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Riassunto Introduzione ai media digitali, Arvidsson Delfanti, Sintesi del corso di Letteratura

riassunto di "introduzione ai media digitali" di adam arvidsson e alessandro delfanti. pagg. 25 formato pdf

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

In vendita dal 03/09/2015

Seresibi
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Scarica Riassunto Introduzione ai media digitali, Arvidsson Delfanti e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! 1 Introduzione ai media digitali Capitolo 1- Informazione e media digitali L’ambiente digitale I media digitali sono diventati strumenti pervasivi e influenzano la sfera sociale così come quella economica, del lavoro, politica e comunicativa. Essi stanno trasformando il modo in cui produciamo e distribuiamo informazione e conoscenza e sono legati alla crescita dell’importanza di informazione e conoscenza nei processi economici, politici e sociali. La loro diffusione è cresciuta costantemente a partire dagli anni ’80 del XX secolo, con la messa in commercio di computer basati su microprocessori a basso prezzo, di facile uso e pensati per un mercato di massa, e dall’introduzione del World Wide Web negli anni ’90, che ha portato alla rete nella case e nelle imprese nei paesi avanzati. Negli anni 2000 invece si è assistito all’emergere del web collaborativo, cioè di software e piattaforme online che permettono agli utenti di produrre e distribuire contenuti in prima persona, e delle tecnologie mobili come smartphone e tablet, che hanno trasformato l’esperienza della rete da quotidiana a totale. Oggi la loro pervasività è tale che in alcune società pressoché nessuna attività umana è esentata dai cambiamenti che essi portano con sé o dalle sfide e opportunità che essi aprono. La capacità dei media digitali di influenzare l’organizzazione della produzione e l’economia delle società avanzate, li rende capaci d’integrarsi e interagire con i media preesistenti e con la maggior parte delle tecnologie su cui si basano le società industrializzate contemporanee. Si assiste all’evoluzione di nuove forme di vita, come i motori di ricerca, i social network, i pubblici connessi o gli operatori telefonici che offrono connessione alla rete. Quello dei media digitali, inoltre, è un mondo dove non vi è un luogo centralizzato di controllo, ma piuttosto un insieme di relazioni e interazioni che, nel complesso, costituiscono il sistema e lo trasformano: “ambiente digitale di rete”, caratterizzato dalle maggiori possibilità a disposizione degli individui per assumere un ruolo più attivo all’interno del sistema dei media; allo stesso tempo, però, quest’ambiente è denso di scontri proprio sul futuro delle relazioni tra gli organi che lo compongono. I media digitali I media digitali, o nuovi media, sono un insieme di mezzi di comunicazione basati su tecnologie digitali che hanno caratteristiche comuni che li differenziano da quelli tradizionali e che sono cruciali per comprendere il loro legame con le dinamiche sociali, economiche, politiche: • Digitali: trasportano informazione rappresentata da una sequenza numerica che viene poi rielaborata: i codici digitali sono basati su unità discrete, mentre quelli analogici sono 2 continui e possono essere divisi in parti più piccole. Grazie a questa caratteristica, le tecnologie digitali possono trasportare molto rapidamente quantità immense d’informazione. • Convergenti: diversi tipi di contenuti (scritti, sonori, visivi...) convergono in un unico supporto (pc). Inoltre, Internet rappresenta una convergenza tra l’industria culturale e quella delle telecomunicazioni, che sono sempre più interconnesse e indistinguibili. • Ipertestuali: l’ipertesto è un testo che ha una struttura complessa, fatta di rimandi ad altri testi o contenuti. • Distribuiti: sono caratterizzati da un modello distribuito di gestione dell’informazione e delle tecnologie, che si basa su tre peculiarità: la diffusione dei microprocessori basso costo; la diffusione dell’accesso alle reti telematiche (Internet e WWW); i software e le piattaforme che permettono agli utenti di creare contenuti. • Interattivi: gli utenti hanno la possibilità d’interagire direttamente con i contenuti, modificarli o produrli in prima persona. • Sociali: sfruttano le dinamiche sociali. • Mobili: le tecnologie mobili di rete, come cellulari e tablet, permettono agli individui di accedere alla rete da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, svincolandoli dalla necessità di accedere a un pc. Le caratteristiche tecnologiche incarnate nei media digitali raggiungono una dimensione globale nelle tecnologie di rete: internet e il World Wide Web. Il primo è un sistema di comunicazione che non si basa su un unico centro da cui vengono emanate le informazioni ma: ha una struttura a rete e distribuita (server); è una rete ridondante (le informazioni viaggiano su pacchetti diversi che non si pregiudicano a vicenda); è un sistema aperto (chiunque ne può avere accesso). Per comprendere le reti e i media digitali è importante differenziare i livelli che li compongono: il primo livello è quello fisico (risorse naturali, infrastrutture tecnologiche ecc..); il secondo è il livello logico (software, standard e protocolli); livello dei contenuti (informazione che vengono prodotte e scambiate in rete). Vi è inoltre anche il livello giuridico, cioè l’insieme di leggi nazionali e internazionali che regolano il funzionamento