Scarica Il paesaggio medievale: evoluzione e trasformazioni e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Storia dei sistemi Insediativi -Ludovico Antonio Muratori (1700, anni in cui l’Italia è frammentata) è considerato quasi come in fondatore della coscienza critica Italiana. Il suo è un approccio Enciclopedico alla cultura, ci racconta di fonti storiche riguardante la storia Italiana e ci spiega come le fonti, data la loro importanza, debbano essere valutate molto attentamente. “Antichità Italiche del Medioevo”: una vera e propria indagine sul Medioevo Italiano. Una enciclopedia Medievale: 21sima dissertazione: costituisce la prima riflessione sulla storia degli insediamenti, dalla caduta dell’impero romano e l’arrivo dei barbari. Quasi una prima testimonianza di geografia storica. Ci spiega che, l’arrivo dei barbari portò importanti cambiamenti. Si concentra poi sulla fase dal X secolo in poi, dove inizia una nuova crescita: le città riprendono vigore e si fanno promotrici del progresso e a una economia prevalente agraria nelle campagne che portò anche all’aumento demografico. 24sima dissertazione: sulle “artes” che sono fondamentali per la cita degli uomini: agricoltura, musica, pittura, lavorazione dei metalli e del vetro, architettura (per lui molto importante: si occupa dell’edilizia civile sia pubblica che privata ed è importante perché si pone il problema di identificare le caratteristiche dell’architettura con l’avvento delle popolazioni barbariche. Avvento dei Barbari che portò al decadimento dello stile antico e all’affermazione di nuovi materiali. Si passa dunque dalla pietra al legno tramite la costruzione di strutture molto più semplici. Siamo di fronte all’affermazione di un’economia silvo-pastorale). -Il 1700 è un anno molto importante perché il Medioevo diviene oggetto di studio e di analisi sotto diversi aspetti. Assistiamo alla volontà di recuperare il Medioevo anche sul piano emozionale, l’interesse a riguardo è tale che assistiamo a un “revival del gotico”: un interesse per il gusto estetico Medievale che porta alla costruzione di nuove strutture riecheggianti le estetiche Medievali, siamo di fronte al “Neo-medievalismo”. - Restauro in Stile: 800, molto diversi dai nostri, “riportare l’esistente all’idea primigenea di chi aveva creato quella struttura” Eugène Viollet le Duc: fu l’ispettore dei beni culturali francesi che ci ha lasciato due opere fondamentali come il “dizionario ragionato dell’architettura francese dal Xl al XlX” e il “dizionario ragionato del mobilio francese”. Gli vennero commissionati lavori di restauro, uno molto importante è quello della città di “Carcasson”. Da dunque vita alla città ispirandosi al modello da lui creato riguardo alla città medievale. Alfonso Rubiani: Restaura il castello di San Martino di Soverzano vicino a Bologna, interviene sul castello di Bentivoglio, effettua il restauro del tessuto architettonico ed urbanistico della città di Bologna. -questo interesse per il passato porta alla ricerca delle fonti materiali. I Paesaggi dell’arte -La campagna è tutto ciò che non è città, parliamo di paesaggio rurale o agrario. Questo ci porta ad interrogarci su cosa sia il paesaggio. -L’idea di paesaggio è un concetto ambiguo, il termine ha assunto nella cultura contemporanea una grande estensione di significati, in relazione ai saperi e alle pratiche che lo hanno utilizzato. Il paesaggio nasce in ambito artistico, tra letteratura e pittura. -Nella cultura contemporanea il paesaggio presenta due aspetti fondamentali: una dimensione “soggettiva”, come percezione personale derivata dalla frequentazione di un luogo, e una dimensione “oggettiva”, fatta di cose, di fenomeni presenti nello spazio geografico. La polisemia insita nel concetto di paesaggio deriva dal fatto che il termine indica sia la rappresentazione dell’oggetto, sia l’oggetto stesso. Nella prima forma il paesaggio è una rappresentazione