Scarica Il cristiano nel mondo - prima e più Sbobinature in PDF di Teologia solo su Docsity! IL CRISTIANO NEL MONDO Nella prima enciclica dedicata all’insegnamento della morale della Chiesa, la Veritatis Splendor, Giovanni Paolo II proponeva il dialogo di Gesù con un giovane ricco: “Maestro, cosa devo fare di buono per avere la vita eterna? (MT 19,16)”, come linea guida per intendere il messaggio cristiano. La risposta di Gesù di seguire i comandamenti: “Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso.” Poi aggiunse: “Se vuoi essere perfetto và, vendi ciò che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi.” Preso atto di queste parole il giovane se ne andò, triste; possedeva molte ricchezze. Nel dialogo vi sono 3 momenti: la vita eterna, i comandamenti e la sequela di Gesù. La forma dialogica porta i due interlocutori a riconoscere il dialogo come una relazione interpersonale ancor prima dello scambio verbale. Il dia (due) – logo presuppone qualcuno che parli e qualcuno che ascolti che, in tal caso, assume il valore di legge scritta di Dio con l’uomo. Vi è un nesso, la lectio divina, tra la legge di Dio e il desiderio dell’uomo, quale metodo orante che risalta l’importanza della sacra scrittura per la morale cristiana. Il Concilio Vaticano II ha auspicato fosse la “più nutrita” di Sacra Scrittura (Optatam Totius, n. 16). La “Veritas Splendor” definisce la scrittura come una “sorgente viva e feconda della dottrina morale della Chiesa”. Il desiderio dell’uomo. Il dialogo comincia con la domanda di un “tale” che rimane anonimo, seppur giovane e notabile (LC, 10,18), ma sempre senza identità che da un lato lo rende singolare ma dall’altro lo universalizza. Quel tale rappresenta ogni uomo che s’interroga sul e la felicità, la domanda, difatti, verte sul bene da praticare per una vita perdurante ed esprime ciò che pulsa nel cuore di ogni uomo: il desiderio di essere felice. L’aspirazione alla felicità porta l’uomo in una continua ricerca, tutt’altro che semplice, desidera un Bene maiuscolo, balenato attraverso i molti Beni (MC 10,22) già in possesso. La domanda del “tale” riguarda il fine (la felicità) e i mezzi (che cosa deve fare di buono) per raggiungerlo. Il giovane sa che per essere felice deve obbligatoriamente fare il bene, in alternativa al non bene (il male). L’uomo in coscienza distingue il bene e il male, seguendo il principio per cui “bisogna fare il bene ed evitare il male” quale legge intrinseca, naturale, universale e immutabile del genere umano. Per i Cristiani vi è un legame tra felicità e morale, dunque, occorre mostrare che ciò che esige la Chiesa ha un significato rispetto a ciò che l’uomo aspira perché supera l’opposizione tra legge e desiderio, in realtà interdipendenti. La distinzione tra bene e male si attenua quando bisogna determinare per le singole situazioni in “che cosa” sia buono o cattivo. Vi è il bisogno di personalizzare il bene che può confondersi con il soggettivismo arbitrario di chi vuole far-si giudice dei due poli, senz’altra regola se non la propria libertà. L’oggettivismo legalista è tipico di chi ritiene che il bene coincida con la pratica della legge, difatti, Gesù appare come il “Maestro buono” (MC 10,17; LC 18,18) che parla e vive in sé il bene essendone testimone. La legge di Dio La risposta di Gesù apre il giovane ad un orizzonte infinito, difatti, suona come una contro domanda che invita ad attivarsi nel cammino di ricerca: “perché mi interroghi su ciò che è buono? buono è uno solo.” Gesù non si sostituisce al giovane ma gli fornisce le indicazioni per orientarsi (seguire i comandamenti che dettano modi concreti di vivere) svelando la profondità divina del bene. L’uno solo è buono non è altro che Dio, come risulta negli altri sinottici: “perché mi chiami buono? nessuno è buono, se non Dio solo”. La domanda morale del giovane riguardante l’agito rivela il legame con Dio perché interrogarsi sul bene significa mettersi sulle tracce di Dio. La vita buona è la condizione affinché l’uomo goda della vita stessa di Dio, intrecciando l’agire buono al bene divino. L’uomo non è mai abbandonato a se stesso ne perseguimento della vita divina, ma viene istruito da Dio circa il cammino da compiere. Gesù si ricorda dell’uomo. La conoscenza naturale del bene e del male da parte dell’uomo non è garantita da ogni errore causato dall’influenza negativa della cultura. Nei comandamenti della seconda tavola di Mosè: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”. Questi comandamenti hanno l’obiettivo di salvaguardare la vita fisica, familiare e sociale e, cioè, amare il prossimo: “amerai il tuo prossimo come te stesso” (Paolo 13,8-10). Paolo sa che il comandamento dell’amore insegnato da Cristo ha la correlazione tra Dio e il prossimo, l’uno implica l’altro. Il giovane viene animato dal desiderio di “andare oltre”, in risposta all’osservazione dei comandamenti, egli ribatte: “tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?”. Il desiderio di felicità intrinseco nell’uomo non si esaurisce con la mera osservanza dei comandamenti. La sequela di Gesù Come evidenziano Marco e Luca, la pratica dei comandamenti non soddisfa il giovane che risponde: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza” (MC 10,20; LC 18,21). La risposta di Gesù verte sulla vendita delle ricchezze a favore dei poveri. Il desiderio di perfezione del giovane consiste nella dedizione personale agli altri, i poveri. Il Buon Samaritano nella parabola di Gesù (LC 10,29 – 37), laico, di altra etnia e religione, viene additato da Gesù come una figura da imitare. La frase termina con l’imperativo “Vieni! Seguimi!” perché la carità cristiana è quella giustizia che ha in Cristo la sua motivazione e condizione. La vendita dei possedimenti da parte del giovane lo porta ad imitare lo stile di vita di Gesù, esaltando l’amore per gli altri che si genera dal legame tra i due. Gesù: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete venduto” (GV 14,5 – 7). Gesù introduce l’uomo in una relazione speciale con il Padre. Sempre nel vangelo di Giovanni, i discepoli sono istruiti da Gesù nella verità di Dio: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (GV 16,13). La morale cristiana è trinitaria perché per mezzo dello Spirito attira al Padre una morale cristocentrica. Come si scrive nella Veritas Splendor, Gesù “diventa Lui stesso Legge vivente e personale, che invita alla sua sequela, dà mediante lo spirito la grazia di condividere la sua stessa vita e il suo stesso amore e offre l’energia per testimoniarlo nelle scelte e nelle opere”. Il divenire “Legge vivente e personale” di Gesù consente di riformulare i comandamenti nell’unico comandamento di imitare il suo amore: “vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni e gli altri” (GV 13,34 – 35). Giovanni Paolo II si interroga sulla possibilità odierna di vivere la morale cristiana e risponde: “il colloquio di Gesù con il giovane ricco è ancora attuale. La domanda del giovane sboccia nel cuore di ogni uomo ed è sempre Cristo ad offrirvi risposta piena. La contemporaneità di Cristo all’uomo di ogni tempo si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa. 1 Per questo il Signore promise ai suoi discepoli lo Spirito Santo, che avrebbe loro ricordato e fatto comprendere i suoi comandamenti”. La connotazione cristocentrica della morale ha una natura trinitaria ma anche ecclesiale, per cui la Chiesa annuncia la Parola di Cristo, la carità e i Sacramenti. La morale sempre relazionale e mai impersonale. Epilogo L’imperativo “seguimi” non priva la libertà poiché Gesù si rivolge dicendo “se vuoi…”. L’esito non è felice: Matteo riferisce che il giovane udito l’invito di Gesù se ne andò triste, le motivazioni che giustificano tale decisione le ritroviamo in tutti e tre gli Evangelisti (MC, LC, MT) e, cioè che, possedeva “molte ricchezze”. In questa rinuncia vi è un’analogia con l’attuale condizione giovanile cui la felicità viene pervertita dal godimento immediato. Gli evangelisti sottolineano anche il problema dell’essere avari, quelli che non solo hanno molto ma condividono poco o niente. Un’altra ipotesi legge la rinuncia come conseguente alla sua età e al suo status sociale. La sequela di Gesù è la strada sulla quale il desiderio di felicità dell’uomo giunge alla vita eterna di Dio: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (MT 19,27.29). L’etimologia di Desiderio, riferendosi al cielo, privo (de) di stelle (sidera), rimanda allo sguardo indagatore di chi, non potendo considerare gli astri celesti, scruta il cielo oscuro nella speranza che appaiono. Tale sguardo può rimanere deluso per l’assenza di stelle e finire per abbassarsi alla terra (come si abbassarono gli occhi del giovane davanti a Gesù quand’egli lo invitò a seguirlo), per la tensione di tenere alzata la testa, per il disturbo dell’inquinamento e i seducenti bagliori artificiali della terra. Nella rassegnazione di chi distoglie gli occhi dal cielo permane la nostalgia delle stesse, che tornerà a sollecitare il cuore non appena le luci psichedeliche della terra avranno mostrato la loro fugace inconsistenza. I legami della Libertà Nell’espressione “Io sono la vite, voi i tralci” (GV, 15.5) ritroviamo il legame tra Cristo e gli uomini, cosi come dall’innesto nella vite dipendono la vitalità e fruttuosità dei tralci. Morale ed etica Il termine morale, da latino “moralis”, introdotto da Cicerone con il sostantivo “mos, moris” (modo di agire), l’aggettivo latino viene adattato all’aggettivo greco “ethikà”, etica. Etica, di derivazione greca, e il nome morale, di derivazione latina, ancora oggi si usano con diverso significato ma rimane comune l’invalso uso sinonimo dei termini. Il modo umano di comportarsi è caratterizzato dal raffronto con le altre specie viventi che rinvia alla libertà: l’agire umano è sempre libero e, non solo, l’uomo compie delle azioni sapendo e volendo agire. Se l’etica caratterizza il comportamento umano, allora si propone anche come riferimento per l’agire dell’uomo. L’etica e la morale presentato un’accezione interpretativa e normativa per cui “fai il bene ed evita il male” (Tommaso, I-II, 94,2.). La morale cristiana riguarda l’agire libero dell’uomo facendo di Cristi la norma vivente che giudica il bene e il male. La presunta libertà “Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me” (GV 15,4). L’immagine richiama il bisogno della relazione con Gesù in ordine all’agire buono. L’orizzonte postmoderno L’etica veniva concepita come dipendente dall’essere divino, sia per la filosofia classica che per la teologia cristiana, l’agire dell’uomo era ancorato a Dio, poiché garante di tale legame era la forza del pensiero ritenuto in grado di conoscere Dio. Con l’epoca moderna si vede una svolta