Scarica Il cristiano nel mondo. Teologia 3 e più Appunti in PDF di Teologia II solo su Docsity! Il cristiano nel mondo - Capitolo Quarto (da pp 130) La morte non è certo una novità, ma qualcosa che appare radicalmente cambiato. Gli studiosi descrivono questo fenomeno (medicalizzazione, ostracizzazione, esilio, tecnologizzazione, allontanamento, isolamento, ecc.) ma tutti evidenziano le strategie che vengono messe in atto nella cultura contemporanea allo scopo di ignorare la morte. Di fronte alla morte si fugge. “Il desiderio di vivere non si arrende facilmente alla morte, l’aggira in mille modi aggrappandosi ad una serie di pretesti: interesse inganni, prospetta sogni, cerca rimedi e invoca possibili interventi miracolosi” (Bizzotto 2000, 40) Oggi queste strategie sembrano unirsi a complicati fattori sociali e culturali e trovare un’alleata nella mentalità tecnico – scientifica. Domanda: siamo di fronte ad un nuovo modo di morire? 1.L’esperienza del morire oggi 1.La dimensione bio – fisiologica Fino a qualche anno fa il momento della morte era un istante in cui l’uomo spirava circondato dalla liturgia, religiosa o laica, dei propri cari. Il medico constatava il blocco delle funzioni vitali cardio – respiratorie. Oggi è più complesso. Gli strumenti di rianimazione e la chirurgia dei trapianti ha modificato il momento del morire e l’immagine del cadavere. La morte è un processo, è scomposta, frazionata in piccole tappe, in un progressivo morire dell’organismo. La necessità di organi vitali per i trapianti “crea” un’immagine di cadaveri a cuore battente in cui gli organi sono tenuti irrorati di sangue e ossigeno attraverso apparecchiature che sostituiscono queste funzioni. Il problema della diagnosi della morte viene trattato da una commissione ufficiale nel 1969 creata da Harvard. Propone un criterio nuovo di morte con riferimento al sistema celebrale. La diagnosi di morte, su questa base, si misura in totale assenza di attività celebrale per un opportuno arco di tempo. Dibattiti sul tema: 5.Non si ritiene sufficiente la certificazione della morte di un solo organo per definire il morire di un uomo e quindi difendono il criterio tradizionale 6.Riconoscendo la morte come un processo si ritiene come definitiva la perdita della coscienza per riferirsi ad un individuo morto. La compromissione della struttura della coscienza basta per definire il decesso. Risultati della commissione di Harvard: rimane la definizione fisiologica di morte di un organismo, cioè capace di funzionare coordinato. Il ruolo di coordinamento è svolto dall’encefalo, per questo si attribuisce alla sua morte, la morte dell’individuo. 1.La dimensione psichica Non esiste la morte in sé, esiste la persona che muore. Lo studio della dott.ssa Elisabeth Kubler – Ross fa comprendere la dinamica psichica che accompagna la coscienza di colui che muore. La morte (prossima o malattia inguaribile) provoca uno stato iniziale di shock e poi il rifiuto (meccanismo di difesa necessario per vivere). shock rifiuto rabbia, invidia, risentimento Domanda logica: “Perché io?” -Il morente si carica di una forza rabbiosa che scarica contro familiari, medici, società, Dio ecc. -Presa di coscienza: scendere a patti 3° fase: negoziare, normalmente con Dio, per un prolungamento della vita o un lenirsi dei dolori. La realtà si impone e butta in faccia tutto ciò che si considera “vita”. Il malato vede: disfarsi del proprio corpo, inazione, fatica economica per le cure, perdita del lavoro, non autosufficienza. -Senso di depressione: preparazione intima per le perdite che verranno (oggetti del proprio amore), facilitando lo stato di accettazione. E’ una passività alla quale ci si abbandona. L’abbandono genera serenità. le fasi seguono uno sviluppo irregolare, sembrano coesistere più che succedersi. Punto in comune delle fasi precedenti: la speranza (dott.ssa Kubler – Ross): tutto ha un significato, dà al malato il senso di una missione speciale nella vita che li porta a servare coraggio di fronte a dure prove, in un certo senso, è una razionalizzazione della sofferenza. Rimane necessario un dinamismo psichico e un conteso relazionale basato su una comunicazione (imp. Parola, silenzio, info, ascolto) 1.La dimensione sociale Giovanni Paolo II – Enciclica 1995 Evangelium vitae – per l’eutanasia: “quando prevale la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta piacere e benessere, la sofferenza appare come uno scacco insopportabile, di cui occorre liberarsi ad ogni costo”. Due tentativi di allontanamento della morte dalla nostra vita. Secolarismo: toglie i linguaggi della morte. Il rifiuto di ogni forma di ritualità sembra aver abbattuto le maschere che formano quell’insieme di luoghi comuni entro cui gli uomini si scambiano continuamente le loro esperienze di dolore e dove il parlare diviene legittimo. (Natoli 1986, 11s). Retorica nei confronti di una visione adulta del mondo che non ha bisogno di nascondersi dietro false immagini, lo scetticismo razionalista di fronte ai gesti della tradizione e la mancanza di una creatività sociale capace di generarne di nuovi lascia l’uomo privo di parole di fronte al morire proprio e degli altri. La morte è un tabù di cui non si deve, non si può e non si sa parlare. “XX sec la morte ha rimpiazzato il sesso come interdizione. Oggi i bambini sono iniziati alla fisiologia dell’amore e della nascita. Quando non vedono più il nonno si dice loro che è partito per un viaggio lontano. Non sono più i bambini che nascono sotto i cavoli, ma sono i morti che scompaiono tra i fiori.” (Campanini 1977, 62) Edonismo della società