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Il diritto internazionale ambientale e la tutela dell'ambiente - Prof. Nucera, Appunti di Diritto dell'ambiente

L'evoluzione del diritto internazionale ambientale, partendo dalle prime sentenze che hanno stabilito il divieto di inquinamento transfrontaliero, fino alla dichiarazione di stoccolma del 1972 che ha sancito i principi fondamentali della tutela ambientale a livello internazionale. Vengono approfonditi i principi chiave come il principio 21 sulla sovranità degli stati sulle proprie risorse naturali, il principio 10 sull'accesso alle informazioni e la partecipazione dei cittadini, e il principio delle responsabilità comuni ma differenziate. Inoltre, il documento tratta il tema della governance ambientale internazionale e il ruolo delle organizzazioni internazionali nella promozione della cooperazione e del monitoraggio delle azioni degli stati per la tutela dell'ambiente. Infine, vengono esaminati i regimi di responsabilità internazionale per i danni ambientali e il legame tra cambiamenti climatici e violazione dei diritti umani.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 16/06/2024

Moky98
Moky98 🇮🇹

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Scarica Il diritto internazionale ambientale e la tutela dell'ambiente - Prof. Nucera e più Appunti in PDF di Diritto dell'ambiente solo su Docsity! Diritto internazionale – ambientale/green 1. Origini ed evoluzioni del diritto internazionale ambientale Le origini del diritto internazionale ambientale risalgono al DIA, acronimo di: diritto internazionale ambientale. questo è un complesso di principi e di norme giuridiche che definiscono regole di comportamento per gli Stati al fine di realizzare la tutela dell’ambiente e l’uso equilibrato delle risorse naturali in un contesto di sviluppo economico e sociale. Il diritto ambientale non può essere considerato come un settore a sé, perché questo ad oggi è riconosciuto come un contesto legato ai settori dell’economia e dello sviluppo. il settore ambientale è piuttosto recente. Le prime regole internazionali risalgono alla pace di Westfalia (1648, fine guerra dei trent’anni), mentre il settore ambientale si è sviluppato nel ventesimo secolo. sono stati i grandi disastri ambientali a spingere gli Stati e la comunità internazionale nel suo insieme a dotarsi di norme di tutela dell’ambiente. Guardando in modo ampio l’evoluzione del diritto internazionale ambientale, tendenzialmente, si possono identificare due casi principali di evoluzione: 1. Per funzionalismo ambientale: parte dal UNCHE, Stoccolma 1972, un’evoluzione di carattere settoriale, che puntava a far sviluppare norme funzionali agli interessi degli Stati, che riguardavano settori specifici o specifiche categorie di vegetazione o specie animali. L’interesse alla base era spesso economico, per via della necessità di utilizzare la risorsa. o per porre norme chiare, sui temi di risorse condivise tra gli stati. ciò che serviva, dunque, erano dei criteri di equità per gestire la risorsa in comune. Questa fase si estende dalle origini del diritto internazionale ambientale agli anni Settanta/Ottanta dello scorso secolo. 2. il cosiddetto globalismo ambientale: UNCED, Rio de Janeiro, 1992, cooperazione internazionale alle questioni ambientali globali. Dagli anni 90’ i temi ambientali e di protezione delle biodiversità iniziano ad ottenere un interesse di carattere globale, le difficoltà riguardanti la sopravvivenza e il mantenimento di realtà ambientali iniziano a divenire un interesse a se e non più legato unicamente allo sfruttamento delle risorse. 1.1 L’analisi più completa delle origini del diritto internazionale ambientale è stata svolta dall’allora vice residente della CIG Weeramantry nel caso Gabcikovo-Nagymaros del 1977. il giudice affermò che il concetto di sviluppo sostenibile è insito già nelle pratiche comuni dei popoli per tutelare le risorse naturali sin dall’antichità. esempi di gestione di risorse comuni o del bestiame: già dai tempi antichi, infatti, l’uomo assume queste condotte che tutelano le risorse. a) Le prime forme istituzionalizzate di gestione delle risorse naturali, però, risalgono al XIX secolo. Si tratta delle cosiddette Commissioni fluviali. vere e proprie organizzazioni internazionali composte dagli Stati attraversati da uno stesso fiume: questi Stati, infatti, assegnavano delle competenze di gestione delle acque del fiume. Tali competenze furono poi espanse anche alla tutela delle acque del fiume, proprio per garantire un corretto sfruttamento delle risorse fluviali. La prima commissione è la Commissione di navigazione del Reno, istituita nel 1815 b) Le prime decisioni giurisprudenziali che fissano principi di condotta per gli Stati risalgono ai primi del Novecento. Un esempio è la sentenza CPGI relativa alla Giurisdizione territoriale della Commissione internazionale dell’Oder del 1929: in tale sentenza, dunque, si parla di community of interest. La sentenza, infatti, afferma che tutti gli Stati rivieraschi hanno gli stessi diritti nell’utilizzo delle risorse del fiume. Ciò è legittimato dal principio dell’uguale sovranità degli Stati. Nascono anche i primi meccanismi di consultazione tra Stati: si tratta di meccanismi bilaterali, istituiti tra Stati per la gestione delle risorse comuni. Un esempio è il Trattato tra USA e UK (Canada) del 1909 sulle acque di frontiera. Trattato molto importante, perché è stato la base per ulteriori decisioni per sancire il principio di equità. c) Il caso della fonderia di Trail - 1941, situata al confine tra la Columbia Britannica e gli Stati Uniti, è emblematico per la questione dell'inquinamento transfrontaliero. La fonderia ha emesso fumi dannosi per le colture americane, provocando una controversia tra gli Stati Uniti e la Columbia Britannica. Dopo un accordo iniziale di compensazione, la fonderia ha continuato a inquinare, portando il caso davanti a un tribunale internazionale. Quest'ultimo ha stabilito che nessuno Stato ha il diritto di causare danni ambientali al territorio di un altro Stato, sancendo così il divieto di inquinamento transfrontaliero solo molti decenni dopo questa diverrà una norma consuetudinaria del diritto internazionale ambientale. La formulazione del tribunale di allora, però, parla generalmente di danno ambientale, utilizzando una formulazione primordiale. La Corte, inoltre, dice che il diritto internazionale non parla di eventuale cessazione dell’attività dannosa, perché tale decisione spetta allo Stato interessato. Il tribunale, quindi, non può obbligare lo Stato a interrompere l’attività che provoca il danno all’altro Stato. La norma base del diritto internazionale ambientale, dunque, è il divieto di inquinamento e l’obbligo di prevenzione. Il modo attraverso il quale garantire la prevenzione, però, è a discrezione del singolo Stato. d) Al momento della stesura dello Statuto delle Nazioni Unite , infatti, gli Stati, appena usciti e ancora sconvolti dalla Seconda Guerra Mondiale, non hanno a mente la tutela dell’ambiente, nonostante le sentenze già emanate, nello Statuto del 1945 la tutela dell’ambiente non rientra tra gli obiettivi dell’ONU. In realtà, molte organizzazioni internazionali hanno tra le competenze la tutela ambientale, ma non nasce nessuna organizzazione che abbia tale tutela come competenza principale. Ad oggi non vi è ancora, un’organizzazione esclusivamente competente in materia di tutela dell’ambiente. A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, dunque, non è ancora maturata una coscienza ecologica: Anche trattati importanti relativi a determinate aree come il Trattato sull’Antartide (1959) e il Trattato sui principi che regolano le attività degli Stati nell’esplorazione e uso dello spazio extra atmosferico (1967) non presentano norme a tutela dell’ambiente. I primi cambiamenti avvengono negli anni Sessanta: questo periodo, infatti, è molto importante per l’evoluzione del diritto internazionale. In questo periodo, infatti, ci si trova nel pieno della decolonizzazione e ciò comporta l’ingresso di nuovi Stati nella comunità internazionale. Le norme di diritto internazionale vengono rimesse in discussione ma, dal punto di vista ambientale, la nascita di nuovi Stati provoca vari problemi: questi, infatti, rivendicano l’utilizzo delle risorse naturali che, fino a quel momento, erano state sfruttate esclusivamente dagli Stati coloniali. Dichiarazione sulla sovranità permanente degli Stati sulle proprie risorse naturali (14 dicembre 1962): essa afferma che “il diritto dei popoli e delle nazioni alla sovranità 3. Carta mondiale della natura – 1982: Si tratta solo in parte di una dichiarazione di principi, ma è molto diversa nel contenuto rispetto alla Dichiarazione di Stoccolma. Essa è composta da cinque principi generali. In primo luogo, si introduce il tema di natura (e non più di ambiente umano quanto più di risorsa naturale). Allo stesso tempo, si inizia a discutere di ecosistemi e organismi. A livello giuridico, invece, si va verso la regola di condotta piuttosto che verso un principio generale : gli Stati devono (shall) adottare determinate condotte. 3.1: La Carta, introduce il concetto di special protection per determinate aree: si tratta, infatti, di aree dotate di una biodiversità unica. (aree protette) principio 4 si aggiunge un criterio di condotta che mira a un livello ottimale di produttività sostenibile. Il principio 5, poi, sottolinea l’importanza di preservare la natura dai danni derivati dai conflitti armati. la Dichiarazione di Stoccolma è considerata una tappa fondamentale, mentre la carta mondiale della natura no. Come mai questo? questa disparità è da attribuire alla prassi. Gli Stati, infatti, hanno sviluppato i principi di Stoccolma attraverso l’inserimento in trattati , mentre i principi della Carta mondiale della natura non sono stati ripresi in alcun accordo. 4. Commissione brundtland – 1983: Nel 1983 l’Assemblea Generale (ONU) istituì una commissione di esperti sullo sviluppo sostenibile: si tratta della c.d. Commissione Brundtland, dal nome dell’olandese che fu nominata Presidente della Commissione stessa. La Commission on Environment and Development (commissione ambiente e sviluppo), dunque, produsse il rapporto “Our Common Future”, che definisce il concetto di sviluppo sostenibile. questo viene definito senza carattere giuridico, la definizione sottolinea la temporaneità, e la necessità di saper utilizzare le risorse a nostra disposizione in modo da non compromettere la possibilità di goderne anche dalle generazioni future. fondamentali, dunque, sono l’equità intergenerazionale e l’equità intragenerazionale. 