verso l’uomo con il passaggio dall’interrogazione del mistero di Dio con lo scopo di dedurre l’agire umano, all’interrogazione diretta di quest’ultimo per scoprire le leggi immanenti che lo regolano. La sfida è la possibilità di reperire un fondamento per l’agire morale come se Dio non esistesse. L’autonomia ha contribuito alla morale di disancorarsi dalla concezione divina, rendendone impossibile la rotta. L’agire resta in balia di diverse correnti che fanno dubitare delle capacità dell’uomo di autodeterminarsi in libertà. Nietzsche con l’espressione “Dio è morto” sospettò della morale antica e moderna, propiziando la nascita dell’etica post- moderna. Bauman usa una metafora per indicare l’uomo post-moderno associandolo ad un turista che gira il mondo sapendo che non prenderà dimora da nessuna parte e se mai sosterà in un posto, lo farà finche ne avrà voglia. Il turista è extraterritoriale, è ovunque e da nessuna parte. L’unico vincolo è la disponibilità economica da cui dipende il grado della sua libertà, ovvero il potere d’acquisto. La vicinanza fisica non si trasforma mai in responsabilità morale: tutto ciò che si deve all’altro è un prezzo pattuito. Quest’ultima concezione si adatta alla condotta morale dell’uomo post-moderno, privo di regole che non siano quelle stabilite in proprio. Il turismo “morale” è libertario e relativista, sembra trasformarsi in un miraggio, continuamente rincorso e mai raggiunto. La libertà individuale, per quanto bella, risulta impossibile. Il miraggio della libertà La libertà, come un miraggio, sembra sfuggire da ogni presa e lo si scopre tentando di definirla come, ad esempio, “non dover fare qualcosa”, in realtà non coincide con il “non aver niente da fare”, tanto che quando non abbiamo nulla da fare la mente si affolla di cose che potremmo fare. Il vuoto non esiste, esistono tante possibilità. La libertà non è “poter fare ciò che si vuole”. Il termine “volere” può indicare “voglie passeggere” ma anche “volontà durature”, ciò per cui siamo disposti ad impegnaci, tuttavia, dobbiamo riconoscere che ciò che si vuole non corrisponde mai a ciò che si ottiene, anche nelle migliori ipotesi. Quando si ottiene ciò che si vuole, non si smette di volere, si comincia a volere qualcos’altro. La libertà, astuta, non può evitare di scegliere, dunque tenta di non farlo definitivamente, allontanandosi dal “per sempre” (esempio: convivenza rispetto al matrimonio). De-cidere non è scegliere qualcosa, ma è tagliare via, privarsi di altre cose che non si sono scelte. Ciò che non si sceglie resta sempre presente come ciò che manca. La libertà ha le sue buone ragioni per riservarsi l’uscita di sicurezza anche se le resta impossibile imboccarla per il tempo che scorre e impedisce di fare la scelta che non si è fatta in passato. Ogni istante della vita è eterno: quello che si è fatto o non si è fatto è un’opportunità colta o perduta per sempre. La libertà è sempre in azione, costretta a giocar-si senza aver scelto di farlo. La libertà è legata all’uomo. L’uomo non può disfarsene. 2 L’amore come legge. La rivelazione biblica della morale cristiana è l’infrastruttura per lo sviluppo della teologia morale, si riconosce la validità del rinnovamento biblico in corso, difatti, il Concilio Vaticano II ha sollecitato la teologia morale affinché fosse “maggiormente nutrita della dottrina della sacra Scrittura”. La legge nuova. “Io quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (GV 12,32). L’anticipazione di Gesù ai discepoli circa il suo innalzamento sulla croce e nella gloria della resurrezione allude allo Spirito Santo quale “fonte e risorsa della vita morale” (Giovanni Paolo II). La promessa dell’attrarre tutti a sé annunciata da Gesù viene esercitata dallo Spirito sulla libertà invita a una rinnovata interpretazione della legge morale. La grazia dello Spirito Santo. “La legge nuova principalmente è la stessa grazia dello Spirito Santo, concessa a coloro che credono in Cristo”. D’Aquino introduce una concezione di legge che giunge all’uomo dall’esterno ma agisce al suo interno. La legge nuova perché “nuova alleanza” è posta da Dio nell’intimo nell’uomo ed è legge “infusa” da intendere come dinamismo interiore. L’amore sino alla fine. Proprio perché infusa nell’uomo, la Legge nuova è come una Linfa destinata ad innervare la Libertà umana affinché dalle radici dell’identità morale risalga alimentando le disposizioni ad agire, sino a produrre gli atti. Le azioni prodotte sotto la mozione della grazia sono opere della carità. La traccia scritta dalla Legge nuova è rinvenibile nel Nuovo Testamento, specie nei Vangeli e nel Discorso della montagna. S. Agostino presenta il discorso della montagna come vertice e compendio della vita cristiana: nel vertice si riscontra la norma della vita cristiana per quanto attiene a un’ottima moralità; nel compendio, invece, vi sono i precetti che attengono a regolare vita. L’intero discorso illustra una libertà umana attirata dallo Spirito Santo sino a giungere alla conformazione a Cristo. “Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” chiede di amare anche il persecutore per causa di Gesù e trova formulazione nel suo comandamento nuovo: ““Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (GV 13,34). L’amore di Gesù sino alla fine consiste nel dono di sé per gli altri: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. La legge naturale. La legge morale deve integrarsi alla legge naturale, perché propria umana. La legge posta nell’intimo. Il legame tra Legge nuova e Legge naturale può essere stabilito rispetto alla loro intima presenza nell’uomo. Vi è una somiglianza (leggi naturali infuse nei cuori) e dissomiglianza (la legge nuova è un’indicazione di ciò che dev’essere fatto ma è anche d’aiuto nel compierlo). L’amore del prossimo La legge naturale si esprime nel Decalogo (testo della Legge antica rivelata da Dio al popolo di Israele), i comandamenti convergono nell’unico comandamento dell’amore del prossimo. L’amore dei nemici, paradigma emanato da Gesù, eleva l’amore sino all’altezza dell’amore divino. La caratteristica principale della Legge morale è la chiave amorosa: - Interpersonalità: riguarda almeno due persone, il bene non è comune, non è il noi, ma il bene privato di un Io senza il tu. - Obbligatorietà: l’amore obbliga facendo appello alla propria responsabilità per l’altro. “Obbedire ai genitori” come invocazione di chi chiede d’esser amato (neonato). - Universalità e immutabilità: esprimono l’ovunque e il sempre dell’esigenza di amare, da una parte l’universalità della legge morale esige di amare in ogni dove, senza eccezioni; d’altra parte l’immutabilità indica l’invariabilità del comandamento dell’amore, cui non può mai essere preferito l’odio. In concezione negativa potrebbe essere la non esistenza di luoghi o momenti in cui gli uomini possano vivere all’altezza della loro natura prescindendo dall’amore. - Gradualità: s’intende “gradualità amorosa”, fissa sino alla fine, anche l’amore dei nemici. La legge morale è uguale (tutti devono amare il prossimo e perfezionarlo sino a comprendere anche il nemico) e non uguale (si raccomanda l’integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore) per tutti. I dinamismi della Libertà. La legge morale consente di amare come Cristo, in quanto amore offerto e richiesto che si rivolge all’uomo libero coinvolgendolo nella sua totalità. La risposta dell’uomo verbale – intellettuale ed essenziale – pratia è l’attrazione dello Spirito come effetto di una re-azione. Lo studio della singola azione (analitica) mostrerà implicazioni ontologiche (metafisica) e dinamiche (storia). - Analitica dell’atto: lo studio della singola azione verge sull’attenzione al particolare che permette di vedere ciò che altrimenti resterebbe indefinito. - La singola azione: dà veridicità al concetto di “buon senso”, altrimenti resterebbe smarrito. L’azione morale. Il linguaggio comune intuisce la differenza tra azione umana ed evento naturale, ma per la filosofia è più complesso, tanto che D’Aquino distingueva tra azioni (proprie dell’uomo) e passioni (proprie degli animali). L’uomo è totalità unificata (Giovanni Paolo II) di spirito e corpo, le azioni umane sono sempre intreccio di azione e passione. L’analisi dell’azione dell’uomo presume che essa sia libera, in quanto la libertà vive nell’azione. I tempi dell’azione: l’azione morale è un dinamismo che non può essere statisticamente fissato. D’Aquino nella Summa Theologiae (questioni 6-21 della Prima Secundae) individua sei tempi dell’azione morale definibili in base alla diversa configurazione che la libertà assume. 1. Il tempo del volere, in cui la libertà desidera acquisire un dato bene; 5 2. Il tempo del progetto, in cui la libertà (in)tende effettivamente alla realizzazione di ciò che prima solo desiderava; 3. Il tempo del discernimento, in cui la libertà confronta le diverse possibilità di realizzare ciò che intende; 4. Il tempo della scelta, in cui la libertà decide di realizzare ciò che intende; 5. Il tempo dell’efficienza, in cui la libertà persegue la scelta compiuta; 6. Il tempo della gioia, in cui la libertà gode del desiderio realizzato; La scelta. Quando la libertà sceglie, rinuncia inevitabilmente ad ogni altra fattibile cosa, in negativo, taglia via le altre possibilità scelte. La scelta è una de-cisione che comporta una recisione (etimologia). Il carattere della scelta fa di essa una sorta di filtro attraverso il quale la libertà si realizza in una possibilità e si priva delle altre. Le molteplici possibilità del futuro divengono l’unica necessità del passato. Scegliere non è complesso, se non in campo morale (bene e male). Fonti della moralità: l’oggetto (comportamento liberamente scelto, specie di un’azione come omicidio, furto ecc.), le circostanze (concorrono ad aggravare o ridurre la bontà o la malizia dell’uomo), il fine (lo scopo che l’agente persegue compiendo un’azione) come sorgenti del medesimo ruscello nel compiere una scelta. Gli atti intrinsecamente cattivi (intrinsece malum): ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l’omicidio e l’adulterio. Le azioni umane sono sempre intenzionate: l’azione è l’incarnazione di un’intenzione. Metafisica dell’atto. La scelta della libertà umana rispetto al suo bene fondamentale, in Dio, prende il nome di “opzione fondamentale” per cui l’uomo decide, accogliendolo o rifiutandolo. L’indissociabile intreccio di scelte particolari e opzione fondamentale è stato dichiarato un vincolo imprescindibile per l’interpretazione dell’agire morale dell’uomo compatibile con la fede cristiana. Si distinguono gli atti profondi che coinvolgono la libertà della persona e gli atti periferici che lo fanno parzialmente. La coscienza. L’enciclica Veritatis Splendor