Scarica Il mestiere del grafico- Albe Steiner e più Sintesi del corso in PDF di Comunicazione Grafica solo su Docsity! Il mestiere di grafico Capitolo 1: Quattro lezioni • Marchi e immagini coordinate per l’industria Registrazione di una lezione per il corso speciale superiore di Disegno Industriale tenuta a Roma all’Istituto statale d’arte. (1967) L’obiettivo della conversazione è la conoscenza specifica della grafica industriale in riferimento a cinque temi.
I temi sono nell’ordine: a) Marchi ed immagini coordinate per l’industria; b) Lettering,segnaletica e simbologia;+ c) Editoria d) Attrezzi e display punti vendita e) Imballaggio di prestazione contenitori Obiettivo: Dare a voi un metodo per poter operare in base alla mia esperienza.
Tutti noi siamo degli autodidatti, la professione di grafico non esisteva in Italia fino
a vent’anni fa: dal dopoguerra si inizia ad avere la necessità di istituzionalizzare la professione. Il mio titolo scolastico di ragioniere non ha nulla a che vedere con il mio mestiere. La mia famiglia lombarda borghese aveva la necessità di avere come figli un dirigente commerciale e un legale dell’industria. Non avevo nessuna voglia di fare il dirigente commerciale ma non potevo disobbe- dire, ho preso il diploma e mi sono fermato lì, la morte di mio padre mi ha reso libero di scegliere la mia strada. Questo è importante per comprendere il periodo di vita e di storia italiana che de- terminano le scelte di ognuno di noi. L’influenza e il fascino dei nuovi materiali era tale che si sen- tiva il bisogno di esprimersi non più con la tempera, l’incisione, la pittura, ma con nuovi strumenti che allora erano chiamati polimaterici ( la carta, la plastica, le resine, il colore, la fotografia Non avevo nessuna voglia di fare il dirigente commerciale ma non potevo disobbedire, ho preso il diploma e mi sono fermato lì, la morte di mio padre mi ha reso libero di scegliere la mia strada. Per me la pubblicità non ha nulla a che vedere col disegno industriale e non ero in grado di inse- gnare una materia nella quale non credevo. A Urbino c’è la scuola del Libro e lì ho accettato l’in- carico, il titolo è ‘arte del Libro’. Dunque sono nato a Milano nel 1913, mi sono diplomato a Milano e ho iniziato la professione nel 1932, svolgo le attività didattiche che vi ho detto e in più ho alcuni incarichi di carattere ufficiale in Italia e all’estero. Come attività in associazioni che ritengo molto importanti per avere una conoscenza di cosa fanno gli altri in Italia e all’estero,
una delle più interessanti è stata quella, tra il ‘46 e il 48’, come socio straniero del Taller de Grafica Popular a Città del Messico. Altra associazione importante, nata nel ‘55 è l’Aliance Graphique In- ternazionale. Nel 56’ abbiamo fondato in Italia l’Associazione di Disegno Industriale (Adi). Oggi l’Adi è molto viva ed ha un fortissimo gruppo di soci ( industriali, imprenditori, designers, architetti, grafici). Nel 60’ l’istituto di periti ha costituito una sezione di esperti che si chiama
