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INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA GRECA - LEZIONE 6, Sbobinature di Letteratura Greca

INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA GRECA - LEZIONE 6

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

In vendita dal 15/04/2021

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Clarissa.RFr 🇮🇹

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Scarica INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA GRECA - LEZIONE 6 e più Sbobinature in PDF di Letteratura Greca solo su Docsity! INTRODUZIONE ALLA CULTURA CLASSICA - Lezione 06 Le cose che ho raccontato sul mito di Edipo, Medea, ecc. e che adesso velocemente riassumerò, le trovate su un articolo che metterò in rete e che ho scritto sulla tragedia in cui parlo della rivisitazione dei miti nella tragedia. Quindi avete l’occasione in sostanza di (interruzione) Avete visto che il mito è un meccanismo apparentemente semplice, ma molto più complesso rispetto al racconto di fiaba e avete visto che nei miti principali abbiamo spesso questo intreccio di rapporti padri-figli, madri-figli, ecc. Abbiamo episodi di cannibalismo in alcuni miti (come in quello che vi accennavo ieri di Procne, Filomela e di Tereo) e avete figli che uccidono le madri (Oreste che uccide la madre Clitennestra, la quale ha ucciso il padre; questo è quello di Oreste relativo alla guerra di Troia, ma quando si cambia storia ovvero vi ho detto che la guerra di Tebe è l’episodio mitico precedente quello della guerra di Troia, nella quale i greci radicavano il proprio passato, abbiamo un mito simile anche relativamente alla famiglia e alle vicende di Edipo. Anche lì trovate un caso di matricidio. La perfida Erifile, moglie di Anfiarao, tradisce il marito nel senso che lo convince ad andare contro la città di Tebe, a muovere guerra. Anfiarao è un indovino e sa che in quella spedizione troverà la morte. Ma la moglie corrotta dal figlio di Edipo con una collana preziosa, lo convince ad andare. Anfiarao partecipa alla spedizione dei Sette contro Tebe e ci trova puntualmente la morte e il figlio si incaricherà a sua volta di vendicare il padre. Così come Oreste vendica Agamennone, anche Alcmeone vendica Anfiarao. Dunque episodi atroci di matricidio con i figli dilaniati davanti al dilemma se vendicare il padre o commettere un crimine. Entrambi i due giovani eroi colpevoli di matricidio verranno del resto perseguitati da quelle Erinni e Furie vendicative che abbiamo incontrato ieri nel passo omerico relativo alla vicenda di Edipo ed Epicasta, quando nell’ultimo verso Omero dice: “… ed egli continuò a vivere, ma lei scese nell’Ade augurandogli tutti i dolori che le Erinni di una madre possono portare a compimento” Quindi in questo intreccio vedete delle divinità arcane in funzione e vedete un problema dell’amministrazione della giustizia che si poneva nel mondo arcaico (è giusto vendicare il proprio padre?). Sono episodi che troviamo tutt’ora nella cronaca giudiziaria: vendicare l’uccisione del proprio padre anche se a commetterla è stata la propria madre? O invece bisogna frenarsi? Il dilemma che riguardava il caso di Edipo, come abbiamo visto, riguarda il fatto che paradossalmente Edipo è l’unico che ha diritto a vendicare l’uccisione del proprio padre ed è al tempo stesso l’unico che ha il diritto di regnare su Tebe perché è l’unico figlio del re di Tebe. Come abbiamo visto, se nel V secolo Sofocle trasforma questa materia mitica in una profonda e terribile riflessione sulla fragilità della condizione umana, sulla necessità di amministrare o di creare un sistema giudiziario che punisca il colpevole e sui dilemmi della mente e delle decisioni che l’uomo deve prendere, in Omero, quindi una società arcaica pre-giuridica, prevale