elaborata a livello individuale, in uno stato d’animo contemplativo, una fonte di sensazioni ed e emozioni, che può essere comunicata artisticamente tramite linguaggi figurativi o verbali; nella seconda è un sistema territoriale, il carattere di una regione dotata di qualità morfologiche ambientali. I percorsi aperti dalle diverse discipline hanno indagato, seguendo metodologie proprie, le due nozione di paesaggio, con esiti divergenti e talvolta conflittuali. I due volti si distinguono sul piano semantico giuridico, ma anche su quello storico. L’idea “soggettiva” di paesaggio compare nel tardo medioevo in rapporto alla pittura e alla lettura, mentre l’aspetto “oggettivo” è un concetto scientifico più tardo, che si delinea nel corso dell’ottocento. -Nell’età imperiale il legame tra la pittura e ciò che noi definiamo “paesaggio” si delineava con chiarezza. Le sensazioni comunicate dagli autori classici formavano un’eredità culturale che verrà ripresa nel tardo medioevo e nel primo rinascimento (es. Plinio il Giovane, in una lettera: “sembra di scorgere non delle terre, ma un dipinto”). -Tra quattro e cinquecento il documento iconografico assume un nuovo valore politico, essendo dotato sempre di maggiori garanzie di veridicità, era stimolato dai progetti di riordinamento territoriale. La cartografia si afferma sempre di più d diventa sempre più precisa. Le mappe tracciate sui fogli di carta, di tela o di pergamena erano uno strumento importante per la gestione dei patrimoni agrari e per documentare lo stato dei confini. La cartografia intrecciava rapporti complessi con la pittura, in base alla formazione degli artisti e alle richieste dei committenti. Il rapporto con il potere politico favoriva lo sviluppo cartografico: la formazione di quadri regionali di dominio comunale o signorile, rendeva consigliabile ai governatori l’utilizzo di mappe aggiornate per motivi amministrativi e militari. -Il paesaggio dei pittori e il paesaggio dei cartografi procedeva così su linee che s’intrecciavano e s’ibridavano alla fine del rinascimento. -Si delineava così il metodo regressivo, che considerava l’assetto attuale del territorio come una fonte primaria di informazione per conoscere il passato. Il paesaggio agrario diveniva un deposito di tracce che lo storico doveva imparare ad interpretare. -Secondo Augustus Meitzen lo studio del paesaggio consisteva nel “heimatskunde”, nella conoscenza della patria-casa, nella riscoperta del rapporto che univa i popoli della terra. La forma del territorio, la struttura insediativa degli antichi villaggi, I caratteri delle architetture, erano indici di una preistoria della nazione. Lo studio della geografia diveniva uno studio della storia stratificata nei luoghi. Le indagini di Meitzen erano destinate non reggere la critica storiografica di Bloch. -Nell’età tra le due guerre l la rivoluzione delle “annales” apre nuove dimensioni per la cultura storiografica europea. Siamo di fronte all’estensione del concetto di fonte. Il lavoro di Bloch dedicato ai caratteri originali della storia rurale francese. La sua opera segna uno spartiacque nella storiografia del settore, portando a convergenza temi provenienti da scuole e discipline diverse, in una sintesi che lui stesso aveva definito provvisoria ma che non ha perduto nulla del suo fascino. La storia agraria, da storia economica e tecnologica, diviene storia sociale. L’approccio interdisciplinare, la lunga durata e il metodo regressivo aprono la strada verso il territorio, sondato utilizzando le fonti archivistiche e le immagini cartografiche. Le ricerche sono elaborate in una dimensione internazionale, che supera i limiti dell’ambiente accademico francese. Nel dopoguerra il protagonista è Fernand Braudel. La svolta di metodo imposta dalla “mediterranee” trovava nella dimensione geografica il vero centro di gravità. La prima parte dell’opera è interamente dedicata alla descrizione delle