5. Conferenza di rio – 1992: Nel 1992 viene convocata la Conferenza di Rio. A pochi anni dalla caduta del muro di Berlino, infatti, non esiste più la contrapposizione dei blocchi: allo stesso tempo, però, nell’Assemblea Generale si fa largo una nuova contrapposizione, ovvero quella tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo. Alla Conferenza viene dato mandato di perseguire lo sviluppo progressivo del diritto internazionale ambientale (Risoluzione 44/228 del 22 dicembre 1988). (volontà dell’assemblea generale). Durante la Conferenza di Rio, dunque, vengono adottati: 1. Dichiarazione di Rio su ambiente e sviluppo, composta da 27 principi generali; 2. Agenda 21 (che richiamava l’obiettivo del ventunesimo secolo), un programma d’azione volto a identificare gli interventi necessari a realizzare lo sviluppo sostenibile 3. Dichiarazione autorevole di principi, giuridicamente non vincolante, per un consenso globale sulla gestione, conservazione e sviluppo sostenibile delle foreste. (doveva essere un trattato, causa accordi non trovati, ci si ritirò in una dichiarazione di principi, non vincolanti) 5.1 La Dichiarazione di Rio è fondamentale anche perché cambia il diritto internazionale ambientale: da questo momento, diventa quasi un diritto internazionale dello sviluppo sostenibile, in cui il tema ambientale deve convivere con il tema economico e con il tema dello sviluppo sociale. Con la Dichiarazione di Rio, dunque, il diritto ambientale assume una connotazione per principi generali. diventa il riferimento per la stesura di nuovi trattati (es. Convenzione sulla desertificazione, ecc.). In questo momento, dunque, si passa da una visione settoriale a una visione di problemi di carattere globale: ha inizio, dunque, il globalismo ambientale. Ciò che manca, però, è un obbligo assoluto di tutela dell’ambiente, compreso quello nazionale. Principio 1: Il primo principio della Dichiarazione di Rio dà il contesto e il significato generale della dichiarazione stessa, Seppur si parli di sviluppo e non si faccia riferimento esplicito all’ambiente. offre un contesto generale nel quale l’uomo è posto al centro dello sviluppo sostenibile. Principio 2: è quello giuridicamente più forte. Può infatti essere considerato la base del diritto internazionale ambientale, anche se presenta dei punti non chiari. Ad esempio, non è chiaro se si tratti di un obbligo assoluto o di un obbligo di diligenza. L’obbligo assoluto, riguarda l’obiettivo (es. lo Stato è tenuto a evitare in tutti i modi l’inquinamento); l’obbligo di diligenza, invece, consiste nell’obbligo di adottare le misure necessarie affinché un danno non si produca. Il secondo principio rispecchia quasi totalmente il principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma: ciò che cambia, però, è l’aggiunta del concetto di sviluppo sostenibile. cambia la valutazione che ne viene fatta, la quale non tiene più conto solo delle politiche ambientali, ma anche delle politiche di sviluppo. Principio 3: si parla di diritto allo sviluppo, ma non in senso strettamente giuridico: si affermano gli obiettivi ma non si esplicita chi è incaricato di raggiungerli e seguendo quali modalità. viene ripreso il fine di marcare il valore uguale che devono avere il concetto di tutela ambientale e di sviluppo stesso. Principio 4: Il quarto principio ha svolto un ruolo fondamentale nella risoluzione di alcune controversie, Il quarto principio è il c.d. principio di integrazione: si tratta del cuore del diritto allo sviluppo, che impone di considerare e valutare allo stesso modo la protezione ambientale e il processo di sviluppo. Principio 5: pone in capo agli Stati l’obbligo di cooperare per l’eliminazione della povertà: si tratta quindi di un obbligo di cooperazione. Principio 6 e 7: Il sesto principio, quindi, introduce la problematica dei Paesi in via di sviluppo, che presentano delle esigenze differenti rispetto ai Paesi “industrializzati”. il principio 7 inserisce la presenza di obblighi differenziati tra paesi sviluppati e in via di sviluppo, Gli Stati più industrializzati, dunque, si fanno carico dell’onere maggiore nell’azione di sviluppo sostenibile. Per questo motivo, il principio ha un valore più ambientale e più giuridico rispetto ai precedenti. Il settimo principio, inoltre, insieme al quindicesimo, è tra i più contestati dagli Stati Uniti: questi ultimi, infatti, non vogliono trattati che prevedono obblighi differenziati in materia ambientale. Per questo motivo, ad esempio, gli USA non hanno mai ratificato il Protocollo di Kyoto. “Il principio di differenziazione degli obblighi, dunque, è un principio volto alla solidarietà: si tratta, infatti, di un principio che rende proporzionali gli obblighi in base allo sviluppo dei singoli Stati” Principio 8: L’ottavo principio, invece, utilizzando il termine should, non pone in capo agli Stati un obbligo, ma una possibilità di condotta. Principio 9: Anche il nono principio non indica un obbligo preciso nei confronti degli Stati. Il tema affrontato, in realtà, non è né lo sviluppo, né l’ambiente, bensì lo sviluppo sostenibile. Tratta il delicato tema del trasferimento di tecnologie e conoscenze: gli Stati devono cooperare per migliorare le conoscenze scientifiche in materia ambientale. Principio 10: pone in capo agli Stati più obblighi: lo Stato deve garantire l’accesso alle informazioni di carattere ambientale, comprese quelle relative a sostanze e attività pericolose. lo Stato deve garantire a coloro che dimostrino un interesse in una particolare situazione (e non a tutti) di partecipare al processo decisionale: le modalità di partecipazione, però, possono essere decise dal singolo Stato. promuovere la sensibilizzazione ai temi ambientali. lo Stato ha l’obbligo di garantire un accesso effettivo ai rimedi giurisdizionali, istituendo meccanismi giuridici necessari per garantire a coloro che subiscono danni un equo processo giuridico. questo tema non vale solo per l’ambiente ma è un punto fondamentale anche per i diritti umani. Il diritto all’accesso ad un equo tribunale. Il decimo principio, quindi, ha una forte connotazione sia ambientale sia di tutela dei diritti umani. Principio 11: è suddivisibile in due punti: 1. si chiede allo Stato di adottare misure legislative efficaci in materia ambientale . Ponendo l’interesse sul comportamento, normative e standard scelti a livello nazionale. 2. il principio richiama il principio 6: non tutti gli standard, infatti, sono applicabili allo stesso modo a tutti gli Stati. si chiede di adottare misure legislative efficaci, ma tendendo conto di quelle che sono le differenze di standard tra i diversi Paesi. Principio 12: Il dodicesimo principio è di tipo programmatico. Tutto ciò che pone in capo agli Stati, infatti, è evidente nel momento in cui la questione ambientale assume rilevanza globale. Principio 13: richiede agli Stati di adottare misure giuridiche per garantire eventuali risarcimenti negli aspetti legati alle conseguenze derivanti da responsabilità per danno ambientale. Il punto fondamentale, quindi, è quello di sviluppare dei meccanismi che riguardino la responsabilità di risarcire eventuali danni, indipendentemente dal tipo di condotta che li ha causati. Principio 14: nessun obbligo giuridico, solo un richiamo alla cooperazione: obblighi generali di cooperazione. Principio 15: principio è di carattere giuridico-ambientale. deve essere applicato in un contesto di rischio di danno serio, grave e irreversibile: al di fuori di tale situazione, non si parla di precauzione. Il principio, inoltre, si riferisce a situazioni in cui ci si trova in ambiti nei quali c’è incertezza scientifica. In questi casi, dunque, gli Stati devono adottare misure adeguate ed efficaci: protocolli, annessi e altri atti derivati (c.d. fonti di terzo grado); - contengono un riferimento comune ai principi dello sviluppo sostenibile: - principio di precauzione; diverso dalla prevenzione (obbligo degli sforzi, frutto della certezza scientifica) - principio di valutazione di impatto ambientale; ( obbligo di valutare le scelte politiche in base a che effetti avranno sulla natura) - principio “chi inquina paga”; (principio che prevede che lo stato che sceglie di inquinare, poi debba farsi carico delle spese per riparare i danni di tale inquinamento, prevenzione, controllo e riparazione della condizione ambientale precedente al danno) - modulazione asimmetrica degli obblighi (o principio delle responsabilità comuni ma differenziate); (gli stati riconoscono la presenza di stati più avanzati e paesi in via di sviluppo, per ciò si sceglie di produrre strade diverse per arrivare ad obiettivi comuni, chiedendo ai primi un impegno maggiore rispetto ai secondi) 6.2 Come nasce una consuetudine? La fonte consuetudinaria, infatti, è composta da: - opinio juris: sentire giuridico che impone un tipo di condotta; - diuturnitas: ripetizione della condotta nel tempo Il diritto internazionale richiede una prassi generalizzata: generalizzata, però, non vuol dire universale, ma abbastanza diffusa in situazioni simili tra loro. Affinché si crei una consuetudine, inoltre, è necessario valutare la qualità dei soggetti: la stessa Commissione del diritto internazionale, infatti, afferma la necessità di guardare principalmente alla prassi degli Stati. Chiaramente, serve del tempo affinché si crei una consuetudine: per questo motivo, infatti, non regge la tesi delle c.d. consuetudini istantanee. La difficile condizione delle norme consuetudinarie viene agevolata quando ci si trova davanti a decisioni di tribunali. Nel diritto internazionale, esistono atti unilaterali? Gli atti giuridici unilaterali, invece, sono una categoria un pò particolare, perché è difficile anche identificare se si tratti di atti del diritto internazionale . sono considerati come una categoria ibrida tra le fonti del diritto internazionale e gli atti giuridici internazionali. Esistono diverse tipologie di atti unilaterali: - riserve a un trattato; (una dichiarazione unilaterale, fatta da uno Stato al momento in cui firma, ratifica, approva un trattato, con il fine di escludere o a modificare l'effetto giuridico di alcune disposizioni previste dal trattato stesso.) - dichiarazioni interpretative; (dichiarazione mediante la quale uno Stato enuncia il significato che attribuisce ad una disposizione del trattato.) - rinunce; - promesse; - recessi 7. I REGIMI DI RESPONSABILITA’ INTERNAZIONALE PER DANNO AMBIENTALE La materia della responsabilità per violazione di norme a carattere ambientale è regolata dalle stesse norme generali che si applicano in materia di responsabilità internazionale degli Stati da fatto illecito. La Commissione del diritto internazionale ha adottato il 3 agosto 2001 il Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati per fatti internazionalmente illeciti, i principi fondamentali. Norme primarie che richiedono una condotta, norme sostanziali vs Norme secondarie, di quest’ultime si occupa la Commissione cioè delle norme che ci indicano quali comportamenti tenere per evitare la sanzione che deriva dall’illecito stabilito nella norma primaria. a) Gli elementi costitutivi di un illecito, a livello internazionale sono 2: -a. la condotta di un soggetto internazionale (elemento soggettivo) -b. illiceità di tale condotta (elemento oggettivo) (violata la norma) Successivamente alla valutazione da parte della corte internazionale o di un arbitro (chiamato a risolvere il caso di una controversia internazionale) la corte potrebbe esprimere una decisione, vincolante che obblighi lo stato responsabile dell’illecito di riparare al danno causato: che potrebbe includere la cessazione delle attività illecite e il risarcimento del danno. b) le 3 forme di risarcimento del danno: -Riparazione in senso lato, che potrebbe includere il ripristino della situazione precedente all'illecito, se possibile. -Risarcimento del danno in termini economici, che prevede la compensazione finanziaria per il danno subito. deve comprendere danno emergente e lucro cessante. (risarcimento per il danno in sé e per il mancato guadagno nel periodo di inattività) -Soddisfazione, una forma di risarcimento principalmente per danni morali, delle chiare scuse pubbliche a livello internazionale sono un classico esempio. c) L’Esclusione dell'illecito: L'esclusione dell'illecito si riferisce a situazioni in cui un comportamento che normalmente sarebbe considerato illecito viene giustificato. Queste giustificazioni avvengono in questi casi: 1.Consenso scritto ed esplicito. 2. Legittima difesa, che richiede immediatezza, proporzionalità in base alla minaccia. 3. Contromisure, che sono una risposta ad un illecito ma che perdono la loro caratteristica di illiceità quando sono usate per porre fine al primo illecito e devono essere interrotte non appena la minaccia cessa, e devono essere reversibili. 4. Stato di necessità, che si verifica quando l'esistenza stessa dello Stato è minacciata. 