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Incursioni. Arte contemporanea e tradizioni. Riassunto completo, Sintesi del corso di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto completo diviso in capitoli del saggio Incursioni di Settis

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023
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StellaZannier
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Scarica Incursioni. Arte contemporanea e tradizioni. Riassunto completo e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! INCURSIONI – Arte contemporaneo e tradizioni Salvatore Settis Spesso nel caso dell'arte contemporanea si dà per scontato che si sia spezzato il filo della tradizione artistica. Invece, l'arte contemporanea non sarebbe pensabile senza il secolare processo che ha creato lo spazio del discorso storico-artistico e che ha generato le stesse nozioni di arte e di artista e ha legittimato pratiche e istituzioni indispensabili alla produzione artistica contemporanea. Tra antico e contemporaneo non c'è netta frattura, ma una perpetua tensione, che continuamente si riarticolare nel fluire dei linguaggi critici e del gusto, nei meccanismi di mercato, nel funzionamento delle istituzioni, nella cultura popolare  il filo della tradizione non si è spezzato ma si è consolidato. Tradizione artistica: tradizione  significa passare di mano in mano e nel gergo dei filologi e il meccanismo di trasmissione dei testi da un manoscritto all'altro con inevitabili errori e varianti. Passaggi che non comportano mai la piena identità. Tradizione vuol dire ereditare qualcosa e impadronirsene per trasformarlo in qualcos'altro. Quindi anche il campo dell'arte è un campo di azioni e di energie dove l'artista interagisce con i committenti, il mercato, il pubblico  un campo percorso da fili di continuità. Significato di tradizione: (traduzione non è adorare la cenere ma custodire il fuoco ma perché ci scaldi bisogna anche alimentarlo). 1. Julius Schlosser (1866-1938)  pubblica degli studi sulla tradizione artistica nel tardo medioevo dove si spiega principi generali della pratica di bottega come trasmissione di know-how, di saperi artigianali, dove era necessario l'apprendistato per imparare il come si fa che un impulso innovare, in competizione con i modelli preesistenti. secondo questa concezione ogni artista ha un proprio repertorio di immagini di defunti l'artista interiormente pieno di figure; E se mai chiudesse eternamente, trarrebbe dalla sua mente sempre nuove immagini, prendendole da quelle idee interiori di cui scrisse Platone. questo meccanismo contiene: 1. un intenso repertorio mentale fornito dall'esperienza visiva e 2. la memoria materializzata dei taccuini di bottega. In questo processo di trasmissione c'è un impulso fortemente dinamico: diventato immagine concettuale, uno schema rappresentativo ereditato dalla tradizione si innesta sulle pratiche correnti per esservi ripensato e rinnovato anche radicalmente a ogni uso. L’innovazione, dunque, ingrediente indispensabile della tradizione. La tradizione artistica implica la costituzione di un repertorio grafico oltre che mentale, l'innovazione nata dalla competizione fra artisti e i rapporti con la committenza del pubblico. La produzione artistica agisce da moltiplicatore delle figure interiori dell'artista e ad alimentare l'universo mentale delle figure interiori concorre anche l'arte di tempi e luoghi remotissimi. Anche gli artisti del 900 hanno fatto spesso ricorso a fonti e modelli non solo del loro tempo. 2. Aby Warburg (1866-1929) si dedicò alla creazione di un formidabile Atlante della tradizione visuale europea dal titolo Mnemosyne che significa memoria. L’opera si orientò su una concezione dinamica della figurazione, dove schemi e gesti espressivi venissero classificati in gruppi morfologici e sottoposti ad analisi funzionale. egli introdusse l'espressione Phatosformel, ‘formula di Phatos’ dove la componente ‘formula’ implica fissità e ripetizione di stereotipi e ‘pathos’ ha caratteri di instabilità e movimento. Formel e la scorza, la fredda convenzione espressiva e form che si perpetua nel tempo; Pathos e l'ardente nucleo vitale che vi è contenuto, sempre pronto a esplodere, a generare incessantemente nuove forme. La formula di pathos prende nuova vita e dà nuova vita: Spezia il rapporto immediato della tradizione artistica con le generazioni subito precedenti e la riannoda valicando i secoli. Alcuni aspetti del progetto di Warburg sono: - la storia dell'arte come comparazione antropologica  Problema: come mai un deposito di memoria culturale possa ora serrarsi come un sepolcro ora risorgere a nuova vita, e come ogni sua nuova incarnazione sappia mutare profondamente, secondo processi dinamici ogni volta diversi ma sempre guidati da un processo simpatetico, di immedesimazione o empatia. - la mescolanza di alto e basso nella storia delle immagini  Nelle tavole di Mnemosyne Sono incluse immagini dell'orizzonte quotidiano poiché vi è equivalenza sostanziale fra alto e basso, la convergenza intorno a uno stesso orizzonte emotivo o formula di pathos, di due registri solo in apparenza divergenti. Il suo Atlante era concepito come una palestra di pensiero sulle rotte percorse dalle Phatosformeln fra antico e moderno, alta cultura ed espressioni popolari, artisti e pubblico, creazione artistica e riflessione storico critica. L'intenzione di Warburg era quella di tentare di registrare la schizofrenia dell'occidente, attraverso la sua produzione visuale, in un riflesso autobiografico. Egli vive il proprio lavoro di mappatura della memoria visuale collettiva come proiezione autobiografica di sé, e perciò evoca il rispecchiarsi del macrocosmo (la schizofrenia dell'occidente) nel microcosmo di un singolo individuo. Egli si considera un sensibilissimo sismografo che capta, registra e trasmette le onde mnemiche di una civiltà. l'artista diventa colui che ha sensibilità espressiva e creatrice difforme e cerca di trovare il proprio stile operativo muovendosi fra il polo estatico-maniaco della ninfa è quello dolente-depressivo del fiume-Dio. Il soggetto e l'artista il suo stile operativo e la trasmissione e l'uso creativo di pathosformeln. l'incompiuto Atlante voleva essere un osservatorio sismografi, dove l'ago sensore che capta le onde e le registra è lo stesso Warburg, mentre le tavole di Mnemosyne corrispondono alla raccolta dei dati. - lo scambio fra il lavoro degli artisti e quello degli storici dell'arte  Per poter registrare onde mnemiche Warburg e i suoi colleghi dovevano diventare altrettanti sismografi. Allo storico veniva assegnato un compito duplice: da un lato ripercorrere il processo ideativo dell'artista per capirne i segreti costruttivi; Dall'altro occorreva penetrare nel laboratorio delle figure interiori dell'artista cercando vi indizi per comprendere i meccanismi della memoria sociale e di quella che Warburg chiamava psico-storia, Fondata sull'analisi della memoria culturale ma anche di sé. Il ruolo centrale dell'intuizione nel processo storico analitico, che acquistava così un forte accento creativo, ebbe una conseguenza inattesa: il gesto di artisti che, prendendo su sé stessi la responsabilità e il pathos del lavoro storico, dichiarano tutte le lettere le proprie fonti. Tematizzano insomma il rapporto con le fonti come oggetto della propria arte: l'autocitazione delle fonti diventava in tal modo un nuovo tema dell'arte contemporanea, non senza rapporto con un genere oggi diffusissimo, il saggio intervista in cui l'artista il critico d'arte sovrappongono, mescolano, confondono i ruoli rispettivi. La mutua riflessività di arte e storia dell'arte è diventata un meccanismo di riconoscimento, di attivazione, di empatia. Per Warburg La tradizione artistica designa lo spazio storico e sociale entro il quale l'arte del passato, rivissuta in un ritmico alternarsi di morti e rinascite mi fa gente di innovazione, ingrediente essenziale di esperienze che riflettono orizzonti emotivi e tensioni culturali sempre cangianti. Implica un meccanismo espressivo che al suo cuore nell'espressione convenzionale (formula) di un contenuto emotivo (pathos) e si trasmette storicamente con un processo intermittente, che include fasi di impoverimento e oblio a momenti di subitanea resurrezione o esaltazione di una Phatosformel. Allegare questi saggi in un gioco di mutui rimandi e una sottotrama di domande e ipotesi sulla natura della tradizione artistica, sul suo triangolare fra l'arte antica e quella d'oggi, ma anche fra la ricerca artistica e la ricerca storica artistica. incursioni e la fiducia di trovare, provando riprovando, qualche traccia del lavoro artistico, fra memoria del passato e produzione del mutuo. Antefatto dell'auto decapitazione fotografica di Duchamp  The man in red coat di Barnes dove uno dei protagonisti e Robert de Montesquieu che si traveste da San Giovanni decollato: la sua testa, con gli occhi chiusi, pare come appoggiata su un vassoio, nel varco di una finestra da cui pende un drappo con squisita decorazione floreale  La foto risale a un catalogo della mostra Robert de Montesquieu ou l'art de paraitre del 1885. Quella foto, ho altre simili se mai ve ne furono, potevano essere per Duchamp solo altri pezzi di una tradizione da ignorare e distruggere rimaneggiando in derisoria sintesi tagliarsi la testa per lui voleva forse dire non tanto la ‘morte dell'autore’ nel senso di Barthes, ma l'abnegazione e la disparition di un singolo autore, lui stesso. Un tagliarsi via alla tradizione artistica prendendone le misure con 1 metro sartoriale. Eppure, dentro o dietro un ripudio così radicale, la tradizione artistica in qualche modo - come residuo, rifiuto, rimasuglio- c'è ancora tutta. 