regioni bagnate dal Mediterraneo, alla storia quasi immobile dell’ambiente, con i suoi paesaggi, i suoi cicli agrari, I suoi ritmi secolari. Braudel va ben oltre la tradizionale introduzione geografica, e presenta lo spazio abitato dall’uomo come fattore unificante di tutto il sistema mediterraneo. La “civiltà materiale” è ora la parola chiave per comprendere il rapporto tra uomo e ambiente. Geostoria. Sereni, storia del paesaggio italiano -il suo volume dedicato alla storia del paesaggio agrario italiano rappresenta una svolta radicale nello sviluppo degli studi di storia agraria: il paesaggio entrava in scena non come richiamo di cornice, ma in qualità di protagonista, nella sua dimensione oggettiva, formale percettiva. Si apriva così una visione dinamica delle campagne, basata sulle variazioni osservabili nel corso del tempo, dovute alle trasformazioni dei rapporti sociali. Scrive nel momento cruciale in cui si avviano le riforme agrarie del dopoguerra, mentre inizia lo spopolamento delle zone rurali e l’industrializzazione sconvolge l’aspetto delle colture. La metodologia d’impronta marxista forma il quadro imperativo: la storiografia agraria di Sereni è legata in modo indissolubile alla politica, perché è pensata come un servizio a chi opera, politicamente nelle campagne. Soltanto la conoscenza del paesaggio, delle sue forme e delle sue strutture, è in grado di fornire una base concreta all’intervento economico sociale. Il paesaggio agrario è definito come una realtà formale oggettiva e intenzionale. Come la “forma che l’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale”. L’idea di paesaggio come documento storico. Nella suo opera Sereni, inizia con il distinguere: Paesaggio: forma del territorio, cioè l’insieme di tutti gli elementi che agiscono in esso (naturali e non). Territorio: porzione di superficie terrestre che costituisce un dato paesaggio (il termine è legato a una connotazione sia spaziale che cronica) Paesaggio rurale: quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive, agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale (ossia il paesaggio e l’insieme dei suoi elementi naturali, non antropici) -Sereni poi ci spiega e ci mostra molto bene perché le arti figurative come la pittura siano molto importanti, ci dice che il documento figurativo è una fotografia dell’esistente (Ambrogio Lorenzetti). la battaglia per la salvezza della pineta di Ravenna -Nel 900 assistiamo al sempre maggiore interesse per quanto riguarda la difesa dei beni ambientali. Un esempio emblematico è la battaglia per la salvezza della pineta di Ravenna. La pineta ci viene descritta per la prima volta nel “Decameron” di Boccaccio, in una novella che si svolgeva interamente all’interno del bosco di pini marittimi che circondava la città di Ravenna. Inoltre abbiamo anche quattro tavole del Botticelli che rappresentano la novella in questione, quindi anche un documento pittorico (possiamo benissimo vedere il legame che unisce paesaggio e arte da sempre). All’inizio del 900, nel vasto programma di bonifiche romagnole, era stata minacciata anche la pineta ravennate. Si formò così un largo movimento d’opinione che richiamava il valore di quel tratto di costa per la storia e l’identità nazionale. Corrado Ricci, all’epoca sovrintendente dei monumenti di Ravenna, si oppose e questo portò, anche grazie alla presenza di Rava come ministro dell’agricoltura nel governo Giolitti alla prima legge di tutela e recupero delle belle d’Italia nel 1909. Le letture poetiche dell’ambiente ravennate e le opere di Boccaccio e Botticelli, fecero sì che la pineta di Ravenna venne riconosciuta come un patrimonio della memoria culturale italiana, era divenuta una sorta di monumento nazionale. Questo, in seguito poi ad altre riforme e leggi di tutela ci porta all’articolo 9 della costituzione italiana: “La repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”: Il periodo