afferma che l’opzione fondamentale si attua nella coscienza morale. Il termine coscienza è paragonabile ad un attaccapanni su cui le scienze apprendono le diverse e conflittuali interpretazioni. Consapevolezza psicologica e coscienza morale. L’etimologia di coscienza rimanda ad una realtà che è in relazione con altro da sé. La responsabilità è la dimensione tipica della coscienza morale in cui non basta che un soggetto si dica colpito da un valore morale ma deve appartenere ad una consapevolezza psicologica dell’essere in relazione con qualcosa-qualcuno e nel rispondere delle relazioni che intrattiene. In tal senso la coscienza diviene responsabile e, cioè, abile nel rispondere a ciò che la interpella. La responsabilità ella coscienza morale, non è libertà assoluta, sciolta da ogni legame (ab-soluta) ma è sempre “coscienza di” nella misura in cui è in “dialogo con”. La coscienza morale come eco della voce di Dio. 1. La relazione ambientale con la natura e la cultura; 2. La relazione intrapersonale con il corpo; 3. La relazione interpersonale con il prossimo umano; 4. La relazione religiosa con Dio. La censura o l’esagerazione di una di queste relazioni compromette la coscienza morale e produce delle deviazioni identificabili nella desinenza “-ismo”: naturalismo, storicismo, relativismo, collettivismo, individualismo. La coscienza è definita dal Concilio Vaticano II come il “nucleo segreto e sacrario dell’uomo dove egli abita solo con Dio, la cui voce suona nell’intimità propria. La teologia morale indaga il fenomeno della coscienza morale rendendo ragione della duplice qualità: divina e umana. La metafora “eco d’una voce” (cardinale Newman) si produce dal contatto con lo Spirito Divino e la libertà umana. L’eco dello Spirito Santo risuona in base alla disposizione amorosa della libertà, la coscienza morale è un fenomeno relazionale che deriva dalla relazione che la libertà umana intrattiene con lo Spirito divino. Storia dell’atto. L’uomo nell’azione è istruito e sorvegliato dalla coscienza, in simultanea, opta pro o contro Dio. L’agire umano si distende nella vita terrena dell’uomo e segue il concetto di possesso e di privazione. Decidere, difatti, fa venire in possesso e priva. La scelta è di ordine morale riguarda il bene da fare che entra in possesso all’uomo divenendo buono. Una scelta di ordine morale riguarda il male da evitare. L’habitus dell’uomo nelle sue scelte, a seconda che siano buone o cattive, si specificano in virtù o vizio. L’azione umana è il telaio in cui si tesse la personalità morale, virtuosa o viziosa del soggetto agente. La virtù è la miglior vita che l’uomo possa condurre, cioè dovuta all’uomo, motivo per cui nella Bibbia il termine è assente. Nella visione cristiana la virtù è piantata nel terreno della grazia divina, come habitus infusus, ovvero l’uomo ha la virtù perché Dio gliela infonde. L’articolazione della virtù: Tommaso D’Aquino integra il concetto di virtù a prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, mutuate dalla filosofia come “virtù cardinali” da Ambrogio (Milano) con la triade fede (affidamento all’amoe di Dio), speranza (movimento nell’amore di Dio) e carità (attrazione all’amore di Dio). Le virtù teologali s’infondono alle virtù morali essendone l’incarnazione, inoltre, animano l’agito. Le virtù teologali possono essere intese come la trinità: il Padre che attrae, il Figlio che gli si abbandona, lo Spirito che li unisce. Lo sviluppo morale. La virtù può essere descritta come la forma spirituale della libertà, la configurazione che essa assume quando è abitata dallo Spirito. La forma che lo spirito infonde nella libertà avrà tratti amorosi di Gesù che “ha amato i suoi che erano nel mondo, sino alla fine”. Le scelte della libertà: il peccato (scelta del male) e il bene (conversione). Lo Spirito Santo obbliga a reagire, impedendo ogni spazio di astensione rispetto all’amore di Cristo: “chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde”. L’unico peccato dichiarato imperdonabile è il peccato contro lo Spirito Santo, in quanto indurimento 6 protratto sino alla rigidità della frattura, il pietrificarsi del cuore che diviene impermeabile all’amore di Cristo versato dallo Spirito. Viene anche definito “rigor mortis”, la morte biologica, come indurimento della libertà, nonché sua morte. Il peccato come disamore come la maligna opposizione all’amore, dal quale ci si separa finendo dispersi. Il disamore è la distrazione dell’amore integrale di Cristo e la deviazione verso forme di pseudo amore e, cioè, come un “distogliersi da Dio per rivolgersi alle creature”. Le forme del disamore sono legate ai vizi capitali che compongono il catalogo del disamore. La duplice dimensione del disamore mette in luce la natura di omissione e di commissione del peccato, per cui commettere peccato significa omettere di amare. La distinzione del peccato veniale che favorisce l’irrigidimento del soggetto, creando le premesse per la rottura della relazione con Dio, e mortale che coincide con l’interruzione della relazione con Dio e il prossimo, al culmine dell’indurimento disamorato. Il peccato veniale è la “preistoria” del peccato mortale. Le condizioni del peccato come disamore comporta una visione della materia grave del peccato e della sua oggettività gravità connessa all’altro. La materia segnala il confine oltre il quale il disamore diviene letale per la vita del prossimo, inoltre, il disamore si plasma assumendo una materia che diviene lieve o grave a seconda delle intenzioni dei soggetti in gioco, della situazione in cui si trovano e del grado amoroso della loro relazione. La gravità del peccato, quindi, è flessibile in relazione all’alleanza amorosa. La conversione avviene gradualmente allontanandosi dal peccato e progredendo nell’amore di Cristo, la meta della conversione è ben oltre l’emendazione dei peccati perché corrisponde all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo. La tradizione spirituale distingue tre livelli di conversione: - Iniziale: inteso come il battesimo che toglie il peccato originale, mira all’abbandono dei comportamenti contrari alla carità cristiana con opere di penitenza come, ad esempio, la preghiera, il digiuno e l’elemosina. - Progressiva: è una lotta contro il peccato veniale necessaria per combattere il male e procedere verso il bene. La tentazione, nella tradizione cristiana si distingue tra diavolo, mondo e concupiscenza. I mezzi per combattere il maligno sono i sacramenti. Nel racconto di Genesi III, il peccato è la tentazione interiore che mira a falsificare la realtà e verge verso la menzogna che, come sottolinea Giovanni nel suo vangelo, rifiuta la verità. La morale dovrà indurre all’immaginazione del bello. - Perfetta: la conversione è orientata da Dio per perfezionarsi si fa ricorso alla sequela e all’imitazione di Cristo. Le situazioni conflittuali in cui la libertà si trova a vivere nella storia riguardano i singoli beni e, cioè, la modalità storica mediante la quale l’uomo si decide rispetto al Bene divino. Beni e valori per alcuni possono entrare in conflitto facendo leva sul fatto che ogni valore si colloca in un universo di valori gerarchicamente ordinato (valori fisici, morali e religiosi), mentre per altri no. Beni e valori sono situati nella storia e non realizzano il bene assoluto ma solo quello del possibile qui e ora. Quando due valori sono omogenei (sullo stesso piano nella gerarchia di valori) diventano urgenti, la scelta dell’uno comporta l’esclusione e/o violazione degli altri. La libertà non realizza solo il bene, ma mentre realizza il bene compie ancora il male. La morale diventa l’itinerario mediante il quale l’uomo si fa carico del male che inevitabilmente ancora compie. Il conflitto tra il bene (da fare) e il male (di cui far-si carico) costituisce il cuore della questione morale che non può essere risolto al di fuori della coscienza fondamentale. La coscienza è migliore nella misura in cui si arrende alla grazia di Cristo. La formazione della coscienza. La teologia morale svolge un ruolo direttivo e si premura di istruire la libertà in modo che scelga il bene da fare e rinunci al male evitabile. Il compito può essere indicato come formazione della morale o della coscienza. Anamnesi. La crisi della coscienza viene intesa in due rivoluzioni nella civiltà occidentale, come: 1. L’implosione della coscienza: sin dal medioevo, la coscienza, era una antenna parabolica, orientata verso il cielo. La coscienza è il ricettacolo terreno delle leggi divine e il suo compito si esaurisce nell’applicare le leggi di Dio alle situazioni della vita concreta. La coscienza viene criticata in epoca moderna, smette di tendere l’orecchio al cielo per ascoltare l’improbabile voce di Dio e si rivolge ad ascoltare le profondità dell’io. Ai fini della coscienza, Dio è morto. 2. L’esplosione della coscienza: l’implosione della coscienza ha oscurato la relazione con Dio, innescando altre interpretazioni. Le scienze ricercano l’identità dell’uomo. Alla domanda posta all’uomo “dove sei?” si potrebbero ottenere risposte diverse come nel patrimonio cromosomico (Darwin), nel profondo della psiche (Freud), nella società (Durkheim). L’uomo contemporaneo è decostruito in molteplici aspetti, ma in nessun caso la verità. Dopo Dio, anche l’uomo sembra morto. La coscienza morale esplode in frammenti, si frantuma nelle singole coscienze individuali e risulta mutevole a seconda della situazione in cui si trova. Vi è una separazione tra ambito pubblico (prevalenza dei ruoli, regole per la convivenza sociale, tornaconto) e sfera privata (diventa una valvola di scarico: le tensioni familiari, l’incremento delle forme di evasione, le trasgressioni coniugali). Cure palliative. Per quanto la coscienza dell’uomo sia frammentata continua ad essere chiamata in causa. Nella società occidentale la tecnica minaccia la dignità e l’identità della vita umana (manipolazione genetica, clonazione, fecondazione artificiale…), si nota anche nel comune cittadino che ha continuamente paura dell’altro. Vi sono tre rimedi (coordinate) per far fronte alla dispersione della coscienza. 1. Trattenere la coscienza vincolandola alla legge come formazione imposta a partire dai valori ideali e dalle leggi generali, che induce i comportamenti da osservare in ogni singola circostanza. 2. Scommette sulla capacità della coscienza di auto-vincolarsi. La formazione spontanea: il favore per la coscienza soggettiva trasforma il giudizio di coscienza in opinione personale. Nessuno può stabilire il bene e il male poiché ciascuno ha diritto di deciderlo da sé. I rischi sono il relativismo (tutto sia opinabile) e l’arbitrarietà (diventare arbitri del bene e del male a prescindere del riscontro oggettivo). 