la necessità in un mondo in cui la polis (πόλις) ) esiste solo come raggruppamento di persone, ma non come entità, come istituzione formata giuridicamente, in Omero prevale la necessità che il trono rimanga nelle mani della famiglia che lo deteneva. Ed ecco perché Edipo viene assolto. Il mito di Medea, il mito di Edipo, il mito di Teseo sono tutti radicati in determinati spazi, ovvero nascono in determinati territori e questo mostra un’ulteriore differenza rispetto alla fiaba. Nel caso del mito di Edipo, ma anche in quello di Medea noi possiamo andare oltre. Perché vi accennavo ieri a una tragedia di Sofocle, la seconda tragedia in cui Sofocle tratta il mito di Edipo, anche se la compone prima dell’ Edipo Re, cronologicamente è la continuazione di quel mito. Nell’Edipo a Colono, Edipo ormai cieco, vedovo, parricida, incestuoso, ecc. è andato in esilio e vaga per la Grecia continentale. A un certo punto arriva ad Atene. Ora se voi guardate i frammenti e le fonti che raccontano il mito nella fase arcaica, non trovate traccia della città di Atene. Quel mito è tutto incentrato sulla Beozia, con il viaggio a Delfi, Edipo che arriva da Corinto. Ma Atene non c’entra nulla. Così come in molti altri miti, noi conosciamo la versione arcaica che è robustamente radicata in una determinata area geografica e poi vediamo apparire Atene. Perché questo? Perché nella tragedia, che è un genere letterario poetico che trova la sua definizione ad Atene, la città di Atene, che ha conquistato il predominio sul mondo greco, ha tutto l’interesse a impadronirsi di questi miti, cioè a entrare sulla scena (lo dico in doppio senso metaforico, sulla scena tragica, ma anche a fondare una versione del mito nella quale Atene che nella fase arcaica ne era stata esclusa, ha un ruolo predominante). Vi chiederete: “Ma qual è l’interesse di Atene nel far arrivare Edipo ovvero un incestuoso, infelice parricida, cieco, mendicante, ormai senza patria ad Atene. Ad Atene, Edipo sarà accolto dal re locale (che è quel Teseo che abbiamo visto ieri in un altro mito) il quale magnanimamente lo accoglierà e quando Edipo muore gli concederà sepoltura nel territorio ateniese. Questo cosa significa? Significa che la città di Atene è in grado di incorporare e per così dire purificare, risolvere dilemmi, problemi, caratterizzazioni mitiche non importa quanto negative esse fossero. Quindi Atene si appropria di questi miti. Questo ve lo dico per mostrare quanto in età classica e quindi tre secoli dopo Omero, se non di più, il mito fosse ancora visto come uno strumento importante di propaganda, o meglio come potesse essere riutilizzato per fini altri. Quindi è importante insistere sulla natura del mito e sulla sua funzione perché il mito permea l’intera civiltà greca. Nel caso di alcuni di questi eroi noi vediamo chiaramente altri elementi del mito. Vi accennavo ieri al rito di iniziazione. Teseo, Giasone e per certi aspetti anche Edipo giovinetto, sono giovani eroi che hanno bisogno di formarsi, cioè hanno bisogno di un percorso di iniziazione attraverso il quale passano a una fase adulta che coincide nel loro caso con l’acquisizione del regno. Acquisizione del regno che nel loro caso avviene in modo ambiguo o disastroso in alcuni casi. Edipo eredita, in questo cumulo di paradossi, il regno paterno per poi esserne spodestato quando viene fuori l’intreccio della sua vita, l’intreccio reale e non quello fittizio. Teseo causa involontariamente la morte del padre che aveva ritrovato (quindi anche qui abbiamo una ricerca di identità come nel caso di Edipo) e lo stesso Giasone si pone come giovane eroe che deve superare delle prove per diventare maturo, ma poi però viene impossibilitato a regnare. Tutti questi eroi esprimono il problema risolto in vari casi, ma con i tratti comuni di