Scarica Il giorno di Parini - Corso Prof. Danzi e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Letteratura italiana 17.04.13 Verso 8 Il rito di piacevolezza è insegnato dal precettore F 0 E 0 “come ingannar questi nojosi e lenti Giorni di vita” sono accompagnati da un lungo tedio ed un fastidio insoffribile (in questo verso è presente la figura del chiasmo). Il precettore sposa immediatamente i concetti del precettato ed è esattamente l’opposto che ci si aspetterebbe. Parini continua a definire l’argomento di cui tratterà il poema: la tripartizione e gli insegnamenti accompagnati a questi periodi del giorno (versi 11,12,13). Il Mattino Già l’are a Vener sacre e al giocatore
mercurio ne le Gallie e in Albïone
devotamente hai visitate, e porti
pur anco i segni del tuo zelo impressi:
ora è tempo di posa. In vano Marte
a sé t’invita; che ben folle è quegli
che a rischio de la vita onor si merca,
e tu naturalmente il sangue aborri
né i mesti de la Dea Pallade studj
ti son meno odiosi: avverso ad essi
ti feron troppo i queruli ricinti
ove l’arti migliori, e le scienze
cangiate in mostri, e in vane orride larve,
fan le capaci volte echeggiar sempre
di giovanili strida. Or primamente
odi quali il mattino a te soavi
cure debba guidar con facil mano. Il mondo appare diviso in due: da una parte vi è chi si alza con fatica e dall’altra chi con il sorgere del sole, a causa del suo ozio va a dormire. Parini si schiera dalla parte della gente umile, descritta con aggettivi dolci e familiari. Il secondo momento dopo la presentazione del contadino è quella del fabbro che lavora per poi arrivare al Giovin Signore. Sorge il mattino in compagnìa dell’alba
innanzi al sol che di poi grande appare
su l’estremo orizzonte a render lieti
gli animali e le piante e i campi e l’onde.
Allora il buon villan sorge dal caro
letto cui la fedel sposa, e i minori
suoi figlioletti intepidìr la notte (hanno riscaldato il letto in cui tu hai dormito);
poi sul collo recando i sacri arnesi
che prima ritrovâr Cerere, e Pale, (inventati dalla dea della pastorizia (richiamo alla figura del contadino).
va col bue lento (vi è un rimando alla lentezza della giornata del Giovin signore.) innanzi al campo, e scuote
lungo il picciol sentier da’ curvi rami
il rugiadoso umor (muovendo le fronde fa cadere la rugiada che colpita dai raggi del sole sembra una pietra preziosa) F 0E 0 che, quasi gemma,
i nascenti del sol raggi rifrange. La strofa si chiude con un iperbato e con una considerazione di ciò che per l’epoca era bello (il sorgere del sole ed i suoi raggi); questa scena è descritta con tratti di dolci di oggettività e partecipazione.
Allora sorge il fabbro, e la sonante
officina riapre, (il fabbro riapre la sua officina sonante. Il suono –non rumore- nasce dal suo lavoro, dal picchiare del suo martello) e all’opre torna
l’altro dì non perfette (ritorna a perfezionare ciò che non ha completato il giorno prima: di nuovo è presente il richiamo alla lentezza. In questo caso ha una connotazione positiva perché è rivolta all’uomo produttivo e dedito al suo lavoro con costanza), o se di chiave
ardua e ferrati ingegni all’inquieto
ricco l’arche assecura, (sia che stia lavorando per consegnare al ricco un forziere reso sicuro dalle serrature) o se d’argento
e d’oro incider vuol giojelli e vasi
per ornamento a nuove spose o a mense. (sia che lavora per offrire a nuove spose o per banchetti sia che faccia l’orafo) Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo,
qual istrice pungente, irti i capegli
al suon di mie parole? (interrogativa retorica che vuole esprimere l’orrido del principe al suono della parole del precettore che descrivono il mattino dei lavoratori) Ah non è questo,
signore, il tuo mattin. Tu col cadente
sol non sedesti a parca mensa, e al lume
dell’incerto crepuscolo non gisti
jeri a corcarti in male agiate piume,
come dannato è a far l’umile vulgo. (ma non è questa la giornata del GS; egli non fa ciò che la popolazione è obbligata a fare ma il nobile è obbligato a mangiare e ad andarsi a coricare in un letto male agiato, scomodo. Per sottolineare con ironia la scomodità di un letto di piume mentre gli altri sono solitamente di foglie. Comunque rimanda alla figura di un caro letto.) A voi celeste (dimensione non umana) prole, a voi concilio
di Semidei (tutti la gente simile al GS) terreni altro concesse
Giove benigno: e con altr’arti (la parola altre si riferisce a leggi non naturali ma divine, quelle che sono di volontà di Giove) e leggi
per novo calle (inteso come monte ma con rimando al significato di fatica) a me convien guidarvi. (uno dei paragrafi più brevi di tutto il poema. Qui abbiamo la divinizzazione del GS ) Tu tra le veglie, e le canore scene,
e il patetico gioco oltre più assai
producesti la notte; (il GS ha prolungato la durata della sua notte) e stanco alfine
in aureo cocchio, col fragor di calde
precipitose rote, e il calpestìo
di volanti corsier, lunge agitasti
il queto aere notturno, e le tenèbre
con fiaccole superbe intorno apristi,
siccome allor che il siculo terreno
dall’uno all’altro mar rimbombar feo (epitesi che consente di evitare il troncamento del verso)
Pluto col carro a cui splendeano innanzi
le tede de le Furie anguicrinite (parola tipicamente settecentesca, composita: crini e serpenti. Come nella mitologia non avevano capelli ma serpenti). (alla fine di questa notte, con un cocchio d’orato, stanco e con il fragore della sua carrozza che corre, il rumore dei cavalli che calpestano il selciato, volanti –divini-, quieto e notturno rompi le tenebre della notte. Le fiaccole superbe dei servitori che corrono verso il semidio illuminano la sua strada. Il GS rompe la notte con il rumore e con le fiaccole luminose, non rispettando l’oscurità della notte. Le furie, come i servitori del GS, avevano delle fiaccole per illuminare il cammino di Pluto, la notte F 0D F rimando alla mitologia -similitudine). F 0D F è tipico del comico fare similitudini “gigantesche” proprio per sminuire. La similitudine con Plutone ha il risultato opposto. Così tornasti a la magion(com’era costume il palazzo accoglie il GS con banchetti festosi e cuori lieti); ma quivi
a novi studj ti attendea la mensa
cui ricoprien pruriginosi cibi
e licor lieti di francesi colli, o d’ispani, o di toschi, o l’ongarese
bottiglia a cui di verde edera Bacco
concedette corona (la cantina del GS è parecchio fornita, vini a cui bacco concede l’edera in persona, la corona del miglior vino); e disse: siedi
de le mense reina (la regina delle mense). Alfine il Sonno
ti sprimacciò le morbide coltrici
di propria mano, ove, te accolto (ablativo assoluto), il fido
servo calò le seriche cortine (tende di seta preziosissime che calano il sipario sulla giornata del GS):
e a te soavemente i lumi chiuse
il gallo che li suole aprire altrui. (questo segmento è circolare con l’inizio del contadino: il gallo che suole aprire gli occhi del popolo al GS li chiude. La raffigurazione è il contrario di ciò che dovrebbe essere la realtà). Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi
non sciolga da’ papaveri tenaci
Morfeo prima (i sensi sono stanchi [45]), che già grande il giorno
tenti di penetrar fra gli spiragli
de le dorate imposte([45]), e la parete
pingano a stento in alcun lato i raggi
del sol ch’eccelso a te pende sul capo(e sulla parete si dipingano i raggi del sole che sta sopra la testa del GS).
Or qui principio le leggiadre cure
denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo
sciorre il mio legno, e co’ precetti miei
te ad alte imprese ammaestrar cantando. (ritorna il concetto che il precettore deve amministrare il GS cantando grandi imprese. È la raffigurazione del diritto che il GS si sente di avere di dormire a lungo. La giornata del GS inizia quando il sole è già alto). Adesso inizia la narrazione descrittiva delle tape della giornata del GS. Già i valetti gentili udîr lo squillo
del vicino metal cui da lontano
scosse tua man col propagato moto (lunga perifrasi per descrivere il suono del campanello);
e accorser pronti a spalancar gli opposti
schermi a la luce(i valletti corrono a spostare tutto ciò che impediva alla luce di entrare), e rigidi osservâro(osservarono che il sole non colpisse direttamente in volto il GS, una cosa troppo dura da sopportare),
che con tua pena non osasse Febo
entrar diretto a saettarti i lumi (**stilema particolarmente usato da Parini, schiatta,
vie più che a noi mortali il ciel concesse
domabile midollo entro al cerèbro,
sì che breve lavor basta a stamparvi
novelle idee. In oltre a voi fu dato
tal de’ sensi e de’ nervi e degli spirti
moto e struttura, che ad un tempo mille
penetrar puote, e concepir vostr’alma
cose diverse, e non però turbarle
o confonder giammai, ma scevre e chiare
ne’ loro alberghi ricovrarle in mente. (è bastato un pettegolezzo scurrile che rimanda al domani, è importante stare attenti a ciò che consigliano se le preoccupazioni che dovrai affrontare ti lasceranno in pace più di quando abbiano fatto oggi domani avrai l’occasione di sentire la continuazione. Si sviluppa un nuovo discorso come conseguenza di quanto detto finora F 0E 0 le chiacchiere tenute dal GS fanno scattare il ragionamento su chi può colloquiare con il GS). Il fatto di aver un cervello così “informabile” fa si che basti poco per creare nuove idee: spetta ai nobili la creazione di idee perché dotati dal cielo di un cervello superiore. Inoltre sono dotati di un’altra qualità: ai nobili fu dato avere una struttura di sensi nervosi e dello spirito che è in grado di penetrare cose diverse F 0D F tutta la loro struttura è di origine divina. Essi hanno un’anima (spirito e nervi) tale che permette di penetrare a fondo nelle cose e di concepirle in maniera diversa senza però turbarle (renderle non limpide e confuse). Il vulgo intanto a cui non dessi il velo
aprir de’ venerabili misterj,
fie pago assai, poi che vedrà sovente
ire e tornar dal tuo palagio i primi
d’arte maestri, e con aperte fauci
stupefatto berà le tue sentenze. (il vulgo a cui non è dato di chiarire i misteri si accontenterà spesso andare e venire dal palazzo del GS tutti i maestri d’arte e stupefatto rimarrà incantato da tutto ciò che il GS dirà.) F 0E 0 sarà testimone della superiorità del GS. Il segmento è molto breve. Ma già vegg’io (come se Parini si riscuotesse), che le oziose lane
soffrir non puoi più lungamente, e in vano
te l’ignavo tepor lusinga e molce,
però che or te più gloriosi affanni
aspettan l’ore a trapassar del giorno. (il GS non può più sopportare le oziose lane, le coperte e il tepore del letto dolce e lusinghiero. Inizia una descrizione d’azione. Si alza dal letto per prepararsi alla toeletta.) Su dunque o voi del primo ordine servi
che degli alti signor ministri al fianco
siete incontaminati, or dunque voi
al mio divino Achille, al mio Rinaldo
l’armi apprestate. Ed ecco in un baleno
i tuoi valetti (i valletti del GS sono pronti ad ogni cenno del GS) a’ cenni tuoi star pronti.
