qui risulta buona e ragionevole, in essa la legge rappresenta l’interpretazione razionale del bene comune e la giustizia è la virtù predisposta a conseguirlo in forma pratica. In epoca moderna, la politica risulta separata dalla fede e dall’etica, lo Stato diviene luogo di elaborazione autonoma di una “politica senza verità”. Quattro sono le figure dello Stato nazionale moderno: - assoluto, l’esercizio del potere assoluto del sovrano è necessario per la coesione dello Stato; - liberale, si afferma la libertà di coscienza, i diritti del cittadino, lo Stato interviene minimamente ed è al servizio del cittadino; - totalitario, si afferma lo Stato etico e la politica decide tutto nei confronti e al posto del cittadino; - democratico, fondamentale è la sovranità popolare. Nell’attuale epoca post moderna prevale il tentativo di perseguire la giustizia per via politica. “Come pervenire alla società giusta?”. Un duplice principio consente di realizzare la giustizia: - giustizia come eguaglianza, in cui tutte le libertà, i diritti, i beni primari debbono essere distribuiti in modo eguale entro una società; giustizia come differenza, che tratta di differenze ammissibili in campo sociale. L’articolazione dell’agire politico comporta una triplice dimensione: credente (carità) <> etico (servizio al bene comune) <> sociale (finalità condivisa). Da qui è ricavabile il senso della formula “giusta” o ”legittima”: l’azione politica non può dirsi autonoma in senso assoluto perché implica al suo interno almeno altri due livelli di significato più profondi. All’uomo fa riferimento la totalità dei principi: - principio personalista, per il quale la persona è soggetto, fondamento e fine della vita sociale, esso tutela la dignità dell’uomo e i diritti umani, la partecipazione del cittadino alla vita sociale; - principio di sussidiarietà, cioè la tutela e la promozione di una società articolata in una pluralità di soggetti, rispetto e promozione di autonomie locali; - principio di solidarietà, per cui la politica tende alla condivisione e alla redistribuzione corretta di beni ed oneri, al riconoscimento della pari dignità e uguaglianza di tutti di fronte alla legge; - principio del bene comune, che determina il fine al quale deve mirare l’intera azione politica; - principio della partecipazione, in cui la cittadinanza risulti matura ed attrice della vita del proprio Paese. La laicità (dal greco laikos cioè “del popolo”) è qualcosa che pertiene a tutti, qualcosa di comune, di un intero popolo. Non implica la rinuncia all’’etica, anzi aiuta a cogliere che la decisione politica ha sempre a che fare con l’etica in quanto ingloba a sé elementi favorevoli all’uomo. La laicità è condizione favorevole per il dialogo con e tra tutti. Questo è tipico della democrazia, che non può limitarsi ad amministrare un insieme di procedure e regole, poiché suo compito è quello di garantire le condizioni di un dialogo fecondo, fruttuoso e costruttivo. 4. UN DIRITTO PER LA VERA GIUSTIZIA Nell’Antico Testamento la Legge è espressione dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo, guida di un cammino di fede che insegna all’uomo a custodire le due relazioni fondamentali, con Dio e il fratello. Il negativo, il significato della Legge è quello di delimitare il male, favorendo la corretta percezione del bene, ed educare la volontà dell’uomo a proseguire oltre i beni che si presentano come tali al suo giudizio, in vista del bene autentico, assoluto, che solo merita di dedicarsi alla libertà. Già nell’Antico Testamento è possibile scoprire l’annuncio di una nuova Legge e di conseguenza, di una nuova giustizia, di cui Dio solo è vero garante e custode. Nel Nuovo Testamento si raccomanda che la tensione tra le due sia avvertita e vissuta in direzione della seconda e più alta. Le grandi tappe della vicenda storica riguardanti la giustizia e il diritto nell’ambito della vita sociale sono: - le origini, in cui la codificazione del diritto è preceduta dal costume, dal vissuto sociale. Il diritto costituisce la più generale mediazione sociale, tutela beni, valori, diritti che hanno rilevanza pubblica, cioè per tutti e nei confronti di tutti e infine il diritto è dato per tutti, è universale e perenne; - l’epoca romana, in cui il diritto vanta il primato e una “pretesa” di intrinseca eticità, in quanto apportatore di giustizia. Suo fondamento è la natura dell’uomo e il motto programmatico è “vivere onestamente, non ledere gli altri, dare a ciascuno il suo”; - L’epoca medievale, in cui si verifica la massima vicinanza tra diritto e giustizia, quest’ultima