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Il cristiano nel mondo: introduzione alla teologia morale - A. Fumagalli, Sintesi del corso di Teologia

Riassunto del libro di Fumagalli. Voto ricevuto 30.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 01/07/2020

MartaNepi
MartaNepi 🇮🇹

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Scarica Il cristiano nel mondo: introduzione alla teologia morale - A. Fumagalli e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! IL CRISTIANO NEL MONDO INTRODUZIONE Dionigi card. Tettamanzi “Maestro, che cosa devo fare di buono...?” (Mt 19,16) Il dialogo tra il giovane ricco e Gesù può essere suddiviso in tre momenti, imperniati attorno a tre concetti: la vita eterna, i comandamenti di Dio e la sequela di Gesù.
 La forma dialogica comporta un discorso che scorre tra due interlocutori. La morale cristiana è dialogo interpersonale, relazione vitale di due persone. Dialogo come una relazione inter- personale prima ancora che come uno scambio verbale. Ciò che viene detto e udito suppone che qualcuno parli e qualcun altro ascolti. Lungi dall’essere un impersonale codice di leggi scritte, la morale cristiana è dialogo interpersonale, relazione vitale di due persone. Nesso tra il desiderio dell’uomo e la legge di Dio nell’amore di Cristo 1. Il desiderio dell’uomo → Il dialogo della scena evangelica comincia con la domanda di “un tale” che resterà anonimo. L’anonimato universalizza la sua identità: quel tale rappresenta ogni uomo che s’interroga sul bene e la felicità. La domanda che inaugura il dialogo verte sul bene da praticare in vista di una vita pienamente compiuta e illimitatamente perdurante. La domanda che pone non riguarda solo il fine della felicità, ma anche i mezzi per raggiungerla. Si tratta di una domanda pratica, che verte cioè sul “che cosa fare” che ha i tratti dell’obbligo e la qualità del bene. 2. La legge di Dio → La risposta di Gesù non frena la ricerca del giovane, ma la apre ad un orizzonte infinito. Suona come una contro-domanda, che invita il giovane ad attivarsi personalmente nel cammino di ricerca.
 Egli svela al giovane la profondità divina del bene, invitandolo a riconoscere la radice dei molteplici beni in Dio. La domanda morale del giovane riguardante il suo agire nel mondo viene rivelata da Gesù nella sua profondità religiosa, nel suo legame con Dio: interrogarsi sul bene da fare è già mettersi sulle tracce di Dio. L’uomo non è abbandonato a se stesso nel perseguimento della vita divina, ma da Dio stesso istruito circa il cammino da compiere. La legge morale di cui l’uomo è naturalmente dotato lo induce a fare il bene non totalmente in astratto, ma già insegnando alcuni modi concreti di vivere, quali appunto dettati dai comandamenti. 3. La sequele di Gesù → la risposta di Gesù alla richiesta del giovane verte sulla vendita delle ricchezze a favore dei poveri. Il desiderio di perfezione del giovane viene calibrato sugli altri. La perfezione morale non consiste nell’inappuntabile pratica di precetti impersonali, ma nella dedizione personale agli altri, scegliendo di preferenza i poveri. Epilogo: l’imperativo della chiamata: “Seguimi!” non priva di libertà la risposta. Al giovane, Gesù si rivolge anzitutto dicendo: “Se vuoi”.
 Nella rinuncia del giovane alla sequela di Gesù si potrebbe riconoscere un sintomo dell’attuale condizione giovanile, non senza desideri di autentica felicità eppure spesso irretita nel godimento immediato. I piaceri solo umani non possono cancellare il desiderio di una felicità divina. PARTE 1 - FEDE CRISTIANA E AGIRE MORALE CAP 1 - I LEGAMI DELLA LIBERTÀ La morale cristiana consiste nel legame che intercorre tra Cristo e gli uomini, così come dall’innesto nella vite dipendono la vitalità e fruttuosità dei tralci. 1.Morale e etica 1 Il termine “morale” è la traduzione dall’aggettivo latino moralis, morale. A sua volta l’adattamento dell’aggettivo greco ethika, il quale è giunto direttamente nelle lingue moderne nella forma del sostantivo “etica”. “Etica” e “morale” sono stati usati con diverso significato: “etica” indica la riflessione di taglio filosofico e “morale” quella di matrice religiosa.
 Si potrebbe definire l’etica/morale come “ciò che caratterizza l’agire umano”. Questa definizione è confermata da un’altra accezione del termine ethos, quella di “residenza, luogo dove si abita”. L’etica/morale può essere intesa come la “dimora” propria dell’uomo, quella dimensione che caratterizza il suo modo di comportarsi in senso propriamente umano.
 L’agire umano è agire libero. Non solo l’uomo compie delle azioni, ma le compie sapendo e volendo agire. Ragione e volontà sono gli ingredienti dell’agire libero, per il quale l’uomo, a differenza di ogni altro essere vivente, è “padrone dei propri atti”. La “morale” riguarda l’agire libero dell’uomo, valutandolo come buono o cattivo. 2.La presunta libertà 2.1 L’orizzonte post moderno Questa definizione è confermata da un’altra accezione del termine ethos, quella di “residenza, luogo dove si abita”. L’etica/morale può essere intesa come la “dimora” propria dell’uomo, quella dimensione che caratterizza il suo modo di comportarsi in senso propriamente umano.
 L’agire umano è agire libero. Non solo l’uomo compie delle azioni, ma le compie sapendo e volendo agire. Ragione e volontà sono gli ingredienti dell’agire libero, per il quale l’uomo, a differenza di ogni altro essere vivente, è “padrone dei propri atti”. La “morale” riguarda l’agire libero dell’uomo, valutandolo come buono o cattivo. 2.2 Il miraggio della libertà Questa definizione è confermata da un’altra accezione del termine ethos, quella di “residenza, luogo dove si abita”. L’etica/morale può essere intesa come la “dimora” propria dell’uomo, quella dimensione che caratterizza il suo modo di comportarsi in senso propriamente umano.
 L’agire umano è agire libero. Non solo l’uomo compie delle azioni, ma le compie sapendo e volendo agire. Ragione e volontà sono gli ingredienti dell’agire libero, per il quale l’uomo, a differenza di ogni altro essere vivente, è “padrone dei propri atti”. La “morale” riguarda l’agire libero dell’uomo, valutandolo come buono o cattivo. 3.La libertà legata La libertà non può decidere se fare o non fare. È costretta a giocare la partita della vita, deve giocarsi. 3.1 La libertà e il corpo → a libertà è ciò che fa di un corpo una persona umana: un corpo senza la libertà potrebbe al massimo aspirare ad essere un animale. Nei confronti del corpo non si può fare ciò che si vuole: compromettere il corpo significa compromettere la propria libertà. Il corpo è fonte dei motivi che inclinano la libertà a compiere determinate azioni. I bisogni inducono l’uomo a nutrirsi ed accoppiarsi. Il dolore e il piacere percepito spingono l’uomo a evitare i pericoli e a ricercare il benessere. Il corpo è anche il modo mediante il quale la libertà si esprime. Il legame della libertà col corpo si esprime nelle emozioni: il termine stesso rimanda al sensibile influsso che essa esercita sulla libertà. Oltre che dalle emozioni, la libertà è condizionata anche dalle abitudini che non le consentono di cambiare le proprie scelte con la fermezza e la rapidità con cui vorrebbe. C’è poi un livello biologico del corpo che condiziona la libertà in modo pressoché assoluto: eventi come la nascita, la crescita, l’età, il declino, la morte sono realtà indisponibili all’uomo. 3.2 La libertà e il mondo → l’evoluzione che la civiltà umana ha favorito è la degenerazione di un legame che l’uomo inevitabilmente intrattiene con il suo mondo vitale. Là dove l’uomo vive, la natura è già cultura. La cultura è ciò che scaturisce dalla libertà che opera nella natura. 2 L’iper-dono della nuova ed eterna alleanza inserisce l’uomo nell’orizzonte della vita eterna. Per mezzo dello Spirito santo la promessa di Gesù di attirare tutti a sé, una volta innalzato sulla Croce e nella gloria della resurrezione, si realizza sino agli estremi confini della terra e in ogni epoca della storia. Il dono escatologico della vita eterna prospetta la morale cristiana come un camminare nello Spirito, lasciandosi guidare alla progressiva incorporazione in Cristo, sino alla misura colma in cui Dio sarà tutto in tutti. 3.L’amore come legge La rivelazione biblica dei dinamismi rilevanti della morale cristiana fornisce l’infrastruttura per lo sviluppo della teologia morale. 3.1 La legge nuova L’anticipazione di Gesù ai discepoli circa il suo imminente innalzamento sulla croce e nella gloria della resurrezione allude allo Spirito santo quale fonte e risorsa della vita morale. La promessa di attirare tutti a sé annunciata da Gesù si realizza per mezzo dello Spirito santo. L’attrazione esercitata dallo Spirito sulla libertà invita a una rinnovata interpretazione della legge morale. 3.1.1 La grazia dello Spirito santo → identificando la grazia dello Spirito santo con la legge nuova Tommaso introduce una concezione inedita di legge che agisce dall’interno. La legge nuova è posta da Dio nell’intimo dell’uomo, secondo la promessa riferita dal profeta Geremia. La legge nuova è una legge “infusa”. 3.1.2 L’amore sino alla fine → la legge nuova è destinata ad innervare la libertà umana, affinchè dalle radici più profonde dell’identità morale risalga alimentando le disposizioni ad agire, sino a produrre gli atti.
 La gradualità ascendente della vita cristiana è scandita dalle sette beatitudini poste in apertura al Discorso della montagna e culminanti nell’ottava e ultima beatitudine: “Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”. 3.2 La legge naturale La legge morale non si esaurisce nella legge nuova, ma deve essere integrata considerando la “legge naturale”, cosiddetta perché propria della natura umana. 3.2.1 Legge posta nell’intimo → la relazione tra la legge naturale e la legge nuova può essere stabilita rispetto alla loro intima presenza nell’uomo.
 La somiglianza della legge naturale con la legge nuova è dovuta al fatto che entrambe sono leggi infuse.
 Ma la legge nuova è infusa nell’uomo, non solo come indicazione di ciò che deve essere fatto, ma anche come aiuto a compierlo. La dissomiglianza della legge naturale rispetto alla legge nuova riguarda il fatto che quest’ultima è la risorsa per compierlo. 3.2.2 L’amore del prossimo → la legge naturale trova espressione scritta nei comandamenti del Decalogo.
 I comandamenti del Decalogo convergono nell’unico comandamento dell’amore del prossimo. I precetti del Decalogo indicano il livello minimo della vita amorosa, al di sotto del quale si apre l’abisso della violenza mortale. L’interpretazione amorosa dei precetti negativi del Decalogo, permette di rivalutarli nella loro positiva funzione.
 3.3 Caratteristiche della legge morale 3.3.1 Interpersonalità In quanto amore, la legge morale è interpersonale, riguarda cioè la relazione amorosa tra persone. L’osservanza della legge morale diviene una questione di coerenza soggettiva. L’amore per gli altri non costituisce più la sostanza della legge morale, ma l’obbligo che essa impone. L’altro è amato in nome della legge e non per amore. 3.3.2 Obbligatorietà Se la legge morale consiste essenzialmente nel legame amoroso con l’altro, sorge la domanda circa la sua obbligatorietà. L’amore sembrerebbe escludere ogni obbligo.
 5 La forza imperativa dell’amore è debole. Nient’altro impone di obbedire al comandamento dell’amore se non l’invocazione di chi chiede di essere amato. 3.3.3 Universalità e immutabilità L’universalità e l’immutabilità esprimono la validità del comandamento dell’amore, l’ovunque e il sempre dell’esigenza di amare. In negativo, universalità e immutabilità della legge morale dichiarano che non esiste alcun luogo e alcun momento in cui gli uomini possano vivere all’altezza della loro natura interpersonale prescindendo dall’amore.
