Scarica INTRODUZIONE ALLA LETTERATURA GRECA - LEZIONE 9 e più Sbobinature in PDF di Letteratura Greca solo su Docsity! LEZIONE 9 Torniamo al mondo dell’epica e al mondo dell’Iliade, di cui ho potuto dare solo un’indicazione passeggera, ma spero di avervi dato l’idea di quello che è l’ideale eroico e della funzione dell’epica eroica. Se noi ci chiediamo: ma a chi è che interessava, nell’uditorio antico, ascoltare le gesta di fatti avvenuti tre, quattro secoli prima? Lo capite bene in quella scena che ho rappresentato nell’ottavo canto dell’Odissea quando Ulisse chiede a Demodoco di cantare la storia del cavallo di legno. La funzione è primariamente di intrattenimento, per il pubblico dei villaggi e delle città che si radunava nell’agorà (che era il centro principale, la piazza all’aperto nella quale arrivava un cantore e si metteva a cantare davanti all’uditorio venuto appositamente), è questo il luogo principale delle performance. L’altro è, come vi ho detto, l’ambiente più ristretto, ma altrettanto affollato, del santuario (il santuario era un luogo nel quale c’era un recinto, c’era l’altare, una serie di edifici…ed era l’ambiente di feste religiose in onore del dio, non diversamente dalle processioni che noi tutt’ora abbiamo in molti paesi o da feste analoghe). Nella cultura dei Greci, anche all’interno del santuario avvenivano queste performance, queste esecuzioni di poesia epica; abbiamo visto ieri l’esempio di quel passo citato da Erodoto 5. 67, in cui Clistene di Sicione, come abbiamo detto, esercita il primo esempio di censura dell’antichità, vieta la recitazione di poemi epici, perché celebravano troppo Argo contro la quale Clistene era in guerra. Non sappiamo se quelle recitazioni avvenissero nell’agorà oppure nei santuari, comunque il santuario è una sede come ci racconta Tucidide 3.104, nel III libro, parla del santuario di Delo, un’isola bellissima, l’isola sacra, luogo precipuo, insieme a Delfi, del culto di Apollo (e nel caso di Delo anche della sorella Artemide, la dea cacciatrice) e Tucidide ci dice che a Delo ogni anno avvenivano questi panegoureis (pan significa “onnicomprensivo” in sostanza), queste feste gigantesche con recitazione di poesia epica, con agoni musicali e grande partecipazione di folla dalle isole vicine, ma anche dalle città prospicenti le coste del mar Egeo. Quindi abbiamo degli autori e delle fonti che ci fanno immaginare come avvenivano, quale fosse la dimensione entro la quale veniva recitata questa poesia. Ovviamente il terzo contesto di performance è quello della corte sontuosa di Alcinoo dei Feaci, questa pur essendo una corte immaginaria (che non conosce la vecchiaia, la malattia eccetera) però esprime una poesia di corte, dove c’è il signore aristocratico, il re, il principe, esattamente come Ulisse ad Itaca (nell’Odissea abbiamo due cantori principali: Demodoco nella corte dei Feaci e nella stessa Itaca troviamo Fenio. Demodoco è cieco perché l’aedo è spesso cieco, nel senso che la cecità o la privazione di un organo, in particolare della vista, affina gli altri sensi (ed è non una tradizione, ma una prassi di necessità, che ritrovate anche nella musica del secolo scorso, dove molti cantanti e musicisti, soprattutto blues e del jazz, erano effettivamente ciechi, perché si ritrovavano menomati e quindi con una sensibilità particolare musicale e una professione che gli permetteva di girare di città in città, di piazza in piazza). Quindi tre sono in contesti nei quali possiamo immaginare la recitazione di questa poesia, con un’unica intenzione, un’unica finalità stratificata: poesia di intrattenimento. Nel mondo aristocratico, il signore che godeva della recitazione di questa poesia, poteva anche vantare o essersi