5. Estremo pericolo, nel caso in cui si operi in modo illecito per evitare di mettere in pericolo di un gruppo di persone sotto l'autorità statale. d) Regimi speciali di responsabilità internazionale: Gli Stati possono stabilire regimi speciali di responsabilità internazionale tramite accordi . Alcuni trattati, come la Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni causati da oggetti spaziali del 1972, stabiliscono regimi di responsabilità specifici. Ad esempio, la convenzione spaziale del 1972 impone la responsabilità assoluta dello stato di lancio per i danni causati da oggetti spaziali sulla Terra o alle aeronavi in volo. Se il danno è altrove (altri pianeti), lo stato di lancio è responsabile solo se la colpa può essere attribuita a lui o alle persone di cui è responsabile. e) Risarcimento: L'articolo 36, paragrafo 2 del Progetto di articoli del 2001 prevede che il risarcimento copra ogni danno finanziariamente valutabile, compreso il mancato guadagno se dimostrabile. Questo include anche il risarcimento per le conseguenze di un atto illecito, comprese altre forme di danno non finanziari come il danno ambientale puro . La pratica della Convenzione sul risarcimento del danno da inquinamento degli idrocarburi del 1980 supporta la teoria secondo cui il danno dovrebbe essere risarcito solo se quantificabile. f) Regimi uniformi di responsabilità civile: Spesso vengono conclusi accordi per uniformare i regimi di responsabilità civile . Questo può includere danni alla persona e alla proprietà. Strumenti non vincolanti, come le linee guida sulla determinazione della responsabilità e del risarcimento del danno, considerano sia danni tradizionali che danni ambientali. Ad esempio, la pratica della Commissione per il risarcimento delle Nazioni Unite prevedeva una sezione specifica per il danno ambientale e utilizzava un metodo di quantificazione noto come "HEA" per valutare il danno subito da un ecosistema, basandosi su ecosistemi simili." 7.1 Caso Kuwait vs Iraq (post guerra del golfo 1980) Durante il conflitto tra Kuwait e Iraq, il Kuwait ha avanzato richieste di risarcimento per i danni ambientali subiti a causa dell'occupazione irachena. L'Iraq ha controbattuto sostenendo che molti dei danni avrebbero potuto essere evitati se il Kuwait avesse implementato misure di mitigazione. Tale argomentazione ha portato l'Iraq a rifiutare la richiesta di risarcimento, sostenendo che la mancata azione preventiva da parte del Kuwait costituisse una forma di negligenza. Il Kuwait ha presentato richieste di risarcimento per varie categorie di danni, ciascuna accompagnata da una cifra economica specifica: Perdita di risorse naturali e danni al territorio: Il Kuwait ha richiesto 194 milioni di dollari per i danni al terreno, inclusi cumuli di petrolio contaminali e trincee che hanno provocato smottamenti di sabbia desertica. Tuttavia, la richiesta è stata respinta dalla commissione poiché mancavano prove sufficienti per dimostrare l'entità dei danni e i costi effettivi della bonifica. Perdita di risorse marine e danni alle aree costiere: Il Kuwait ha richiesto 613 milioni di dollari per i danni subiti alle risorse marine e alle aree costiere, compresa la perdita di organismi viventi e la diminuzione delle attività turistiche. La commissione ha respinto parte di questa richiesta, in quanto mancavano prove sufficienti per dimostrare il nesso di causalità tra l'occupazione irachena e la perdita di queste risorse. Perdita di biodiversità nelle aree costiere: Il Kuwait ha richiesto 16.5 milioni di dollari per la perdita di biodiversità nelle aree costiere. Anche se la commissione ha accolto parzialmente questa richiesta, ha ridotto l'importo del risarcimento in base a una valutazione dell'ampiezza dell'area danneggiata e della durata della gestione proposta dal Kuwait. Perdita di attività ricreative e turistiche: Il Kuwait ha richiesto 23 milioni di dollari per la perdita di attività ricreative e turistiche a causa dell'occupazione irachena. Tuttavia, la commissione ha respinto questa richiesta in quanto la metodologia di valutazione presentata dal Kuwait non è stata considerata sufficientemente accurata. (l’area in questione era pieno deserto) Danni alle falde acquifere: Il Kuwait ha richiesto 159 milioni di dollari per i danni alle falde acquifere causati dall'infiltrazione di petrolio nel terreno. Tuttavia, la commissione ha respinto questa richiesta, sostenendo che mancavano prove di danni materiali causati dall'occupazione e che non era stata presentata una richiesta specifica per danni ambientali puri. Questo caso evidenzia le sfide nel valutare e risarcire il danno ambientale in situazioni di conflitto, evidenziando il ruolo cruciale della scienza nel fornire prove a sostegno delle richieste di risarcimento. Inoltre, mostra come la commissione abbia applicato criteri rigorosi per stabilire la validità delle richieste di risarcimento e l'entità dei danni causati dall'occupazione irachena. Art. 35 - Ogni Membro può sottoporre qualsiasi controversia o situazione all’attenzione del CdS o dell’AG. Art. 36 - Il CdS può, in qualsiasi fase di una controversia o di una situazione raccomandare procedimenti o metodi di sistemazione adeguati. Il CdS deve prendere in considerazione le procedura già adottate. b) Mezzi giudiziari: ● Arbitrato: modello risolutivo giuridico e vincolante molto utilizzato. Contiene nella sua struttura delle facilitazioni. È un regolamento di liti in cui le parti scelgono i giudici, il diritto applicabile, e l’efficacia vincolante della pronuncia dell’accordo fra le parti (non è una sentenza ma ha valore di sentenza). ● CIG (corte internazionale di giustizia): organo giurisdizionale delle Nazioni Unite a tale corte ne possono usufruire solo gli stati. Esistono tre procedimenti, due sono uguali a quelli dell’arbitrato, uno è legato alle dichiarazioni degli Stati in cui dichiarano la volontà di sottoporre qualunque argomento riguardo a X; questo è basato sulla reciprocità. Corte ha 2 principali competenze: 1. Contenziosa (soluzione giuridiche) 2. consultive (concede pareri agli organi dell’ONU) 5. La CIG: La CIG è l’organo giurisdizionale delle Nazioni Unite. Essa ha competenza contenziosa per la soluzione di controversie internazionali fra Stati e consultiva per la formulazione di pareri richiesti dagli organi a ciò autorizzati. La giurisdizione è facoltativa quando la Corte ha competenza a risolvere una controversia concreta, già sorta, mentre la giurisdizione è obbligatoria quando lo strumento giurisdizionale attribuisce allo Stato il potere di instaurare in via unilaterale il processo innanzi alla Corte, in base a: 1) clausole giurisdizionali contenute nei trattati, 2 sulle dichiarazioni ad hoc previste dall’art. 36 par. 2 dello Statuto. La competenza consultiva della Corte è disciplinata dagli artt. 65 del suo Statuto la Corte può adottare pareri su qualsiasi questione giuridica a richiesta di quegli organi o enti che siano autorizzati. L’art. 96 della Carta precisa quali organi sono abilitati a farlo: AG, CdS, altri organo e IS ONU solo sui temi di loro competenza. Principio della libera scelta delle parti in ordine ai mezzi di soluzione: l'art. 14, par. 1, del Protocollo di Kyoto del 1997 "In caso di controversia fra due o più Parti sull'interpretazione e l'applicazione della Convenzione, le Parti coinvolte ricercheranno una soluzione attraverso negoziati o qualsiasi altro mezzo pacifico di loro scelta". Opting-in clause → es. art. 11 della Convenzione di Vienna sulla protezione della fascia d’ozono → Al momento di ratificare o accedere alla Convenzione, o in qualsiasi altro momento successivo, uno Stato può dichiarare per iscritto che per le controversie non risolte attraverso mezzi diplomatici, accetta uno o entrambi i seguenti mezzi come obbligatori: a) arbitrato; b) CIG. Se le Parti non hanno accettato la stessa o alcuna procedura, la controversia sarà sottoposta a conciliazione, salvo che le parti convengano diversamente. Andando a vedere le norme in materia di risoluzioni delle controversie nei trattati ambientali, si nota che si riprende sempre il principio della libera scelta dei mezzi. Ex. Art. 20 della Commissione di Basilea del 1989. Contiene una seconda parte che si trova anche in altri trattati internazionali: se le parti non riescono a risolvere la controversia attraverso i mezzi menzionati, se le parti sono d’accordo, devono sottoporre la controversia alla CIG o ad arbitrato, il che però non assolverà le parti dalla responsabilità di continuare a cercare una risoluzione pacifica. Nel punto 3. le parti accettano la giurisdizione della Corte in via preventiva. La maggior parte delle controversie hanno carattere bilaterale. Come attivare dei meccanismi di risoluzione delle controversie in occasioni che hanno carattere globale – tipo il cambiamento climatico? Manca la titolarità, lo Stato leso, perché sono tutti lesi. Per rispondere a questa necessità nascono meccanismi di compilance, di informazione e monitoraggio e di verifica del comportamento degli stati. Spesso tali meccanismi o comitati nascono e/o vengono istituiti nell’ambito delle Convenzioni internazionali, che si occupano di verificare la condotta delle parti attraverso raccolta di informazione e monitoraggio. Questi restano però dei meccanismi di supporto allo Stato che vogliono aiutare lo Stato ad attuare quell’obbligo in modo corretto . Non prevedono punizioni ma forme di assistenza. A volte lo Stato stesso si autodenuncia per ottenere il loro aiuto. Nella prassi esistono però meccanismi che sono vicini ai comitati sanzionatori, fino ad andare a limitare alcuni diritti, come quello di voto, degli Stati all’interno della Convenzione. Questi meccanismi sono molto usati, anche più di quelli già visti delle risoluzioni delle controversie. Perché? Non sono sanzionatori e aiutano. All’interno dei comitati, la fase di dibattito è molto simile a quella di un tribunale. I meccanismi di compliance prevedono: Meccanismi d’informazione, monitoraggio e verifica del comportamento degli Stati; Meccanismi generalmente finalizzati a prevenire l’inadempimento degli obblighi convenzionali, più che a sanzionarne la violazione; Caratteri innovativi: facilitativi e non sanzionatori. Il Protocollo di Kyoto ad esempio è un sistema di compliance, diretto a facilitare, promuovere e garantire l’adempimento degli impegni degli Stati, ha comportato la creazione di un Comitato ad hoc composto di due settori, la Facilitative Branch e la Enforcement Branch. Il primo fornisce assistenza e consulenza alle parti, e promuove l’adempimento degli obblighi di cui sono titolari; il secondo serve a determinare le conseguenze di eventuali inadempimenti. Il Protocollo di Kyoto ha un meccanismo di compliance estremamente sviluppato: in cui il comitato si trova a valutare situazioni in cui la facilitazione non ha portato a nessun risultato. Uno dei pochi casi di un comitato che può adottare atti sanzionatori. Invece, la Convenzione di Aarhus consente il deferimento della situazione di non compliance anche alle organizzazioni non governative. 8. CASO: UNGHERIA-SLOVACCHIA: (GABČÍKOVO-NAGYMAROS) Il caso in questione è il primo ad aver rilevato la presenza di nozione di ambiente e sviluppo sostenibile. Nel 1997. punto 1) trattato di Budapest, settembre 1977 - trattato tra Ungheria e Slovacchia, un accordo di natura tecnico-economica che prevedeva la costruzione di un sistema di dighe sul Danubio. era prevista la costruzione di due dighe, una a monte destinata a raccogliere l’acqua e distribuirla attraverso dei canali Tutto questo era collegato alla costruzione di due centrali idroelettriche. Nel maggio 1989, l'Ungheria, preoccupata per le possibili implicazioni ambientali del progetto, sospende la costruzione della diga a valle e ordina uno studio di valutazione ambientale. In seguito, anche la costruzione della diga a monte viene sospesa. Queste azioni portano ad una fase di negoziati tra Ungheria e Slovacchia per trovare alternative che tengano conto delle preoccupazioni ambientali. La Slovacchia propone la "Variante C", una soluzione unilaterale che prevedeva la costruzione di una diga più a nord, in territorio slovacco, al fine di mantenere il progetto iniziale il più possibile. Tuttavia, questa proposta solleva nuove preoccupazioni, poiché altererebbe il percorso naturale del fiume Danubio e potrebbe avere impatti ambientali negativi. I negoziati coinvolgono anche la Commissione Europea e si cerca di risolvere la questione attraverso la Corte di Giustizia 2/7/1993. Le parti presentano richieste alla Corte riguardanti la sospensione del trattato da parte dell'Ungheria (notifica di sospensione fatta a maggio 1992), la costruzione della Variante C da parte della Slovacchia e l’illeceità della notifica di cessazione del trattato comunicata dall’Ungheria La Corte esamina diverse argomentazioni, inclusi lo stato di necessità ecologica invocato dall'Ungheria, l'impossibilità sopravvenuta di eseguire il trattato, il mutamento delle circostanze e lo sviluppo di nuove norme ambientali. Tuttavia, alla fine, la Corte conclude che l'Ungheria non ha titolo per denunciare il trattato e dunque per richiederne l’annullamento e che la costruzione della Variante C da parte della Slovacchia viola il trattato stesso poiché una risposta all’attività illeceità dell’Ungheria non proporzionale. Di conseguenza, entrambe le parti sono obbligate a negoziare la modifica del trattato del 1977 con il fine di trovare soluzioni comuni e che prevedano l'impatto ambientale del progetto. Dopo anni di negoziati, nel 2017, le parti raggiungono un accordo per risolvere la controversia. 