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Malinovsky: Linguaggi Primitivi - Identità Tra Parlare e Agire - Prof. Virno, Schemi e mappe concettuali di Filosofia del Linguaggio

La relazione tra linguaggio e prassi, argomentando che parlare e agire sono una stessa identità. Malinovsky discute anche l'importanza del linguaggio nella forma di vita, la sua relazione con la pensiero, l'infanzia e la formazione storica. Wittgenstein e arendt vengono citati per la loro visione del linguaggio.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 02/01/2024

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Scarica Malinovsky: Linguaggi Primitivi - Identità Tra Parlare e Agire - Prof. Virno e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Filosofia del Linguaggio solo su Docsity! FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO “Il parlante come artista esecutore” dispensa. Austin “Enunciati performativi”, enunciati pronunciando i quali si compiono delle azioni rilevanti. Malinovsky “saggio sui linguaggi primitivi”. Primitivo che significa prioritario, basilare, fondamentale. Forme prioritarie di linguaggio. “il performativo assoluto” Virno, che valorizza testo Malinovsky, titolo che richiama Austin. Protagonista, soggetto del linguaggio in quanto fondamentalmente prassi, “parlagire”. Articoli di Benveniste. Si domanda chi è l’io che parla, come si caratterizzano il tempo, lo spazio, ambiente circostante del parlare. Capitoli 2-3-5 Vita Activa. Primi capitoli trattano poiesis, capitolo 5 di azione politica, sfera pubblica, ne parla in termini linguistici. Nonostante ciò Arendt non tratta di filosofia di linguaggio, ma di politica. Relazione tra linguaggio e prassi / azione Piu di una relazione è un'identità tra parlare e agire - impossibilità di tracciare linea di confine precisa tra parlare e agire. Due celebri definizioni aristoteliche dell’uomo, homo sapiens. Animale zoon che ha linguaggio e pensiero verbale. Zoon logon econ. Animale politico. Zoon politicon. Nesso indissolubile-identità. Quando si dice animale linguaggio già si sa che è politico. Una definizione è predicato analitico (qualcosa che è già insito nel soggetto) dell’altra. Emyle Benveniste, linguista. Austin, pensatore linguaggio. “Enunciati performativi”. Performativi significa operativi, esecutivi, rappresentano una regione del nostro parlare in cui diventa particolarmente nitido il carattere di prassi verbale. Questi due che ci permettono di capire legame indissolubile uomo politico, uomo linguaggio Hannah Arendt, filosofa sfera pubblica, politica, tedesca, vissuta stati uniti. “Vita Activa”. Con quest’ultima si vuole chiarire i motivi per il quale il linguaggio verbale debba essere considerato l’organo biologico della prassi pubblica. Rapporto tra linguaggio e prassi. vedi il parlante come artista esecutore, (dispense). Prassi, tutto ciò che si oppone alla quiete e coincide con movimento. Prassi ciò che non è produzione. La produzione poiesis , con un'accezione ampia di produzione, ha un fine esterno, lascia un manufatto, che è il fine del produrre, un fine esterno, indipendente dal produrre stesso che perdura quando il produrre è cessato. Il riferimento è il fine. L'opera, il prodotto determina come funziona produzione. La prassi invece è quel tipo di attività che ha in sé stessa il proprio scopo. Attività il cui fine coincide con l’esecuzione. Attività senza opera. Attività che ha il fine ma consiste nella stessa esecuzione. Ha il fine in sé stessa. Linguaggio strumento di comunicazione – errore. Linguaggio è forma di vita, porre domande, raccontare storie, insultare, perdonare. Cose che facciamo che è fondamentale per la nostra forma di vita. Il linguaggio determina una forma di vita. Linguaggio determinano conseguenze extra linguistiche. Spiegano come sono fatti i nostri enunciati? Le regole dei nostri enunciati dipendono dalle conseguenze, le conseguenze sono in grado di spiegare le regole a cui rispondono enunciati? NO. le conseguenze extralinguistiche Non danno ragione delle regole del nostro dire. Legame tra parlare e agire. Zoon politicon, animale pubblico, la sfera pubblica, apparire agli occhi degli altri, che definisce l’essere politico. Lichtenberg 800’, con il suo scritto “sulla fisionomica” contenuto nel libro: “lo specchio dell’anima”. Frase: “parla affinché io possa vederti”, un corpo che non si espone prendendo la parola, non pienamente visibile. La visibilità di un corpo è piena quando il corpo si è arrischiato o potrebbe arrischiarsi nel prendere la parola davanti ai suoi conspecifici (termine evoluzionistico) Pensiero e linguaggio, pensare che poi si esprime con il linguaggio- errore, superstizione. Non penseremmo come pensiamo se non avessimo strutture semantiche, sintattiche, logiche. Infanzia, tutt’uno tra pensiero e linguaggio. Il parlante ha qualcosa in comune con gli artisti esecutori? Quasi tutto in comune anche se non ha mai fatto prestazione artistiche come cantare suonare. Per artista esecutore si intende colui che esegue un copione, di qualsiasi genere, teatrale, uno spartito. Non si intende Mozart o Goldoni che sono produttori di opere le quali poi vengono eseguite dagli artisti esecutori. Sono poeti nel senso di cultori della poiesis, attività con opera che dura anche quando l’attività produttiva è cessata. Opera che rimane. Artista esecutore, non compone sinfonie o testi o scenografie di un ballo. Esegue. Il parlante è in certa misura un