Aigec( Associazione italiana periti esperti e consulenti nelle attività grafiche, editoriali e cartarie). Ho accettato di far parte del consiglio del Centro Studi Bodoni a Parma. Un grafico può dare aiuto ai bambini ad esempio può sostituire i diari scolastici con dei gradevoli tipi di agende che permettono al bambino di scrivere quello che vuole e di usare gli strumenti che vuole. Quando si parla di libro, d’impaginazione, ben difficilmente si pensa che non si tratti di far vedere delle copertine o delle impaginazioni più o meno riuscite, ma di spiegare come per un vo- lume di basso costo e alta tiratura sia necessario stabilire delle norme e quindi disegnare e sche- matizzare ogni pagina con delle regole fisse. Parliamo ora della grafica come disegno industriale. Questo ci serve per comprendere la differen- za tra grafica artigianale e grafica industriale. Se mi domandaste se fare un marchio è lavoro arti- gianale o industriale, vi rispoderei che è un lavoro artigianale. Quando si disegna un marchio e non si conosce la sua destinazione, il suo uso, commettiamo già un certo tipo di errore. Per esempio: quando diciamo vetrine(display) di per sè si parla di lavoro artigianale. Non lo è più se pensiamo ai puntu vendita dei supermarket come Upim, Rinascente. Ogni punto di vendita ha delle sei alle dieci vetrine, più l’interno ed è quindi evidente che gli attrezzi devono essere di serie e che la progettazione deve essere fatta con disegno al tavolo, con uno schema di organizzazio- ne. Oggi per imballaggio di presentazione e contenitori si può intendere il fare con materiale car- taceo mobili ed attrezzature per negozi, intercambiabili anche in pochi minuti. Imballaggio signifi- ca anche avere una biblioteca di classe in contenitori di cartone, all’interno dei quali sono già i libri con le lezioni che devono essere preparate. Lo scatolone viene messo in un camion e spedito. Segnaletica e simbologia: segnaletica è quella stradale, orizzontale e verticale; la simbologia è un’altra cosa. La segnaletica stradale si può anche avvalere di simboli, ma la simbologia è quella che voi trovate nelle torri di controllo degli aeroporti, simile a quella dei cruscotti di comando dei jets, delle navi ecc. Marchi e immagini coordinate.
Una volta, ed ancora oggi in certe zone, si marchiavano i capi di bestiame con forme diverse a seconda della razza e della zona. Una volta con le pietre si indicava il termine di zona di proprietà di terra, poi si sono indicate le città, poi gli imperi, i ducati o i castelli. Con l’inizio della civiltà in- dustriale, l’indutria ha sentito la necessità di ‘marcare in serie’
il proprio prodotto, per differenziarlo e garantirlo nella forma che tutti conoscono.
Quindi il marchio diventa un oggetto, un segnale: non si tratta più di buste, carta e biglietto, ma si comincia a parlare di stampati interni aziendali o di enti. Se invece, e cominciamo a vedere esem- pi di marchi coordinati contemporanei, pensiamo già a un collegamento tra marchio, cioè simbo- lo, stazione di servizio. È solo in questo momento che il marchio moderno si chiama ‘immagine coordinata’. Un’immagine coordinata per una casa farmaceutica non può essere uguale all’imma- gine coordinata per un’impresa di trasporti aerei: Mi piace fare esempi in base alla mia esperienza di lavoro. Vediamo il marchio Pierrel, un’industria farmaceutica:
Se la compressa si spacca in quattro parti uguali e se ne dà una o due o tre a breve distanza di tempo, l’assimilazione è immediata. Ho cominciato a disegnare il marchio diviso in quattro: la P come croce greca. Ho chiesto se era possibile aumentare lo spessore della pillola per inciderla maggiormente e modificare la catena di produzione, il che comportava una notevole spesa. Dagli studi fatti si arrivò alla conclusione che era meglio modificare la catena di produzione, ma avere una pillola facilmente rompibile in quattro, partendo da un marchio con croce greca. Un altro esempio è quello dell’Università di Urbino.