2. Arte e delitto: Guttuso sulla morte di Neruda Può l'arte denunciare un delitto? la morte di Pablo Neruda a Santiago del Cile avvenne il 23 settembre del 1973: morì di cancro alla prostata, nella clinica di Santa Maria? O si lasciò morire affranto dal dolore dopo la fine del suo amico Allende e la devastazione della sua patria? o fu ucciso? Dal 2013 comincia una lunga e tortuosa vicenda giudiziaria con risultati opposti, tre o quattro cause della morte indicate da documenti, cartella clinica smarrita ecc… Molto prima che il caso Neruda venisse ripreso dalla cronaca e dalle aule di giustizia, Renato Guttuso aveva emesso la propria denuncia e promulgato il proprio verdetto. un disegno a matita su cartoncino, poi tradotto in incisione di cui esiste almeno una prova d'artista, rappresenta sinteticamente Pablo Neruda sul letto di morte, la testa appoggiata sul cuscino. il braccio destro pende nel subito abbandono del trapasso, ma ancora tiene fra le dita alla penna, ultima arma del poeta ucciso. il braccio sinistro e disteso lungo il corpo, ma non è del tutto inerte: nervosamente la mano stringe ancora, anzi esibisce al nostro sguardo, un foglio di carta su cui si leggono tre nomi: Nixon Frei Pinochet. i nomi degli assassini, della democrazia e del poeta. In basso la dedica: a Pablo, Renato. Il braccio cadente verso il suolo da secoli designa e incarna nell'arte europea il languore del sonno o quello della morte  si tratta di una phatosformel  Un gesto antico per dar forza alla denuncia di un delitto politico. A Neruda è fra le opere meno note di Guttuso nonostante la grande popolarità sia dell'artista che di Neruda. la fonte della scritta nel foglio che il poeta morente stringe in mano è l'incipit di una poesia, Los sàtrapas, Che fu pubblicata dall'agenzia Prensa Latina il 15 settembre 1973  Si tratta di una svelta manipolazione di un capitolo del Canto General di Neruda, che però aveva il primo verso ben altri nomi, quelli di tre dittatori latinoamericani. È probabile che questa poesia non sia stata alterata da Neruda ma confezionata ad arte da qualcun altro  Le parole che hai in mano sono si un estremo atto di accusa, ma anche una diretta citazione di qualcosa che Neruda avrebbe scritto dopo il colpo di Stato di Pinochet e prima di essere ucciso. Neruda aveva pubblicato qualche mese prima un'invettiva contro Nixon, accusato di cospirare contro la democrazia cilena., quanto a Frei, Neruda lo aveva accusato di connivenza con il dittatore ma non sapeva che dopo l'iniziale appoggio al regime, ne sarebbe presto diventato oppositore. Dove Guttuso ci fu una lunga frequentazione e amicizia a partire da quando Neruda era rifugiato politico in Italia. Del 1952 sono le poesie di Neruda pubblicate da Giulio Einaudi editori con traduzione di Salvatore Quasimodo e illustrazioni di Guttuso. Nei Funerali di Togliatti (1972) Guttuso include nella folla un ritratto di Pablo Neruda sottolineando come il rapporto fra il poeta e il pittore è all'insegna della militanza comunista che sempre li legò. Nel dipinto la veduta del Colosseo garantisce l'eternità dell'urbe e la dimensione universale e ciò giustifica l'anacronistico con presenza di ritratti non solo di persone che quei funerali non furono presenti, ma anche di assenti e di morti, la moltiplicazione dei volti di Lenin attraverso la tecnica del collage. Altre opere di Guttuso hanno a che fare con la storia e con il vocabolario dei gesti: come il Palinuro del 1932 ispirato all’Eneide di Virgilio dove, il timoniere di Enea, viene colto dal sonno e cade tra i flutti del mare. Guttuso lo rappresenta approdato a una spiaggia d'Italia, dove viene ucciso da gente crudele  qui il suo braccio destro è atteggiato nel classico gesto di abbandono che nell'arte antica ambiguamente designa tanto la morte quanto il sonno. Guttuso ha scelto un gesto antico canonizzato poi dall'arte cristiana, trasferendolo a Palinuro da altri eroi del mito, dell'epica o del Vangelo. Un altro statuto iconico Del braccio cadente eh il celebratissimo Marat di JacquesLouis David, che fu commissionato il giorno successivo all'assassinio di Marat. Marat, eroe laico, si impregna di virtù antiche adottando il gesto che fu di Patroclo e di Menelao, ma si immola come un martire, poiché quel gesto è ormai anche del Cristo defunto. Il coltello insanguinato sul pavimento, la penna nella destra, la lettera dell'assassina ancora stretta in mano sono altrettante reliquie, la ferita sul costato ancora risuona dell'invocazione pronunziata ai funerali: O coeur de Jésus! O coeud de Marat! David il giorno prima che Marat fosse ucciso, si era recato a visitarlo trovandolo immerso nella stessa vasca che avrebbe poi dipinto E successivamente fu incaricato di organizzare i funerali di Marat dove il cadavere fu esposto sul piedistallo, con la ferita sul costato ben visibile vicino alla vasca, al calamaio e agli altri strumenti della passione. La militanza politica del martire raffigurato e quella del pittore che lo dipinge si confondono in una sola aura, la penna e il calamaio dell'amico del popolo equivalgono ai pennelli e alla tavolozza di David: la dedica ‘A Marat, David’ scritta sopra la scatola di assi inchiodate che Marat usava come tavolino di lavoro è pienamente organica alla composizione. Una sapiente tessitura Lega fra loro come reliquie gli attributi che popolano la scena del martirio: la penna sempre pronta a scrivere con eloquenza tingendosi in quel calamaio; Il coltello insanguinato gettato al suolo; Infine, il contrasto fra la supplica mendace di Charlotte Corday che Marat ancora regge nella sinistra, e le parole generose da lui appena vergate con la destra. Ogni figura deve mostrare gesti che sappiano parlare all'anima del popolo perché naturali, perché universali: ma un tale vocabolario di postura e gesti, scriveva Levesque, è già tutto nell'arte greca classica, pronto all'uso. David fu da subito tra i protagonisti di quel serrato dialogo, teso a riproporre lessico gestuale dell'arte classica come un vero linguaggio di natura, e vi contribuì con quadri programma come Leonida alle Termopili. Ma nella morte di Neruda la sua riflessione sul dipinto di David esplora nuove strade espressive. Qui, infatti, non è solo il gesto (il braccio della morte) che da forza eloquenza alla denuncia del delitto, ma la sottile identificazione di Neruda con Marat (e di Guttuso con David), suggerita attraverso l'identità dello schema compositivo la postura del morente, la penna e il foglio in mano, la dedica del pittore, compagno di fede rivoluzionaria e amico. Guttuso scelse proprio il Marat di David elogiando la severità e solennità del dipinto che unisce due virtù fondamentali, la serenità e la sicurezza di una visione classica con un sentimento del presente, un sentimento della realtà, una palpitazione di realtà; Due qualità separate se non contraddittorie Che qui si fondono. si sente che David era amico di Marat; Il loro rapporto si sente nel quadro, come si sente il rapporto tra Marat e la rivoluzione; Anzi, David vedeva in Marat tutto quello che avrebbe voluto essere, anche perché senza amicizia non si fa neanche la rivoluzione. Guttuso aveva fatto ricorso al Marat di David anche per rappresentare don Rodrigo morente nella sua impresa illustrativa dei promessi sposi. esistono almeno 5 altre rivisitazioni del Marat di David che circoscrivono ancora meglio i pensieri di Guttuso. Egli compose sulla morte di Marat un olio su tela è un disegno acquerellato che precedono entrambi la scena mostrata David, dove Marat e solo con la sua morte. In Il lenzuolo di Marat Il delitto è stato appena compiuto: il quadro di David vi è fedelmente trascritto, ma per dar spunto a una più complessa composizione, dove Charlotte Corday, senza volto ma con in mano il pugnale insanguinato, posa compostamente in disparte, mentre la figura della libertà, distoglie lo sguardo dal cadavere, afferra con la sinistra lembo del lenzuolo. In una china acquerellata dello stesso anno 1983, al nudo cadavere di Marat si aggiunge Charlotte Corday che ha appena vibrato il colpo mortale E brandisce il pugnale grondante di sangue. Accanto a lei l'altra figura, che agita la bandiera rossa e porta la mano sulla spalla di Marat, è quella della libertà prelevata tale e quale dal quadro di Delacroix. Congiungendo in una grande rivoluzione e la révolution de Juliette, la rappresentazione si sposta dal versante iconico narrativo a quello simbolico: la liberté guidant le peuple diventa testimone dell'uccisione dell’Ami du peuple. ricorre anche il gesto decisivo del braccio della morte che inchioda nella memoria la figura di Marat, e se manca la penna c'è invece il foglio di carta nella sinistra dell'ucciso. La morte di Neruda presuppone non solo gli studi di Guttuso la morte di Marat, ma soprattutto la sua profonda assimilazione della lezione di David, all'insegna di due ragioni di fondo: la piena efficacia dello schema rappresentativo adottato (la Phatosformel Del braccio in abbandono) e la militanza politica che accomuna la vittima protagonista dell'immagine