artista esecutore. Quest'ultimo una figura che si identifica con la prassi. Congiunzione tra parlante da una parte e prassi da un’altra. -Saussure osservazione, un'analogia. “la lingua può paragonarsi a una sinfonia la cui realtà è indipendente dal modo in cui la si esegue”. La lingua storico-naturale, modo in cui si realizza la facoltà del linguaggio (biologico, naturale) storico (la lingua ha una formazione nel corso del tempo fatto sociale pubblico). Saussure sottolinea autonomia lingua che è un sistema in cui ogni singolo elemento relazione con tutti gli altri. Sistema langues autonomo dalle esecuzioni, che sono atti di parola. Strumento per mettere in rapporto linguistica e filosofia della prassi. Tra linguistica Saussure e etica a Nicomaco (Aristotele). Lingua simile spartito musicale allora il parlante simile ad artista esecutore. Chi prende parola ricalcherebbe il modo di agire del pianista, attore, ballerino (artisti esecutori). Prendere parlante. Contrappore alla produzione (cucinare) all’agire (parlare). Il linguaggio stipula da sé le regole, i criteri a cui si attiene. Witt “le regole della grammatica si possono definire arbitrarie se con ciò si vuol dire che lo scopo della grammatica è soltanto quello del linguaggio”. Unità di misura, la regola non disgiungibile da ciò che deve essere misurato, istituisce il fenomeno linguistico, frase, avverbio al quale si applica. “Non”, senza la grammatica non sarebbe un segno funzionale. “Non” ha delle regole specifiche che senza di esse non si può usare nella discussione. Molti pensieri sono resi possibili dal linguaggio, esempio quelli che esprimono negazione. Arbitrario come naturale, il modo in cui esiste un organismo biologico, non ha una giustificazione esterne, fa parte della natura. Cosi come è non costruito in vista di qualcosa. Non è artefatto, il linguaggio è nella natura dell’uomo che non l’ha fabbricato. La prassi è un tratto caratteristico della nostra specie come la postura eretta. Nella comunicazione animale ogni singolo segnale ha una particolare configurazione dell’ambiente, come l’essere in pericolo. Invece nell’uomo è scomponibile in fonemi, consonanti, vocali, che di per sé sono prive di significato, solo la loro combinazione dà luogo a significati. Attività biologica non vincolata alla configurazione dell’ambiente, attività fine a sé stessa, autoregolata, arbitrarie e quindi naturale. Risultato del parlare che coincide con l’esecuzione. Witt: “nel linguaggio, l’unico equivalente di una necessità naturale è una regola arbitraria e l’unica cosa che da questa necessità si possa travasare in una proposizione. “un segno è pur sempre lì per un essere vivente, homo sapiens, dunque deve essere una cosa essenziale al segno. Già, ma come si definisce un essere vivente della nostra specie”? Sembra che qui io sia pronto a definire l’animale umano ricorrendo alla capacità di utilizzare un linguaggio segnico. Il segno è ciò che è lì per un animale umano, e l’animale umano è il vivente che sa utilizzare i segni linguistici. Witt: “in effetti, il concetto di animale umano, di vita umana ha una indeterminatezza del tutto simile a quella del concetto linguaggio. Vita umana e linguaggio sono accumunati dall’indeterminatezza, mancanza di scopo estrinseco (tipico della poiesis) e regole arbitrarie. Virtuosismo naturalistico. Linguaggio, attività virtuosistica alla base delle altre. Similitudine di Saussure, se la lingua è una sinfonia il parlante condivide le caratteristiche dell'artista esecutore. Ogni discorso pronunciato è contingente e irripetibile, si risolve dunque in una prestazione virtuosistica. non dà luogo a un oggetto a sé stante e dunque implica la presenza altrui. Ciò significherebbe che l’attività linguistica non è poiesis e neanche episteme, conoscenza, nel suo insieme è prassi. Linguaggio verbale umano non ha alcuna opera da realizzare perché non è uno strumento. Lo strumento è impiegato in vista della realizzazione di qualcos'altro. Emyle Benveniste : “in realtà il paragone del linguaggio con uno strumento deve riempirci di diffidenza. Come ogni affermazione semplicistica nei confronti del linguaggio. Parlare di strumento vuol dire contrappore l’uomo alla natura, la zappa, la ruota, la freccia, non si trovano in natura ma sono artefatti. Il linguaggio invece è nella natura dell’uomo che non l’ha fabbricato. Siamo sempre inclini a immaginare un periodo originario, preistorico, attinente all’antropogenesi (formazione nostro specie) in cui un uomo completo per tutti gli altri suoi caratteri definitori, scoprirebbe un suo simile completo anch’esso, e tra loro poco alla volta si elaborerebbe il linguaggio, non possiamo mai cogliere l’uomo separato dal linguaggio e non lo vediamo mai nell’atto di inventarlo. Il linguaggio non è uno strumento, se fosse uno strumento sarebbe volto alla produzione di qualcos’altro” Chi parla compie dunque un'azione fine a sé stessa, qualcosa di naturale, biologico, come il parlare, vedere, respirare. Determinano il modo di essere di ogni organismo biologico concorrendo al suo “vivere bene in senso totale “cit. Aristotele. Parliamo ma non perché abbiamo constatato perché è utile o vantaggioso ma perché è naturale. Troviamo un nesso tra prassi, prassi verbale e natura. Forma basilare di prassi che fa un tutt’uno con la costituzione biologica di una specie determinata. Natura che si esprime come attività senza scopo, come prassi. OBIEZIONE: È innegabile che ci serviamo