Mi fu chiesto di fare una proposta di immagine coordinata così articolata: -stampati interni (esempio, tessera personale dello studente);amministrazione (esempio, registri, fatture ecc.); oggetti marcati (biancheria, stemma del collegio ecc.);segnaletica (segnalazione esterna ‘viabilità’ e di uso normale ‘richiami’. Ho cominciato quindi a ricercare i simboli tradizionali di Urbino per vedere quali erano quelli che potevano servire ad una identificazione del collegio. Li bocciai tutti. L’idea che mi era venuta in mente partiva dall’osservazione della pianta della direzione dei servizi, questa pianta mi suggeriva le due U, a seconda dell’orientamento della nascita e del tramonto del sole, e una C. Ho provato a riempirne una parte e a tradurla in caratteri molto semplici, bastoni. L’ultimo esempio personale riguarda la Bertelli, non si trattava di un’immagine coordinata nel sen- so di una sola immagine modulata secondo varie destinazioni, bensì, di immagini diverse le une dalle altre, ma con un unico riferimento per tante linee e situazioni diverse. Il metodo seguito può essere articolato in due parti. Prima parte: la rilevazione degli elementi qualitativi, impliciti soprattutto nella situazione generale del tema ed indicati nell’impostazione dello studio. Seconda parte: rilevazione dei dati quantitativi riferiti anche agli aspetti qualitativi emersi nel corso della prima fase dello studio. Ognuno dei marchi è stato disegnato sulla base della lettera B per diverse linee di produzione, che siano casalinghi, farmaceutici o di cosmesi è sempre la B predo- minante. Nel caso del sapone Sapol confesso l’errore. Oggi avrei fatto un marchio che fosse un • Il giornale di fabbrica Lezione all’Umanitaria di Milano (1968) Prendo un giornale, lo piego e lo metto in tasca. La verifica della dimensione e del formato deve essere si fatta in rapporto alla macchina che lo stampa, al carattere che usa, al percorso di lettura occidentale, da sinistra a destra, con un corpo corrispondente alla possibilità di lettura anche di chi non è abituato a leggere, anche di chi è stanco dopo
un periodo di lavoro di una giornata, ma dev’essere anche in considerazione di un certo uso come servizio tascabile, trasportabile, quindi studiato in modo da suddividere gli
spazi secondo la necessità. Per esempio se la piega cade esattamente sull’illustrazione è chiaro che l’usura rovina l’illustrazione, la piega deforma l’immagine. La giustezza delle colonne va scelta secondo le pieghe del giornale. È un primo esempio per capire come
sia necessario trovare un tipo di linguaggio diverso da quello fin qui in uso e tipico della borghe- sia. Se il mondo va verso una società senza classi, occore che il linguaggio non
sia più un linguaggio di classe. Così ho sentito il bisogno di accorciare la lunghezza dei testi del giornale perchè stancavano il lettore. Dev’essere una comunicazione diretta. È inutile sprecare in un giornale tanto spazio per mettere un simbolo, cioè un segno. Niente più stemmi medievali, niente più marchio di proprietà. L’occhio percepisce segni, forme immagini che stancano. Se io voglio far leggere il testo devo togliere tutte le immagini che non sono essenziali, cominciando dalla ripetizione di parole, di sottotitoli e di simboli, di testate. Questa premessa basata su espe- rienze fatte, possiamo riassumerla così:
contenuto diverso dalle pubblicazioni di privilegio. Il giornale è un servizio pubblico, servizio pub- blico come informazione, come comunicazione. Questa comunicazione
deve essere fatta con degli strumenti tipici del nostro tempo, per esempio l’offset. L’orientamento futuro è questo: dare un servizio casalingo del quotidiano, sarà un
servizio pubblico sempre più collettivo. La prima cosa è il contenuto, la seconda cosa