è il pittore che ne consacra il martirio come il Marat di David, il Neruda morente di Guttuso fu dunque un'immagine manifesto con forte valore espressivo e comunicativo. Esso attinge gran parte del proprio vigore dallo statuto iconico del modello, rinnovandolo e rilanciandolo sull'onda dell'emozione vissuta alla morte di un grande poeta, nella notte della democrazia piombata sul suo paese lontano. Neruda amico del popolo come Marat, e proprio mentre il popolo del Cile viene oppresso dalla dittatura; Guttuso come David, compagno della vittima negli ideali e nelle battaglie. La linea sottile da cui emerge il corpo del poeta resta come sospesa a mezz'aria, perché deve rappresentare un letto d'ospedale ma insieme alludere alla vasca di Marat; Il cuscino su cui riposa la testa del morente ci appare bianco, perché richiama il lenzuolo del quadro di David; Identico al gesto delle mani, la sinistra impugnare un foglio di carta, la destra stringere la penna in un estremo fremito di vita. la nudità del torso, che nella vasca di Marat aveva senso realistico e narrativo, sul letto di Neruda denuncia il modello, diventa metaforica e simbolica nudità eroica all'antica. le parole: la scritta ‘a Pablo, Renato’ Puntualmente ripete ‘a Marat, David’, Passando dai cognomi ai nomi, come fra compagni. sul foglio di carta nella sinistra, David aveva rappresentato la lettera di Charlotte Corday a Marat che le aveva dato accesso alla sua stanza consentendo il delitto. Nel disegno di Guttuso, e lo stesso Neruda che ha scritto sul foglio, prima di morire, i nomi dei responsabili del golpe, ma anche della sua morte. La lettera (dell'assassina) nel quadro di David è testimone del tradimento; la lettera (della vittima) nel disegno di Guttuso e denuncia non degli esecutori materiali del crimine, ma dei suoi mandanti. dei traditori solo di Neruda, ma del Cile della democrazia. Disegnando l'amico Neruda sul letto di morte Guttuso identificava sé 3stesso con David come militante della stessa parte politica della vittima di cui rappresenta e proclama il sacrificio. Il nome della comune militanza comunista Guttuso assevera la piena equivalenza del pennello e della penna e rilancia nell'arena politica del 900 un tema antico declinandolo come David già aveva fatto, nei termini dell'amicizia, nei termini della rivoluzione. ma il suo desiderio di assistervi senza essere iniziato lo porta a vestirsi da baccante e ad essere condotto da perdizione e morte. con perfetta analogia, il giudice del rito dovrebbe condannarlo ma ne è ambiguamente attratto, vorrebbe cercarvi un rimedio alla propria solitudine e allo stesso modo ne resta travolto e ucciso. nel film nessuno dei due uomini e Dioniso, la parte del Dio è giocata da te, la dea che indossa la maschera del Dio. Come un nuovo Penteo, il giudice e la vittima sacrificale del rito e quando durante la celebrazione ripete ‘capisco’ è proprio questo che ha capito, di essere nella vittima predestinata. ucciso da un rito pagano, il giudice Ernst Abrahamsson porta con sé il peso di un nome ebreo in qualche modo predisposto al sacrificio umano come Isacco. Ma il giudice rappresenta anche un habitus culturale cristiano Con la confessione e la preghiera del non credente. Liturgia cristiana mitologia pagana si fondono due ponti Tea si fingeva una Santa o una martire. nel pieno del rito il vino che è nel bacile diventa sangue, una transustanziazione dionisiaca che ripete quella dell'eucarestia cristiana. e quando Bergman parla di rito greco dell'elevazione ha certo in mente l'elevazione del calice col vino consacrato. Pagando cristiano si mescolano, giacché Dioniso, come poi Cristo, si identificava con la vite, e il vino col suo sangue. Nel 1968 il ‘ritorno di Dioniso’ fu scelta autenticamente trasgressiva, dello stesso segno dei movimenti hippy, dell'uso di allucinogeni dei movimenti femministi… perciò nel 1969 Dioniso fu definito il Dio del modernismo e della sperimentazione espressiva. il rito di Bergman rappresenta in pieno le ragioni, le mette e i limiti di quel ribelle dionisismo degli ultimi anni 60. 4. Mimmo Jodice fotografa gli Antichi Mimmo Jodice fotografa antichità greche e romane e paesaggi mediterranei attraverso un'intima conoscenza e frequentazione delle avanguardie artistiche del secondo 900. Egli utilizza la fotografia come mezzo espressivo più consono, utilizzandola come il pennello del pittore, lo scalpello dello scultore, il suo processo creativo può forse meglio assimilarsi a quello della scultura in bronzo. La sua fotografia richiede non solo una laboriosa selezione dei soggetti e delle inquadrature, ma anche un bruciante processo di metamorfosi lirica in cui la sua immaginazione e la sua sapienza artigianale manipolano la materia per trasportarla in un Regno interiore. La materia di Jodice sono la luce, il tempo, lo spazio e il movimento  Come voleva Fontana “l'estetica del movimento organico rimpiazza l'estetica vuota delle forme fisse”. Quando Jodice fotografa l'anfiteatro di Capua o un uliveto in Turchia non c'è in lui nessuna traccia di nostalgia del passato, nessun compiacimento delle radici. Egli prende oggetto dell'arte sua antichi mosaici, colonne slanciate dal tempo, la tessitura di mura fatiscenti, spiagge primordiali, ma rinfrescati da onde identiche da sempre, mutili volti marmorei di donne e uomini senza nome: ma per donare loro nuova vita, destandoli da un sonno archeologico, da una immobilità che li rende forse sacri e interessanti, ma certo assai lontani. Ma Mimmo Jodice è approdato alla tematica archeologica dopo essersi concentrato su altri oggetti e altri generi: le foto “con lo strappo”, in cui il protagonista indiscusso è il gesto dell'artista, la mano che interviene sulla superficie della carta fotografica, a operarvi un taglio netto, o a strappare una foto in due pezzi, poi ricomponendosi, talvolta con un passaggio dal colore al bianco e nero, come in una ripresa entro un parco. L'esito dello strappo (l'immagine ricomposta intorno alla sua propria lacerazione) tende a coincidere con la traccia performativa del doppio movimento della mano del fotografo, il gesto che strappa è quello che ricuce; eppure, il soggetto della rappresentazione non esce cancellato, ma esaltato, arricchito di nuove dimensioni, il movimento e il tempo, che il gesto provvisoriamente distruttivo dell'artista gli ha donato. Evidente è la tensione fra il tema dell'immagine e la gestualità dell'artefice, specialmente carica di senso nelle foto che scelgono a soggetto il denso abitato di Morano Calabro, come già Escher aveva utilizzato quel paesaggio per creare mondi implausibili dove un’astratta geometria di forme suggerisce percorsi impercorribili, scale che si arrestano mezz'aria, metamorfosi di villaggi sul mare in improvvise scacchiere pronte al gioco. Per Jodice, l'esercizio sulle case di Morano, ritagliate e strappate per strisce poi sfalsate ricomposte in una sorta di impossibile urbanistica, o messe in rotazione con inatteso effetto stroboscopico, conferisce ai caseggiati del borgo una sorprendente qualità antropomorfica, dove gli occhi che ci guardano sono le finestre delle case e le strade che non si vedono ci attirano come un gorgo. Il loro intrecciarsi nell'immagine si riassetta come fosse un'unica grande facciata e si apparenta alla compatta tessitura di un antico muro di pietra mattoni. Lo strappo dell'artista si approssima a quelli del collage e del décollage, ma il suo effetto va in tutt'altra direzione: con subitanea compressione temporale, contempla, anzi pratica, prima la rovina e poi subito restauro  auto-archeologia di un istante. per Mimmo Jodice l'archeologia deve essere vissuta. È il contraltare o il complemento dei paesaggi naturali, quasi una seconda natura, una dimensione nella quale la rovina, il frammento sono in primo luogo dati dall'esperienza, e perciò contengono, chiamano alla ribalta il loro stesso racconto. Perché le linee di frattura tra un frammento e l'altro non dovrebbero essere lasciate in vista, e narrarci il gesto dell'archeologo che scava, del restauratore che risana le ferite? Jodice indossa i panni del tempo e la sua mano che guarisce è la stessa che altrove ha strappato e ricomposto la propria stessa opera. Il suo sguardo si fa consonanza emotiva alla tessitura delle superfici, e nell'opus testaceum di un muro romano legge le mani di chi lo eresse, nel mare presso Stromboli scorge la traccia e la voce di pescatori e marinai. Una sintonia istintiva che è innervata dal desiderio di comprendere e di rivelare il segreto delle cose. Quindi l'archeologia di Jodice non è libresca, non indugia sulle date, non documenta. Suggerisce, invita, impone di guardare con i suoi occhi, ma - proprio come nelle sue fotografie con lo strappo - mette a fuoco simultaneamente il passato dell'oggetto rappresentato, il presente di chi lo fotografa e il futuro di chi osserverà l'immagine, lo caratterizza un'acuta consapevolezza che la compresenza di più dimensioni temporali comporta una storia, una stratigrafia di momenti esperienziali, una fratellanza con chi ha vissuto costruzioni e crolli, incendi e rovine, restauri. Perciò quella di Jodice e un'archeologia dell'attesa: fa dello smembramento percettivo il punto di osservazione privilegiato, mostrandoci rovine la cui incombente presenza incorpora l'assenza di quel che ne manca e la memoria di chi le creò. Il tempo della sua creazione artistica