partenza e di percorso, della successione al regno. Possiamo aggiungere un altro esempio di ricerca del padre che sfocia in tragedia (non nel senso di genere letterario, ma nel senso che sfocia in un esito drammatico). Il figlio di Odisseo è Telemaco e l’Odissea è del resto un bellissimo poema nel quale si intrecciano vari filoni narrativi (quello dell’avventura, del viaggio tipico dell’epoca delle colonizzazioni e della scoperta del mondo-altro, quello di un figlio, Telemaco, che parte alla ricerca del padre). Il Telemaco dei primi libri dell’Odissea è un giovinetto che viene deriso e messo in condizioni di inferiorità dai proci, i pretendenti di sua madre Penelope, che sono molto più smaliziati; il Telemaco che ritroviamo alla fine dell’Odissea, è un uomo maturo. Cosa è successo nel frattempo? E’ successo che Telemaco è cresciuto. principessa assieme a metà del regno. Questo è il primo avvenimento, il protagonista assolve il compito. Il secondo avvenimento non si incontra così spesso, ma esiste nel folklore in forme svariatissime e con diverse motivazioni. Il protagonista uccide il vecchio re, padre della fidanzata. Infine il terzo avvenimento, il protagonista sposa la fanciulla che ha liberato e sale al trono. Questo è il destino del protagonista canonico della fiaba. Guardiamo adesso quel che succede a Edipo. Egli, protagonista della fiaba, è mandato via di casa. Ma dopo l’educazione, egli non va nel paese della futura moglie. Egli sì bene, senza saperlo, torna nella casa del proprio padre come nuovo protagonista patriarcale si dirige non verso la stirpe della propria moglie, ma verso la stirpe del proprio padre, verso la stirpe alla quale appartiene. Questa svolta nel cammino di Edipo, è una svolta nella storia dell’intreccio. Grazie ad esso, l’intreccio di Edipo si stacca dalla fiaba di magia e dà un nuovo germoglio, un nuovo intreccio nell’ambito dello stesso sistema compositivo. Come al protagonista della fiaba, a Edipo succedono tre avvenimenti: senza saperlo uccide il re del suo paese dove è giunto; questo re risulta essere suo padre; Edipo risolve l’enigma della Sfinge e così libera la città da una grande sciagura, per questo riceve la regina in sposa. Gli avvenimenti sono simili a quelli della fiaba, ma nello stesso tempo se ne discostano. Prima di tutto salta agli occhi la differenza della loro successione. Nel canone della fiaba, prima si dà un compito difficile e poi si ha l’assassinio del re. In Edipo, prima avviene l’assassinio del re e poi si dà il compito difficile di liberare la città dalla sfinge.” Quindi vedete come basta sovvertire un segmento narrativo per ottenere un risultato esplosivo. “Nell’interpretazione patriarcale, l’erede non poteva diventare re finché il vecchio re era in vita, quindi il regno poteva essere promesso soltanto dopo la morte del re. Nella fiaba di magia l’appello a liberare la città parte dallo stesso re. Nell’Edipo dai cittadini della città di Tebe rimasti privi del loro re” (e vedete che qui il cittadino, ovvero la città tutta, subentra con un ruolo principale che nell’epica non può avere). Un’altra osservazione interessante riguardo questi elementi primordiali della religione greca, le Erinni, le furie vendicative, nella religione greca, nel mito ci sono queste divinità primordiali che si agitano sotto terra nei confini con l’Ade, le quali hanno un potere straordinario che non può essere contenuto neanche dal re di tutti gli dei dell’Olimpo, cioè Zeus, perché sono creature che pre- esistono all’ordine olimpio stabilito da Zeus. Quindi esprimono delle categorie di pensiero che non sono controllabili razionalmente. Abbiamo attraversato velocemente, in questi racconti mitici, vari generi letterari e questo ovviamente dimostra quello che avevo affermato due o tre lezioni fa’ e cioè