del linguaggio per molti scopi, ingannare, sedurre ecc. Sono innumerevoli i casi in cui il linguaggio SEMBRA un utensile di cui approfittiamo per ottenere risultati non linguistici. RISPOSTA: Gli scopi di volta in volta raggiunti mediante la parola non sono neanche concepibili in quanto tali se non in base della parola, del linguaggio, formulabili solo da una mente linguistica. Scopi extralinguistici formulabili e concepibili a partire dal nostro aver parola. Witt: “So a che cosa tendo prima ancora di averlo raggiunto, proprio e soltanto perché ho imparato a parlare.” Ciò a cui tendo diventa uno scopo perché lo esprimo tramite parola. “Nel linguaggio l’attesa e il raggiungimento si toccano, raggiungo un certo scopo nella precisa misura in cui linguisticamente lo aspettavo. Sono correlati tra loro attesa e raggiungimenti perché messe insieme dal linguaggio. Ammettiamo che gli enunciati sono pronunciati a fini extralinguistici. Non si può dare conto di com’è fatto un enunciato, delle leggi a cui risponde, muovendo dall’uno o dall’altro di scopi non linguistici. Il pianista ha voglia di comprarsi degli attici, motoscafi, questi scopi al qual è diretto non spiegano il suonare da virtuoso. Gli scopi extralinguistici non spiegano il funzionamento delle parole stesse. Sarebbe come spiegare le regole del poker, o altro gioco a partire dai diversi effetti che il gioco può avere sui giocatori ES. divertirsi, annoiarsi, diventare amici. Parlare è dunque prassi non poiesis. Azione non produzione. La prassi verbale non dipende da scopi extralinguistici così come il suonare in modo virtuoso non dipende dalla voglia di arricchirsi dell’artista esecutore. La prassi verbale non è configurata dagli effetti, seppur il parlante vuole quegli effetti. Witt:” se voglio dare una determinata forma al pezzo di legno che ho in mano (uno scultore), allora il colpo giusto al legno sarà quello che produce questa forma. Però non dico che è giusto il ragionamento verbale che ha conseguenze desiderate, inoltre dico che un certo calcolo è falso anche se le azioni che sono scaturite dal risultato hanno condotto al fine desiderato.” Il considerarlo falso vuol dire ricorrere alle regole intrinseche arbitrarie che governano il calcolo linguistico che non possono essere ridotte all’ottenere l’effetto sperato. Arbitrarietà, interna all’ organismo biologico, al linguaggio. Parlare e agire, linguaggio e prassi. Chomsky linguista ‘900 egli anni 50 stroncò un libro di Skinner, pensatore molto considerato ai tempi, che riteneva il linguaggio un comportamento influenzato fin nei particolari dall’ambiente sociale circostante. Comportamento sociale, quindi usi, costumi, determinano il nostro parlare. Abrogato carattere biologico. Visione comportamentista, esternalista. Richiede sguardo altrui. Chomsky disse che il linguaggio non è uno strumento pubblico del quale il singolo individuo si appropria grazie all’influenza condizionante dell’ambiente sociale. Chomsky ha sottolineato il carattere di dotazione biologica innata condivisa da ogni membro della nostra specie del linguaggio verbale, contro il concetto di strumento. Dal linguaggio-strumento, funzionamento esteriore al linguaggio-organo indipendente dal contesto storico, collocato nell’ interiorità dell’animale umano, inframentale. È organo biologico umano. Internalista. Linguaggio che non richiede presenza altrui. Linguaggio come episteme, conoscenza. Difficoltà nell’intendere il linguaggio verbale come organo biologico della prassi pubblica, politica, l’esibizione, il “parla affinché io possa vederti”. Inizio del Fausto di Goethe: “in principio era l’azione”, il vangelo Giovanni: “in principio era il verbo”. In principio era il linguaggio in quanto azione. Il linguaggio è un organo biologico non finalizzato all’episteme, alla conoscenza, ma è della prassi umana. La prassi linguistica elude alternativa tra esterno e interno. Difficile pensare la prassi linguistica come un qualcosa di psicologico o sociopolitico, essa precede la suddivisione dell’esperienza psicologica, interna, e sociale, esterna. È una zona intermedia, che precede la bipolarità e la rende anche possibile. In questa zona si sviluppa l’organo biologico della prassi pubblica. Questo ambito nella storia della filosofia moderna è stato chiamato spirito, inteso come dimensione ne interiore ne esteriore, sovrapersonale di ciascuna mente. Modo spiritualista di occuparsi dello spirito, o modo materialistico di occuparsene. Zona intermedia, la voce, elemento fisiologico e logico inteso come logos, emessa, è esperienza prioritaria della prassi linguistica. La voce è emessa nell’ambiente da un singolo individuo, la voce è una parte del corpo del parlante che torna al corpo come parte dell’ambiente. Es caratteristica del tatto, tocco qualcosa e sono toccato da quel qualcosa che tocco. Vi è un’auto riflessività. Voce è emessa da un corpo particolare, singolo individuo ma viene recepita come qualcosa dell’ambiente. Voce che metto che riflette, che è in un ambiente. Si colloca in una zona intermedia tra dentro e fuori. Esperienza del gioco, il gioco è stato definito da uno psicanalista del ‘900, Winnicott, come uno spazio potenziale o una zona intermedia in cui è impossibile distinguere l’interno dall’esterno. Spazio intermedio potenziale, tra soggettivo e oggettivo, tra mente e mondo. In questo spazio si colloca il gioco, non è un’attività introversa. È tra io e non io, vi è indeterminatezza. Questo