deve essere simmetrico a quello della nostra osservazione: il tempo della rovina è quello della ricomposizione, che nel gesto dello strappo sono contenuti entro pochi attimi, esplodono in dimensioni gigantesche se l'occhio e l'obiettivo si posano sulle rovine di baia, di Cartagine, Efeso. Traguardo di questa ricerca è prima di tutto il movimento: ed è su questo fronte che si rivela vincente la scelta austera e consapevole di Jodice, l'uso della fotografia su pellicola e la lunga e sapiente manipolazione dei negativi in camera oscura, l'altissima manualità artigianale con cui egli opera con l’ingranditore. Ha saputo mostrare che la fotografia non è registrazione, ma interpretazione e ri- creazione della realtà che ci circonda, che l'istante in cui l'obiettivo scatta può essere moltiplicato e scomposto. Sgranando i margini di un'immagine e accentuando la messa a fuoco del suo centro, sfocano i contorni di una statua, giocando per sovrapposizioni, filtri, Jodice non rappresenta ma crea il movimento e lo innesta nelle sue foto con un ingrediente risolutivo. Nelle sue mani, il negativo diventa quasi un oggetto archeologico, che deve esso stesso essere scavato nella sua dimensione temporale, generare dal suo interno segrete linee di frattura, particelle di luce che raccontano lo spazio e il tempo. Perciò la reazione dell'osservatore davanti a queste immagini è obbligatoria: istintivamente si dispone su un versante simmetrico quello del fotografo, e ne ripercorre, anche senza volerlo e senza saperlo, la gestualità creativa e La Sapienza costruttiva. Egli impone all'osservatore una doppia dimensione archeologica: da un lato l'archeologia dei reperti, dei luoghi archeologici, dei paesaggi; Dall'altro la minuta, essenziale e tangibile archeologia del suo procedimento fotografico, dove la camera oscura opera come il forno del bronzista. Ma l'una e l'altra archeologia convergono fino a identificarsi. Offre la capacità di farci rivivere attraverso il suo manufatto lo spessore di un presente che contiene il passato e invita al futuro, ci regala un'antichità multiforme simultanea, ma non svilita a serbatoio di citazioni o di luoghi comuni, anzi resa più feconda e attraente nella sua irriducibile diversità. Ci dona un’archeologia delle emozioni che invita a posare sulle vestigia dell'antico gli occhi del nostro tempo. 6. Icone sovietiche, materia dei sogni L’Impero Romano è morto tre volte: a Roma nel 476, a Costantinopoli nel 1453, e infine tra il 1917 e il 1922 a pietrogrado, Vienna e Istanbul: In quelle tre capitali il sovrano usava ancora chiamarsi Cesare da cui viene anche il titolo di zar. Perciò il crollo subitaneo dell'impero sovietico evoca senza sforzo l'agonia dell’Impero Romano e le sue morti. L’Impero Romano fu popolato inevitabilmente, e a gran contrasto con la sua supposta eternità, da rovine. Nella memoria culturale dell'occidente, la rovina e il suo contraltare, la sopravvivenza, sono il più ricorrente leitmotiv. L'implacabile e incessante alternarsi di morti e rinascite e la forma ritmica, cioè infinitamente ricorrente, della storia culturale europea: perciò l'archeologia, in quanto discipline dispositivo concettuale di recupero, ricomposizione e interpretazione dei frammenti del passato, e il ponte necessario fra il pulviscolo delle memorie ridotte a rudere e la trama della narrazione storica. Da qualche decennio l'archeologia è diventata, come mai prima, veicolo espressivo degli artisti del nostro tempo l'arte contemporanea ha preso a proprio tema non l'oggetto dell'archeologia, ma l'archeologia stessa. A Monaco nella mostra “salvaguardia delle vestigia archeologia e ricordo” si proponevano artisti di varia nazionalità e provenienza, ma tutti interessati a raccogliere classificare con spirito archeologico residui, detriti, frammenti. Sembra quasi che ciò avvenga per compensare la perdita di memoria che affligge il nostro tempo in preda a un miope presentimento, sempre più spesso le pratiche artistiche contemporanee si impegnano non solo nel racconto di storie, ma più specificatamente nel racconto della storia. Un tal gusto retrospettivo nella produzione artistica genera talvolta opere che intendono direttamente ricordare qualcosa. di fronte alla crisi della memoria storica, l'arte esiste per ricordare, quando tutto il resto ci spinge a dimenticare. L'archeologia europea nasce dal 400 al 700, a partire dalla acuta consapevolezza di quel che abbiamo perduto del mondo antico greco romano. da questa consapevolezza nacque l'ardente desiderio di ricomporla, per approssimazioni e per stadi, un'immagine del mondo antico sulla base dei suoi resti ancora conservati. Diligenza, precisione nelle misure, abilità nel congetturare come si debba procedere onde ridurre nel termine proprio le smozzicate rovine: l'archeologia richiede un approccio necessariamente inventariale, classificatorio, tipologico. Nata da un appassionato desiderio di conoscere, riconoscere e reintegrare, deve elaborare la freddezza dello sguardo. Facendo dell’Urss un gigantesco objet trouvé da indagare con spirito archeologico, Geisha Bruskin, Attraverso uno stile povero, asciuttamente primitivo o infantile crea lessico fondamentale, un inventario, una mappa, un repertorio, il registro di un mondo consegnato. Un registro inventariale- archeologico come il suo sembra appropriato dopo il crollo di un impero. Ma c'è qualcosa in quest'opera che viene prima dell'archeologia, che precede lo scavo. L'archeologo raccoglie dei repertori preesistenti, li suddivide per tipologie, ne stila l'inventario, li classifica, l'iridata, li interpreta. Bruskin, al contrario, innesca la procedura del suo scavo a partire da una tassonomia che egli stesso ha immaginato, proiettando, ingigantendo e frammentando la memoria della società in cui è cresciuto con la mediazione visuale di un gruppo scultoreo di epoca staliniana, sto da ragazzo presso la casa Natale. L'intera Urss era piena di sculture di questo tipo, cattive sculture fatte di gesso e dipinte a olio, che rappresentavano gli archetipi della cultura sovietica. queste statue erano una presenza ossessiva e ripetitiva di pessima qualità, dove c'era un'immediata sproporzione fra il gigantesco Stalin e i comuni mortali a grandezza naturale. Quel che era importante, in quella folla di figure, non erano le persone ma i loro ruoli. Bruskin preleva la reminiscenza di quelle persone di gesso e la traduce nei suoi disegni di figure individuali, ciascuna con l'accessorio del relativo mestiere, che corrisponde nell'iconografia cristiana all'attributo che identifica i santi distinguendoli l'uno dall'altro, come le icone meno logiche della Chiesa russa. Le figure del lessico fondamentale si appiattiscano sulla tela come fossero le ordinate apparizioni di un'icona gigante; Ma presto impararono a uscirne conquistando la terza dimensione, ed è qui che la loro vocazione archeologica prese maggiore forma e spicco. Ripescate una per una dal repertorio sovietico e tradotta in scultura, le figure di bruschi né si combinarono formare composizioni maggiori, sfilando in disciplinata processione. Divennero statue di bronzo che l'artista talora dipingeva di bianco, come a farle regredire allo stato di gesso del suo remoto modello mentale. Questi bronzi subiscono un ulteriore destino: come volesse distaccarsi da loro per sempre dopo averli prodotti, l'artista li frammenta e seppellisce in Toscana. Qui, dopo alcuni anni, le statue o i loro frammenti vengono scavati esibendo tracce di invecchiamento che li affastella temporaneamente a un reperto etrusco o romano, generando a loro volta una serie di riduzioni miniaturizzata in porcellana. Lavorando sulla memoria collettiva l’artista innesca una catena di metamorfosi, dei gesti performativi: le piatte icone generano sculture tridimensionali, e queste vengono dipinte è ridotta in pezzi come per l'azione irreparabile di un tempo storico lunghissimo. L'artista poi le seppellisce, come in un rito funebre o in un'improvvisa dilatazione della storia; E infine torna sul luogo del delitto alcuni anni dopo e le scava con scrupolo archeologico, o meglio le fa scavare da archeologi professionisti, che provvedono anche ad analisi fisico chimiche dei materiali, come si trattasse di reperti di età remote: un'esplosione del tempo storico che respinge l'unione sovietica in un passato nebuloso recondito. Queste figure sono archetipi artificiali, stereotipi comportamentali la cui ripetitività nel contesto di riferimento è un valore perché nell'immaginario sovietico promosso da quella propaganda di gesso l'individuo prende significato e peso solo quando viene annullato come tale è assorbito dalla collettività. Perciò quel che distingue l'una dall'altra le figure di brushing non è l'espressione del volto o la singolarità del gesto ma è, come nelle immagini dei santi, l'attributo iconografico che designa il mestiere. La ripetizione ossessiva di uno stesso ricordo e la violenta depersonalizzazione dei soggetti rappresentati sono due lati della stessa medaglia, proiezioni oniriche di antiche esperienze ferite. Quella di cui le figure di questo lessico fondamentale sono fatte la materia dei sogni. Costruendo prima le sue tavole tipologiche dando dopo alle sue figure la terza dimensione brushing non solo capovolge la Norm prassi archeologica ma ne ripudia anche un tratto essenziale: la stratigrafia. Quello di brushing invece e uno strato è