è l’espressione di linguaggio, cioè il testo, la terza cosa e l’ultima è la visualizzazione, l’immagine. Possiamo noi in un giornale statico usare dei tipi di immagini dinamiche tipiche della televisione e del cinema? Evidentemente no, il tipo di immagine che noi dobbiamo ricercare è diversa, è il do- cumento che alla televisione non è facilmente percepibile, quindi che sia un disegno o una foto- grafia deve essere un documento di valore permanente, dev’essere solo quell’immagine che si deve conservare e questo richiede una scelta, fatta in un certo modo. C’è poi la questione delle vignette: bisogna trovare delle cose che siano valide, se non c’è nessuno che è capace di dise- gnarle si prendono da altri giornali scegliendo quelle più interessanti, quelle più importanti e di- cendo chiaramente la fonte. Invece la statistica o la tabella come illustrazione hanno
un grande valore perchè sono sintetiche e dirette ma le dimensioni dei numeri, i retini devono es- sere perfettamente fatti. I caratteri, il maiuscolo se usato correttamente
è giusto, il minuscolo è l’estremismo, malattia infantile della grafica perchè abolisce completa- mente tutte le possibilità di lettura. Il consiglio è: rispettiamo il nostro liguaggio, usiamo per il mo- mento il maiuscolo e il minuscolo e ricordiamoci che il corsivo ha la sua funzione, il tondo ha la sua funzione e così via. Dal contenuto, all’esame della lettura, alla dizione, alla metrica, alla ritmi- ca, alla scanditura, alla sottolineatura, sono tutte funzioni in rapporto alla comprensione del mes- saggio che noi vogliamo dare. In rapporto allo spazio che ho a disposizione scelgo un corpo che corrisponda al mio destinatario(tipo di lettore). Quello che importa è la comunicazione e non un tentativo di decorazione giornalistica. Il mestiere di grafico Capitolo 2: La grafica • Presentazione al volume di grafica- Due dimensioni È il testo introduttivo di Due dimensioni. Grafici, illustratori e fotografi pubblicitari italiani, a cura di M. Huber, L. Michelet- to, L. Montaini, T. Neuburg, G. Sironi e A. Steiner, Milano(1964). La storia della grafica moderna in Italia si divide in tre periodi. Un periodo di formazione e deriva- zione pittorica, con esponenti come Dudovich, Sinopico, ecc., cominciano a formarsi anche le scuole, la più importante l’Umanitaria, di Milano e di Monza. Un secondo periodo che si delinea con il fiorire dei movimenti moderni, sia in architettura che in pittura, ecc., con esponenti come Persico, Nizzoli, ecc. La grafica viene acquistando un altro valore, poichè non sono più solo i ma- nifesti ad essere i soggetti elaborati dall’artista,ma con lo sviluppo dell’industria, la pubblicità prende un notevole sviluppo e diventa un vasto campo di esperienze. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel nuovo clima di libertà, il bisogno di un metodo più rigoroso per produrre del- le buone cose, si fa strada tra i grafici più qualificati. Il contenuto, e cioè il prodotto che deve es- sere visualizzato, lo si scopre dopo; prima si è colpiti dai colori, dalle forme, dalle fotografie quasi sempre non attinenti, dalla disposizione del testo (oggi sempre ‘a bandiera’, ma quasi mai se- guendo il ragionamento e la logica del discorso) ed infine troveremo, anzi scopriremo di cosa si tratta, quale è il prodotto o la propaganda che viene presentata. A mio parere si tratta di non per- dere per strada i valori che hanno dato alla grafica stessa il primo avvio per acquistare una sua compiutezza. Se in un primo tempo la pubblicità
ha dato un impulso per la ricerca di soluzioni nuove, oggi è la diffusione del sapere che potrà por- tare quelle innovazioni, quella chiarezza che solo una cultura che si avvalga delle nuove tecniche senza trascurare la tradizione, troverà insieme a nuove strade per portare questa espressione arti- stica ad alti valori. • Contenuto e forma È la parte di Steiner alla tavola rotonda tenuta alla Fiera di Milano in occasione del Convegno Grafitalia (1973) Che cosa vuol dire contenuto e forma in questo caso? Il contenuto è la conoscenza specifica del- l’oggetto che deve essere visualizzato sino ad una sintesi così evidente che, ridotta