spazio non si lascia colmare condotta prefissata, istintuali (indeterminatezza), ma è invece colmato dalla giustezza dell’esecuzioni virtuosistiche. L’animale umano è un essere che agisce perché non è incastrato in una sfera vitale predeterminata, ma dimora in un’area in cui soggettivo e oggettivo, mente e mondo sono ancora indistinguibili. Terra di nessuno che allo stesso tempo è terra di tutto, la terra di nessuno che è preliminare, è principio di mente e mondo, di psiche e sociale, tra soggettivo e oggettivo, tra interno ed esterno. Quando la terra di nessuno, lo spazio potenziale (come lo chiama Winnicott), viene lavorato dalla prassi linguistica, attività senza opera che ha bisogno di un pubblico, emerge la distinzione tra mente e mondo, tra psiche e sociale ecc. La prassi linguistica ha le caratteristiche dei fenomeni, oggetti transizionali secondo Winnicott, che aveva studiato comportamenti bambini, l’ontogenesi, tappe dello sviluppo del singolo vivente umano. Fenomeni cioè che si collocano nel tra, terra di nessuno e di tutto. Tesi che il tra viene prima dell’A e B. Ambito del “tra”, esperienza del gioco, spazio potenziale è anche quella della prassi linguistica, infatti l’ambito prioritario del transizionale e del potenziale è occupato dall’ esecuzioni virtuosistiche di ognuno di noi in quanto parlanti. Quando si gioca è difficile ritenere che gli oggetti con cui si gioca facciano parte dell’ambito oggettivo, pur non essendo qualcosa di invisibile, è qualcosa che appartiene all’ambito psichico. Gioco è fenomeno TRAnsizionale. Metà fra mente e mondo, tra recita agisce parlando. Chi agisce parlando, recita? Problema della teatralità insita strutturalmente in ogni discorso, nel comune parlare umano, prassi non produzione. Teatralità vista come una categoria di filosofia del linguaggio, a priori che organizza il nostro comune parlare. Due aspetti per cui il teatro ci dà notizia di ciò che facciamo sempre (parlare) anche se non andiamo mai a teatro. -Esistenza di una scena, di un'area delimitata che assicura piena visibilità alla parte che recito, una scena del nostro comune parlare, un equivalente della scena teatrale. Tutto ciò che accade sulla scena è sotto gli occhi di tutti, massima visibilità, condizione necessaria, scena conferisce all'azione il fenomeno, le fa apparire. Scena non è somma di cose visibile ma è la visibilità. Husserl, si è interrogato su come distinguere le cose visibili dalla visibilità. Scena è visibilità e cose visibili è ciò che è recitato dall’attore. Equivalente della scena, del palco teatrale nel comune parlare è l’enunciazione distinta dall’enunciato, il fatto stesso di parlare che è distinto da ciò che si dice (argomento trattato da Benveniste nel saggio “Apparato formale dell’enunciazione”). Benv. “il nostro oggetto, è l’atto stesso di produrre un enunciato e non il testo dell’enunciato” Visibilità del locutore, parlante dipende dalla Benv.”conversione del linguaggio, in discorso”. Dalla potenza all’atto. Linguaggio potenziale poter-dire amorfo al dire effettivo che rimane e non può essere cambiato. “prima dell’enunciazione non vi è che la possibilità della lingua”. Apparato formale enunciazione sono i termini io, chi ha preso parola, qui, ora e questo(pronome). “parla affinché io possa vederti” vuol dire vai in scena, prendi la parola, non importa il contenuto, importa la visibilità. L'enunciazione apre lo spazio dell’apparenza, ciò che ci rende visibile. Termini legati all’enunciazione: ora e qui = spazio e tempo. Io= soggettività. Questo, causalità. Sono il palco in cui si immettono significati semantici. Hannah Arendt in “Vita activa” sostiene nel capitolo 5 che l’agire è come iniziare qualcosa di nuovo, una seconda nascita, una rivelazione. Iniziare qualcosa di nuovo come prendere sempre nuovamente la parola, attuazione della facoltà del linguaggio, rivelazione come diventare manifesto da parte di colui che ha preso parola. -Battute, secondo aspetto teatrale del nostro comune parlare. Le virgolette, tutti sanno che quello che sta avvenendo in scena non sta avvenendo davvero. Quel che dice l’attore anche quando riesce a essere verosimile e travolgente, le battute che dice sono sempre come una menzione e citazione, diverso dall’uso diretto. Menziona, fa riferimento alle proprie parole come qualcosa che non è soltanto usato ma è anche mostrato, il mostrato equivale al carattere di menzione che merita le virgolette. Il parlante che parla nel comune parlare con senso ma senza denotazione. Differenza tra senso e denotazione. Gottlob Frege, grande logico e filosofo del linguaggio. Nel parlare usiamo un zinn senza betoitung, parola che in tedesco significa anche significato, ma in questo caso la traduzione giusta è denotazione. Frege.” Sarebbe desiderabile disporre di una espressione speciale per indicare i segni che devono avere solo un senso.” L'insieme di segni, enunciati, discorsi, che hanno un senso, un significato ma non hanno una denotazione, una corrispondenza su come è fatto il mondo. Frege propone il teatro. “se convenissimo di chiamare figure i segni e i discorsi che hanno solo un senso e non una denotazione, allora le parole dell’attore sulla scena sarebbero figure, anzi l’attore stesso sarebbe una figura.” Propone di istituire una analogia tra tutti i nostri discorsi sensati, significativi ma privi di denotazione, e quello che fa l’attore sulla scena. Nel caso dell’attore anche se fa un discorso con denotazione, poiché