 L’universalità e l’immutabilità della legge naturale non sono sinonimo di fissità. Esse includono la possibilità che essa evolva. 3.3.4 Gradualità L’amore può essere conosciuto e vissuto a diversi gradi e trovare diversa espressione nello spazio e nel tempo, a seconda che sia più vicino al livello basilare dell’amore del prossimo, indicato dal Decalogo, o al livello superiore dell’amore dei nemici, illustrato nel Discorso della montagna.
 Ne deriva una concezione della legge morale detta “legge della gradualità” e ulteriormente definita “legge della gradualità amorosa”.
 La legge morale è, allo stesso tempo, uguale e non uguale per tutti.
 “La legge morale è uguale per tutti”: non solo perché tutti devono amare il prossimo al grado basilare della legge naturale illustrata dai precetti del Decalogo, ma anche perché l’amore del prossimo deve essere perfezionato sino alla fine, sino cioè a comprendere anche il nemico.
 “La legge morale non è uguale per tutti”: a ciascuno è comandato di amare al grado che la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo e assoluto gli consentono al momento presente, senza pretendere l’impossibile, ma senza nemmeno rinunciare al qui e ora possibile, fosse anche l’amore dei nemici. CAP 3 - I DINAMISMI DELLA LIBERTÀ La legge morale consente e comanda di amare come Cristo.
 Senza libertà, la legge finirebbe per essere un’imposizione violenta o potrebbe al massimo suscitare una reazione istintiva, automatica. L’attrazione indotta dallo Spirito suscita un’azione libera.
 In quanto amore, la legge morale cristiana coinvolge nella sua totalità. Ne deriva che la risposta dell’uomo sarà esistenziale-pratica. L’attrazione dello Spirito produce come effetto una risposta che si configura come reazione.
 La libertà sussiste solo nella concretezza delle singole azioni. L’azione è la dimora della libertà. L’analisi della libertà agente deve prendere avvio là dove essa abita. Lo studio della singola azione mostrerà le sue implicazioni ontologiche e dinamiche. 1.Analitica dell’atto 1.1 La singola azione La negazione di un concetto di azione impedirebbe di identificare e valutare l’agire dell’uomo nel corso della sua vita. La descrizione e la valutazione dell’agire umano per viam sarebbe rimandato postmortem, perché solo allora l’agire potrebbe dirsi compiuto. A quel punto però verrebbe meno la possibilità che egli valuti la sua vita. Impossibilitato a valutare il suo agire, l’uomo resterebbe senza responsabilità. L’agire morale sarebbe in realtà un evento naturale come gli altri, e come tale l’unico metodo adeguato per valutarlo sarebbe quello delle scienze positive. 1.2 L’azione morale Il linguaggio comune intuisce la differenza tra azione umana ed evento naturale.
 Tommaso ha distinto tra gli atti che sono propri dell’uomo e gli atti che sono comuni all’uomo e agli altri animali. Negli atti umani è presente la libertà, assente negli atti genericamente dell’uomo. La distinzione tra i due tipi di atti è indicata nominando i primi come “azioni” e i secondi come 6 “passioni”.
 Le azioni sono costituite dalla reciprocità di volontario e involontario. 1.3 I tempi dell’azione L’azione morale è un dinamismo che non può essere statisticamente fissato.
 Si potrebbero richiamare sei tempi dell’azione morale, definibili in base alla diversa configurazione che la libertà in essi assume.
 Seguendo il corso di un’azione si potrebbero allora scorgere: - il tempo del volere, in cui la libertà desidera acquisire un dato bene - il tempo del progetto, in cui la libertà tende alla realizzazione di ciò che prima desiderava - il tempo del discernimento, in cui la libertà confronta le diverse possibilità di realizzare ciò che intende; - il tempo della scelta, in cui la libertà decide di realizzare ciò che intende - il tempo dell’efficienza, in cui la libertà persegue la scelta compiuta - il tempo della gioia, in cui la libertà gode del desiderio realizzato. 1.4 La scelta Quando la libertà sceglie di fare qualcosa, rinuncia ad ogni altra fattibile cosa. La scelta è una decisione che comporta una recisione.
 Attraverso la scelta, le molteplici possibilità del futuro divengono l’unica necessità del passato. 1.5 Le tre fonti della moralità Per valutare la qualità morale degli atti si può attingere alle tre cosiddette “fonti della moralità”, corrispondenti all’oggetto, alle circostanze e al fine. Questi tre elementi sono paragonabili a tre sorgenti che alimentano il medesimo ruscello. Presupposto necessario di un atto moralmente buono è la bontà di tutte e tre le sue fonti. 1.5.1 Oggetto → la prima fonte da considerare è l’oggetto, da intendersi come un comportamento liberamente scelto. Esso è il fine prossimo di una scelta deliberata, che determina l’atto del volere della persona che agisce. L’oggetto morale di un atto non coincide con alcun oggetto fisico. L’oggetto morale di un atto specifica la sua collocazione nell’orizzonte del bene e del male, definisce la specie morale di un’azione, qualificandola come omicidio, furto, adulterio. 1.5.2 Fine → l’altra fonte della moralità è il fine o intenzione del soggetto agente. Il fine costituisce la fonte che deriva dall’attore. 1.5.3 Circostanze → Tommaso d’Aquino, chiamando circostanza una cosa che, pur essendo esterna all’essenza di un atto, in qualche modo lo riguarda, spiega come ciò possa avvenire in tre maniere. Le circostanze concorrono ad aggravare oppure a ridurre la bontà o la malizia degli atti umani. 1.6 Gli atti intrinsecamente cattivi L’oggetto di un’azione altro non è che il fine buono o cattivo che essa oggettivamente realizza. Le azioni umane non sono riducibili a eventi naturali o meccanici, ma risultano inevitabilmente intenzionate: l’azione è l’incarnazione di un’intenzione. L’intenzionalità che esse esprimono può giungere in taluni casi a un grado tale di consistenza che ogni ulteriore smentita o precisazione da parte di colui che le pone risulti ininfluente: tale è il caso di un atto intrinsecamente cattivo. 2.Metafisica dell’atto Sganciato dal soggetto che lo compie e dalla durata in cui s’inscrive, l’atto morale diveniva un oggetto statico, valutabile come un frammento di materia o di tessuto biologico che può stare sotto il microscopio del fisico o del biologo.
 L’oggettivismo morale trovava riscontro a riguardo degli atti cattivi, i peccati. 7 1.2 La destinazione dei peccati Differenza tra “peccato mortale” e “peccato veniale” → il peccato mortale coincide con l’interruzione della relazione con Dio e il prossimo, al culmine dell’indurimento disamorato. Il peccato non si restringe ad un atto puntuale, ma comporta il protrarsi di una relazione interrotta.
 La rottura di una relazione non è senza relazione con esso. L’indurimento amoroso comincia già con il peccato veniale, il quale, favorendo l’irrigidimento del soggetto, crea le premesse per la rottura della relazione amorosa con Dio e il prossimo. L’identificazione del peccato mortale con la stabilità del vizio non compromette la possibilità che il peccato mortale si realizzi con un solo atto. Un solo atto può originare la stabile propensione viziosa. 1.3 Le condizioni del peccato La concezione del peccato come disamore invita a riformulare in riferimento all’amore i tre elementi la cui compresenza comporta il peccato mortale e l’assenza di uno dei quali determina il peccato veniale: si tratta della piena avvertenza, del deliberato consenso e della materia grave.
 La materia grave è riferita all’amore del prossimo. La concezione del peccato come disamore comporta una visione interpersonale della materia grave del peccato e dunque della sua oggettiva gravità. 2.La conversione Rispetto all’attrazione dello Spirito, la libertà può resistere lasciandosi gradualmente plasmare affinchè ami come Cristo. Questo processo di conversione non avviene in un momento, ma nel corso del tempo si distende allontanandosi dal peccato e progredendo nell’amore di Cristo. La tradizione spirituale distingue tre livelli di conversione: iniziale, progressiva e perfetta. 2.1 La conversione iniziale La conversione dell’uomo dalla morte del peccato alla vita di carità ha il suo momento iniziale nell’atto di fede mediante il quale il peccatore si apre all’iniziativa della grazia.
 Il suo momento sacramentale è quello del battesimo. L’inizio della conversione morale si caratterizza come liberazione dal dominio della concupiscenza in modo tale che la libertà non assecondi la sua inclinazione peccando mortalmente. Essa mira all’abbandono di quei comportamenti gravemente contrari alla carità cristiana. 2.2 La conversione progressiva La conversione suscitata dalla grazia e assecondata dalla libertà apre al successivo progresso. L’attenzione col progredire della conversione diventa impegno a far sì che nessuna azione dell’uomo sia senza amore. La considerazione processuale del peccato invita a riconoscerlo e a combatterlo fin dal suo comparire all’orizzonte come tentazione. A proposito della tentazione, la tradizione cristiana distingue tra diavolo, mondo, concupiscenza. Poiché la tentazione diabolica agisce nel mondo e attraverso la concupiscenza, si accenna solo a queste ultime.
 La tentazione mondana è conosciuta nella tradizione moralteologica in termini di “occasione di peccato”, con cui si intende una circostanza inerente a persone, cose, rapporti di tempo e di luogo, e che costituisce un’occasione esteriore di tentazione, un pericolo di peccare. Secondo la gravità del pericolo si parla di occasione prossima o remota; e secondo la possibilità di evitarla si parla di occasione necessaria o volontaria di peccato. La tentazione interiore viene nominata dalla tradizione come “concupiscenza”. Essa scorge come deformazione della coscienza. 2.3 La conversione perfetta La conversione è orientata a Dio. In tal senso essa non è descritta dal termine “conversione”, ma deve essere meglio qualificata come “conversione a Dio”. 10 3.Il discernimento morale 3.1 Le situazioni conflittuali Il conflitto in cui la libertà umana si trova a vivere nella storia non riguarda la scelta del peccato o della conversione. Il conflitto riguarda i singoli beni, che sono la modalità storica mediante la quale l’uomo si decide rispetto al Bene divino.
 Il massimo bene possibile non è tutto il bene idealmente realizzabile; esso comporta un bene che non viene realizzato. Non sempre il bene maggiore risulta chiaramente determinato. È il caso in cui due o più valori: 1. siano omogenei, si trovino cioè sul medesimo piano della gerarchia dei valori 2. siano entrambi uguali 3. la scelta dell’uno comporti inevitabilmente l’omissione, l’esclusione, o la violazione degli altri. La libertà umana non realizza solo il bene, ma mentre realizza progressivamente il bene ancora compie il male.
 Il conflitto tra il bene e il male non può essere risolto al di fuori della coscienza personale. Il principio fondamentale del discernimento morale diviene la coscienza stessa, nella tensione tra il male da cui è stata liberata e il bene escatologico in via di compimento. 3.2 La formazione della coscienza La teologia morale si premura di istruire la libertà in modo tale che non solo conosca l’alternativa in cui è impegnata, ma anche scelga il bene da fare e rinunci al male evitabile. 3.2.1 Anamnesi La crisi della coscienza può essere intesa come l’esito di implosione ed esplosione della coscienza. L’implosione della coscienza. Fino al Medioevo la coscienza era intesa come una sorta di antenna parabolica, la cui funzione è di ricevere e trasmettere all’apparecchio televisore le onde provenienti dal satellite. La coscienza è ricettacolo terreno delle leggi divine. Il suo compito si esaurisce nell’applicare diligentemente le leggi di Dio alle situazioni della vita concreta.
 L’esplosione della coscienza. L’implosione della coscienza ha oscurato la relazione con Dio. L’uomo contemporaneo si presenta come decostruito in una varietà di aspetti che dicono di lui qualcosa, ma in nessun caso la verità.