Già ferve il gran lavoro ( F 0E 0 frase ancora più breve ed accelerazione della sintassi come dell’azione F 0E 0 parte poi la descrizione delle azioni dei servi). Altri ti veste
la serica zimarra ove disegno
diramasi chinese; altri, se il chiede
più la stagione, a te le membra copre
di stese infino al piè tiepide pelli.
Questi al fianco ti adatta il bianco lino
che sciorinato poi cada, e difenda
i calzonetti; e quei, d’alto curvando
il cristallino rostro, in su le mani
ti versa acque odorate, e da le mani
in limpido bacin sotto le accoglie.
Quale il sapon del redivivo muschio
olezzante all’intorno; e qual ti porge
il macinato di quell’arbor frutto,
che a Ròdope fu già vaga donzella,
e chiama in van sotto mutate spoglie
Demofoonte ancor Demofoonte.
L’un di soavi essenze intrisa spugna
onde tergere i denti, e l’altro appresta
ad imbianchir le guance util licore. (una decina di servi corrono tutti con un compito sempre preciso. Altri, quei, qual F 0E 0 lunga perifrasi. Ogni fase è dilatata e con un soggetto. Uno si dedica alla seta, l’altro, se la stagione lo esige, copre le membra del GS con una pelliccia fino al piede; un altro avvolge il GS nel bianco lino attorno al fianco che cade giù sui calzoncini –secondo la moda- e un altro curvando il becco della caraffa versa sulle mani del giovane dell’acqua di rose accolta poi in una bacinella. Uno porge il frutto macinato da quell’albero - inizio di una perifrasi mitologica- che fu prima una donzella tramutata in albero di mandorlo da frutto. Questa sotto mutate spoglie chiama comunque il suo amore Demofonte.) Assai pensasti a te medesmo; or volgi
le tue cure per poco ad altro obbietto
non indegno di te. Sai che compagna
con cui divider possa il lungo peso
di quest’inerte vita il ciel destìna
al giovane Signore. Impallidisci?
No non parlo di nozze: antiquo e vieto
dottor sarei se così folle io dessi
a te consiglio (sei io – precettore- ti dessi il folle consiglio di sposarti, sarei un dottore –guida,saggio- antico e improponibile. Qui inizia l’altro aspetto su cui P non si risparmia critiche. Ricordiamo la dimensione familiare negata dal bel mondo, dalla moda 700esca molto libertina). Di tant’altre doti
tu non orni così lo spirto, e i membri,
perché in mezzo a la tua nobil carriera
sospender debbi ’l corso, e fuora uscendo
di cotesto a ragion detto bel mondo,
in tra i severi di famiglia padri
relegato ti giacci, a un nodo avvinto
di giorno in giorno più penoso, e fatto
stallone ignobil de la razza umana. (l’oggetto del nobile signore è la signora. Ogni giovane signore può dividere il lungo peso di questa inerte vita - connotazione dolorosa della vita, ma in questo caso oziosa e priva di azione- del GS. La disposizione finale si applica alla prospettiva di matrimonio del GS, è un nodo che ogni giorno si fa più penoso F 0E 0 Parini si riferisce al vincolo matrimoniale che costringerebbe il GS). D’altra parte, il marito ahi quanto spiace,
e lo stomaco move ai dilicati
del vostr’orbe leggiadro abitatori
qualor de’ semplicetti avoli nostri
portar osa in ridicolo trionfo
la rimbambita Fé, la Pudicizia
severi nomi (il marito è una figura che colpisce lo stomaco del GS quando osa portare in un trionfo ridicolo la sua fedeltà, il pudore e la pudicizia. F 0D F è presentata una figura di marito ancora antiquata che ha fede nel pudore; assurdo dal punto di vista del GS)! E qual non suole a forza
in que’ melati seni eccitar bile
quando i calcoli vili del castaldo
le vendemmie, i ricolti, i pedagoghi
di que’ sì dolci suoi bambini altrui,
gongolando, ricorda (nemmeno iquei dolci animi sdolcinati è solito farli arrabbiare tanto è rimbambito il marito che non si arrabbia quando deve mantenere i maestri di figli che magari non sono nemmeno suoi ); e non vergogna
di mischiar cotai fole a peregrini
subbietti, a nuove del dir forme, a sciolti
da volgar fren concetti onde s’avviva
da’ begli spirti il vostro amabil globo (il mondo del GS F 0E 0 un mondo tutto positivo con concetti alti e forme nuove che riguarda gli spiriti raffinati e liberi. Un mondo che si contrappone a quello del marito stolto).
Pera dunque chi a te nozze consiglia.
Ma non però senza compagna andrai
che sia giovane dama, ed altrui sposa;
poiché sì vuole inviolabil rito
del bel mondo onde tu se’ cittadino. (muoia dunque chi ti consiglia di sposarti perché saresti ridotto come il marito sopra descritto. Ma non per questo rimarrai senza una compagna giovane dama o moglie di un altro, ora che questo è il rito inviolabile a cui non ci si può opporre. Questo è un rito che appartiene al bel mondo). ^ superiorità fisica ed intellettuale voluta da Dio nei confronti del bel mondo e cicisbeo di altre dame “Cavalier Servente”. Il bel mondo si serve delle mogli di altri e questa situazione è quella spiegata nella favola di Amore e Imene (dio del matrimonio). A crede solo nella moda e nei suoi riti mentre I crede nella fedeltà. Il matrimonio contro l’amore è una favola che interrompe la narrazione per ricondurre alla natura semidivina del GS. Questa è una favola greca e quindi rimanda alle origini della nobiltà. F 0D F manca il senso della storia: la favola è un qualcosa di immutabile nei secoli. Tempo già fu, che il pargoletto Amore
dato era in guardia al suo fratello Imene;
poiché la madre lor temea, che il cieco
incauto nume perigliando gisse
misero e solo per oblique vie,
e che bersaglio agl’indiscreti colpi
di senza guida, e senza freno arciero,
troppo immaturo al fin corresse il seme
uman ch’è nato a dominar la terra.
(Venere preoccupata mise Amore sotto la custodia del fratello Imene. Amore è cieco, colpisce a caso e quindi Venere aveva paura che A girasse per pericoli. V temeva che A andando in giro da solo combinasse guai e che il bersaglio dei colpi indiscreti di A colpisse i giovani immaturi) Perciò la prole mal secura all’altra
in cura dato avea, sì lor dicendo (ciò portò V a portare la prole malsicura, difficile da custodire):
«Ite o figli del par; tu più possente
il dardo scocca, e tu più cauto il guida
a certa meta» (Imene dovrebbe guidare il dardo di A ad un rapporto sicuro matrimoniale). Così ognor compagna
iva la dolce coppia, e in un sol regno,
e d’un nodo comun l’alme stringea (così la dolce coppia se ne va in giro in un unico intento; tutti e due erano presi dal dovere affidato da Venere) .
Allora fu che il sol mai sempre uniti
vedea un pastore, ed una pastorella
starsi al prato, a la selva, al colle, al fonte;
e la suora di lui vedeali poi
uniti ancor nel talamo beato
ch’ambo gli amici numi a piene mani
gareggiando spargean di gigli e rose (fu allora che si videro alla luce del sole sempre uniti, un pastore ed una pastorella ed entrambi gli dei facevano a gara a spargere tappeti di petali di fiori in un amore tranquillo e bendisposto).
Ma che non puote anco in divino petto,
se mai s’accende ambizion di regno?
Crebber l’ali ad Amore a poco a poco,
e la forza con esse; ed è la forza
unica e sola del regnar maestra.
Perciò a poc’aere prima, indi più ardito
a vie maggior fidossi, e fiero alfine
entrò nell’alto, e il grande arco crollando,
e il capo, risonar fece a quel moto
il duro acciar che la faretra a tergo
gli empie, e gridò: solo regnar vogl’io (Amore diventa troppo sicuro di sé e vuole regnare da solo e quindi poi si affidò a voli sempre più grandi ed estesi prendendo fiducia in se stesso finchè fiero volò sempre più lontano e estraendo l’arco scoccò [1.23]).