9. Governance internazionale ambientale: a livello internazionale è possibile distinguere due tipologie di governance: ◦ Normativo (o sostanziale) → norme e principi internazionali che mirano a regolamentare i comportamenti degli attori coinvolti nel processo decisionale; ◦Istituzionale (o strutturale) → quadro istituzionale deputato all’applicazione, revisione e adattamento delle norme e il monitoraggio della loro attuazione. Cosa si intende per Governance internazionale ambientale? si intende l’insieme delle organizzazioni, degli strumenti politici, dei meccanismi di finanziamento, le regole e le procedure che regolano la tutela globale dell'ambiente. La governance ambientale è parte di un sistema più ampio che riguarda l’Intitutional Framework for Sustainable Development (IFSD): ovvero l’insieme delle organizzazioni e istituzioni internazionali, dedicati al perseguimento di sviluppo sostenibile e monitoraggio delle azioni e dei progressi degli Stati coinvolti. La riforma dell'IFSD è stata una dei due temi della Conferenza di Rio+20. Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) Istituito dall’Assemblea generale, con la conferenza di Stoccolma 1972, è un Organo sussidiario (atipico) dell’Assemblea generale. Gli obiettivi dell’UNEP: Promuovere la cooperazione internazionale nel settore ambientale; Fornire assistenza legislativa agli Stati; Coordinare i programmi ambientali del sistema ONU e la loro attuazione; sostenibilità. Migliorare l’integrazione delle tre dimensioni a tutti i livelli, in maniera globale e intersettoriale. Monitorare i progressi compiuti; Il mandato del Forum: Valutare progressi, risultati e azioni degli Stati per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 Identificare le sfide emergenti; Assicurare che l'Agenda resti centrale nelle politiche ONU, promuovere l'integrazione dello sviluppo sostenibile nelle politiche del sistema delle Nazioni Unite. Aspetti organizzativi (come’ è organizzato): Riunioni del Forum: -ogni 4 anni sotto gli auspici dell’AG (si riuniscono i capi di stato), e di Governo - ogni anno (si riuniscono i ministri dell’ambiente) sotto gli auspici dell'ECOSOC; -dal 2016, effettua revisioni periodiche, sostituisce la CSD, assumendone le funzioni di monitoraggio e del perseguimento dell’agenda 2030. La ris. 67/213 dell'Assemblea generale sul rafforzamento dell’UNEP quali sono stati i rafforzamenti frutto della riforma? 1. Membership universale nel Consiglio direttivo; 2. Risorse finanziarie sicure, stabili e adeguate, grazie ad un aumento dei finanziamenti dal bilancio ordinario e dai contributi volontari; 3. Coinvolgimento della comunità scientifica per un processo decisionale informato; Diffondere informazioni ambientali e sensibilizzare l'opinione pubblica. Fornisce assistenza agli Stati e assicurare l'accesso alla tecnologia; 4. Assicurare la partecipazione attiva degli stakeholders (privati). L’UNEP diventa UNEA: L’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente Nuovo organo direttivo (dal 2014, conclusione e realizzazione della riforma frutto di rio+20) → definizione agenda globale; fornire orientamenti strategici; dialogo multistakeholder; promuovere partenariati per mobilitazione delle risorse. Un organismo in cui tutti gli Stati membri partecipano all'adozione della decisione è dotato di un rafforzato senso di legittimità. Valutazione della riforma: Riforma dell'UNEP, senza modificare il suo status giuridico; Organo sussidiario "atipico" , con 193 membri; ma ancora un organo sussidiario; 1. Membership universale nel Consiglio direttivo; (si rafforza il senso di legittimità) 2. Riforma della partecipazione della società civile al lavoro dell'UNEP → processo decisionale informato; 3. Aumento delle risorse finanziarie → forte coinvolgimento delle istituzioni finanziarie internazionali, come l'FMI e la Banca mondiale, nei lavori dell'UNEA. Ricapitolando: Che cos’è la governance? tutto quello che riguarda la condotta dei soggetti o tutte le norme, ovvero il quadro istituzionale di attuazione, revisione e adattamento delle norme. Per governance ambientale intendiamo tutti i processi normativi e istituzionali che regolano l’ambiente. Qual è l’ente più importante? L’UNEP. Programma istituito in seguito alla conferenza di Stoccolma nel 72, è stato creato con un compito estremamente complesso per un organo sussidiario. l’UNEP ha un compito molto importante, per quelli che interessano a noi: assistenza tecnica agli stati, fa un’azione di supporto degli stati in materia di norme di protezione dell’ambiente, ha il compito di coordinamento dei programmi ambientali da tutti gli organi UN, ha una funzione di raccolta delle informazioni e diffusione delle informazioni, promuove lo sviluppo di trattati internazionali ambientali, e poi supporta la progettazione e realizzazione di programmi ambientali. Abbiamo anche altre funzioni, come le linee guida in tema di risarcimento per i danni ambientali. Il finanziamento dell’UNEP è basso, poiché questo organo, non viene visto come un ente operativo, piuttosto un ente coordinativo. Aspetto ancora fondamentale che riguarda le convenzioni ambientali è che l’UNEP svolge la funzione di Segretariato di alcune convenzioni. QUESTIONI DELLA GOVERNANCE: si è partito proprio dall’unep per arrivare poi attraverso vari negoziati, ha delle opzioni di riforma da portare alla Rio+20. Queste cinque opzioni di riforma è il Nairobi-Helsinki Outcome. 1.Cambiare la struttura dell’UNEP e di rendere la membership universale, qualcosa che abbia una partecipazione più ampia possibile, 2. chiudere l’UNEP e istituire un istituto specializzato sul modello di tante altre organizzazioni sul modello della FAO, oppure OMS. Si arriva con queste proposte alla Rio+20. Si decide di chiudere la ex commissione per istituire un forum politico di alto livello in cui ci si riunisce annualmente a livello di ministri dell’ambiente e ogni 4 anni a capi di stati e governo , tenere l’attenzione alta sull’agenda 2030, al termine della conferenza di Rio porterà all’attuazione dell’Agenda 2030 e portarla ai più alti capi di stato e di governo. Dal punto di vista dell’UNEP si decide di introdurre la membership universale, di prevedere una quota stabile da parte dell’ONU (di finanziamenti), introdurre meccanismo di coinvolgimento del settore privato e della società civile per favorire i procedimenti informati. Il nuovo organo direttivo si chiama Assemblea delle nazioni unite per l’ambiente che ha la stessa formazione della GA (assemblea generale). Dal punto di vista giuridico ha valore zero, cambia dal punto di vista politico perché l’atto adottato è firmato da 193 stati, quindi ha carattere più democratico e legittimo . Resta invece da chiarire un elemento, ovvero il paragrafo 89 della decisione di Rio , il rapporto ed il coordinamento delle convenzioni ambientali perché è possibile trovare delle sovrapposizioni di competenze. 10. Caso Argentina Uruguay: Il caso Argentina-Uruguay riguarda la costruzione di due cartiere e un porto sul fiume Uruguay, che funge da confine tra i due paesi. Inizialmente, l'Argentina ha sollevato preoccupazioni riguardo agli impatti ambientali di queste costruzioni, citando gli obblighi sanciti nello Statuto del 1975, che richiede un regime comune per lo sfruttamento del fiume e la prevenzione dell'inquinamento. L'Argentina ha chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia (CiG) di adottare misure cautelari per sospendere la costruzione delle cartiere, sostenendo che la loro realizzazione danneggerebbe l'ambiente e la popolazione circostante. La Corte ha esaminato se avesse giurisdizione sul caso, confermando che poteva basarsi solo sullo Statuto del 1975 e che la richiesta di misure cautelari riguardava principalmente danni ambientali e non obblighi economici. Tuttavia, ha respinto la richiesta dell'Argentina perché mancavano prove concrete di danni ambientali immediati e irreversibili. (misure cautelare può essere adottata per situazioni gravi che riguardano danni immediati e irreversibili) Successivamente, l'Uruguay ha presentato una richiesta di misure cautelari, sostenendo che l'Argentina stesse aggravando la controversia con blocchi stradali. Anche questa richiesta è stata respinta dalla Corte, poiché non rientrava nel campo di giurisdizione della CiG. Nel merito della questione, la Corte ha esaminato gli obblighi procedurali e sostanziali delle parti. Ha stabilito che l'Uruguay ha violato gli obblighi procedurali riguardanti la comunicazione e la trasmissione di documentazione ambientale. Tuttavia, ha ritenuto che l'Argentina non avesse dimostrato in modo sufficiente i danni ambientali derivanti dalla costruzione delle cartiere. La Corte ha quindi valutato gli obblighi sostanziali, ma ha rilevato che l'Argentina non ha fornito prove sufficienti per dimostrare violazioni specifiche degli standard ambientali. Inoltre, ha chiarito che gli standard tecnici dell'Unione Europea citati dall'Uruguay non erano vincolanti e che l'obbligo di consultare la popolazione non era stato violato. Infine, la Corte ha esaminato i dati ambientali presentati dalle parti, notando discrepanze nella metodologia di raccolta dati e nella collocazione dei centri di monitoraggio. Ha stabilito che l'Argentina non ha fornito prove sufficienti del nesso causale tra l'attività delle cartiere e i presunti danni ambientali. In conclusione, la Corte ha riconosciuto violazioni degli obblighi procedurali da parte dell'Uruguay ma ha respinto le richieste di misure cautelari dell'Argentina e ha negato la richiesta di riparazione dei danni ambientali. L'Argentina ha presentato diverse richieste alla Corte Internazionale di Giustizia (CiG) riguardo al caso delle cartiere sul fiume Uruguay: Adempimento degli obblighi procedurali: L'Argentina ha chiesto che l'Uruguay rispetti gli obblighi procedurali previsti dallo Statuto del 1975, in particolare l'obbligo di comunicazione o notifica riguardante la costruzione delle cartiere. Ha sostenuto che la mancata trasmissione delle valutazioni ambientali violasse tali obblighi. Non violazione dell'articolo 44 dello Statuto del 1975: L'Argentina ha richiesto che l'Uruguay non autorizzi la costruzione delle cartiere, sostenendo che ciò avrebbe costituito una violazione dell'articolo 44 dello Statuto del 1975, che riguarda la prevenzione dell'inquinamento del fiume. Protezione della popolazione: L'Argentina ha chiesto che la Corte assicurasse che la popolazione che vive attorno al fiume non subisse danni a causa della costruzione delle cartiere. Per quanto riguarda le risposte della Corte, queste sono state dettagliate e basate su una valutazione accurata delle argomentazioni e delle prove presentate dalle parti: Giurisdizione: La Corte ha confermato la propria giurisdizione basandosi sull'articolo 60 dello Statuto del 1975, che costituisce la base giuridica per il caso. Ha chiarito che la sua competenza si limita all'applicazione dello Statuto del 1975 e non si estende a trattati o accordi internazionali diversi. Obblighi procedurali: La Corte ha accertato la violazione da parte dell'Uruguay degli obblighi procedurali, in particolare riguardo alla mancata notifica o comunicazione alla Commissione Amministrativa del Rio Uruguay (CARU) prima della costruzione delle cartiere. Obblighi