costruito una genealogia che risaliva ad uno degli eroi celebrati nell’epica. In una dimensione più allargata, più politica, una città, chiaramente, se sentiva la recitazione del catalogo delle navi vi si ritrovava con eroi che compirono le gesta famose, rivendicava (come abbiamo visto nel caso di Sicione e nel caso di Atene con l’esempio che vi ho fatto) il proprio diritto, il proprio prestigio, il proprio status politico di fronte alle altre poleis, alle altre città greche. Infine, l’uditorio non poteva che gioire di queste gesta dal passato sentendo le storie di eroi. Questo è il mondo della poesia epica eroica e questo può valere a maggior ragione per un altro poema epico di cui abbiamo solo frammenti, ma in gran numero. Cosa vuol dire quando noi abbiamo molti frammenti tramandati su papiro, arrivati a noi dalle sabbie di queste oasi in Egitto? Cosa ci comunica questo? Ci comunica che quel racconto, quel poema, quella tragedia eccetera, erano molto popolari attraverso i secoli, quindi ci dà un marker sociologico, quel testo ha continuato ad essere letto dopo l’età ellenistica e perciò copiato (laddove c’è una domanda del pubblico, esattamente come al giorno d’oggi si stampa una seconda, una terza o una quarta edizione, nel mondo antico si copiavano a mano questi testi). Quindi il catalogo delle donne, attribuito ad Esiodo, che narra ad esempio del giuramento dei pretendenti, dell’astuzia di Odisseo, spiega il perché non fu Achille a sposare Elena, il catalogo di tutte le donne mortali che si unirono a un dio e quindi generarono stirpi di eroi, a sua volta suscitava un enorme interesse (questo spiega perché è stato copiato ancora nel III- IV sec. d.C.), perché ovviamente a quelle genealogie e a quelle città i Greci facevano risalire il loro passato remoto, la loro storia. Con l’Odissea, come vi ho detto, noi ci muoviamo verso un altro mondo: è sempre il mondo eroico (perché Odisseo è protagonista a Troia, ideatore del cavallo di legno), ma è un Odisseo dopo la guerra, il quale deve scontare una colpa, quella di aver fatto un po’ di cattiverie a dei segni forti della consapevolezza umana. Nell’Odissea trovate una versione molto più approfondita anche perché non c’è una situazione di guerra, non c’è una situazione univoca, vivi o muori, c’è un mondo appunto molto più articolato. L’elemento fantastico nell’Odissea che importanza ha, non solo ovviamente nella struttura, nella dimensione narrativa, ma che importanza ha nella letteratura che viene dopo? (queste prospettive sono ovviamente molto interessanti, a parte li ritroviamo, e lo vedremo la settimana prossima, anche nel “Gilgamesh”, ma queste prospettive di inaugurare il genere del fantastico intriso di magia e ambientato in luoghi lontani). Dobbiamo sempre tener presente alcune analogie fondamentali con i racconti di fiaba, dove il magico prevale e, vi ricordo, che anche nell’episodio che scatena la guerra di Troia, il rapimento o la fuga di Elena insieme a Paride, avete un elemento del Volktale, ovvero del racconto popolare della sposa felicemente sposata con prole, che comunque lascia il focolare e parte alla ricerca di un’altra vita e questo è un motivo che trovate nel Volktale, il rapimento della sposa, che poi implica che la donna è consenziente (nella cultura moderna o contemporanea mi viene in mente una canzone di Bob Dylan, poesia folk americana, che aveva scritto sulla propria chitarra, aveva inciso negli anni quaranta “questa macchina uccide il nazismo” e andava in giro a cantare, grande erede della poesia popolare americana, una canzone intitolata “lo zingaro Devi” che racconta la storia di questa donna che fugge con questo zingaro, un personaggio fascinoso; il marito torna, chiede dove è andata lei