 La coscienza morale esplode in una serie di frammenti, nel senso che la coscienza individuale risulta mutevole a seconda della situazione e del momento in cui si trova. 3.2.2 Cure palliative Quali rimedi sono immaginati e praticati per fronteggiare la dispersione della coscienza? Se ne indicano tre: - il primo tenta di trattenere la coscienza vincolandola alla legge - il secondo scommette sulla sufficiente capacità della coscienza di auto vincolarsi - il terzo suggerisce alla coscienza di ritardare o viceversa affrettare il tempo delle scelte. Legge , coscienza e tempo sono tre coordinate del discernimento morale. Il rischio è l’assunzione dell’una a scapito delle altre.
 La formazione imposta. La sola considerazione della “legge oggettiva” riduce la funzione della coscienza a un meccanismo automatico. Essa non deve far altro che dedurre i comportamenti concreti da osservare in ogni singola circostanza. I pericoli che ne derivano sono quelli dell’idealismo e del legalismo. 
 La formazione spontanea. Nessuno può pretendere di stabilire il bene e il male poiché ciascuno ha il diritto di deciderlo da sé. I rischi sono quelli del relativismo e dell’arbitrarietà.
 La formazione affrettata o rimandata. Il tempo rischia di divenire tiranno per una vera maturazione della coscienza, a seconda che lo si esageri o lo si annulli. 11 3.2.3 Terapia Secondo la fede cristiana, la relazione tra l’uomo e Dio è tessuta dallo Spirito Santo che Gesù ha “soffiato” dalla Croce sull’intera umanità.
 La coscienza morale prende forma per opera dello Spirito santo, il quale abilita l’uomo al discernimento morale, lo rende abile nel distinguere e scegliere il bene da fare e il male da evitare.
 La formazione della coscienza morale è disponibilità dell’uomo nei confronti dello Spirito Santo.
 Molteplici sono i luoghi in cui lo Spirito può essere percepito.
 Coscienza morale e Sacra Scrittura →sSe il Padre è buono, non si tratta più di scegliere tra il servirlo sentendosi uno schiavo o l’andarsene temendone il castigo. La scelta riguarda la modalità per corrispondere di più e meglio all’amore del Padre.
 Coscienza e sacramenti → tutti i sacramenti provvedono alla formazione della coscienza. In uno di essi sembra più facile percepire l’azione dello Spirito. L’esperienza di tanti cristiani testimonia la grande efficacia del sacramento della riconciliazione in ordine alla formazione della coscienza.
 Coscienza e comunità cristiana → veniamo da una tradizione che reagendo agli assolutismi del tempo, ha rivendicato i diritti della coscienza individuale. La giusta rivendicazione ha messo in ombra le inevitabili relazioni che costituiscono la coscienza stessa e senza le quali la coscienza risulta deformata. Ciò implica un legame inscindibile tra la coscienza, per cui è ingenuo immaginare che sussista una buona coscienza isolata, circondata da cattive coscienze.
 Tra le relazioni essenziali che la coscienza cristiana vive nella communio morale della Chiesa vi è quella con il Magistero gerarchico del Papa e dei vescovi, al quale compete il carisma dell’insegnamento. 12 Esiste un’altra visione della tecnica. La tecnica sembra staccarsi dall’ambito antropologico per costituirsi in un sistema in grado di autoalimentarsi e di imporre la propria logica sull’intero vivere personale e sociale. È la tecnica ha guidare il futuro dell’umanità. Ci si trova di fronte ad un progressivismo secondo il quale tutto ciò che è possibile è al tempo stesso lecito, perché il futuro non potrà comunque essere bloccato. Sul campo etico questo corrisponde ad un nichilismo che si arrende di fronte ad una tecnica interpretata come destino dell’uomo. 2.1.2 Comprensione pratica di natura e tecnica Natura e tecnica sono due aspetti della medesima dinamica: la vita.
 La natura indica il carattere antecedente che l’uomo sperimenta nel suo vivere. L’uomo si percepisce preceduto, indisponibile ad una totale determinazione di sé. È chiamato ad agire, ad interpretare con il suo agire, quella natura che lo precede. La tecnica è una delle modalità dell’interpretazione della natura, una delle forme dell’agire dell’uomo in risposta all’appello del dato. Ciò che è specifico si comprende nel quadro di ciò che è generale: la tecnica – come la natura – non può essere separata dall’agire dell’uomo.
 Non basta il riferimento alla natura come limitazione alla tecnica e tantomeno è sufficiente riconoscere la qualità antropologica della tecnica per vedere in essa la nuova etica. 2.2 La bioetica come etica speciale Il disagio nei confronti di una disciplina recente quale la bioetica ha mosso la ricerca attorno alla sua identità. Ciò ha messo in luce un cammino che ha coinvolto il XX secolo e che si è nutrito di diversi episodi. La questione etica non può limitarsi alla gestione dei conflitti, ma è questione del sé chiamato a realizzarsi. La bioetica si colloca nel contesto del sapere propriamente etico, come etica speciale. 2.2.1 La bioetica come etica La bioetica si definisce come attività speculativa chiamata a rendere ragione dell’agire morale dell’uomo nei suoi tratti di libertà, consapevolezza e responsabilità e nel suo orientamento al bene. Si tratta di spiegare il movimento morale della persona e di custodirlo nel suo reale orientamento al bene.
 La funzione della bioetica si configura come sostegno all’esperienza etica della persona. La bioetica non può subentrare alla coscienza di chi è chiamato a scegliere nelle diverse situazioni del suo vivere. 2.1.2 La bioetica come etica speciale La collocazione della bioetica all’interno dell’etica chiede di considerare che cosa la specifichi e la identifichi come disciplina autonoma all’interno del sapere morale.
 La bioetica risulta come la scienza morale specificata dalla considerazione dell’intreccio di natura e tecnica che descrive il vivere dell’uomo nei suoi momenti più significativi. La bioetica si definisce come la scienza morale del rapporto tra natura e tecnica. CAP 2 - UN NUOVO MODO DI GENERARE? Il 25 luglio 1978 nasce Louise Brown, generata dall’unione dei gameti dei suoi genitori in un terreno di cultura per opera di due scienziati inglesi. Siamo di fronte alla nascita del primo essere umano generato in provetta. Davanti a questo passaggio epocale della medicina alcuni cultori hanno espresso paure e perplessità. 1.Le tecniche di procreazione medicalmente assistita Sotto questa etichetta si collocano una pluralità di tecniche classificabili secondo criteri diversi. 1.1 Classificazione secondo la sede della fecondazione Un primo criterio per orientarsi tra le varie tecniche riguarda il “luogo fisico” in cui avviene l’unione dei gameti. Si distingue tra PMA in vivo o intracorporea e PMA in vitro o extracorporea.
 15 Tra le tecniche intracorporee si riconoscono l’inseminazione artificiale (IA) e la cosiddetta GIFT. Nel primo caso si procede attraverso il prelievo del seme maschile che viene inserito per via trans vaginale nelle tube durante il periodo di ovulazione. La seconda tecnica consiste nel prelievo di entrambi i gameti e nel loro reinserimento nelle vie genitali femminili in maniera simultanea, ma separata.
 Al secondo gruppo di tecniche appartiene invece la FIVET (fecondazione in vitro e trasferimento di embrione). Qui la procedura consiste nel prelievo di entrambi i gameti e nel loro incontro all’interno di una provetta. Un’ulteriore tecnica è la ICSI (iniezione intracitoplasmatica di uno spermatozoo). Consente la fecondazione anche quando il liquido seminale contiene una bassa quantità di spermatozoi o con gameti maschili non ancora maturi. 1.2 Classificazione secondo le figure genitoriali Tutte le tecniche sopra elencate possono svolgersi con gameti ottenuti dalla stessa coppia che ha richiesto la PMA e che svolgerà il ruolo di genitori sociali oppure da donatori esterni alla coppia. Nel primo caso si parla di PMA omologa, mentre nel secondo di PMA eterologa.
 Il coinvolgimento di figure esterne alla coppia genitoriale può spingersi oltre, in forme di maternità surrogata. Si nota la realizzazione di una frammentazione della figura paterna e materna che può arrivare a comprendere tre madri e due padri. 2.L’esperienza del generare umano Generare è un atto della libertà e della coscienza chiamata ad interpretare nella pratica il senso offerto. Generare è un atto che coinvolge tutta la persona in ogni sua dimensione e la libertà è chiamata a farsi carico del tutto e non solo di una parte. 2.1 Il livello bio-fisiologico A livello bio-fisico la generazione umana è un processo complesso che va dalla gametogenesi alla gestazione. Essa coinvolge tutto l’organismo dell’uomo e della donna. Vengono sottolineati tre aspetti. Il primo è il legame tra il processo di maturazione dei gameti maschili e femminili e la totalità della struttura corporea.
 Secondo momento è la gestazione.
 Un ulteriore momento del processo bio-fisiologico della generazione è il momento della fecondazione. 2.2 Il livello psicologico Mettere al mondo una nuova creatura significa generare un figlio e allo stesso tempo generazione di un padre e di una madre. Questo processo, detto di genitorializzazione, è complesso coinvolgendo una quantità ampia di fattori identitari nell’uomo e nella donna.
 La pulsione che spinge verso la filiazione è desiderio di trasmettere i propri geni, di incarnare l’amore di coppia, di portare e nutrire un figlio nel proprio corpo, di allevare un bambino. Il desiderio di diventare madre è intimamente legato all’identità femminile e si configura come bisogno primario; il desiderio di paternità invece custodisce un più forte carattere sociale: l’uomo afferma così la propria virilità e si garantisce dei discendenti. Il legame tra l’agire e il desiderare è vitale. La profondità della dinamica di desiderio emerge in modo eminente nell’agire sessuale. Il figlio non ammette di essere ridotto a oggetto di bisogno, ma si presenta come soddisfazione sorprendente di un desiderio che ridefinisce i soggetti che lo accolgono. 2.3 Il livello socio-culturale L’atto generativo custodisce una responsabilità sociale. Un figlio è generato al servizio del mondo, della comunità in cui è inserito perché possa garantirvi un futuro e un progresso attraverso la propria singolare individualità. Da più parti si parla di una “privatizzazione del figlio”.
 In questo contesto culturale emergono tratti paradossali. Un primo paradosso consiste nell’ampliamento del significato del concetto di fecondità e nell’assolutizzazione della filiazione biologica come espressione della stessa fecondità. Si vede la concentrazione sull’avere un “figlio 16 proprio” come necessario alla realizzazione del sé e della coppia. Ulteriore paradosso è il differimento del momento in cui generare in un’età sempre più tarda e in cui il processo di maturazione dell’identità personale dovrebbe essersi assestato ed allo stesso tempo la richiesta di una fecondità in condizioni “non naturali” come necessaria al compimento dell’identità personale. Un terzo paradosso è l’insistenza nella richiesta di tecniche generative, anche invasive, in un contesto dove sono presenti tanti bambini già nati e bisognosi di un ambiente familiare di cui sono privi. 3.Criteri di valutazione etica 3.1 La valutazione dei fini Il fine che guida l’accesso alle tecniche di PMA è il desiderio di un figlio insieme al superamento di una condizione di sterilità.
 La procreazione responsabile indica la necessità di uscire dalla spontaneità del sentire, della necessità del bisogno o dalla fatalità del caso.
 Tale indicazione deve trovare dei criteri di verifica reali iscritti nella pratica per evitare il rischio di una formalità. Nel caso di una richiesta di accesso alla PMA, si possono indicare alcuni criteri di verifica. Ci si deve trovare in una reale situazione di sterilità della coppia, clinicamente accertata e in cui non siano possibili soluzioni terapeutiche differenti. Si evita così la possibilità di forme di selezione del figlio e di una maggior programmazione e ottimizzazione dei tempi. Il sistema sanitario tende a trascurare la ricerca e lo sviluppo delle procedure propriamente terapeutiche.