della rete e i comportamenti dei suoi utenti, è legato al modo in cui i diversi livelli tecnologici sono progettati e gestiti. Tecnologie e società Le principali teorie sui media si sono sviluppati a partire dalle tecnologie mediatiche predominanti nel periodo storico in cui sono state pensate e discusse. Alcune prospettive vedono la tecnologia come un fattore esogeno, cioè una forza esterna il cui sviluppo è indipendente dai fenomeni sociali. Secondo questo approccio non è importante chi sviluppa la tecnologia ma piuttosto quale funzione specifica essa assolva per lo sviluppo di una società. Il determinismo psicologico è un approccio di questo tipo, secondo il quale le tecnologie 5 descrive la società dell’informazione come una società strutturata in reti (network society). Secondo Castells, come conseguenza dell’importanza delle reti nel mondo della produzione economica, esse diventano dominanti anche nella dimensione sociale. Lo spazio dei flussi è costituito dagli spazi, fisici e mediatici, dove circolano saperi, competenze, denaro e persone. Questo spazio si configura come una rete aperta, in cui le frontiere e i limiti fra stati, organizzazioni, comunità e gruppi, sono sempre meno importanti, e in cui una parte crescente della ricchezza viene creata tramite scambi fra persone appartenenti a diversi stati, organizzazioni e comunità, le quali possono spostarsi liberamente e collaborano senza ostacoli dovuti a fattori come l’identità etnica o religiosa, mentre restano tagliati fuori coloro che non hanno accesso a internet o non sanno usarlo. Per il sociologo, la spaccatura principale della società dell’informazione non è più legata al conflitto di classe fra capitale e lavoro ma avviene piuttosto tra chi ha accesso ai flussi e chi ne è escluso. Questi ultimi si contrappongono alla cultura cosmopolita e globalizzata dello spazio dei flussi rinforzando identità territoriali o culturali che diventano modalità di resistenza e di opposizione. Al contrario, nello spazio dei flussi che dominano e trainano la società dell’informazione i conflitti sono smorzati e gli individui competono liberamente per un successo, o un fallimento, che dipendono essenzialmente dalla capacità di coltivare i propri talenti e di sfruttare le opportunità. Oltre a Castells vi sono altri teorici sociali della società dell’informazione. Il primo a investigare il nuovo ruolo di questa società e della conoscenza come fattore produttivo nelle economie capitaliste avanzate è stato l’economista Machlup, che negli anni ’60 introdusse l’espressione economia della conoscenza (branca dell'economia che si occupa dello studio delle caratteristiche della conoscenza e delle informazioni, con particolare attenzione a natura, creazione, diffusione, trasformazione, trasferimento, e utilizzo della conoscenza in ogni sua forma). Allo stesso tempo Drucker faceva notare come la centralità dei lavoratori della conoscenza si affermasse man mano che le organizzazioni dell’economia capitalista si facevano più complesse e la fonte di valore si spostava sempre di più verso l’innovazione e l’organizzazione di processi complessi. Il sociologo Bell elaborò questa visione suggerendo che l’importanza della produzione e circolazione d’informazione come fattore economico e quindi la centralità politica e culturale dei lavoratori della conoscenza avrebbero reso meno influenti le grandi ideologie della modernità, che erano organizzate attorno al conflitto tra capitale e lavoro. Queste idee influenzarono anche il sociologo italiano Pizzorno, il quale suggerì che il peso crescente del nuovo ceto medio manageriale stesse trasformando l’Italia in una società il cui collante sociale erano la crescita economica e la possibilità di generare nuove opportunità di consumo e non le grandi ideologie. Nel decennio successivo queste idee si consolidarono convergendo verso l’idea di una nuova società postindustriale, la quale si fondava su tre componenti principali: la riduzione del peso economico della produzione materiale effettuata nelle industrie e il consolidarsi di una nuova economia dell’informazione e dei servizi; la centralità 6 della produzione di sapere come motore dello sviluppo economico e sociale; il ruolo di potere assunto dalla pianificazione e dall’organizzazione di processi complessi, e di conseguenza la sostituzione della vecchia classe dirigente con un ceto di burocrati e tecnici che esercitavano il potere in modo anonimo e in apparenza senza interessi politici. Negli stessi anni i teorici del postfordismo mettevano l’accento sulle trasformazioni delle forme di produzione. Negli anni ’80 al concetto di società postindustriale si affianca un’altra idea di società postmoderna, un’espressione resa popolare dal filosofo Lyotard secondo il quale i cambiamenti nella produzione di cultura e di sapere e nella politica, con l’affermarsi della società dei consumi, avrebbero come conseguenza un effetto profondo sulle società moderne. Le grandi narrazioni che avevano guidato le società moderne sarebbero state soppiantate da un relativismo causato dalla consapevolezza della natura artificiale della cultura umana. Quanto tutto è ridotto a informazione, tutto può essere rivisto, manipolato e rimaneggiato, e nulla è stabile, McLuhan fu uno dei propugnatori del ruolo dei nuovi media come strumenti di mutamento sociale. Con la formula “il medium è il messaggio” descriveva l’impossibilità di separare il contenuto di una comunicazione dalla sua forma e dalla tecnologia