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Guide e consigli
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il progetto di vita, Appunti di Didattica generale e speciale

Dal Pei al progetto di vita

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 22/01/2019

abbabula
abbabula 🇮🇹

3.9

(8)

11 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica il progetto di vita e più Appunti in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! “Il cammino verso il Progetto di vita” Studente/essa Shasa Lucini Corso di laurea Opzione Lavoro sociale Educatore professionale Tesi di Bachelor Luogo e data di consegna Manno, settembre 2016 II Ringrazio tutti coloro mi hanno supportato e accompagnato nella costruzione di questo piccolo, grande pezzo del mio “Progetto di vita”. “Noi siamo però anche quello che vorremmo essere, siamo il nostro “Progetto di vita”, quello che vorremmo accadesse nella nostra esistenza, gli appuntamenti che diamo a noi stessi tra qualche anno, anche i nostri sogni”. Dario Ianes – Il Piano educativo individualizzato: Progetto di vita. “L’autrice è l’unica responsabile di quanto contenuto nel lavoro”. 2 “[…] il Progetto di Vita ci aiuta a tenere in considerazione la centralità della persona-con bisogni speciali e meno speciali- in quanto “esistente”, ovvero sempre impegnata a costruire e a scoprire “chi” può essere nei vari ambienti in cui vive e nelle diverse fasi della sua vita”.1 Il Progetto di vita diviene dunque l’approccio educativo fondamentale che crea le condizioni necessarie affinché la persona con disabilità possa mettersi alla prova e capire, con i sostegni necessari, quali siano i suoi desideri, i suoi limiti, le sue potenzialità ed i suoi bisogni. Partendo da questa nuova consapevolezza, la mia domanda di tesi avrebbe richiesto una modifica: non si sarebbe più trattato di ricercare i bisogni ed i desideri della persona disabile, bensì osservare quali azioni educative permettano di costruire un Progetto di Vita con l’utente, mettendolo dunque nella condizione di potersi sperimentare e conoscere. L’obiettivo principale della mia tesi sarebbe dunque stato quello di analizzare gli elementi fondamentali che costituiscono un Progetto di vita e gli strumenti e/o le azioni che ne consentano la sua costruzione. Per raggiungere questo obiettivo partirò da un’analisi teorica per poi prendere come “caso di studio” il Laboratorio al Ronchetto. 2. Breve descrizione del contesto lavorativo Il laboratorio al Ronchetto è una struttura sociale della Fondazione Diamante, situato al quartiere La Sguancia a Pazzallo e fondato nel 1972. Per far fronte a un’esigenza cantonale “Il Ronchetto” ha inaugurato nel 2012 una seconda sede a Mezzovico, conosciuto come laboratorio “1/2 Vira”. Il laboratorio nasce come atelier per il tempo libero, per poi diventare successivamente un vero e proprio laboratorio protetto. Esso occupa giornalmente ventuno persone, di età superiore ai diciotto anni, che prsentano problemi a livello cognitivo, ritardo mentale, sindromi varie tra cui la trisomia 21, e vari utenti con problematiche psichiatriche. Spesso più fattori, e dunque più defic, di origine diversa, coesistono tra loro. Essi sono seguiti da un’équipe composta da sette operatori sociali (di cui cinque a tempo parziale e due senza formazione sociale). Al laboratorio al Ronchetto vengono svolte diverse attività che occupano l’intera giornata lavorativa:2 11 Palmieri C., Dal Progetto Educativo Individualizzato al Progetto di Vita., Rivista Animazione Sociale, Torino: Edizioni Gruppo Abele, 2006, p. 73.   2 Fascicolo : Presentazione del laboratorio Al Ronchetto, Pazzallo, 2011. 3 Lavori artigianali • Produzione di carta riciclata e creazione di articoli di cartoleria: album per fotografie, biglietti d’auguri con busta, “calepini2, bomboniere, quaderni,… • Produzione di “k-lumet”: accendi-fuoco ecologici Attività di cucina ed economia domestica • Mensa interna per 35 persone, tutti i giorni • Catering • Riordino e pulizia del laboratorio e servizio lavanderia interna, stiro Attività individuali • Uscite per spesa, uso e conoscenza del territorio, uso mezzi pubblici • Uso delle conoscenze scolastiche acquisite, applicate a situazioni lavorative e/o legate alla quotidianità. • Atélier “estetica”, dove viene trasmesso il piacere di curare la propria persona Attività di gruppo • Animazione creativa ed attività espressive tramite canto, musica, disegno e attività manuali. • Teatro: la “Compagnia Eciccio”( composta da alcuni utenti e operatori e da un regista professionista) di norma in collaborazione con altre compagnie, realizza spettacoli rappresentati in vari settori e sedi del Ticino. Il mandato della Fondazione Diamante si basa sulla legge “LISPI”, volta a promuovere l’integrazione sociale e professionale degli invalidi, a partire dai diciotto anni d’età, nella società lavorativa. Tra i principi d’intervento della Fondazione Diamante vi è infatti la cura e l’impegno nell’integrazione degli utenti in contesti lavorativi ritenuti “usuali”. Per promuovere dunque l’integrazione sociale, il laboratorio “Al Ronchetto” ha come finalità ultima quella dell’inserimento lavorativo esterno. Il laboratorio propone infatti agli utenti la possibilità di intraprendere degli stage in contesti considerati “normali”, accompagnandoli in questi percorsi lavorativi fuori dalle mura del laboratorio, rimanendo comunque di sostegno all’utente e alla famiglia o alla rete significativa di quest’ultimo. Una delle finalità della Fondazione Diamante è quella di promuovere l’inclusione sociale. Finalità perseguita appunto tramite “Proposte lavorative differenziate, in modo da offrire all’utente soluzioni che possano adeguarsi alle sue competenze, alle sue capacità e alle sue aspirazioni”3. 3 http://f-diamante.ch/la-fondazione/linee/ . 4 All’interno del Laboratorio vi è inoltre un documento, non ufficiale, chiamato “il manifesto del Ronchetto”, che riporta al suo interno gli obiettivi principali della struttura. Quest’ultimo è stato co-costruito dai membri dell’équipe una decina di anni fa. In seguito ad un’attenta riflessione ed analisi sono emerse infatti alcune parole chiave, alcuni valori che ancora oggi rappresentano a pieno l’ideologia della struttura. Tra questi vi sono per esempio le seguenti finalità:4 • Essere aperti al e sul mondo; • Prendere coscienza del fatto di essere uno spaccato della società in continuo movimento;” • Pensare ad obiettivi e percorsi formativi che sappiano realmente tener conto dei bisogni, dei desideri e delle capacità degli utenti; • Garantire e perseguire una presa a carico che sappia mettere la persona al centro; • Attenzione alla persona nella sua interezza. Il documento fondamentale che permette agli educatori del “Laboratorio Al Ronchetto” di co-costruire un progetto con l’utente è il piano di sviluppo individuale (PSI o PEI) che l’operatore di riferimento redige ogni anno (vi sono inoltre delle valutazioni intermedie da redigere ogni tre mesi) e all’interno del quale fissa insieme all’utente ed alla rete degli obiettivi. Gli educatori sono parte integrante della rete sociale della persona, quindi collaborano con la famiglia, i foyer, i curatori, i medici, gli psichiatri, ecc…in un’ottica in cui il benessere della persona è sempre posto al centro. In questo senso gli educatori cercano di lavorare con l’utente prendendo in considerazione tutti i contesti di vita nei quali quest’ultimo vive, non restringendo il campo d’azione solamente al contesto lavorativo. Questo tipo di approccio educativo rappresenta uno dei punti cardine del “Progetto di vita”, il quale afferma che la persona disabile dev’essere pensata come appartenente a contesti che si differenzino dal contesto scolastico o lavorativo e che non siano per questo ristretti al solo contesto familiare. 3. Presentazione della tematica affrontata 3.1 Obiettivi e domande di ricerca Come già accennato precedentemente, il focus del mio lavoro di tesi verte sull’osservare, all’interno del Laboratorio al Ronchetto, se, ma soprattutto in che modo, il Progetto di vita viene integrato al Progetto Educativo Individualizzato (PEI) dell’utente. 4  Il Manifesto del Ronchetto.   7 Ho deciso così di strutturare il lavoro suddividendolo in tre pilastri principali, dove ognuno di essi mi permetterà di affrontare ed approfondire uno dei tre temi principali che costituiscono il Progetto di vita: il lavoro di rete, il concetto di adultità e l’inclusione sociale. Le domande delle interviste, che andranno ad indagare le tematiche appena citate, mi permetteranno di costruire delle connessioni tra gli elementi teorici che andrò ad analizzare e la realtà educativa del Laboratorio al Ronchetto. I testi a cui farò principalmente riferimento sono il testo di Dario Ianes “Il Progetto educativo Individualizzato: il Progetto di vita”, il quale mi permetterà di contestualizzare la problematica e soprattutto di descriverne gli elementi fondamentali. Un altro testo che utilizzerò è quello di R.Medeghini, G.Vadalà e A.Nuzzo “Inclusione sociale e disabilità”, che mi darà la possibilità di riflettere attorno al tema dell’inclusione sociale rapportata al Progetto di Vita. Oltre a questi testi farò riferimento ad alcuni articoli inerenti le tematiche del Progetto di Vita, dell’adultità per la persona con disabilità e dell’inclusione sociale, estrapolati dalla rivista “Animazione Sociale” del Gruppo Abele. Per l’analisi finale e la presentazione dei risultati mi avvarrò invece di una tabella costruita grazie all’analisi dei PSI di quattro utenti del Laboratorio al Ronchetto e dunque agli obiettivi prefissati nel 2015, ai mezzi necessari per perseguirli e grazie alla lettura dei dossier degli utenti e alle domande di chiarimento poste ai loro educatori di riferimento in merito ai tre pilastri attorno ai quali ho deciso di costruire il mio lavoro di tesi: adultità, lavoro di rete ed inclusione sociale. 