sostanziali: La Corte ha esaminato attentamente le richieste relative agli obblighi sostanziali, valutando se l'Uruguay abbia violato norme come lo sviluppo sostenibile e la protezione ambientale. Ha concluso che, nonostante le criticità sollevate dall'Argentina, non è stato dimostrato in modo sufficiente che l'Uruguay abbia violato tali obblighi. supportata da informazioni. Il segretariato (UNEP) deve, entro due settimane, inviare copia all’altra parte e raccogliere la risposta di questa. Una volta ricevuta e valutata la risposta il segretariato, se ritiene che sussistano i motivi per la valutazione della situazione di non conformità trasmette al comitato di implementazione le informazioni il più velocemente possibile. Il segretariato può richiedere ulteriori informazioni allo stato interessato. Nel Paragrafo 4 viene introdotto il secondo meccanismo, quando una parte conclude che non riesce ad attuare in modo completo l’obbligo può lui stesso notificare al segretariato, dimostrando le ragioni che hanno portato alla non conformità. In questo caso, non c’è una valutazione da parte del segretariato. Il suo ruolo cambia, perché trasmette direttamente alla commissione di implementazione. in questo caso (auto denuncia), i membri del comitato diventano poi 10 parti, Dura due anni, ma ogni anno cambiano 5 membri. la composizione: richiede una composizione multidisciplinare, (tecnica e politica).Spetta allo stato individuare la persona. Il comitato deve riunirsi due volte l’anno a meno che non decidano diversamente. Il comitato di attuazione deve considerare tutte queste informazioni con l’obiettivo di assicurare una soluzione amichevole. Atto conclusivo del lavoro del Comitato è quello di fare reporting e raccomandare al meeting delle parti l’adozione di determinate misure. Questo Report viene sottoposto alle parti almeno 6 settimane prima dalla conferenza. La parte sotto inchiesta può partecipare al meeting. Non essendoci un regolamento di procedura, la raccomandazione proposta dalla conferenza delle parti, si adotta per analogia quello della convenzione di Vienna, che prevede il consensus. l'annesso 5: ci dà una lista indicativa secondo le misure che il comitato può adottare alla conferenza delle parti. il comitato raccomanda le decisioni da prendere, ma Il potere decisionale è della Conferenza delle parti, che è un organo politico. Non è un tribunale, è una valutazione finale politica Le misure sono elencate dalle più blande alle più pesanti: ● assistenza appropriata, misure di facilitazione, di supporto allo stato, trasferimento delle tecnologie, assistenza finanziaria. ● le avvertenze, un warning, e si può adottare nelle situazioni in cui c’è una non conformità ma non bisogna adottare alcun altro tipo di provvedimento. ● sospensione, con clausola che riconduce alle regole generali della sospensione dei trattati, dei diritti e privilegi concessi dal protocollo, Sono regole quasi sanzionatorie che vanno ben oltre il meccanismo di amicizia. Il caso della Russia, 1995: siamo nella sesta conferenza delle parti. Il delegato russo fa uno Statement in cui, chiede alla conferenza delle parti di derogare all’obbligo della convenzione a nome suo e di queste altre parti. Questo Statement viene raccolto, il quale lo processa come un self triggering. Ovvero un’informazione di autodenuncia di non conformità. In quanto self triggering trasmette lo Statement al comitato di implementazione. Quest’ultimo, al primo incontro utile, chiede a tutte le parti di dare spiegazioni di questo Statement e di fornire informazioni. Accertata la situazione di non conformità chiede alla parte di cooperare alla formulazione di eventuali raccomandazioni. Tra queste misure. Si da conto che la Russia ha dato informazioni circa l’eventuale piano di rientro dalla situazione di non conformità. La misura è il divieto di commerciare sostanze al di fuori della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti). Viene adottata una misura commerciale, rientrante nella lettera C delle misure. In questo caso quando viene sottoposta questa bozza e viene chiesto alla Conferenza di approvarla, c’è l’opposizione della Russia, perché non è una misura prevista dall’elenco. Su questo aspetto il dibattito chiarisce che è una lista indicativa, quindi, che debba rientrare per forza nell’annesso V; e rispetto all’adozione della decisione inizia quella prassi secondo la quale la parte coinvolta può partecipare e votare. Si afferma una prassi che va in direzione contraria all’unanimità e questo nonostante la mancanza di norme di procedura. La Russia ha comunicato alla conferenza successiva le misure adottate e l’anno successivo era perfettamente rientrata nel suo piano di conformità. 13: La convenzione quadro sui cambiamenti climatici (1992) AG: ha riportato il tema dei cambiamenti climatici al centro del sistema ONU. La Convenzione è stata presentata in occasione della Conferenza di Rio. È una convenzione quadro, che contiene degli obblighi specifici. La finalità della Convenzione (art. 2) non è la riduzione delle emissioni, ma la stabilizzazione delle emissioni. Si cerca di creare un meccanismo che consenta di bloccare quantitativamente le concentrazioni di gas nell’atmosfera La stabilizzazione deve essere raggiunta in un tempo sufficiente a consentire agli ecosistemi di adattarsi naturalmente al cambiamento climatico. Si è posto il problema della differenziazione degli obblighi tra le Parti. La Convenzione ha due Annessi: 1. il primo elenca tutti gli Stati sviluppati e le economie in transizione, mentre 2. il secondo annesso elenca i Paesi dell’area OCSE. I Paesi elencati nel secondo Annesso sono i Paesi che si devono fare carico degli obblighi finanziari derivati dalla Convenzione. Articolo 1: definizioni dei concetti. Articolo 2: obiettivi. Articolo 3: principi. Articolo 4: obblighi. -Obblighi generali: - presenta un inventario delle emissioni di gas effetto serra che non sono stati inseriti nel meccanismo del Protocollo di Montreal. - gli stati devono formulare programmi nazionali o regionali contenenti misure di mitigazione del cambiamento climatico. I programmi devono considerare: - riduzione delle emissioni - capacità dei pozzi di assorbimento delle emissioni - promuovere la cooperazione per controllare, ridurre o prevenire le emissioni. - cooperare per prepararsi all’adattamento all’impatto del cambiamento climatico - diffondere consapevolezza della questione e favorire la circolazione di informazioni scientifiche e giuridiche. 2.Obblighi per i Paesi dell’Annesso I: - adottare politiche nazionali e politiche di attuazione delle stesse per limitare le emissioni di gas effetto serra. - comunicare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della Convenzione e poi periodicamente, le misure adottate per ridurre le emissioni. - calcolare le emissioni dei gas effetto serra, tenendo conto delle migliori conoscenze scientifiche disponibili (principio Best Available Technologies) e del contributo nazionale alle emissioni. - la Conferenza delle Parti, nella prima sessione, deve valutare l’adeguatezza dei punti (a) e (b), deve definire le modalità per l’attuazione congiunta. -la Conferenza, come prima decisione, convoca una Conferenza per negoziare un Protocollo di definizione degli obblighi aggiuntivi. - le Parti devono coordinarsi tra loro per raggiungere gli obiettivi della Convenzione. 3. obblighi per I Paesi più ricchi (Annesso II) - devono fornire risorse finanziarie nuove e aggiuntive per sostenere i costi addizionali a carico dei Paesi in via di sviluppo, per permettere loro di conformarsi agli obblighi della Convenzione. - Paesi dell’Annesso II devono assistere i Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico (costi di adattamento) - I Paesi dell’Annesso II devono adottare tutte le misure appropriate possibili per promuovere, facilitare e finanziarie il trasferimento o l’accesso alle tecnologie e alle conoscenze agli altri Paesi. -si riconosce un grado di flessibilità per le Parti che stanno affrontando un processo di transizione economica. La norma si riferisce ai Paesi che uscivano dal blocco sovietico. I paragrafi 7 e 8 non contengono obblighi, ma rispecchiano il sistema: 7. La misura in cui gli Stati in via di sviluppo dovranno effettivamente adattarsi agli obblighi della Convenzione dipende dall’effettiva attuazione degli stessi da parte degli Stati sviluppati, in particolare rispetto alle risorse finanziarie e al trasferimento di tecnologie. 8.nell’attuazione di tutti gli impegni contenuti nell’art. 4, le Parti devono considerare quali azioni sono necessarie per affrontare i bisogni speciali dei Paesi in via di sviluppo, Articolo 7: organi creati dalla Convenzione. 1.Conferenza delle Parti, deve: - monitorare l’attuazione della Convenzione; - adottare le decisioni necessarie per l’effettiva attuazione della Convenzione. la COP deve esaminare periodicamente l’attuazione collettiva degli obblighi. - adottare report annuali sullo stato di attuazione della Convenzione; - formulare raccomandazioni su tutte le questioni relative all’attuazione della Convenzione; - adottare le direttive relative ai finanziamenti dell’attuazione della Convenzione; - istituire gli organi sussidiari opportuni. La COP si riunisce annualmente. Sono previsti degli osservatori. 2. Segretariato, con funzioni amministrative Ha sede a Bonn e si occupa di: - organizzare le sessioni della COP; - compilare e trasmettere i report; - assistere le Parti per la realizzazione delle comunicazioni richieste dalla Convenzione; - gestire il coordinamento con i Segretariati di altre convenzioni internazionali. Articolo 9: organi sussidiari: La COP ha istituito un organo sussidiario di carattere scientifico, aperto alla partecipazione di rappresentanti governativi, ritenuti esperti in materia. che si riunisce in sessione plenaria o diviso in due sezioni: • sezione di facilitazione; • Sezione di enforcement. Ciascuna sezione ha 10 membri del Comitato al suo interno. Ciascuna sezione deve contare: • (5) Un membro da ciascuno dei cinque gruppi regionali delle Nazioni Unite; • (1) Un membro rappresentante delle piccole isole del Pacifico; • (2) Due membri dalle parti dell’Annesso I; • (2) Due membri dagli Stati non parte dell’Annesso I. a) La sezione di facilitazione, infatti, si limita a fornire supporto, assistenza questa sezione è stata pressoché non operativa, perché ha ricevuto un solo caso, inerente al Sud Africa, risolto per mezzo di un supporto allo Stato. b) La sezione di enforcement, invece, è più incisiva, grazie agli atti che può adottare. In primo luogo, la sezione ha un ruolo di accertamento delle situazioni di non conformità; la sezione, inoltre, può raccomandare allo Stato un piano per il rientro dalla situazione di non conformità. può anche svolgere un’analisi più approfondita, studiando le cause della non conformità, interrogando le parti circa le misure e le tempistiche necessarie per il rientro, ma anche adottando misure a carattere sanzionatorio (es. sospensione dall’utilizzo dei meccanismi di flessibilità). le misure sanzionatorie devono essere approvate dalla COP (ma, per il principio di leale collaborazione tra gli organi, è difficile che la COP non approvi una raccomandazione del ramo del Comitato). Il sistema, però, riguarda gli obblighi di riduzione; per questo motivo, dunque, è difficile che ne sia coinvolto un Paese in via di sviluppo (questi hanno meno obblighi e i livelli delle emissioni sono minori). Nel tempo, l’unico Paese in via di sviluppo che vi si è sottoposto (autodenunciandosi) è stato il Sud Africa. il Protocollo è ancora in vigore, nonostante non stia più producendo effetti; gli obblighi previsti dal Protocollo, infatti, sono stati superati dalle strutture create dall’Accordo di Parigi, ma il sistema di compliance previsto è tuttora in vigore. 