utilizzata per trasmetterla. Secondo lui i media elettronici erano destinati a trasformare l’umanità in un villaggio globale, cioè un mondo in cui forme tribali di organizzazione sarebbero state possibili non solo in relazioni faccia a faccia tipiche delle società tradizionali, ma su una scala appunto globale. La sua utopia preconizzava la liberazione dalle società centralizzate e burocratiche favorite dalla stampa, ma anche la cancellazione delle differenza tra paesi ricchi e paesi poveri e una sorta di comunismo planetario. Anche la diffusione di internet a metà degli anni ’90 provocò reazioni e aspettative simili a quelle sviluppate con l’arrivo della televisione o della stampa popolare. L’ondata di tecnoliberismo venne riassunta dalla formula ideologia californiana, una visione secondo la quale la diffusione di internet porterà a un accesso diffuso a sapere e informazione e quindi cancellerà le differenze di potere fra consumatori e produttori, fra lavoratori e datori di lavoro, e fra stato e cittadini. Il flusso libero dell’informazione porterà con sé una radicale democratizzazione della politica, e un’economia basate su piccole imprese hi- tech aprirà nuove possibilità di arricchimento per chi possiede la necessaria flessibilità e spirito imprenditoriale. I movimenti sociali legali all’evoluzione dei media digitali e alle politiche della rete, come gli hacker, sono attori cruciali nell’evoluzione delle società liberali. Himanen parla esplicitamente di una nuova etica del capitalismo basata su flessibilità, creatività, indipendenza dalle gerarchie e dalle burocrazie industriali. Negli anni ’90 si fa strada l’idea d’intelligenza collettiva, che per Lévy è una mobilitazione delle intelligenze distribuite, coordinate e valorizzate grazie alle tecnologie dell’informazione. Da una tradizione di teorici marxisti emerge il concetto di capitalismo cognitivo, cioè una forma di organizzazione della produzione che, grazie ai media digitali e in particolare alle loro caratteristiche 7 sociali, si basa sullo sfruttamento delle capacità cognitive degli individui. Marx descrisse il general intellect come il sapere astratto, scientifico incorporato alle macchine e basato sulla cooperazione sociale, destinato a diventare la principale forza di produzione nelle società avanzate. Storia delle tecnologie informatiche e cambiamento sociale 1673 Germania: Leibniz inventa la prima calcolatrice meccanica. 1801 Francia: Jacquard inventa un telaio automatico cha lavora secondo un programma contenuto in un rotolo di carta perforata. 1822 Gran Bretagna: Babbage progetta la “macchina delle differenze” e nel 1837 quella “analitica”. Si sviluppa una nuova mentalità secondo la quale l’atteggiamento scientifico può essere applicato anche alle vicende umane e che i fatti sociali non siano l’effetto di una volontà divina ma seguono regole ben precise. Da questa idea ha origine il pensiero che la società possa essere misurata e che gli avvenimenti sociali ed economici possano essere calcolati e in una certa misura programmati. Questo modo di pensare fu enormemente rinforzato dallo sviluppo della statistica, che inizialmente rispondeva all’esigenza di misurare e controllare gli avvenimenti sociali da parte degli stati. Nei secoli successici la statistica generò una forte pressione per lo sviluppo di nuovi metodi di calcolo e di nuove macchine calcolatrici. 1899 Stati Uniti: la Tabulating Machine Companu di Hollerith diffuse i computer a schede perforate nella maggior parte delle amministrazioni statali e delle grandi società commerciali. Nel 1924 assunse il nome di International Business Machines Corporation (Ibm) e continuò a produrre calcolatori di questo tipo fino agli anni ’70. La seconda guerra mondiale diede un impulso ulteriore allo sviluppo dei calcolatori e diede forma ai computer così come li conosciamo oggi. Lo sforzo bellico richiese l’applicazione dei computer per diversi scopi. Solo alcuni anni dopo la guerra i computer cominciarono a diffondersi al di fuori delle basi dei centri militari. Il costo proibitivo dei computer durante gli anni ’50, la loro grandezza e la complessità dei primi linguaggi di programmazione fecero sì che rimanessero misteriosi. 1944 Stati Uniti: nasce il primo computer elettromeccanico “Mark I” sviluppato ad Harvard. 1944 Gran Bretagna: Alan Turing prese parte al progetto Manhattan per lo sviluppo della bomba atomica ed ebbe un ruolo di punta della costruzione di Colossus, il primo computer elettronico costruito con valvole termoioniche che fu utilizzato proprio per decifrare i messaggi in codice. 1959 Stati Uniti: il primo supercomputer elettronico, “Ibm Stretich” viene venduto a clienti appartenenti al complesso militare- industriale come la marina industriale Usa, il commissariato per l’energia atomica francese o i laboratori scientifici di Los Alamos. 