4. Dissertazione 4.1 Il PEI e il Progetto di vita Questo capitolo avrà lo scopo di fare chiarezza sullo strumento “PEI” in modo tale da riuscire a contestualizzare tutti i concetti ad esso collegati ed in particolar modo ad addentrarmi nella tematica del “Progetto di Vita” con una base teorica ben solida. In questo capitolo riporterò inoltre, grazie all’ausilio dei dati da me raccolti, quegli elementi fondamentali che permettono di integrare il Progetto di Vita al PEI. 4.1.2 Breve contestualizzazione sul PEI 6 Il Progetto Educativo Individualizzato (PEI), meglio conosciuto nel nostro territorio come “Piano di Sviluppo Individuale” (PSI), è un documento ufficiale che permette all’operatore 6 Palmieri C., op.cit. 8 sociale di co-costruire un progetto con l’utente, di definire dunque degli obiettivi generali e specifici, tenendo in considerazione la diagnosi funzionale dell’utente, del contesto in cui egli è inserito, di delineare i mezzi affinché gli obiettivi vengano raggiunti e di valutare il percorso progettuale con l’utente e la rete significativa. Le funzioni principali del PEI sono quella della conoscenza dell’utente e dell’orientamento continuo verso gli obiettivi prefissati. Dall’intervista al responsabile del “Laboratorio al Ronchetto” è emerso che “ il PSI è lo strumento base che vale per tutta la Fondazione Diamante ed è comprensivo di un programma dove vengono individuati i bisogni dell’utente e sulla base di quello vengono poi fissati degli obiettivi, da generali a specifici .„ La base del documento è la risultante di una mediazione creata da un lavoro di gruppo, ovvero il gruppo responsabili, condiviso poi successivamente con la Direzione, l’agente qualità e poi anche con il personale, il quale ha potuto proporre delle azioni di miglioramento o di modifica che sono tutt’ora in atto. Mentre l’elaborazione del documento nella sostanza viene fatta dall’educatore di riferimento o dalla coppia di educatori di riferimento che individua, anche con l’aiuto dell’équipe, i bisogni sui quali poi si vanno a costruire gli obiettivi.”7 Ho ritenuto utile riportare qui di seguito i punti principali sui quali viene costruito il documento ufficiale utilizzato dalla Fondazione Diamante, ovvero il Piano di Sviluppo Individuale, in modo tale da poterne vedere la sua strutturazione: Il PSI dell’utente è così composto: -­‐ tipologia di struttura (presa a carico e settore) -­‐ situazione contestuale e generale dell’utente -­‐ bisogni identificati (dimensione: fisica, psico-affettiva, sociale, cognitiva, operativa,..) e la loro formulazione -­‐ obiettivi generali (obiettivo generale 1 e 2) -­‐ descrizione del progetto Le schede del PSI sono invece composte da: -­‐ obiettivo generale -­‐ obiettivi specifici -­‐ mezzi -­‐ modalità e criteri di valutazione -­‐ scadenzario osservazioni (tre osservazioni da riportare, trimestrali) -­‐ valutazione ed eventuali adeguamenti 7  Allegato N°1, Intervista al responsabile del Laboratorio al Ronchetto. 9 Come si può osservare nel PSI dell’utente si cerca di tracciare quelle che sono le linee base per la costruzione di un progetto, all’interno del quale i due obiettivi, prefissati dall’educatore insieme all’utente e alla sua rete significativa, ricoprono un ruolo centrale. Le schede del PSI racchiudono invece al loro interno i mezzi e le azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi prefissati e le osservazioni a scadenza trimestrale che permettono all’educatore di valutare l’andamento del progetto. 8Se da una parte dunque il PSI delinea il progetto in maniera pressoché generale, riportando i punti fondamentali della fase di ideazione progettuale, le schede del PSI entrano invece nello specifico del progetto e dunque nella fase di attuazione, progettazione e valutazione del progetto. 4.1.3 PEI e Progetto di Vita: come integrarli? Come afferma Dario Ianes, “un buon piano educativo individualizzato deve sfociare in un progetto di vita; ossia deve permettere di pensare la persona disabile non solo in quanto tale, ma anche come appartenente a contesti diversi dalla scuola o dall’ambito lavorativo, ma non per questo ristretti alla sola famiglia.”9 Progetto di vita non deve essere inteso dunque come elemento “extra” al PEI, né tantomeno pretende di sostituirsi a quest’ultimo. Si tratta invece di integrare al documento PEI un approccio, un orientamento educativo altro, che permetta di porre la persona ed il suo progetto al centro non di un unico contesto, come può essere quello di un laboratorio protetto, bensì di tutti i contesti di vita entro i quali la persona vive e con i quali si relaziona. Un progetto di “vita” proprio perché non improntato solo ad un determinato contesto, ad un preciso momento o periodo, ma che si ponga come finalità ultima quella di costruire un progetto, condiviso dall’utente, dall’educatore di riferimento e dall’intera rete coinvolta, orientato e pensato al futuro. Interessante quanto espresso da Ianes in merito, il quale per descrivere il tipo di pensiero educativo necessario alla costruzione di un progetto di vita, utilizza il termine “pensiero doppio”. Un pensiero cosiddetto “caldo”, il quale permette all’educatore di immaginare, di desiderare e di fantasticare sul futuro dell’utente, ma contemporaneamente un pensiero “freddo” che gli permetta di ricercare e di progettare delle specifiche azioni, di gestire le tempistiche, di fare una valutazione degli strumenti e dei mezzi necessari affinché quanto immaginato possa concretizzarsi. Essenziale secondo Ianes è riuscire a trovare un 8 Informazioni tratte dal modulo di «Teorie e Metodologie dell’intervento Sociale», Maida S., Anno accademico 2013-2014. 9  Ianes.D, Cramerotti. S., op.cit., p.43. 12 Ritorniamo ora alla domanda fondamentale di questo capitolo: com’è possibile integrare il progetto di vita al PEI? Ianes propone tre modalità. O meglio tre punti di vista che permettono all’educatore di mettere in atto quest’integrazione. Egli parla infatti di integrazione da un punto di vista “tecnico-didattico”, “psicologico” e “relazionale”. Questi tre orientamenti rappresentano i livelli d’azione, i quali Ianes definisce strettamente complementari tra loro, necessari alla realizzazione di questa integrazione. Il primo livello d’azione, ovvero quello “tecnico-didattico” ed il secondo “psicologico”, sono strettamente legati al concetto di adultità, mentre il terzo livello si rifà all’importanza della collaborazione interprofessionale e dunque al lavoro di rete. Nel proseguire dei capitoli avrò modo di entrare nel vivo di questi tre diversi punti di vista. 4.2 Il concetto di Adultità Prima di addentrarmi nella tematica dell’adultità in relazione alla disabilità ritengo necessario definire cosa s’intenda per “essere adulto” e quali siano dunque i fattori che consentono di identificare l’età adulta, avvalendomi principalmente delle parole di Lucio Moioli, espresse all’interno del suo articolo “La disabilità come via per ripensare la maturità umana”13. 4.2.1 Cosa significa “essere adulto” Tanti sono i fattori che caratterizzano l’essere adulti e molteplici sono le sfere che vengono messe in gioco. Moioli rileva tuttavia tre fattori principali che delineano e identificano lo status di adulto:14 1. L’autonomia del proprio punto di vista: il pensiero di un adulto è autonomo nel senso che dà a sé stesso la normativa di riferimento. 2. Libertà di scelta: libertà che all'esercizio del proprio intelletto fa corrispondere la possibilità di perseguire ed esercitare un proprio stile di vita. 3. Partecipazione sociale: partecipazione sia come istanza individuale sia come riconoscimento e legittimazione ad avere un ruolo nella vita collettiva. Il pensiero adulto secondo l’autore è un pensiero autonomo, che differisce da quello del bambino, il quale risulta invece essere “tutelato” dal genitore, dal maestro o dalla società stessa. All’autonomia di pensiero ne deve però conseguire la possibilità di poter esprimere quest’ultimo liberamente e di poter prendere decisioni sulla vita che ha scelto e sceglie d’intraprendere. 13  Moioli L., La disabilità come via per ripensare la maturità umana, Rivista Animazione sociale, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2012.   14  Moioli L., op.cit., p.36.   13 Per entrare nell’età adulta è fondamentale poter essere partecipi socialmente. Si tratta dunque di aver innanzitutto la possibilità di partecipare alla vita comunitaria, di poter contribuire ai processi evolutivi alla quale essa è sottoposta e di poter avere accesso al prodotto di questi processi. 