peno-tardomedievale -A cavallo del nuovo millennio, lo sviluppo agricolo e demografico, l’incremento degli scambi locali, regionali e internazionali e delle attività manifatturiere favorirono il risveglio della città: nuovi centri si formarono, soprattutto nell’Europa centrosettentrionale, mentre alcuni antichi si ripopolarono. Lo sviluppo cittadino non fu considerevole solo per l’ampiezza della sua diffusione o i livelli di popolamento raggiunti da pochi centri, ma anche perché all’interno delle città si andarono configurando nuovi assetti sociali, si sperimentarono nuove forme di vita politica (il Comune) ed emersero valori civili e culturali nuovi anch’essi. Un elemento caratteristico del paesaggio urbano medievale di questa età erano le torri, che furono edificate in gran numero in Italia tra il Xll e il Xlll secolo la cui costruzione rispondeva a molteplici esigenze: servivano come residenza, come strumento di difesa e offesa, di lotta armata per il potere. Esse servivano a esibire ricchezza e potenza (contro concittadini rivali o altre città/comuni), erano simbolo del prestigio e dell0’elevata condizione sociale di una famiglia. -I nuovi ceti eminenti cittadini si rivolsero di prevalenza verso un nuovo modello: il palazzo, di massa imponente. Oltre i palazzi troviamo poi case borghesi medio-alte e case popolari per il popolo minuto. Inizialmente le varie abitazioni erano costruite distaccate le une dalle altre ma poi, per esigenze di spazio e con il passare del tempo, anche per risparmiare sui materiali edilizi, si iniziò ad addossarle le une alle altre. Si vennero Così a formare blocchi di abitazioni. I materiali usati erano un misto tra il laterizio, le pietre e il legno. Modelli insediativi a confronto nei primi secoli Medioevo -Nei Primi secoli del Medioevo culture e modi di vita diversi si scontrarono, si confrontarono, stabilirono un contatto diretto e prolungato. Le tradizioni tribali e guerriere e lo stile di vita nomadico o semi-nomadico dei barbari che fecero irruzione e successivamente si stanziarono all’interno della compagine dell’impero romano indebolirono, il modello urbano tardo-romano, accelerandone la crisi. Dallo scontro/incontro delle diverse esperienze, di adeguamento o assimilazione degli uni dalle tradizioni degli altri, si svilupparono nuovi modi di organizzazione della vita associata e dei rapporti dei gruppi umani con l’ambiente in cui si trovavano a vivere e operare. Le stirpi germaniche -Nel 98 d.C. Tacito scrisse un’operetta intitolata “de origine et situ Germanorum”, detta “Germania”, sui costumi e sulla distribuzione geografica delle popolazioni germaniche e ci offre una descrizione minuziosa e puntuale della società e delle consuetudini germaniche. Giulio Cesare per primo aveva indicato con il termine generale di “Germani” le numerose popolazioni sconosciute stanziate a oriente del Reno (limes romano). -Le tribù germaniche al tempo di tacito abitavano un “paese irto di selve e infestato di paludi, umido, fertile di biade, sterile di alberi da frutta, ricco di bestiame da pascolo”, un paese dal clima rigido. Si dedicavano alla guerra e alla razzia, alla caccia, all’allevamento del bestiame e all’agricoltura. Gli uomini validi erano guerrieri. Le altre attività, agricoltura e allevamento, oltre alla cura della casa e della famiglia, erano invece compito delle donne, dei vecchi e dei più deboli. -Si trattava di gruppi seminomadi, in quanto non si soffermavano a lungo in un sito. Praticando un’agricoltura elementare, senza concimazione e riposo annuale dei campi, erano costretti con regolarità ad abbandonare le terre divenute improduttive per ricercarne altre più fertili. -Dal punto di vista socio-politico, previlegiavano una condizione che si basava sul clan, che a loro volta formavano la tribù, cioè un gruppo di famiglie discendenti provenienti da un antenato comune, cui erano affidate le terre, la cui proprietà a livello