nei termini del segno speciale, quindi termini minimi, sia immediatamente percepibile e chiara. C’è una notevole quantità di segni, ma c’è sempre un bassissimo livello estetico. Sono stato, una vol- ta, invitato dalla Nebiolo a partecipare ai lavori di studio e di ricerca sul disegno dei caratteri con un gruppo di grafici, ma non ho aderito motivando il rifiuto. Con il passare del tempo sono sempre più convinto della posizione che avevo assunto, perchè da quel gruppo erano esclusi gli speciali- sti, cioè gli oculisti, i biologi ecc., non si può parlare di carattere e di leggibilità senza considerare la struttura biologica dell’occhio. Ci sono degli impulsi sui bastoncelli e sui coni che noi grafici dobbiamo conoscere perchè se non si sanno queste cose è inutile che ci si metta a disegnare ca- ratteri. La segnaletica di tutto il mondo ha abbandonato i caratteri con le grazie. Non è possibile perchè il carattere viene ridotto e risulta illeggibile. A questo punto rimangono gli interrogativi sulle anomalie ottiche. Cioè, ognuno di noi ha occhi diversi dall’altro; ognuno di noi ha sensazioni e percezioni diverse dall’altro. Bisogna vedere qual è lo standard di massimo gradimento rispetto ad un certo tipo di società, ad un certo tipo di età, ad un certo tipo di illuminazione, un certo tipo di educazione, di abitudine alla lettura. La questione dei quotidiani: Esiste un rapporto tra la forma di un quotidiano di un periodo storico e quella di un altro? Evidentemente sì. Basta osservare le Gazzette venete: hanno dimensioni, formato e comunicazioni diverse da quelle di oggi. ci siamo dimenticati la radice culturale nostra, l’esperienza di Garibaldi, l’esperienza dei quotidiani siciliani nel periodo più tragico del primo Risorgimento. Le immagini sono molto comunicative e la pubbli- cità è un servizio per il pubblico. Bisogna documentarsi sui giornali che ha fatto un grande archi- tetto, Le Corbusier, insieme agli studenti; sono estremamente vivi e costituiscono un esempio in- teressante. Anche quelli della Bauhaus lo sono, in particolare ‘Red-Bauhaus’ fatto dagli studenti è un modello di grafica. Bisogna rivedere certe esperienze fatte per il giornale diretto da Elio Vittorini edito da Einaudi, ‘Il Politecnico’ e poi vedere certi numeri del ‘Contemporaneo’. L’obiettivo di questa ricerca è migliorare la didattica. • Il disegno dei caratteri Intervento a una tavola rotonda promossa dalla Nebiolo (1968) Il disegno dei caratteri era creativo ed individualistico, ma non può più esserlo oggi,
in quanto dovrebbe essere il risultato di un lavoro di specialisti di vari settori, oculisti, psicologi, tecnici della luce, grafici, fisici, igienisti, ecc. Il disegno del carattere non deve rispondere solo ad esigenze di produzione e commercio e quindi tendere ad essere volutamente impersonale, ma al contrario dovrebbe essere progettato tenendo conto della sua destinazione finale, studiato e pro- dotto per delle ben definite persone. Non essere condizionati dal gusto e dalla moda ma spronati a risolvere problemi di ottica, chiarezza e leggibilità. Uno studio serio comporterebbe invece un collaudo sulle strutture matematiche, sull’ottica e sulla riducibilità anche in riferimento a supporti di materiali diversi (legno, vetro, plastica, metallo, ecc.). • L’impaginazione Lezione per un corso di aggiornamento per insegnanti di arte grafica tenuta il 18 novembre 1964 all’Istituto d’arte P. To- schi di Parma. Il corso era organizzato in occasione dell’inaugurazione del Museo bodoniano di Parma. Dal 1525 la fantasia decorativa viene meno per il moltiplicarsi delle edizioni e delle tirature, al dif- fondersi del libro stampato. L’apparato decorativo si riduce concentrandosi nel frontespizio che ormai accoglie e mette in