4.2.2 L’adultità per le persone con disabilità Una consapevolezza fondamentale che l’educatore deve possedere per poter mirare ad un Progetto di vita è quella che la persona disabile può evolversi, può crescere e diventare adulta. Perfettamente centrata per descrivere questo concetto è l’espressione coniata da Mario Tortello “Pensami adulto!”15, la quale racchiude in sé il punto focale del Progetto di vita. Se l’operatore sociale in primis non crede nelle possibilità di crescita dell’utente con disabilità, se non lo “pensa adulto”, inimmaginabile risulterà poter mirare ad un Progetto di vita. Per avere una prospettiva verso l’essere adulto risulta fondamentale innanzitutto conoscere la realtà della persona disabile adulta. Nel suo libro “Il disabile adulto: anche i disabili diventano adulti e invecchiano”, Alain Goussot dichiara che “vi sono due condizioni necessarie affinché le persone disabili siano pensate adulte e in forza di ciò lo diventino davvero: ü Il consolidamento di una rappresentazione sociale che la consideri adulta in tutte le sue dimensioni psicologiche, affettive e sociali; ü L’esistenza di ruoli sociali valorizzati (cioè veri e utili), che non hanno solo a che fare col ruolo lavorativo ma anche col tempo libero e con le relazioni affettive e sessuali”.16 L’autore propone due condizioni strettamente connesse tra loro che racchiudono due punti fondamentali: da una parte si pone l’accento sull’importanza e l’influenza che la società ha sulla possibilità delle persone con disabilità di essere considerate adulte e di conseguenza di poterlo diventare. Nella seconda condizione, esposta da Goussot, viene accennata l’importanza che ricopre il ruolo sociale della persona disabile non solo a livello lavorativo bensì anche per quanto riguarda il tempo libero e le relazioni affettive nella quotidianità della persona. A tal proposito, dall’intervista alla mia responsabile pratica, alla quale ho domandato come venisse affrontato il tema dell’adultità all’interno del laboratorio, è emerso quanto segue: 15 Ianes D., Cramerotti S., op.cit., p.44. 16 Goussot A., Il disabile adulto : anche i disabili diventano adulti e invecchiano, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2009, p.92. 14 “Al Ronchetto si creano molti legami d’amicizia tra gli utenti e dunque tra colleghi, i quali poi escono anche dalle mura del laboratorio. Questo anche è un fattore che crea questa “identità adulta”, e dunque il fatto di staccarsi dal nucleo famigliare e crearsi dei propri contesti di vita personali, che possono essere quello del lavoro e dei colleghi di lavoro, amicizie altre ed interessi diversi. Noi cerchiamo di valorizzare questi processi, a volte però trovandoci a dover frenare determinate modalità di stare in relazione con l’altro, poiché avere delle amicizie significa anche avere la capacità di gestire un rapporto di questo genere, e pertanto molto spesso gli utenti vanno accompagnati in questo senso a prendere coscienza delle proprie e delle altrui modalità relazionali. Aiutarli anche nella gestione del tempo, nella capacità di comunicare all’educatore o alla famiglia quando avvengono gli incontri con il collega/amico, come imparare a spostarsi, quando e dove farlo”.17 Come si legge nell’intervista, al Ronchetto viene riconosciuta l’importanza delle relazioni che si instaurano all’interno della struttura tra i vari utenti, ritenute dagli educatori un elemento fondamentale che permette agli utenti di vivere la loro adultità e le relazioni affettive che caratterizzano quest’ultima con libertà anche al di fuori del contesto protetto del laboratorio. Come emerge chiaramente dall’intervista le relazioni venutasi a creare vengono valorizzate dagli educatori, i quali però sono chiamati a tutelare queste relazioni di amicizia, aiutare gli utenti a gestire i propri impegni, ad informare educatori e famiglia sulle uscite che decidono di fare e soprattutto ad assumersi determinate responsabilità che, l’uscire con altre persone al di fuori delle mura e senza la protezione della famiglia, vengono a crearsi. Come accennato in precedenza, Dario Ianes propone tre livelli d’azione che permettono d’integrare il Progetto di Vita al PEI. Uno di questi è quello “tecnico-didattico. Per l’autore sono necessarie due azioni fondamentali affinché l’integrazione avvenga secondo un punto di vista tecnico-didattico: 18 1. Scegliere obiettivi orientati il più possibile alla vita adulta; 2. Usare modalità “adulte” di lavorare all’apprendimento di questi obiettivi. Da queste due azioni traspare in maniera preponderante la tematica dell’adultità quale finalità essenziale per la costruzione di un progetto di vita con la persona disabile. Non si può pensare di mirare all’adultità e dunque anche alla costruzione di un Progetto di vita se non viene fatto un lavoro a livello del PEI, all’interno del quale gli obiettivi devono 17 Allegato N°2, Intervista alla responsabile pratica del mio stage. 18 Ianes D., Cramerotti S., op.cit, p. 47.   17 È fondamentale che una rete venga costantemente nutrita, di informazioni e di condivisione di punti di vista per creare una lettura dell’utente e della situazione che sia il più possibile condivisa. Solo così sarà possibile promuovere il benessere dell’utente. 4.3.2 Le linee d’azione per mirare ad un Progetto di vita Finora ho riportato due livelli d’azione che Ianes identifica come fondamentali per l’integrazione del PEI al Progetto di vita: un primo livello che è rappresentato da un’integrazione dal punto di vista “tecnico-didattico” ed un secondo livello che è invece da un punto di vista “psicologico”. Entrambi i livelli mi hanno dato modo di addentrarmi nella tematica dell’adultità relazionata alla disabilità. Vi è però un terzo livello d’azione che Ianes definisce “relazionale”, il quale fa riferimento alla tematica del lavoro di rete. Secondo il punto di vista relazionale è fondamentale, per rendere il Progetto di vita il più esteso e condiviso possibile, coinvolgere tutte le risorse relazionali a disposizioni, per risorse relazionali si fa riferimento alla rete famigliare, ai professionisti dei servizi con i quali l’utente si relaziona, ma anche al vicino di casa, il negoziante di fiducia così come tutte le persone con le quali l’utente ha costruito una relazione significativa e che potrebbe, nel suo piccolo, contribuire a costruire il Progetto di vita dell’utente. Ianes afferma che vi sono due linee d’azione che permettono di concretizzare questa prospettiva “relazionale”: 1) Esplorare, estendere e rendere più ricca e consapevole la rete di rapporti e opportunità di relazione e di aiuto in cui è inserito il soggetto. L’educatore esplora e indaga la rete dell’utente, tramite la conoscenza approfondita di quest’ultimo, con una ricerca ed un’osservazione attiva che gli permetteranno di cogliere le risorse relazionali disponibili e di cogliere la possibilità di ampliamento di queste ultime. L’educatore gioca un ruolo fondamentale di mediatore nella costruzione e nel rafforzamento della rete dell’utente, una rete che va costantemente arricchita, supervisionata ma soprattutto una rete che dà spazio all’entrata in gioco costante di nuove risorse relazionali, di nuove opportunità. Per spiegare questa prima linea d’azione l’autore utilizza la metafora della tessitura: per costruire una rete è necessario collegare i vari nodi, con pazienza e dedizione, uno alla volta, prestando attenzione a che i fili siano il più forti possibile. A questa “tessitura paziente” si collega la seconda linea d’azione: 18 2) Creare i collegamenti, le alleanze, le sinergie, gli accordi, le comunicazioni, le mediazioni, i patti, lo sviluppo di una visione il più possibile comune. 23 Quest’asserzione si potrebbe riassumere, come afferma Ianes, con l’espressione: “costruire un Progetto di vita in comune”24. Una volta costruita la rete il passo successivo e fondamentale consiste nel creare le condizioni ideali affinché ogni soggetto coinvolto nella rete dell’utente abbia la possibilità innanzitutto di esprimere il proprio punto di vista liberamente. Una volta condivisi tutti i punti di vista è fondamentale riuscire a costruire insieme una lettura condivisa, arrivando dunque a costruire un Progetto di vita in comune. “Un Progetto di vita non è dunque un’ottica individualistica […], è invece un’impresa collettiva, con a capo il soggetto disabile”. È importante però sottolineare come questo processo di costruzione e condivisione non sempre si rivela essere una strada in discesa. Ianes fa emergere infatti anche quelle che possono essere le problematiche e le difficoltà correlate a questi processi e dunque in generale al lavoro di rete. Egli dichiara infatti come molto spesso il lavoro di rete possa divenire problematico a causa di fattori quali la non valorizzazione di punti di vista ed idee differenti dalle proprie, una mancanza di stima, una competitività tra servizi oppure una semplice mancanza di voglia di condividere, di confrontarsi e di promuovere cambiamenti che a volte sembrano non arrivare. Interrogato proprio in merito alle difficoltà che si possono riscontrare nel lavoro di rete, il responsabile del Ronchetto ha ammesso come nella sua lunga esperienza lavorativa molte volte “Abbiamo riscontrato negli anni anche grosse difficoltà d’intesa e di collaborazione anche con i colleghi dei foyer, per questo motivo in alcuni casi siamo arrivati ad avere discussioni e divergenze molto forti, e in un caso addirittura è dovuta intervenire la direzione perché gli animi si erano surriscaldati.”25 Questa è dunque una realtà con la quale spesso il mondo del sociale si deve confrontare e che contribuisce a rendere la professione educativa complessa. Come afferma il responsabile del Ronchetto, è essenziale che il lavoro di rete sia il più possibile efficiente, proprio perché è soprattutto grazie ad esso che si può conoscere l’utente nella maniera più completa possibile: 23 Ianes D., Cramerotti S., op. cit., p. 57. 