3. Suggerisce alla coscienza di ritardare o affrettare il tempo delle scelte. Il tempo rischia di divenire tiranno per una vera maturazione della coscienza, che lo si esageri (non decido) o che lo si annulli (da una scelta all’altra). 7 La valutazione dei fini. Il mezzo guida la scelta di un fine, almeno esplicito, che guida le tecniche di PMA, è il desiderio di un figlio insieme al superamento di una condizione di sterilità. Tale invenzione è legittima e positiva, ma è anche un impulso complesso. Nel caso di una richiesta di accesso alla PMA, sembra di poter indicare alcuni criteri di verifica: 1. Ci si deve trovare in una reale situazione di sterilità della coppia, clinicamente accertata e in cui non siano possibili soluzioni terapeutiche differenti. Le tecniche PMA superano il problema lasciando il soggetto nella stessa condizione, per cui si tende a trascurare la ricerca e lo sviluppo delle procedure propriamente terapeutiche. 2. La chiara consapevolezza delle modalità di procedura delle tecniche, del carattere di invasività che spesso hanno sul corpo della donna e delle percentuali di riuscita. 3. La presenza di un vissuto di coppia che realizzi una reale disposizione di apertura alla vita. La valutazione dei mezzi: il criterio della dignità dell’embrione. Alla valutazione dei fini che muovono le richieste PMA, segue la valutazione dei mezzi. 1. Uno dei criteri è il rispetto dell’embrione , vi sono 3 posizioni: Personalizzazione immediata: il feto è portatore di diritti dal momento in cui avviene l’incontro tra i 2 gameti. Attribuisce tutela all’embrione a partire dal suo annidamento in utero (14° giorno della fecondazione) Tutela differita: alcuni attendono lo sviluppo delle strutture fetali tipiche dell’uomo (attorno alla 6°/8° settimana), altri lo sviluppo delle strutture in grado di ospitare le qualità razionali superiori tipiche dell’essere umano (attorno alla 24°settimana), fino alla posizione estrema di chi lega la personalizzazione alla comparsa dell’autocoscienza, anche alcune settimane dopo la nascita. = Il discorso della tradizione morale chiede il coinvolgimento di una libertà che abbia la qualità di accoglienza nei confronti della nuova vita indipendentemente dalla definizione ontologica. 2. Il criterio della dignità della procreazione: ogni scelta che non corrisponda a questa misura risulterebbe indegna della procreazione umana. Riconoscere la dignità significa custodire la verità di un’accoglienza che rispetti la radicale alterità dell’altro e non sia la proiezione dei soggetti. Il giudizio etico sulle tecniche di PMA: un grave disordine etico si riscontra in tutte le tecniche che appaiono non rispettose della dignità dell’embrione come, ad esempio, la selezione e soppressione embrionale. Il discernimento della Chiesa: la persona umana si presenta come totalità unificata nel suo corpo, creata a immagine e somiglianza del suo Creatore. Discende l’altezza della dignità dell’uomo nel suo corpo, il quale non può essere racchiuso solo nello sguardo oggettivante della scienza positiva. Il corpo è reale presenza della dignità della persona e come tale deve essere considerato anche nelle pratiche mediche e di ricerca. Il criterio della dignità della persona si declina, nei confronti delle pratiche sperimentali e terapeutiche sulla vita umana nascente, nel rispetto della dignità dell’atto generativo. Un nuovo modo di curare? Dopo la rivoluzione industriale e informatica ci troviamo di fronte ad una terza rivoluzione, quella genomica (mappatura del codice genetico, 2000), per cui c’è una prospettiva di progresso nella visione di mondo. Il passaggio è caratterizzato dalla vastità della conoscenza e dalle possibilità che le tecnologie custodiscono. La struttura genetica è coinvolta anche nell’equilibrio globale del sistema ecologico. La genetica umana. Il nucleo di ogni singola cellula contiene l’intero codice che regola il tutto caratteristico della specie. Tale patrimonio è chiamato DNA. Nel 1953 Watson e Crick (scienziati angloamericani) hanno scoperto la struttura chimica del DNA e i suoi meccanismi che ne regolano il funzionamento. Una rivoluzione medica? Oltre una visione essenzialista. Lo sviluppo della genetica ha assistito a reazioni forti, sia di difesa delle diverse applicazioni aperte dal progresso delle conoscenze, sia in opposizione ad esso. L’entusiasmo o la preoccupazione sta nella possibilità di penetrare, manipolare o brevettare l’identità stessa dell’uomo e del sistema ecologico (natura, vita) che lo circonda. Il rischio è una visione essenzialista che, nell’espressione di un’accoglienza entusiasta o di un rifiuto assoluto, riconosca nell’informazione genetica l’identità dell’uomo e della natura. Il carattere limitante non riconosce il ruolo svolto dall’ambiente e offusca la libertà dell’uomo chiamato a decidere di sé e di ciò che lo circonda. Una medicina sperimentale. Le certezze che abbiamo nella teoria e nella pratica genetica appaiono inferiori rispetto alle ipotesi e alle questioni aperte che si presentano. Le applicazioni delle conoscenze genetiche appaiono cariche di un carattere sperimentale. L’obiettivo della medicina, e cioè la cura del malato, si intreccia con gli scopi della scienza e della tecnica. Il medico è ricercatore ma chiamato a riconoscere le singolarità di ogni paziente accrescendo la conoscenza pratica per sé e per i colleghi. Il carattere sperimentale della ricerca si declina in due modi: da un lato, il tratto delle scienze esatte e del fare tecnico rivolto alla conoscenza delle dinamiche e dell’acquisizione di nuove competenze; dall’altro, con l’attenzione della cura rivolta al singolo paziente. Il carattere sociale della cura. Le informazioni generiche date anche dall’ingegneria genetica hanno un forte carattere sociale e, cioè, scoprire una predisposizione ad una patologia significa scoprire qualcosa legato al soggetto, alla sua famiglia. La mia salute coinvolge gli altri e influenza le scelte sociali. Le pratiche di ingegneria genetica hanno costi alti e il rischio è di riservare una grande quantità del denaro pubblico e privato destinato alla ricerca più che sull’effettiva probabilità di risultati. Un ulteriore problema è la brevettabilità, ossia capire a chi appartiene la codifica di un gene specifico, utile alla cura di una determinata malattia (donatori). I criteri per la brevettabilità sono: novità, non ovvietà e utilità. L’agire medico è in sé agire sociale che coinvolge non solo la relazione medico-paziente, ma si allarga a comprendere la società nelle sue forme, istituzioni e legami. L’esperienza della malattia consegna il paziente ad un’invocazione di cura, una nuova alleanza che riconfermi la bontà del vivere di fronte alla minaccia inflitta dal male. L’atto medico è la risposta a questa invocazione. 10 Test genetici. Una prima tipologia di diagnostica fa riferimento alle diagnosi prenatali o preimpianto (fecondazione in vitro) che consentono una diagnosi precoce di malformazioni uterine o malattie genetiche specifiche. Gli elementi che devono essere presenti sono: la rischiosità di certi test e la forbice tra diagnosi e terapia. La valutazione etica riconosce la non illecita di simili procedimenti diagnostici perché non se ne abusi. E’ necessaria una valutazione della situazione che rifiuti una pressione a favore di una generica medicalizzazione della gestazione; il rispetto della dignità della vita nascente; l’assunzione della responsabilità sociale di accompagnare situazioni difficili da parte della coppia; la non doverosità di simili procedure che devono essere opzione della coppia. I test genetici per adulti, sono ancora attendibili, se non per alcune malattie tumorali, anche qui mancano pratiche terapeutiche adeguate per cui dev’essere garantita una gestione dei dati che eviti un sovraccarico psicologico nel soggetto con risultato negativo. Terapia genica. Modificare il patrimonio genetico di un soggetto al fine di curare una malattia è un’impresa tuttora rischiosa. Le possibilità di correzione di un genoma difettoso si distinguono in 2 linee di ricerca: la terapia somatica e quella germinale. Cellule staminali. La tecnologia genetica apre le porte ad un orizzonte sperimentale e terapeutico rappresentato dalle cellule staminali, quali cellule del nostro organismo non specializzate in una funzione determinata e sono quindi “materiale di riserva” in grado di rigenerare i tessuti. L’utilizzo delle cellule embrionali trascina problemi etici: prelevare cellule da un embrione significa la sua distruzione. La linea di ricerca sulle staminali adulte, invece, appare promettente perché meno flessibili e di più facile gestione. Due sono metodi per la clonazione di organismi pluricellulari: lo splitting o il trasferimento nucleico, tuttavia le incognite sono troppo alte. Il dibattito etico si è concentrato sull’applicazione di queste tecniche all’uomo. È unanime il rifiuto di clonazione per finalità riproduttive, mentre le posizioni si differenziano a riguardo della cosiddetta “clonazione terapeutica” che prevede l’applicazione delle medesime procedure, bloccando però lo sviluppo embrionale nei primi stadi (blastocisti). Lo scopo di questa pratica è la produzione di cellule staminali totipotenti compatibili con l’individuo, essendone una copia genetica. Questo materiale, successivamente coltivato in vitro, può sviluppare tessuti e potenzialmente anche organi utili poi ad una terapia o ad un trapianto. Per quanto la ricerca della salute e l’aumento delle conoscenze tecnico-scientifiche siano espressioni della libertà dell’uomo e delle istituzioni sociali, esse non possono essere ottenute al prezzo di un utilizzo strumentale dell’embrione, che custodisce la stessa dignità della persona umana. Una valutazione etica attenta delle pratiche sperimentali su questo campo deve riconoscere la necessità morale del rispetto della dignità di tutti gli individui coinvolti. La valutazione negativa dell’impiego di cellule staminali embrionali si basa sull’irriducibilità dell’altro a strumento anche nel caso che i fini che ci guidano siano altissimi. Non si tratta quindi di porre limiti alla ricerca scientifica, ma di orientarla in nome di un carattere etico che è intrinseco all’obiettivo di un reale progresso per l’uomo. L’obiettivo di un reale sviluppo della famiglia umana chiede una considerazione globale dell’uomo in tutte le sue dimensioni che trovano sintesi attorno alla qualità della sua libertà. L’etica animata da una carità intelligente appare quindi il centro di ogni prospettiva aperta alla famiglia umana. L’esperienza del morire oggi. La morte non è certo una novità, ma qualcosa che appare cambiato. Gli studiosi descrivono questo fenomeno (medicalizzazione, ostracizzazione, esilio, tecnologizzazione, allontanamento, isolamento, ecc.) ma