evidenza, accanto al nome dell’autore quello del tipografo. La firma del tipografo passa alla prima pagina accompagnata dalla marca tipografica. Quest’ultima si adorna di un disegno più articolato, spesso araldico accompagnato dal motto dell’impresa. Il frontespizio del libro del maturo Cinquecento si riconosce per la sua concisa intitolazione, con il solenne lapi- dario romano. È nell’intitolazione che interviene la variazione di corpi(con alternative di corsivi) per mettere in evidenza le parti salienti di quel discorso abbreviatissimo che è il titolo. La filettatura o l’incorniciatura non serve più (importante nel Quattrocento). La lettera assume la forma geometri- ca a coppa, a calice. Il frontespizio porta l’inquadratura: l’arco di trionfo interpretato come motivo monumentale, con disegno chiaroscuro come fosse tratto da una iconologia romana. L’impagina- zione comprende due fasi distinte: una di concetto, l’altra di azione manuale pratica. La prima or- ganizzativa e di progettazione, la seconda esecutiva. Per progettare con criteri appropriati l’impa- ginazione di un libro, l’operatore deve prima conoscere: -la natura del libro (contenuto);
-la veste che l’editore intende dare all’edizione (di lusso, normale, economica);
- il formato;
il materiale grafico dell’edizione (particolari modalità, elaborazione del testo, dei titoli e sottotitoli, il tipo ed il formato delle incisioni, i grafici, ecc.). Le note di Herbert Bayer La lettera Ogni lettera dell’alfabeto costituisce in sè un elemento individuale del disegno di libro. I suoi con- torni, le proporzioni contribuiscono alle tensioni visive che sono necessarie per dare forma ad una espressione. Una lettere singola può diventare un mezzo di progettazione tipografica. La parola Secondo una teoria circa la leggibilità del nostro alfabeto stampato, è la parola che viene registra- ta dall’occhio, e non la lettera singola. La frase Abbiamo già accennato più sopra che la comprensione dei ‘segni’ nella segnaletica orizzontale, dovrebbe tener conto del colore del fondo stradale, della dimensione, del tipo di carattere delle lettere in rapporto alla velocità del mezzo di trasporto e in rapporto alla leggibilità dei segni longi- tudinali, latidudinali, trasversali, nel loro significato di rallentamento, di arresto, di sosta, di direzio- ne ecc. La luce È quindi necessario ricercare e sperimentare nuovi sistemi di illuminazione indiretta e verificarne i costi di impianto e di manutenzione. Anche i pannelli a luce intermittente potrebbero essere utiliz- zati come strumento di educazione stradale. • La grafica italiana dal 1900 al 1960 Conferenza a Parma in occasione del premio Bodoni (1967) Per facilitare la ricerca e la documentazione di testi e di immagini degli ultimi sessant’anni di attivi- tà si è ritenuto utile suddividere l’argomento in quattro periodi di 15 anni ciascuno. 1. Il primo periodo dal 1900 al 1915: stil nouveau e floreale. 2. Il secondo dal 1915 al 1930: futurismo e neoclassicismo. 3. Il terzo dal 1930 al 1945: il rinnovamento. 4. Il quarto dal 1945 al 1960: la nuova grafica. 1. Stil Nouveau e floreale La maggiore richiesta di manufatti, spinse l’industria verso una produzione sempre più standar- dizzata, limitando allo stretto indispensabile quanto si riferiva alla presentazione estetica del pro- dotto. La nuova estetica, o meglio il nuovo stile, allargò la propria sfera di influenza, informando e condizionando ogni forma di espressione artistica (ripudio delle espressioni artistiche del passato). Ricominciare dal Bodoni sarebbe stato un errore, e chi lo tentò fece fredde e insignifi- canti imitazioni. Raffaello Bertieri Bertieri promosse a Milano un movimento che si prefiggeva di perfezionare la ricerca