 Secondo criterio è la consapevolezza delle modalità di procedure delle varie tecniche, del carattere di invasività che spesso hanno sul corpo della donna e delle percentuali di riuscita.
 Terzo criterio è la presenza di un vissuto di coppia che di fatto realizzi una reale disposizione di apertura alla vita. 3.2 La valutazione dei mezzi: il criterio della dignità dell’embrione Alla valutazione dei fini che muovono la richiesta di accesso alla PMA, deve seguire una valutazione dei mezzi.
 Un primo criterio si lega al rispetto dell’embrione. Una prima opinione difende l’idea di una personalizzazione immediata. Il feto è portatore di diritti dal momento in cui avviene l’incontro tra due gameti. Per alcuni basta il richiamo al dato bio-fisiologico. Altri però affermano l’argomento tradizionale secondo cui, nel dubbio circa la vita, essa va protetta come se fosse vita umana. Infine, una terza argomentazione richiama la tradizione aristotelica, riconoscendo nell’embrione una persona in potenza, quindi già portatrice della dignità personale.
 Una seconda posizione attribuisce tutela all’embrione a partire dal suo annidamento in utero che avviene attorno al 14° giorno dalla fecondazione. Questo perché si ha la comparsa delle prime tracce riconoscibili del sistema nervoso centrale e all’uscita dal livello di totipotenzialità delle singole cellule. Ulteriore argomentazione a favore di questo confine è apportata da coloro che sottolineano l’impianto in utero, e quindi l’inizio di una relazione costitutiva con la madre, come criterio per definire una persona. L’ultimo gruppo di argomentazione raccoglie tutti coloro che parlano di una tutela differita. C’è chi attende lo sviluppo delle strutture fetali tipiche dell’uomo (attorno alla sesta-ottava settimana), chi richiede lo sviluppo delle strutture in grado di ospitare le qualità razionali superiori tipiche dell’essere umano (attorno alla 24 settimana), fino alla posizione estrema di chi lega la personalizzazione alla comparsa dell’autocoscienza, anche alcune settimane dopo la nascita. La possibilità dell’accoglienza (o del rifiuto) di una nuova creatura corrisponde alla possibilità di ridefinire la propria identità. Un genitore si comprende tale a partire dall’atto coniugale che lo ha generato alla maternità-paternità.
 Ogni pratica che non rispetti il frutto della fecondazione umana come se non fosse una persona appare, da un punto di vista etico, indegna e gravemente disordinata. 17 carico psicologico del soggetto che non può essere lasciato solo di fronte ad un eventuale risultato negativo. Al diritto all’informazione deve poter corrispondere il riconoscimento sociale di un diritto alla non conoscenza di situazioni solo probabili, comunque future e non curabili. Deve essere garantita la riservatezza delle informazioni suscettibili di generare atteggiamenti discriminatori nella società. 3.2 Terapia genica Modificare il patrimonio genetico di un soggetto al fine di curare una malattia è un’impresa complessa e rischiosa. Le possibilità di correzione di un genoma difettoso si distinguono in due linee di ricerca: la terapia somatica e quella germinale.
 Nel primo caso si tratta di procedere inserendo in un grande numero di cellule somatiche di un individuo il gene corretto rispetto al tratto di DNA errato nel caso di malattie monogenetiche. Non si va a curare la malattia, ma se ne tratta l’espressione compensando una carenza con una nuova produzione: il rischio così è che i geni patogeni aumentino all’interno della popolazione. Sono ancora molte più le incertezze che le certezze. Seconda pista di ricerca riguarda le terapie germinali in cui si tenta di correggere un genoma difettoso nelle cellule della linea sessuale di un individuo adulto per poter trasmettere un “nuovo genoma” ai discendenti. La possibilità di un’eugenetica positiva evoca immediatamente una grande quantità di preoccupazioni: l’embrione rischia di ridursi a materiale fabbricabile in cui le decisioni dei genitori si sostituiscono all’indeterminatezza della natura. La gestione sociale dovrà garantire un serio orientamento al bene comune nelle diverse situazioni in cui simili ricerche si compiono evitando forme di discriminazioni o di sperequazione dei guadagni. 3.3 Cellule staminali Cellule staminali = cellule del nostro organismo che non si sono ancora specializzate in una funzione determinata e sono quindi disponibili come “materiale di riserva” in grado di rigenerare tessuti.
 Le cellule staminali hanno diverse origini. La ricerca si è concentrata in un primo momento sulle cellule dell’embrione. Esse infatti sono totipotenti, cioè in grado di dare vita a tutte le cellule somatiche dell’individuo. Le cellule staminali adulte appaiono meno versatili di quelle embrionali e sono dette pluripotenti. L’utilizzo delle cellule embrionali trascina con sé una lunga serie di problemi etici. Prelevare cellule da un embrione significa la sua distruzione. Le indicazioni legali vietano ovunque la produzione di embrioni al fine specifico della ricerca, ma generalmente si consente l’utilizzo di embrioni soprannumerari, frutto di pratiche di procreazione medicalmente assistita. Una simile posizione sembra godere anche di un appoggio sociale in nome di un principio di beneficialità che riconosce l’altezza della finalità per cui verrebbero sacrificati gli zigoti comunque condannati ad una fine perché non più impiantabili. Questo significa però sottoporre l’embrione ad una logica strumentale, che lo riduce a mezzo in vista di un fine di ricerca pur nobile. Tale esito sarebbe gravemente lesivo della dignità dell’embrione.
 Legata alla ricerca sulle cellule staminali troviamo anche le pratiche di clonazione terapeutica. Il clone è copia identica del progenitore. Due sono i metodi possibili per la clonazione: lo splitting o il trasferimento nucleico. Nel primo caso la procedura consiste nel provocare e gestire il fenomeno della gemellazione dividendo gruppi di cellule nelle prime fasi dello sviluppo embrionale. Nel secondo caso si procede prendendo un ovulo femminile denucleandolo e inserendovi all’interno il nucleo di una cellula somatica dell’organismo da clonare. Il dibattito etico si è concentrato sull’applicazione di queste tecniche all’uomo. È unanime il rifiuto di clonazione per finalità riproduttive, mentre le posizioni si differenziano a riguardo della cosiddetta “clonazione terapeutica”. Essa prevede l’applicazione delle medesime procedure, bloccando però lo sviluppo embrionale nei primi stadi. Lo scopo di questa pratica è la produzione di cellule staminali totipotenti assolutamente compatibili con l’individuo, essendone una copia genetica. Questo materiale, successivamente coltivato in vitro, può sviluppare tessuti e potenzialmente anche organi utili poi ad una terapia o ad un trapianto. Ciò che non deve essere trascurato in una valutazione etica è il fatto che, nonostante la differenza terminologica, la clonazione terapeutica, coma le riproduttiva, sia per finalità 20 sperimentali che di cura, si avvale delle medesime procedure e comporta la produzione di un embrione umano. Per quanto la ricerca della salute e l’aumento delle conoscenze tecnico-scientifiche siano espressioni importanti della libertà dell’uomo e delle istituzioni sociali, esse non possono essere ottenute al prezzo di un utilizzo strumentale dell’embrione, che custodisce la stessa dignità della persona umana. L’etica animata da una carità intelligente appare quindi il centro di ogni prospettiva aperta alla famiglia umana. CAP 4 - UN NUOVO MODO DI MORIRE? Di fronte alla morte si fugge. Questo fenomeno ha radici strette attorno a quell’istinto fondamentale di ogni essere vivente che è la sopravvivenza. 1.L’esperienza del morire oggi 1.1 La dimensione bio-fisiologica L’inaugurazione degli strumenti di rianimazione e la chirurgia dei trapianti ha modificato il momento del morire e l’immagine del cadavere. La morte è un processo. La diagnosi di morte viene oggi emessa misurando la totale assenza di attività cerebrale per un opportuno arco di tempo.
 Da un lato si sono schierati coloro che non ritengono sufficiente la certificazione della morte di un solo organo per definire il morire di un uomo e quindi difendono il criterio tradizionale. Dall’altra coloro che, riconoscendo la morte come un processo, ritengono sufficiente la definitiva perdita della coscienza per definire morto l’individuo come persona. In questo secondo caso basta quindi la certificazione della compromissione delle strutture deputate alla coscienza per definire il decesso. La definizione fisiologica di morte rimane la distruzione di un organismo in quanto organismo, cioè in quanto capacità di funzionare come tutto coordinato. 1.2 La dimensione psichica Non esiste la morte in sé, esiste invece la persona che muore. Lo studio della dottoressa Elisabeth Kubler- Ross permette di comprendere la dinamica psichica che accompagna la coscienza di colui/ colei che muore. L’impatto iniziale con la consapevolezza di una morte prossima o di una malattia inguaribile provoca, dopo uno shock iniziale, una situazione di rifiuto. Quando la prima fase di rifiuto non può più durare, viene sostituita da sentimenti di rabbia. Presto ci si rende conto che l’ira non conduce da nessuna parte e si tenta allora di scendere a patti. Si configura una terza fase, quella della negoziazione. Il malato vede il disfarsi della propria immagine corporea. Tutto ciò sfocia in un senso di depressione. Il morente potrà raggiungere uno stadio di accoglienza del proprio destino. Non si tratta di una fase di gioia, ma di comprensione di un passaggio ormai inevitabile, di una passività alla quale ci si abbandona. L’abbandono genera serenità. C’è un tratto però che sembra accomunare tutti questi momenti del morire: è la speranza.
 Ciò che appare necessario è un contesto relazionale fondato su una comunicazione profonda e rispettosa. Una comunicazione che sappia ascoltare le varie domande del malato, anche quelle più drammatiche, senza averne timore, senza sminuirle, ma anche senza ritenerle l’ultima parola. 1.3 La dimensione sociale Due principali radici: anzitutto un secolarismo che ha tolto i linguaggi per dire la morte. Il rifiuto di ogni forma di ritualità sembra aver abbattuto le “maschere” che formano quell’insieme di luoghi comuni entro cui gli uomini si scambiano continuamente le loro esperienze di dolore e dove il parlare diviene legittimo. A questo si aggiunge l’edonismo di una società capitalistica. La vita si rifugia nell’artificio laddove la natura conduce alla morte. Il mondo reale è sostituito dall’immagine che non ammette screzi, dagli oggetti che rimangono dopo di noi, dalla grandezza delle opere che sfidano il tempo. 21 La modernizzazione, attraverso l’individualismo e la privatizzazione dei sentimenti, ha avuto la necessità di trovare un nuovo ambito in cui porre la morte. A questo scopo gli si è fatta incontro la medicina. L’arte medica si è presentata sufficientemente sicura per richiudervi il dolore e la morte.