capitalistica: “Il capitale per sua natura non può negare sia la morte e sia quanto blocca i progresso”. L’ideologia progressista non ammette blocchi e di fronte all’inevitabilità del morire genera macchine che sopravvivano agli uomini. La vita si riduce nell’artificio laddove la natura conduce alla morte. La modernizzazione, l’assunzione dell’ideale di benessere, attraverso l’individualismo e la privatizzazione dei sentimenti, ha avuto la necessità di trovare un nuovo ambito in cui porre la morte. “Il dolore oggi è medicalizzato. (…) L’esperienza del dolore ha oggi un’oggettività clinico scientifica ed i fantasmi corporei ed il plesso di sofferenze ad essi connesso non sono scindibili dal sapere medico e dai suoi corollari immaginari. (Natoli, 1986, 17s) Philippe Aries: la morte all’ospedale, irta di tubi, sta diventando un’immagine più popolare, più terrificante del cadavere in decomposizione o dello scheletro delle retoriche macabre ridefinisce legami relazionali e sociali. Rischio: la solitudine nei reparti di rianimazione, l’indifferenza delle comunità di fronte alla scomparsa dei loro membri, l’assenza delle persone care al momento del trapasso. Rapporto paziente – medico: Interpretazione bellica: medicina capace con il supporto della tecnologia per sconfiggere la morte. Il medico viene visto come unico detentore di poteri, di vita e di morte. Arte medica: in antichità attribuzione di prerogative carismatiche al curatore, quasi detentore di poteri divinatori e taumaturgici. Oggi competenza scientifica del medico in un contesto specializzato. Il morente viene visto come inabile per le sue condizioni. In opposizione a questo modello si afferma un principio di autonomia del paziente. Rischio: leggere la figura del medico come esecutiva competenza tecnica, impersonale, asettica. Necessità: integrare elementi + dei due aspetti – ovvero – rapporto dialogico e interpersonale che ponga di fronte la competenza maggiore possibile del medico e la relativa autonomia del soggetto. Alleanza terapeutica: rapporto di fiducia, dialogo, collaborazione nelle reciproche competenze e autonomie. Accompagnare la persona rispettando tempi e scelte. 4.La dimensione teologica Esperienza del morire questione del senso: perché esiste la morte? La domanda diventa invocazione, lamento, urlo che chiede una risposta trascendente. Interpretazione teologica – sguardo al morire di Cristo 1.Morte come violenza indesiderata che entra nella nostra vita e ci travolge passivamente: Gesù ha lottato, una morte frutto del peccato. 2.Dinamica attiva di un morire assunto come atto estremo del vivere, come manifestazione dell’uomo come uomo. Carattere passivo: legame tra morte e peccato. La forma originale del peccato è la pretesa dell’uomo di realizzarsi da sé rompendo il vincolo di dipendenza da Dio. Morte come concretizzazione della sua scelta che lo precipita in una irrelazionalità senza uscita. La liberazione offerta da Cristo nella fede converte il frutto del peccato in guadagno nuova possibilità di relazione con Dio. Di contro, si riconosce come solo l’attimo del morire permetta una piena presenza dell’uomo a sé stesso. 4.La sintesi dell’agire Il morire coinvolge tutta la persona. Una riduzione del discorso al valore della vita fisica o alla determinazione del morire biologico non corrisponderebbe alla dignità della persona che muore. Il soggetto interpreta nella propria libertà l’intreccio di attività e passività che si presenta di fronte alla morte. La morte è momento del vivere, anzi, momento supremo in cui il vivente si confronta con la propria umanità limitata e con la propria storia per consegnarsi alla definitività. E’ necessario preservare questo momento da ogni tipo di invasione indebita, garantendone la corrispondenza alla grandezza del momento. 2.Interpretazioni inautentiche del morire: eutanasia ed esubero terapeutico 1.Chiarificazione dei termini in gioco: eutanasia La tecnologizzazione della medicina clima culturale favorevole a forme di eutanasia. In antichità: significa “morte bella” – ricerca delle condizioni affinché il soggetto potesse vivere una morte degna del suo stato di uomo e cittadino. Epoca moderna: atto che accellera la morte al fine di alleviare le sofferenze. Oggi: azione o un’omissione per struttura propria dell’atto o per intenzione de soggetto, procuri la morte in una persona per compassione verso la sua condizione di sofferente stato di malato disumano. Alcuni autori distinguono: a.Eutanasia attiva (agire di chi attivamente pone in essere un insieme di strategie che procurino la morte) e passiva (movimento di chi omette o sospende un’azione in grado di impedire la morte). L’uccidere l fine di alleviare le sofferenze è sempre eutanasia, mentre il lasciar morire può esserlo, ma non necessariamente. Dipende dall’intenzione sottesa e dalle circostanze in cui l’azione si pone. Il termine eutanasia deve riservarsi per le azioni che per natura o per intenzione dell’agente esprimono l’intenzionalità di procurare la morte. La possibilità di sospensione di cure, anche vitali, si configura come legittima sospensione di atti medici sproporzionati. b.Eutanasia diretta (si configura come un illecito morale) ed indiretta (si configura come possibile assunzione di conseguenze in vista di una finalità positiva). Quando l’intenzione è diretta all’uccisione si può parlare di eutanasia. Nel secondo caso, come, ad esempio, prescrizione di analgesici all’interno di una terapia del dolore consapevoli che il farmaco in questione abbrevia la vita, non siamo di fronte ad eutanasia lenisce il dolore ma non procura la morte.