e scopre che è andata via con Gipsy Devi). Su un campo più raffinato potete pensare alla “Anna Karenina” di Tolstoj, ovvero una figura femminile molto potente che si lascia affascinare da un altro sciupafemmine, il conte Vronskij, e abbandona il focolare domestico, con una dimensione ricchissima, di sfarzo, lusso, un marito però palesemente noioso, ma con un bambino e sarà il ricordo di quel bambino che la porta poi a frasi travolgere da un treno nei binari di una stazione. Che elementi ci sono in comune? Che se voi leggete la storia di Elena, appare anche l’elemento della bambina, di una figlia abbandonata. Saffo, questa straordinaria poetessa e voce femminile in un mondo arcaico greco maschile, mette in luce la forza dell’amore, dà una valenza positiva all’azione di Elena, come prova estrema di amore, di capacità che avuto di lasciarsi alle spalle i genitori, il marito e la figlia. Ovviamente tutti gli altri poeti maschili condanneranno il gesto di Elena per aver causato la guerra di Troia. Questo per ricordarvi che i motivi popolari tradizionali affiorano ovunque nei poemi epici. In Omero trovate una splendida elaborazione narrativa, una capacità di narrare che non c’è nei Volktale. Comunque nell’Odissea i motivi sono molti perché i filoni di racconto sono molti: abbiamo visto già con il mito di Edipo, che nell’undicesimo canto c’è uno delle alte aspirazioni della mente umana, cioè di andare a vedere cosa c’è oltre, la discesa negli Inferi, dopo aver compiuto i riti prescritti dall’indovino Tiresia, scende nell’Ade e incontra tutte queste eroine, che sono a loro volta generatrici di miti, come abbiamo visto nel caso della bella Epicasta, madre di Edipo, e quegli 11 versi a loro dedicati, sono un mito incastonato in un altro racconto. Abbiamo visto la plasticità e la flessibilità del mito di Edipo in relazione alle varie epoche e ai contesti sociali nel quale viene raccontato e se io vi ho celebrato oggi il mito di Odisseo come il mito della nostalgia e dell’amore incrollabile verso la bella moglie Penelope, la quale, in simmetria col marito, ha a sua volta una competenza di astuzia e di intelligenza (pensate alla tela che Penelope tesse di giorno per disfarla di notte per ingannare i suoi pretendenti), quindi Penelope è intellettualmente all’altezza del marito e, in effetti, quando ci sarà il riconoscimento tra i due questo si gioca proprio sulla dimensione dell’astuzia: Penelope non è ancora sicura che quello sconosciuto davanti a lei sia il marito che non vede da vent’anni e dice all’ancella, in presenza di Odisseo: “Va bene, ammesso che costui sia mio marito – anche se ha ucciso tutti i pretendenti, del che lo ringrazio – tu Euriclea preparagli il letto nella stanza di là…” e, a questo trucco deliberato di Penelope, Odisseo stupisce e dice: “ma come fai ad avere il letto in quella stanza, se io stesso l’ho scolpito nel tronco di un ulivo in modo che fosse sempre radicato solo nella nostra stanza e che fosse intrasportabile?” e da questo segno Penelope riconosce il marito, attraverso le astuzie della mente. Ma per disincantarvi sulla flessibilità del mito in epoca arcaica, di questo binomio di fedeltà assoluta di Penelope nei confronti di Odisseo (il quale va con altre donne rimpiangendo sempre la moglie, va con Calipso ma pensando sempre a casa) già alla fine del VI secolo a.C. circolavano versioni un po’ più piccanti di Penelope. Cera una versione cantata dal poeta lirico Pindaro, raccolta anche da Erodoto, che diceva che Penelope si fosse unita al dio Hermes o al dio Apollo, e avesse avuto come figlio An. Quindi una prima unione di Penelope col dio, voi potete dire che alla divinità non si può dire di no, ma nel corso del tempo si è sviluppata una