tutti evidenziano le strategie che vengono messe in atto nella cultura contemporanea allo scopo di ignorare la morte. Di fronte alla morte si fugge. Oggi queste strategie sembrano unirsi a complicati fattori sociali e culturali e trovare un’alleata nella mentalità tecnico – scientifica. Siamo di fronte ad un nuovo modo di morire? La dimensione bio – fisiologica. Fino a qualche anno fa il momento della morte era un istante in cui l’uomo spirava circondato dalla liturgia, religiosa o laica, dei propri cari. Il medico constatava il blocco delle funzioni vitali cardio – respiratorie. Oggi è più complesso. Gli strumenti di rianimazione e la chirurgia dei trapianti ha modificato il momento del morire e l’immagine del cadavere. La morte è un processo, è scomposta, frazionata in piccole tappe, in un progressivo morire dell’organismo. La necessità di organi vitali per i trapianti “crea” un’immagine di cadaveri a cuore battente in cui gli organi sono tenuti irrorati di sangue e ossigeno attraverso apparecchiature che sostituiscono queste funzioni. Il problema della diagnosi della morte viene trattato da una commissione ufficiale nel 1969 creata da Harvard. Propone un criterio nuovo di morte con riferimento al sistema celebrale. La diagnosi di morte, su questa base, si misura in assenza di attività celebrale per un opportuno arco di tempo. Dibattiti sul tema: 1. Non si ritiene sufficiente la certificazione della morte di un solo organo per definire il morire di un uomo e quindi difendono il criterio tradizionale 2. Riconoscendo la morte come un processo si ritiene come definitiva la perdita della coscienza per riferirsi ad un individuo morto. La compromissione della struttura della coscienza basta per definire il decesso. Risultati della commissione di Harvard: rimane la definizione fisiologica di morte di un organismo, cioè capace di funzionare coordinato. Il ruolo di coordinamento è svolto dall’encefalo, per questo si attribuisce alla sua morte, la morte dell’individuo. La dimensione psichica. Non esiste la morte in sé, esiste la persona che muore. Lo studio della dott.ssa Ross fa comprendere la dinamica psichica che accompagna la coscienza di colui che muore. La morte (prossima o malattia inguaribile) provoca uno stato iniziale di shock e poi il rifiuto (meccanismo di difesa necessario per vivere). Shock rifiuto rabbia, invidia, risentimento Domanda logica: “Perché io?” Il morente si carica di una forza rabbiosa che scarica contro familiari, medici, società, Dio ecc. Presa di coscienza: scendere a patti 3° fase: negoziare, normalmente con Dio, per un prolungamento della vita o un lenirsi dei dolori. La realtà si impone e butta in faccia tutto ciò che si considera “vita”. Il malato vede: disfarsi del proprio corpo, inazione, fatica economica per le cure, perdita del lavoro, non autosufficienza. Senso di depressione: preparazione intima per le perdite che verranno (oggetti del proprio amore), facilitando lo stato di accettazione. E’ una passività alla quale ci si abbandona. L’abbandono genera serenità. Le fasi seguono uno sviluppo irregolare, sembrano coesistere più che succedersi. Punto in comune delle fasi precedenti: la speranza (dott.ssa 11 Kubler – Ross): tutto ha un significato, dà al malato il senso di una missione speciale nella vita che li porta a servare coraggio di fronte a dure prove, in un certo senso, è una razionalizzazione della sofferenza. Rimane necessario un dinamismo psichico e un conteso relazionale basato su una comunicazione (imp. parola, silenzio, info, ascolto) La dimensione sociale: Giovanni Paolo II – Enciclica 1995 Evangelium vitae – per l’eutanasia: “quando prevale la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta piacere e benessere, la sofferenza appare come uno scacco insopportabile, di cui occorre liberarsi ad ogni costo”. Due tentativi di allontanamento della morte dalla nostra vita. - Secolarismo: toglie i linguaggi della morte. Il rifiuto di ogni forma di ritualità sembra aver abbattuto le maschere che formano quell’insieme di luoghi comuni entro cui gli uomini si scambiano continuamente le loro esperienze di dolore e dove il parlare diviene legittimo. (Natoli 1986). Retorica nei confronti di una visione adulta del mondo che non ha bisogno di nascondersi dietro false immagini, lo scetticismo razionalista di fronte ai gesti della tradizione e la mancanza di una creatività sociale capace di generarne di nuovi lascia l’uomo privo di parole di fronte al morire proprio e degli altri. La morte è un tabù di cui non si deve, non si può e non si sa parlare. XX sec: la morte ha rimpiazzato il sesso come interdizione. Oggi i bambini sono iniziati alla fisiologia dell’amore e della nascita. Quando non vedono più il nonno si dice loro che è partito per un viaggio lontano. Non sono più i bambini che nascono sotto i cavoli, ma sono i morti che scompaiono tra i fiori.” (Campanini 1977, 62) - Edonismo della società capitalistica: “Il capitale per sua natura non può negare sia la morte e sia quanto blocca i progresso”. L’ideologia progressista non ammette blocchi e di fronte all’inevitabilità del morire genera macchine che sopravvivano agli uomini. La vita si riduce nell’artificio laddove la natura conduce alla morte. La modernizzazione, l’assunzione dell’ideale di benessere, attraverso l’individualismo e la privatizzazione dei sentimenti, ha avuto la necessità di trovare un nuovo ambito in cui porre la morte. “Il dolore oggi è medicalizzato. (…) L’esperienza del dolore ha oggi un’oggettività clinico scientifica ed i fantasmi corporei ed il plesso di sofferenze ad essi connesso non sono scindibili dal sapere medico e dai suoi corollari immaginari. (Natoli, 1986) Rischio: la solitudine nei reparti di rianimazione, l’indifferenza delle comunità di fronte alla scomparsa dei loro membri, l’assenza delle persone care al momento del trapasso. Rapporto paziente – medico: La medicina capace con il supporto della tecnologia per sconfiggere la morte (interpretazione bellica). Il medico viene visto come detentore di poteri, di vita e di morte. Arte medica: in antichità: attribuzione di prerogative carismatiche al curatore, quasi detentore di poteri divinatori e taumaturgici. Oggi: competenza scientifica del medico in un contesto specializzato. Il morente viene visto come inabile per le sue condizioni. In opposizione a questo modello si afferma un principio di autonomia del paziente. Rischio: leggere la figura del medico come esecutiva (competenza tecnica, impersonale, asettica). Necessità: integrare un rapporto dialogico e interpersonale che ponga di fronte la competenza maggiore possibile del medico e la relativa autonomia del soggetto. Alleanza terapeutica: rapporto di fiducia, dialogo, collaborazione nelle reciproche competenze e autonomie. Accompagnare la persona rispettando tempi e scelte. La dimensione teologica: perché esiste la morte? La domanda diventa invocazione, lamento, urlo che chiede una risposta trascendente. Interpretazione teologica – sguardo al morire di Cristo 1. Morte come violenza indesiderata che entra nella nostra vita e ci travolge passivamente: Gesù ha lottato, una morte frutto del peccato. 2. Dinamica attiva di un morire assunto come atto estremo del vivere, come manifestazione dell’uomo come uomo. Carattere passivo: legame tra morte e peccato. La forma originale del peccato è la pretesa dell’uomo di realizzarsi da sé rompendo il vincolo di dipendenza da Dio. La sintesi dell’agire. Il morire coinvolge tutta la persona. Una riduzione del discorso al valore della vita fisica o alla determinazione del morire biologico non corrisponderebbe alla dignità della persona che muore. Il soggetto interpreta nella propria libertà l’intreccio di attività e passività che si presenta di fronte alla morte. La morte è momento del vivere, anzi, momento supremo in cui il vivente si confronta con la propria umanità limitata e con la propria storia per consegnarsi alla definitività. Eutanasia. La tecnologizzazione della medicina è un clima culturale favorevole a forme di eutanasia. In antichità: significava “morte bella” – ricerca delle condizioni affinché il soggetto potesse vivere una morte degna del suo stato di uomo e cittadino. Epoca moderna: atto che accelera la morte al fine di alleviare le sofferenze. Oggi: azione o un’omissione per struttura propria dell’atto o per intenzione de soggetto, procuri la morte in una persona per compassione verso la sua condizione di sofferente stato di malato disumano. Alcuni autori distinguono: 1. Eutanasia attiva (agire di chi attivamente pone in essere un insieme di strategie che procurino la morte) e passiva (movimento di chi omette o sospende un’azione in grado di impedire la morte). L’uccidere al fine di alleviare le sofferenze è sempre eutanasia, mentre il lasciar morire può esserlo, ma non necessariamente. Dipende dall’intenzione sottesa e dalle circostanze in cui l’azione si pone. Il termine eutanasia deve riservarsi per le azioni che per natura o per intenzione dell’agente esprimono l’intenzionalità di procurare la morte. La possibilità di sospensione di cure, anche vitali, si configura come legittima sospensione di atti medici sproporzionati. 