 Il più grande rischio è essenzialmente la solitudine di degenti in reparti di rianimazione, l’indifferenza delle comunità di fronte alla scomparsa di loro membri, all’assenza delle persone care al momento del trapasso. Il medico e l’équipe a lui legata, in quanto detentori delle conoscenze e possibilità tecnologiche e terapeutiche che si applicano alla condizione del paziente, sappiano anche automaticamente quale sia il bene per il malato moribondo. Questo modello interpretativo dell’arte medica si lega all’attribuzione di prerogative carismatiche al curatore quasi al detentore di poteri divinatori e taumaturgici. In opposizione a questo modello paternalista, è andato emergendo in questi ultimi anni, grazie all’ingresso dei valori liberali e democratici nella medicina, l’affermazione di un principio di autonomia del paziente di fronte alle terapie. Al medico è chiesta solo la competenza tecnica per eseguire, in modo asettico e impersonale, le richieste del morente. Bisogna integrare gli elementi positivi delle due posizioni. Di fronte al morente è auspicabile una medicina capace di farsi carico della morte, non meno di quanto si faccia carico della salute e della guarigione, capace di accompagnare la persona che muore rispettandone i tempi e le legittime scelte. Si tratta di costruire un’alleanza terapeutica. 1.4 La dimensione teologica L’esperienza del morire pone la questione del senso: perché esiste la morte? Perché si muore? Perché io muoio? La domanda diventa invocazione, lamento, urlo che chiede una risposta trascendente. La morte è vissuta come violenza indesiderata che entra nella nostra vita e ci travolge passivamente. Si percepisce la dinamica attiva di un morire assunto come atto estremo del vivere, come manifestazione dell’uomo come uomo. Solo l’attimo del morire permette una piena presenza dell’uomo a sé stesso. La morte compie la libertà perché nel momento in cui essa si decide verso questo evento non può più porsi e diventa così indisponibile a sé. La morte è realizzazione piena dell’opzione definitiva della libertà. 1.5 La sintesi dell’agire La morte è momento del vivere, momento supremo in cui il vivente si confronta con la propria umanità limitata e con la propria storia per consegnarsi alla definitività. È necessario preservare questo momento da ogni tipo di invasione indebita.
 È importante garantire anche spazi fisici che custodiscano il grande valore etico e personale del morire dell’uomo, come decisione finale della sua vita, congedo dai suoi affetti, rilettura sul vissuto. Si deve fare di tutto per facilitare l’assistenza domiciliare e la promozione di hospices specializzati per l’accompagnamento degli ultimi momenti. 2.Interpretazioni inautentiche del morire: eutanasia ed esubero terapeutico 2.1 Chiarificazione dei termini in gioco: eutanasia “Eutanasia” significava “morte bella” e indicava la ricerca di tutte le condizioni affinchè il soggetto potesse vivere una morte degna del suo stato di uomo e cittadino. Con l’epoca moderna il termine si è piegato ad un atto che procura o accelera la morte al fine di alleviare le sofferenze. Oggi, con eutanasia si intende la scelta che per struttura propria dell’atto o per deliberata intenzione del soggetto agente, procuri la morte in una persona per compassione verso la sua condizione di sofferente o di malato in stato ritenuto disumano. Sembra si debba abbandonare la distinzione tra eutanasia attiva o passiva: la prima sarebbe intesa come l’agire di chi attivamente pone in essere un insieme di strategie che procurino la morte, mentre nel secondo caso si riconosce il movimento di chi omette o sospende un’azione in grado di impedire la morte. L’uccidere al fine di alleviare le sofferenze è sempre eutanasia, mentre il lasciar morire può esserlo, ma non necessariamente. 22 PARTE 3 - SESSUALITÀ E MATRIMONIO CAP 1 - GLI ENIGMI DELL’AMORE “Enigmi” fa riferimento ad una caratteristica riconosciuta all’amore: la sua misteriosità, la sua inafferrabilità; l’amore è una realtà che sfugge ad ogni definizione e sistematizzazione. 1.Tra teologica morale diritto e teologia sistematica La dimensione “umana”, “personale” del sesso era denominata come appetitus e delectatio; desiderabile per i sensi, acquisiva la tonalità della concupiscentia, e il piacere che se ne traeva era chiamato delectio o voluta. La morale sessuale può riassumersi nell’imperativo di contenere l’inclinazione sessuale nei confini della ragione. Il peccato in questa materia ha il nome tecnico di luxuria: la virtù quello di castitas o pudicitia. L’obiettivo materialismo che insidia tale concezione del “piacere” sessuale impedisce di discernere in esso un significato, e di valutare moralmente le diversissime qualità che il cosiddetto “piacere” può assumere. L’istituto del matrimonio assumeva il compito di contenere e indirizzare la funzione procreativa dentro un ambito accettabile dal punto di vista morale, riconoscibile dalla società, formativo per la crescita della prole. In ordine a questi obiettivi, gli sposi stipulavano un “contratto”, espresso nella forma del “consenso”, che permetteva lo scambio di quegli atti che, derivati così dal coniugio, erano moralmente leciti. Ne conseguiva una serie di doveri.
 Con la Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II è prospettata per la prima volta a livello di documenti magisteri ali una concezione “personalistica” della sessualità. 2.Una scelta metodologica: ascoltare il contesto Accostandosi con amore (divino) alla realtà dell’amore (tra uomo e donna), il credente verrà a contatto con uno scorcio di rivelazione del disegno della Trinità sulla relazione coniugale. 3.Gli odierni enigmi della sessualità e delle vita di coppia Dopo la “rivoluzione sessuale” avvenuta in occidente tra la metà degli anni ’60 e gli anni ’70 ciò che la morale cattolica (e laica) era riuscita a contenere ed ordinare, viene ora espresso e vissuto senza regole stringenti.
 La nostra cultura sembra allergica alle relazioni, sentite e sopportate come “legami”, “vincoli”... Queste stesse parole il linguaggio ecclesiastico le ha sempre usate per indicare la solidità-validità di ciò che unisce due persone che si amano. Oggi uomini e donne si cercano ancora, si avvicinano, aprono “connessioni” al limite anche da lontano, aspirano e raggiungono attimi di intenso coinvolgimento, comunicano coi propri corpi in una forma che appare molto più spigliata e immediata di qualsiasi altro tempo.
 Alcuni trend: a) almeno a livello di immaginario collettivo, ogni “contatto” tra le persone ha una forte connotazione sessuale. Non si può parlare di creatura umana se non richiamando la sua sessualità. La mentalità comune ha pensato di “appropriarsi” dei significati della sessualità, rileggendola in termini superficiali, limitati alla sola dimensione fisica. Per secoli la Chiesa è stata recepita come istituzione portatrice di una visione riduttiva della sessualità, presentata e riletta quasi esclusivamente in termini funzionali (riproduzione) e morali (istinti) b) l’istituto del matrimonio era il binario su cui vivere rettamente la funzione sessuale, in una forma socialmente accettata; questo oggi non accade più: l’esercizio della sessualità e l’istruzione percorrono strade differenti, spesso discordanti, a volte parallele c) l’inizio di una seria relazione amorosa è frutto di una decisione “libera” dei due soggetti, in modo molto più marcato rispetto ad ogni altra epoca e cultura. Sono sentiti meno vincolanti i motivi socio- economici  d) il permanere in una “storia” affettiva e la sua evoluzione verso figure di tipo matrimoniale sono meno dipendenti dalle regole sociali e lasciate quasi esclusivamente al “sentire” dei due. Appena si instaura il silenzio, la coppia si dissolve mancandole ogni ragion d’essere 25 e) si è invertita la direzione del rapporto tra individuo e società: fino a cinquant’anni fa il singolo sentiva di trarre il suo “valore” e la sua stabilità dall’appartenenza ad un gruppo sociale; oggi è l’individuo che assegna valore a ciò che lo circonda, e lo fa preferendo questo a quest’altro, ora questo, ora l’altro. 3.1 Le attese sul partner: la sfida della diversità La possibilità/necessità del prolungamento del tempo ella frequentazione e del “fidanzamento”, nonché la diffusione di forme di vita di tipo coniugale senza vincolo civile o religioso, getta una luce particolare sulla decisione di giungere al matrimonio; oltre ad essere non più scontata, essa viene caricata di molteplici attese: quando i due coniugi arrivano alla decisione di sposarsi, hanno una consapevolezza comune di essere significativi l’uno per l’altro e una serie di aspettative molto elevate. Non basta essersi riconosciuti, essersi amati, aver deciso insieme ad un certo punto di sposarsi: occorre che questo consenso, dato inizialmente, venga continuamente confermato per tutto il tempo in cui il matrimonio dura. L’uomo e la donna hanno delle aspettative che dovrebbero trovare una continua verifica positiva perché possa continuare il legame che hanno deciso inizialmente. Nel momento in cui vengono meno le conferme proprie o del partner alle attese disegnate, la coppia individua presto una via d’uscita legale che la liberi dagli aspetti difficili del legame: si chiede la separazione, avviando l’iter verso il divorzio. La possibilità di interrompere il legame può comportare meno voglia di spendere in faticosi mutamenti delle situazioni negative. Le separazioni possono dare l’impressione di costituire una chance in più, una tappa obbligata della vita, oppure una prova con la quale occorre prima o poi cimentarsi e perciò tanto vale farlo presto.
 Il matrimonio viene visto come “contratto privato”. La relazione matrimoniale non può essere “di massa”, né “per abitudine”, bensì deve essere decisa, fatta oggetto di riflessione, e deve essere voluta e rimotivata giorno per giorno. 3.2 Tra “se” e “noi”: il nodo dell’identità Entrambi i soggetti coinvolti in questo processo di decisione l’uno per l’altro sono oggi attenti al rispetto delle originalità, potenzialità, possibilità per il futuro di ciascuno dei due.
 La vita di coppia può essere intesa come “concorrenziale” alla vita del singolo: quest’ultimo si concederebbe al legame affettivo solo per il tempo strettamente necessario e a condizione che essa non sia “pietra di inciampo” dalla realizzazione personale; tanto più i legami si fanno esigenti, tanto più finiscono spesso per essere avvertiti come “vincoli”, non come risorsa. Sono interessanti le categorie di “relazione pura” e di “amore convergente”, due modi per provare ad agguantare lo stile contemporaneo di intendere i rapporti di coppia: si starebbe insieme solo per quello spazio-tempo in cui convergono gli interessi di vario tipo dei soggetti coinvolti, o almeno di uno dei due. Una relazione pura si mantiene stabile fin tanto che entrambe le parti ritengono di trarne sufficienti benefici come per giustificarne la continuità. L’amore convergente è amore attivo, contingente, e quindi non fa rima con i “per sempre” e gli “unico e solo” tipici del paradigma dell’amore romantico. La società separante e divorziante di oggi diventa la conseguenza della nascita dell’amore convergente. Perché una coppia possa costituire una realtà solida e duratura, deve essere formata da due individui differenziati e individuati sia nei confronti delle famiglie di origine, sia tra i membri della coppia stessa. Ora, questa realtà è sempre più difficile che si realizzi nella nostra società. 3.3 La “rinegoziazione” dei ruoli: la fatica della quotidianità Nel contesto della “privatezza” del legame, i coniugi si trovano soli e spesso solitari nel prendere sia le decisioni fondamentali che quelle quotidiane della loro vita persona e di coppia.
 I mutamenti introdotti nei ruoli socialmente riconosciuti all’essere maschio o femmina, comportano una serie di modifiche nella gestione degli ambiti vitali. Sulle minute esigenze della realtà quotidiana nascono frequenti motivi di conflitto. Ora che i ruoli sono intercambiabili e non ci sono più nette divisioni dei compiti fra uomo e donna, fra moglie e marito, ogni giorno si devono rinegoziare semplici incombenze.
 26 Le vicende dell’amore si scontrano con la fatica della quotidianità e su questo spesso cedono, cadono, falliscono. 3.4 La “fragilità” matrimoniale: la gradualità della storia Le vicende dell’amore di coppia inducono le nuove generazioni a preferire modelli di relazione affettiva meno vincolanti, più elastici, meno “imbrigliati” rispetto a quello matrimoniale.
 Trasformazioni: - diminuisce drasticamente la dimensione numerica dei nuclei di convivenza - cresce l’età al primo matrimonio - aumentano i separati e i divorziati - decrescono i nuovi coniugi - cala il tasso di fecondità - il panorama delle convivenze si frammenta Il modello tradizionale di famiglia si scompone in più modelli. CAP 2 - IL SACRAMENTO DELL’AMORE Ciò che della relazione amorosa sembrava “enigmatico”, si svelerà come “misterioso”, cioè portatore dell’identità di Dio, Mistero d’Amore. 1.L’evidenza ecclesiale: il matrimonio celebrato La Chiesa si presenta con una realtà che ha una sua visibilità: il rito.