1969 Stati Uniti: si sviluppa Arpanet, l’antenata di Internet, che collegava i supercomputer presenti nelle università americane e in alcuni centri militari. Si basava sulla tecnologia del packet switching, che scompone ogni messaggio in una serie di pacchetti che trovano la loro strada nella 10 descrivere i servizi online che offrono a chiunque la possibilità di contribuire a produrre contenuti culturali. Questo fenomeno è esploso a partire dagli anni 2000. Gli esempi di applicazioni collaborative sono molti e molto diversi tra loro, ma tutti esaltano la partecipazione, la creazione di contenuti e la condivisione d’informazione: • I blog, che danno vita a quella che viene chiamata blogosfera, cioè un ambiente a rete formato da blog in comunicazione tra loro, e che oggi è resa ancora più complessa dal legame con social network, sistemi di rating e piattaforme di microblogging. Esso non richiede competenze informatiche specifiche. • I wiki sono software di scrittura collettiva, che permettono a più persone di lavorare contemporaneamente a uno stesso testo o documento (Wikipedia). • Servizi commerciali come YouTube o Flickr permettono agli utenti di pubblicare, taggare e condividere rispettivamente video o fotografie. • Altri servizi commerciali come eBay o Amazon usano informazioni prodotte dagli utenti per migliorare il proprio servizio. • In modo simile funzionano le piattaforme mashup, che permettono di aggregare informazioni prese da fonti diverse per creare un sito o un’applicazione (Google Maps). • I sistemi di rating sono invece sistemi tramite i quali gli utenti possono votare, o meglio fornire una valutazione numerica rispetto a un contenuto (TripAdvisor o Yelp). Con questo sistema si produce informazione affidabile e annulla l’effetto di recensioni o voti scorretti. • I social softwares si caratterizzano per dare preminenza non solo alla condivisione di contenuti ma anche e soprattutto alla costruzione di legami sociali tra gli utenti. L’esplosione del web collaborativo non è soltanto una questione tecnologica, in quanto accompagnato dall’emergere di una cultura della partecipazione, che spinge gli utenti a contribuire alla produzione d’informazione in forma libera, svincolata dalle dinamiche dell’industria culturale. Da consumatori diventano così prosumers, cioè produttori/ consumatori. Uno dei casi più noti del ruolo dei pubblici è quello del fandom infatti, i fan, esprimono le culture partecipative più intense. Una caratteristica è il coinvolgimento emotivo molto forte nei confronti di un prodotto mediale cui fanno riferimento. Naturalmente la partecipazione attiva dei fan può costituire un problema per le aziende dell’industria culturale. La produzione sociale online e il software libero Nei progetti di produzione sociale online molti individui possono collaborare in forma coordinata, ma non organizzata in forme gerarchiche tradizionali. Per questo si parla di gestione orizzontale, in cui le decisioni non sono prese da una struttura verticale, ma con la partecipazione di tutti gli utenti. La peer production si basa su alcune premesse tecnologiche, sociali ed economiche. La trasformazione principale è la nascita di un ambiente digitale in rete caratterizzato dalla rimozione 11 dei vincoli fisici alla produzione d’informazione, sapere e conoscenza. Oltre questa sua caratteristica essa si fonda su altri fenomeni che la differenziano da altre forme di produzione: la diffusione pressoché ubiqua dei computer connessi alla rete; l’emergere di strategie non proprietarie di gestione dell’informazione; le innovazioni tecnologiche rappresentate da software e piattaforme che permettono la collaborazione online; la diffusione di fenomeni di produzione non commerciale, che produce valore d’uso per una comunità di utenti. Una metafora che è stata usata per descrivere la produzione sociale è quella del peer- to- peer (P2P). Le reti P2P sono reti di computer usate per scambiare file, con la particolarità di non essere dotate di luoghi centralizzati in cui risiedono le informazioni. Ogni computer della rete ha un ruolo paritario e funziona grazie alla sua ridondanza. Essa coesiste ed è complementare ai processi produttivi di tipo commerciale e pubblico, anche se è diversa da quelle forme di produzione. Come funziona la produzione sociale basata sui beni comuni? Queste forme di produzione possono basarsi su diversi fenomeni ma quello più conosciuto è quello del software libero, e in particolare del sistema operativo Gnu/ Linux. Esso è basato su licenza che permettono a chiunque di usarlo, modificarlo e redistribuirlo, grazie a un codice sorgente messo a disposizione degli utenti. La parola libero non significa che questi programmi possono essere usati in modo indiscriminato, dato che sono anch’essi soggetti a licenze copyleft. Secondo Stallman, un software libero deve garantire quattro libertà fondamentali: libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo (libertà 0); libertà di studiare come funziona il programma e di modificarlo in modo da adattarlo alle proprie necessità Il copyleft e le licenze creative commons Il copyleft è una forma di proprietà intellettuale che tutela l’autore di un’opera ma allo stesso tempo permette a chiunque di compiere alcune azioni senza chiedere permesso o pagare royalty all’autore, in modo da eliminare gli ostacoli alla diffusione e condivisione delle informazioni creati dalle leggi sul copyright. Le licenza copyleft più famose sono quelle sviluppate da Creative Commons (Cc). Chi decide di proteggere un’opera dell’ingegno, con una licenza Cc permette a chiunque di riprodurre, distribuire, rappresentare l’opera stessa. Inoltre l’autore può scegliere quali ulteriori diritti concedere agli utenti, combinando in diverse forme le quattro clausole principali: la clausola Attribuzione (by) significa che chi esegue o redistribuisce l’opera deve indicare l’autore e riconoscerne la paternità; la clausola Non uso commerciale (nc) significa che non sono consentiti utilizzi a fine economico; la clausola Non opere derivate (nd) impedisce di modificare l’opera; la clausola Condividi allo stesso modo (sa) significa che chi trasforma l’opera e ne redistribuisce una versione modificata deve pubblicarla secondo le condizioni della licenza scelta dall’autore originale. Le licenza Cc hanno valore legale a tutti gli effetti e una delle loro caratteristiche principali è la capacità di propagarsi in modo virale. 