uno solo: l’Urss che fu e il suo obsoleto gioco dei ruoli innescando l'impulso raccontare scavando. Scavando prima di tutto dentro di sé, per poi inventare la metafora mediante la sceneggiatura di un vero scavo archeologico. Questa pratica si può ritrovare negli scritti del passato che provano a descrivere mondi e società secondo spaccati trasversali, come l'atlante mnemosine di Warburg. Lessico fondamentale rappresenta una collezione dove ogni personaggio è l'archetipo di un mito ideologico sovietico E ciò ne suggerisce la rappresentatività collettiva facendo sparire l'individuo entro il suo ruolo. Lessico fondamentale è una galleria di pretesi archetipi della mente, Ma producono a loro volta sculture di bronzo, che dopo un processo di invecchiamento artificiale vengono scavate dallo stesso artista. L'adozione della procedura archeologica conferisce una concreta, tangibile materialità al meccanismo memoriale dell'artista. L'arte e l'archeologia condividono una profonda comprensione della priorità della cultura materiale in qualsiasi cultura, dell'importanza determinante della mera materia. Disegnare, dipingere, scolpire, invecchiare, scavare, mostrare. Chi cerca di accostarsi al proprio passato sepolto deve comportarsi come un individuo che scava; Quella dello scavo è una metafora di eccezionale potenza. la perlustrazione delle profondità comporta il rinvenimento di verità specialmente intense, una verità d'arte che sorpassa la quotidianità dell'esperienza presente: l'archeologia esige la messa in mostra dei risultati. Nell'opera di bruskin la post-produzione è più importante della produzione, l'artista e traduttore di sé stesso e ridefinisce di continuo il suo ruolo. Esibisce un mestiere di artista che nella rappresentazione di quei ruoli riconosce un proprio, individualismo esercizio della memoria. il suo history-telling ridiventa per questa strada un autobiografico story-telling: bruschi ci parla di sé e costringendoci a pensare alla sua gestualità d'artista e offrendoci attraverso le sue strategie performative un meta-racconto che parla della sua giovinezza, ma anche dell’Urss e del cambiamento della scena artistica di cui è stato egli stesso uno dei protagonisti. L'approccio tipologico, classificatorio, inventariale, e finalmente archeologico, rida materialità le ossessioni, gli incubi, ai ricordi d'infanzia, ai sogni, ai residui diurni di una notte che ieri. 7. Giuseppe Penone: scolpire il tempo Nel santuario di Olimpia si trova il tempio dedicato ad Hera e Pausania lo descrive come un tempio di pietra, con 60 colonne in tutto, ma una sola di legno: l'unica colonna in legno di quercia era equivalente alle sue sorelle di pietra, ma anche più antica di esse. Secondo Vitruvio la colonna dorica rappresenta la proporzione, la solidità e la bellezza del corpo virile, quella ionica riflette la figura agile della donna, quella corinzia imita la gracilità e sveltezza di una vergine in tenera età. Nella forma di una colonna, che fosse di pietra di legno, un greco leggeva dunque la figura umana: l'uomo si fa albero, l'albero colonna, il legno pietra. Davanti al tempio di era si poteva rivivere il gesto di chi aveva via via sostituito le colonne di calcare a quelle di legno e, all'indietro, l'originaria posa delle colonne di quercia, la foresta non lontana da cui erano state strappate, la forma che avevano assunto sotto attrezzi da falegname, incarnando la proporzione, la solidità e la bellezza del corpo virile. Anche le statue in legno erano concepite dai greci come una fase primordiale della scultura. Notte la festa dei Daidala la quercia scelta dal corvo diventa figura umana, il legno della catasta assume le apparenze la pietra; Quindi, il fuoco che tutto consuma riduce il legno in cenere, mescola l'opera dello scultore al sangue delle vittime. La convinzione che il legno fosse la materia primordiale dell'architettura e della scultura nasceva da una solida pratica artigianale, Dove il legno accompagnava nelle società antiche ogni aspetto della vita quotidiana. Con gli alberi, scrive Plinio, solchiamo i mari, costruiamo le case, i templi e i mobili, ci nutriamo, fabbrichiamo le statue degli dèi, e dobbiamo saper ascoltare una trave per capire se e dove vi siano dei nodi. Questa prossimità dell'albero all'uomo si spinge quasi fino all'identità appunto e questa affinità che consente la metamorfosi in piante di uomini o ninfe, come accade nelle metamorfosi di Ovidio dove, una buona parte delle oltre 200 metamorfosi raccontate trasfigurano un corpo umano o divino in una pianta. Ciò è esemplare nel mito di dafne inseguita da Apollo dove il significato stesso del nome dafne ovvero alloro anticipa la metamorfosi della ninfa. Gli alberi di Ovidio sentono il piacere il dolore, provano sentimenti, sanguinano dalle ferite, si spostano se occorre. già nella filosofia antica le piante erano considerate esseri viventi di natura simile a quelle dell'uomo anche se radicate nella terra. le radici che prendono nutrimento venivano assimilate alla testa dell'uomo o delle bestie, dove gli alberi venivano considerati uomini a testa in giù. Ma ogni metamorfosi non genera una nuova identità, la rivela come una potenzialità dell'identità che l'ha preceduta. la tradizione culturale la identificando nel legno scolpito la forma originaria di scultura e rivedendone ritualmente la genesi, consacra la fratellanza tra l'albero e l'uomo, e la proietta sulla colonna, modulo base dell'architettura templare. Giuseppe penone riconosce nel silenzio del bosco l'incipit della sua scultura. I luoghi in cui ha vissuto sono stati l'intuizione che lo hanno portato a fare i lavori sulla crescita degli alberi: le fotografie sono pensate con l'unico scopo documentativo. L'opera era in realtà l'albero che cresceva, non tanto l'immagine fotografica. Penone descrive la scultura come un tentativo di capire la realtà attraverso questa parola, attraverso questo processo. la sua scultura è un processo conoscitivo per scoprire il segreto delle cose, eppure incarna la natura del soggetto (l'artista) prima che dell'oggetto (l'albero). La mano dello scultore, tradotta nel metallo, fa tutt'uno con l'albero e ne viene col tempo divorata: perciò scavare nel tronco in genere una sorta di archeologia del sé, che riporta alla luce un istante della vita dell'artista, che può perfino datarlo, contando gli anelli di crescita annuale degli alberi. Gli alberi, dunque, partoriscono bronzi e pietre, ma i bronzi evocano gli antichi eroi che li avevano inchiodati, mentre le pietre si prestano a usi magico-medici, forse perché implicano l'interazione fra oggetti naturali. Egli riconosce nelle pietre, negli alberi e nel bronzo altrettanto interlocutori della sua ricerca artistica egli legge una specifica virtù operativa e ne indaga la nascosta consustanzialità con sé stesso facendo interagire la vitalità dei singoli materiali e innescando una feconda interpenetrazione. penone riparte dall'estetica dell'objet trouvé. Travi squadrate che erano state approntate per l'edilizia, e la sorpresa del fare eh questo lavoro dell'albero ritrovato all'interno del legno, per ritrovare all'interno dell'albero l'azione da me compiuta. L'object trouvé viene per così dire de-oggettificazione in quanto ri- naturalizzato: la trave rigenera l'albero da cui era nata. L'andirivieni fra scultura e natura innesca la sorpresa della materia, l'opera che chiamo scultura, perché tridimensionale è inserita nello spazio, non è una collocazione di oggetti con un'idea di abbellimento nel luogo ma una questione di scultura. Egli restituisce visibilità ad atti materici e artigianali che nella scultura antica erano meno visibili perché scontati: per esempio, non solo legno ma l'albero, non solo scolpire ma scavare: l'arte non è la descrizione delle forme ma del pensiero. Suo maestro di enunciazione tattile e Bernini che implica l'abilità irraggiungibile della mano e la come dell'intelletto.  Apollo e dafne attraggono penone perché 8. Bill Viole: i conti con l’arte Siamo abituati a fare i conti con l'arte con la storia dell'arte, comparando il simile al simile, all'interno di una sostanziale continuità per l'improvvisa introduzione di nuove forme tecniche artistiche Può interrompere. A proposito dell'ultima cena di Leonardo, i filtri, i passaggi, le fasi intermedie che si interpongono tra l'immagine sempre più evanescente dell'originale e quella prodotta da Andy Warhol incarnano e consolidano la linea tradizionale. Rimandano alla pregnanza iconica della scena fissata per sempre da Leonardo, più che sulla parete di un convento milanese, nella nostra memoria collettiva. Talvolta, invece, il riferimento alla tradizione non è altrettanto diretto, o è persino negato dall'artista stesso, ma non per questo è meno evidente. Come nel caso del pittore Emil nolde, dove le figure degli apostoli si affollano intorno all'immagine centrale del Cristo col calice fra le mani, in una composizione impressionante non solo per addensarsi delle figure ma per la loro intensa, quasi brutale espressività. Nolde pretende di aver dipinto l'opera di getto, mosso da un'ispirazione quasi mistica, senza modelli e senza riflessione. In realtà si può riconoscere l'eco di una lunga tradizione dell'iconografia religiosa tra il 400 e il 500. I quadri a mezze misure furono introdotti per creare maggiore coinvolgimento dell'osservatore che condivide la scena e viene invitato a