ciò avviene in una scena di teatro, è anch’esso senza denotazione. Nel caso del parlante comune, che conosce, produce ma innanzitutto agisce usando il nostro linguaggio (testo dell’enunciato) come senso senza denotazione. Agiamo proprio perché usiamo dei sensi, significati a cui non corrisponde qualcosa di dato, non siamo lo specchio del mondo. In questi casi di senso senza denotazione, anche il nostro comune parlare è come tra virgolette così come tra virgolette tutti i discorsi dell’attore. Husserl, maestro Heiddeger. “come dobbiamo considerare un discorso non informativo, che non denota nulla? “sono solo persone che rappresentano sé stessi come persone che parlano e comunicano” esibiscono la loro qualità di animali loquaci, di locutori. I nostri enunciati cessano di essere figure teatrali in due condizioni. -dare esclusivo rilievo alla funzione cognitiva del linguaggio, espisteme. Chi parla esprimendo conoscenze, non si qualifica come vivente che agisce con le parole, non esprimono un senso, significato senza denotazione. -Separare ciò che si dice (enunciato) dal fatto che qualcuno ha preso la parola (enunciazione). In questo caso si bada solo al testo. Scompare l’elemento di per sé immancabile, cioè il passaggio dal poter dire a un enunciato determinato, dalla facoltà all’esecuzione, dalla potenza all’atto. Queste due sono condizioni anomale e artificiose, le virgolette scompaiono solo in caso di un privilegiamento unilaterale di ciò che si dice in un testo dell’enunciato o della funzione cognitiva epistemica del linguaggio. Due definizioni Aristotele, uomo come animale che ha linguaggio e pensiero verbale e politico. Due definizioni che mantengono una sua specificità ma sono anche collegate tra loro. Sono un tutt’uno queste due definizioni. È una tautologia. Nella filosofia del linguaggio si ammette che un vivente che ha linguaggio possa essere animale politico. I fedeli alla filosofia di Wittengeinsten, che parla di pluralità di giochi linguistici, forme di discorso legate al contesto, abitudine (gioco linguistico sul posto di lavoro, in amore), sostengono, che tra questi giochi linguistici c’è quello della politica. Questo è un disconoscimento. Dei giochi linguistici aveva già parlato Aristotele, il quale parlava di luoghi specifici del linguaggio topoi idioi. La politicità della nostra specie non risiede in quanto detto prima ma in quelli che chiamava topoi coinoi, luoghi comuni del linguaggio, quelli che non possono mancare in qualsiasi discorso si faccia. Questa politicità è un modo di essere generale come la struttura eretta, che ci permette di avere gli arti anteriori liberi da compiti di deambulazione, che ha permesso la costruzione di strumenti, lavoro. Politicità come modo si essere originario indistinguibile dal zoon logon econ. Intreccio tra gesti e mimica espressiva e discorso, è elemento studiato da registi importanti come Dario Fo, Stanislavskij, Bertolt Brecht. Il secondo proponeva che in principio l’attore faceva solo gesti senza fare battute, poi dicesse battute senza fare gesti e poi componesse gradualmente queste due forme di presenza davanti al pubblico. Austin. Testo di Austin, scritto dopo le conferenze, rielaborato, ha un intento di colpire alcuni luoghi comuni dei probabili ascoltatori. Austin divide il suo testo in 2 parti. Prima parte spiega cosa sono gli enunciati performativi, la loro realtà, struttura, forma, perché sono stati misconosciuti. Seconda parte è un tentativo di fare una generalizzazione assoluta di quello visto nella prima parte, fino a considerare tutto il linguaggio come azione. Allargare la considerazione degli enunciati performativi anche in una visione scientifica. Generalizzazione procede passo dopo passo. Generalizzazione illimitatamente il ruolo che nei performativi si vede in modo concentrato, allo stato puro. Austin inizia dicendo che la parola performativo non si sa bene cosa significhi. È una parola nuova, brutta e forse non significa granché. “Comunque ha una cosa a suo favore, non è una parola profonda” significa quel che immediatamente sembra significare. Performativo che significa operativo, che ha in sé il valore di un’azione. Esaminare enunciati che sono azioni e non vogliono dire niente di più che essere azioni, per questo non profondi, si scontrano con alcuni pregiudizi, anche molto antichi, prevalsi nella filosofia del linguaggio dall’800 in poi e quella del 900, soprattutto nella filosofia analitica. Pregiudizio: “non dobbiamo andare molto indietro nella storia della filosofia per trovare dei filosofi che danno più o meno per scontato che l’unica funzione, o almeno l’unica funzione dell’enunciato (di tutto ciò che diciamo) è essere vero o falso”. Enunciati che riportano fatti che descrivono situazioni vere o false. In questa parte Austin sta introducendo il tema dei performativi, di ciò che andrà a trattare, mostrando quali sono i pregiudizi con cui si scontrano. Accezione di vero e falso arricchita nel tempo. Enunciato ne vero ne falso= privo di senso, non appartiene alla significazione umana. Corrente della plebe della città che ha insistito sulla pluralità di usi del linguaggio, pluralismo. Il movimento o vero o falso o insensato ha portato il nome nel 900 di verificazionismo, tastare la adeguatezza di ciò che diciamo. I molteplici usi del linguaggio studiati dalla retorica, che è il modo in cui il nostro parlare incide e influenza sugli ascoltatori. Il problema che si pone Austin