12 (libertà 1); libertà di redistribuire copie in modo da aiutare il prossimo (libertà 2); libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i miglioramenti apportati dall’utente in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio (libertà 3). Oggi i sistemi operativi basati su principi copyleft rappresentano la maggioranza del settore dei server e una fetta piccola, ma in crescita, in quello dei personal computer. Open source e innovazione Dall’esperienza del software libero è nato l’open source, un movimento che dalla fine degli anni ’90 ha cercato di rendere appetibile per le imprese commerciali il modello aperto e rappresentato dal copyleft e dall’innovazione distribuita, evitando al contempo di usare la terminologia politica legata al diritto di espressione tipica del software libero. Il successo di questo modello è andato ben oltre e molte imprese informatiche hanno adottato principi open source per i lori prodotti (Ibm). I principi dell’open source si sono presto diffusi al di là del settore del software. Inoltre, sono sorte altre forme di produzione social online simili e il caso più noto è quello della condivisione delle risorse di calcolo (SETI@home). Una caratteristica importante della peer production è la sua capacità d’intercettare motivazioni individuali che spingono le persone a dare contributi. Anzitutto, queste forme di cooperazione aumentano il controllo individuale sui processi produttivi; altre caratteristiche sono la modularità ovvero la possibilità di suddividere un progetto in moduli che possono essere sviluppati indipendentemente dagli altri e la granularità, cioè la possibilità di dividere un compito in più parti. Grazie a queste caratteristiche ogni utente può dare un contributo anche in piccole parti. La produzione sociale online aumenterebbe anche l’efficienza dei processi produttivi, in particolare grazie ai bassissimi costi di transazione e alla capacità di svolgere un numero elevato d’individui disposti a collaborare in cambio d’incentivi non monetari. Altri motivi per partecipare a queste collaborazioni possono essere la nuova forma di economia del dono, in cui la remunerazione per la cooperazione non è economica, ma piuttosto tesa alla creazione di legami sociali, e la prospettiva di accumulare reputazione, che serve poi come capitale sociale da monetizzare in altri contesti. L’open source è diventato anche un fenomeno commerciale. È sempre più comune che le imprese dei media digitali aprano parte del loro sistema d’innovazione e sviluppo al contributo degli utenti della rete tramite strategie di coinvolgimento dei clienti o di altri attori esterni al fine di migliorare i propri prodotti. Questi fenomeni di crowdsourcing, cioè di esternalizzazione di un processo produttivo non alle imprese ma alla folla, permettono di risparmiare denaro ma soprattutto di raccogliere suggestioni e idee che sarebbe difficile sviluppare in azienda. Le forme d’innovazione e produzione basate sulla cooperazione si sono espanse e diffuse anche alla produzione di oggetti materiali. ECONOMIA SHANZHAI à Telefoni contraffatti. 15 Il citizien journalism è la produzione e distribuzione di notizie da parte d’individui che non sono giornalisti professionisti e attraverso canali alternativi a quelli delle istituzioni comunicative broadcast. Uno degli strumenti principali a loro disposizione è il blog. Così viene meno il gatekeeping, cioè il potere di selezionare quali notizie raggiungeranno il pubblico e quali no, e il potere di agenda setting, cioè la capacità di dettare l’agenda del dibattito pubblico scegliendo le notizie e i temi di cui si parlerà. Politica e movimenti sociali Nella società in rete, il potere diventa così potere della comunicazione e s’incarna nell’architettura della stessa rete. Questo fenomeno, già presente prima della diffusione di internet, è ora trasformato e rafforzato dall’emergere della sfera pubblica in rete. Gli effetti di questi cambiamenti sulla sfera pubblica dipendono anche dal tipo di società in cui si verificano. Nei paesi autoritari l’architettura distribuita dalla rete può rendere difficile il controllo dei flussi d’informazione e quindi della sfera pubblica. Seppure più limitati, alcuni di questi problemi esistono anche nei paesi democratici, poiché il potere politico ha la necessità di mettere in campo strategie di gestione della sfera pubblica in rete. Infine, nonostante internet possa ampliare la partecipazione dei cittadini alla sfera pubblica, l’accesso alle tecnologie digitali è sbilanciato: parliamo di divario digitale, cioè la differenza di accesso alle tecnologie di rete che si verifica tra paesi ricchi e paesi poveri, o tra diverse classi sociale e così via. L’attività politica è profondamente influenzata da media e sistemi di gestione dell’informazione. Nelle società avanzate, le pratiche politiche dipendono in modo rilevante dalla capacità di analizzare l’elettorato con tecniche derivate dalle scienze sociali al fine di produrre strategie di marketing politico mirate sui diversi media utilizzati. I movimenti che, invece, vogliono erodere il potere o agire per il cambiamento sociale devono basare la propria azione sul tentativo