24 Ibidem, p. 57. 25Allegato N° 1, Intervista al responsabile del Laboratorio al Ronchetto. 19 “Noi lavoriamo quarantacinque ore con l’utente durante la settimana, se pensiamo però a quante ore vi sono in una settimana ci rendiamo conto che la conoscenza dell’utente riguarda solo una fetta della sua vita, risulta pertanto indispensabile un buon lavoro di rete”.26 Mirare ad un Progetto di vita significa, come già detto, prendere in considerazione tutti i contesti in cui l’utente vive e con i quali si relaziona. È pertanto indispensabile conoscere questi contesti, interagire con essi grazie appunto al lavoro di rete, e solo così si potrà pensare di costruire un Progetto di vita nel quale l’utente possa riconoscersi, coerente dunque con le sue aspettative, le sue possibilità ed i suoi desideri. 4.4 “Progetto di vita” e “Inclusione Sociale”: due concetti inscindibili In questo capitolo mi addentrerò nell’ultima grande tematica legata al Progetto di vita, ovvero quella dell’inclusione sociale. L’obiettivo sarà quello di carpire in che modo inclusione sociale e Progetto di vita siano connessi, così come far emergere le problematiche che si celano dietro a queste due grandi prospettive del lavoro educativo. Per la redazione di questo capitolo mi riferirò principalmente al libro “Inclusione sociale e disabilità” di Medeghini, Vadalà, Fornasa e Nuzzo e all’articolo redatto sempre da Roberto Medeghini “Quali servizi per una prospettiva inclusiva”. 4.4.1 L’inclusione sociale: breve definizione27 Per comprendere il concetto d’inclusione sociale è importante distinguerlo da un altro concetto, ovvero quello d’integrazione sociale. Questi due termini molte volte vengono infatti ritenuti sinonimi, ma vi è invece una differenza di fondo a separarli. Il pensiero integrativo focalizza la sua attenzione sul deficit delle persone con disabilità, collegandola a un fattore interno dell’individuo. In tal modo viene continuamente esaltato l’aspetto „mancante“, in termini di deficit, di funzionalità e di salute. La persona con disabilità quindi viene riconosciuta per quello che non è o non ha piuttosto che per quello che dispone ed è. La prospettiva inclusiva focalizza invece la sua attenzione al contesto, mettendo in evidenza come esso possa molto spesso ostacolare o favorire la vita della persona con disabilità. Il pensiero inclusivo mira infatti alla cura non solo della persona ma anche dell’ambiente in cui essa vive. In tal senso l’inclusione vuole modificare le forme organizzative dei contesti, le culture e le modalità relazionali, in modo da poter rispondere alle richieste di partecipazione delle persone con disabilità, rivolgendosi così ad un insieme di fattori che 26Ibidem, p. 27 Medeghini R., Vadalà G., Fornasa W. & Nuzzo A., Inclusione sociale e disabilità, Linee guida per l'autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi, Erickson, Trento, 2013. 22 da spazi non emarginati, di assumere un ruolo sociale, di confrontarsi con le proprie risorse e perché no anche con i propri limiti. Un discorso analogo si può fare anche per l’attività di teatro, la quale permette anch’essa di acquisire competenze specifiche quali la capacità di espressione e di comunicazione, la capacità di interagire e di collaborare con un gruppo di lavoro e di contribuire alla realizzazione di un progetto proprio che prevede la sua messa in scena a un pubblico esterno. Sentirsi parte attiva di un progetto nel quale ognuno ha un ruolo specifico, dove ogni membro apporta il suo contributo e diventa indispensabile per la riuscita del progetto finale, sono elementi fondamentali che permettono agli utenti del Ronchetto di sentirsi appartenenti ad un mondo adulto e soprattutto sentirsi partecipi ed inclusi in una società aperta, pronta a vederli non come “diversi” ed emarginati ma come possessori di risorse, portatori di realtà altre. Svolgendo il mio stage al Laboratorio al Ronchetto ho colto l’importanza che gli operatori sociali attribuiscono agli stage. Essi infatti cercano di dare l’opportunità agli utenti, laddove sia possibile a seconda ovviamente delle capacità e delle possibilità di questi ultimi, di svolgere degli stage esterni al Laboratorio, in spazi non protetti, dove essi si possano confrontare con realtà inclusive. Finalità ultima del Ronchetto è infatti quella che gli utenti che ne hanno le capacità possano lavorare “al di fuori delle mura protette” del Laboratorio. Dall’intervista al responsabile del Laboratorio al Ronchetto, interrogato proprio sullo stage come strumento fondamentale che permette di “abbattere” i muri dell’emarginazione, è emerso quanto segue: “la nostra missione è comunque quella di portare la persona ad un inserimento verso l’esterno, perciò lo stage è un passaggio obbligato ed interessante che ti da degli strumenti per valutare e capire se questo passaggio è possibile, è auspicabile o meno.”32 Importante sottolineare, come afferma il responsabile, che spesso, specialmente come prima esperienza di stage fuori dal Laboratorio, gli utenti si confrontino con realtà ancora protette o preparate ad accogliere un certo tipo di utenza. L’idea di fondo è quella di non provocare un taglio netto, di dare la possibilità all’utente di prepararsi a realtà altre, di abituarsi con i tempi di cui egli necessita, a vivere esperienze lontane dal Laboratorio ma dove possano comunque ancora sentirsi tutelati. Il ruolo degli operatori del Ronchetto, durante questi stage, è quello di facilitatori e di accompagnatori in un percorso che spesso può mettere l’utente a confronto con una realtà molto diversa che molte volte può spaventare. 32Allegato N°1, Intervista al responsabile del Laboratorio al Ronchetto. 23 Proprio in merito a questi possibili sentimenti di timore e ansia rispetto al “nuovo”, al “diverso”, il responsabile del laboratorio afferma come molte volte si è trovato a confrontarsi con utenti che, frenati da queste paure, hanno rinunciato alla possibilità di svolgere degli stage all’esterno dicendosi “sto bene qui, chi me lo fa fare di andare a cercare un posto nuovo per poi magari finire in una realtà magari più povera dal punto di vista relazionale”. Il responsabile riporta anche esperienze avute con utenti che, dopo aver provato esperienze di stage esterne al Laboratorio, hanno ritenuto che fosse troppo, che non facesse per loro. In altri casi ancora può succedere che la famiglia della persona con disabilità preferisca che quest’ultimo rimanga in una realtà più protetta, dove essi si sentano più sicuri, tante volte perché “hanno paura che vi sia una forma per certi versi d’impoverimento per cui preferiscono che rimanga in laboratorio e che venga spinto al massimo lo sviluppo delle sue capacità all’interno del laboratorio senza ricercare soluzioni o vie esterne.”33 Per altri utenti può accadere che si sia trovata una sistemazione lavorativa esterna, ma in accordo con la rete dell’utente si sia deciso di mantenere dei rientri in laboratorio perché si vuole che questo “rimanga un punto di riferimento oppure una forma di sicurezza nel caso in cui andasse male qualcosa all’esterno, sia che si tratti di difficoltà dell’utente ma anche in casi di disoccupazione, in questo caso il laboratorio rimane un “salvagente”.34 Molti sono dunque i fattori in gioco, le prerogative così come i risultati che si possono ottenere dalle esperienze di stage. Rimane però un fattore comune e soprattutto una grande consapevolezza, ovvero quella che lo strumento dello stage, comunque esso sia utilizzato o qualunque sia l’esito, dia la possibilità alla persona disabile di evadere e di confrontarsi con esperienze nuove, molte volte non protette, ma soprattutto di capire quali siano i suoi veri desideri, quali limiti lo frenino nella realizzazione di questi desideri e quali risorse e competenze egli possegga. Finalità ultima del Progetto di vita è infatti quella che la persona abbia la possibilità di confrontarsi con i propri limiti e le proprie risorse, poiché solo così egli potrà capire realmente chi è e soprattutto chi può essere. In questo senso dall’intervista al responsabile emerge come molte volte sia importante anche rendere cosciente la persona, nel caso in cui non riuscisse a farlo, che i suoi desideri possono risultare irraggiungibili, mettendola dunque a confronto con i propri limiti: “Il lavoro di guida è anche quello di rendere cosciente la persona che forse vi sono altri desideri o bisogni che possono essere più realistici e realizzabili. Per cui in fondo riuscire a trovare una via per trovare quella soddisfazione alla persona che gli permetta di vivere in maniera meno frustrante i propri limiti“.35 33 Allegato N°1, Intervista al responsabile del Laboratorio al Ronchetto. 34 Ibidem. 35 Ibidem, p. 24 Si tratta dunque molte volte non solo di mettere l’utente nella condizione di potersi confrontare con i propri limiti, grazie all’esperienza lavorativa al laboratorio o di stage esterno, ma anche di direzionarla nel momento in cui vi fosse un’incapacità di riconoscere i suoi limiti. 