è perché buttare tutto nel vago dicendo innumerevoli usi. “pensate che gli studiosi di coleotteri ne hanno classificati 10 mila tipi. Perché limitarsi a evocare la pluralità invece di perlustrarla. Austin rifiuto delle asserzioni, enunciati con pretese descrittive, che ambiscono alla corrispondenza con la realtà e quindi cadono sotto uno dei tre casi di vero, falso o insensato. Prediligendo il resto che è più confuso rispetto al mondo trasparente e rigoroso delle asserzioni. Il resto che è quasi inesplorabile e quantificabile. L’intento di Austin. “Qui voglio esaminare uno di questi tipi di usi del linguaggio, voglio discutere un genere di enunciato che sembra una asserzione e che dal punto di vista puramente grammaticale sarebbe classificato come tale, che non è un non senso e tuttavia ne vero ne falso.” Austin specifica che non si vuole occupare degli enunciati che contengono verbi potere e dovere. Austin. “sono enunciati perfettamente normali” che non lanciano segnali di ambiguità o pericolo. “con verbi ordinari alla prima persona del presente indicativo attivo.” Si tratta di un gruppo specifico di verbi. “non sono ne veri ne falsi ne insensati perché se una persona proferisce un simile enunciato diremmo che sta facendo qualcosa e non semplicemente dicendo qualcosa” compie cioè una certa azione. Quali sono i verbi che interessano a Austin che compiono di per sé e nel suo complesso un’azione. Sono promettere, scommettere, giurare, scusarsi, battezzo ecc. Azione avviene nel dire che cosa faccio, da qui l’impressione di assertività (parentela con asserzioni) compio effettivamente l’azione. Es. Prendo questa donna come legittima sposa, Austin “enunciati di questa specie sono quelli che diciamo performativi” “questa è una parola piuttosto brutta e nuova, ma non sembra già disponibile alcuna parola per parlare di essi. La parola forse più vicina e che poteva funzionare è operativi. Gli enunciati operativi sono usati da giuristi, per esempio nel diritto civile ci sono una serie di giurati che indicano le clausole, le condizioni e un enunciato operativo es. Lascio in eredità l’orologio. È un’azione, tuttavia non usa questo termine poiché legato fortemente alla tradizione giuridica, gli enunciati dunque potevano sembrare un’appendice del diritto. Austin. “a questo punto qualcuno potrebbe protestare leggermente allarmato che sembro suggerire che sposarsi sia semplicemente dire alcune parole ovvero che dire alcune parole vuol dire sposarsi.” Non è così, le parole vanno dette nelle circostanze appropriate. Parlo di un’azione nel dire certe parole, nel parlarne la eseguo ma c’è bisogno della circostanza appropriata. Azione quindi di grande peso, durevoli ma con ruoli definiti, circostanze definite. L’errore filosofico, “non dobbiamo supporre che ciò che serve in aggiunta al dire quelle parole sia il compimento di qualche atto spirituale. Non è la descrizione di un atto spirituale, psicologico, è un atto mondano, politico, appariscente che non ha bisogno di un retroterra. Es. Prometto di essere la domani. Poi posso e non posso mantenere la promessa. Non c’è un artista dietro la scena. Ciò che conta è quello che va in scena contro il formalizzazione della lingua nel suo uso sociale meno complicato e raffinato. Fattori concomitanti che ci fanno capire qual è il verbo performativo esplicito che si vuole indicare nei performativi abbreviati sono fattori come il tono di voce, i gesti, le cadenze, quello che riguarda la mimica. Questi sono comunque insufficienti per determinare il verbo che si voleva esprimere, vi è un’indefinitezza del nostro agire parlando. “Deve venire meno la frontiera tra asserzioni e performativi (praticamente unica cosa sicura della nostra vita linguistica). Netta distinzione tra descrivere con le parole e agire con le parole. Concepire ogni parola è sempre e comunque anche un’azione. Austin “in primo luogo possiamo avere dei dubbi sull’estensione dell’area dei performativi. Se pensiamo a qualche strano genere di espressione che usiamo in casi strani, potremmo davvero dubitare che soddisfino i criteri che abbiamo proposto per gli enunciati performativi. Tipo il caso di imprecazioni, es. dannazione! Compio l’azione di imprecare ma non ne parlo dell’azione. “Siamo precipitati in uno stato di incertezza”. “Considerate i casi in cui si fanno seguire le parole ai fatti. Es do un pungo e dico te la faccio pagare. C’è qualche somiglianza con il performativo”. Stato di incertezza reso esplicito e maneggiabile tramite tre espressioni. Mi scuso. Enunciato performativo canonico. Mi sento terribilmente mortificato. Espressione di uno stato d’animo quindi asserzione. Mi dispiace. È inclassificabile è per un verso compreso come un mi scuso, per un altro invece come un mi sento terribilmente mortificato. Mi dispiace come via intermedia tra le due espressioni. Sta approfondendo sul caso “toro”. Arbitro che dice “mani”. Caso simile a toro e mi dispiace. Confronto con le descrizioni, con le asserzioni vere o false. “se l’arbitro dice mani, questo ha sicuramente qualcosa a che fare con il giocatore che ha toccato la palla con la mano, carattere di asserzione. Ma per altri versi ha anche il significato, di punizione. Vi è confine tra descrivere il mondo e agire nel mondo? “Quando qualcuno dice asserisco che questa è una brutta giornata. Quell’asserisco che, se messo in rilievo si trova una somiglianza con i verbi esplicativi espliciti. Possiamo dire che l’asserzione, oltre