che il mito non è un genere letterario, ma preesiste a qualsiasi genere letterario. Che cos’è un genere letterario? Come nasce l’idea di genere letterario? L’idea o la necessità di raggruppare in qualche modo i prodotti letterari che una civiltà crea nasce quando ovviamente abbiamo una proliferazione di prodotti letterari, di creazioni intellettuali e nasce l’esigenza di classificarli. Quindi un genere letterario è per così dire una categoria della scrittura letteraria. L’idea che noi abbiamo di letteratura, ovvero di un’opera qualsiasi composta intenzionalmente da un autore che ci inserisce delle intenzioni e delle funzioni varie, ma anche una dimensione artistica, stilistica elaborata con una determinata ricerca nell’elaborazione del racconto appunto quando noi abbiamo una proliferazione di quest prodotti, di queste creazioni nasce l’esigenza di suddividere o di classificare questa ampia gamma di produzione letteraria in generi. E’ un’esigenza classificatoria che noi capiamo meglio se vediamo, spostandoci in pieno ellenismo, quello che è successo ad Alessandria. Quindi siamo nella biblioteca alessandrina in epoca ellenistica intorno al 280 a. C. La dinastia dei Tolemei, l’ultimo regno di matrice greca dopo la conquista romana (l’ultima città a cadere in mani romane è Corinto). Quale funzione ha la creazione della biblioteca? I Tolemei capiscono che l’enorme patrimonio letterario prodotto nei secoli precedenti in tutta la Grecia (si intende anche la città di Cirene in Africa, Marsiglia in Francia, la città di Olbia situata nell’estremo Nord del Mar Nero, ecc.) va conservato. Nel mondo greco già nell’Alessandria del 280 a..C. si pone il problema di come conservare e raccogliere tutti questi testi per metterli a disposizione dell’umanità o meglio di un pubblico di lettori. Ne frattempo si è passati dalla civiltà dell’oralità a quella della scrittura. Ed ecco che allora, i Tolemei mandano in giro per l’Ecumene (il mondo abitato) dei messi incaricati di raccogliere in ogni città, in ogni isola, in ogni regno, i testi conservati negli archivi di stato, negli archivi delle famiglie aristocratiche, nelle biblioteche che già si erano formate anche se in misura approssimativa. Sappiamo che nell’Atene di Aristotele e di Platone già c’era una biblioteca che serviva anche come sede di studio per gli allievi di Platone, ma soprattutto di Aristotele. Ma comunque è in età ellenistica, nell’Alessandria del III sec. a. C. che tutto questo viene sistematizzato. Immaginate le navi che partono da Alessandria verso i quattro angoli del mondo greco con l’incarico di comprare tutti i testi che potevano trovare. Questi testi erano scritti principalmente su rotoli di papiro (equivalente del nostro libro attuale). Una volta che tutti questi rotoli vennero portati nella biblioteca di Alessandria, si pone un problema: come organizzarli? Come raccoglierli? Ed è quando un tipo di scrittura letteraria si è già affermato che nasce la necessità di far fronte a questa moltitudine di scritti e di organizzarli secondo determinati criteri. Questo è importante perché ci fa capire che Omero ( e gli altri poeti lirici dell’età arcaica) non si preoccupava di quale genere dovesse comporre. Perché? Per un motivo molto preciso: la poesia antica nella fase arcaica e anche classica ad eccezione della tragedia e della commedia, nasce sempre da un’occasione precisa. Ovvero , vi ricordate Lode a Luigia Pallavicini caduta da cavallo, un poema nato perché un’amica del poeta era caduta da cavallo. Il poeta compone un’ode per consolarla. Nella poesia greca è tutto così, ovvero io vinco una gara atletica a Olimpia e di conseguenza pago un poeta perché celebri le mie gesta. Dunque l’idea di genere in Grecia nasce soprattutto in età alessandrina quando con la creazione delle