4.5 Analisi dei dati e presentazione dei risultati Come già scritto nel capitolo „scelta metodologica“ ho creato una tabella per l’analisi dei PSI di quattro utenti del Laboratorio al Ronchetto. Essa riporta innanzitutto gli elementi relativi agli obiettivi prefissati nel 2015, e ai mezzi necessari per perseguirli. Inoltre, attraverso la lettura dei dossier ma anche grazie ad alcune domande di chiarimento poste agli educatori di riferimento, ho potuto focalizzare l’analisi sui tre pilastri attorno ai quali ho deciso di costruire il mio lavoro di tesi: adultità, lavoro di rete ed inclusione sociale. 4.5.1 PSI e “Adultità” Comincerò analizzando gli obiettivi ed i mezzi necessari per perseguirli dei PSI dei quattro utenti, facendo riferimento alle due azioni definite da Ianes, necessarie affinché il Progetto di vita venga integrato al PEI secondo un punto di vista tecnico-didattico, ossia quella di “scegliere obiettivi orientati il più possibile alla vita adulta“ e di “Usare modalità “adulte” di lavorare all’apprendimento di questi obiettivi“. Nella tabella si può ritrovare in molti casi un orientamento degli obiettivi verso l’adultità e nello stesso tempo la scelta di mezzi “adulti” che permettano il perseguimento di questi obiettivi. Riporterò infatti qui di seguito alcuni degli obiettivi generali presi dai PSI36: o Rafforzare l’immagine che ha di sé. o Favorire quotidianamente le relazioni all’interno del Laboratorio, il raccontare, il raccontarsi ed esprimere i suoi desideri. (Obiettivi generali del PSI di Federica) Come già scritto nei capitoli precedenti Ianes afferma che una delle condizioni essenziali affinché la persona disabile possa divenire adulta sia quella di avere un’identità stabile ed autonoma. 36  Allegato N°3, Tabella dati Piano di Sviluppo Individuale (PSI) degli utenti. (I nomi utilizzati sono stati da me inventati per proteggere la privacy degli utenti e nel rispetto del segreto professionale)   27 dello stage sono infatti alcuni dei mezzi utilizzati per il perseguimento degli obiettivi sopracitati. Mezzi che racchiudono al loro interno sicuramente delle modalità adulte. o Imparare a gestire le sue relazioni ed i suoi impegni. (Obiettivo generale del PSI di Alice) Nel capitolo riguardante il concetto di adultità avevo riportato un passaggio dell’intervista alla mia responsabile pratica di stage, dove quest’ultima, interrogata sulle modalità con le quali il Ronchetto affronta il tema dell’adultità, affermava come al laboratorio si desse molta importanza alle relazioni di amicizia che nascevano tra gli utenti della struttura e che uscivano in seguito anche dalle mura del laboratorio. Queste relazioni vengono infatti valorizzate dagli educatori del Ronchetto in quanto considerate come un fattore che contribuisce al consolidarsi di un’identità adulta. Il distacco dalla famiglia e la condivisione d’interessi con altre persone sono alcuni degli aspetti che contraddistinguono l’entrata nell’età adulta. Come afferma sempre l’educatrice intervistata, incontrarsi con gli amici al di fuori delle mura protette del laboratorio significa dover imparare a gestire i propri impegni, significa essere in grado di comunicare all’educatore o alla famiglia quando questi avvengono, significa soprattutto assumersi maggiori responsabilità. Per questo motivo nel caso di Alice, si è deciso insieme a lei di utilizzare un’agenda e di imparare ad utilizzarla, per gestire i suoi impegni e per riuscire a comunicare, con preavviso, quando avvengono gli incontri con gli amici. Parallelamente si sta cercando di fare un lavoro, grazie ad alcuni momenti prestabiliti, sulle sue modalità relazionali, imparando a dominarne alcuni aspetti, e sulla sua assunzione di responsabilità. Aiutarla dunque nelle scelte che decide di compiere, non indirizzandola, ma accompagnandola nelle direzioni che essa sceglie di intraprendere. Come afferma Ianes infatti: “Molte delle azioni importanti per lo sviluppo di un’identità adulta sono “scelte”, “decisioni autonome”, […] Si potrebbe dire che l’identità si nutre di scelte”.38 Secondo l’autore favorire l’auto-efficacia dell’utente, ovvero la consapevolezza delle proprie capacità e competenze, rappresenta uno degli aspetti fondamentali per la costruzione di un’identità adulta, e un primo grande passo per mirare ad un Progetto di vita. Da questa analisi emerge in maniera evidente come al Ronchetto vengano prefissati con gli utenti degli obiettivi che siano il più possibile orientati all’adultità. È importante sottolineare che nel lavoro educativo, in ambito delle disabilità, vi sono molti fattori come i deficit cognitivi degli utenti, l’invecchiamento, le modalità relazionali di 38 Ianes D., Cramerotti S., op. cit., p. 54. 28 ognuno che devono essere presi in considerazione nella costruzione di un Progetto di vita e che lo influenzano. Per questo motivo gli obiettivi potranno risultare, per alcuni utenti, più “adulti” mentre per altri appariranno meno orientati all’adultità. Nonostante vi siano quindi delle differenze progettuali derivanti dalla singolarità di ogni utente, traspare sicuramente come al Ronchetto ci sia la volontà di orientare i PSI degli utenti in una direzione adulta. 4.5.2 PSI e “Lavoro di rete” Un altro elemento che vorrei ora analizzare riguarda il lavoro di rete. Uno dei grandi pilastri che costituiscono il Progetto di vita è infatti il lavoro di rete e, come scrive Ianes nel suo libro, per allargare il PEI al Progetto di vita da un punto di vista relazionale sono essenziali due linee d’azioni già viste in precedenza, ovvero: “1) Creare i collegamenti, le alleanze, le sinergie, gli accordi, le comunicazioni, le mediazioni, i patti, lo sviluppo di una visione il più possibile comune. 2) Esplorare, estendere e rendere più ricca e consapevole la rete di rapporti e opportunità di relazione e di aiuto in cui è inserito il soggetto”.39 Queste due linee d’azioni rappresentano quello che in termini educativi viene chiamato “lavoro di rete”. Qui di seguito cercherò di trovare una correlazione tra questi due aspetti fondanti il lavoro di rete e le azioni che il Laboratorio al Ronchetto mette in atto per perseguire queste due strade. Dai dati raccolti salta subito all’occhio come ogni singolo lavoro di rete con un utente differisca dall’altro, ognuno presenta una composizione differente della rete, così come ognuno si scontra e confronta con problematiche operative e relazionali differenti. Nel caso di Federica la rete trova i suoi nodi principali nella famiglia di quest’ultima, con la quale l’educatrice di riferimento riscontra una buona collaborazione ed una buona comunicazione. Vi è sicuramente una grande sinergia in quanto gli intenti e le vedute della famiglia, della ragazza e dell’educatrice sono sempre in sintonia. In questo senso la costruzione di un’alleanza è facilitata e non si riscontrano difficoltà comunicative o grandi dissensi sulle prospettive progettuali dell’utente. La costruzione di un Progetto di vita in comune risulta dunque essere una prospettiva facilmente raggiungibile ed attuabile dal punto di vista del lavoro in rete. 39Ianes D., Cramerotti S., op. cit., pag. 57   29 In un’ottica futura, per mirare alla costruzione di un Progetto di Vita sempre più ampio, si potrebbe allargare la rete relazionale, prendendo in considerazione più contesti all’interno dei quali la ragazza vive e con i quali si relaziona e dunque più risorse relazionali. In questo modo la rete risulterebbe più ricca ed estesa. Specialmente in un’ottica futura, nel caso in cui la ragazza avesse la possibilità di svolgere degli stage esterni al Laboratorio, la rete potrebbe ampliare i suoi nodi relazionali, grazie alle nuove figure significative incontrate nei contesti di stage. La rete di Davide è mutata notevolmente dalla scomparsa dei suoi genitori, i quali prima di morire, si sono preoccupati di assicurare ad egli una rete di sostegno nel momento in cui fossero scomparsi. Con i genitori si è lavorato molto in passato proprio in un’ottica futura, con l’obiettivo principale di costruire con Davide un Progetto di vita che potesse essere portato avanti anche dopo la loro morte. Insieme all’educatore di riferimento di Davide hanno infatti trovato una sistemazione in un foyer che permettesse una stabilità, un sostegno continuo e soprattutto un foyer che gli permettesse vivere esperienze di comunità, che offrisse la possibilità di svolgere delle colonie a contatto con la natura, andando così incontro alle necessità ed ai desideri di Davide. Dall’altra parte si sono assicurati che Davide potesse rimanere a lavorare in laboratorio, così da avere la possibilità di acquisire nuove competenze e di sviluppare quelle che già possedeva, ma soprattutto dove i suoi desideri potessero essere costantemente indagati ed approfonditi. Al momento della loro scomparsa una curatrice ha ereditato il ruolo amministrativo che prima esercitavano questi ultimi. Insieme a lei, all’educatore di riferimento di Davide e all’équipe del foyer in cui egli è inserito, la rete si è pian piano ricostruita, trovando come nodo relazionale estremamente importante il rapporto che Davide ha con il fratello, anch’egli con disturbi psichici, con il quale si cerca di mantenere degli incontri regolari, insieme anche alla cognata. La rete di Davide viene estesa anche ai responsabili delle colonie che frequenta, portando il loro contributo nel processo di conoscenza di Davide e di costruzione di un Progetto di vita in comune. Come si può leggere nelle interviste, il lavoro di rete ricopre un ruolo ancor più importante nel momento in cui si co-costruisce un Progetto di vita con una persona con deficit cognitivi importanti, proprio perché permette di far emergere i desideri, le aspettative ed i bisogni dell’utente nel momento in cui quest’ultimo non sia in grado di esprimerli da solo. Più la rete sarà estesa, più la conoscenza dell’utente e dei suoi desideri sarà approfondita e di conseguenza si potrà costruire un Progetto di vita nel quale l’utente si possa riconoscere, che rispecchi i suoi reali bisogni e desideri. 