che corrispondenza ai fatti, conoscenza del mondo, è anche un’azione. Parlare di una asserzione vera o falsa proferita in modo inappropriato e fuori luogo, se pronunziata fuori luogo assorbe in sé alcune caratteristiche di un’azione, che deve essere compiuta al momento giusto, nelle giuste circostanze, con le persone giuste. Dal momento che si dice “asserisco che” l’asserzione diventa esplicita, anche azione che si aggiunge al mondo così com’è. Il riferimento, la descrizione di stati di cose assume valori diversi, incidenza e diversa a seconda di come, dove, davanti a chi. “In effetti, dobbiamo tenere in generale presente anche che asserisco che, non sembra molto diverso da ti avverto che, prometto di. Mette in chiaro di sicuro che l’atto che compiamo è un atto di asserzione, l’azione di asserire. Asserzione come un'azione tra le altre azioni, tra gli altri atti. Considerare anche le asserzioni degli atti. “quindi funziona come avverto o ordino. Non sarà che anche asserisco che è un enunciato performativo? No, bisogna saper tenere presente la distinzione tra azione linguistica ed enunciato performativo. Il fatto che si agisca con le parole, e che il linguaggio sia prassi, va bene, ma non bisogna limitarsi a ridurre il carattere di azione del linguaggio nel suo complesso a quella figura specializzata dell’enunciato performativo. “considerazioni di questo genere ci possono far sentire abbastanza insoddisfatti, se riconsideriamo il contrasto tra asserzioni ed enunciati performativi, ci rendiamo conto che a proposito delle asserzioni accettavamo sulla fiducia la trattazione ricavata dalla tradizione. Le asserzioni ritenevamo avevano da essere vere o false, gli enunciati performativi d’altra parte erano felici o infelici, con questi si faceva qualcosa mentre nonostante tutto quello che dicevamo con le asserzioni no. Ora questo contrasto ripensandoci è insoddisfacente, certo, le asserzioni vengono valutate per quanto riguarda la corrispondenza o mancata corrispondenza con i fatti (essere vere o false). Ma possono anche esse essere infelici o felici. Un'asserzione può essere vera e infelice o falsa e felice, magari dipeso dalle circostanze. Non è un performativo, asserzione non è autoreferenziale. È dunque un tentativo di estendere non la nozione di performativo ma la nozione di atto o azione anche agli enunciati più contemplativi, descrittivi, teoretici. Quindi come devo considerare l’asserzione: “il gatto è sul letto ma non ci credo” Austin. Non dovremmo considerarla come un’assurdità ma come un’asserzione infelice. Come considerare un’asserzione del tipo: “tutti i figli di Giovanni sono calvi ma Giovanni non ha figli.” Austin. “Chi si occupa di studiare queste asserzioni paradossali, anziché infilarsi in questioni logiche che riguardano l’autoriferimento, se vuole parlare della condizione umana dovrebbe considerare la possibilità che asserzioni anche vere rappresentano però delle azioni assolutamente infelici. Questi sono asserzioni estreme che si studiano attraverso processi logici. 2+3=5 asserzione vera ma forse infelice in quanto verità. Esempi che cercano di sostituire i due sopra. Ogni asserzione ha oltre le sue caratteristiche proprie e inalienabili, ha anche da essere giudicata come un’azione, non performativo. È una manifestazione del linguaggio in quanto praxis, non soltanto episteme, né soltanto poiesis, ma linguaggio nella sua natura originaria di prassi. Non vi è un proferimento che non possa essere giudicato anche come felice o infelice. Austin. “Così insomma si può fare un parallelo preciso tra i mali che affliggono le asserzioni e i mali caratteristici degli enunciati performativi. Dopotutto quando asseriamo, descriviamo o riportiamo qualcosa, compiamo un atto che è un atto in tutto e per tutto com’è un atto ordinaria avvertire.” Austin. Commenta caso di una asserzione che va considerata anche infelice.” dialogo fra due tizi –mi sento piuttosto a terra stamattina –non lo sei. Replica assertiva che suona infelice. - cosa diavolo vuol dire non lo sono – Oh, niente asserisco che non lo sei, è vero o falso? - lascia perdere un momento se è vero o falso, il problema è cosa vuoi dire facendo asserzioni sui sentimenti altrui. Austin mostra quanto giudichiamo le asserzioni vere o false, come riuscito o fallite, felici o infelici. Austin. “Cosa dobbiamo fare nel caso dell’asserire e per la stessa ragione riguardo al descrivere e riportare, è tirarlo un po' giù dal loro piedistallo e renderci conto che non sono meno degli atti linguistici di tutti questi altri atti linguistici che abbiamo menzionato e di cui abbiamo parlato come performativi.” Tirare giù dal piedistallo, dall’ambito privilegiato che è stato conferito loro dalla logica e dalla filosofia del linguaggio del 900’, e pensare non le asserzioni separate dai vari usi del linguaggio, ma pensare le asserzioni come uso del linguaggio, per uso si intende agire, prassi, artista esecutore, attività senza opera o comunque non spiegata dall’opera che compie, attività che ha bisogno della presenza altrui. Anche le asserzioni vere o false sono azione linguistiche. L’intero linguaggio è formato da azioni distinte per genere e specie. Il genere comune sono gli atti, azione linguistici. Linguaggio che non tiene conto solo della semantica, del significato. Austin. Ultima parte del saggio. “finora ci si è chiesti cosa significhi un enunciato, è una ricerca ricca e complicata che darà gioia e dolori e che resta