Scarica Introduzione al "Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano" e più Appunti in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano Introduzione di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri All’inizio del dialogo c’è una pagina ammirevole dove parla l’ebreo. È una pagina mirabile non solo perché scritta da un cristiano, Abelardo, che esprime una profonda pietà che va contro il prevalente odio e disprezzo che il suo ambiente e il suo secolo nutrivano per l’ebreo, ma anche perché è un documento storico prezioso e preciso di una condizione, quella della comunità ebraica in Francia nella prima metà del XII secolo. Abelardo parla con un giudeo immaginario – è vero –ma si dimostra attento osservatore del mondo storico. Il progetto logico-teologico L’opera abelardiana si dispiega nella logica e nell’etica: come gli antichi stoici, egli pensava che, insieme alla fisica, questi due campi del sapere comprendessero l’intera filosofia. Entrambe le discipline, ma soprattutto la logica, sono connesse secondo il metodo alla terza disciplina, nella quale il Maestro Palatino divenne famoso, la teologia. Cosa è per Abelardo la logica? È il possesso delle «ragioni umane e filosofiche», ossia la scienza che assicura la verità del discorso. Su questa qualità di scienza egli fonda la difesa della logica (o dialettica) che distingue dalla pura abilità argomentativa e retorica. La logica che accerta la verità o la falsità di ogni tipo di discorso umano, ha quindi un primato sulle altre scienze che si esprimono tutte attraverso il linguaggio e devono sottostare alle sue regole. La teoria abelardiana degli universali – dichiarati voces significativae, ossia nomi – è un caso particolare della teoria del significato che per Abelardo è prevalentemente la capacità della parola a «generare in chi l’ascolta un concetto»: i nomi generali sono in grado soltanto di suscitare concetti «comuni e confusi» al contrario dei nomi singolari che, «nominando realtà singole, generano concetti precisi». Nella critica radicale alle dottrine realistiche degli universali, nell’affermazione del sillogismo come calcolo formale di proposizioni, Abelardo persegue la tersi di una logica, scienza autonoma, formale e completamente umana, sicura nell’invenzione e applicazione delle sue regole. D’altro lato la logica è lontana dalla pretesa di arrivare con il discorso al cuore della realtà che solo Dio comprende perfettamente. Il nominalismo in Abelardo è dunque un’affermazione di estremo rigore razionale, ma insieme un segno di coscienza dei limiti della ragione. Qual’è il rapporto fra una logica di questo tipo e la teologia? È la logica, o filosofia razionale, a fornire innanzitutto l’analisi dei significati e le regole per l’intreccio argomentativo anche a chi studia il discorso della sacra pagina, ma secondo Abelardo, è ancora la filosofia, in particolare quella degli antichi, a venire in aiuto, in seguito, sul discorso già costruito in modo logicamente corretto, per approfondire il significato globale di alcune proposizioni. Su quale assioma risposta questa seconda affermazione? Su ciò che potremo definire un «cristianesimo naturale»: la ragione greca, rappresentata soprattutto da Platone, e la rivelazione cristiana convergono su alcuni punti fondamentali, come ad esempio: 1. Monoteismo; 2. Sovrannaturalità di Dio; 3. Fede di tutti gli uomini nella Trinità. Compito della logica è preparare nei discorsi questa convergenza concettuale: attraverso la lettura degli antichi viene in luce poi un altro strumento, l’analogia o similitudine, punto di partenza di quello che nella cultura dell’epoca si chiamava involucrum, o discorso velato. Dal momento che l’intelletto umano è legato al mondo delle cose naturali, «tutto ciò che viene detto di Dio (ossia del sovrannaturale) è come avvolto in misteriose similitudini… con questa specie di metafore noi trasferiamo i vocaboli, atti a designare le creature, a indicare il Creatore». L’etica Il carattere filosofico dell’analisi è chiaro fin dall’inizio: Abelardo assume come criterio di discussione la definizione razionale di peccato. Il male per l’uomo non è l’inclinazione dell’anima che «spinge la mente in modo inconsulto e senza il controllo della ragione a compiere qualche cosa»: questa è piuttosto una premessa al peccato, che invece consiste «propriamente… nel consenso consapevole alla inclinazione e al desiderio». Non vi può essere, d’altra parte colpa neppure nella semplice azione, svalutata da Abelardo di fronte all’intenzione che, sola, può dotare di significato gli atti dell’uomo. Ancora una volta, come nell’analisi teologica, l’interesse è rivolto prevalentemente al piano naturale (o razionale): i diritti storici, le diverse leggi possono qualificare in maniera diversa la colpa, ma la giustizia è un’idea che il Maestro Palatino vuole recuperare, al di là delle azioni visibili e dei comportamenti legali, nell’interiorità della coscienza e alla luce discriminante della ratio. I grandi e potenti nemici di Abelardo avvertivano questo con orrore: l’indifferenza ai contenuti della legge e soprattutto della legge cristiana. I punti più pericolosi dell’Etica, individuati dagli avversari al concilio di Sens, si riassumeranno nell’indicazione del consenso colpevole come radice della colpa, nella svalutazione delle opere e nell’affermazione che l’ignoranza cancella la colpa. L’unità dell’opera abelardiana La compattezza teorica e anche terminologica sono aspetti innegabili dell’opera di Abelardo: i rimandi interni, anche da un settore di studi all’altro e dalla autobiografia alle singole opere, sono il segno saliente di un’unità di progetto che vuole realizzarsi in ambiti diversi, avvertiti sovente dai contemporanei come estranei fra loro, come la logica e la teologia. Il mondo delle cose (in logica) e quello dei comportamenti (nella morale) sono dunque in sé equivoci o privi di senso e quindi ingiudicabili; è necessario determinare il senso e il valore, in logica con il significato della parola- suono e, in etica, con l’intenzione. È interessante notare come teoria e terminologia siano state elaborate da Abelardo innanzitutto nelle lezioni di logica, dove l’analisi dei significati era la parte più importante e più sviluppata della disciplina. In morale, infatti, l’intenzione, in teologia la «sincerità della fede» hanno nei confronti dell’azione e della preghiera lo stesso rapporto che, in logica, ha il significato nei confronti del «semplice suono della parola». Di fronte al mondo delle res, povero e muto nella sua nuda insignificanza, sta quello dell’intelligenza e della coscienza che fonda sia la comunicazione (discorso o rito) sia i valori morali. Il dialogo come summa Il dialogo è inserito in un’architettura essenziale ma significativa. Come in un sogno tre uomini vengono «da tre diversi sentieri» verso Abelardo: sono un giudeo, un cristiano e un filosofo e vogliono ottenere dal giudice al quale riconoscono imparzialità e saggezza una valutazione serena delle loro leggi. I tre personaggi sono caratterizzati – al di là di scontri occasionali e di alcuni comportamenti di maniera – in modo originale, un modo che riflette la personalità e l’atteggiamento mentale di Abelardo i tratti stereotipi del giudeo, visto simpateticamente dall’autore sono naturalmente quelli usuali, «ostinazione di cuore» e «sensualità», ma nello svolgimento dell’opera non prevalgono. Abelardo è piuttosto interessato ad altri aspetti: ascolta con commozione il racconto del giudeo che ricorda le immani sofferenze e le persecuzioni patite dal suo popolo e lo presenta come qualcuno che si sforza di sollevarsi dalla lettera «che uccide» al senso generale e spirituale dei testi veterotestamentari, dal precetto fino alla valutazione della intentio.