32 riferimento, di essere accompagnata da quest’ultima a svolgere delle mattinate a contatto con luoghi dove vengono esercitate professioni inerenti al mondo canino: uno studio veterinario, un salone di toilettatura ed infine una visita in una pensione per cani. Queste seppur brevi esperienze le hanno dato la possibilità di confrontarsi con realtà non protette dove potesse vedere pian piano realizzati i suoi desideri, dove potesse confrontarsi con le proprie competenze sul “campo”, andando così in una direzione inclusiva. Davide, dopo anni di discussione in rete, ha finalmente la possibilità di svolgere delle esperienze di colonia non ristrette alla sola utenza disabile, ma a tutte le persone che vogliono parteciparvi. Queste colonie gli hanno permesso con il tempo di imparare a relazionarsi con l’altro e di riconoscerlo. Filippo, come già detto in precedenza, ha sempre avuto la possibilità a livello lavorativo di svolgere degli stage in luoghi inclusivi, luoghi dunque non appositamente costruiti per la disabilità, ma dove quest’ultima possa essere riconosciuta non come una mancanza bensì come una risorsa. Questi stage gli hanno dato modo di confrontarsi con realtà non protette, realtà lavorative dove vigono determinate regole, determinate tempistiche e dove risulta fondamentale l’assunzione di responsabilità e il rispetto dell’altro, riconoscendo in esso anche definiti ruoli. Alice ha sempre svolto degli sport che le permettevano di vivere a contatto con realtà inclusive, di mettersi alla prova continuamente con i propri limiti e le proprie competenze. Negli anni il teatro ha pian piano preso il posto delle attività sportive divenendo un vero e proprio lavoro. Il teatro le permette infatti di avere un salario, ma soprattutto di svolgere delle tournée anche all’estero, confrontandosi continuamente con realtà diverse l’una dall’altra, vere e proprie realtà inclusive. Come afferma il responsabile del Ronchetto al termine dell’intervista, “la vera sfida sta nella società tutta. L’idea d’inclusione sociale è molto valida ed interessante, è però una strada molto difficile“.41 L’inclusione sociale rimane una prospettiva, ma vi sono delle azioni che i servizi, come in questo caso il Laboratorio al Ronchetto, così come la società tutta, possono mettere in atto per mirare a questa prospettiva. 41 Allegato N°1, Intervista al responsabile del Laboratorio al Ronchetto. 33 Dall’analisi emerge come il Ronchetto metta in atto azioni, di natura distinta, per mirare ad una prospettiva inclusiva e per permettere dunque agli utenti di potersi confrontare con realtà differenti da quella circoscritta al laboratorio. Gli educatori del Ronchetto mirano a questa grande finalità offrendo ad alcuni utenti la possibilità di svolgere degli stage, tramite le attività proposte dal laboratorio come il catering o il teatro, così come lavorando insieme alla rete dell’utente alla promozione di attività esterne al laboratorio, come le colonie, che permettano a quest’ultimo di vivere contesti diversi, di relazionarsi con persone diverse e di potersi così mettere alla prova. 5. Conclusione All’inizio di questo lavoro di tesi mi ero prefissata alcuni interrogativi ai quali avrei dovuto cercare di rispondere una volta giunta al termine della stesura. Cercherò dunque di dare una risposta a questi interrogativi, facendo riferimento principalmente ai concetti teorici trattati e all’analisi dei dati. Un primo interrogativo che mi ero posta è: “Gli obiettivi presenti nei PEI degli utenti del Laboratorio al Ronchetto rimandano al Progetto di vita?„ I risultati dell’analisi degli obiettivi dei PSI degli utenti hanno mostrato come al Ronchetto vi sia un orientamento degli obiettivi verso un Progetto di vita. Gli obiettivi dei PSI dei quattro utenti presi in analisi hanno infatti come denominatore comune un orientamento all’adultità. Adultità che, come affermato ripetutamente nel corso del lavoro, rappresenta uno dei pilastri fondamentali che costituiscono il Progetto di vita. Credo sia importante sottolineare, per rispondere a questo interrogativo, che si tratti di un orientamento verso un Progetto di vita. Non sempre è possibile raggiungere tutti gli obiettivi che ci si pone, bisogna chinarsi molte volte sulla realtà di un’utenza che presenta spesso deficit cognitivi, psichici o fisici importanti. Gli educatori del Ronchetto continuano nonostante ciò ad orientare il loro sguardo verso una prospettiva futura, verso la costruzione di un Progetto di vita, a prescindere dalle difficoltà che il percorso con situazioni di handicap grave possa presentare. Vedere sempre la possibilità di una crescita, di un futuro, diventa essenziale nella progettazione con l’utente. Se l’educatore in primis non crede in queste possibilità, come si può pretendere che vi sia un’evoluzione? Il primo grande passo per mirare ad un Progetto di vita, riprendendo le parole di Ianes, è la consapevolezza dell’importanza di un pensiero “caldo”, un pensiero che crea, che immagina insieme all’utente un futuro fatto di possibilità, un futuro nel quale l’utente abbia la possibilità di capire chi davvero vuole essere e se potrà esserlo. Un pensiero che si traduce in obiettivi, obiettivi che si tradurranno in un Progetto di vita. 34 Da quanto ho potuto osservare al Ronchetto questo tipo di pensiero accomuna tutte le azioni educative. Un secondo interrogativo che mi ero posta è: “In che modo e da chi viene eventualmente elaborato il Progetto di Vita dell’utente?„ Il Progetto di vita nasce nel momento in cui i desideri dell’utente, le sue aspettative e le sue aspirazioni incontrano lo sguardo educativo accennato pocanzi e da quest’incontro sorge la voglia di costruire un progetto insieme. Non sempre però i desideri dell’utente emergono spontaneamente o con facilità. Molte volte è necessario aiutarlo ad esprimerli e soprattutto a riconoscerli. In questo senso risulta fondamentale la costruzione di un rapporto di fiducia tra l’utente e l’educatore di riferimento. Altre volte invece le grandi difficoltà cognitive dell’utente non gli permettono di esprimere i suoi desideri e le sue aspettative. In questi casi il fattore fondamentale che permette l’emersione di queste informazioni è la conoscenza della persona. Conoscere significa andare ad indagare ogni contesto di vita, ogni momento della sua quotidianità entro il quale egli si relaziona e racconta una parte di sé. Qui gioca un ruolo fondamentale il lavoro di rete, ovvero lo strumento che permette di creare dei ponti tra questi vari contesti di vita dell’utente, di tessere dei nodi e creare la collaborazione essenziale alla costruzione di un Progetto di vita entro cui l’utente possa rispecchiarsi e riconoscersi. “Vi sono attività proposte dal laboratorio che permettono di entrare in un’ottica di “Progetto di vita”? Se sì, quali?„ Grazie in particolar modo al concetto d’inclusione sociale ho avuto modo di indagare su questo interrogativo. Le attività lavorative proposte dal Laboratorio al Ronchetto come il catering o il teatro sono un primo punto fondamentale che rimanda al Progetto di vita. Queste infatti permettono di abbattere le mura della struttura lavorativa protetta e di aprire una porta sul mondo esterno, sugli spazi della normalizzazione e dell’inclusione sociale. Permettono agli utenti di potersi mettere alla prova, di confrontarsi con realtà esterne, meno protette, fattori fondamentali che rispecchiano l’essenza del Progetto di vita. Anche lo strumento stage è estremamente importante nel percorso mirato al Progetto di vita, poiché offre l’opportunità agli utenti, laddove sia possibile, di confrontarsi con realtà inclusive. Finalità ultima del Ronchetto è, infatti, quella che gli utenti che ne hanno le capacità possano lavorare “al di fuori delle mura protette” del Laboratorio. Ciò che ritengo importante sottolineare è che non sempre questa finalità corrisponda a ciò che l’utente desidera o necessita. Vi sono dei casi in cui un utente, o la sua rete famigliare, preferisca vivere all’interno di un contesto più protetto, dove possa essere 37 Leggendo vari testi mi sono resa conto di quante tematiche esistano, anche se più marginali rispetto a quelle da me scelte, correlate al Progetto di vita. Vi sono infatti molti fattori che intercorrono nell’analisi di questa grande tematica, come la qualità di vita della persona con disabilità, la tematica dell’invecchiamento, l’auto- determinazione così come l’analisi dei fattori politici e sociali nella prospettiva inclusiva. Nonostante riconosca l’importanza che questi temi ricoprano, e nonostante il grande interesse che mi hanno suscitato, non ho potuto indagarli nel mio lavoro di tesi per un limite di pagine. Il rischio sarebbe stato quello di riportare molti concetti ma di non riuscire ad approfondirli, rimanendo così troppo in superficie. Ho dunque deciso di prendere in