individuale era sconosciuta. Il loro tessuto insediativo pertanto era caratterizzato dall’assenza di città (urbes) e dalla presenza di villaggi a maglie larghe, le cui abitazioni erano costruite interamente in legno, al massimo intonacate all’esterno con l’argilla. -Tacito: “è noto che i germani non hanno città. Abitano isolati e sparsi dove li attrae una fonte, un campo o un bosco, fondano i loro villaggi. Non come noi, uno vicino all’altro ma lasciano degli spazi. Non adoperano pietre o mattoni ma legno, senza alcuna cura ed eleganza”. Siamo di fronte a un’edilizia semplice ed elementare che si basava essenzialmente sullo sfruttamento delle risorse ambientali. Il legno, quindi, dominava come materiale da costruzione e il fatto che venisse utilizzato grezzo rimanda ad insediamenti destinati a durare per breve tempo. Nomadi delle steppe -Unni: Nel lV secolo, si imposero gli Unni, proveniente dall’Asia centrale. La corte multietnica di Attila venne descritta dallo storico Prisco: “hanno figura umana sebbene deforme”, barbaro è il loro modo di procurarsi i mezzi di stentamento, non praticando l’agricoltura e soprattutto lo è il loro modo di abitare, lontanissimo non solo dall’urbanismo romano ma anche da semplici forme di vita associata solo stanziali. Ammiano Marcellino ce li descrive a sua volta: “Non sono mai protetti da alcun edificio. Neppure un tugurio con il tetto di paglia si può trovare presso di loro, ma vagano attraverso montagne e selve”, gli uomini vivevano praticamente in sella ( cavallo: estensione del cavaliere). -Alani: Ammiano Marcellino ci parla anche degli Alani, ci racconta che erano allevatori nomadi, senza sedi fisse, con un sistema abitativo simile a quello degli unni: “non hanno né tuguri né si preoccupano di usare l’aratro, ma si nutrono di latte e carne abbondante standosene sui carri che, protetti da ricurve coperture fatte di corteccia, guidano per solitudini che si estendono senza fine. Quando giungono in una località ricca di erba, sistemano i carri a forma circolare e si nutrono come bestie. Questi carri sono le loro abitazioni permanenti e, dovunque si rechino, li considerano come le loro dimore”. L’immagine degli accampamenti formati dall’aggregazione dei carri/abitazione come città, rappresentava il modello principale e primario della vita associata. -Turchi: dal Vl secolo abitavano la regione a ovest della Cina. “abitavano sotto tende di feltro. Si trasferiscono da un punto all’altro, in cerca di acqua e di pascoli. Loro principali occupazioni sono l’allevamento del bestiame e la caccia”. Come Unni e Alani, anche i turchi muovevano costantemente da un pascolo all’altro in un circuito annuale secondo il ritmo delle stagioni, ma le fonti cinesi introducono un nuovo elemento caratteristico del loro sistema abitativo: la tenda di feltro, la “yurta”, con la sua tipica apertura a oriente, trasportata sui carri, che ritroveremo più avanti utilizzata anche dai Mongoli. Siamo di fronte a un progresso tecnologico di fronte nell’organizzazione della vita del nomade pastore: il carro/abitazione diventa il carro/tenda, laddove la stessa poteva venire smontata, trasportata ed edificata autonomamente o essere mantenuta montata sul carro, a seconda delle soste di maggiore o minore durata nei diversi luoghi di pascolo. Dal Vll secolo fino al Xl fecero la loro comparsa nuovi barbari: -Slavi: praticavano essenzialmente l’agricoltura per procurarsi il sostentamento, oltre che la pastorizia e la caccia. erano popolazioni nomadi o seminomadi. I primi loro stanziamenti erano dei piccoli agglomerati e in seguito formarono anche dei villaggi, prevalentemente a pianta circolare, alcuni dei quali si dotarono anche di una cinta fortificata. Il fortilizio era spesso costruito solo dove ci si riparava o si svolgevano riti religiosi o “assemblee”. Gli Slali avevano una salda idea di igiene personale e faceva spesso uso di bagni di vapore. Costruivano silos