biblioteche, quando arrivano 17 rotoli di papiro con i poemi di Pindaro fu necessario organizzare quella enorme mole di materiale. Ed ecco che allora la suddivisione avviene sulla base di alcune coordinate comuni che si trovano relative al contenuto, ma prima ancora di questo c’è una distinzione molto generale. Se io vi parlo di letteratura, la prima distinzione che viene in mente di fare è fra opere scritte in prosa e opere scritte in verso. Così cominciamo a definire le due categorie di poesia e prosa. Poi c’è un altro genere che è ad esempio la tragedia. Per i greci la tragedia era comunque poesia perché tutte le tragedie greche sono scritte in versi (il fenomeno è particolarmente complicato perché abbiamo anche molti metri diversi, non uno solo come nell’epica). Possiamo inserire una terza divisione: prosa, poesia e teatro (genere teatrale all’interno del quale possiamo inserire anche la commedia). Poi per distinguere tra commedia e tragedia, ci basiamo su tutta una serie di elementi che sono il contenuto, la trattazione e in questo caso abbiamo anche già la distinzione effettuata dai greci fra tragedia e commedia. Anche se le rappresentavano nell’ambito delle medesime feste, però le distinguevano. All’interno di questa nuova esigenza data dalla scrittura e dalla formazione delle biblioteche, si forma una nozione di genere. Nozione che tuttavia non è sufficiente perché se noi diciamo poesia siamo perfettamente consapevoli del fatto che poesia significa discorso in versi, ma che abbiamo un’infinità diverse: dalla poesia di un verso (es. “Mi illumino di immenso” che appartiene al mondo contemporaneo di Ungaretti) al poema costituito da migliaia di versi. Ci rendiamo conto che è necessaria una serie di distinzioni ulteriori. In particolare nel campo della poesia lirica, che è molto più elaborata. Ed ecco quindi che noi cominciamo a vedere sulla base di queste distinzioni che sono già state fatte in età alessandrina, ma che in alcuni casi risalgono all’epoca precedente, capiamo che i greci avevano una nozione diversa di Omero ed Esiodo che non mettevano insieme a Saffo. Li mettevano nel genere della poesia epica. Visto che abbiamo citato Saffo, perché non mettevano Omero ed Esiodo vicino a Saffo? Perché Omero ed Esiodo compongono lunghi poemi in un metro sempre uguale, cioè fatto da una successione di versi sempre strutturalmente identici, una catena narrativa “monotona”; mentre in Saffo troviamo poemi anche di soli dieci versi con una struttura metrica molto più articolata: ogni metro è diverso a seconda del verso. Quindi abbiamo questa netta suddivisione fra vari generi sia poetici che in prosa. Ovviamente anche in prosa bisogna poter fare delle distinzioni perché se Erodoto e Tucidide parlano di storia, Ippocrate parla di medicina, Platone e Aristotele parlano di filosofia anche se poi trattano altri infiniti campi del sapere ( matematica, scienza, scienze naturali, ecc.). E’ importante comprendere che un genere nasce da questa necessità di distinzione e classificazione. Noi possiamo recuperare molto di quanto già avevano fatto gli alessandrini nelle gallerie della biblioteca di Alessandria e utilizzare questa suddivisione per esaminare il primo prodotto letterario della Grecia arcaica che è la poesia epica. Cosa significa epos? Epos significa molte cose: significa parola, significa verso, significa anche gruppo di versi. Epica è parola derivata dal greco antico che indica il verso per eccellenza dell’antichità quell’esametro epico che già ritroviamo nelle due testimonianze più antiche che ho trattato (l’iscrizione del Dypilon e la coppa di Nestore). Quindi è un verso di grnade antichità con questa cadenza che permette la ripetizione per centinaia di versi, che ha determinate modalità di composizione, che è divisibile ogni metro in