considerazione tre grandi aree tematiche e di concentrarmi nell’analisi di queste ultime. Credo che in un futuro sarebbe interessante proseguire nell’approfondimento del Progetto di vita, tenendo in considerazione nuovi fattori, come per esempio quelli citati pocanzi. Spero che il mio lavoro di tesi possa servire a fare chiarezza sul tema e a carpire quali azioni educative possano contribuire alla costruzione di un vero e proprio PROGETTO DI VITA. 38 Bibliografia Pubblicazioni: -­‐ Brandani W., Tramma S., Dizionario del Lavoro Educativo, Carocci Editore, 2014. -­‐ Franchini R., Disabilità,cura educativa e progetto di vita: tra pedagogia e didattica speciale, Trento, Erickson, 2011. -­‐ Goussot A., Il disabile adulto: anche i disabili diventano adulti e invecchiano, Maggioli Editore, 2009. -­‐ Ianes D., e Cramerotti S. Il piano educativo individualizzato - Progetto di vita. Vol. 1, Trento, Erickson, 2009. -­‐ Medeghini R., Quali servizi per una prospettiva inclusiva. Rivista Animazione Sociale, Torino: Edizioni Gruppo Abele, 2012. -­‐ Medeghini R., Vadalà G., Fornasa W. & Nuzzo A., Inclusione sociale e disabilità, Linee guida per l'autovalutazione della capacità inclusiva dei servizi, Trento, Erickson, 2013. -­‐ Moioli L., La disabilità come via per ripensare la maturità umana, Rivista Animazione Sociale, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2012. -­‐ Palmieri C., Dal Progetto Educativo Individualizzato al Progetto di Vita. Rivista Animazione Sociale, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2006.   Documenti del Laboratorio al Ronchetto e della Fondazione Diamante: -­‐ Il Manifesto del Ronchetto (documento interno della struttura, non ufficiale). -­‐ Fascicolo: Presentazione del laboratorio Al Ronchetto, Pazzallo, 2011. Moduli: -­‐ Modulo di «Teorie e Metodologie dell’intervento Sociale», Maida S., Anno accademico 2013-2014. 39 -­‐ Modulo di «Percorsi nelle disabilità», Balerna C., Mengoni M., Anno accademico 2013-2014. Siti internet: -­‐ http://f-diamante.ch/la-fondazione/linee/, 2 marzo 2016. -­‐ http://static.10elol.it/625X0/www/10elol/it/img/Frasi-sulla-vita.jpg, 5 settembre 2016. Allegati -­‐ Allegato N°1: Intervista al responsabile del Laboratorio al Ronchetto. -­‐ Allegato N°2: Intervista alla responsabile pratica del mio stage. -­‐ Allegato N°3: Tabella dati dei Piani di Sviluppo Individuali (PSI) 3 Sono difficoltà che si riscontrano in molti laboratori proprio perché per taluni utenti sorge la domanda: “e adesso quali obiettivi pongo? Se non quelli di mantenimento o di benessere etc. ? 10) Ritieni che il sistema di premesse, i vissuti e le aspettative dell’educatore possano in qualche modo influire sulla progettazione con l’utente? Se sì, come quali sono le strategie messe in atto per riuscire a valutarle e a governarle? È una diffcioltà reale. Personalmente voglio e pretendo di leggere, prima che vengano ufficializzati, tutti gli obiettivi o le riflessioni che vi stanno intorno, i quali poi vengono portati in équipe così che ci possa essere una discussione e uno sguardo un po’ più allargato, proprio perché è chiaro che il proprio modo di essere, di vivere e d’interpretare può influenzare la stesura e l’individuazione del progetto. Si tratta quindi un problema reale al quale è possibile ovviare tramite l’analisi condivisa con l’équipe e la rete. In questo modo si possono mediare e modificare determinati aspetti. 11) Uno degli aspetti fondanti del progetto di vita è quello di mettere l’utente nella condizione di potersi confrontare con i propri limiti. In che modo l’educatore del Ronchetto accompagna l’utente con handicap alla presa di coscienza dei propri limiti? I bisogni che emergono possono andare oltre e capacità del singolo, e questo a volte fa parte anche di noi, a volte ci poniamo degli obiettivi irraggiungibili”. Per questo motivo anche questo è un lavoro di mediazione importante dove ci vuole sicuramente molta diplomazia e tatto proprio per evitare di “offendere” o demotivare la persona. Siamo delle guide in fondo e dobbiamo guidare verso questa presa di coscienza. Potrei riportare alcuni esempi: l’utente che ti esprime il desiderio di poter imparare un giorno a guidare un’auto e a fare le patenti dell’auto, un altro che desidera sposarsi o o avere un figlio. Sono argomenti che tornano di frequente e in più di trent’anni di esperienza mi è capitato regolarmente. Il lavoro di guida è anche quello di rendere cosciente la persona che forse vi sono altri desideri o bisogni che possono essere più realistici e realizzabili. Per cui in fondo riuscire a trovare una via per trovare quella soddisfazione alla persona che gli permetta di vivere in maniera meno frustrante i propri limiti. È chiaro che non sempre è un processo semplice, bisogna a volte parare dei colpi e delle reazioni che possono risultare anche molto devianti. Proprio stamattina se ne parlava in riunione d’équipe, un utente che ha una buona coscienza del suo stato che compie però degli atti di “ribellione” o di frustrazione contro cose e a volte persone proprio come sfogo a queste frustrazioni e ai suoi limiti. Anche se sembra un concetto un po’ discutibile a volte mi viene da dire “beata incoscienza”, rispetto magari ad utenti che sono meno coscienti dei loro limiti e della loro situazione. 4 12) Ho notato che qui al Laboratorio Al Ronchetto si da molto spazio agli stage degli utenti. Che ruolo possono avere gli stage in un’ottica di “Progetto di vita”? In fondo siamo delle guide ma anche dei facilitatori per provare a portare la persona a testare e provare altro, e quindi lo strumento dello “stage” è uno strumento molto interessante proprio perché obbliga la persona a confrontarsi con realtà altre, a volte comunque realtà protette o preparate ad accogliere persone con handicap, ma vi è comunque una sorta di “taglio ombelicale” e di distacco, di mettersi alla prova e di sperimentare. Direi dunque che è uno strumento molto importante. Per assurdo proprio perché il fuori può fare paura, o perché viene ritenuto a volte meno ricco del dentro (laboratorio), c’è anche chi rinuncia alla possibilità di uscire proprio perché si dice “sto bene qui, chi me lo fa fare di andare a cercare un posto nuovo per poi magari finire in una realtà magari più povera dal punto di vista relazionale. Per tanto a volte ci si trova confrontati con questi limiti senza dimenticare il fatto che la nostra missione è comunque quella di portare la persona ad un inserimento verso l’esterno, perciò lo stage è un passaggio obbligato ed interessante che ti da degli strumenti per valutare e capire se questo passaggio è possibile, è auspicabile o meno. Abbiamo appena avuto un caso di un utente che è uscito a fare due stage ed è arrivato a dire che dopo aver sperimentato il fuori non faccia per lui, è troppo. Un’altra ragazza che ha delle potenzialità che potrebbero portarla a trovare un posto di lavoro all’esterno almeno parziale, ma i genitori in questo caso hanno paura che vi sia una forma per certi versi d’impoverimento per cui preferiscono che rimanga in laboratorio e che venga spinto al massimo lo sviluppo delle sue capacità all’interno del laboratorio senza ricercare soluzioni o vie esterne. Per questo si va da un estremo all’altro. Per altri utenti ancora si è trovata un’occupazione esterna ma con dei rientri periodici in laboratorio proprio perché il rappresentante legale vuole che il laboratorio rimanga un punto di riferimento oppure una forma di sicurezza nel caso in cui andasse male qualcosa all’esterno, sia che si tratti di difficoltà dellutente ma anche in casi di disoccupazione, in questo caso il laboratorio rimane un “salvagente”. 13) Come viene affrontata la tematica dell’adultità al Laboratorio Al Ronchetto? È una bella tematica che è arrivata più volte come tema di discussione in équipe. Io penso che vi sia ancora molto lavoro da fare, poiché a volte negli atteggiamenti, a volte nel linguaggio dell’operatore, non si tiene conto sempre si questo aspetto. Il fatto di arrivare da una realtà e avendo un’équipe dal punto di vista di anzianità di servizio molto anziana in fondo si è occupata di un’utenza che necessitava di un linguaggio non sempre confacente alla persona adulta, anche se il tutto veniva fatto in maniera molto professionale. per questo motivo credo che vi sia ancora qualche rimasuglio e su questo si potrebe lavorare. Questo non significa però arrivare per forza in un ambiente 5 troppo asettico, proprio perché il bisogno d’affetto è un bisogno che viene costantemente riscontrato e perciò una certa vicinanza ed un certo tipo di linguaggio e una certa disponibilità dell’educatore ci deve comunque essere, altrimenti il benessere della persona sarebbe sicuramente messo a rischio. 