interrati per conservare gli alimenti. Abbiamo tre tipologie abitative prevalenti di cui siamo venuti a conoscenza tramite l’archeologi, Il legno era il materiale base per la costruzione delle abitazioni, come pure dei complessi difensivi e dei ponti: -“isba”: nelle zone delle foreste. Era costruita con tronchi scortecciati appena sgrossati, incastrati gli uni sugli altri, poteva appoggiarsi sul terreno o essere sopraelevata su palafitte. Abitazione non fatta per durare nel tempo. La suddivisione interna prevedeva pochi vani, uno dotato di focolare da cui il fumo fuoriusciva da uno sfogo nel tetto. -“chata”:nelle zone della steppa, fatta di argilla, sassi e sabbia, rami o canne intrecciate, poggiava sul suolo. -“zemlijnka”: nelle zone della steppa boschiva, era per metà interrata e di forma rettangolare. Costruita da tronchi e rami intonacati con il fango, sopra c’era un tetto ricoperto di terra. -Ungari: per lungo tempo furono pastori nomadi e la loro vita caratterizzava gli aspetti tipici degli altri popoli della steppa. Man mano cominciarono ad abbandonare la tenda e lo stila di vita errante per dedicarsi alla costruzione di abitazioni permanenti e villaggi. Iniziarono a praticare l’agricoltura e un allevamento sempre più stanziale. Abbiamo, dal X secolo, la presenza di villaggi, a volte circondati da un fossato. La tipologia di abitazione più diffusa era la casa monofamiliare, per metà interrata, di forma rettangolare, di modeste dimensioni (lato: tra i due e i cinque metri). I muri erano di graticcio mentre il tetto a due spioventi era ricoperto di canne e paglia. In case c’era un focolare e il fumo fuoriusciva da un foro sul tetto. Costruivano silos interrati per conservare gli alimenti. Gli utensili erano di legno. Tra le pianure ungheresi assistiamo all’affermazione di una forma abitativa: “fortino di terra”: potevano essere centri di potere o luoghi di rifugio, erano basati su una struttura in legno rinforzati a volte con delle pietre. Nelle campagne medievali: la casa contadina Tipologie Risulta difficile individuare, all’interno di una grande varietà, delle tipologie precise di case di campagna medievali, dato che le varianti potevano essere dovute ad innumerevoli fattori. Siamo riusciti però ad individuarne tre che caratterizzavano le campagne medievali europee: -casa a “corte”: compare sin dai primi secoli del Medioevo. Questa tipologia di casa si afferma sia in schemi organizzativi organizzati come i villaggi, sia in abitazioni isolate. La casa a “corte” era un nucleo edile complesso. L’abitazione in senso stretto era circondata da numerosi rustici e servizi, edifici separati che fungevano da forno, cucina, cantina, stalla, ecc… Una corte centrale, nella quale era ritagliato lo spazio per l’aia, ne costituita l’elemento di raccordo. Vi poteva essere il pozzo e sempre vi era un orto, per la produzione di prodotti pronti al consumo. Tutti questi elementi erano racchiusi in una “clausura” da recinzioni, naturali o artificiali. Tutto questo nucleo abitativo rappresentava la casa. Questa tipologia fu molto diffusa nella nostra penisola. -“longhouse”: la coabitazioni tra uomini e animali era prevista all’interna di questa tipologia costruttiva che di diffuse durante tutto il corso del Medioevo. Poteva essere assestante o parte di una casa a “corte”. Accoglieva sotto il medesimo tetto e secondo soluzioni diverse le persone e il bestiame. Vi potevano essere, ad esempio, due ingressi, distinti tra uomini e animali, divisori per delimitare gli spazi oppure essere un ampio ambiente condiviso. Le case erano assai lunghe e variavano nelle dimensioni, ma spesso erano tutte divise in due parti, con quella più grande adibita agli animali, il focolare era posto nel centro. Un villaggio costituito quasi esclusivamente da questa tipologia abitativa è quello nello Yorkshire, scavato da Wharram Percy nel 1950. Le abitazioni sorgevano all’interno di un recinto