 In chiesa, la comunità cristiana propone alle coppie di compiere un rito particolare, nella convinzione che le modalità in cui si celebra veicolano e consentono l’accesso ai significati e alla realtà che sono invocati. 1.1 Il rapporto tra rito e significato Il dono della grazia sacramentale non si dà a prescindere dalla sua celebrazione in un rito. Se la riflessione teologica vuole sondarne il significato è lì che deve attingere la sua conoscenza; se la prassi credente vuole sapere come la forza dello Spirito Santo costituisca e sostenga la vita dei coniugi dovrà andare lì a chiedere; se la disciplina canonica vorrà essere al servizio dell’incontro fra i doni di Dio e il suo popolo dovrà lasciarsi plasmare dai significati lì celebrati; se la pedagogia cristiana vorrà identificare percorsi proficui per presentare il valore dell’amore coniugale e attirarvi le nuove generazioni sarà chiamata ad ascoltare quella “voce”. 1.2 Le linee-guida della celebrazione Tra le principali motivazioni che hanno reso necessario l’adattamento si segnalava: - una rinnovata coscienza ecclesiale del matrimonio maturata a partire dall’Esortazione apostolica 
 Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, che richiede che nel rito siano maggiormente esplicitati 
 aspetti inerenti al senso cristiano del matrimonio - una nuova situazione pastorale che rende necessario tener presente il caso di coppie che pur non avendo maturato un chiaro orientamento cristiano e non vivendo una piena appartenenza alla Chiesa, chiedono di celebrare cristianamente il matrimonio - varietà e ricchezza di testi eucologici - introduzione di nuove sequenze rituali  - arricchimento del Lezionario
 1.3 L’annuncio del Legionario La coscienza ecclesiale ha saputo ritrovare in alcuni passi biblici la ferma decisione del Signore di costituire, fondare, confermare, benedire l’amore tra un uomo e una donna. 
 2.La rivelazione biblica del “sacramento” 2.1 Le “origini” del sacramento 27 A tutti i discepoli di Cristo viene “comandato” di imitare Dio, camminando nell’amore. CAP 3 - LE CARATTERISTICHE DELL’AMORE 1.Il nome proprio dell’amore: “come Cristo amò la Chiesa” Sono le dimensioni dell’amore di Cristo ad essere il criterio, il punto prospettico di ogni altra forma d’amore: per sapere cos’è l’amore, dobbiamo guardare a Lui.
 Gesù amò fino alla fine: nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. L’amore coniugale è atto della volontà libera. È amore totale. È amore fedele ed esclusivo fino alla morte. È amore fecondo. 2.Le caratteristiche dell’amore di Cristo Il matrimonio cristiano è il luogo ove l’amore di Cristo si trasmette tra i coniugi e da costoro viene trasmesso ai figli.
 Nell’amore di Gesù si possono cogliere quattro tratti essenziali: - l’amore di Cristo è totale - l’amore di Cristo è fedele - l’amore di Cristo è indissolubile - l’amore di Cristo è fecondo. Il racconto vivente dell’amore sino alla fine di Gesù è impresso nel memoriale dell’Eucarestia. Il dinamismo essenziale che muove il gesto eucaristico è evocato dal verbo “prendere”. Gesù riceve e offre la vita.
 Il dono della vita, totale, fedele, indissolubile e fecondo non comincia quando la si offre, ma quando la si riceve. 2.1 Sacramento dell’amore totale La caratteristica della “totalità” può essere descritta con l’espressione: “L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”.
 L’amore anela ad entrare nell’altro, nella sua vita, nella sua pelle, a tal punto da formare con la persona amata “una sola carne”. 
 Dal punto di vista fisico, si può esprimere con l’unione sessuale nell’amplesso coniugale. L’una caro a cui aspira l’amore può essere descritta e sospinta verso differenti “gradazioni”: 1. unione dei corpi, precisata in anatomica, biologica, sessuale 2. unione degli animi, intendendo considerare le dimensioni “invisibili”delle persone (emotive, 
 psicologiche, affettive) 3. unione delle persone (integrale, originale, durevole) 4. unione nel generare la vita (l’amore è il nuovo “figlio” dell’amore della coppia, responsabile, 
 aperta) 5. unione nella vocazione 6. unione nel futuro, cioè l’anelito ad una totalità che coinvolga la vita di entrambi 7. unione nell’eternità Il desiderio di comunione integrale implica che ciascuno dei due orienti se stesso, in tutte le sue dimensioni, all’unione con l’altro/a. La totalità cui aspira il desiderio amoroso richiede all’io di unificarsi e di disporsi verso l’altro in modo da poter stabilire una comunione amorosa. Essere una cosa sola significa donarsi e accogliersi totalmente. 
 2.2 Sacramento dell’amore fedele Voler appartenere totalmente all’altro comporta il non essere di altri. L’appartenenza esclusiva viene espressa come “fedeltà”. Essere una cosa sola significa essere unicamente dell’altro/a.
 La fedeltà alla relazione di coppia si fonda sulla fedeltà dell’amore che lega Cristo alla Chiesa.
 I partner della coppia si possono promettere un amore fede in quanto si possiedono nella conoscenza di sé per l’oggi e nella promessa di sé per il futuro, e in questa loro condizione dispongono di sé con scelta libera e consapevole. 30 Affinchè nel rito ciascuno dei nubendi possa dire con verità di “accogliere” quello che sarà il proprio coniuge e non un altro, dovrebbe conoscerne, accettarne e desiderarne ogni dimensione; dovrebbe lasciarsi conoscere, accettare e desiderare con altrettanta intensità. Si aprirebbe un futuro di comunione inedita, intima, desiderabile per entrambi, al quale dedicare la propria fedeltà. Questa fedeltà va ben oltre il non aver un’altra relazione di tipo coniugale: significa riscoperta quotidiana dei motivi della relazione. “L’altro è colui che non avrò mai finito di scoprire, avvicinare, accogliere, sostenere, aiutare, allietare”. La fedeltà all’altro è fedeltà al futuro che è in lui. 2.3 Sacramento dell’amore indissolubile La totalità del dono reciproco si raggiunge solo nel tempo. Solo il tempo è in grado di dire il vero significato dei singoli gesti amorosi. Essere una cosa sola significa rimanere con l’altro/a.
 L’amore coniugale che tende ad essere totale e fedele, viene espresso e sostenuto attraverso la decisione di assumere un vincolo che, nella sua forma piena, non è più scioglibile. “Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divide quello che Dio ha congiunto”. Se essi si avventurano nella fede, allora l’alleanza di Dio diviene per loro spazio salvifico di vita, possibilità e forza portante per il loro vincolo umano. Essi possono ricordarsene sempre di nuovo, attingere da essa coraggio e, fiduciosi in essa, riprendersi continuamente. Per il cristiano la rottura del matrimonio comporta l’arrogarsi un potere che non gli spetta e, al tempo stesso, una truffa nei confronti del nuovo partner, poiché gli vuole dare qualcosa che non gli appartiene e che lui quindi non può assolutamente donare. Il sacramento del matrimonio si costituisce per sua natura come un evento indissolubile. La sacra mentalità del matrimonio rappresenta il fondamento dell’indissolubilità matrimoniale, l’indissolubilità matrimoniale il fondamento per il riconoscimento della sua sacra mentalità. 2.4 Sacramento dell’amore fecondo Il genitore diventa come un “destino” per il figlio, cioè una presenza non solo inevitabile, ma in molti modi determinante.
 Il figlio realizza in modo insuperabile e permanente ciò che i due amanti, in modo parziale e temporaneo, divergono nell’unione dei corpi: una sola carne. La fecondità è parte integrante dell’unione. La vita che nasce non è solo la conseguenza biologica dell’amore: è il modo in cui l’amore si manifesta e vive.
 L’amore coniugale è il luogo per eccellenza del concepimento, della nascita e della crescita della vita umana. Il figlio è l’amore dei coniugi che prende vita. Al figlio che nasce i genitori consegnano la speranza di un futuro promettente.
 Questo “futuro” non è garantibile della coppia genitoriale, la quale non può essere certa nemmeno della sua tenuta; il dolore del parto è quasi come una rivelazione.
 Donare la vita ad una nuova creatura è sempre un gesto di partecipazione al “perdere la vita”: anche il genitore più premuroso deve lasciare ogni presunzione di “proteggere” ogni istante della vita del figlio amato.
 Con il neonato nasce di nuovo la possibilità di un’alterità che supera i tempi (la storia, il patrimonio genetico e culturale di cui egli è frutto), supera i genitori (il figlio non è la “somma” dei due), supera questa “terra” (è un dono del Cielo e alla vita del Cielo continuerà ad aspirare). 3.Imboccato il sentiero… Nella celebrazione liturgica del matrimonio sacramentale risuonano le quattro tonalità fondamentali dell’amore di Cristo, totale, fedele, indissolubile e fecondo. La “totalità” dell’amore coniugale è espressa dalle parole del reciproco consenso degli sposi: “Io accolgo te, come mio sposo”.
 Nel riceversi e nel donarsi come sposi è già implicita l’aspirazione e l’esigenza della “fedeltà” (“e prometto di esserti fedele”. La promessa di essere fedele viene poi subito precisata con il “sempre”, cosicchè si delinea l’indissolubilità dell’amore matrimoniale. La qualità del matrimonio viene specificata “nella gioia e nel dolore, nella salute e 31 nella malattia” e per tutta la durata della vita: “e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”.
 Nel riceversi e nel donarsi all’altro come sposo è già inscritta anche la fecondità dell’amore. Se è vero che il sacramento del matrimonio è celebrato in un momento puntuale e insostituibile della storia di un uomo e di una donna, è altrettanto vero che la grazia sacramentale si distende nel corso dell’intera loro vita. La grazia non smette di attirarli nella verità tutta intera dell’amore cristiano.
 La vita familiare è dunque “tempo di grazia”, “spazio di salvezza”, nel quale in coppia ci si dirige verso la meta, cioè la qualità sponsale dell’amore di Cristo verso la Chiesa sua Sposa. CAP 4 - I SENTIERI DELL’AMORE La vita, anche quella matrimoniale, è interpretata come un viaggio.
 È necessario riscoprire il vero significato della morale cristiana. Essa non deve essere confusa con il moralismo o il legalismo, ma va vista come impegno della propria libertà e della propria coscienza a ricercare il bene e a dargli attuazione. Le norme e le regole sono da interpretare come un dono che ci viene fatto da Dio per aiutarci a cogliere la verità di noi stessi. Questo vale a livello personale: il comportamento morale consiste nel vivere secondo la nostra dignità di persone create a immagine e somiglianza di Dio. Per la vita matrimoniale il punto di partenza è la realtà nuova che si instaura col patto matrimoniale, cioè l’amore coniugale. 1.Sentieri che si aprono Quando e dove comincia la “via dell’amore”? Dal grembo materno, cioè da quando la nuova creatura percepisce che il suo stesso esistere trae origine, conserva il respiro e prende forza da un “gesto” d’amore tra un uomo e una donna, posto all’interno di una storia d’amore. 1.1 L’educazione dei cuori L’esortazione apostolica Familiaris Consortio identifica tre fasi della preparazione al matrimonio: una preparazione remota, una prossima e una immediata, in un processo graduale e continuo che va dall’infanzia alla vigilanza delle nozze, coinvolgendo i genitori, gli operatori pastorali, i pastori della comunità, gli stessi giovani. 1.2 La cura dei fidanzati l’uno per l’altra Quando due credenti si aprono all’amore, il compito di prendersi cura reciprocamente l’uno dell’altra diventa un dovere morale della coppia.