Disse, e volto a la madre «Amore adunque
il più possente in fra gli dei, il primo
di Citerea figliuol ricever leggi,
e dal minor german ricever leggi
vile alunno, anzi servo? Or dunque Amore
non oserà fuor ch’una unica volta
ferire un’alma come questo schifo
da me vorrebbe? E non potrò giammai
dappoi ch’io strinsi un laccio, anco slegarlo
a mio talento, e qualor parmi un altro
stringerne ancora? E lascerò pur ch’egli
di suoi unguenti impeci a me i miei dardi
perché men velenosi e men crudeli
scendano ai petti? Or via perché non togli
a me da le mie man quest’arco, e queste
armi da le mie spalle, e ignudo lasci
quasi rifiuto de gli dèi, Cupido?
O il bel viver che fia qualor tu solo
regni in mio loco! O il bel vederti, lasso!
Studiarti a torre da le languid’alme
la stanchezza e ’l fastidio, e spander gelo
di foco in vece! Or genitrice intendi,
vaglio, e vo’ regnar solo. A tuo piacere
tra noi parti l’impero, ond’io con teco
abbia omai pace, e in compagnìa d’Imene
me non trovin mai più le umane genti».
Qui tacque Amore, e minaccioso in atto,
parve all’idalia dea chieder risposta.
Ella tenta placarlo, e pianti e preghi
sparge ma in vano; onde a’ due figli volta
con questo dir pose al contender fine.
«Poiché nulla tra voi pace esser puote,
si dividano i regni. E perché l’uno
sia dall’altro germano ognor disgiunto,
sieno tra voi diversi, e ’l tempo, e l’opra.
Tu che di strali altero a fren non cedi
l’alme ferisci, e tutto il giorno impera:
e tu che di fior placidi hai corona
le salme accoppia, e coll’ardente face
regna la notte.» Ora di qui, signore,
venne il rito gentil che a’ freddi sposi
le tenebre concede, e de le spose
le caste membra: e a voi beata gente
di più nobile mondo il cor di queste,
e il dominio del dì, largo destìna.
Fors’anco un dì più liberal confine
vostri diritti avran, se Amor più forte
qualche provincia al suo germano usurpa:
così giova sperar. Tu volgi intanto
a’ miei versi l’orecchio, et odi or quale
cura al mattin tu debbi aver di lei
che spontanea o pregata, a te donossi
per tua dama quel dì lieto che a fida
carta, non senza testimonj furo
a vicenda commessi i patti santi,
e le condizïon del caro nodo. (Amore vedeva Imene come una restrizione alla sua attività. Amore poteva colpire solo una vola una persona perché poi si univa in matrimonio; ciò non gli stava bene, non avrebbe lasciato che Imene con i suoi unguenti matrimoniali addolcisse i suoi dardi. Tanto varrebbe che Amore sia spigliato delle sue armi. Sarebbe bello vedere un mondo stabile, languido senza dover togliere a chi si è spostato la solidità del matrimonio piuttosto che il caos di Amore. Il fuoco di Amore dona vigore ma perde di intensità legato al matrimonio. Amore chiede a Venere di governare da solo e di separare i due regni). s’altri è sì procace
ch’osi rider di te, costui paventi
l’augusta maestà del tuo cospetto,
si volga a la parete; e mentr’ei cerca
por freno in van col morder de le labbra
allor scrosciar de le importune risa
che scoppian da’ precordj, violenta
convulsione a lui deformi il volto,
e lo affoghi aspra tosse; e lo punisca
di sua temerità. Ma tu non pensa
ch’altri ardisca di te rider giammai;
e mai sempre imperterrito decidi. (riprendi se qualcuno loda troppo un pittore. Devi però giudicare tu Raffaello e il Veronese e alle tavole ignote, non attribuite, con un fare serio dai tu nomi noti. Deve fare attribuzioni ai massimi pittori. Il GS sproloquia sulla storia dell’arte. E se qualcuno così presuntuoso osa ridere della tua ignoranza devi agire contro questa. Se questa figura mentre ti prende in giro cerca di dissimulare il riso mordendosi le labbra, la punizione giusta è che una violenta convulsione gli deformi il viso oppure soffochi in una volgare tosse. F 0D F Il riso e la tosse sono cose non accettate nel mondo fine e sono simbolo di volgarità. Il GS non deve nemmeno pensare che qualcuno possa ridere di lui). F 0D F Questa parentesi serve a riempire il vuoto passato per le ore trascorse dal parrucchiere. Quando giunge la fine, ovvero quando il parrucchiere finisce il suo lavoro, si passa ad un’altra parte di racconto mitologico. Dopo il parrucchiere si passa all’incipriatura, sparsa sulle guance, viso e capelli imbiancando tutto. Questo bianco può essere rotto dalle rosee guance disegnate di rosso. Qual è l’origine di questa moda? Parini lo spiega con una favola mitologica giocata su raffinatezza. Il GS è raffinato mentre i suoi antenati erano gente violenta: D’orribil piato risonar s’udìo
già la corte d’Amore. I tardi vegli
grinzuti osâr coi giovani nipoti
contendere di grado in faccia al soglio
del comune Signor. Rise la fresca
gioventude animosa, e d’agri motti
libera punse la senil baldanza.
Gran tumulto nascea, se non che Amore
ch’ogni diseguaglianza odia in sua corte
a spegner mosse i perigliosi sdegni:
e a quei che militando incanutîro
suoi servi impose d’imitar con arte
i duo bei fior che in giovenile gota
educa e nutre di sua man natura:
indi fé cenno, e in un balen fûr visti
mille alati ministri alto volando
scoter le piume, e lieve indi fiocconne
candida polve che a posar poi venne
su le giovani chiome; e in bianco volse
il biondo, il nero, e l’odiato rosso.
L’occhio così nell’amorosa reggia
più non distinse le due opposte etadi,
e solo vi restò giudice il tatto. (l’origine della polvere di Cipro, la polvere di Venere e della bellezza. Davanti alla scena della nuvola bianca alla corte di amore risuonarono grida di dolore: vecchi grinzuti osarono attaccare i giovani a causa della loro bellezza. Amore con un cenno chiamò mille alati ministri svolazzanti per aria scuotendo le piume e da questo gesto lieve fioccò candida polvere che si posò sulle giovani chiome. La cipria è il risultato delle penne degli amorini. In questo modo le chiome colorate dei giovani si tinsero di bianco. L’occhio non vide più differenze tra i vecchi e i giovani, solo il tatto è testimone della vecchiaia). Or tu adunque, o Signor, tu che se’ il primo
fregio ed onor dell’amoroso regno
i sacri usi ne serba. Ecco che sparsa
pria da provvida man la bianca polve
in piccolo stanzin con l’aere pugna,
e degli atomi suoi tutto riempie
egualmente divisa. Or ti fa cuore,
e in seno a quella vorticosa nebbia
animoso ti avventa. O bravo o forte!
Tale il grand’avo tuo tra ’l fumo e ’l foco
orribile di Marte, furiando
gittossi allor che i palpitanti Lari
de la patria difese, e ruppe e in fuga
mise l’oste feroce. Ei non pertanto
fuliginoso il volto, e d’atro sangue
asperso e di sudore, e co’ capegli
stracciati ed irti da la mischia uscìo
spettacol fero a’ cittadini istessi
per sua man salvi; ove tu assai più dolce
e leggiadro a vedersi, in bianca spoglia
uscirai quindi a poco a bear gli occhi
de la cara tua patria a cui dell’avo
il forte braccio, e il viso almo, celeste
del nipote dovean portar salute. (la favola esce dalla dimensione narrativa per andare in una dimensione mitologica e per poi, infine giungere alla vita del GS, costantemente legato alla natura degli dei. La bianca polve riempie il piccolo stanzino in maniera equa. Qui abbiamo una delle prime concessioni del parini ad una moda 700esca per la dimensione scientifica: “Atomo”, per descrivere la minuta particella della cipria. C’è poi un capovolgimento: prosegue con la parola pugnale, un termine militare, indizio dell’inizio di una metafora di guerra. Ancora una vola il GS è paragonato ai suoi antenati, che combattevano per la patria. La bianca polvere diventa una vorticosa nebbia, che non cade più in maniera dolce ma vigorosa. F 0D F il GS si scaglia contro questo vortice –è messo in evidenzia il coraggio del protagonista nello scagliarsi in quella nebbia. Parini coglie l’occasione per paragonalo ad un suo grande avo, che si scaglia tra il fumo e il fuoco di marte quando si trovò a difendere gli dei – i Lari, protettori della patria- palpitanti e timorosi. Egli ruppe le file dei nemici e li mise in fuga. Questo spettacolo fero e crudele per gli stessi cittadini, salvati dall’avo del GS, è insopportabile. Egli tornava dalla guerra in uno stato inguardabile mentre il GS ne uscirà tutto imbiancato e bellissimo. Mentre l’avo tornando spaventava i suoi cittadine, il GS al contrario con la sua uscita dalla battaglia bea chi lo osserva di una visione sublime e allo stesso tempo porta la salvezza alla patria –sarcasmo-). Ella ti attende impaziente, e mille
anni le sembra il tuo tardar poc’ore.