ed erano a pianta rettangolare, da 15 a 23 metri di lunghezza e 4/5 di larghezza. Erano tutte divise in due parti. Le più antiche erano costruite completamente in legni, le altre in pietra locale, mentre il tetto era ricoperto di paglia. Questa tipologia fu diffusa nel Nord Europa e poco nella nostra penisola. -“casa a struttura unitaria”/ “casa elementare”: era un unici edificio costituito da un vano multiuso o partito al suo interno. Nei primi secoli del Medioevo costituiva il ricovero fragile e precario della parte più povera della popolazione contadina o la costruzione dominante all’interno dei centri demici e incastellati. Queste case rurali avevano una piante rettangolare e consistevano in uno, due o tre stanze, una delle quali dotata di un focolare. Questa tipologia abitativa iniziò a presentare, anche se molto lentamente, anche un soppalco sopraelevato che fungeva da granaio, la casa si sviluppava così verso l’alto, avendo un o piano superiore. La difficoltà nella diffusione verso l’lato era dovuta alla maggiore complessità architettonica e dunque anche un costo più elevato. Così più che nelle povere campagne, la troviamo soprattutto all’internodi centri insediativi accentrati, agevolate anche dalla impossibilità di espansione laterale. Materiali, tecniche -Per quel che concerne i materiali e le tecniche di costruzione, fino al Xll secolo, in tutto il territorio europeo, i materiali impiegati erano deperibili, fragili, scarsamente resistenti all’azione del tempo. In primo luogo il legno era l’elemento base. Le pareti delle varie abitazioni potevano essere edificate tramite il sistema del “clayonnage”, cioè un graticciato di rami, vimini, riempito con argilla amalgamata a paglia e piccoli detriti. Strutture interamente lignee convivevano dunque con altre costruite con tecnica mista. Il legno, come si è visto, veniva impiegato in vari modi ed aveva un ruolo molto importante nelle costruzioni rurali e non solo. La documentazione sui tipi di legno usato e sulle tecniche di preparazione di esso è molto povera. Gli uomini medievale non avevo difficoltà nell’approvvigionamento di questo materiale. Inoltre gli uomini, rispetto all’epoca romana, fecero un cambio di mentalità: cominciarono ad integrarsi nel paesaggio naturale, adeguandosi e sfruttandolo. Sostituendo man mano l’economia silvo-pastorale con una agraria. -Dal Xll secolo, materiali e tecniche mutarono. In primo luogo si perfezionarono le tecniche di carpenteria, con l’impiego di legno lavorato e squadrato, il perfezionamento dei sistemi di assemblaggio del materiale, l’adozione di strutture di base più robuste. In secondo luogo cominciarono ad affermarsi progressivamente la tendenza ad utilizzare materiali più resistenti all’azione del tempo rispetto al legno, come la pietra e il laterizio. L’utilizzo della pietra presentava però alcuni problemi come l’approvvigionamento non sempre facile, il trasporto del materiale dalla cava al cantiere, a un’attrezzatura particolare per la sua lavorazione, il ricorso a manodopera specializzata per la messa in opera. I costi lievitavano, come pure i tempi di edificazione. Un altro materiale solido e durevole che iniziò a diffondersi per la muratura delle pareti fu il mattone cotto. Iniziò l’industria laterizia, usata soprattutto per la copertura dei tetti. Arrendi e suppellettili La promiscuità caratterizzava la vita domestica medievale. Un carattere comune a tutte le abitazioni era l’oscurità che le caratterizzava. Le aperture erano molto poche, la porta d’ingresso la principale se non l’unica, fonte di luce, questo perché si voleva preservare la temperatura interna. Il focolare era presente ma presentava dei problemi: il rischio di incendi era costante. La soluzione più semplice per le dimore a “corte” fu quello di porlo fuori. Un’altra soluzione fu quella di isolarlo con pietre e argilla ma questo portava l’ambiente ad essere molto fumoso. Il miglioramento