di riprogrammare le reti, cioè utilizzarle per comunicare i propri contenuti e i propri valori modificandone lo scopo originario o trovando nuovi modi per sfruttarne le caratteristiche tecnologiche e sociali. I media che permettono la cooperazione online e i social network sono una parte importante di questi processi, dato che garantiscono maggiori possibilità di agire in autonomia, sono versatili e interattivi. Tuttavia non sostituiscono il ruolo dei media broadcast tradizionali ma piuttosto vi si sovrappongono. Inoltre, i media digitali hanno effetti sulla partecipazione politica, dato che la rete abbassa i costi dell’accesso alla politica attiva. Se le tendenze più ottimiste vedono internet un mezzo per creare forme di democrazie diretta destinate a soppiantare le istituzioni della democrazia rappresentativa, mentre quelle più pessimiste vi vedono solo un rinforzo delle gerarchie esistenti, è probabilmente più corretto affermare che la rete rende possibili nuove strategie di mobilitazione e partecipazione. 16 I movimenti sociali sono spesso sperimentatori e innovatori nel campo dell’azione politica tramite i media digitali. Tra i primi esempi ci sono il movimento zapatista messicano, che dopo la sollevazione del 1994 ha creato una rete di sostegno globale grazie all’uso di media online indipendenti. Critici del ruolo dei media digitali riguardo alla partecipazione politica hanno sottolineato che la maggior parte degli utenti della rete si limita a mettere in campo attività di slacktivism, come postare commenti o foto di significato politico sui propri profili oppure firmare petizioni online o aderire a gruppi che sostengono questa o quella causa. Tuttavia in molti casi i media digitali si rivelano non sostitutivi delle mobilitazioni di piazza o di altre forme di attivismo, quanto piuttosto al servizio della riappropriazione dello spazio pubblico da parte di movimenti sociali, i quali si basano su una combinazione di presenza online e offline. I media sociali non sono sufficienti per creare mobilitazioni ma sono utili per far viaggiare rapidamente informazioni. Resta infine da chiarire quanto i media digitali siano in grado di mettere in atto processi identitari e quanto invece possano essere utilizzare per dar vita a nuove forme di organizzazione. Rheingold chiama smart mobs i gruppi di utenti della rete che coordinano comportamenti collettivi tramite l’uso di dispositivi mobili, mentre Castells li definisce comunità insorgenti e istantanee. Egualmente importanti sono divenute le politiche legate ai problemi dell’accesso e della trasparenza dell’informazione. I governi mettono in campo iniziative per controllare l’accesso alle informazioni, e sono spesso riluttanti a concedere maggiore trasparenza. La libertà di espressione e il diritto all’informazione non possono essere dati per scontati ma necessitano di continue rielaborazione e negoziazioni, e sono spesso al centro di battaglie legali e giuridiche. Cultura civica ed evoluzione della politica online L’emergere di nuove forme di organizzazione politica tramite strumenti e piattaforme online ha fatto parlare della nascita di una nuova cultura civica. I pubblici costituiti da aggregati di persone che attraverso i media digitali si dedicano a perseguire una meta comune, forniscono un’educazione civica in quanto abituano i membri alle virtù della condivisione, solidarietà e impegno per una causa comune. Tuttavia queste forme di collaborazione non si limitano a riunire individui che hanno uno scopo in comune, ma spesso coincidono con la creazione di opinioni etiche e politiche e quindi possono dar luogo a un coinvolgimento molto profondo. Dall’altra parte, però, si tende a togliere l’elemento di dibattito e interazione con persone diverse che era considerato un fondamento della sfera pubblica moderna: il confronto e la diversità vengono meno e con essi anche la vitalità politica. Inoltre, la politica online tende a produrre una polarizzazione della società. Se il futuro dei media digitali e del loro ruolo politico ha ripercussioni sull’evoluzione delle società contemporanee, questo avviene sia nella ridefinizione delle libertà politiche e dell’autonomia individuale, sia nelle possibilità di controllo sociale nelle mani di governi e imprese private. Oggi le imprese del web tendono a utilizzare la retorica di liberazione e democratizzazione per posizionare i 17 propri servizi in un preciso contesto politico ed economico. Queste, assumono il ruolo di nuovi intermediari, e sebbene si siano dimostrate in grado di scalfire le posizioni di attori dominanti, non sono necessariamente più accessibili o democratiche, anzi possono sfruttare la loro posizione per esercitare forme di monopolio tipiche delle grandi società di telecomunicazioni (Google). Capitolo 5- Relazioni sociali e identità in rete Socialità e media digitali Le relazioni sociali sono sempre state influenzare dalle tecnologie mediatiche in quanto senza un mezzo di comunicazione in gradi di attraversare distanze fisiche e di conservare le comunicazioni nel tempo, sarebbe molto difficile organizzare un sistema sociale complesso. I profili che è possibile costruire sui media sociali sono altamente standardizzati e lasciano poco spazio alle diversità individuali. Due visioni contrapposte sembrano dominare il dibattito sui media digitali: da un lato, si afferma che essi rappresentano un mondo sociale estraneo alla vita reale quotidiana; dall’altro che hanno effetti dirompenti sulle forme di