Scarica Inside the white cube e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! INSIDE THE WHITE CUBE Inside the white cube è una raccolta dei saggi del critico d’arte Brian O’Doherty sul White cube. Il White cube è lo spazio espositivo per le opere d’arte contemporanea affermatosi negli anni ‘50 negli Stati Uniti e, a seguire, nel resto dell’emisfero occidentale, nasce dalla crisi di quel modello espositivo che irritava Paul Valery già nel 1923. Parlando della visita ad un museo, probabilmente il Louvre, egli descrive il Sacro orrore che prova davanti al disordine dell’allestimento e alla vicinanza di visione. Come l’orecchio non potrebbe sopportare di ascoltare 10 orchestre tutte insieme, così l’occhio si trova in difficoltà nell’osservare soggetti nelle condizioni e dalle dimensioni più disparate. La sua sensibilità è modernista, è necessario che tra le opere ci sia dello spazio, bisogna restituirgli la loro unicità e l’isolamento non garantito dall’accumulazione enciclopedica di Salon e musei, dove si pensa alla quantità piuttosto che alla qualità. Oltre al ragionamento di Valery e l’organizzazione dei musei O’Doherty parla dello spazio interno delle opere ed affronta le esperienze delle avanguardie storiche, intendendo che il problema dello spazio è stato sempre presente nell’artista. Egli porta la sua analisi sul Cubismo, che tentò di sfondare lo spazio bidimensionale aggiungendo oggetti tridimensionali piuttosto che utilizzare la prospettiva che dava una profondità di spazio. I cubisti dopo la scomposizione creano una visione completamente differente, lo sfondo da che era secondario lo scompongono e non vi è più la differenza tra sfondo e oggetti. Il white cube ha problemi e leggi rigorose e architettoniche. Nello specifico il White cube è una serie di elementi ricorrenti dello spazio espositivo, anzi di leggi rigorose come quelle da seguire per la realizzazione di edifici come, ad esempio, una chiesa medievale o una piramide. E’ una stanza con le finestre sigillate, i muri dipinti di bianco, il pavimento tirato a lucido, ogni oggetto d’arredamento espulso, fatta eccezione per il bancone d’ingresso, sempre più mimetizzato, l’illuminazione fredda proviene dall’alto in modo che le ombre siano ridotte al minimo, in modo da creare un ambiente omogeneo. Invece nell‘800 i quadri più grandi si elevavano verso l’alto e spesso inclinati, le tele migliori occupavano la zona intermedia, quelle piccole in basso. L’allestimento è un mosaico di cornici. Si presenta come uno spazio igienico, isolato e immutabile, segregato rispetto alla realtà esterna e che punta all’eternità della forma pura. E’ il luogo perfetto per accogliere opere di minima art. Le opere esposte, non protette ma tacitamente intoccabili, non interferiscono tra di loro. E’ un luogo che mette talmente soggezione che non è necessario mettere cordoni per proteggere le opere. Il visitatore, pensato al singolare, è indotto ad assumere un atteggiamento raccolto, quasi di costrizione, deve mantenere un silenzio artificiale, lontano dal caos metropolitano. Il bianco assoluto delle pareti e l’azzeramento di ogni elemento di connessione con la realtà esterna, minimizzano la dimensione commerciale enfatizzando, invece, il richiamo ai luoghi di culto (chiese, piramidi o celle monacali). Lo spazio contribuisce a creare la percezione dell’opera. Il 90% dei musei e delle gallerie di oggi sono concepiti secondo le regole del white cube. Lo sviluppo del White Cube immacolato e privo di identità è uno dei trionfi del modernismo. Uno sviluppo però anche commerciale, estetico e tecnologico. La parete immacolata della galleria è impura. Comprende commercio, estetica, artista e pubblico, ed etica e opportunismo. L’immagine della società che la sostiene. Il white cube segna il momento in cui la galleria passa “da contenitore di oggetti a oggetto in sé”. Un salto cui contribuiscono, secondo O’Doherty, tre elementi: la parete, il pavimento e il collage. Il primo comporta l’eliminazione della cornice; il secondo l’eliminazione del piedistallo; il terzo l’eliminazione della profondità del piano pittorico. Il collage senza cornice invade l’intero spazio E’ decisivo il ruolo del collage. Il collage s’identifica con quella fase in cui “i molteplici punti di fuga del dipinto cubista si riversano nella stanza con l’osservatore”, in cui il piano pittorico bidimensionale invade lo spazio reale: “Lo spazio non è solo il luogo in cui avvengono le cose: sono le cose a far nascere lo spazio. Se il piano della tela definiva la parete, il collage inizia a definire l’intero spazio”. Se ogni elemento che intralcia la contemplazione estetica va soppresso, si ha presto l’impressione che ad essere di troppo è la nostra stessa presenza, è come dovessimo far entrare solo il nostro sguardo e non il nostro corpo. O’Doherty, dopo aver definito con precisione il modello del white cube, insiste molto sulle eccezioni, eccezioni presenti negli spazi espositivi sin dagli anni ’20. Come ad esempio le due opere di Marcel Duchamp “1200 sacchi di carbone” e “Mile of String Childhood”. Marcel Duchamp, in una mostra di surrealisti del ‘38, allestisce il tetto del Guggenheim