È tempo omai che i tuoi valetti al dorso
con lieve man ti adattino le vesti
cui la Moda e ’l Buongusto in su la Senna
t’abbian tessute a gara, e qui cucite
abbia ricco sartor che in su lo scudo
mostri intrecciato a forbici eleganti
il titol di Monsieur. Non sol dia leggi
a la materia la stagion diverse;
ma sien qual si conviene al giorno e all’ora
sempre varj il lavoro e la ricchezza. (dopo la battaglia la patria lo attende, attende di essere beata dall’apparizione del GS. Ella attende impaziente. È tempo che i valletti vizino il GS, lo vestano secondo la moda che è anche buon gusto –sarcasmo: tutti sanno che moda e buon gusto spesso non coincidono- i vestiti stessi del GS sono stati costruiti dalla moda e dal buon gusto stessi che lavorano direttamente per lui. Ci sarà un sarto che come un’arma nobiliare intreccia le eleganti forbici del titolo di signore e tiene alto lo scudo preparando vestiti per ogni ora del giorno. Il lavoro e la ricchezza devono dunque essere sempre vari a seconda dell’abito che il GS deve indossare) F 0D F cura esasperata dei particolari. Fero genio di Marte a guardar posto
de la stirpe de’ numi il caro fianco,
tu al mio giovane eroe la spada or cingi
lieve e corta non già, ma, qual richiede
la stagion bellicosa, al suol cadente,
e di triplice taglio armata e d’elsa
immane. Quanto esser può mai sublime
l’annoda pure, onde l’impugni all’uopo
la furibonda destra in un momento:
né disdegnar con le sanguigne dita
di ripulire et ordinar quel nodo
onde l’elsa è superba; industre studio
è di candida mano: al mio signore
dianzi donollo, e gliel appese al brando
la pudica d’altrui sposa a lui cara.
Tal del famoso Artù vide la corte
le infiammate d’amor donzelle ardite
ornar di piume e di purpuree fasce
i fatati guerrieri, onde più ardenti
gisser poi questi ad incontrar periglio
in selve orrende tra i giganti e i mostri. (la vestizione non può non comprendere una specie di “spada” F 0D F paradosso: uno zimbello simile non potrebbe mai portare una spada che solo gli avi erano degni di maneggiare. È da un cenno di Marte che la spada cinge il GS. Questa è consegnata da un servo. La spada non è lieve e corta, un pugnale, ma una spada che richiede la stagione bellicosa. Se si è in un periodo di guerra si porta una spada imponente ed importante, dall’altro lato se si è in un periodo di pace si porterà una spada sottile e leggera. Quella che indossa è una spada lunga che cade al suolo, di triplice taglio e pesante. La descrizione che emerge dopo è quella di un GS non troppo cosciente di quelle che fa, cerca di impugnare l’elsa. La spada ha un particolare valore sentimentale perché regalatogli dalla sua “amata”.) Più avanti ci sono altri versi riferiti ad antichi eroi come Enea, Achille, Alfredo di Guglilone –protagonista della Gerusalemme liberata di Tasso-. La raffigurazione è totalmente ironica e si oppone alla realtà. Seguono ancora una serie di fatti che devono perfezionare la natura del GS: il profumo sia sulla persona che sul suo cuscino che solitamente porta con sé per sedersi, una serie di oggetti di cui si adornava, un coltello (907) di manico elegante in madreperla che brilla alla luce del giorno. Pag 142 Versi 929. Compiuto è il gran lavoro. Odi, o Signore,
sonar già intorno la ferrata zampa
de’ superbi corsier che irrequieti
ne’ grand’atri sospigne arretra e volge
la disciplina dell’ardito auriga.
Sorgi, e t’appresta a render baldi e lieti
del tuo nobile incarco i bruti ancora.
Ma a possente signor scender non lice
da le stanze superne infin che al gelo,
o al meriggio non abbia il cocchier stanco
durato un pezzo, onde l’uom servo intenda
per quanto immensa via natura il parta
dal suo signore. I miei precetti intanto
io seguirò; che varie al tuo mattino
portar dee cure il varïar dei giorni. (il gran lavoro di 900 versi è finalmente terminato, finalmente egli può uscire in carrozza; è descritto il rumore dei superbi cavalli che trascinano la carrozza del GS. La disciplina del cocchiere che impone ai cavalli li trattiene e questi sospingono, arretrano, e si volgono nell’atrio del palazzo. Forte imperativo –Sorgi- che riprende l’inizio del poema in cui tutti si risvegliavano. Il mondo aveva già avuto il sole all’inizio del mattino ma ora si bea del GS. Egli si appresta a rendere lieti e pieni di vita con la sua persona i brutti, la plebe –quelli che lavorano e si sono alzati un centinaio di versi fa-. Secondo Parini queste sono persona che vivono in una dimensione reale, affettuosa… ma ora sono viste dal punto di vista del GS e quindi diventano “Brutti”. Fortunatamente il farsi attendere è sinonimo di importanza: non è lecito ad un signore tanto potente, scendere dalle stanze superiori fino al freddo esterno finchè non sia quasi pomeriggio –il cocchiere rimane quindi ad aspettare molto a lungo, tanto quanto il tempo che la natura ci ha messo a separare gli individui nobili dagli umili servi-. Il precettore riprende il suo punto di vista ed abbandona quello del GS: egli spiega come il variare dei giorni deve modificare le cure e le preoccupazioni.) Tal dì ti aspetta d’eloquenti fogli
serie a vergar, che al Rodano, al Lemano
all’ Amstel, al Tirreno, all’Adria legga
il libraio che Momo, e Citerea
colmâr di beni, o il più di lui possente
appaltator di forestiere scene
con cui per opra tua facil donzella
sua virtù merchi, e non sperato ottenga
guiderdone al suo canto. O di grand’alma
primo fregio ed onor Beneficenza,
che al merto porgi, ed a virtù la mano!
Tu il ricco e il grande sopra il vulgo innalzi,
ed al concilio de gli Dei lo aggiugni. In questi versi e quelli successivi sono scanditi diverse immagini: ^il GS è pronto ma non vuole scendere perché arrivano i giornali da tutto il mondo –Amsterdam, Ginevra, Livorno… ci sono una serie di informazioni che farebbero di lui un pericoloso intellettuale, in realtà è una semplice moda, lui non legge nemmeno i contenuti. Tal giorno ancora, o d’ogni giorno forse
den qualch’ore serbarsi al molle ferro
che il pelo a te rigermogliante a pena
d’in su la guancia miete, e par che invidj,
ch’altri fuor che lui solo esplori o scopra
unqua il tuo sesso. (altri giorni invece è il momento del ferro molle e delicato che ti tagli la barba, il rasoio, l’unico strumento che può intervenire per eliminare la barba). Arroge a questi il giorno
che di lavacro universal convienti
bagnar le membra, per tua propria mano,
o per altrui con odorose spugne
trascorrendo la cute. (altre volte è il momento del bagno, con la morbida spugna che accarezza la cute. In questa situazione sembrerà al GS di essere un mortale F 0E 0) È ver che allora
d’esser mortal ti sembrerà; ma innalza
tu allor la mente, e de’ grand’avi tuoi
le imprese ti rimembra e gli ozj illustri
che insino a te per secoli cotanti
misti scesero al chiaro altero sangue,
e l’ubbioso pensier vedrai fuggirsi unge da te per l’aere rapito
su l’ale de la Gloria alto volanti; (ma pensa ai tuoi servi, alle imprese dei tuoi avi e al tuo sangue puro: questi ti faranno cancellare i brutti pensieri, li manderanno lontano sull’ali della Gloria). […] Tu adunque allor che placida mattina
vestita riderà d’un bel sereno
esci pedestre, e le abbattute membra
all’aura salutar snoda e rinfranca.