2. Eutanasia diretta (si configura come un illecito morale) ed indiretta (si configura come possibile assunzione di conseguenze in vista di una finalità positiva). Quando l’intenzione è diretta all’uccisione si può parlare di eutanasia. Nel secondo caso, come, ad esempio, prescrizione di analgesici all’interno di una terapia del dolore consapevoli che il farmaco in questione abbrevia la vita, non siamo di fronte ad eutanasia perché si lenisce il dolore ma non procura la morte. Principio di duplice effetto - conseguenza negativa: atto 12 La fragilità matrimoniale: la gradualità della storia. Le vicende dell’amore di coppia inducono le nuove generazioni a preferire modelli di relazione affettiva meno vincolanti. Le principali trasformazioni per le famiglie italiane: diminuisce la dimensione numerica dei nuclei di convivenza, cresce l’età al primo matrimonio, aumentano separati divorziati, the crescono i nuovi coniugi, cala il tasso di fecondità, le connivenze si frammentano. Il sacramento dell’amore. Gli enigmi della relazione non si svelano da soli, c’è un lavoro di apprendistato del senso dell’amore. Presentiamo i significati del tipo d’unione tra l’uomo e la donna che Dio – Trinità pone in essere fin dalle origini dell’universo. Il matrimonio celebrato. La chiesa si presenta ai suoi figli e alla società con una realtà che ha una sua visibilità: il rito. Il linguaggio comune traduce questa consapevolezza con un’espressione semplice: ci si sposa in chiesa, indica un ambiente, più che uno stato esistenziale, una convenzione. Il rapporto tra rito e significato. La trattazione del matrimonio con la presentazione del rito: una scelta metodologica che deriva da una convenzione – il dono della grazia sacramentale verso natura non si da a prescindere dalla sua celebrazione in un rito. Le linee guida della celebrazione. Nel 2004 viene introdotto l’uso nella Chiesa italiana della seconda edizione del Rito del matrimonio, presentando nel 2001 all’Assemblea generale della CEI una relazione delle priorità della versione in lingua italiana della editio typica, Brandolini (presidente episcopale) tra le principali motivazioni che hanno reso necessario l’adattamento segnalava: - Rinnovata coscienza ecclesiale del matrimonio maturata a partire dall’Esortazione apostolica Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II (1981) dal direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia (1993), che risiede nel rito siano esplicitati aspetti inerenti al senso cristiano del matrimonio (la dimensione comunitaria, la presenza dello spirito, la ministerialità degli sposi nella celebrazione). Una situazione pastorale rende necessario tener presente il caso di coppie che pur non avendo un orientamento cristiano e non vivendo una piena appartenenza alla Chiesa, chiedono di celebrare cristianamente il matrimonio, in quanto non rifiutano la fede. - Introduzione di nuove sequenze rituali (battesimo, le litanie dei santi, lo stretto legame della benedizione nuziale) - Arricchimento del lezionario: offrire una rassegna di pericopi, capace di dare senso ha una rivelazione del progetto originario di Dio sul matrimonio nella storia degli uomini. L’annuncio del Lezionario. La coscienza ecclesiale ritrova in passi biblici la decisione del Signore di costruire, andare, confermare, benedire l’amore tra uomo e donna. Il nuovo rituale arricchisce il lezionario che viene utilizzato nelle nozze cristiane, rendendo testimonianza la ricchezza del tema della sacra scrittura, si trovano dei filoni: i passi che annunciano il disegno di Dio sull’amore coniugale, le vicende di coppie che semplificano la qualità di quest’amore, gli interventi di Dio di custodia/promozione, le indicazioni tipo morale circa i modi di concreti in cui stare dentro la relazione. Le origini del sacramento. All’inizio del capitolo 19 del Vangelo di Matteo troviamo il tentativo di mettere in difficoltà Gesù, considerato un rabbi da mettere alla prova. La questione è il ripudio della donna per qualsiasi motivo. Gesù usa due modalità: Matteo cita subito la Torah, Marco fa una domanda ai suoi interlocutori: che cosa vi ha ordinato Mosè? Il desiderio di Gesù è duplice: riagganciare il desiderio del creatore, nel contesto di una questione dolorosa come il fallimento del legame tra uomo e donna e persino nell’ambito di una polemica coi farisei; coinvolgere all’accoglienza delle esigenze che scaturiscono dalla disposizione amorevole propria del padre suo fin dalle origini affinché sia il criterio decisivo per la valutazione di ogni realtà, anche quella di un amore tradito. La disposizione di Mosè – atto di ripudio – viene mostrata la motivazione per la durezza del vostro cuore; la pienezza della legge è data dalla volontà fondativa e istitutrice del creatore. Separare. La scrittura si presenta il fare di Dio come un “separare”. La parola di Dio distingue a partire dall’indistinto delle tenebre e dell’abisso: la luce si differenzia dalle tenebre; il cielo separa le acque; il mare lascia spazio alla terra; gli alberi sono diversi – ognuno il suo frutto; gli astri distinguono giorno/notte e le stagioni; gli animali si moltiplicano. Nell’artifizio letterario, Gen 1, si presentano coppie create, quasi in preparazione alla coppia umana: cielo/terra, sole/luna, asciutto/acque, sera/mattino perché “tutte le cose sono a due a due, una di fronte all’altra, egli non ha fatto nulla d’incompleto”. Per dare identità bisogna separare l’indistinto: riconoscere la differenza sostanziale da cui prendono forma e si devono misurare tutte le altre è quella tra lo spirito di Dio e tutto ciò che non lo è (tenebre, abisso ecc.). Il fare di Dio quando separa non nega la comunione, ma pone le condizioni affinché ogni cosa abbia la sua autonomia. “Femminile e maschile nell’incontrarsi, sperimentano inquietudine e la ferita che ne impediscono, nella loro irriducibile alterità, la ricomposizione/ricostituzione”. Li creo (Gen 1,27): annuncia prima la creazione dell’uomo (lo creò) poi introduce “maschio – femmina” (li creò). Prima l’uomo viene presentato come “sola persona” (completa) poi, in un secondo momento, compare la donna. Uomo (adam) viene usato al singolare, funzione di pronome indefinito (un tale). Significato generico: umanità, genere umano, se usato al singolare significa appartenente alla specie umana. Inteso x entrami i sessi: adam, persona umana, è la coppia M-F. Solitudine e coppia. “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18) – La solitudine è la grande nemica della nostra cultura, da cui si fugge. Nelle società meno organizzate (famiglia, clan, tribù, villaggio) coincide con la difficoltà di trovare sicurezza nel mondo occidentale, non si riesce a sopportare la percezione di non essere significativi x nessuno (non essere cercati, ascoltati, consolati). Per 5 volte ripete (1° Gen): “era cosa buona/bella” indica la creazione secondo bellezza/bontà di Dio, 6° volta dice “molto buona/bella” riferendosi all’umanità. Gen 2 scuote il lettore parlando di una realtà “non buona”, la sensazione di smarrimento dell’uomo senza la donna e viceversa. La ricerca del “simile che sta di fronte” nasce dal desiderio, eros: l’uomo abbandona la presunzione di essere autosufficiente (completo in sé, autoreferenziale). Non è entrare nell’altro che fa cadere il “velo”, ma l’aprirsi verso l’alterità (legame IO – TU). L’unità nella diversità. La ricerca dell’uomo trova pace: guarda la donna e la indica usando la terza persona singolare; l’autore sacro chiama in causa la presenza del creatore, al quale l’uomo la presenterebbe. L’uomo la riconosce come un’altra persona, diversa da lui però simile. La bibbia usa due termini diversi: uomo marito e donna moglie, rispettivamente is e issa. La dimensione comunionale. Il testo genesiaco si fa plastico: “carne della mia carne, osso dalla mie ossa”, l’essere umano riconosce di essere due (essa di fronte all’io), afferma d’essere l’unità di due corpi, di due destini. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre, per mantenere tramandare l’alterità comunione, la creatura del sesto giorno (U 15 e D) cercando il legame coniugale. Giovanni Crisostomo: le proprietà dell’amore sono tali che l’amata e l’amante non costituiscono più due esseri ma uno solo. I due non si trovano solo uniti, ma sono uno, cioè uomo e donna, perché l’amore cambia la sostanza stessa delle cose. “Una sola carne” è comunione delle condizioni di vita. La differenza sessuale, la sessualità, è contrassegnata da un orientamento verso l’alto, è energia che include anche l’apertura verso l’altro, verso il tuo assoluto. La fecondità della comunione si conserva se i due restino due: differenti, portatori d’amore e di frutti (prole, famiglia, ecc.) fino a quando la relazione non sarà tradita e le identità saranno piene. Il mistero del e nel matrimonio. Lettere Paoline: solitamente una parte dello scritto è dedicata all’annuncio della buona notizia, l’altra riprende indicazioni morali con il discorso teologico. Lettera agli efesini: Ed 5,15 cominciano le indicazioni morali x i membri della comunità, dal v.22 Paolo presenta il codice familiare (ammonimenti concreti ai componenti della famiglia). Annuncio teologico dal v.21: siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Essere sottomessi agli altri è la declinazione del camminare nell’amore – legge fondamentale dei rapporti interpersonali in una comunità, senza differenze (condizione, età, sesso). Paolo rintraccia nella coppia un sacramentum magnum della qualità dell’amore di Cristo, a partire da ciò che già diceva la Genesi: osserva le coppie cristiane del suo tempo e si sofferma a tratteggiare alcune norme di comportamento tra uomo e donna. Riconosce l’intervento di Dio dell’alleanza riproposto in pienezza dell’amore di cristo per la comunità cristiana. Chiede alle coppie di conformarsi a ciò x cui sono state pensate, porta un’unione nuova costituita nella sua carne. Unione Cristo – Chiesa: espressione della Pasqua, lo sposo cura la sposa col gesto di dare la vita per Lei. Invito per l’uomo: entrare in relazione e godere della comunione trinitaria a partire dalla modalità rivelata da Gesù, ossia la divinizzazione delle creature come filiazione da parte di Cristo dell’amore del padre e della sua comunione. Sacramento delle origini. Giovanni Paolo II (anni 80) propone ai fedeli 5 serie di catechesi sull’amore umano per accompagnare il sinodo sulla famiglia. Tratta del legame tra le origini e il sacramento. “Il matrimonio come sacramento costituisce la figura (somiglianza), viene costruita la struttura dell’economia della salvezza e dell’ordine sacramentale che ha origine dalla gratificazione sposale che la Chiesa riceve da Cristo insieme con tutti i beni della redenzione.” Il matrimonio viene inserito nella struttura integrale dell’economia sacramentale, sorta dalla redenzione in forma di prototipo. Il Signore si presenta come colui che dà la vita ad ogni cosa affinché ci sia un giardino dentro al quale possono vivere in pienezza (M-F), creati a sua immagine somiglianza. Il desiderio di Dio è quello di edificare comunione: Dio è amore e ovunque crea e diffonde amore. Mysterion: disegno di Dio trinità sulla storia dell’umanità. Sacramentum: fondamentale struttura portante dell’economia della salvezza (Giovanni Paolo II). Dio si disporrà verso il suo popolo con la stessa intensità di uno sposo fedele. Le parole della catechesi: tutti i beni di cui gode l’intera umanità possono essere interpretati come doni d’amore dello sposo e della sposa. La chiesa risulta beneficiaria e attiva nell’atteggiamento sposale. La qualità sacramentale dell’amore coniugale. “Quando due esseri si amano veramente, Dio è presente tra loro e il loro amore è santo. Già quando li faceva incontrare, Dio cominciava a realizzare in loro ciò che ora vuole completare mediante il sacramento del matrimonio.” (Rahner). Nella sua pienezza, il matrimonio – sacramento è una manifestazione culturale, è simbolo reale, ha una sua dimensione fisica nella storia, nello spazio e nel tempo. A tutti i discepoli viene comandato di imitare Dio: “come Cristo” ama e dà la vita. Le caratteristiche dell’amore. La trattazione tradizionale del sacramento del matrimonio parte dalle costanti: beni, proprietà, fini, sacramento. Le caratteristiche dell’amore coniugale sono presentate alla luce della qualità