completare mentalmente le figure del dipinto  Anche questo aspetto fa parte di una lunga tradizione. in tal caso, la memoria inconsapevole della tradizione artistica ha agito in lui in modo ancora più forte ancora più penetrante. L'introduzione di nuove tecniche artistiche porta spesso le svolte più brusche, ma nulla assomiglia a un mutamento radicale, a un nuovo inizio, a un taglio netto con la tradizione artistica, quanto la recente fortuna della video arte, Che sembra allontanarla da ogni possibile antefatto tradizione pittorica. Hai elaborato da zero regole caratteristiche sue proprie, e rispetto alla millenaria tradizione del dipingere su supporto fisso o mobile ha istituito uno spazio interamente nuovo per il gesto creativo dell'artista e, simmetricamente, per le strategie percettive dell'osservatore. Abituati a comparare il simile con il simile ci fermiamo quando irrompe una tecnica artistica come questa. Bill Viola, il più importante videoartista e a ogni effetto un pittore che dipinge con le tecniche video. Nel formato, nel tema nella gestualità, nei movimenti e gli intavola con l'osservatore un dialogo che presuppone il riferimento a saldissime radici nella storia pittorica che lo ha e ci ha preceduto. Il piacere del conoscitore e il gioco, l'abilità di riconoscere in qualcosa che vediamo per la prima volta la traccia di qualcos'altro che sapevamo già, e per questo aggancio alla nostra memoria. Anche l'osservatore più veloce, il meno competente e guidato dalla voglia di estrarre il noto dall'ignoto, di vivere le proprie emozioni sulla falsariga delle proprie esperienze, della propria cultura figurativa. 1. Formato: Catherine’s Room È un'installazione video formata da 5 piccoli schermi piatti, tutti delle stesse dimensioni, disposti in una sequenza orizzontale ad altezza d'uomo separati l'uno dall'altro da un'esile spazio nero. Rappresentano uno stesso interno, una stanza con soffitto a travicelli e una piccola finestra rettangolare su un lato che a seconda delle variabili condizioni di luce lascia scorgere più o meno il ramo di un albero. Cambia l'arredo della stanza e soprattutto le azioni. Quest'opera non ha nulla del polittico, che ha forma verticale e non orizzontale, natura iconica e non narrativa. Il formato genere a cui essa appartiene e un altro: la predella Una fascia di spinta divisa in più riquadri tutti della stessa dimensione che veniva posta ai piedi della Pala d'altare con funzione narrativa era strettamente legata alla Pala soprastante, ne era un commento narrativo  In molti casi può essere più indipendente dalla relativa Pala e viene promosso al luogo privilegiato di un indipendente narrazione. La predella come formato, come narrazione staccata dalla Pala eh il necessario presupposto della sequenza di Bill Viola con la stanza di Catherine. il riferimento è una tavola di Andrea di Bartolo nel 1393 dove viene rappresentata a Santa Caterina da Siena e altre quattro beate domenicane, tutte indicate per nome. La parte bassa è organizzata come una predella dove si susseguono 5 scene: ogni scena si riferisce alla beata che la sovrasta ma Bill Viola penso che si riferissero a tutte alla vita di Santa Caterina, e intorno a questa unità di persone e di luogo è costruita la sua catharine’s room. Nell'installazione di Bill Viola, Catherine non è la Santa di quel nome, e la sua predella non accompagna nei presuppone un'icona di culto due ponti ma il racconto delle azioni di una donna, colta nell'intimità di una vita solitaria, mi porta a un certo grado di sacralizzazione del quotidiano, come suggerisce il riferimento implicito al formato della predella e alla tradizione religiosa e narrativa che esso implica. La protagonista sembra trasposta su un piano quasi rituale, in uno spazio costruito con una scena teatrale, sempre uguale è sempre diverso a seconda di cosa arredato. La sua solitudine ci somiglia la sua stanza è la nostra. Questa installazione ha ispirato anche un'installazione teatrale dove 12 donne, a cui toccherà giudicare una donna accusata di un delitto, sono mostrate in altrettante scatole-stanza, in costume settecentesco come vuole l'azione, impegnata in svariate attività domestiche è forse l'unico caso in cui un dipinto trecentesco ha ispirato una scenografia del ventunesimo secolo. Un altro formato ripreso da Bill Viola e quello del trittico, che ha lo straordinario vantaggio di offrire una cornice prestabilita, anzi radicata nella memoria collettiva, che consente di proporre allo sguardo la presenza simultanea di tre immagini, indipendenti l'una dall'altra ma legate tra loro da molteplici rinvii tematici, compositivi, percettivi, emotivi. Nantes Triptych Vede al centro un uomo che fluttua lentamente immerso nell'acqua e agli estremi una nascita e una morte, o meglio la vita e la morte. si tratta gli affreschi ciclici digitali: Bill Viola non teme di misurarsi con lo spessore della tradizione adottandone modi e formati, ma rinnovando nel cuore con il sofisticato uso pittorico di nuovissime tecnologie e l'invenzione di nuove iconografie. In Going Forth by day L'innominato personaggio che sorge dalle calme acque di un fiume ascende lentamente in cielo come ne fosse risucchiato in Slow motion, mentre sulle rocce alle sue spalle quattro compagni di viaggio dormono nella notte  Bill Viola attinge la propria memoria del sacro e ne fa materia non di citazioni, ad una composizione visionaria che esplora nuove emozioni. 2. Temi: i formati si intrecciano con più o meno esplicite scelte tematiche  Emergence richiama uno dei grandi temi dell'arte cristiana, il Cristo sepolcro, riproponendone gli elementi a partire da un affresco di Masolino a Empoli, ma capovolgendo nella valenza narrativa. Nella tradizione della pittura devota l'esibizione del corpo di Gesù morto, sostenuto dalla Madonna da San Giovanni viola le leggi della gravità e della natura perché il corpo del defunto, dotato di una leggerezza davvero divina, sembra stare in piedi senza che le figure che lo accompagnano debbano fare il minimo sforzo per sostenerlo. Il protagonista di Emergence seguì un'altro copione: il sepolcro, o il pozzo, sembra vuoto, e le due donne siedono sui gradini come in attesa, finché se ne vede emergere gradualmente il pallido corpo nudo di un uomo, che esce assai lentamente dall'acqua, che intanto sgorga copiosa, non dei gradini, si sparge sul pavimento: la donna più anziana lo osserva intensamente, la più giovane lo prende per mano. Quando l'emersione e alla fine, il giovane cade, raccolto e sostenuto dalle due donne: la pathosformel del braccio destro pendulo come nella morte di Marat ci dice che è morto le due donne lo adagiano al suolo e lo ricoprono con un lenzuolo: esse possono essere la Madonna e la Maddalena. ma questa non è una resurrezione, purché il corpo che emerge dal sepolcro e in preda alla morte. la sequenza narrativa di Bill Viola nega la resurrezione, poiché la deposizione viene dopo che il corpo del giovane emerge dal pozzo. Ma forse questo non è Cristo, nelle donne sono la Maddalena e la Madonna. Il giovane che emerge dall'acqua non è Cristo, ma il fatto stesso che lo sembri, che potrebbe esserlo, conferisce alla scena uno spessore rituale che sacralizza l'esperienza e le emozioni dell'osservatore, anche perché le radica in una memoria culturale lunga e tenace. La dimensione storica implicita nell'approccio di Bill Viola intensifica lo spessore della rappresentazione, ma anche le emozioni di chi guarda. 3. Il rapporto tra The Greeting e la visione del Pontormo del 1528 è il più famoso dei molti che intercorrono tra le opere di Bill Viola e quelle dei maestri del passato. Le somiglianze compositive, di formato, di tema e di sviluppo narrativo sono così marcate che si potrebbe essere tentati di descrivere il video come la trasposizione fedele del dipinto, con minime oscillazioni e deviazioni, tutte nella direzione di una secolarizzazione della scena, che pure conserva in sé una forte carica allusiva al quadro religioso che ne è all'origine. Ma l'operazione di profonda assimilazione e riproposizione creativa che Bill Viola ha messo sulla scena è assai più complessa, assai meno ovvia di una trasposizione illustrativa. La visitazione della Vergine Maria a Santa Elisabetta, Gesù e il Battista, entrambi nel grembo delle madri incinte, sono i protagonisti nascosti del quadro del Pontormo. Il precursore riconoscere il messia mentre entrambi sono ancora nel grembo delle madri rappresenta simbolicamente l'incarnazione, riassume, nell'incontro di due madri, l'intera storia della salvezza. Ma non è questo il tema che ha attratto l'attenzione di Bill Viola, ma piuttosto le sue modalità rappresentative. In particolare, il movimento delle figure, espressivamente denotato mediante il fluttuare delle loro vesti nell'aria, quasi fosse mosso da un leggero soffio di vento. la rappresentazione del movimento prende spunto dalle opere di arte antica greco e romana, cercando di far soffiare sulle tele il vento che muove vestiti, capelli  gli accessori movimento furono un elemento cardine del processo di mutamento dello stile che porta il nome di Rinascimento. La video art non ha bisogno di artifici visuali per suggerire il moto delle figure, poiché può rappresentarlo direttamente. il fluttuare lento, quasi solenne, delle vesti delle amiche che si incontrano in Slow motion su una scena urbana presumibilmente americana è una rimeditazione spontanea, preziosa perché nient'affatto libresca, sui problemi del movimento del primo Rinascimento italiano. Come Botticelli o Ghirlandaio poterono trarre dalle ninfe dei sarcofagi romani le loro figure in eleganti movenze, così sull'alba di una nuova arte e di una nuova tecnologia Bill Viola coglie in un loro epigono, il contorno, lo stesso problema e la stessa modalità rappresentativa, e la dispiega con minore intensità ed eleganza. 