 Rupnik raccoglie alcuni pilastri basilari di un itinerario che gli innamorati possono costruire e verificare: i fidanzati stessi prendano coscienza e decidano di dare vita e di applicarsi in un cammino che tende al sacramento, e si dispongano affinchè tale cammino sia dichiarato, celebrato, riconosciuto anche “oltre” loro due; la coppia abbia un interlocutore spirituale, che la aiuti a rileggere sapienzialmente la sua vicenda; nella stessa linea, le famiglie d’origine e quelle degli amici siano ambiti ascoltati per un discernimento sulla qualità di un amore di coppia che non si chiude, ma anzi è “verificato” dalla sua capacità di distendersi anzitutto sui più “prossimi”; tra gli obiettivi ci sia la franchezza di rivelarsi l’uno all’altra in modo sempre più completo, col sano desiderio di crescere nella conoscenza amorevole di sé e dell’altro/a; ci sia la gioia di “annaffiare” le radici l’uno dell’altra, cioè si lavori insieme per il sostegno di ciò che edifica ciascuno dei due e quindi entrambi; si cresca nel gusto per la preghiera condivisa, in cui si affinano i “gusti spirituali” reciproci; i fidanzati dedichino un’apposita cura alla preparazione di una profonda, significativa, piena vita sessuale, che non si inventa, non si improvvisa, non sia data per scontata; sulla scia della tradizione della “regola di vita”, i fidanzati stendano un sobrio “diario dell’amore”, in cui fare memoria delle opere di Dio in loro, identifichino i bisogni spirituali e relazionali, assumano gli impegni per la loro concretezza; un’attenzione particolare è bene sia dedicata alla formazione all’arte del perdono reciproco, che schiude ad inedite “rinnovazioni” dell’alleanza coniugale. 1.3 La cura ecclesiale per i fidanzati 2.Sentieri quotidiani 32 PARTE 4 - PERSONA E SOCIETÀ CAP 1 - UN’ETICA SOCIALE CRISTIANA 1.Tre domande per cominciare 2.Sguardo all’attuale fenomeno sociale 2.1 Quale società? Lo sguardo sulla società attuale coglie una serie di sintomi: frammentazione, flessibilità, multicentricità. La società si presenta oggi all’insegna della complessità, ovvero come una realtà in cui è necessario comprendere le differenti tensioni presenti al suo interno.
 Il tratto caratteristico del nostro tempo è la “globalizzazione”, con i relativi pregi e difetti. 2.2 Quale libertà entro la società? La tensione fondamentale oggi sembra essere quella tra individuo e società. La persona è un essere in relazione. Coscienza è consapevolezza di quanto altri, in gran parte, ci hanno trasmesso. Ogni coscienza si dà come coscienza non soltanto della società, ma anche nella società, in una società ben precisa. Apprezzate sono oggi le relazioni comunitarie o “primarie”, in cui prevalgono i tratti della prossimità, del pieno riconoscimento dell’altro, dell’attivo coinvolgimento dei membri di una famiglia o di un gruppo; le relazioni in cui la logica dell’io-tu tende ad evolvere nel costituire alcuni “noi essenziali”, dove ritrovarsi e ritrovare l’altro.
 L’istituzione merita di essere riconosciuta come “prodotto” dell’accumularsi della libertà di molti, di cui porta il segno e che predispone, orienta, positivamente o meno, tutte le scelte che ad essa si riferiranno. L’aspetto istituzionale dei rapporti sociali dice d’altra parte che è possibile raggiungere, amare... non soltanto il vicino, il fratello, il prossimo che incontriamo, ma anche colui che non conosceremo mai in modo immediato, e tramite le istituzioni sarà possibile considerare non semplicemente un volto anonimo, privo di contorni, ma un “altro” che può essere riconosciuto nella sua singolarità, assieme a molti altri, e amato, apprezzato come tale. 2.3 Quale verità per la società? 2.4 Le tre dimensioni della vita sociale Affiora una considerazione relazionale della libertà dell’uomo, che si rende afferrabile in tre dimensioni: personale, comunitaria, istituzionale. Ciò significa che ogni problema sociale necessita di essere indagato almeno sotto questi tre profili.
 Un’etica sociale non potrà non tener presente di queste dimensioni, perché è dal loro intreccio che la libertà può essere colta in modo non ingenuo o parziale. Seguendo la metafora della società paragonata all’uomo, si potrebbero cogliere nella società tratti di “soggettività”, spirituali, culturali, di valore, che ne dicono la singolarità specifica e la trascendenza analogamente alla soggettività personale; aspetti “comunitari”, organici nel concorrere delle varie membra del “corpo sociale” al buon andamento del tutto come pure nel ricevere da esso; e la necessità di una “struttura portante”, in grado di conferirle solidità e forma stabile. 3.Un metodo per l’etica sociale Le tre tappe irrinunciabili sono rappresentabili secondo lo schema FENOMENO SOCIALE – RILETTURA ALLA LUCE DELLA FEDE CRISTIANA – ETICA SOCIALE.
 Al primo posto è il fenomeno sociale: la società è essenzialmente fenomeno antropologico, che accomuna la vicenda di tutti; al secondo posto di trova la Bibbia, in quanto attestazione rivelatrice di Dio all’uomo e dell’uomo a se stesso, entro la relazione salvifica originariamente e gratuitamente posta con lui (ovvero la sua verità); al terzo posto si trova l’esigenza etica, che si manifesta in quanto direzione di compimento della libertà, nelle sue varie dimensioni relazionali. La libertà è chiamata a riconoscere nel momento biblico il punto più alto del suo rivelarsi a sé stessa, e in quello etico la possibilità di una mediazione alta.
 35 Il metodo è circolare, “aperto” a successivi sviluppi, che dall’uomo parte e all’uomo conduce. Vuole educare a proseguire nella stessa logica, in modo da favorire il discernimento degli eventi sociali più rilevanti. 4.La verità dell’agire sociale La verità delle relazioni, nella Scrittura, si dà in modo paradigmatico, mediante la narrazione di vicende esemplari, ad alto contenuto simbolico.
 Con “giustizia” la Scrittura esprime il modo più autentico di vivere le relazioni nella storia, nelle concrete circostanze del vissuto. Tra due diverse e conflittuali modalità dell’agire nelle relazioni, la Bibbia non definisce con criteri astratti la migliore, ma dal confronto vivo tra le modalità possibili dell’agire fa scaturire la migliore, perché il lettore ne sia istruito. Giustizia è fedeltà, solidarietà, lealtà, anche in condizioni estreme, come di fronte al nemico o all’avversario. La giustizia è per l’uomo soprattutto cammino da compiere, sulla base dell’incrollabile e infinitamente superiore giustizia di Dio; essere giusti esige anzitutto fede in Dio, perché da Dio viene l’autentica giustizia. 4.1 Antico Testamento 4.1.1 La Legge Nel Pentateuco, la Legge di Israele è presente nei testi del Decalogo e della rimanente legislazione. Tra gli elementi di novità si notano:  - il presupposto: non si parte dalla giustizia intesa come ordine astratto da ristabilire, ma dalla concreta vicenda storica, in cui non vi sono astrattamente dei “cittadini”, ma il povero e il ricco in relazione tra loro - la natura: giustizia è qualità personale che si manifesta nell’agire, ed è sempre riferita all’altro - la motivazione: è riferita all’esigenza di giustizia che l’altro si attende. Della giustizia l’uomo non è artefice né protagonista, ma da sempre il suo agire è ampiamente preceduto dall’agire fedele di Dio, da cui l’intero popolo di Israele si riconosce previamente e immeritatamente raggiunto. La nostra giustizia può radicarsi, fondarsi, soltanto nella sua. 
 4.1.2 La Profezia La Profezia denuncia forme di ingiustizia che la Legge non sempre mette in luce: - l’ingiustizia generalizzata - l’ingiustizia occultata, nascosta dietro il velo dell’apparente legalità. Il ridimensionamento delle attese di Israele nei riguardi delle proprie istituzioni, l’apertura al riconoscimento delle altre nazioni e del loro ruolo nel piano di Dio, e la ridefinizione della propria speranza nella Promessa dispongono il passaggio dall’Antico al Nuovo testamento. 
 4.2 Nuovo testamento 4.2.1 Gesù e la società del suo tempo Al tempo di Gesù il giudaismo era percorso da alcune principali correnti, tra cui zeloti ed esseni e la posizione di compromesso dei farisei e dei sadducei. Tratto comune era l’attesa di una restaurazione teocratica, in chiave monarchico-messianica.
 L’atteggiamento di Gesù è il rifiuto di ogni malinteso messianico di carattere politico- regale o sociale. Nell’annunciare l’assoluta trascendenza e irriducibilità della logica del Regno di Dio a quella dei poteri terreni, Gesù resta intenzionalmente all’interno del quadro politico-sociale del suo tempo, non astraendo mai da esso. Infatti, i discepoli sono invitati, partendo dalla loro fede, a correggere, integrare, migliorare la realtà sociale in cui e di cui anche vivono. 
 36 4.2.2 Dio e Cesare Il rapporto tra la fede cristiana e la realtà politica soggiace all’episodio in cui Gesù è interrogato circa il potere di Cesare.
 “È lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no? Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”.
 Un primo rilievo riguarda il contesto. Si tratta di un contesto pretestuoso, ingannevole.
 A proposito del rendere a Dio e a Cesare vi sono due letture errate della questione: - a Dio o a Cesare: la contrapposizione tra fede e società o fede e politica, o anche separazione tra esse, così che si debba rendere un po’ all’Uno e un po’ all’altro, secondo le circostanze - a entrambi senza distinguerli: sovrapponendo i due Regni, fino a confonderli; ipotizzando magari una società e una politica idealmente coincidenti con le attese della fede. La lettura più corretta del duplice rendere, a Dio e a Cesare, prevede la composizione nella distinzione. Il Regno di Dio ha attese ben più profonde, ultime, qualitativamente e infinitamente superiori rispetto al regno di Cesare, che non salva, ma non può e deve realizzare una serie di beni per la società, anzi, quello che tradizionalmente sarà riconosciuto come il “bene comune”. In questa logica si colloca il tema della laicità della politica, intesa non come separazione assoluta, ma come corretta relazione della politica a ciò che la supera, a ciò che la politica stessa non può raggiungere: la verità, il senso ultimo della vita sociale.
 Il cristiano non potrà mai fare della sua fede una scusante per sottrarsi all’impegno sociale e politico, perché è volontà di Dio che egli si faccia carico anche di rendere a Cesare. Anche il regno di Cesare ha un posto, infatti, nel piano di Dio. Prospettiva ultima è allora che il cristiano veda i due regni non contrapposti, né separati, né affiancati, né giustapposti, ma l’uno relativizzato, finalizzato all’altro. Nel Regno di Dio confluirà anche il regno di Cesare: anzi, proprio lì troverà compimento, purificazione, elevazione, pienezza. 4.2.3 Paolo e gli altri scritti del NT I principali atteggiamenti della Chiesa apostolica in riferimento alla società sono: - la lealtà nei riguardi dell’autorità. Per essere autentica, deve essere integrata da due atteggiamenti - la distanza critica dai poteri terreni - la contrapposizione radicale alle richieste del potere qualora esso giunga ad assolutizzare sé stesso. 
 Il culmine della rivelazione neotestamentaria circa l’agire sociale è la “carità”, pienezza di ogni giustizia. In Gesù di Nazareth soltanto si compie ogni giustizia ed ogni agape; in Lui e nel suo Spirito la comunità dei discepoli è chiamata a rivivere, a comprendere ed approfondire il suo Mistero e la sua vicenda assolutamente singolare anche nelle dimensioni relazionali.
 L’agape esprime la realtà stessa di Dio, la sua opera, il suo porsi definitivo e perfetto nei riguardi dell’uomo. 