dell’amore di Cristo che rivela in modo completo l’amore della Trinità. Il nome proprio dell’amore: come Cristo amò la Chiesa.L’amore di Cristo è il criterio per interpretare la qualità dell’amore tra uomo e donna. Il culmine dell’amore di Gesù è nell’accettazione del sacrificio in Croce, quando dà la vita per la Chiesa, la sposa. Quello dei coniugi è un amore pienamente umano, sensibile e spirituale, non semplice trasporto dei sensi, inoltre è atto della volontà libera, destinato a mantenersi e ad accrescersi attraverso le esperienze quotidiane, gioie e dolori. Chi ama il coniuge, lo ama per sé e non solo per ciò che ne riceve, proprio perché è dall’amore che ne trae felicità. Infine, non si esaurisce nell’amore dei coniugi, ma procura nove vite, oggetto del medesimo amore. Si parla di amore ed esclusivo fino alla morte. Amore fecondo: non si esaurisce nella comunione dei coniugi. Le caratteristiche dell’amore di Cristo: 1. Amore totale: ossia, con tutto se stesso fino al sacrificio. La totalità è vitale e può sintetizzarsi nell’espressione sintetica di genesi 2.24: “l’uomo abbandonerà sua madre e si unirà a sua moglie, saranno una sola carne (atteggiamento empatico). Un caro (carne) si esprime con l’amore sessuale e si rinnova con il mistero della creazione. Uomo e donna si riconoscono nella diversità e nell’unità con l’unione dei corpi (forma anatomica: penetrazione reciproca), nella biologia (si connette alla bios – vita), alla sessualità (intimità verso l’altro), all’unione delle anime (emotività, mozione del cuore), all’affettività (disporre si sé reciprocamente), all’unione nel generare vita (figlio), nell’unione della vocazione (coscienza di avvicinarsi a Cristo). 2. Amore fedele: non lo ha ritirato nemmeno quando i suoi l’hanno tradito (Giuda). L’unione presuppone l’esclusività dei coniugi che si appartengono nell’atto di fedeltà che presuppone una totale conoscenza dell’altro. Essere una cosa sola significa essere unicamente dell’altro (Fumagalli). Rappresenta il riflesso dell’amore che ha Cristo per la Chiesa (sua sposa). L’altro è colui che non avrà mai finito di scoprire, avvicinare, accogliere, sostenere, aiutare, aiutare. 3. Amore indissolubile durante tutta la Sua vita terrena e assicurando la presenza dopo la morte. L’io e il tu diventano uno solo nel tempo. La totalità della comunione amorosa implica tutta la vita di cui si dispone. Essere una cosa sola significa rimanere con l’altro (Fumagalli). Il diritto Canonico prevede l’indissolubilità del matrimonio. L’amore coniugale (totale e fedele) si esprime nella decisione di assumere un vincolo non più scioglibile come alleanza di Dio. Il legame tra i coniugi è dipendente e trascendente rispetto alla loro libertà. “Il si degli sposi fa parte del si di Cristo al Padre per la Chiesa. C’è una circolarità ermeneutica tra sacramentalità del matrimonio e indissolubilità matrimoniale, quest’ultima è riconosciuta dalla sua sacramentalista. (Rocchetta, 1996). 4. Amore fecondo ha dato la vita perché i suoi fedeli avessero la vita. Perché si decide di fare un figlio? (Angelini). Il genitore diventa un destino per il figlio e non riguarda solo la condizione materiale del vivere ma le forme stesse del carattere, della coscienza e alla fine dell’identità del figlio che realizza che i genitori 16 diventano una sola carne. I genitori consegnano al figlio la speranza di un futuro promettente, sulla base di quanto possono e debbano fare memoria. Angelini vede il travaglio come il donare alla vita una creatura con un gesto di partecipazione al perdere la vita (il genitore lascia ogni presunzione di proteggere in ogni istante il figlio). I sentieri dell’amore. Parlare di morale può far pensare a regole rigide alle quali conformare il proprio comportamento. È quindi necessario riscoprire il significato della morale cristiana, che non dev’essere confusa con il moralismo o la semplice osservanza d’una legge, ma vista come impegno della propria libertà e della propria coscienza a ricercare il bene e dargli attenzione. In questo senso le norme e le regole sono da interpretare come un dono che ci viene fatto da Dio, per aiutarci a conoscere meglio noi stessi e agire di conseguenza, in piena libertà. Tutto ciò vale a livello personale: il comportamento morale consiste nel vivere secondo la nostra dignità di persone create, in Gesù Cristo, a immagine e somiglianza di Dio. Quando e dove comincia la via dell’amore? Potremmo dire che cominci dal grembo materno, cioè da quando la creatura percepisce che il suo stesso esistere trae origine, conserva il respiro e prende forza da un gesto d’amore. L’educazione dei cuori capaci di amore coniugale coinvolge tante dimensioni della persona; oggi è da rilanciare la costruzione di identità personali, capaci di entrare in relazione con la diversità di cui il partner è portatore. Nel nostro contesto la scelta della fede non è data per scontata, suscita ad ogni stagione della vita, affinché sia colta la dimensione vocazionale. Prima di essere una questione pastorale, l’edificazione della propria umanità in quanto amante è compito dell’uomo e del credente. La cura dei fidanzati l’uno per l’altra. Quando due credenti si aprono all’amore il compito è prendersi cura reciprocamente l’uno dell’altra come dovere morale della coppia. Ogni coppia quando fa domanda di matrimonio si presenta con un proprio profilo spirituale, una storia alle spalle ecc, è necessario tenere in considerazione tutto ciò che risponde ad una esigenza dell’evangelizzazione. Rupnik raccoglie i pilastri basilari degli innamorati: dare vita a un cammino che tende al sacramento affinché tale cammino sia dichiarato; che la coppia abbia un interlocutore spirituale; che le famiglie d’origine e gli amici sono ascoltati per un discernimento sulla qualità di un amore di coppia che non si chiude; tra gli obiettivi ci sia la franchezza di rilevarsi all’altro; il desiderio di crescere; annaffiare le radici l’uno dell’altra, in particolare si cresca nel gusto della preghiera condivisa. La cura ecclesiale per i fidanzati. La CEI (ufficio famiglia) scrive un documento di lavoro che esplicita la formazione di fidanzati ribadendo che il fidanzamento è un tempo di grazia. Le scelte teologiche pastorali della Chiesa italiana sulla formazione di fidanzati sono state così precisate: predisporre percorsi articolati, proporre corsi in preparazione al matrimonio, affidare responsabilità educativa a coppie coniugate mature, coinvolgere tutta la comunità cristiana. Sentieri quotidiani. Dopo la celebrazione delle nozze, si dà avvio alla vita coniugale. Col sacramento del matrimonio si riceve il dono di amare il proprio coniuge e i seguenti figli come Gesù ha amato noi e la Chiesa. Per riuscire in questo intento, è necessario che gli sposi conducano una vita cristiana sulla quale fondare la loro quotidianità. Su questa base si garantiscono le quattro caratteristiche dell’amore coniugale, basato su quello di Cristo. La coppia cristiana deve coltivare il matrimonio con una vita che consideri l’ascolto della parola, la pratica dei sacramenti, la partecipazione alla vita di carità della comunità cristiana. La spiritualità coniugale intesa come la vita secondo lo spirito del Signore risorto resa possibile dei sacramenti. Giovanni Paolo II: la vita cristiana trova la sua legge nell’azione personale dello spirito Santo che anima e guida il cristiano, cioè nella legge dello Spirito Santo che ci è stato dato. Nel sacramento il dono di Dio e il compimento della coppia vengono articolati in modo che colui che viene donato è proprio colui che rende possibile ed esalta la capacità di coloro che lo ricevono. Amandosi l’un l’altro gli sposi amano Dio (Evdokimov). L’etica matrimoniale si pone al servizio di una risposta completa all’attrazione dello Spirito, le esigenze che rendono autentico l’amore coniugale che desidera essere sacramento sono le leggi della morale matrimoniale che indica le condizioni affinché esso possa realizzarsi. Le varie regole dell’etica matrimoniale non sono i ceppi cui viene incatenato l’amore tra uomo e donna, ma i sentieri lungo i quali l’amore sessuale diviene comunione integrale. Totalità, fedeltà, indissolubilità, fecondità sono le caratteristiche delle regole morali che salvaguardano le azioni e i comportamenti. Donarsi e accogliersi totalmente. Essere sacramento: ciascuno orienta se stesso all’unione con l’altro, affinché possa avvenire l’io dev’essere nelle condizioni di assumere le dimensioni di cui è costituito corpo (gestualità erotica), mente (dimensione psichica dei pensieri e sentimenti), cuore (dimensione spirituale della libera scelta) e rivolgerle al tu. La regola della castità matrimoniale esprime la necessità che si accolga l’altro in tutte le sue dimensioni, senza che l’imposizione maschile o la seduzione femminile abbiano la prevalenza. Inoltre, l’atto non deve ridursi a solo rapporto fisico, senza amore o sentimento, o alla sola ricerca del piacere erotico o della procreazione. Essere unicamente dell’altro. La comunione amorosa integrale, giungendo all’intimità sessuale, assegna alla relazione amorosa il carattere di esclusività. Voler appartenere all’altro comporta il non essere di altri. Si vieta adulterio e poligamia perché l’unione impedisce la presenza di altri. Lo stesso vale per l’adulterio biologico: procreazione assistita in cui interviene una 3° persona estranea ai due coniugi (utero in affitto). Rimanere con l’altro. L’io e il tu divengono una carne sola nel tempo. Tanto immediata è l’unione dei corpi, tanto remota è la comunione delle persone. Si mette in gioco la propria esistenza: passato, presente, futuro. Dare vita ad altro. La comunione integrale tra uomo e donna porta ad una realtà nuova, come la fecondità. Desidero un figlio da te è una dichiarazione d’amore maturo. C’è una fecondità interpersonale mediante il quale coniugi crescono, camminano, si amano nel tempo. C’è una fecondità spirituale che avviene quando due persone comunicano in profondità la loro vita, Aiutandosi a rinascere. La comunione amorosa integrale genera un’altra vita. La regola morale della generazione biologica è la procreazione responsabile la contraccezione e l’esclusione positiva diretta della facoltà generativa. L’etica matrimoniale indica sentieri quotidiani per raggiungere la piena vita di coppia. Evdokimov: la via è stretta, forse la più stretta, perché sono due che devono percorrerla insieme Il criterio fondamentale. Quando si può dire che un 17 Il fenomeno sociale. Le relazioni si presentano nella loro verità come vincolo e come legame da riconoscere con ogni altro nel suo valore e nel suo senso, come essere – in (essere dentro), essere parte di una vicenda, una storia, un popolo, una citta ecc. La vicenda di Israele