socialità. Tuttavia i media digitali odierni sono caratterizzati dalla forte integrazione tra la vita online e quella offline, al punto che queste distinzioni sembrano perdere significato, a differenza degli anni ’90 dove si distingueva il mondo reale da quello virtuale, anche nascondendo la propria vera identità usando nomi alternativi. Inoltre le tecnologie mobili hanno favorito questo fenomeno in quanto si può accedere ovunque e in una molteplicità di situazioni diverse. Infine, i media digitali possono tendere a diventare strumenti per riprodurre fenomeni sociali estremi. La ricerca sociale e i media digitali Vi sono differenti tipi di analisi sociale. Uno dei possibili approcci è quello big data, cioè l’analisi di grandi insiemi di dati cui si cercano di estrarre nuove informazioni e di predire trend (limitato). Poi ci sono le network analysis o studio delle reti usa software per rappresentare i pubblici, per individuare lo spazio che occupano online e le connessioni tra gli individui, e per scoprire chi sono le persone più influenti. L’analisi semantica permette di studiare i discorsi che si sviluppano in rete. Un altro approccio è l’etnografia digitale, usata per comprendere in profondità i modi di ragionare e comunicare, cioè le culture che caratterizzano alcune forme di vita online. I media sociali I media sociali sono siti web basati sulla costruzione e sul mantenimento di legami sociali con altri utenti del servizio. Essi hanno conosciuto un’esplosione negli anni 2000 che li ha posizionati tra i principali intermediari fra gli individui in rete e con i contenuti della rete. Anzitutto per il numero enorme di persona che raggiungono e per l’uso quotidiano che esse ne fanno. Secondo una delle definizioni più diffuse, i media sociali sono servizi web che permettono di: creare un profilo 20 d’individui che non si conoscono direttamente e condividono solo alcuni interessi o comportamenti. Castells chiama queste forme di comunicazione mass self- communication: ognuno comunica con il pubblico che lo circonda, generando opinioni e informazioni comuni, senza avere legami duraturi. Nelle comunità premoderne l’identità delle persone era dettata dalla tradizione. Nel caso dell’individualismo in rete l’identità viene costruita tramite una serie di scelte, come i pubblici cui appartenere, con quale grado di coinvolgimento e quanto dare importanza a questi pubblici per la propria identità. L’identità è il risultato complessivo delle appartenenze. Reputazione e influenza La reputazione è un giudizio sulle qualità di una persona, anche sconosciuta, che viene espresso sulla base d’informazioni pubbliche. I media digitali amplificano e trasformano il modo in cui le reputazioni vengono create e alimentate, e forniscono alle persone nuovi strumenti per gestire la propria reputazione. I membri di un pubblico acquistano reputazione sulla base del modo in cui gli altri membri giudicano i loro contributi. La reputazione garantisce una posizione migliore all’interno del gruppo e determina la capacità dell’individuo d’interagire con un pubblico in modo produttivo, di riuscire a realizzare le sue idee o i suoi propositi, o di vedere prese sul serio le sue opinioni. Essa tende a determinare l’intensità dell’interazione di un individuo con un determinato pubblico, e in modo analogo quanto quel pubblico sia importante per la sua identità complessiva. Questa natura comunicativa fa sì che l’identità non possa essere semplicemente vissuta ma debba essere anche comunicata. In questo senso l’individuo può trovarsi costretto a creare una versione comunicabile della sua identità che includa certi aspetti della sua vita e se possibile ne escluda altri. Al fine del self- branding, queste caratteristiche hanno implicazioni precise: persistenza, cioè che ciò viene comunicato sui media sociali e in rete tende a restare nel tempo e dunque ha un’influenza continua sull’identità; la replicabilità dei contenuti fa sì che comunicazioni avvenute in un ambiente particolare possano essere modificare o combinate con comunicazioni avvenute in un altro ambiente, generando qualcosa di nuovo; la scalabilità significa che i contenuti possono diffondersi molto rapidamente; la ricercabilità permette ai contenuti di essere facilmente trovabili. La necessità e la possibilità di maneggiare il proprio brand stanno crescendo con il diffondersi di sistemi per la misurazione dell’influenza degli individui. Servizi come Klout o Kred.Gli influencers sono individui con indici d’impatto molto elevati che sono in grado di mobilitare un gran numero di altri utenti grazie alle dimensioni della rete con cui sono in contatto e grazie alle loro competenze sociali e comunicative. Privacy e controllo La proliferazione delle appartenenze a diversi ambienti mediatici può avere degli effetti importanti sulla privacy delle persone. Le piattaforme dei media sociali hanno scardinato la concezione della privacy basata sul diritto a una vita privata non visibile al pubblico. Del resto forme di socialità 21 spingono gli individui a condividere e mostrare informazioni personali e intime. Queste problematiche non hanno rilievo solo sulla privacy individuale ma anche per le forme di sorveglianza e controllo sociale messe in atto dai governi e dalle aziende. Nei media sociali gli individui hanno, da un lato, reso la propria sfera privata pubblica rinunciando al concetto di privacy in senso stretto, ma dall’altro lato, oggi le persone sanno negoziare i livelli di privacy