Scarica Trasformazione Educazione Scolastica in Spagna: Nazionalsocialismo a Post-Guerra e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia dell'infanzia e pratiche narrative solo su Docsity! Lezione storia dell’infanzia 18/03 Heidi Rosenbaum (nazionalsocialismo) Questo saggio analizza l’ideologia nazista ovvero l’ideologia simile a quella fascista, per certi versi più spietata, che si è diffusa nello stesso periodo storico in Germania. In un primo momento si ha l’impressione che l’autore sottolinei l’attenzione che il governo nazista ha manifestato nei confronti dell’infanzia solo per interessi ideologici. L’autore afferma che il nazismo ha sempre considerato i bambini gli artefici del futuro, cioè puntare sull’infanzia per costruire l’avvenire della società ma questo non era altro che un tentativo di manipolare l’infanzia per scopi di carattere politico. Se l’adulto è difficile da “plasmare”, i bambini sono più semplici da modellare perciò per ottenere la società desiderata, secondo l’ideologia nazista, bisognava partire dal basso (dal bambino). Il nazismo, come il fascismo, ha puntato sulla prestanza fisica quindi la buona salute così da poter formare corpi da guerra (utili alla società in caso di guerra). Era centrale nella cultura nazista la teoria sulla ereditarietà e sulle concezioni elitarie (Hitler considerava la razza ariana superiore e quindi meritava di vivere, diversamente non avevano lo stesso diritto gli ebrei). L’educazione fisica era centrale soprattutto in ambito scolastico andando a discapito delle prestazioni di tipo intellettuali. Il lavoro educativo del nazismo non doveva essere finalizzato a inculcare nelle menti il sapere, bensì ad addestrare corpi estremamente sani. Lo sviluppo delle capacità intellettive viene solo in un secondo momento. Più ignoranti erano i bambini, più facilmente il nazismo avrebbe potuto addestrare i loro corpi con lo scopo d’ingaggiarli per la guerra. Lo scopo era avere corpi sani ma che avessero derivazione ariana (nati da genitori ariani). Si parla di una politica familiare antinatalista cioè una campagna che incoraggiava a non avere figli rivolta a quelle famiglie composte da coniugi con culture diverse. MODIFICHE APPORTATE DAL NAZISMO NELLA CONCEZIONE DELL’INFANZIA Rosenbaum fa una valutazione di ciò che c’era prima del nazismo e di ciò che invece il nazismo porta avanti per valutare i pro e i contro della politica nazista. Prima del nazismo erano considerati bambini gli essere umani di età inferiore ai 14 anni e quindi soggetti all’obbligo scolastico, dopo da scuola (dai 14 in poi) iniziava la vita lavorativa e il passaggio all’età adulta era segnato da riti religiosi (cresima). Durante il nazismo si abbassa il limite d’età per cui vengono considerati adulti già i bambini dai 10 anni in su e veniva dato per scontato che lo Stato potesse intervenire a pieno titolo nella loro educazione, sostituendosi alla famiglia. Considerare un bambino di 10 anni già adulto significava che, là dove ce ne fosse stato bisogno, quel bambino avrebbe potuto anche essere arruolato. MODIFICHE AVVIATE A LIVELLO SOLASTICO Obbligo per i docenti ad iscriversi all’associazione nazionalsocialista, al fine di poter mantenere il loro ruolo da insegnanti Obbligo per i docenti di partecipare a corsi di formazione organizzati dal regime per favorire l’indottrinamento politico Obbligo d’inserimento, nei programmi di biologia, riferimenti sulla dottrina razziale ed ereditaria Viene declassata la religione, da disciplina obbligatoria a disciplina facoltativa Netto aumento delle ore di educazione fisica Vennero create numerose associazioni parascolastiche (associazioni che si riuniscono in orario extra scolastico e dove vengono svolte attività di scolarizzazione e nel quale i bambini ricevano una forma di indottrinamento) dalla quale venivano esclusi i bambini al di sotto dei 10 anni e quelli di razza non ariana. L’educazione all’interno delle associazioni era militare e divisa in base al sesso. Anche nel caso del nazismo assunsero un ruolo predominante i media per fare propaganda. I giornali e le riviste furono allineati, cioè il governo pretese di operare un controllo su di essi (prima della stampa il governo controllava se gli articoli fossero corretti e quindi pronti per la