sei mini strutture, una sorta di meccanismo molto ben oleato che permette poi il ricorso a quella composizione formulare che permette una facile memorizzazione e che permette al poeta che recita di utilizzare meccanicamente determinate espressioni, determinate frasi, determinate tipologie di descrizione, risparmiando la mente dallo sforzo di creare ogni verso in modo originale e nuovo. Epica ha degli elementi di originalità, ma è una poesia fondata su un concetto per noi un po’ strano, cioè l’economicità della dizione poetica. Cosa significa? Significa che ogni verso è creato pensando al minimo sforzo mentale possibile per metterlo in atto. Quindi nonostante la straordinaria ricchezza del lessico greco (è una delle lingue più ricche in assoluto, insieme al tedesco e al cinese), quando un poeta epico compone utilizza sempre un unico aggettivo in riferimento a un eroe (es. Achille è infinite volte chiamato nell’Iliade “pié veloce”) 50.00 (citazione in greco che costituisce già tre quarti di un esametro). Se io, poeta epico, definisco Odisseo, tendo a chiamarlo con quella che è una delle sue caratteristiche principali (50.33 “dal multiforme ingegno”). Anche in questo caso avrei pronto nella mia testa un tre quarti diverso che utilizzo ogni volta che descrivo episodi inerenti a Odisseo. C’è un’ulteriore differenziazione che va fatta. Questo va bene se io devo riempire tre quarti del verso, ma cosa mi succede se devo riempire solo metà del verso perché l’altra metà è già occupata? la sua identità). Gli chiede di cantare e raccontare l’episodio del cavallo di legno Troia. Lo usa come jukeboxe e gli chiede di cantare uno specifico tema di canto: l’episodio del cavallo di legno di Troia. Domanda estremamente insidiosa perché Demodoco non è mai stato a Troia. Dunque gli chiede di inventarsi un racconto del quale Odisseo è testimone assoluto. Demodoco iniziò (1h 10.16) “ispirato da Dio” e iniziò l’episodio del cavallo di legno da quando i troiani lo condussero all’interno della città. Demodoco, ispirato dal dio, crea un racconto estremamente convincente, abile ed emotivamente coinvolgente. Scena bellissima: Odisseo, testimone verace dell’episodio, si commuove ascoltando il racconto inventato da Demodoco. Piange. Per non farsi vedere si copre la testa con un lembo del mantello, ma Alcinoo si accorge del disagio di Ulisse e interrompe l’aedo. Da questo episodio possiamo capire che la composizione di poesia epica nasce da specifici temi di canto. L’aedo aveva la conoscenza di tutta una serie di miti; ognuno di essi conteneva un determinato episodio. Inizialmente quindi la poesia epica, o il racconto della guerra di Troia, non si snodava in un canto epico orale di 14mila versi, ma si articolava in tutta una serie di temi di canto, cioè episodi distinti che un aedo (dal greco 1h 12.57 che significa”cantare”) era in grado di comporre, di recitare, di improvvisare, a seconda della propria abilità e competenza. Il mito anticipa i generi. Il mito è un racconto: esisteva il mito della guerra di Troia, esisteva il mito della guerra di Tebe. Il mito di Medea e il mito di Teseo, sono due miti che precedono cronologicamente l’episodio della guerra di Troia e precedono anche le vicende di Edipo. La saga degli Argonauti e le imprese di Teseo, erano collocate dai greci in una o due generazioni prima della guerra di Tebe e poi della guerra di Troia. C’era comunque un’articolazione cronologica che i greci davano a questi miti perché non vi era una distinzione fra spazio mitico e spazio storico: erano interpretati dai greci come un continuum. Di conseguenza, quello che possiamo ricostruire è che in epoca arcaica circolassero questi miti, in particolare quelli articolati nell’arco di anni (es. la guerra di Troia, quello che succedeva prima e dopo l’Iliade). L’Iliade