Di nobil cuojo a te la gamba calzi
purpureo stivaletto, onde il tuo piede
non macchino giammai la polve e ’l limo,
che l’uom calpesta. (quando la placida mattina, pesantemente vestita e portatrice di un bel sereno, tanto che la mattina sembra sorridere all’uscita del semidio. Il GS deve calzare i suoi rossi stilvaletti di cuoio per non far del tuo piede l’oggetto della povere e del fango) A te s’avvolga intorno
leggiadra veste che sul dorso sciolta
vada ondeggiando, e tue formose braccia
leghi in manica angusta a cui vermiglio
o cantar gli orecchi
or che tra nuove Elise, e novi proci,
e tra fedeli ancor Penelopèe,
ti guidano a la mensa i versi miei. (All’inizio ci sono due similitudini che esprimono come il GS sarà colui che detterà l’amabil rito così come in mezzo alle tazze ed i vini migliori- per cui la regina Didone accolse con feste eccezionali Enea bevendo l’oblivione –assimilare la dimenticanza del marito morto Sicheo- dagli occhi di Enea stesso. I Similitudine tratta dalla storia scritta da Virgilio. II Similitudine: e così come –letteratura di Omero- l’orba Itaca che ha perso la prole di Laerte, Ulisse chiese al dio Nettuno si sentì cantare Febo con la cetra invitando al pasto i Proci il giovin signore si reca a pranzo. Così i versi del precettore guidano il GS alla mensa. Tutto ciò per presentare la volontà del poeta di guidare i gesti del GS). Già dal meriggio ardente il sol fuggendo
verge all'occaso: e i piccioli mortali
dominati dal tempo escon di novo
a popolar le vie ch'all'oriente
volgon ombra già grande: a te null'altro
dominator fuor che te stesso è dato. (il già narrativo scandisce le azioni del GS come se fosse sempre in ritardo. Il sole che fugge dal caldo del mezzogiorno si rivolge verso all’occidente, verso al tramonto. Il Già è una prolessi che ritarda l’avvio e richiama i primi versi. Al calare del sole la piccola gente dominata dal tempo – il GS non è dominato da nessuno- escono a riempire la vie mentre il GS non ha nessuno che lo domina al di fuori di se stesso F 0D F dominatore di se stesso; mentre i piccoli mortali –metafora perifrastica- con le ombre lunghe a oriente escono nuovamente a popolare la città dopo la pausa di mezzogiorno). Alfin di consigliarsi al fido speglio
la tua dama cessò (la dama finisce di stare davanti allo specchio). Quante uopo è volte
chiedette, e rimandò novelli ornati (ella chiede tutto ciò che è necessario per abbellirla: ella chiede e respinge tutto ciò che i servi le portano. Lei rifiuta per ncessità);
quante convien de le agitate ognora
damigelle or con vezzi or con garriti
rovesciò la fortuna (quante volte è stato necessario rovesciare, capovolgere la fortuna delle agitate damigelle –per necessità- la sorte della damigella è appesa al capriccio della signora. Tutte le volte che la dama non era contenta di una damigella la cambiava); a se medesma
quante volte convien piacque e dispiacque;
e quante volte è d'uopo a sé ragione
fece, e a' suoi lodatori (è presentato un continuo mutare del volere della dama che rende schiavi gli altri che la devono servire. Tutte le volte che è stato necessario dava ragione a se stessa e a chi la lodava.) . I mille intorno
dispersi arnesi alfin raccolse in uno
la consapevol del suo cor ministra;
alfin velata d'un leggier zendado
è l'ara tutelar di sua beltate;
e la seggiola sacra, un po' rimossa,
languidetta l'accoglie. Intorno ad essa
pochi giovani eroi van rimembrando
i cari lacci altrui, mentre da lungi
ad altra intorno i cari lacci vostri
pochi giovani eroi van rimembrando (le damigelle sono consapevoli ministre de) O tre fiate avventurosi e quattro
voi del nostro buon secolo mariti
quanto diversi da' vostr'avi! Un tempo
uscìa d'Averno con viperei crini,
con torbid'occhi irrequieti, e fredde
tenaci branche un indomabil mostro
che ansando e anelando intorno giva
ai nuziali letti; e tutto empiea
di sospetto e di fremito e di sangue […] ma la prudenza coi canuti padri
siede librando il molt'oro, e i divini
antiquissimi sangui: e allor che l'uno
bene all'altro risponde, ecco Imenèo
scoter sua face; e unirsi al freddo sposo,
di lui non già, ma de le nozze amante
la freddissima vergine che in core
già volge i riti del bel mondo; Così non fien de la crudel Megera
più temuti gli sdegni. Oltre Pirene
contenda or pur le desiate porte
ai gravi amanti; e di feminee risse
turbi Oriente: Italia oggi si ride
di quello ond'era già derisa; tanto
puote una sola età volger le menti! (fino a 4/10 MINUTI. Il nome del GS è quello che rimbomba a gran voce. Il nome del GS risuona dappertutto e lo hanno sentito anche le profonde cucine. Questo accenno alla cucina -da cui partirà la parte sostanziale del pranzo- dà a Parini l’occasione di camminare sul luogo: nelle cucine si creano le cose prelibate da mangiare che spettano solo a dei e semidei. Emerge l’aspetto strettamente legato al pranzo: solo gli dei hanno papille gustative per percepire i cibi così delicati). Imbandita è la mensa. In piè d'un salto
alzati e porgi, almo signor, la mano
a la tua dama; e lei dolce cadente
sopra di te col tuo valor sostieni,
e al pranzo l'accompagna. I convitati
vengan dopo di voi; quindi 'l marito
ultimo segua. O prole alta di numi
non vergognate di donar voi anco
pochi momenti al cibo: in voi non fia
vil opra il pasto; a quei soltanto è vile,
che il duro irresistibile bisogno
stimola e caccia. All'impeto di quello
cedan l'orso, la tigre, il falco, il nibbio,
l'orca, il delfino, e quant'altri mortali
vivon quaggiù; ma voi con rosee labbra
la sola Voluttade inviti al pasto,
la sola Voluttà che le celesti
mense imbandisce, e al nèttare convita
i viventi per sé dèi sempiterni. (la mensa è imbandita e tutto si ferma di nuovo: il Precettore riprende la sua funzione con verbi imperativi. F 0E 0 il GS dopo aver fatto arrabbiare la dama con accuse velate di infedeltà la sera prima, deve dimostrare di piacere alla dama. Il GS con un balzo si deve alzare per baciare la mano alla dama ed ha l’onore di portarla alla tavola per mano e tutti la devono seguire, compreso il marito. L’alta prole degli dei possono partecipare alla tavola F 0E 0 tutti mangiano e quindi i figli dei lumi non si devono vergognare di dedicare pochi momenti al cibo. In voi il pasto non sarà un’opera vile perché non si confonderà con il popolo stimolato e cacciato dal bisogno irresistibile che è la fame F 0E 0 è vile mangiare troppo voracemente perché affamati. La chiusa del segmento è bipartito: il bisogno è quello delle bestie animali e quello di tutti gli altri mortali che vivono sulla Terra –il concetto di superiorità è esplicitato e indotto dalla scelta di termini particolari-. La seconda parte del segmento inizia con un avversativa Ma. I nobili sono un’altra cosa, hanno rosee labbra ed è la Voluttà (personificazione del Piacere) stessa che li invita a mangiare alla mensa degli dei. La Voluttà invita al Nettare, bevanda sacra agli dei, gli dei Sempiterni –dei autonomi che vivono per le ragioni che vogliono loro, trovano in se stessi la forza e la ragione di essere-. Questa raffigurazione di una classe superiore di piacere innesca un’altra digressione). F 0E 0 Forse vero non è; ma un giorno è fama,
che fûr gli uomini eguali; e ignoti nomi
fûr plebe, e nobiltade. Al cibo, al bere,
all'accoppiarsi d'ambo i sessi, al sonno
un istinto medesmo, un'egual (tornerà spesso per tutta la lunghezza del segmento) forza
sospingeva gli umani: e niun consiglio
niuna scelta d'obbietti o lochi o tempi
era lor conceduta. A un rivo stesso,
a un medesimo frutto , a una stess'ombra
convenivano insieme i primi padri
del tuo sangue, o signore, e i primi padri
de la plebe spregiata. I medesm'antri
il medesimo suolo offrieno loro
il riposo, e l'albergo(Ci sono ripetizioni costanti ed anaforiche; le ripetizioni evidenziano l’uguaglianza dei padri tra nobili e plebe); e a le lor membra
i medesmi animai le irsute vesti.
Sol' una cura a tutti era comune
di sfuggire il dolore, e ignota cosa
era il desire agli uman petti ancora. (Non è detto, ma corre fama che non esisteva una nobiltà e una plebe. Il mondo era mosso da un istinto medesimo e che portava tutti al soddisfacimento dei bisogni primari: l’uguaglianza era qualcosa di naturale. Nessuno esprimeva obiezioni e pareri di scelta –manca quindi il volere individuale-. Tutto era medesimo: caverne e suolo offrivano riposo a chiunque senza distinzioni. Tutti si coprivano della pelle degli stessi animali. -Questo flash sull’uguaglianza originaria dei padri è data da una ripetizione continua dei termini Medesimo, stesso, uguale-) tutti avevano lo scopo di fuggire il dolore. Il desiderio che porta verso il bello e il piacere era ignoto a tutti i cuori umani. La considerazione di uguaglianza permette l’introduzione della favola del piacere: L'uniforme degli uomini sembianza
spiacque a' celesti: e a variar la terra
fu spedito il Piacer. Quale già i numi
d'Ilio sui campi, tal l'amico genio,
lieve lieve per l'aere labendo
s'avvicina a la terra; e questa ride
di riso ancor non conosciuto. Ei move,
e l'aura estiva del cadente rivo,
e dei clivi odorosi a lui blandisce
le vaghe membra, e lentamente sdrucciola
sul tondeggiar dei muscoli gentile.