pubblicazione). Tutti i libri stampati prima del periodo nazista vennero bruciati perché non seguivano l’ideologia nazista. Erano centrali anche la radio e il cinema per la propaganda. Tra le pratiche sportive la boxe era considerato lo sport più adatto perché era in grado di stimolare l’aggressività e a rendere il corpo “d’acciaio” quindi più resistente. La violenza, quindi, era uno strumento legittimo di confronto, cioè non era necessario avere lo stesso punto di vista e per far comprendere il proprio punto di vista rispetto un altro veniva usata la violenza. Il governo allora formava bambini violenti soprattutto nei confronti di una determinata fascia d’infanzia, cioè quella costituita da bambini appartenenti a una razza non ariana e quella costituita da bambini più gracili perché considerati deboli. La sessualità è sempre stata considerata un tabù, infatti venivano bandite tutte le forme di tenerezza fino a quando il corpo si fosse definitivamente irrobustito, perché si pensava che le pratiche sessuali indebolivano il corpo e distraevano, soprattutto i ragazzi, dall’unico obiettivo che avrebbero dovuto avere nella loro vita cioè irrobustire il corpo. DORENA CAROLI L’INFANZIA NELL’UNIONE SOVIETICA DALLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE ALLA CADUTA DEL REGIME COMUNISTA (1917-1991) Nel suo saggio Dorena Caroli si interessa alla tematica della condizione dell’infanzia nell’Unione Sovietica, soprattutto nel periodo storico del XXI secolo, nel quale è sempre stato un immenso laboratorio di sperimentazioni, cioè è sempre stato un paese che ha lavorato a favore della tutela dell’infanzia sul piano legislativo, sociale e soprattutto psicopedagogico. Caroli afferma, che nonostante la parentesi staliniana, si ambiva a emancipare l’infanzia, cioè liberarla da quelle strutture che puntavano allo sfruttamento economico che non aveva risparmiano nemmeno i bambini poiché erano impiegati sin da piccoli nel lavoro perché l’Unione Sovietica aveva l’obbiettivo di arricchirsi sfruttando cosi tutti i cittadini. IL NUOVO BAMBINO IN FAMIGLIA (1917, PRIMA RIFORMA DELLA FAMIGLIA) Questa riforma detta delle norme sul modello familiare da prediligere e queste ricadono sull’infanzia positivamente: Legalizzazione del divorzio (il vantaggio sta nel mantenimento economico nei confronti della parte lesa) Considera uguali per legge i figli legittimi e i figli naturali Possibilità di ricerca della paternità con la sola dichiarazione della madre (in tal caso il padre doveva contribuire al mantenimento dei figli); questo problema è sempre andato a vantaggio degli uomini prima delle leggi, lasciando le donne sole a gestire i figli senza avere le condizioni economiche adatte. Tutte le volte che nascevano bambini da genitori non sposati, se il padre non intendeva sposare la madre era libero di non riconoscere il figlio e la donna non avrebbe potuto fare nulla per impedirlo. 1918, SECONDA RIFORMA DELLA FAMIGLIA A distanza di un anno vi è una nuova riforma della famiglia, questo significa che la famiglia era al centro dell’interesse della nazione: Viene abolito il matrimonio tradizionale (i coniugi che sceglievano di non sposarsi in chiesa godevano degli stessi diritti degli altri e di conseguenza anche i loro figli) Stabilisce l’esistenza della parentela fondata sulla filiazione naturale, cioè non era necessario che i genitori di sposassero poiché vi era un legame di sangue Vengono attribuiti ad entrambi i coniugi stessi diritti nelle decisioni sull’educazione dei figli Il nuovo bambino della rivoluzione avrebbe così avuto genitori con uguali diritti e doveri, indipendentemente dal tipo di unione (matrimonio civile o di fatto), cioè da entrambe le riforme emerge che il bambino godeva degli stessi diritti e doveri di un normale cittadino. La Caroli si sofferma anche ad analizzare un fenomeno diffuso, in questo periodo storico, nell’Unione Sovietica cioè quello dei “bambini di strada”, da non considerare bambini abbandonati ma che crescevano senza educazione e dunque diventavano delinquenti. Questo fenomeno ha rallentato l’adozione delle riforme citate prima, ossia dell’abolizione della famiglia tradizionale, perché il governo ipotizzava che le coppie di fatto sarebbero state promotrici di questo fenomeno, poiché si