15: DA KYOTO A PARIGI Gli USA, pur essendo il primo Stato per emissioni di gas serra, non hanno ratificato il Protocollo per tre motivi: • La riduzione delle emissioni non deve avvenire a scapito dello sviluppo economico e dell’occupazione; • Deve preferirsi un sistema di volontaria autoregolamentazione da parte delle industrie, favorita da un’azione persuasiva degli Stati; • Contrarietà alla logica delle responsabilità differenziate e non accettano che i PVS assumano obblighi meno stringenti. Cop di Bali (2007): si punta a dare una direzione più concreta ai temi ambientali, non trattando più solo la mitigazione, ma inserendo il tema dell'adattamento, come una necessità di tipo comune e da realizzare in merito ad una visione comune ed internazionale (fino ad allora l'adattamento era un tema prettamente interno, in mano al singolo stato) si inserisce per la prima volta la possibilità di una partecipazione dei PVS all'impegno di lotta alla crisi climatica. Cop 15 Copenaghen (2009): non si chiude come un accordo internazionale, ma come semplice intesa politica: frutto di contrasti da parte di india e Cina. è molto importante, perché vi hanno aderito ben 140 Stati, che ricoprono circa l’80% delle emissioni totali. L’Accordo viene negoziato, in parte, al di fuori della COP. in questa occasione, 1. per la prima volta, si parla dell’obiettivo di contenimento dell’innalzamento della temperatura terrestre entro i 2°C. 2. con questo Accordo inizia il meccanismo di contribuzione volontaria, per cui ciascuno Stato si impegna ad arrivare a un determinato risultato in materia di riduzione delle emissioni, in un periodo di tempo da lui stabilito. 3.Tra gli Stati che aderiscono all’Accordo ci sono anche, per la prima volta i PVS visto l'impegno finanziario richiesto di circa 30 miliardi, da parte dei paesi sviluppati, si inizia a discutere della necessità di un fondo per l'adattamento e la mitigazione nei paesi in via di sviluppo. (fondo istituito poi alla COP successiva di cancun) Cop 16 Cancun (2010) Gli esiti della COP16 del 2010, a Cancun (Messico), sono riassumibili nei Cancun Agreements, 32 decisioni, che riguardano l’evoluzione del sistema in chiave di cooperazione e adattamento. durante questo incontro si sancisce l’inserimento della questione dell’adattamento in una posizione di parità con il tema della mitigazione. 1. si pone l'onbiettivo di limitare l'aumento delle temperature sotto i 2° rispetto ai livelli pre-industriali. 2. si prendeva in considerazione di tentare di stare sotto il 1.5° come obiettivo post 2015 3. inserimento tra le modalità di mitigazione, la gestione sostenibile delle foreste (lotta alla deforestazione e alla degradazione delle foreste) 4. green climate found: un fondo che sostiene programmi e progetti, con il fine di mantenere le aree di foresta e verdi nei PVS 5. adaptation framework e adaptation found: meccanismi che hanno il fine di ridurre le vulnerabilità frutto dei cambiamenti climatici nei PVS. il fondo finanzia progetti che hanno il fine di potenziare l'adattamento nei PVS. 6. Forest Management Reference Level, ovvero informazioni sulla gestione forestale. 7. Technology Mechanism, che facilita lo sviluppo tecnologico, L’idea è quella di facilitare lo sviluppo in loco di tecnologie. Cop 17 Durban (2011) 1. il punto chiave di questo incontro è il prolungamento dell'accordo di kyoto fino al 2020 e 2. la creazione di un ad hoc group con il compito di sviluppare un protocollo, o un altro strumento giuridico o un risultato concordato con forza di legge da completarsi entro e non oltre il 2015, per poter poi entrare in vigore nel 2020, quando il Protocollo di Kyoto sarebbe scaduto. si aprono così 2 tavoli di negoziazione. Cop 18 Doha (2012) La conferenza ha portato a una serie di decisioni denominate “Doha Climate Gateway." 1.Queste decisioni includono una serie di modifiche al Protocollo di Kyoto, dovute per renderlo operativo su un secondo periodo di impegno (post-2012) il prolungamento dell'attuazione del trattato richiedeva la ratifica di almeno 144 Stati. Cop 19 Varsavia: concentrò il lavoro negoziale sull'attuazione degli accordi raggiunti nelle sessioni precedenti, tra cui il proseguimento dell’opera di Ad hoc group di durban. 1. l’ad hoc group invitava le Parti ad avviare o intensificare i preparativi per definire, prima della COP21, i cosiddetti Intended Nationally Determined Contributions (INDC), ossia i contributi alla riduzione globale dei gas serra che le nazioni intendevano dare su base volontaria e di farlo in maniera attraverso “clear and transparent plans”. L’UE ha stabilito i suoi INDC nella misura di un taglio del 40 percento delle emissioni registrate nel 1990 entro il 2030 e del 60 percento entro il 2040. 2. A Varsavia, inoltre, le Parti adottarono una decisione che istituì un meccanismo internazionale sulla perdita e sui danni associati agli impatti dei cambiamenti climatici (Warsaw International Mechanism) Meccanismo di varsavia: meccanismo di supporto nei casi di loss e damage (perdite economiche frutto degli effetti del cambiamento climatico) Ogni COP ha una decisione di apertura, ovvero una decisione politica di riferimento, che dà al sistema una direzione di carattere programmatico. 15.6: Alla COP20 di Lima viene presentato un testo che, ormai, in larga parte, è lo stesso che verrà poi adottato a Parigi. Rimangono infatti da discutere solo alcune opzioni. 1. Tra i punti discussi c’è la decisione dei contributi volontari da parte degli stati per finanziare gli impegni per mitigazione e adattamento. 16. L’Accordo di Parigi (COP21) è uno strumento giuridicamente vincolante nel quadro della Convenzione sul clima. È entrato in vigore il 5 ottobre 2016 dopo aver raggiunto il quorum di 55 Paesi, che generano il 55 per cento delle emissioni globali. Gli obiettivi dell’Accordo di Parigi L’Accordo di Parigi persegue l’obiettivo di limitare ben al di sotto di 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale, puntando a un aumento massimo pari a 1,5 gradi. Inoltre mira a orientare i flussi finanziari verso uno sviluppo a basse emissioni di gas serra e a migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici. Principi comuni dell’Accordo di Parigi 1. Ogni cinque anni, tutti i Paesi devono inoltrare e illustrare un obiettivo di riduzione fissato a livello nazionale (Nationally Determined Contribution, NDC). Il raggiungimento degli obiettivi è vincolante solo dal punto di vista politico. Per contro, l’attuazione delle misure nazionali, la rendicontazione sugli obiettivi e la relativa verifica internazionale sono vincolanti. (gli obiettivi successivi devono dipendere da quello precedente ed essere il più ambizioso possibile. 2. L’Accordo pone in gran parte fine alla distinzione in senso stretto fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Ai Paesi più poveri viene concesso un certo margine di discrezionalità nell'attuazione. 3. tutti i Paesi devono elaborare, presentare e aggiornare a scadenze regolari strategie e misure di adattamento. Ogni Paese può definire autonomamente il momento e la forma della presentazione a livello internazionale.I Paesi sono inoltre tenuti a stilare un rapporto periodico sulle misure di adattamento. L’accordo rafforza i meccanismi esistenti di prevenzione e riduzione delle perdite e dei danni (Loss and Damage) CEDU, ai quali viene riconosciuto un effetto diretto nell’ordinamento nazionale. Denuncia fatta attraverso il tribunale distrettuale (penale) In appello, dunque, si ritrova lo Stato, perché contrario all’adattamento delle proprie politiche, ma anche la Fondazione, in merito alla mancanza di un pregiudizio diretto. L’appello viene deciso nel 2018. 16: MIGRAZIONI CLIMATICHE Dal punto di vista giuridico, invece, si assume un approccio di carattere preventivo, non da intendere in senso di prevenzione, ma legato a quanto la misura di adattamento riesce a incidere sul sistema socioecologico. Misure di adattamento - consentono di adattarsi al cambiamento climatico: • Di carattere informativo, sistemi di early warning; • Di prevenzione dei disastri naturali; • Di carattere economico. Le forme di protezione, da intendere in senso ampio, possono essere: • Complementari; • Sussidiaria (nel sistema UE); • Temporanea. Secondo gli ultimi rapporti UNHCR circa 100 milioni degli spostamenti che avvengono sono forzati, a causa di fattori climatici o di conflitti. I casi considerati sono stati decisi dal Comitato per i diritti umani, organo di monitoraggio istituito dal Patto sui diritti civili e politici. Il Comitato è competente a ricevere anche comunicazioni individuali, non è considerabile un organo giurisdizionale. Per lo stesso motivo, il Comitato emette “views” e non decisioni vincolanti. (dei commenti) Il Comitato, inoltre, propone documenti che interpretano in modo generico le Convenzioni di riferimento (c.d. General comments). 16.1 Caso Teitiota vs. New Zealand Nella domanda per ottenere lo status di rifugiato in Nuova Zelanda, Teitiota dichiara che si è dovuto spostare dalla repubblica di Kiribati a causa delle precarie condizioni legate al cambiamento climatico, (innalzamento delle acque) Egli, quindi, sostiene che la zona da cui proviene è ormai inabitabile per vari motivi, legati in generale al problema di innalzamento delle acque, tale innalzamento ha salinizzato i terreni coltivabili e i pozzi di acqua potabile. La Corte suprema neozelandese analizza la richiesta di protezione internazionale. Nell’analizzare la richiesta di status di rifugiato, i tribunali affermano che, prendendo in considerazione la richiesta stessa, essa non ricade in alcuna delle cinque categorie di protezione stabilite dalla Convenzione di Ginevra. quindi, si analizza l’eventuale forma di protezione derivante dalla violazione del diritto alla vita. In questo caso, dunque, interviene il divieto di respingimento del richiedente, perché nel suo Paese d’origine subirebbe un trattamento disumano e degradante o comunque vivrebbe una situazione che gli renderebbe impossibile condurre una vita dignitosa. Entrambe le parti riconoscono l’esistenza di un problema legato al cambiamento climatico. Basandosi su analisi di carattere scientifico, però, vengono indicate delle tempistiche (10 - 15 anni), entro le quali la zona di Kiribati è da considerarsi ancora abitabile. A questo punto bisogna considerare il diritto alla vita, Chi invoca la violazione del diritto alla vita deve dimostrare di aver già subito un pregiudizio o deve dimostrare un rischio grave e imminente che minacci il proprio esercizio di tale diritto. Bisogna quindi valutare l’eventuale imminenza rispetto al rischio (entro le tempistiche stabilite, in questo caso 10 - 15 anni, lo Stato è in grado di intervenire, con il supporto della comunità internazionale, per evitare che si verifichi la violazione del diritto?). Rispetto a questo caso specifico, la Corte non riconosce la violazione del diritto alla vita, perché considera le tempistiche stabilite come non imminenti. Alla decisione del Comitato vengono allegate due opinioni dissenzienti, relative a: • Inadeguatezza della valutazione dell’imminenza rispetto al rischio che il territorio venga sommerso; • Onere della prova posto in capo al ricorrente eccessivamente elevato. A commentare tali casi ci ha pensato Il Comitato (comitato per i diritti umani), infatti, per la prima volta afferma che il cambiamento climatico è un elemento che può portare alla lesione del diritto alla vita. Il Comitato, inoltre, afferma che, nella misura in cui lo Stato è colpito da una situazione estrema relativa al cambiamento climatico, troverebbe applicazione anche il principio di non refoulement (strumento che precede le forme di protezione) Principio: sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra che stabilisce solo il divieto di respingimento del richiedente asilo. Un’interpretazione estensiva del principio, invece, stabilisce che, per evitare che il richiedente venga sottoposto a torture o trattamenti disumani nel Paese d’origine, lo Stato ricevente non può respingerlo. Il Comitato, infine, sottolinea l’estrema difficoltà di distinguere i fenomeni climatici; l’interpretazione del non refoulement, infatti, può trovare applicazione sia in merito a fenomeni a lenta insorgenza (con una valutazione più importante sul concetto di imminenza e di capacità dello Stato), sia in merito a fenomeni a rapida insorgenza. 