narra di un numero ridicolo di giorni rispetto ai 10 anni di durata della guerra. L’Iliade non finisce con la distruzione di Troia. L’episodio del cavallo di legno che Odisseo chiede a Demodoco, non è presente nell’Iliade. L’Iliade finisce con la morte di Ettore, ma poi tutta una serie di episodi (es. la morte di Achille, dell’amazzone Pentesilea, la morte del figlio di Aurora, ecc) avvengono in un altro spazio narrativo che non è quello dell’Iliade. Se noi dobbiamo immaginare la costruzione di poesia epica, dobbiamo immaginare che intorno ad alcuni temi fondamentali (l’ira di Achille, la morte di Ettore,l’episodio del cavallo di legno) vengono composti dei poemi. Due aedi provenienti da zone diverse della Grecia nell’VIII sec. (cultura orale) conoscono ad es. la storia della morte di Achille, ma la racconteranno con alcune differenze nella fase iniziale. Due aedi che vivono nel V secolo (1h 18.00) Nella fase iniziale noi abbiamo tutta una serie di temi di canto che potevano riguardare la guerra di Troia, le vicende di Edipo, le avventure di Teseo che circola in forma sciolta raggruppata in un numero limitato di versi. L’assemblaggio di una sequenza narrativa estremamente più articolata come lasso di tempo ha preso molto più tempo ed è avvenuta in una fase successiva da parte di qualcuno particolarmente abile, ottimo conoscitore della tradizione epica che si è preso la briga di organizzare tutto questo. Quindi noi abbiamo l’Iliade e l’Odissea divise in 24 canti che iniziano con delle formule fisse, dei versi che staccano e che ricorrono più o meno identici. Quando Tucidide o Aristotele, cresciuti leggendo Omero, devono citare un episodio in Omero, citano dei temi di canto, per episodi (es. Tucidide “Omero nella battaglia presso le navi racconta che” cita un tema di canto, un episodio dell’Iliade che si svolge fra il dodicesimo e il tredicesimo libro dell’Iliade). Da notare che la grande maggioranza delle citazioni dei versi di Omero che noi troviamo in Aristotele, in Platone e negli autori antichi, è identica all’Iliade e all’Odissea che abbiamo noi. Ciò vuol dire che Aristotele, Platone e tutti gli altri erano nella stessa condizione in cui si trovano i greci del V secolo, ovvero circolava già una versione standardizzata per cui i versi che loro citano sono gli stessi che noi troviamo nell’Iliade che è arrivata fino a noi. Ciò significa che a un certo punto questi temi di canto che circolavano sono stati messi insieme per costruire un poema unico che racconti questo gigantesco episodio. L’Iliade è un racconto espanso in modo mostruoso della conseguenza dell’ira di Achille. L’Iliade inizia con l’ira di Achille che si ritira dalla guerra contro i troiani perché offeso da Agamennone (ma ci troviamo già nel decimo anno di guerra e l’Iliade non dice cosa accade nei nove anni precedenti) e finisce negli ultimi canti con il ritorno in guerra di Achille per un motivo preciso: Ettore gli aveva ucciso l’amico del cuore Patroclo. L’ira iniziale di Achille offeso da Agamennone, raddoppia e si unisce all’ira finale di Achille stravolto dalla morte di un suo amico fraterno. La costruzione di un racconto epico, quando dal mito si passa alla forma letteraria, nell’epoca arcaica deve essere avvenuta in questo modo: temi di canto in seguito raggruppati in un racconto organico contenuto in un unico poema. Nel momento in cui questo poema viene trascritto, dunque definitivamente fissato per iscritto e conservato da qualche parte, ecco che quello diventa un mito in forma di poema e che quel racconto diventa fissato per sempre. Molti di questi racconti non sono arrivati ad essere fissati per iscritto e non sono giunti fino a noi. Sono giunti fino a noi solo dei frammenti di autori come Aristotele, Platone, ecc. che citano versi di questi poemi.