per creare un controllo attivo sulle informazioni che lo riguardano. La necessità di stabilire legami sulle piattaforme online può far passare in secondo piano i timori relativi alla privacy. Ma gli individui sanno scegliere, anche collettivamente, quali tipi di comunicazione relativi ad aspetti della vita privata effettuare sui media. Capitolo  6-­‐  Economia  dell’informazione  e  dei  media  digitali   I modelli economici del web Internet e i media digitali hanno una grande rilevanza economica: da un lato per l’importanza del mercato delle tecnologie in rete, dall’altro perché sui media digitali si basa un’economia sviluppata direttamente dalla rete, in termini di servizi venduti o mercato pubblicitario. Con la diffusione di massa dell’accesso a internet avvenuta nella seconda metà degli anni ’90, si sono scatenate ondate successive d’investimenti e sono sorti nuovi modelli economici che sostengono le imprese del web. Le innovazioni tecnologiche basate sulla rete hanno introdotto nuove possibilità e nuovi vincoli alle imprese che producono informazione e conoscenza, che in alcuni settori si sono viste obbligate a modificare in profondità i propri modelli di produzione, distribuzione e finanziamento. • La coda lunga si riferisce alle opportunità marginali che coi media diventa possibile gestire. • L’idea alla base delle aziende del cosiddetto web 1.0 era che la rete fosse una sorte di biblioteca di contenuti che potevano essere visionati dagli utenti ma solo raramente prodotti da loro. L’idea dei content providers, cioè fornitori di contenuti, era quindi quella di far pagare l’accesso ai contenuti online. Questo modello di business esiste ancora in alcuni settori professionali ma è diventato meno sostenibile sul mercato di massa. • L’arrivo del web 2.0 con blog, siti come YouTube e Flickr o social network, ha dato agli utenti nuove possibilità di distribuire contenuti prodotti da loro stessi che rappresentano un’alternativa ai contenuti prodotti dalle industrie culturali. Inoltre i sistemi di file sharing e i siti di streaming video online hanno reso difficile il controllo della diffusione e circolazione dei contenuti prodotti dall’industria culturale, come musica e film. • Un altro ramo del web è composto dai motori di ricerca come Google. • Gran parte dei siti web e dei servizi gratuiti dipende dagli investimenti pubblicitari. • Il crowdfunding, letteralmente finanziamento della folla, è un sistema di raccolta fondi per progetti no profit o per imprese start up basate su piattaforme online (Kickstarter). 22 Produzione immateriale: brand e finanza Nell’economia dell’informazione la creazione di valore si sposta dalla produzione di beni materiali, che tuttavia continuano a essere prodotti, a quella di beni immateriali, basati su attività che richiedono competenze di elaborazione dell’informazione: l’innovazione è la capacità di creare continuamente novità sia tecnologiche, sia di design e di stili di consumo (Apple); la flessibilità è la capacità di rispondere rapidamente alla domanda di mercato in modo che il numero pressoché esatto di merci necessarie si trovi al posto giusto al momento giusto (Ikea); infine, il brand passa dall’essere solo il marchio di un prodotto alla capacità di generare la percezione pubblica di una differenza fra un prodotto e un altro (Nike). Il brand è anche un elemento utile per catalizzare l’attenzione, l’affettività e la creatività dei consumatori e tende ad essere sempre più socializzato: oggi i consumatori discutono in rete delle proprie marche preferite e dei propri stili di consumo, attraverso strumenti come i blog o le piattaforme dei media sociali. Queste brand communities possono nascere spontaneamente come pubblici mediati dalle piattaforme digitali, ma vengono sistematicamente osservate dalle aziende per trarne informazioni utili per il marketing. Il fatto che il brand sia una risorsa intangibile non toglie che le sue caratteristiche siano inseparabili dalle proprietà materiali di un prodotto e, allo stesso modo, l’innovazione è inseparabile dal prodotto innovato. Un’altra dimensione importante dell’economia dell’informazione è quella dei mercati finanziari, diventati luoghi molto importanti per la determinazione del valore delle risorse prodotte tramite le nuove forme di collaborazione facilitate dai media digitali. Allo stesso tempo è avvenuto un processo d’informatizzazione della finanza stessa. Lavoro, consumo e prosumerismo I media digitali sono legati a trasformazioni nelle dinamiche di lavoro e di consumo, tanto da aver stimolato la creazione di nuovi termini per definirne i processi d’interazione. Il monopolio di Microsoft Il prodotto di punta di Microsoft è Windows, ma come si è creato questo predominio? Grazie a precise strategie commerciali: essa stringe accordi di esclusiva con i principali produttori di hardware per spingerli a installare il suo sistema operativo sui personal computer che commercializzano, garantendo in cambio uno sconto sulle licenze e la possibilità di testare e adattare il sistema operativo al loro hardware; diffondere altri software preinstallandoli sui computer dotati di Windows, per rafforzare il dominio del sistema operativo. Queste due strategie costano a Microsoft accuse di aver costituito un monopolio. La pirateria La pirateria è l’attività di copiatura e distribuzione illecita di contenuti digitali, ed è uno dei fenomeni che hanno modificato l’industria culturale e le leggi sui diritti di proprietà intellettuale.