di nuove forme stilistiche e grafiche e di stimolare le industrie italiane del ramo verso l’impiego di tecniche nuove e aggiornate. Egli fondo e diresse la rivista, ‘Il risorgimento grafico’, palestra di soluzioni pratiche e di idee.Egli stesso diede l’esempio con le stampe impresse nella tipografia che aprì a Milano, assieme a Vanzetti e Vanoletti. La scuola della Bauhaus fondata n Germania nel 1901 dall’architetto Van de Velde e diretta dal 1919 al 1933 dall’architetto Walter Gropius, poi da Van der Rohe e infine da Meyer, fu il più importante centro di propaganda dell’idea ‘funzionale’ chiamata anche ‘razionale’. 2. Futurismo e Neoclassicismo Il futurismo fu fondato a Milano da Filippo Tommaso Marinetti, quale movimento tipico di orgoglio italiano. Il primo ‘manifesto’ del Futurismo apparve sul ‘Figaro’ di Parigi 1909 ed esprimeva una volontà ‘eroica’ di liberarsi dall’idolatria del passato, che impediva all’Italia di essere un popolo giovane e moderno, lanciava l’idea di rinnovamento. Intorno a Marinetti si raccolse un gruppo di artisti, per esaltare i valori nuovi della realtà moderna, ponendo l’uomo a contatto diretto con il mondo meccanico; Nel 1914 Marinetti pubblicando a Milano il suo Zang tumb tuum (in ‘lineare’ nero) proclamava in Italia la rivoluzione futurista della tipografia. L’Italia, quasi assente dall’epoca Bodoniana nella scena grafica mondiale ricomincia lentamente a riconquistare il prestigio nei primi decenni del 1900, per opera di alcuni valenti grafici, fra i quali è doveroso citare Raffaello Bertieri e Alessandro Butti (disegnatori di caratteri). Nel 1926 Bertieri diventa direttore della Scuola del Libro di Milano e la trasforma nel più completo istituto professionale d’Italia e uno tra i primi del mondo. 3. Il Rinnovamento È l’epoca delle richerche, dell’affermazione di nuove forme estetiche. Con l’incremento di “campo grafico” o un’altra importante rivoluzione viene condotta dall’Ufficio pubblicità della Olivetti. L’ap- plicazione delle richerche astratte nel campo della grafica e la tendenza al manifesto di qualità è ormai sentita e crescente in Italia. 4. La nuova grafica I nuovi settimanali, mensili, libri, acquistano un prestigio internazionale, le mostre e le rassegne diffondono in Italia e all’estero la nostra produzione migliore. Al libro di lusso francese con ricche e numerose illustrazioni su le migliori carte, seguì il nostro libro illustrato con litografie direttamente su pietra, con incisioni in rame, composto a mano con caratteri appositamente fusi, stampato al torchio su carta fabbricata al tino, venduto direttamente dagli editori, dato l’alto costo di ogni sin- gola copia. In Italia La tipografia fiorisce nel nostro paese, soprattutto nelle regioni economicamente più progredite dell’Italia settentrionale. Il capoluogo di maggiore produzione è Milano. In Italia vi è in particolare, quella esemplare tipografia che ha reso il nome ‘Olivetti’ forse il simbolo e il marchio più caratteri- stico nel mondo della tipografia italiana ‘moderna’. Stati Uniti È interessante osservare come come la ribellione dei pittori latini ai rigidi principi della Bauhaus abbia dato origine ad un contro-movimento in Svizzera e nei paesi nordici, e ad un certo punto anche negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, Philip Johnson, Rudolph e moltissimi altri. In Italia in suo rappresentante nel campo grafico è Albe Steiner. Il disegno grafico che, grazie al contatto con la vivacità emotiva del 1940-50 e con la mentalità scientifica di questo dopoguerra, ha perso la rigi- dità della visione meccanicistica e dottrinaria, sta per ottenere una maggiore semplicità e e una profonda conoscenza dei fattori sensoriali. I caratteri usati saranno più grotteschi. • L’art director Tavola rotonda, in ‘Linea Grafica’, (1968) Una volta il proto-tipografo riassumeva in sé le funzioni di grafico, di proto, di tipografo- editore. Faceva tutto. Poi con l’avvento della stampa a caratteri mobili, il proto-tipografo ha cominciato a sentire la necessità di ripartire gli incarichi. Gutenberg in realtà