considerata virtù ne contempla tre forme (generale o legale; distributiva; commutativa). L’integrazione/correzione della giustizia è realizzata tramite l’epikeia, cioè l’equità, in quanto miglioramento dell’esercizio della giustizia; - la stagione moderna, in cui l’intesa tra diritto e giustizia diviene sempre più faticosa. Dal binomio ius- iustitia (contenuto del diritto e delle leggi è ciò che è giusto) si passa al binomio ius-iussum (contenuto del diritto e delle leggi è ciò che è comandato). Diritto è ciò che è comandato dalla legittima autorità, il sovrano, la legge è il comando di chi in quel momento è detentore del potere. I diritto diviene mediazione esteriore dei rapporti sociali, cioè media tra me e me stesso e tra me e la società; - dall’illuminismo a oggi, è la stagione dei diritti dell’uomo e del cittadino, come fondamento di tutte le altre leggi. Sono presenti nuove forme della giustizia sociale: - giustizia come equità, che esige il crearsi di una parità di condizioni per tutti quale premessa necessaria al costituirsi di una nuova società. Le due principali regole per questa giustizia sono: - l’uguaglianza, per la quale i beni fondamentali di una società devono essere distribuiti in modo equivalente, senza distinzioni; - la differenza, in base alla quale ogni diversità dev’essere adeguatamente compensata o giustificata da una maggiore utilità comune. Il diritto è un linguaggio a servizio della giustizia e della verità, quindi del bene di ciascuno e di tutti, non di altro. Il diritto non può sostenere totalmente le esigenze dell’etica, ma ad esse deve approssimarsi quanto più possibile. Ciò vale per tutti, per il legislatore e per chi ha funzioni pubbliche, come pure per ogni cittadino. Il compito del legislatore si colloca nella linea della buona interpretazione dell’ethos. Ciò implica non un semplice adattamento della legislazione al costume corrente, ma una precisa responsabilità del legislatore in questa interpretazione. Il legislatore è consapevole che la legge non è soltanto indicatrice di comportamenti. Suo compito è anche di promuovere, orientare, coordinare, correggere, incentivare al meglio, nei termini realisticamente possibili, il buon agire di tutti. Implica un agire responsabile e responsabilizzante, che traspaia dalla legislazione stessa. La prima questione riguarda il livello di impegno da richiedersi da parte di tutti: “quello minimo per raggiungere una più diffusa praticabilità della norma? O livelli più elevati di impegno?”. Si tratta anzitutto di individuare alcuni nuclei centrali, di riferimento per tutta la legislazione, i cui contenuti appaiono irrinunciabili: ad esempio, i diritti e la dignità della persona umana e delle sue più immediate espressioni, in quanto realtà che precedono leggi. Quanto alla rimanente legislazione, il criterio dominante rimane quello del miglior bene comune realizzabile, al fine di perseguire le finalità che uno Stato si è dato a livello di Carta costituzionale. Nasce così l’esigenza di una legislazione il più possibile coerente, unitaria, anche in campo penale. Il livello minimo di coerenza è quello di una legislazione che eviti quanto meno di passare da livelli anche molto elevati di tolleranza a casi opposti, in cui un comportamento di minimo rilievo sociale può risultare pesantemente sanzionato. Occorre inoltre evitare che la tolleranza esprima il minimo dell’impegno sociale, a fronte della ricerca di obiettivi di solidarietà sociale, nella direzione dei quali diviene possibile impegnarsi. Si tratta pertanto di far sì che la legge rimanga strumento di giustizia, non di altro. Trovano significato quindi l’esigenza di evitare ogni eccesso legislativo, come pure di escludere che la legge sia posta a vantaggio di alcune categorie. Nel primo caso vale il motto “meno leggi, più legge” che mira a rendere i rapporti sociali il più possibile giusti ed equi; nel secondo caso l’esigenza dell’equità sociale impone di evitare il cosidetto “privilegio”. Responsabilità va riconosciuta anche ai pubblici funzionari e ai dipendenti pubblici e al cittadino che porta con se la responsabilità di un agire che riguarda non solo la sua persona e quanti sono o possono esserne influenzati, ma la società stessa. A livello personale è richiesta anzitutto la lealtà nel rispetto delle leggi, che impone a ciascuno l’atteggiamento della legalità, in quanto il senso profondo della legge è quello di tendere al bene comune. La legge è importante anche sotto il profilo etico: si fa riferimento alle categorie etiche dell’obiezione di coscienza o della legittima difesa.