Gli s'aggiran d'intorno i Vezzi e i Giochi,
e come ambrosia, le lusinghe scorrongli
da le fraghe del labbro: e da le luci
socchiuse, languidette, umide fuori
di tremulo fulgore escon scintille
ond'arde l'aere che scendendo ei varca. L’uniformità non piaceva ai celesti e quindi a rendere varia la terra fu mandato il Piacere una delle armi dei celesti. Come già era successo sui campi di’Ilio –guerra di troia- in cui gli dei scesero in terra a combattere il piacere intervenne (forse simbolo per indicare la Lombardia che si rivolta allo straniero). La Terra, vedendo il Piacere scendere su di lei, inizia a ridere, di un riso che mai fu conosciuto. Il piacere è carezzato dall’aura estiva con cascatella e colline odorose di fiori. Il piacere è raffigurato in termini maschili su cui sdrucciolano gentili cascatelle e profumi^. F 0D F Attorno a lui ci sono giochi e lusinghe che gli sgorgano dalla bocca rossa di fragola come sgorga l’Ambrosia. Dagli occhi – luci- socchiusi escono abitar, sebbene
e Giuno e Febo e Venere e Gradivo
e tutti gli altri dèi da le lor sedi
per riverenza del Tonante uscîro. A un cavalier gentile non sarà mai lecito abbandonare il fianco della sua dama a mano che non sorgano cagioni particolari a compiere un simile affronto. F 0D F situazione che crea ironia perché ci si riferisce a qualcosa di ignoto e che comunque sarebbe straordinario. Ci si proietta poi in un mondo mitologico: gli antichi avevano un unico dio immobile che non cedette nemmeno al padre degli dei Giove. Ci si riferisce al dio Termine Tutti gli dei abbandonarono le loro sedi per riverenza nei confronti di Giove, tutti meno Termine. Sostanzialmente in questo verso si esprime il fatto che la dama si siede ed il cavaliere deve stargli accanto come Termine il dio inamovibile. Collocato a fianco alla dama il dio principale il GS tutti gli altri hanno un posto indistinto e se qualcuno ha ambizione di brillare più del GS non può F 0E 0 Indistinto ad ognaltro il loco sia
presso al nobile desco: e s'alcun arde
ambizioso di brillar fra gli altri,
brilli altramente. Oh come i varj ingegni
la libertà del genial convito
desta ed infiamma! Ivi il gentil Motteggio,
maliziosetto svolazzando intorno,
reca su l'ali fuggitive ed agita
ora i raccolti da la fama errori
de le belle lontane, ora d'amante
o di marito i semplici costumi:
e gode di mirare il queto sposo
rider primiero, e di crucciar con lievi
minacce in cor de la sua fida sposa
i timidi segreti. Ivi abbracciata
co' festivi Racconti intorno gira
l'elegante Licenza: or nuda appare
come le Grazie; or con leggiadro velo
solletica vie meglio; e s'affatica
di richiamar de le matrone al volto
quella rosa gentil che fu già un tempo
onor di belle donne, all'Amor cara
e cara all'Onestade; ora ne' campi
cresce solinga, e tra i selvaggi scherzi
a le rozze villane il viso adorna. La libertà di trovare i posti in maniera indistinta desta ed infiamma la competizione dei commensali. Emerge poi la descrizione dei pettegolezzi che avvengono durante la mensa: le chiacchiere svolazzano (come svolazzava il piacere e allo stesso modo gli amorino F 0E 0 questa caratteristica è tipica dei semidei: loro stanno a metà tra cielo e terra) F 0 E 0 si parla delle altre dame e gli errori sconvenienti che hanno compiuto che sono stati raccolti nei pettegolezzi. I semplici costumi [1.08-11]. Il marito non reagisce o comunque reagisce in maniera timida e solleva alcuni piccoli segreti della moglie. La raffigurazione del mondo è quella in cui trionfa la licenza con discorsi spinti e imbarazzanti; la licenza se ne va in giro nuda o con un velo delle grazie (trasparente) e a fatica fa arrossire le matrone come la rosa –simbolo del rossore- che una volta andava sul viso quando la licenza non trionfava. La rosa ora fiorisce solo sul viso di quelle donne che conoscono ancora il pudore. Già s'avanza la mensa. In mille guise
e di mille sapor, di color mille
la variata eredità degli avi
scherza ne' piatti; e giust'ordine serba. Forse a la dama di sua man le dapi
piacerà ministrar, Forse sarà la dama che vuole servire gli ospiti che le stanno vicini F 0E 0 che cosa può fare la candida mano, unica parte che la donna muove) F 0E 0 emerge un elogio delle movenze della mano, dei muscoli e delle giunture. Mentre la donna si fa ammirare nelle movenze della sua mano il GS prova un attimo di gelosia nel difendere la vista della mano: già s'arrischian, già volano, già un guardo
sfugge dagli occhi tuoi, che i vanti audaci
fulmina, et arde, e tue ragion difende. Il marito è tranquillo e non ha brama né desiderio in quanto Imene, dio del matrimonio, lo ha avvolto. F 0E 0 Pretesto per riprendere il concetto che lega il matrimonio alla noia. Oh come spesso
incauto amante a la sua lunga pena
cercò sollievo: et invocar credendo
Imene, ahi folle! invocò il Sonno; Il matrimonio è il tranello in cui cade l’incauto amante e che gli ha posto Imene: l’amante invece di incontrare la notte la giovane amata incontra il Sonno e la noia. Se la dama non vuole servire le vivande toccherà al GS farlo e tutti potranno ammirare i goielli che porti sulle mani, un esca che da sempre ha attirato gli usurai (il GS non è ricco ma è terribilmente indebitato pertanto quando gli usurai lo vedono si “ingelosiscono”): Ma se a la dama dispensar non piace
le vivande, o non giova, allor tu stesso
il bel lavoro imprendi. Agli occhi altrui
più brillerà così l'enorme gemma,
dolc'esca agli usurai, che quella osâro
a le promesse di signor preporre
villanamente: ed osservati fieno
i manichetti, la più nobil opra
che tessesse giammai anglica Aracne.
Invidieran tua dilicata mano
i convitati; inarcheran le ciglia
sul difficil lavoro, e d'oggi in poi
ti fia ceduto il trinciator coltello
che al cadetto guerrier serban le mense. il poeta raffigura tutti i diversi tipi di commensali; ironia e sarcasmo si manifestano anche per antitesi: il gran mangiatore è affiancato dallo schifiltoso che mangia solo verdure. Nella seconda parte di raffigurazione del pranzo si pone attenzione alla dama e al GS. Teco son io, signor (inizio che isola e riprende la narrazione dopo che è stata interrotta dalla possibilità che la dama movesse le mani. Ora son io vicino a te); già intendo e veggo
felice osservatore i detti e i motti
de' semidei che coronando stanno,
e con vario costume ornan la mensa (ripresa di dittologie “intendo e vedo” F 0E 0 prima si vede e poi si intende. Io capisco e vedo con grande piacere i detti e i motti che fanno da corona alla mensa con vari vestiti e umanità. La presentazione del mangiatore avviene con una serie di interrogative retoriche F 0E 0).
Or chi è quell'eroe che tanta parte
colà ingombra di loco (chi è quell’eroe – tutti i commensali sono definiti eroi che con i loro atteggiamenti intervengono alla mensa- che ingombra una gran parte del tavolo), e mangia e fiuta
e guata e de le altrui cure ridendo
si superba di ventre agita mole (endecasillabo rimarcato dall’iperbato. Chi è colui che mangia e fiuta –riferimento animalesco- e si guarda intorno con espressione di superficialità e ride delle preoccupazioni altrui agitando una così superba mole di ventre? Caratterizzazione perifrastica: la persona potrebbe essere solo un ventre talmente lo ha enorme –iperbole-)?
Oh di mente acutissima dotate
mamme del suo palato (le sue papille hanno sensazioni altissime)! oh da mortali
invidiabil anima che siede
tra la mirabil lor tesatura (le papille hanno un’anima invidiabile e che risiede nella loro struttura eccezionale); e quindi
l'ultimo del piacer deliquio sugge (e dunque succhia l’ultimo frutto del piacere)!
Chi più saggio di lui penètra e intende
la natura migliore; o chi più industre
converte a suo piacer l'aria, la terra,
e 'l ferace di mostri ondoso abisso (II interrogativa retorica speculare alla prima, di quattro versi. Racchiude la personificazione delle papille. Nessuno è più saggio di lui che sa penetrare, cogliere e capire il meglio della natura; e nessuno è più illustre di lui a convertire in suoi piacere la terra, l’aria e i feraci mostri dell’ondoso abisso, i pesci.)?
Qualor s'accosta al desco altrui, paventano
suo gusto inesorabile le smilze
ombre de' padri (quando si avvicina alla tavola –sempre altrui- si spaventano le ombre dei magri e defunti antenati –padri- e tremano per il suo gusto inesorabile –divora ogni cosa-), che per l'aria lievi
s'aggirano vegliando ancora intorno
ai ceduti tesori (ombre che ancora lievi si aggirano vegliando, custodendo i tesori lasciati ai figli): e piangon lasse
le mal spese vigilie, i sobrj pasti,
le in preda all'aquilon case, le antique
digiune rozze, gli scommessi cocchj
forte assordanti per stridente ferro
le piazze e i tetti (piangono le mal spese vigiglie –privazioni- per mettere da parte i tesori hanno fatto molti sacrifici e questi si possono considerare mal impiegati in quanto sono stati per i nipoti debosciati. Gli antenati piangono i digiuni, i pasti sobri, le scommesse sui cocchi che forte correvano sulle piazze): e lamentando vanno
gl'invan nudati rustici, le fami
mal desiate, e de le sacre toghe
l'armata in vano autorità sul vulgo (si lamentano anche i contadini denudati e impoveriti di tutto quello che avevano per far arricchire chi ora non lo merita, un autorità ormai persa). La raffigurazione di questo grande mangiatore, come per tutte quelle presentate finora, è una raffigurazione ipercaratterizzante “sono delle Macchiette”. La raffigurazione è data dall’antitesi “Oggi” e “Ieri”: se oggi lui mangia a spese altrui gli antenati si mordono le mani vedendo che i loro sacrifici hanno portato a sfamare questa gente che non fa nulla per guadagnarsi da vivere. La raffigurazione che va dal verso 452 al 464 è data dall’antitesi tra i nipoti che sperperano i beni e gli avi che hanno risparmiato. Chi siede a lui vicin? Per certo il caso
congiunse accorto i due leggiadri estremi
perché doppio spettacolo campeggi;
e l'un dell'altro al par più lustri e splenda (a chi siede lui vicino? Fu certamente il caso che affiancò questi due estremi perché ci fosse un doppio spettacolo -senso ironico. Uno sembra che sia più brillante e splendido dell’altro; è una gara tra i due leggiadri estremi).
Falcato dio degli orti a cui la greca
Làmsaco d'asinelli offrir solea
vittima degna, al giovine seguace
del sapiente di Samo i doni tuoi
reca sul desco: egli ozioso siede
dispregiando le carni; e le narici
schifo raggrinza, in nauseanti rughe
ripiega i labbri, e poco pane intanto
rumina lentamente (la raffigurazione avviene con una lunga perifrasi che convoca il “falcato dio”; sono riportati elementi classici e mitologici per descriverlo. Egli è ozioso, al contrario del mangiatore che mangiava, fiutava e guardava. Il vegetariano sta fermo e disprezza le carni. mai sempre
qual più cibo le nuoca, o qual più giovi;
e l'un rapisci a lei, l'altro concedi
come d'uopo ti par (tutto ciò è in seguito al al fatto che la dama non vuole servire le vivande e quindi il GS taglia le carni con il suo preciso e amorevole coltello. Amore che sa discernere e dividere tutte le parti dell’animale. Soprattutto ti devi ricordare quale cibo faccia male alla dama e quale le rechi piacere. Il primo portaglielo via e l’altro lascia che lo mangi secondo il tuo giudizio). Serbala, oh dio,
serbala ai cari figlj (apostrofe. Oh Dio conserva lungamente la dama ai cari figli che notoriamente sono il centro dell’interesse della dama e della sua attività). Essi dal giorno
che le alleviâro il dilicato fianco
non la rivider più (i figli che da quando sono nati –hanno reso più leggero il fianco della dama- non l’hanno più rivista): d'ignobil petto
esaurirono i vasi, e la ricolma
nitidezza serbâro al sen materno (I figli messi subito abalia esaurirono il latte di un petto ignobile, mentre lasciarono il seno della madre intatto e ben modellato).