14) Pensi che al Laboratorio Al Ronchetto vi sia questa finalità ultima di mirare ad un progetto di vita? Secondo te avrebbe bisogno di essere formalizzata quest’ottica? Specialmente con i giovani il concetto di progetto di vita viene utilizzato e ci si costruiscono attorno delle riflessioni. Diventa più difficile con quelle persone che frequentano il laboratorio già da anni, persone anziane verso il pensionamento, dove il progetto di vita viene “riattualizzato” alla ricerca di soluzioni, di passaggi, di programmi e di presenza differenziata. Con il giovane è invece un discorso che si fa sempre più, ovviamente non vi è ancora la predisposizione a pensare a dei PSI che partano da questo principio. Da parte mia faccio ancora molti sforzi per indirizzare o per portare la discussione su questi binari. Ancora recentemente ho portano degli operatori a ragionare su questi termini, poi si arriva comunque agli obiettivi e ai bisogni individualizzati, ma con dietro una riflessione che nasce proprio dall’idea di Progetto di vita. La formalizzazione sta proprio nel riuscire a fissare nero su bianco e a condividere con la rete quello che il cappello di cui parlavo e dunque il progetto che va verso il futuro, la crescita e che non si fossilizzi sull’obiettivo specifico. Penso che si potrebbe lavorare almeno documentandosi maggiormente su tutti gli strumenti, anche teorici, che oggi esistono. Penso per esempio al progetto di vita così come al PPH, così come alla Erikson ed al concetto d’inclusione sociale. In questo senso ho segnalato alla fondazione, che si deve preoccupare di trovare dei temi da discutere dei temi dal punto di vista formativo per gli operatori, di proporre queste tematiche. Anche perché per esempio il tema dell’inclusione sociale viene citato nei principi della fondazione. 16) La rete come abbiamo detto ricopre un ruolo fondamentale, ma quanto può influire duqnue sulla progettazione un buon lavoro di rete o viceversa un non ottimale lavoro di rete? Abbiamo riscontrato negli anni anche grosse difficoltà d’intesa e di collaborazione anche con i colleghi dei foyer, per questo motivo in alcuni casi siamo arrivati ad avere discussioni e divergenze molto forti, e in un caso addirittura è dovuta intervenire la direzione perché gli animi si erano surriscaldati. Per cui si trattava di avere una visione estremamente diversa e qui può rientrare la tematica della soggettività e del sistema di premesse del singolo operatore. Non posso dire che sono cose che non dovrebbero succedere perché nella realtà del lavoro sociale succedono sovente, proprio perché l’utente pur di compiacere tutte le parti crea e creava confusione e malintesi. In quei casi c’è da fare un 2 lavorano al laboratorio da quarant’anni ed in questo senso il progetto di vita lo vedo anche nostro, poiché si parla di una grande fetta di vita della persona. Forse il lavoro è uno degli aspetti del progetto di vita di una persona, è pertanto importante pensare ad una progettualità, ad una visione che tenga conto di una continua evoluzione della persona e anche in alcuni casi a degli inserimenti esterni, a degli stage, dunque ad un concetto più amplio di inclusione sociale. Una volta si diceva per mirare alla “normalizzazione”, ora si parla piuttosto di inclusione. 5) Quando l’utente ha un handicap importante, come e attraverso quali strategie egli viene coinvolto nell’elaborazione del suo progetto di vita? Più che di strategie penso che si debba parlare di conoscenza. Alla base vi è sicuramente l’osservazione, la creazione di una relazione di fiducia che permetta poi agli educatori di cogliere e comprendere quelle modalità espressive che sono caratteristiche dell’utente. Anche prima della proposta progettuale e dell’inserimento in un progetto di determinati obiettivi, vi è sicuramente la sperimentazione. Sapendo già cosa da senso e piacere e cosa invece non crea benessere sarà più semplice creare un progetto con l’utente che tenga conto dell’esperienza avuta con lui e dunque dei suoi desideri e dei suoi bisogni. È più difficile nel senso che cambia la mediazione, anche il lavoro di rete in questi casi acquista maggiore importanza proprio perché permette di coinvolgere tutte quelle persone che hanno a che fare con l’utente, con i suoi diversi contesti di vita e che rendono dunque più completa la conoscenza dell’utente e più semplice la decodificazione dei bisogni, dei limiti, delle risorse e delle aspettative dell’utente. 6) Quali possono essere le difficolta che l’educatore può incontrare nell’elaborazione di un progetto di vita? Mi viene da pensare proprio a ieri quando abbiamo fatto una riunione plenaria con gli utenti. La difficoltà stava proprio nella capacità degli utenti di rispondere a domande come “cosa ti piacerebbe fare al Ronchetto?” le risposte erano per esempio andare al mare, fare gite, tutte risposte che esulavano dal contesto professionale. La difficoltà forse arriva quando l’utente fatica a capire il senso del suo progetto di sviluppo, del suo lavoro qui. Quando questa cosa non è così scontata, è difficile rispettare i suoi desideri ed i suoi bisogni, riuscendo comunque a farli conciliare con la realtà professionale. 7) Ritieni che il sistema di premesse, i vissuti e le aspettative dell’educatore possano in qualche modo influire sulla progettazione con l’utente? Se sì, come quali sono le strategie messe in atto per riuscire a valutarle e a governarle? 3 Io credo che possano influire e influiscano da entrambe le parti. E dunque non solo dall’educatore verso l’utente ma anche viceversa. È innegabile a parer mio che la “pancia”, la prima impressione, così come le antipatie e le simpatie vi siano, bisogna saperle come educatori riconoscere e tenerle presenti. Auto-osservarsi, osservarsi nella relazione, avere un continuo scambio con i colleghi che molto spesso vedono cose che noi non vediamo. 8) In che modo l’educatore del Ronchetto accompagna l’utente con handicap alla presa di coscienza dei propri limiti? Ci si scontra quotidianamente con questa tematica. Abbiamo avuto recentemente un grande cambio generazionale, siamo passati da una casistica più anziana con handicap più gravi, ad un grupo di adolescenti con difficoltà accentuate magari nella sfera relazionale ed emotiva. Elementi che prima si riscontravano ma erano forse sovrastati da altri bisogni più impellenti. Arrivati dunque a confrontarci con questi giovani noi in primis dobbiamo confrontarci con altri limiti e difficoltà che per anni non abbiamo vissuto. Riuscire dunque a capire e concepire che ci possono essere molte modalità che magari conosciamo ma che nella relazione non c’erano. Confrontarsi dunque con nuovi limiti, nuove dinamiche e nuove persone. 14) Come affrontate il tema dell’adultità? Qui al laboratorio il tema dell’adultità viene molto spesso associato alla busta paga. Ricevere a fine mese il soldo per il lavoro che si è svolto è il primo grande passo che differenzia dalla scuola. Il crescere professionalmente, l’acquisire nuove competenze anche strettamente legate all’ambito professionale, così come gli aumenti di stipendio, le vacanze o i recuperi, sono tutti aspetti che vanno ad influire sull’identità della persona e sulla presa di coscienza della sua adultità. Chiaramente non è tutto legato solamente al lavoro, ma come struttura professionale questi aspetti si sentono molto. Io come educatrice non nego un momento un po’ “infantile” come linguaggio o modalità relazionale con un utente o con l’altro, lascio però che questa modalità d’espressione intervenga in una relazione adulta, tra due adulti. Si creano molti legami d’amicizia tra gli utenti e dunque tra colleghi, i quali poi escono anche dalle mura del laboratorio. Questo anche è un fattore che crea questa “identità adulta”, e dunque il fatto di staccarsi dal nucleo famigliare e crearsi dei propri contesti di vita personali, che possono essere quello del lavoro e dei colleghi di lavoro, amicizie altre ed interessi diversi. 4 15) Voi educatori valorizzate questi processi? Noi li valorizziamo, a volte però trovandoci a dover frenare determinate modalità di stare in relazione con l’altro, poiché avere delle amicizie significa anche avere la capacità di gestire un rapporto di questo genere, e pertanto molto spesso gli utenti vanno accompagnati in questo senso a prendere coscienza delle proprie e delle altrui modalità relazionali. Aiutarli anche nella gestione del tempo, nella capacità di comunicare all’educatore o alla famiglia quando avvengono gli incontri con il collega/amico, come imparare a spostarsi, quando e dove farlo. 16) Al Laboratorio al Ronchetto, secondo te, viene integrato il Progetto di vita? Al ronchetto secondo me il progetto di vita esiste, non è esplicitamente dichiarato, forse perché siamo in un contesto professionale ma noi educatori del Ronchetto non possiamo e non dobbiamo escludere tutti i contesti di vita degli utenti, fermandoci unicamente sul contesto professionale. Questo perché la persona è tale in tutti i suoi contesti di vita, proprio perché ogni contesto è contaminato dall’altro, basta un contesto di vita che viene messo alla prova che andrà ad influenzare tutti gli altri. Se le cose non funzionano sul posto di lavoro simo consapevole che questo andrà a ricadere su tutti gli altri contesti di vita. In questo senso per progetto di vita s’intende creare quel contesto professionale che vada a dare la giusta soddisfazione e che permetta di crescere anche in altri aspetti e contesti. In questo senso risulta fondamentale la rete, colleghi, famigliari, medici. 17) Non si sente la necessità dunque di formalizzarlo questo progetto di vita? Credo sia proprio una questione di atteggiamento, formalizzarlo forse non è neanche possibile, perché se una struttura come la fondazione diamante funziona con un separazione netta tra contesto abitativo e lavorativo, luogo di lavoro e luogo di vita dovrebbero lavorare insieme, ed è forse questa la cosa più difficile. Spesso purtroppo si lavora a compartimenti stagni.
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