era convinti che potessero sciogliersi più facilmente rispetto le coppie sposate, mettendo così in crisi l’educazione dei figli che si sarebbero trovati a crescere da soli senza una guida parentale. Il codice della famiglia del 1926 ripristinò la famiglia tradizionale per assicurare il mantenimento dei figli, soprattutto se illegittimi. CODICE PANSOVIETICO DELLA FAMIGLIA (1936) Con questo codice si ribadisce che la famiglia da privilegiare è quella tradizionale e si assumono norme punitive nei confronti del divorzio: Obbligatorietà della presenza di entrambe le parti, cioè il mantenimento doveva avvenire da parte di entrambi e si pagava una penalità nel caso di divorzi ripetuti Nel caso in cui il divorzio non fosse consensuale (voluto da entrambi) il mantenimento ricadeva sul coniuge che richiedeva il divorzio, anche avendo lo stipendio più basso Riconoscimento del matrimonio di fatto con il mantenimento dei figli in rapporto al salario dei genitori, cioè il mantenimento dei figli veniva garantito da entrambi i genitori però in percentuale diversa in base agli stipendi (chi aveva stipendio più alto doveva contribuire maggiormente rispetto a chi percepiva lo stipendio più basso) Sanzioni in caso di aborto volontario negli ospedali (qui possibili da tracciare) CODICE DELLA FAMIGLIA DEL 1944 Viena valorizzata la famiglia legittima Viene limitato l’equiparazione tra figli legittimi e quelli naturali (con lo scopo di stimolare i matrimoni tradizionali) Viene abolito, fuori dal matrimonio legale, il diritto della madre di rivolgersi al tribunale per la ricerca della paternità La richiesta degli alimenti poteva essere fatta solo all’ex marito e non al padre naturale del bambino “DESTALINIZAZZIONE” DELLA POLETICA DELLA FAMIGLIA DOPO LA MORTE DI STALIN Dopo la morte di Stalin il regime comunista continua ad evolversi. Si abbandonano le misure che erano state utilizzate sul divorzio e viene depenalizzata la scelta di abortire negli ospedali in modo tale da non pagare più sanzioni. Nel ‘65 si parla di divorzio che si basi sul consenso di entrambi e, lì dove non ci fosse, si fa in modo di giungere a una conciliazione in modo tala da tutelare il bambino. Infine si stabilisce che gli assegni devono essere versati a tutti i bambini fino ai 3 anni in caso di reddito basso della famiglia. IL “NUOVO BAMBINO” NEGLI ORFANOTROFI SOVIETICI Negli anni 20 avvengono le prime riforme sugli istituti assistenziali per l’infanzia, riforme che vanno a vantaggio dei bambini abbandonati, eccezione fatta per il periodo dello stalinismo, che era caratterizzato da un regime repressivo nei confronti dei bambini orfani perché venivano considerati, dallo stato, dei delinquenti. A partire dagli anni 20 si cercò di salvaguardare, in termini di legge, questi bambini ospiti negli orfanotrofi poiché non era una loro scelta vivere senza famiglia. IL “NUOVO BAMBINO” A SCUOLA I programmi scolastici erano orientati a formare una classe di lavoratori; non era importante la scelta di un percorso scolastico rispetto a un altro perché esisteva una logica di alfabetizzazione di massa, cioè tutti dovevano ricevere lo stesso livello di formazione a prescindere dalla scelta della tipologia di scuola. Nel 1918 nasce la scuola unica del lavoro (di tipo statale), cioè una scuola finalizzata ad una formazione professionale. Poteva essere frequentata da bambini di età compresa tra 8 e 17 anni con l’obbligo di 9 anni di frequenza (5 anni di elementari e 4 di medie). Nel 1921 furono ridotti a 7 anni solo nel caso di scuole che non avevano carattere professionale. Lo scopo era di formale un lavoratore in grado di svolgere qualunque tipo di lavoro. Tutti potevano frequentare un unico modello di scuola perché venivano assicurate tutte le specializzazioni professionali, al fine del percorso lo studente poteva svolgere qualsiasi lavoro poiché aveva ricevuto una formazione onnilaterale. LA SCUOLA NEL PERIODO COMUNISTA (1932) E NEL DOPOGUERRA Viene ridotta la durata scolastica nella scuola primaria (da 5 a 3 anni) Viene abolita la coeducazione, cioè vengono separate le scuole maschili da quelle femminili per difendersi dal nazismo e quindi rafforzare l’addestramento militare per i ragazzi Viene innalzato l’obbligo scolastico fino a 9 anni (diventati poi 11 nel 1984)