, se a te par, ch'avida troppo
agogni al cibo Sgridala (il GS deve sgridarla se ti pare che desideri smodatamente il cibo); e le ricorda i mali
che forse avranno altra cagione, e ch'ella
al cibo imputerà nel dì venturo (e ricordale che il giorno dopo ella stessa imputerà al cibo altri malanni anche se questi avranno magari altra natura).
Né al cucinier perdona a cui non calse
tanta salute (non devi nemmeno perdonare al cuoco a cui non importa la tua salute F 0E 0 se il cuoco sbaglia è segno che non ha a cuore la salute della donna). A te sui servi altrui
ragion donossi in quel felice istante
che la noia, o l'amor vi strinser ambo
in dolce nodo; e dier ordini e leggi (anche se non sei a casa tua, GS, hai comunque diritto sui servi degli altri: puoi sgridare i servi della dama anche se non sei nel tuo palazzo).
Per te sgravato d'odioso incarco
ti fia grato colui che dritto vanta
d'impor novo cognome a la tua dama (questo diritto ti è dato dagli stretti rapporti che hai con la dama);
e pinte trascinar su gli aurei cocchi
giunte a quelle di lei le proprie insegne:
dritto illustre per lui, e ch'altri seco
audace non tentò divider mai (il marito sarà grato al GS che lo sgrava dall’incarico odioso di curare ciò che fa la moglie. Ti sarà grato colui che vanta di aver dato il cognome alla tua dama e di aver trascinato sui cocchi di lei i suoi stemmi dorati). Ma non sempre, o signor, tue cure fieno
a la dama rivolte (non sempre devi rivolgere le attenzioni a lei perché ti è lecito riposare ogni tanto): anco talora
ti fia lecito aver qualche riposo;
e de la quercia trionfale all'ombra
te de la polve olimpica tergendo,
al vario ragionar degli altri eroi
porgere orecchio, e il tuo sermone ai loro
ozioso mischiar (l’eroe dopo aver compiuto il suo dovere fino in fondo può riposare così il GS Dopo aver curato la dama può riposare -come gli eroi che dopo aver adempiuto al loro dovere si incoronano con alloro, vincitore delle gare olimpiche-. Il GS può ascoltare e chiacchierare con gli altri commensali in un intrattenimento ozioso). Già scote un d'essi
le architettate del bel crine anella
su l'orecchio ondeggianti; e ad ogni scossa,
de' convitati a le narici manda
vezzoso nembo d'arabi profumi.
Allo spirto di lui l'alma Natura
fu prodiga così, che più non seppe
di che il volto abbellirgli; e all'Arte disse:
- Compisci 'l mio lavoro; - e l'Arte suda
sollecita d'intorno all'opra illustre.
Molli tinture, preziose linfe,
polvi, pastiglie, dilicati unguenti
tutto arrischia per lui. Quanto di novo,
e mostruoso più sa tesser spola,
o bulino intagliar francese ed anglo
a lui primo concede (descrizione di uno dei più appariscente dei commensali, una specie di narciso che ha una specie di architettura al posto dei capelli. Egli scuote i suoi riccioli curati ondeggianti sulle orecchie e manda alle narici di chi gli sta attorno delle ondate di profumo. La sua essenza è talmente divina che la natura non potrebbe abbellirlo di più, solo l’arte potrebbe farlo: l’arte della cosmesi gioca tutte le sue armi –elencate in una serie di 4 elementi- . l’arte gli concede a questo individuo alla moda quanto di nuovo e “mostruoso” –eccezionalmente mirabile-sa stendere la stola e quanto di nuovo sa intagliare il bulino F 0E 0 tutto ciò che è francese. La tabacchiera è all’ultimo grido: l’oreficeria è mirabile ma non italiana pertanto la può mostrare in giro F 0E 0 ciò crea l’invidia che mangia e divora gli altri commensali. F 0D F tutto ciò che arriva da lontano è ricercato al contrario di ciò che arriva dall’Italia). Vedi, o signor, quanto magnanim'ira
nell'eroe che vicino all'altro siede
a quel novo spettacolo si desta (qui appare lo spettacolo di un altro eroe, diverso dal precedente, quello della tabacchiera):
vedi come s'affanna, e sembra il cibo
obliar declamando (vedi quanto si affanna e quanto appare adirato e indignato parlando con una foga così forte da dimenticarsi del cibo). Al certo al certo
il nemico è a le porte (ripetizione- con valore di “certamente” non può voler dire altro se non che il nemico è alle porte –rimanda ad una dimensione diversa, degli avi citati prima nel momento della cipria e del gran mangiatore-): ohimè i Penati
tremano, e in forse è la civil salute (i Penati, i focolari che curano la patria, tremano e forse è minacciata la salute di tutta la società).
Ah no; più grave a lui, più preziosa
cura lo infiamma (non è il nemico che attacca ma per il personaggio è un preoccupazione più raffinata e preziosa che lo infiamma!): - Oh depravati ingegni
degli artefici nostri (oh gli ingegni dei nostri artefici sono ormai depravati –condizione più penosa e lamentevole-. L’ingegno si riferisce a quella cosa che permette a chi pratica un’arte di creare e che negli italiani non è all’altezza al confronto di quello straniero. F 0D F l’eroe che sta parlando si fa portavoce dell’intero bel mondo e del concetto che esprime)! In van si spera
dall'inerte lor man lavoro industre,
felice invenzion d'uom nobil degna:
chi sa intrecciar, chi sa pulir fermaglio
a nobile calzar (inizia l’attacco contro all’ingegno italiano. Si spera invano nella loro fatica produttiva perché la loro mano non produrrà mai nessuna invenzione degna di un uomo nobile come il soggetto parlante: chi sa intrecciare, pulire un fermaglio al calzare di un nobile?)? chi tesser drappo
soffribil tanto, che d'ornar presuma
le membra di signor che un lustro a pena
di feudo conti (chi ancora oggi è in grado di tessere una stoffa che può anche solo pretendere di ornare le membra di un nobile signore che conti appena un lustro di feudo –nobile da appena 5anni)? In van s'adopra e stanca
chi 'l genio lor bituminoso e crasso
osa destar (rovesciamento: sopra si sperava di trovare qualcuno che sapesse produrre qualcosa adatto alla classe nobiliare mentre qui si rende paradossale l’affermazione. Colui che cerca di destare in loro – artigiani- il genio sfatto compie un’azione vana.). Di là dall'Alpi è forza
ricercar l'eleganza (perché l’eleganza in questi oggetti va cercata al di là della Alpi): e chi giammai
fuor che il Genio di Francia osato avrebbe
su i menomi lavori i Grechi ornati
recar felicemente (nessuno al di fuori che il genio francese avrebbe osato mai creare ornamenti alla stregua di quelli greci –riproposizione degli antichi- F 0D F nobilitazione alla Grecia)? Andò romito
il bongusto finora spaziando
su le auguste cornici, e su gli eccelsi
timpani de le moli al nume sacre,
e agli uomini scettrati; oggi ne scende
vago alfin di condurre i gravi fregi
infra le man di cavalieri e dame (il buon gusto se ne è andato dall’Italia, è ormai spazzato via. Questi ornati greci finora erano rimasti isolati, si potevano solo notare sulle cornici augustee o sui timpani o templi ornati di architetture neoclassiche o sui palazzi più alti di chi ha lo scettro. Questo buon gusto isolato in poche sedi oggi è finalmente sceso da queste costruzioni ed è portato nella mani di cavalieri e dame perché il genio francese lo ha applicato ai vestiti):
tosto forse il vedrem trascinar anco
su molli veli, e nuziali doni
le greche travi; e docile trastullo
fien de la moda le colonne, e gli archi
ove sedeano i secoli canuti -. (il discorso diretto è più vasto ed esteso: questo lungo discorso si lega strettamente ai precedenti –versi 610 e seguenti- in cui Parini affronta l’aspetto dell’essere alla moda che comporta l’apparire sempre tramite gusti stranieri “oggetti esteri” F 0E 0 esterofilo). L’auspicio del discorso spera che queste decorazioni greche siano applicate su tutti i veli e sui doni nuziali, in questo modo le colonne e gli archi su cui sedevano i secoli caduti, trascorsi, saranno un docile trastullo della moda. F 0D F magari anche le caratteristiche di queste architetture diventeranno una nuova moda. L’oltranza di questo personaggio parla della moda ed esprime l’oltranza nei confronti di tutto ciò che crea l’Italia crea un eccesso di idee che convive con quello linguistico F 0E 0 chi parla usa un eccesso linguistico. - Commercio! (valore avverbiale) - alto gridar; gridar: - commercio! -
all'altro lato de la mensa or odi
con fanatica voce: e tra 'l fragore
d'un peregrino d'eloquenza fiume,
di bella novità stampate al conio
le forme apprendi (A questa classe sociale così vuota non può che interessare la parte di linguaggio che riguarda solo la fonetica e neologismi F 0E 0 parole che si sentono solo perché la moda le mette in circolazione. Il commensale usa parole che probabilmente sono francesi o inglesi, le usa senza conoscerne il significato ma solo la forma. Tu GS in mezzo a questo fragore di urla, un fragore di peregrina e raffinata eloquenza, imparerai molti neologismi nuovi., onde assai meglio poi
brillantati i pensier picchin la mente A cosa servono queste nuove forme? Queste gemme renderanno i pensieri brillantati e picchieranno –rimarranno impressi- la tua mente.