giunse con l’introduzione delle stufe e con la costruzione di camini e canne fumarie, si trattò comunque di innovazione di tarda età. Nelle campagne medievali: la residenza signorile -Nei secoli che avevano segnato il trapasso dall’età antica a quella medievale, la società romana si era andata profondamente trasformando, in seguito alla crisi interna e alle invasioni dei “barbari”. La decadenza dei centri urbani e di ceti cittadini, l’indebolimento progressivo nelle campagne dei piccoli e medi proprietari, causato dalla crisi agricola e commerciale e dalla pesante pressione fiscale, avevano creato una crescente divaricazione tra la maggioranza della popolazione, ridotta in condizioni economiche disagiate e un ristretto ceto di ricchi potenti, che era costituito di fatto dai grandi proprietari fondiari. Intorno ad essi ed ai loro assai consistenti possedimenti, organizzati secondo il sistema della “villa”, si erano sviluppate nuove strutture di aggregazione, anche del popolamento rurale. La “villa” tardo-antica Era posta sotto la sovrintendenza di un “villicus”, un fattore, controllato a sua volta da un amministratore, il “conductor”, e aveva un suo centro direttivo, che costituiva un vero e proprio insediamento, sul quale insisteva un nucleo edile complesso, nel quale si contrapponevano la residenza signorile (villa urbana) e la fattoria (villa rustica). Quest’ultima doveva contenere tutte l strutture necessarie alla eventuale lavorazione e conservazione dei prodotti dell’azienda e inoltre anche cucine e alloggi per il ricovero temporaneo della manodopera salariata. La “villa urbana”, destinata al “dominus”, nel corso del tempo tese ad avvicinarsi nella disposizione e nel lusso alle “domus” di città, anche se generalmente era di dimensioni maggiori, potendo avere possibilità di estensione maggiore. Il padrone poteva così curare i propri affari, ma anche godere dei benefici della vita in campagna, avendo poi a disposizione tutti i confort possibili.La parte Urbana della villa era costruita con pietra e mattoni. I diversi locali erano decorati con marmi e mosaici e affreschi. Fra il lV e il V secolo, con la caduta dell’impero romano, molte ville furono fortificate. (villa: curtis: manor) Dalla “curtis” alla villa rinascimentale -La “curtis” costituiva un centro di aggregazione insediativa, sociale, politica, oltre che una grande struttura di organizzazione economica. A partire soprattutto dal lX secolo, per l’Italia e la zona franco-tedesca, rappresentò il sistema più diffuso per l’organizzazione della terra: si poté parlare allora di “sistema curtense”. La sua caratteristica essenziale era la divisione dell’azienda agraria in due parti, complementari tra loro: la parte domenicale (“pars dominica”) e il massaricio (“pars massaricia”). Il rapporto tra signore e contadini si configurava come un rapporto di potere, oltre che di lavoro. Ogni “curtis” aveva un suo centro direttivo, che costituiva un nucleo insediativo, nel quale ci era la residenza nel signore, a volte quella dell’amministratore poi cerano le abitazioni dei servi, i servizi rustici e le attività di artigianato, oltre che campi coltivati e frutteti. Il centro direttivo della “curtis” spesso era protetto e delimitato da recinzioni, che ne facevano una “clausura”, dando vita a una struttura insediativa a “corte” che abbiamo visto caratterizzare per lungo tempo anche l’abitazione contadina, isolata o ubicata in nuclei accentrati. È interessante notare la differenziazione netta tra i materiali i impiegati per particolari residenze padronali, come quelle regie, rispetto a quelli delle case dei servi: pietra da un lato, legno dall’altro. I signori andavano e venivano a loro piacimento.Simbolo del prestigio e della dignità del signore, oltre che alla sua capacità di controllo sugli uomini, molte di esse, nel tempo diventarono dei propri e veri centri fortificati, evolvendo verso la struttura del castello