fondamentale, ma oltre al significato, occorre concepire che ogni nostro enunciato ha una forza. Elementi di forza e significato insieme. C’è il problema ulteriore di quale sia la forza dell’enunciato. Possiamo non avere dubbi su cosa significhi “chiudi la porta” ma tuttavia averne parecchi sulla questione su che cosa sia proferito, una supplica, un ordine o qualcos’altro. Qualificarne dunque la forza. Tre atti fondamentali: atto locutorio, atto perlocutorio, atto illocutorio. Atto locutorio, prospettive radicale come Wittenberg “parla affinché io possa vederti.” L’atto locutorio è il semplice atto di dire. Quello che Benveniste chiama enunciazione, è la presa di parola, il fatto che si parla distinto da quello che si dice. Benveniste distinzione tra enunciazione ed enunciato. Atto locutorio è il modo austiniano di parlare dell’enunciazione. Atto perlocutorio è quel che si fa con il dire qualcosa, rapporto tra mezzi e fine. Parole come un tramite per ottenere degli effetti. Atto DI dire, quello che si fa CON il dire ovvero atto di dire con il dire. Atto illocutorio è quello che si fa NEL dire qualcosa. Per il solo fatto di dire qualcosa compiamo un’azione. I performativi si trovano in questo gruppo linguistico. Quello degli atti giuridici. Radicalità di pensiero dell’isolare la presa di parola come tale, distinzione dal fatto che si parla che non è né fisiologico, né psicologico, ma ha le sue forme (io, ora, qui, questo) da quello che si dice. Quello che si fa con il dire qualcosa, usare il dire come uno strumento pur non essendolo. Atto quel che si fa nello stesso dire qualcosa, ti perdono, ti ordino, ti prometto. Malinovsky inno all’atto locutorio, all’enunciazione, alla scena. Malin. È un atto, prassi, è l’atto che sta alla base degli altri atti linguistici, è l’atto di mettere in moto un discorso. Non riguarda ciò che il discorso comunica ma la sua stessa produzione (non accezione di poiesis), il suo stesso venire alla luce. Le azioni sono qualcosa di pubblico che richiede la presenza altrui, che hanno in sé stesse il proprio fine, non lasciano un’opera. Azioni locutorie che confutano l’idea per cui un vivente linguistico può fare tante cose tra cui la politica. Uso del linguaggio oltre che politico, è interessante la intrinseca politicità del linguaggio in quanto tale, l’ambito impersonale, comune, di visibilità, costitutivo e coestensivo al linguaggio. Adopero espressioni, pensieri e parole di tutti, che per un processo di personalizzazione diventano miei. Carattere di azione politica dell’atto locutorio. Atto che mostra in maniera nitida il carattere coestensivo tra avere linguaggio ed essere politico. Trattato logico filosofico di Wittgenstein si tratta del dire e mostrare, atto locutorio più che dire mostra la intrinseca coestensività tra zoon logon econ e zoon politicon. Malinowsky, parte del suo contributo a un libro “Il significato del significato” curato da due filosofi del linguaggio americano Rorty Richard e Ogden. Messa a fuoco della categoria teorica della comunione, comunicazione fatica, fasis, discorso. Comunione interamente basata sul discorso. Mettere a fuoco una categoria comune a tutte le lingue, che ha a che fare con l’organo biologico facoltà del linguaggio a prescindere dalla cultura e dall’epoca anche se il modo in cui si espleta questa comunione fatica, basata sul discorso, è diverso da cultura a cultura, da epoca ad epoca. Comunione fatica, si dà un nesso sociale tra una moltitudine di membri della nostra specie attraverso il solo atto locutorio (Austin), attraverso la sola enunciazione (Benveniste). Interrogarci su questa carica di incidenza effettiva, di effettualità (filosofi 800’) che ha l’atto di dire, l’enunciazione, la produzione dell’enunciato in quanto tale. Testo importante per trattazione del linguaggio in quanto prassi. Comunione fatica ripresa da grandi linguisti, filosofi del linguaggio come Roman Jacobson, russo yacabson( pronuncia russa), si sono dunque interrogati sulle funzioni del linguaggio, includendo la funzione fatica. Malin. “Particolare attenzione riguarda il caso del linguaggio usato nei rapporti sociali liberamente e senza scopi determinati. Quando un certo numero di persone siede attorno al fuoco di un villaggio, o quando accompagna un lavoro puramente manuale con chiacchiere completamente avulse da quanto va facendo, è chiaro che in tal caso abbiamo a che fare con un altro modo di usare il linguaggio, con un altro tipo di funzione del discorrere. Altro rispetto alle asserzioni che descrivono il mondo, altro rispetto agli enunciati performativi con i quali parlando compiamo un’azione, o la comunicazione sociale che si basa certi contenuti. Da questi usi del linguaggio cognitivi, denotativi, performativi si distingue l’uso del linguaggio che Malinovsky presenta. Il linguaggio in questo caso, non dipende da ciò che accade in un momento dato e sembra sia anche fuori da qualsiasi contesto o situazione. Indipendenza del parlare dall’ambiente, emanciparsi da ogni vicolo o condizionamento contestuale. Ciò avviene nel linguaggio usato nei rapporti sociali, liberamente e senza scopi determinati. Siamo dunque lontani dal perlocutorio (ambito degli scopi determinati). Il significato di ogni espressione non può essere riferito al comportamento di chi parla o di chi ascolta con un fine legato a quanto vanno facendo. Non è il riflesso del comportamento che ha in
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