16.2 Caso Billy vs. Australia Ricorso presentato da otto persone appartenenti a una minoranza residente nelle isole dello Stretto di Torres (Australia), facilmente soggette a fenomeni di allagamento o innalzamento del mare. Problema denunciato: l’innalzamento delle acque mette a rischio, le terre coltivabili e i pozzi di acqua potabile, e diverse abitazioni rischio o già distrutte da eventi climatici. A causa degli eventi climatici, inoltre, è stato impossibile reperire alcuni frutti, elementi primari delle diete del gruppo, nonché alcuni pesci, estinti a causa della progressiva erosione delle barriere coralline. Il gruppo di 8, chiede allo stato (australia) di intervenire, per garantire l’esercizio del: • Diritto alla vita (art 2. CEDU e art 6 del Patto diritti civili e politici), inteso nella sua accezione del diritto a una vita dignitosa. • Diritto alla vita privata e familiare (art. 17 Patto); • Diritti dei minori (art. 24 Patto), i ricorrenti agiscono anche in nome e per conto di cinque minori, loro figli, cui sono stati negati diritti legati all’equità intergenerazionale; • Diritti culturali delle minoranze (art. 27 Patto). (causa innalzamento, non hanno accesso ad aree a loro sacre) La situazione pone un problema riguardo la valutazione della condotta statale. I ricorrenti, inoltre, invocano anche la violazione dell’art. 2 del Patto, che riguarda l’obbligo generale degli Stati di garantire l’esercizio dei diritti sanciti dal Patto. Il Comitato, però, non potendo condurre una valutazione generale, non si esprime in merito a questa possibilità. Lo Stato, innanzitutto, contesta la possibilità di valutare condotte legate all’attuazione di altre convenzioni internazionali poiché il Comitato ha riconosciuto l’impatto dei cambiamenti climatici sull’esercizio dei diritti del Patto, questi non possono essere interpretati in modo rigido. Il secondo problema posto dallo Stato riguarda l’ammissibilità, legata nello specifico all’esaurimento dei mezzi di ricorso interni. I ricorrenti, infatti, non hanno mai presentato ricorso all’interno dello Stato ma, di fatto, il Comitato adotta un’interpretazione ampia, affermando che tale principio vale solo se, effettivamente, nell’ordinamento statale è previsto un meccanismo in grado di sancire violazioni dei diritti umani. Il Comitato, dunque, afferma l’inesistenza di un meccanismo effettivo interno. Il Comitato, quindi, passa all’analisi del Piano nazionale di Adattamento e della sua attuazione. Per prima cosa, il Comitato considera il mancato rispetto, da parte dell’Australia, degli impegni di costruzione dei sea walls nei territori considerati; i ritardi nella costruzione di questi dispositivi hanno causato le inondazioni delle terre e dei cimiteri. La seconda problematica è relativa all’aumento, da parte dell’Australia, delle emissioni. Il Comitato non riconosce la violazione del diritto alla vita, perche la soglia di violazione è estremamente alta; bisogna considerare l’imminenza del danno alla vita rispetto alla gravità. I disagi che la popolazione ha subito, quindi, non ammontano a una violazione del diritto alla vita. A favore della tesi, il Comitato sottolinea l’esistenza di alcuni piani di emergenza messi in atto dall’Agenzia regionale, tra cui il rifornimento di acqua potabile e di cibo. In merito all’art. 24, il Comitato non si pronuncia, perché quanto presentato dai ricorrenti riguarda i pregiudizi subiti riguardano adulti e minori insieme), nello specifico, da accertare è dunque la violazione del diritto alla vita privata e familiare e dei diritti delle minoranze. Il Comitato, quindi, contesta all’Australia la condotta che riguarda le misure di mitigazione, affermando che lo Stato, aumentando le proprie emissioni, sta riducendo l’efficacia delle misure stesse. Lo Stato, dunque, è obbligato a stabilire dei meccanismi di consultazione con la popolazione delle isole, per comprendere quali misure possono essere efficaci; il Comitato, inoltre, obbliga lo Stato a produrre, entro 180 giorni, un report in merito ai propri impegni. 17: 1. LA TRANSIZIONE ECOLOGICA Quando si parla di diritto ambientale ci si riferisce a tematiche che nascono da concetti tecnico- scientifici a cui sono seguite poi azioni politiche. Il Diritto ambientale è un settore di Diritto Internazionale. Quando si parla di transizione ecologica si parla di un processo dotato di date di riferimento, legate alle tempistiche degli attori internazionali. Si tratta quindi di un percorso e non di un qualcosa realizzabile in tempi rapidi. Si tratta di cambiare paradigma dell’economia complessiva, dai moderni di governance fino ai comportamenti della collettività e dei singoli. la sfida ambientale è strettamente collegata anche a un discorso di responsabilità individuale. La transizione ecologica è quindi un processo a lungo termine che riguarda sviluppi su larga scala a livello tecnologico, economico, ecologico, socio-culturale e istituzionale. Transizione ecologica: è un Processo di trasformazione (trasformativo), che riguarda tutti, e che vuole portarci verso un modello di sviluppo sostenibile e garantire qualità di vita e benessere. La scelta di andare verso lo sviluppo sostenibile: ● è legata alla scelta di sopravvivere e al rapporto tra risorse limitate e numero di umani. E a due grandi temi: cambiamenti climatici, perdita di biodiversità. la tutela dell’ambiente e la transizione ecologica, dunque, non può avere soluzioni semplici.  2015, Accordo di Parigi Agenda 2030: - La lotta ai cambiamenti climatici costituisce uno degli obiettivi dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile Accordo di Parigi - Piano d'azione per limitare il riscaldamento globale- fissa impegni equi e ambiziosi per tutte le Parti nell'ambito della lotta ai cambiamenti climatici articolo 2: Il presente Accordo mira a rafforzare la risposta mondiale alla minaccia posta dai cambiamenti climatici, sviluppo sostenibile e degli sforzi volti a eliminare la povertà. a) mantenendo l'aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e proseguendo l'azione volta a limitare tale aumento a 1,5 °C Altri passi importanti sono stati: - UNFFCCC: United Nations Framework Convention on Climate Change; - CBD: Convention on Biological Diversity. Il Convention on Biological Diversity è un trattato internazionale giuridicamente vincolante: molto importante. Ha tre obiettivi principali: - conservazione della biodiversità - uso sostenibile della biodiversità - giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche. Il 20 maggio 2020 è stata adottata, a Bruxelles, la EU Biodiversity Strategy 2030. Il tema della biodiversità è piuttosto complesso: solo il 20% degli europei, infatti, sa di cosa si tratta. 19: ISPRA L’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale 1. è un ente pubblico di ricerca, con autonomia tecnico scientifica svolge compiti finalizzati alla tutela dell’ambiente. 2. Le competenze dell’istituto sono la conservazione della biodiversità; monitoraggio dell’ambiente; coordinamento delle attività per emergenze e ispezioni ambientali; L’espressione “reporting ambientale” con un’accezione più ampia, comprende l’informazione e la comunicazione sull’ambiente in senso lato. STRUMENTI DI MONITORAGGIO DELLE POLITICHE: i monitoraggi ambientali sono tutti regolati da delle norme. Abbiamo un'esigenza normativa, degli obiettivi da monitorare e degli strumenti ovvero gli indicatori ambientali. Monitoraggio->Produzione dati->Analisi dati->Reporting. L’obbligo del reporting è quello di rispondere agli obblighi di comunicazione di dati utili a dimostrare l’ottemperanza a impegni assunti dall’Italia nell’ambito di accordi sovranazionali o derivanti da direttive comunitarie come il protocollo di Kyoto. CAPITALE NATURALE: parliamo dell’intero stock di risorse che contribuiscono alla produzione dei beni e servizi per l’uomo e necessari alla sua sopravvivenza. L’attuale tasso medio di estinzione è superiore del 1000% rispetto agli anni precedenti, tutte le azioni risultano tuttavia comunque inefficienti per contrastare tale problema. CAPITALE NATURALE: un game changer viene introdotto perchè viene ripreso il concetto di capitale d’impresa ovvero l’investimento d’impresa che va mantenuto perché senza l’impresa non è più in grado di mantenere il proprio profitto. L’ambiente è sopravvivenza per l’umano e soprattutto genera benessere e benefici all’uomo. Per poter prendere decisioni consapevoli è necessario capire come calcolare il capitale. Per capire quali sono i rischi ambientali, dobbiamo includere degli obiettivi di policy sostenibili e mantenere il capitale minimo alla sopravvivenza. 19. SNPA – Sistema nazionale per la protezione ambientale: legge 68/2015. L’ambiente è un elemento giuridicamente apprezzabile e si tratta di un bene da tutelare. L’utilizzo del diritto penale che ha come scopo di sanzionare i comportamenti giuridicamente scorretti. Primo passo è stato creare il ministero della transizione ecologica. la protezione e prevenzione ambientale in Italia è collegata ad alcuni articoli della nostra costituzione (2,9,32 e 41). Nel diritto alla persona, fondamentale è anche poter godere di un ambiente adatto, dove si può vivere una buona qualità di vita. 1. L’Art.2, principi fondamentali: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, la costituzione ci chiede di svolgere dei doveri INDEROGABILI di solidarietà politica, economica e sociale. (sviluppo sostenibile) 2. L’Art.9, principi fondamentali: La Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. (promuove sviluppo, ricerca e tecnica e e tutela i paesaggi = sviluppo sostenibile) 3. L’Art. 32, rapporti etico-sociali: LA Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Interesse della collettività, è una costituzione nettamente anti-individualista. 4. L’Art.41, rapporti economici: di questo articolo c’è da sottolineare che La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Il danno inammissibile alla salute dell’ambiente per l’iniziativa privata. Il valore della parola sicurezza che non è solo quella nazionale, ad esempio, ma è un insieme molto più ampio. Sentenze: 1. Sentenza n.210 e n.641 del 1987 della Corte costituzionale dove l’ambiente viene riconosciuto un bene giuridico tutelato da norme e la sua protezione diventa diritto fondamentale della persona umana, oltre che un valore costituzionale primario assieme alla salute individuale e collettiva. Modifiche negli articoli 9 e 41 in cui viene introdotto il principio della biodiversità e dell’ecosistema. Nell’articolo 41 in particolare vengono aggiunti i termini salute e ambiente. Anche nel Titolo V della Costituzione in particolare l’articolo 117 che segna la ripartizione delle competenze tra stato e regioni il legislatore aggiunge la lettera S ovvero lo stato ha la legislazione esclusiva sulla tutela dell’ambiente, ecosistema e dei beni culturali. 