come dell’umanità (Gen 1 – 11) che di generazione in generazione cresce e manifesta nella propria vicenda l’agire perenne del fedele di Dio. Si scopre il valore tutt’altro che periferico della società, siamo molto più socializzati di quanto mediamente siamo disposti ad ammettere. Riconoscere la verità nella società significa crescere nella consapevolezza del valore dell’essere inseriti in una società, cultura, storia. La prospettiva etico sociale. Le relazioni si presentano come occasione di solidarietà, di condivisione, e come opportunità di essere con e per l’altro, entro istituzioni giuste; fedeli cioè all’altro, nella ricerca del suo bene autentico, del bene di tutti, entro la società umana nel suo insieme. Riconoscere la verità della società significa cogliere l’importanza di un agire sociale in cui si ricerchi il bene di tutti, insieme. La verità ultima della società. La scrittura rivela una verità nelle relazioni cui forma originaria si manifesta come essere – da (dall’altro). Si pensi all’esperienza dell’essere generati-da, costitutiva per ognuno di noi. Non siamo generati da due genitori ma anche da un’intera società. Siamo fruitori fin dal nostro nascere di valori, di sapere, di condizioni di vita create da altri per noi. Il bene è in grado di fondare la vita sociale e l’agire sociale è un riconoscerlo in forma pratica: un rendere in altra forma ad altri. Fiducia e gratuità sono aperte alle prospettive di ogni agire da porsi entro il binomio fede – carità. Dio deve avere il primato in ogni azione, anche sociale. La Dottrina sociale della Chiesa offre gli strumenti ai fini di un discernimento non parziale, a partire dall’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891) si è ormai costituto un corpus dottrinale arricchito alla presenza di interventi precedenti e seguenti al concilio Vaticano II. Un’economia a servizio dell’uomo. L’economia (oikos:casa;nomos:legge) concerne le norme di condotta per coloro che coabitano, si occupa di un aspetto dell’abitare da parte dell’uomo, legato ai suoi bisogni, nel senso di realtà necessarie e promettenti in ordine al suo vivere. L’uomo riconosce come attinenti al suo vivere una serie di bisogni di tipo primario (natura dell’uomo), immediati e indispensabili, e di carattere elevato (religiosi, estetici, psicologici, culturali). L’economia si occupa dei bisogni che possono essere soddisfatti con beni scambiabili dotati di un certo valore riconosciuto, ossia beni economici che posseggono attitudini in grado di soddisfare certi bisogni umani. L’economia si manifesta con una questione umana ma riducibile ai suoi tratti materiali soltanto. Un bene è tanto più utile quanto più è in grado di soddisfare bisogni molteplici (utilità). Gli impegni economici possono essere di natura materiale (cibo, vestiario, farmaci) o immateriale (l’acquisto di diritti: di fabbricazione, di pubblicazione ecc.). I beni economici sono pure servizi (acquisto di una prestazione utile: assistenza sanitaria). Il problema economico sorge quando i bisogni e i beni si presentano contrapposti: i bisogni si presentano illimitati oltre che ricorrenti quanto a quantità e qualità nel tempo. I beni predisposti al soddisfacimento di bisogni si presentano come scarsi (in senso quantitativo, qualitativo e temporale). domanda mediazione offerta bisogni valori beni (reali – indotti) (d’uso – di scambio) – (beni – bene) Tre momenti fondamentali in cui l’attività economica può essere ripartita: 1. Alla produzione (generativo) 2. Alla distribuzione (scambi da beni economici – tra coloro che necessitano di un bene e chi ne possiede molto) 3. Al consumo (utilizzo del bene) = relazione circolare: la produzione è in funzione delle altre due e cosi ciascuna di esse; la carenza di uno dei tre aspetti è sufficiente per indebolirli tutti. Tappe di sviluppo storiche: - Economia nel mondo antico (primordiale) l’uomo tenta di uscire dalla dipendenza della natura. Le forme dello scambio e il manifestarsi del problema etico – sociale riguardano l’economia del baratto, in quanto mediazione di rapporti di forza e di dominio, di ricerca della max utilità. Schema: Merce – Merce - Economia all’epoca dello sviluppo dei mercati mediante l’intermediazione monetaria: la moneta è portatrice di valore come misura degli scambi. Schema: Merce – denaro – merce - Economia industriale, scienza e tecnica pongono la natura a servizio dell’uomo. Il simbolo è la macchina, “l’uomo che lavora fuori da sé” (Hegel). Nell’economia della produzione industriale l’offerta di beni precede la rispettiva domanda. Lo schema: Denaro, merce, denaro. Nell’economia di mercato domanda ed offerta si incontrano liberamente realizzando un equilibrio, ciò che conta è che la libertà individuale venga garantita: l’intervento diretto dello Stato in economia distorce il sistema. L’attività economica è cosa privata. Lo Stato deve garantire alcuni interrogativi: prezzo giusto? equilibrato? economia efficiente? Dopo la caduta del sistema nel 1929 e il successivo avvento di nuovi assetti a economia mista con l’intervento attivo del settore pubblico (Welfare State) segna l’ora di un’economia più intrecciata. Cresce l’importanza dell’economia politica e della politica economica. Presupposti del liberalismo economico: libera concorrenza, individualismo, assenteismo; in esso, il modello vincente è l’utilitarismo, la scienza economica viene percepita come scienza esatta. 20 - Economia post-industriale: economia finanziaria, informatizzata, globalizzata, in particolare, la new economy risulta legata alle nuove tecnologie. Schema: denaro – denaro. Risulta sempre più intrecciata alla globalizzazione. In ambito economico comporta interdipendenza, ed è un fenomeno carico di ambivalenze. Cenni ai fondamenti dell’agire etico in economia. Nell’Antico Testamento, la ricchezza può essere indice di benedizione. Al centro del giudizio è l’agire dell’uomo, la scelta tra il bene e il male. Nel Nuovo Testamento il giudizio è più severo: la ricchezza si presenta come promettente (illusoria ma finisce per possedere l’uomo e fargli perdere la coscienza etica. Lo rende schiavo e asservito ai suoi possessi. Le ricchezze non sono in grado di mantenere le promesse di cui pare siano in apparenza portatrici: “attraversano il cuore dell’uomo, accecandolo”. La povertà (anche economica) non basta a fare l’ideologia: non tutti coloro che possiedono meno sono discepoli. Il criterio evangelico per la gestione delle ricchezze deve tener conto del giudizio di Dio, nella fede e dei bisogni dell’altro (prospettiva della carità). I beni vanno riconosciuti come doni di Dio che, attraverso le mani del discepolo, devono giungere a sfamare molti. La finalità complessiva: produrre utilità o contribuire al bene comune? Il criterio generale per un giudizio etico in economia è la relativizzazione e la finalizzazione dell’utile al bene. Nel lungo periodo si può dimostrare l’efficacia dell’eticità che consente a un’azienda di continuare ad avere risultati positivi, lo scopo non è la massimizzazione del profitto ma fornire beni e servizi che siano utili ad altri, oltre ad essere in grado di remunerare chi lavora in essa. Chiesa: “Il rapporto tra morale ed economia è necessario e intrinseco, l’attività economica e il comportamento morale si compenetrano.” Il lavoro umano e le sue esigenze. Del lavoro che ha l’uomo come protagonista va riconosciuta la caratteristica personale. Il lavoro per essere compreso va inteso come vocazione originaria e deve cogliersi come opera d’occasione di solidarietà (servizio agli altri). Essenziali sono i diritti del lavoro e il giusto salario, nella vicenda di Gesù si spiega l’uomo del “lavoro” ricondotto alla logica evangelica del perdersi e del donarsi, affinché ci si possa ritrovare. Il principio della Rerum Novarum afferma che i beni economici sono stati affidati da Dio all’umanità senza indebite esclusioni, ma ciò non significa che “tutto sia a disposizione di ognuno o di tutti, e neppure che la stessa cosa serva o appartenga ad ognuno o a tutti”. Tale principio, pertanto, se da un lato fonda il diritto alla proprietà privata, dall’altro lato evita che la proprietà privata stessa si è immaginata come diritto assoluto. La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto ed intoccabile e con ciò non si intende mettere in discussione la titolarità dei possessi ma il loro utilizzo deve considerare le necessità altrui. Quale sistema economico adatto? Quale globalizzazione? Con il capitalismo si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della responsabilità dei mezzi di produzione, della libera creatività umana, la risposta è positiva, anche se forse sarebbe appropriato parlare di economia d’impresa, o di economia di mercato, o di economia libera. Ma se con capitalismo si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà integrale e umana, e la consideri con una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta sarà negativa. La chiesa offre la propria dottrina sociale che riconosce la positività del mercato e dell’impresa ma indica la necessità che questi si orientino verso il bene comune. La dottrina sociale della chiesa propone modelli ispirati a criteri etici: l’economia in cui Stato, mercato e corpi intermedi abbiano un compito apprezzato al servizio del bene comune. Lo stato deve definire un quadro giuridico atto a regolare i rapporti economici secondo equità. Un’economia cui al mercato sia riconosciuto un ruolo che deve orientarsi al bene comune. La dottrina sociale della chiesa richiede un mercato del lavoro, dei beni, dei servizi e dei capitali equo (giusto salario/prezzo/profitto). Il sistema economico e sociale deve essere caratterizzato dalla compresenza di azione pubblica e privata. L’odierna globalizzazione, entro questo quadro, è ambivalente: da un lato, alimenta speranze, mentre dall’altro, inquietanti interrogativi. L’enciclica Solllicitudo rei Socialis di Paolo II (1987) nel XX anni-versario del Popolorum progressio offre le chiavi di lettura teologiche in merito a problemi connessi all’attuale processo di sviluppo. - In negativo mette in guardia dalle strutture di peccato e dal peccato sociale, rilevanti in sede economico politica: “un mondo diviso in blocchi sostenuti da ideologie rigide dove interdipendenza e solidarietà dominano differenti norme di imperialismo, perché non può essere un mondo sottomesso a strutture di peccato. - In positivo: “nel cammino della desiderata conversione verso il superamento degli ostacoli per lo sviluppo si segnala come valore positivo e morale la crescente consapevolezza dell’interdipendenza tra uomini e Nazioni. La virtù è la solidarietà e la determinazione di impegnarsi per il bene comune di tutti e di ciascuno. Siamo veramente responsabili di tutti. 21 22