Tu pur Zoroastro, rivolgiti a lui e con lui ragiona );
suo linguaggio ne apprendi, e quello poi
quas'innato a te fosse, alto ripeti:
né paventar quel che l'antica fama
narrò de' suoi compagni (impara il suo linguaggio e ripeti come se per te fosse una cosa innata). […] Né del poeta temerai, che beffi
con satira indiscreta i detti tuoi;
né che a maligne risa esponer osi
tuo talento immortal. Voi l'innalzaste
all'alta mensa: e tra la vostra luce
beato l'avvolgeste; e de le Muse
a dispetto e d'Apollo, al sacro coro
l'ascriveste de' vati (temerai che il poe). Egli 'l suo Pindo
feo de la mensa (egli fece della menza il suo borgo poetico, sa cantaro solo quello che la gente che partecipa alla mensa vuole)…: e guai a lui, se quinci
le dèe sdegnate giù precipitando
con le forchette il cacciano non può far dispiacere a nessuno perché le dame sdegnate lo cacciano con le forchette! Meschino!
Più non potria su le dolenti membra
del suo infermo signor chiedere aita
da la buona Salute (egli non avrà più speranza di vivere allegramente, gli verranno a mancare tutti quei gesti “affettivi” che il padrone gli dava –il buffetto sul naso-); o con alate
odi ringraziar, né tesser inni
al barbato figliuol di Febo intonso (similitudine):
più del giorno natale i chiari albori
salutar non potrebbe, e l'auree frecce
nomi-sempiternanti all'arco imporre:
non più gli urti festevoli, o sul naso
l'elegante scoccar d'illustri dita
fora dato sperare. A lui tu dunque
non isdegna, o signor, volger talvolta
tu' amabil voce: a lui declama i versi
del dilicato cortigian d'Augusto,
o di quel che tra Venere, e Lièo
pinse Trimalcion. La Moda impone,
ch'arbitro, o Flacco a un bello spirto ingombri
spesso le tasche. Il vostro amico vate
t'udrà, maravigliando, il sermon prisco
or sciogliere or frenar qual più ti piace:
e per la sua faretra, e per li cento
destrier focosi che in Arcadia pasce
ti giurerà, che di Donato al paro
il difficil sermone intendi e gusti. Il ricco volgare si circonda di servi sciocchi che fanno sempre quello che egli vuole. La religione è rappresentato come un freno di elaborazione anaforica per frenare gli impusli del uomo il GS la irride. F 0D F chi oserà porre un freno alla mente o al cuore del GS Qui ti segnalerai co' novi sofi
schernendo il fren che i creduli maggiori
atto solo stimâr l'impeto folle
a vincer de' mortali, a stringer forte
nodo fra questi, e a sollevar lor speme
con penne oltre natura alto volanti.
Chi por freno oserà d'almo signore
a la mente od al cor? Paventi il vulgo
oltre natura: il debole prudente
rispetti il vulgo; e quei, cui dona il vulgo
titol di saggio, mediti romito
il ver celato; e alfin cada adorando
la sacra nebbia che lo avvolge intorno. (l’uomo saggio ma debole rispetti pure la credulità della religione e colui al quale la religione dona il titolo di saggio mediti pure isolato la verità celata. Ci sono 3 categorie : il Volgo credulone, il Prudente che rispetta il pensiero del volgo e i Pensatori che riflettono su cose più complesse e concrete anche per chi non lo fa. La sacra nebbia avvolge tutto il volgo ma il GS vola in alto come un’aquila sublime e sovrasta tutta la nebbia. E per essere ancora più generoso dovrà volare senza ali. E tutti ammireranno il tuo poggio, la collina su cui approderai dopo aver espresso il tuo pensiero e tutti ti applaudiranno. Ma il mio signor, com'aquila sublime
dietro ai sofi novelli il volo spieghi.
Perché più generoso il volo sia,
voli senz'ale ancor; né degni 'l tergo
affaticar con penne. Applauda intanto
tutta la mensa al tuo poggiare ardito.
Te con lo sguardo, e con l'orecchio beva
la dama dalle tue labbra rapita:
con cenno approvator vezzosa il capo
pieghi sovente: e il «calcolo», e la «massa»,
e l'«inversa ragion» sonino ancora
su la bocca amorosa. Or più non odia
de le scole il sermone Amor maestro;
ma l'accademia e i portici passeggia
de' filosofi al fianco, e con la molle
mano accarezza le cadenti barbe. La dama rapita da tanta sapienza approva vezzosa con il capo e le sue labbra ripetono ciò che tu hai espresso con terminologia scientifica che in questo caso diventa di salotto. Non vi è più un linguaggio da sermone maestro ma Amore passeggia insieme ai filosofi e gli studiosi e con la sua delicata mano accarezza le loro barbe. F 0E 0 Amore non è solito apprezzare la scienza ma in questo caso no. Ma guàrdati, o signor, guàrdati oh Dio!
dal tossico mortal che fuora esala
dai volumi famosi; e occulto poi
sa, per le luci penetrato all'alma,
gir serpendo nei cori; e con fallace
lusinghevole stil corromper tenta
il generoso de le stirpi orgoglio
che ti scevra dal vulgo. Il discorso con la sua luce entra nei cuori F 0E 0 è pericoloso perché se la filosofia entra nel cuore vi è il rischio di diventare un bruto Udrai da quelli,
che ciascun de' mortali all'altro è pari;
che caro a la Natura, e caro al cielo
è non meno di te colui che regge
i tuoi destrieri, e quei ch'ara i tuoi campi (quando orecchierai la filosofia dei bruti sentirai che alla natura e il cielo hanno cari a loro chi porta i tuoi destrieri ed i contadini);
e che la tua pietade, e il tuo rispetto
dovrien fino a costor scender vilmente (e che addirittura dovrai pietà e rispetto a costoro).
Folli sogni d'infermo (sogni folli e malati di una mente inferma)! Intatti lascia
così strani consiglj; e sol ne apprendi
quel che la dolce voluttà rinfranca,
quel che scioglie i desiri, e quel che nutre
la libertà magnanima (non ti curare di questi consigli e ricava soltanto ciò che rafforza la tua dolce voluttà, ciò che ti permette di realizzare i tuoi desideri e quel pensiero che fa crescere la licenza F 0D F tutto ciò che secondo il precettore il GS dovrebbe ricavare dai filosofi). Tu questo
reca solo a la mensa (porta solo questi concetti alla mensa): e sol da questo
cerca plausi ed onor. Così dell'api
l'industrioso popolo ronzando,
gira di fiore in fior, di prato in prato;
e i dissirnili sughi raccogliendo,
tesoreggia nell'arnie: un giorno poi
ne van colme le pàtere dorate
sopra l'ara de' numi; e d'ogn'intorno
ribocca la fragrante alma dolcezza. Come le api che vanno di fiore in fiore succhiando il nettare che produce i fiori tu devi care con i libri prendendo solo il meglio Or versa pur dall'odorato grembo
i tuoi doni o Pomona; e l'ampie colma
tazze che d'oro e di color diversi
fregiò il sàssone industre; il fine è giunto
de la mensa divina. E tu dai greggi
rustica Pale coronata vieni
di melissa olezzante e di ginebro;
e co' lavori tuoi di presso latte vergognando t'accosta a chi ti chiede,
ma deporli non osa. In su la mensa
potrien deposti le celesti nari
commover troppo, e con volgare olezzo
gli stomachi agitar. Torreggin solo
su' ripiegati lini in varie forme
i latti tuoi cui di serbato verno
rassodarono i sali, e reser atti
a dilettar con subito rigore
di convitato cavalier le labbra. (il gelato è tale da una lavorazione particolare e reso duro da determinati sali e con il loro vigore danno piacere a tutti gli invitati. ) Tu, signor, che farai poiché fie posto
fine a la mensa, e che lieve puntando
la tua dama gentil fatto avrà cenno,
che di sorger è tempo? In piè d'un salto
balza prima di tutti; a lei t'accosta,
la seggiola rimovi, la man porgi; (cosa fari tu signore quando la dama decreterà la fine della mensa? Il GS dovrà fare un salto e proporsi a raccogliere l’orlo della sua gonna. Lui si accosta a lei e toglile la sedia, porigle la mano e guidala in un'altra stanza e non tollerare che lei deve sopportare l’odore di mangiare che rimane nella stanza pechè le offende la mente delicata) guidala in altra stanza, e più non soffri,
che lo stagnante de le dapi odore
il célabro le offenda. Ivi con gli altri
gratissimo vapor t'invita, ond'empie
l'aria il caffè che preparato fuma
in tavola minor cui vela ed orna
indica tela. Ridolente gomma
quinci arde intanto(la conduce in una stanza dove aleggia il profumo di caffè e intanto aleggiano nella stanza altri odori, quelli di incensi profumati che servono per purgare l’aria profana; e va lustrando e purga
l'aere profano, e fuor caccia del cibo
le volanti reliquie. Egri mortali (malati mortali)
cui la miseria e la fidanza un giorno
sul meriggio guidâro a queste porte;
tumultuosa, ignuda, atroce folla
di tronche membra, e di squallide facce,
e di bare e di grucce,