 5.L’esigenza di un Fondamento Gesù è il solo Giusto: in Lui si rivela la giustizia autentica, la piena solidarietà con l’umanità. 5.1 Circa il fenomeno sociale Le relazioni si presentano nella loro verità come vincolo.
 Riconoscere la verità della società significa crescere nella consapevolezza del valore dell’essere obiettivamente inseriti, insieme, in una determinata società, cultura, storia, e via dicendo, così da saper realmente apprezzare la presenza dell’altro, non potenziale avversario ma nativamente fratello. 
 37 3.1 La finalità complessiva: produrre utilità o contribuire al bene comune? Il criterio più generale per un giudizio etico in economia consiste nella finalizzazione dell’utile al bene. Scopo dell’azienda non è la massimizzazione del profitto, quanto di fornire beni e servizi, utili ad altri, alle migliori condizioni compatibili con l’esigenza di una gestione ordinata, in grado di remunerare adeguatamente chi lavora in essa ed i fattori che consentono la produzione. Se i beni economici sono finalizzati all’uomo e non sono fini a se stessi, ciò che va migliorato e massimizzato è semmai altro: la qualità del prodotto o del servizio offerto; l’occupazione, ecc...
 All’opposto, la negazione dell’etica non dà buoni frutti neppure sul piano dell’utilità economica. 
 3.2 Luoghi caratteristici delle tensione tra eticità ed economia 3.2.1 Il lavoro umano e le sue esigenze Il lavoro, per essere pienamente compreso, va inteso come vocazione originaria dell’uomo.
 Il lavoro è da cogliersi anche come grande opera ed occasione di solidarietà.
 Essenziali sono i diritti del lavoro, specialmente al giusto salario, quello in grado di soddisfare le necessità della propria persona, della propria famiglia, e a garantire, anche per mezzo dei sistemi di assicurazione sociale, il lavoratore dalle sue altre necessità.
 La più profonda interpretazione del lavoro concerne la sua dimensione teologica. Particolare importanza andrà assegnata all’impresa. Un’impresa va vista anzitutto come “comunità di uomini” o “di lavoro”. 3.2.2 Possesso e utilizzo di bene e di mezzi finanziari Il principio che presiede al possesso e all’utilizzo dei beni di ogni tipo è quello della destinazione universale dei beni della terra.
 Questo principio afferma che i beni economici sono stati affidati da Dio all’umanità tutta, affinchè possano rimanere al servizio di tutti, senza indebite esclusioni. Questo non significa abolizione della proprietà privata; implica piuttosto che la proprietà dei beni sia equamente accessibile a tutti, così che tutti diventino, almeno in qualche misura, proprietari.
 Ciò implica il riconoscimento della funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato.
 Tale principio, se da un lato fonda il diritto alla proprietà privata, d’altro lato evita che la proprietà privata stessa sia immaginata come diritto assoluto.
 Con ciò non si intende mettere in discussione la titolarità dei possessi, ma il loro utilizzo che deve considerare le necessità altrui. La titolarità dei possessi può venir meno nel caso dell’esproprio. Il procedimento di esproprio deve essere guidato dai seguenti tre criteri: sia determinato dall’autorità legittima competente, secondo le esigenze e i limiti imposti dal bene comune e dietro equo indennizzo. Si configura non come negazione del diritto alla proprietà privata ma come sua limitazione o meglio, trasformazione per ragioni di bene comune. 3.2.3 Quale sistema economico? Quale globalizzazione? La Dottrina Sociale della Chiesa è per una particolare modalità di sistema economico, alla quale possono corrispondere in concreto differenti modelli: - un’economia in cui Stato, mercato e corpi intermedi abbiano ciascuno un compito riconosciuto e apprezzato al servizio del bene comune - un’economia in cui al mercato sia riconosciuto un ruolo positivo. La Dottrina Sociale della Chiesa richiede pertanto un mercato del lavoro, dei beni e servizi e dei capitali equo, non lasciato in balia delle sole forze che in esso si confrontano, ma rettamente governato, in cui cioè l’equilibrio giunga alla formazione di un “giusto salario”, di un “giusto prezzo” e di un “giusto profitto”. Un mercato quindi non finalizzato a se stesso, ma all’uomo e al suo servizio, lontano da ogni ricerca esclusiva del profitto e da una logica consumistica, anch’essa spersonalizzante - un’economia articolata e basata su una pluralità di interventi e di soggetti. In negativo, si mette in guardia dalle strutture di peccato e dal peccato sociale, rilevanti in sede economico- politica.
 In positivo, si auspica l’orientamento generalizzato della solidarietà. 40 CAP 3 - UNA POLITICA PER IL BENE DI TUTTI 1.Che cos’è politica? La politica è una risorsa, possibilità o anche potenzialità straordinaria posta al servizio del progresso della civiltà. La politica ha saputo diffondere una pluralità di beni e servizi un tempo disponibili a pochissimi; ha saputo far crescere la partecipazione e la dignità del cittadino, favorire la ricerca e la cultura, consentire la fruizione di numerosi diritti.
 Dalla politica scaturiscono e sono scaturiti anche guerre, distruzioni, genocidi, neocolonizzazioni di intere aree dell’umanità, e così via.
 La forza della politica risiede nel fatto che essa attinge a un potere proveniente da molti.
 La politica rappresenta il potere sociale, cioè su molti, indistintamente, nella sua massima espressione storica; ad essa, competono sempre responsabilità di altissimo livello.
 La politica può essere riferita a tre livelli:  - la policy, ovvero l’orizzonte più ampio degli orientamenti ideali, linee di condotta, aspetti culturali della politica; finalità, valori, contenuti del dibattito e della prassi politica; costume, modi di vivere; - la polity, ovvero il livello concernente gli aspetti istituzionali, strutturali, della politica e il loro governo - la politics, vale a dire la politica attiva, l’attività politica in senso proprio: è quella ordinariamente svolta dai suoi professionisti, ovvero dai politici propriamente detti. Rappresenta anche il livello di riflessione, di studio specifico della scienza politica. Il primo orizzonte è fondamentale, gli altri due devono essere posti al suo servizio; il secondo rappresenta la codificazione, la strutturazione istituzionale della politica e il suo attuarsi; il terzo, il luogo decisionale, dipende e interagisce con gli altri due, in quanto di essi si alimenta e su di essi interviene, influenzandoli. 2.La ricerca della varietà nella vita politica 2.1 La Rivelazione biblica 2.1.1 Antico Testamento In primo piano troviamo la Legge e i suoi mediatori, giudici e re chiamati a esercitare la giustizia presso il popolo.
 Un ruolo altrettanto importante è svolto dalla Profezia. I profeti affermano l’esigenza non solo di istituzioni giuste, ma di una giustizia praticata dai re, dai capi, come da chiunque. 2.1.2 Nuovo Testamento Luci e ombre del potere politico. Gli scritti del Nuovo Testamento sottolineano il potere politico; esso costituisce una tra le massime tentazioni, quella di asservire altri e, se fosse possibile, Dio stesso, alle proprie finalità: si veda, su questo, in particolare il genere apocalittico; si vedano inoltre le narrazioni delle tentazioni di Gesù.
 L’agire politico è soggetto non soltanto a limitatezza e imperfezione, ma anche al peccato.
 Il potere come servizio. Il potere è in apparenza servizio, ma in realtà costruisce una propria etica e quasi una sua religione.
 Grandezza e limiti del potere politico. In sintesi: - il potere politico e sociale, colto a partire e nell’orizzonte del piano salvifico di Dio, appare in tutta la sua limitatezza; è potere circoscritto, che esige di essere ridimensionato nelle sue pretese pseudo-salvifiche, in quanto radicalmente sottoposto alla suprema potestà di Dio - la possibilità autentica insita nel potere è di divenire servizio, nel proprio ambito e nei propri limiti. Questo toglie, da un lato, la pretesa di dominio insita nelle forme del potere sociale, relativizzandolo ad altro; d’altro lato, ciò consente all’agire sociale e politico di raggiungere le più alte vette del servire il bene; non soltanto di qualcuno, ma di tutti quanti coloro che con quel potere avranno a che fare. Il senso pieno dell’autorità è quello più direttamente espresso dall’etimologia di auctoritas, da augeo = faccio crescere. Anche l’attività politica deve essere perennemente sottoposta alla suprema signoria di Dio e alle esigenze dell’altro, di tutti gli altri. A meno di questo, si tenderà all’idolatria del potere e 41 all’asservimento degli altri, per mezzo della politica. Occorre decidere: tra esercizio del potere politico a proprio vantaggio o a servizio degli altri non vi è via di mezzo. 2.2 L’insegnamento della storia L’itinerario della fede cristiana nella storia presenta svariati modelli.
 In epoca patristica vige il modello di S. Agostino, in cui la lettura della storia presenta la dialettica tra le due città, la città di Dio e la città terrena. La politica è radicalmente contrassegnata dal peccato e in grado, al massimo, di produrre alcune utilità. La principale conseguenza è la differente logica che a essa occorre riconoscere.
 In epoca medievale prevale il modello di S. Tommaso, secondo il quale i due poteri sono differenti ma armonicamente coordinati entro l’unica città degli uomini, la res publica cristiana. Per Tommaso la politica costituisce la naturale espansione della nativa relazionalità dell’uomo, animal politicus. In quanto realtà naturale, la politica è per sé buona e ragionevole. La legge rappresenta l’interpretazione razionale del bene comune e la giustizia è la virtù predisposta a conseguirlo in forma pratica. La ragione, coerente con la fede, consente di cogliere il bene della società.
 In epoca moderna la politica risulta separata dalla fede e dall’etica. Lo Stato diviene luogo di elaborazione autonoma di una “politica senza verità”. La natura genera l’uomo, l’uomo crea la politica come attività specifica per disciplinare l’uso del potere pubblico. Quattro sono le figure dello Stato nazionale moderno:  - assoluto - liberale - totalitario - democratico Nell’attuale epoca postmoderna prevale il tentativo di perseguire la giustizia per via politica. Emblematica è la teoria di John Rawls della giustizia come equità.
 La giustizia è il primo requisito delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero.
 Un duplice principio consente la realizzazione della giustizia: 1. un principio di giustizia come eguaglianza, in base al quale tutte le libertà, i diritti, i beni primari devono essere distribuiti in modo uguale entro una società. Beni primari sono: libertà di pensiero e libertà di coscienza, libertà di associazione, libertà politica; libertà di movimento e scelta di un’occupazione su uno sfondo di diverse opportunità; poteri e attribuzione di cariche e posizioni di responsabilità, specialmente entro le principali istituzioni di carattere politico ed economico; reddito e ricchezza sufficienti; le basi sociali del rispetto di sé 2. il secondo principio, della giustizia come differenza, gerarchicamente subordinato al primo, tratta delle differenze ammissibili, in campo sociale, politico ed economico; esse possono essere accettabili, soltanto se rispondono al maggior vantaggio anche dei meno favoriti. 3.Etica e politica nell’insegnamento sociale della Chiesa 3.1. Fede etica e società L’articolazione dell’agire politico comporta una triplice dimensione, tre differenti livelli ai quali può essere colto.
 Entro ogni azione o decisione politica si dà in modo riconoscibile l’aspetto dei beni sociali da essa prodotti, ma veicola un significato etico e teologico. Una politica puramente neutrale non esiste. 
 L’azione politica non può dirsi autonoma in senso assoluto, prescindendo da ogni riferimento etico, perché comunque implica al suo interno almeno altri due livelli di significato più profondi.
 Ciò fonda le ulteriori possibilità di trattare di etica politica e dei rapporti tra fede e politica. 
 3.2 Il progetto etico-politico della Dottrina Sociale della Chiesa I tre cardini della prospettiva etica sono i principi, i valori e le virtù. 42