4. Primi piani, mezze figure. Bill Viola eredità, dunque, pienamente consapevolmente osservazioni e problemi ma anche procedure artigianali, proprie della tradizione artistica di matrice europea, e li declina in altro medium e con altri linguaggi. Ha voluto creare un video l'equivalente degli studi d'artista in disegno dei grandi maestri del passato: sono studi di teste espressive in preparazione del Quintet of the Astonished, Il video foglio con Six Heads e gli studi di gestualità delle mani in for hands. Nella serie The Passions, l'uso espressivo ed emozionale dei piani ravvicinati e della composizione mezze figure corrisponde a una lunga tradizione  Qui come in altri esempi che abbiamo citato, e gli ripropone formati, gestualità, temi, figurazioni, modi espressivi propri dell'arte del Rinascimento, rivivendo attraverso il filtro di esperienze novecentesche. Durante un seminario organizzato da Settis, si discusse in particolare il formato mezze figure e la sua singolare valenza espressiva  The Passion Su una notevolissima sperimentazione senza precedenti nella video arte. The quintet of the Astonished e the quintet of remembrance esploravano in modo assai maturo le potenzialità espressive della composizione a mezze figure, facendone per alcuni anni il tema centrale della sua ricerca artistica. Manca in questi suoi video ogni riferimento a un qualsiasi tema, religioso no, dell'arte più antica: il lavoro dell'artista si annoda precisamente è solo intorno alla composizione medie figure, intesa come efficace veicolo dell'espressione intensificata delle passioni, che era stato il tema del seminario Viola non è mai stato uno storico dell'arte. per le sue creazioni ha bisogno di attori da posizionare e dirigere, le sue figure si muovono come su uno schermo televisivo, per la sua arte egli ha bisogno di dominare tecnologie nuove sempre cangianti ma Bill Viola pensa a sé stesso come un pittore, vive la propria arte nel dialogo con la tradizione artistica ha fatto, fa a ogni passo i conti con l'arte. Nell'opera multivalente di Bill Viola corre, riconoscibile, il filo di una religiosità non confessionale, senza miti e senza dei, ma carica di intensità interiore, incline a quella meditazione che per lui è verso il terreno comune fra il cattolicesimo della famiglia d'origine e forme di spiritualità orientale, dall'india all'islam, da lui così volentieri esplorate. I suoi video sono stati spesso esposti nelle chiese come per la cattedrale di San Paolo a Londra dove a posto su un lato Martyrs (Quattro schermi oblunghi, accostati l'uno all'altro come a formare un polittico con quattro figure che corrispondono i quattro elementi dove i personaggi che vi compaiono non hanno un nome: sono figure della spiritualità contemporanea, una spiritualità interreligiosa o meta religiosa che trova posto in una cattedrale di una capitale europea) e dall’altro Mary (Una pietà palesemente ispirata a Michelangelo tradotta in video pittura è scandita entro le cornici di un trittico). La tradizione figurativa si articola qui non nelle strettoie di un tema o nell'identità di un gesto, ma in un linguaggio visuale che sia manipolare la corporeità per esprimere spiritualità, e usare la forza del repertorio figurativo per allestire un teatro metaforico un registro linguistico che conviene a temi come l'amore e la morte, e dunque sublime secondo la terminologia degli antichi, o superlativo nel lessico di Warburg: “superlativi del linguaggio gestuale”. La vera Pathosformel, in questo teatro d’ombre, è la libertà o l’abilità di lavorare dentro la tradizione e con la tradizione, ma rendendola irriconoscibile. sconcertante braccio amputato di Mussolini. Questo segmento del fregio è sotto lamento e non sotto il trionfo. nell'immagine 21 si riconosce la famosa foto della Renault rossa in cui il cadavere di Aldo Moro fu trovato e queste immagini si fonde con un dettaglio del grande sarcofago Ludovisi con barbari morenti o sul punto di essere uccisi e con la Santa Teresa in estasi di Bernini. Una scultura antico romana, un'opera Suprema del barocco e la tragica morte di un uomo politico del nostro tempo danno forma a un unico lamento, dopo un lungo processo creativo passato attraverso disegni a carboncino e a china. Possiamo utilizzare il concetto di anacronismo Che, oggi utilizziamo per indicare qualcosa che è fuori posto, ma nel 600 veniva utilizzato per indicare la compresenza, entro un unico spazio pittorico, di momenti o figure storiche lontane nel tempo l'una dall'altra. Da questo punto di vista l'anacronismo e il collage sono ingredienti essenziali del lavoro di kentridge sul Tevere. a questo bricolage con frammenti e memorie del passato appartiene anche l'istituzione per eccellenza anacronistica, il museo che giustappone opere di età diverse e con gesto arbitrario le allinea per cronologia, per tipologia o secondo altre aggregazioni. Il museo ha molto a che fare con Roma, infatti, solo nel 700 nasce con i musei capitolini, a partire da collezioni di sculture romane. Mescolando l'alto e il basso e aggiungendovi talvolta un filo ironico kentridge affronta manipola il proprio repertorio come fosse sincronico, ma sa bene che non lo è. assorbendo la storia nella memoria, e incarnando ora in icone ora in immagini sconosciute ai più, il suo racconto presuppone il passato ma parla di presente. Il fregio va a letto come unità narrativa che procede per salti, come la memoria, ma sarà ricomporsi secondo alcune linee guida inscritte nel fregio stesso. Viene così efficacemente tematizzato il leitmotiv centrale del fregio, la compresenza di trionfi e lamenti, anzi la tendenza dei trionfi a trasformarsi dolorosamente in lamenti. Secondo una lettura semplificata, potremmo dire che la parte iniziale del fregio è fatta soprattutto di trionfi, quella finale soprattutto di lamenti. Si tratta di una modalità di interazione leggera tra le figure, che con pronunciato anacronismo suggerisce una qualche loro interazione, ma lascia in sospeso. Una seconda modalità comporta la fusione di varie immagini, come abbiamo visto con la somma di un Aldo Moro ucciso, Santa Teresa e i barbari sconfitti. Nella figura 17 si trova un mostruoso personaggio con corpo squamato, testa d'asino e coda di drago che secondo una leggenda sarebbe comparso nel 1496 dopo un'inondazione del Tevere che fu interpretata come un segnale che indicava la corruzione dell'aroma dei Papi, anzi la mostruosa metamorfosi dello stesso Papa in anticristo. La donna ha coccolata in terra è Roma vedova del Papa che giace supplice per terra mentre il Papa si trova ad Avignone. ma nel fregio la figura Di Roma che piange e quella antipapale del Papa anticristo che ammorba la cristianità sono inscenate in mutua interazione e il mostro sembra voler confortare la città desolata offrendo un caffè con una riconoscibile caffettiera Bialetti. Troviamo anche tre donne velate che piangono le vittime di un naufragio presso Lampedusa, in questa sezione cresce il peso opprimente dell'attualità e si moltiplicano le manipolazioni dell'artista. Il rilievo dato all'attualità non alleggerisce ma accentua il peso della storia: la precaria nave dei migranti fonde due immagini contrastanti, la foto d'agenzia di un barcone avvistato al largo di Lampedusa si sovrappone e si confonde con una nave antico romana Immaginata per evocare la naumachia voluta da Cesare  l'inondazione artificiale di un fossato per lo spettacolo di una finta battaglia navale nella Roma antica si fa in tal modo contigua alle disastrose inondazioni naturali del Tevere e la memoria di un trionfo di Cesare viene ingoiata dall'aumento di un barcone sovraccarico di migranti. L'artista mostra il dominio di un repertorio che gli consente di annullare la distanza cronologica, assimilando il fardello dei debiti di un romano del tempo antico agli affanni di chi deve oggi trasportare faticosamente ogni sua masserizia per rifugiarsi da un paese all'altro, spesso anzi da un continente all'altro. I lamenti e trionfi si intrecciano, si sovrappongono, talora coincidono. Manipolare le immagini anche invertendo nel significato. Kentridge ha qui inventato una narrazione marcatamente discontinua, dove i sentimenti ingoiano gli eventi, le date e i fatti naufrago non nel grigio terreno tra memoria e oblio. Discontinuità evidenziata nel passaggio da celebri icone a figure suggestive ma irriconoscibili, ma la loro stessa contiguità ne riattiva le potenzialità espressive: perciò nel fregio ricorrono calcolati in essi tematico narrativi ma anche ironici contrappunti. Anche questa spola può essere Letta come una sorta di teatro della memoria che procede per fulminanti e vocazioni, il cui spessore simbolico corrode il gioco di citazioni puntuali. Lo spazio-il muraglione sul Tevere-è metafora del tempo, e la simbiosi di eventi vicini nel fregio ma lontani nella storia, in quanto deliberatamente anacronistica, sovverte la sequenza temporale e sovverte la dimensione spaziale