1. L’istituzione del Ministero dell’Ambiente si ha con Legge del 8 luglio 1986, n.349, “Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale” 2. -Legge 21 gennaio 1994, n.61 riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente” ANPA 3. -Legge 6 agosto 2008, n.133 istituzione dell’ISPRA 4. -Legge 28 giugno 2016, Ministero dell’Ambiente, Istituzione del SNPA (sist. Nazionale protezione ambiente) - SNPA ovvero migliorare il sistema di governance e arrivare all’omogeneizzazione delle governance e delle azioni. L’organizzazione della SNPA ha numerose attività: raccordo tecnico- scientifico e operativo tra stato e regioni, omogeneizzazione ed efficacia dell’azione, sviluppo coordinato delle attività la nuova organizzazione del sistema tecnico pubblico posto a tutela dell’ambiente, delineata dalla Legge 28 giugno 2016, n.132, lega livelli di competenze normative/amministrative con le funzioni del SNPA: monitoraggio dello stato dell’ambiente attività ispettive, di indagine e di collaborazione all’attività giurisdizionale. Controlli ambientali sono per il SNPA prerogativa ex lege: L.132/2016 art.29-decies, D.lgs 152/2006, art.27 del D.lgs 105/2015, DPR 13 Marzo 2013 n.59 e poi la legge 68/2015 (Ecoreati), da la possibilità di avere dei contatti con la Polizia giudiziaria e di creare delle regole condivise con base tecnico scientifica dei procedimenti che siano autorevoli, omogenea sul territorio e mirata alla specificità delle violazioni. Tutela dell’ambiente: Direttiva 2008/99/CE in tutela penale dell’ambiente: obbliga gli stati membri a prevedere nella loro legislazione sanzioni per gravi violazioni delle disposizioni del diritto comunitario in materia di tutela dell’ambiente e le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. Facilita anche l’utilizzo di metodi d’indagine e di assistenza anche tra diversi stati membri. la risposta nazionale alla direttiva europea arriva con la legge del 22 maggio, 68/2015: nuova graduazione dei reati contro l’ambiente. La graduazione più importante è quella che dà il senso dell’efficacia alla legge 68/2015. L’impatto antropico va limitato, vi è bisogno quindi di un controllo, questi controlli sono efficaci se la sanzione blocca il circolo vizioso. Distinguere l’impatto antropico lecito da quello illecito, con contrasto alla criminalità ambientale. Art.452 bis c.p (inquinamento ambientale). L’iniziativa di riesame riguarda principalmente: i tipi e i livelli di sanzioni; la cooperazione giudiziaria; la criminalità organizzata; la raccolta di dati statistici; l’applicazione pratica della legge. Legge del 22 febbraio : "Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell'ambiente" Le modifiche sono contenute negli articoli 9 (diritti fondamentali) e 41 (iniziative economiche e sociali), che vanno letti in maniera integrata. ● L’art. 9 riconosce come diritto fondamentale la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi anche nell’interesse delle generazioni future (sviluppo sostenibile) + tutela degli animali. ● L’art 41 introduce i termini salute e ambiente: iniziative economiche private e pubbliche non possono agire contro la salute e l’ambiente, + (già presenti) sicurezza, dignità, e libertà umana. Nel 2016 con la legge 132, viene istituito il Sistema Nazionale della Protezione Ambientale – SNPA, un sistema a rete integrato che rendesse omogenee le attività di controllo, vigilanza, e monitoraggio ambientale sul territorio nazionale. ISPRA + agenzie regionali Trento e Bolzano = SNPA. I controlli ambientali sono il core business e la prerogativa di legge dell’SNPA 20: UNCOLOS – Montego-bay (Convenzione delle nazioni unite sul diritto del mare) in quanto accordo quadro, codifica tutto il diritto internazionale del mare. è un accordo che si è concluso nel 1982 (10 anni prima della conf. di rio) le norme in materia di tutela dell’ambiente marino. sono contenute nella parte 12 e divise in 11 sezioni. le norme della parte XII, dunque, danno una linea generale di tutela dell’ambiente marino. essere inclusi nella rendicontazione delle emissioni/assorbimenti. L’accordo incoraggia le parti ad attuare azioni di protezione e gestione sostenibile delle foreste come strumento di mitigazione ed adattamento Meccanismi di mercato delle emissioni (Art.6) Viene istituito un meccanismo di mercato centralizzato come azione di cooperazione allo scopo di ridurre le emissioni di gas effetto serra. e la contabilizzazione e commercializzazione dei crediti di riduzione delle emissioni. Global Stocktake (Art.14) Il Global Stocktake deve periodicamente fare il punto sui progressi collettivi verso l’obiettivo di lungo termine; il Primo Global Stocktake per considerare quanto fatto avrà luogo nel 2023 e successivamente ogni 5 anni. Trasparenza (Art.13) Il sistema della trasparenza (monitoraggio, comunicazione e verifica) delle azioni di mitigazione e del supporto finanziario sarà migliorato, pur riconoscendo le flessibilità per venire incontro alle diverse capacità delle Parti dell’accordo; le modalità e procedure comuni a tutte le Parti; Tale sistema è fondamentale al fine di monitorare i progressi verso i contributi nazionali e, quindi indirettamente, al fine di tracciare l’avanzamento verso l’obiettivo collettivo. Adattamento (Art.7) È stato stabilito un goal globale per aumentare la capacità di adattarsi, aumentare resilienza e ridurre vulnerabilità ai cambiamenti climatici; sarà necessario adattarsi indipendentemente dal livello di mitigazione tutti i paesi si devono impegnare ad implementare piani ed azioni di adattamento; per questo i paesi in via di sviluppo devono riceve supporto internazionale. Perdite e danni (Art.8) evitare, minimizzare e affrontare le perdite e i danni associati ai cambiamenti climatici, con un richiamo al meccanismo di Varsavia su Loss and damage. Finanza per il clima (Art.9) Uno degli obbiettivi fondamentali dell’Accordo è quello di ottenere una trasformazione delle economie rendendo nel lungo periodo tutti i flussi finanziari compatibili con la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Un obiettivo di breve periodo per la mobilizzazione delle risorse finanziarie che parta da almeno 100 miliardi di dollari all’anno verrà stabilito prima del 2025. Trasferimento di tecnologie (Art.10) E’ stata condivisa una visione a lungo termine che riconosce l’importanza di rafforzare lo sviluppo ed il trasferimento di tecnologie per migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici viene promossa l’innovazione tecnologica per fornire una risposta globale a lungo termine per i cambiamenti climatici, la crescita economica e lo sviluppo sostenibile. Compliance (Art. 15) L'accordo di Parigi prevede un Comitato di facilitazione e controllo che monitorerà gli sforzi dei Paesi, e li assisterà, se necessario, nell'attuazione degli impegni. Entrata in vigore dell‘Accordo di Parigi (Art.21) L’accordo entrerà in vigore quando:  almeno 55 Paesi avranno ratificato l‘Accordo e la copertura delle emissioni globali sarà significativa e raggiungerà almeno il 55%  Fino al 2020 le riduzioni delle emissioni sono regolate dal Protocollo di Kyoto e sono obbligatorie solo per i Paesi industrializzati;  Nel frattempo, dal 2016 al 2020, il Comitato ad Hoc dell'Accordo di Parigi (APA) assicurerà la preparazione tecnica per l'entrata in vigore e per l'attuazione dell‘Accordo. 22. LA POLITICA AMBIENTALE DELL’UE La politica dell’Ue in materia di ambiente si fonda sui principi di: - sviluppo sostenibile (art. 3 TUE); - integrazione (art. 11 TFUE); - azione preventiva (art. 191 TFUE); - precauzione (art. 191 TFUE); - correzione alla fonte dei danni causati dall’inquinamento (art. 191 TFUE); - “chi inquina paga” (art. 191 TFUE). Nel diritto derivato dall’UE lo sviluppo sostenibile funge da principio ispiratore alla base dei principi di tutela dell’ambiente. non si parla più di mera tutela della risorsa ambiente, ma si tratta di un principio entrato a far parte della strategia dell’UE di sviluppo sostenibile. Il principio di prevenzione sottende l’adozione di misure preventive per anticipare e, nei limiti del possibile, evitare danni ambientali, prima che essi si verifichino. Il principio di precauzione si occupa sempre di situazioni di danno potenziale. Chi inquina, tra l’altro, ha l’obbligo di riparare al danno causato. Il principio di correzione prevede che i danni causati da un’attività antropica vengano risolti nel luogo in cui l’attività è avvenuta. obiettivi precisi per orientare la propria politica in materia di ambiente: - trasformare l’ue in un’economia a basse emissioni di Co2 attraverso finanziamenti per una transizione ecologica volta a raggiungere gli obiettivi per il clima entro il 2030 e il 2050; l’approvvigionamento di energia pulita, economica e sicura e la promozione di un’economia circolare; - proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale - preservare e ripristinare ecosistemi e biodiversità - proteggere i cittadini dell’UE da pressioni e rischi per la salute e il benessere legati all’ambiente. Economia circolare: modello di consumo che implica: - sostenibilità delle risorse e riciclo dei materiali. Le 3R che ispirano il concetto di economia circolare sono: - reduce - reuse – recycle A marzo 2020 l’Ue ha presentato il Piano d’azione per l’economia circolare. Nel Green Deal europeo (COM(2019)640): - pacchetto clima “fit for 55”: politiche in materia di clima, energia , uso del suolo, trasporti e fiscalità idonee a ridurre le emissioni nette di gas serra - regolamento UE. obiettivo europeo di raggiungere un’economia circolare con il cosiddetto Green Deal europeo: ● basse emissioni, ● impiego intelligente delle risorse naturali, ● avere un’economia verde e competitiva. il GDE è diviso in Pacchetti Legislativi. Alcuni principali traguardi: ● energia pulita a prezzi accessibili e sicura, ● strategia industriale che sia mirata ad un’economia pulita e circolare, ● sostiene la mobilità intelligente e sostenibile, ● rendere verde la politica agricola (Farm to Fork), ● preservare e proteggere la biodiversità, ● ambire all’inquinamento zero per un ambiente libero da sostanze tossiche. l’UE si pone come leader globale rispetto allo scenario internazionale. il Green Deal ha bisogno che tutti i settori si muovano insieme, tutti devono convergere sull’obiettivo finale e proprio per questo coinvolge tutti i settori. La CO2 è responsabile del 63% dell’inquinamento. Il quadro regolatorio dell’obiettivo di neutralità climatica è rappresentato dall’Accordo di Parigi (ART.2), ogni paese partecipante deve introdurre obiettivi determinati a livello nazionale. Il piano europeo prevede: di aggiornarlo ogni 5 anni.  Il regolamento 2020/2094/UE Next Generation UE è stato approvato il 14 dicembre 2020: piano europeo di finanziamento per 800 miliardi, è il piano che ha finanziato gran parte del PNRR ● il Regolamento 1119/2021/UE, ovvero Legge sul Clima presente nel Green Deal, si dispone l’obiettivo vincolante della neutralità climatica entro il 2050. ● Il pacchetto climatico “Fit for 55%”, ovvero raggiungere 2030 gli obiettivi del Green Deal e ridurre il livello di emissioni del 55% entro 2030 e l’obiettivo di arrivare alla Carbon Neutrality entro il 2050. ● Inoltre il Regolamento 1999/2018/UE che è stato superato dalla legge sul Clima perché in qualche modo questo regolamento definisce alcuni strumenti di attuazione, prevedono i Piani Nazionali Integrati per l’energia e il clima (PNIEC), ovvero strumenti che gli stati membri hanno per la riduzione delle emissioni. coprono periodi di 10 anni e sono tanti obiettivi volti al raggiungimento di uno più grande, quindi quello della riduzione delle emissioni entro il 2030. La commissione valuta la coerenza di questi piani, e la commissione stessa può rivolgere raccomandazioni allo Stato interessato che se non segue deve comunicare e pubblicare le sue motivazioni. Per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050 abbiamo alcuni strumenti: ● meccanismi ETS (Emission Trading System, scambio di quote di emissioni di CO2) ● obiettivi vincolanti in settori non-ETS tramite ESR (Effort Sharing Regulation), ● regolamentazione delle emissioni relative all’uso di suolo tramite la regolazione LULUCF, ● l’istituzione di un fondo sociale per il clima (50% finanziato dall’UE / 50% dagli stati) Il PNRR mette buona parte dei suoi finanziamenti nell’obiettivo M2, ovvero di rivoluzione verde e transizione ecologica. punto che è importante tenere a mente è il concetto di emissioni nette zero, le emissioni nette sono la differenza tra quelle effettivamente causate e gli assorbimenti. Il bilancio tra queste due voci crea le emissioni nette. L’Italia si trova a rispettare due vincoli: vincoli dell’accordo di parigi e vincoli dell’Unione Europea. è inutile darsi degli obiettivi se non si hanno gli strumenti. Ogni parte raccoglie dei dati rispetto alle emissioni su base annuale e gli viene associato un determinato valore emissivo, si stimano tutte le emissioni dei paesi che hanno aderito alla convenzione. è necessario produrre degli scenari di emissione e capire se i dati che ho sono coerenti con gli obiettivi che mi sono dato. Per fare questo, in Italia sono stati istituiti due meccanismi comunque coordinati da ISPRA. Sostanzialmente le emissioni sono cresciute, le industrie energetiche però sono quelle che hanno dato maggior contributo a livello di emissioni, anche le industrie manifatturiere. L’UE rappresenta circa il 10% delle emissioni