era l’art director. I suoi due collabo- ratori erano uno alla composizione e l’altro al torchio. Verso la fine dell’Ottocento un certo tipo di pittore ha cominciato a definirsi pittore pubblicitario o artista della reclame. Lo sviluppo industriale fu molto rapido e il pittore è diventato quello che abbiamo chiamato dopo il 1930 erroneamente ‘grafico’, che si separa dal tipografo con una certa fatica anche se continuerà a lavorare con esso. Poi il grafico si separa anche dall’artista pittore tradizionale diventando il graphic designer. L’indu- stria quindi chiede un coordinatore dell’inventiva, come l’ha chiesto il cinema. Ormai l’industria ha bisogno di questo tipo di coordinatore che si chiama art director creando confusione nel linguag- gio italiano, perchè se dovessimo tradurre il termine avremmo un ‘direttore artistico’ che in realtà significa altro. Il grafico fa un prodotto da vendere e un giudizio critico, mancando una critica uffi- ciale di tipo artistico, non può essere dato che dal consumatore. Il grafico non può avere una cul- tura polimorfa che lo porti a parlare con lo stesso entusiasmo a parlare del detersivo o del libro, però al grafico i clienti propongono di risolvere certi problemi di comunicazione visuale per un cer- to prodotto che non sempre può essergli congeniale. Il mestiere di grafico Capitolo 3: Il design • Invenzione del prodotto e della forma La principale industria automobilistica italiana è la Fiat. Già nel 1928 a soli vent’anni, l’ingegnere Giacosa fu assunto come disegnatore. Nel 1959 viene assegnato il Compasso d’Oro alla Fiat 500, esempio ‘totale’ di industrial design. Rapporto tra architettura e industria La cultura del design nasce nell’ambiente industriale, questo vale in particolare
per l’architettura. È stato il progresso tecnologico e la produzione di massa che ha determinato la svolta culturale in architettura Packaging industrial design e grafica. I primi contenitori seriali vengono prodotti in Italia nel primo dopoguerra. È l’industria di profume- ria, cosmesi, farmacia ed alimetaristica, che si cimenta per prima. Ma solo dopo
il 1945 l’imballaggio è premiato in Italia e all’estero, le penne Aurora con le segnalazioni del Com- passo d’Oro, la Pierrel, la Bertelli con la medaglia d’oro, gli Oscar e le sagnalazioni speciali a Brighton(Inghilterra). L’organizzazione della categoria Nel 1956 un gruppo di designers, architetti ed industriali milanesi, diedero vita all’Adi, Associazio- ne per il disegno industriale. Il primo comitato direttivo dell’Adi era costituito dal presidente Alber- to Rosselli architetto, consigliere • Rapporti tra grafica e design Design è una parola ambigua. Ricorda strettamente la nostra parola ‘disegno’ e quindi fa pensare subito a un fatto esteriore, all’invenzione di una forma, a una progettazione che ha per scopo l’eleganza e la bellezza. Quando si dice design, pochi di noi intendono la stessa cosa e in realtà la definizione è quanto mai vaga: tutto rientra nel design. Dicendp invece, ‘disegno industriale’ si tenta già di fare un’opera di chiarificazione e di superamento. Il design viene più generalmente inteso come quella che una volta Steiner stesso chiamava la cosmetica industriale, cioè il sempli- ce abbellimento esterno dell’oggetto. Il libro e il disegno industriale Il carattere bastone contro quale tutti si sono schierati, è il più indicato alla lettura, con tutte le sue varianti di corsivi e di neri. Esistono in Italia delle norme precise e abbastanza recenti, per la stampa dei libri di testo. Queste norme stabiliscono tra l’altro che il corpo dei caratteri non dovrà essere inferiore al 3 mm per la prima e seconda classe, o ai 2,5 mm per la terza, la quarta e la quinta. Nessuna pagina di testo, margini esclusi, dovrà superare i 13 cm di larghezza, ecc. Il mestiere di grafico Capitolo 4: L’imballaggio, il marchio, la pubblicità • Confezione per una penna