del fregio  L'ordine delle figure nei trasforma profondamente il senso per contiguità e per contagio. Costruzione di un vasto repertorio potenziale, selezione mirata di motivi riusabili, costruzione di una sequenza non monumentale, combinazione morfologica e narrativa di formule di pathos: i in questo percorso creativo, mediato da un assiduo esercizio del disegno, l'abilità manuale dell'artista e i suoi percorsi cognitivi tendono a coincidere. Il mondo nello studio di kentridge è un mondo frammentato, tradotto in più o meno arbitrari registri di temi di figure, esplorato e disegnato per via di levare. Nasce così un fantasmagorico mondo di ombre che obbliga lo spettatore a un incessante fluttuare tra i poli opposti la familiarità dello straniamento. la potenziale simultaneità della percezione, propria del genere figurativo del fregio, invita sia a leggerlo per segmenti, sia a ricomporlo mentalmente in unità espressiva. Ha ridotto la storia di Roma, dalla remotissima Lupa del mito ai migranti di oggi, a un insistito sussurro, a un coro a bocca chiusa. Per l'artista gli eventi del passato, schiacciati e frantumati dal peso del presente, ancora ci interrogano proprio mentre i fatti dell'oggi rischiano di apparire irrisolti davanti al giganteggiare della storia. Ma la memoria umana non archivia ne restituisce intatto le sequenze di eventi; Al contrario, ne spezza i ricordi, né digerisce i frantumi, li elabora e interpreta e riusa. li scarta, li dimentica li ritrova. Proprio come può fare un'artista con il suo repertorio. Egli riprende dalla storia eventi figure, trionfi e lamenti per riattivarli rilanciandone a un tempo la radicale diversità è un intimo pathos in cui possiamo ancora rispecchiarci. L'opera si presta ad essere Letta come un gigantesco dispositivo memoriale, dove la mescolanza di alto e basso, l'anacronismo degli accostamenti analogici tra le figure, l'oscillazione tra trionfi e lamenti ricordano l'impalcatura di Mnemosyne. L'arte di Cambridge si propone come un rimedio omeopatico la disgregazione inevitabile degli eventi e dei ricordi. la sua non è una risposta estetica, ma etica e cognitiva, dove l'appariscente bricolage tematico e morfologico entra in laboratorio, e ne esce facendosi strumento conoscitivo del mondo e di sé, di noi. Alle 54 figure che lo compongono si aggiungono altri protagonisti: il travertino, le acque del Tevere, le luci di Roma, lo scorrere del traffico, la folla urbana. Poi, il lento processo di degrado cominciato il giorno stesso dell'inaugurazione è ormai vicino alla fine. Squisitamente politica nei temi e negli scopi, la decorazione murale pretende di esprimere valori collettivi, di parlare alle masse o in nome delle masse. anche quando sia promossa da istituzioni pubbliche, vuole essere calibrata non sul gusto élite, ma sulle aspettative, le curiosità, gli interessi del popolo. Offre simboli condivisi che costituiscono la coesione sociale, contribuiscono al loro orgoglio civico aiutano a forgiare un'identità positiva per la città. la città proietta la sua identità e visione collettiva, mentre gli individui e le comunità dei vari quartieri hanno anche il potere di esprimere le loro identità uniche. Ma il décollage e i murales non sono paesaggi neutri, e si presentano come antistituzionali, non solo indipendenti dal mercato ma in polemica con essi. è su questo sfondo che si innesta la Street art che eredita la vocazione politica e vi aggiunge il carattere provocatorio, talora sovversivo, della performance pittorica, non negoziata con le istituzioni addirittura clandestina. Perciò deve essere temporanea e volatile in linea con le due dimensioni che ripudia: la permanenza il mercato. La Street art vuole dunque essere intesa come un ripudio del mercato, dell'arte per chi se la può permettere, ma anche come una reazione al museo, all'arte imprigionata in uno spazio dedicato. Fra l'arte pubblica tollerata dalle istituzioni è quella che nasce per contrastarle ci sono differenze, ma anche continuità. la Street art appare più credibile quando non è addomesticata dalle istituzioni, anzi le ripudia e le contrasta: eppure per presentarsi come portavoce della comunità deve sollecitarne il consenso, ed è dunque fatale che ricorra a quelle stesse nozioni di identità condivisa e culturalmente diverse su cui spesso fanno leva sindaci e direttori di museo. È un'arte che deve farsi capire e forse per questo ricorre volentieri eccitazioni dell'arte del passato. Misurandosi con un repertorio che attinge dall'arte del passato, l'artista lo assorbe lo assimila, ne riattiva le potenzialità espressive rilanciando ciascuna figura verso una nuova funzione narrativa, che non viene più dalla potenza iconica delle immagini evocate, ma dalla tessitura del nuovo contesto in cui è inserita tutto come per contagio, la continuità e la sequenza, legano le figure l'una all'altra, donando esse una nuova vita. Quest'opera ha avuto la capacità di riattivare i meccanismi della memoria visuale, lanciando in una città sovraccarica di monumentalità di storia di forte monito non solo a guardare, ma ricordare il passato per pensare al futuro. 10. Dana Schutz: Leda in ceppi Dana Schutz è importante per lo scandalo suscitato dopo il suo dipinto open casket: un dipinto del 2016 che aveva come fonte dichiarata la terribile foto di un ragazzo afroamericano di 14 anni che due bianchi uccisero brutalmente nel 1950, sfigurando nel volto e gettando nel corpo in un fiume del Mississippi. La madre volle allora che i funerali si svolgessero con la bara aperta perché la violenza usata al figlio fosse mostrata a tutti. Richiamare quell'evento voleva dire che dal 1955 al 2017 che ben poco era cambiato. In seguito, avvennero dure reazioni che chiedevano di distruggere il quadro e l'artista venne accusata di volersi appropriare di un dolore che non era il suo, a proprio vantaggio. Questo successo è dovuto a una non comune abilità compositiva e il personalissimo equilibrio fra la palese tensione e figurativa è una sorta di implicita astrazione coloristica che sembra lacerare e negare le immagini mentre le dispone sulla tela; Ma anche la scelta di tematiche, spesso evidenziate dal titolo, che promettono una forte carica narrativa, nascondendo là dietro figure enigmatiche e ambigue. I suoi quadri catturano situazioni bizzarre, grottesche, inesplorate ma a Monte di ognuno di essi c’è non solo una fonte ma un'eccezionale abilità nel disegnarla, manipolarla, occultarla, prelevandone però un intimo nucleo di pathos e rilanciandolo su un registro inatteso: la parodia, il fumetto, l'eccesso di espressione, una sorta di figurazione astratto immaginativa. In the Visible World del 2018 mostra una donna nuda, stesa su una roccia in riva al mare, con un uccellaccio appollaiato sulle gambe, un volto maschera con gli occhi sbarrati che ci fissano, e fra le onde strani detriti e una nave lontana. Esso sembra evocare una qualche inafferrabile tradizione figurativa, in particolare cita l'Olimpya di Manet, perché ha a che fare non con lo stile, ma con il soggetto: una donna nuda distesa su un letto su una roccia che ci guarda fisso negli occhi, con una sorta di sfrontatezza o con un'area di sbalordimento e di sfida. Manet traeva il soggetto nudo non solo dalla propria immaginazione ma anche della scultura greca romana. Per ritrovare un vero precedente del nudo di Dana Schulz dobbiamo arrivare a Leda, la sola che l'arte antica e quella del Rinascimento del barocco usavano rappresentare in stretta interazione con un uccello. In questo caso non si tratta di un cigno ma il suo immediato rapporto compositivo con la ragazza nuda deve rifarsi a una più o meno consapevole memoria del mito di Leda, aggredita e stuprata da Giove trasformato in cigno, come si vede in affreschi pompeiani. Anche qui l'uccello incarna il principio maschile, dominante libero, mentre la ragazza nuda è immobilizzata da un legaccio che le stringe le gambe alla caviglia. L'artista ha in mente la lunghissima tradizione del nudo femminile disteso nel paesaggio, ma anche il mito di Leda, anch'esso ricorrente in una tradizione di lungo periodo. Con la sinistra indica o forse denuncia uccellaccio che la incombe sopra, offrendole come una sorta di gigantesco lampone, quasi a compensare la violenza offensiva di quella sua presenza ingombrante. La destra, con il braccio pendulo come nella frequente gestualità delle figure morte o morenti, punta l'indice in basso sulle onde di un mare su cui galleggiano indefiniti detriti. Una fonte sarà il Sogno di Rousseau il doganiere del 1910, dove la ragazza nella giungla punta l'indice sulla rigogliosa natura che la circonda, con belve tra le piante, uccelli che la sovrastano e un misterioso pifferaio  Può forse rappresentare una sintesi pittorica la condizione femminile. Non può muoversi perché ha i piedi legati e non può parlare perché ha la bocca sigillata, ma usa le mani per difendersi evidenziando, mostrando quel che sta accadendo. Addita l'uccello che la uso come passivo piedistallo, mostra il mare da cui è sorta e che non è quello primordiale ma un oceano ricolmo di sporcizie. Ha gli occhi aperti, al punto di parere una maschera: è ben cosciente di quel che le accade. Non sono occhi chiusi di una Venere che dorme ma spalancati, con le pupille dilatate a dismisura. Questo ci dice che il Visible World di una donna del nostro tempo è ancora popolato di incubi come questo.