versione completamente alternativa a quella canonica dell’Odissea, che vedeva Penelope cedere al più fascinoso dei pretendenti Alcinoo, e in epoca ellenistica una versione che vedeva Penelope andare a letto con tutti i pretendenti. Ora è un’immagine sorprendente, perché siamo cresciuti sentendo la proverbiale fedeltà di Penelope. Ma cosa vuol dire una versione così radicalmente alternativa? È difficile capirlo, perché abbiamo solo frammenti, non abbiamo un racconto continuo che ci faccia capire perché a un certo punto qualcuno crei una versione altra, cioè è Omero che esagera o sono queste altre voci che reagiscono a questa insopportabile fedeltà del poema omerico? Non siamo in grado di dirlo, ma dobbiamo tenerne conto perché dettagli come questo ci significano l’inesauribile capacità dei Greci di rileggere reinterpretare il mito. Le implicazioni di questa altra Penelope sono infinite: 1. che interesse poteva avere Odisseo a ritornare da una moglie infedele? 2. Cosa succede quanto torna a Itaca? C’era un poema epico che chiudeva l’intero mondo eroico che raccontava anche un’altra versione del mito di Odisseo, quindi vediamo l’esistenza di tante versioni di queste figure eroiche. Un’altra differenza con l’epica eroica è che l’Odisseo lascia spazio anche a delle figure non eroiche: il porcaio, il capraio, cioè figure delle realtà popolare, della dimensione dei sudditi, con i quali Odisseo esprime un rapporto di totale condivisione, di totale sympahteia nel senso etimologico del termine (cioè non c’è il signore aristocratico o il re che ordina al servo di fare qualcosa, c’è la costruzione di un’alleanza di Odisseo con Eumeo che diventa suo alleato e gli è stato fedele. Quindi l’Odissea convoglia anche questa nuova società borghese, in cui affiora l’idea che anche gli emarginati i sudditi hanno comunque un’esistenza, una dimensione in grado di relazionarsi con il mondo eroico. Vedete che ci sono vari modelli di fedeltà nell’Odissea: quella di Penelope, quella di Eumeo, e l’infedeltà delle ancelle che amoreggiano con i pretendenti e di qualche altro suddito, o, anche lì estremamente moderna e animalista in chiave animalesca, la fedeltà del cane Argo che non vede il padrone da molti anni, lo riconosce, è in punto di morte, scodinzola, lo festeggia per poi morire poco dopo (un punto molto significativo nella sua dimensione umana, che è stato visto molto bene dal poeta argentino Borges e dal poeta caraibico Dereck Walcott, di recente premio Nobel, che nel suo romanzo “Omeros” parla a sua volta dello sterco nel quale il povero Argo malandato e maltrattato ormai era adagiato, fin quando un ultimo impulso vitale gli viene quando riconosce il padrone; quindi vedete come gli spunti che questi testi antichi offrono siano infiniti e come siano stati riletti in chiave multiforme da numerosi letterati). Il poema può anche essere letto in chiave moderna. come il racconto di un giustiziere buono, il quale, con l’aiuto di pochi alleati fedeli, stermina il mucchio di cattivi che minacciava il villaggio, e allora da questo punto di vista, abbiamo tutta una tradizione cinematografica, quella dei “sette samurai” di Kourosawa e dei “magnifici sette” o“sette spose per sette fratelli” (sia nel cinema giapponese, che western statunitense), in cui il tema del villaggio in cui ci sono i cattivi e dei buoni che arrivano dall’esterno, è un formidabile elemento di narrazione (il numero sette ricorre spesso e vi rimanda ai “Sette contro Tebe” che vanno, da La storia della guerra di Tebe diventa meno popolare rispetto alla guerra di Troia perché non ha quel valore paradigmatico dei greci contro i barbari, è una guerra interna a due città della Grecia, quindi alla fine è meno interessante rispetto alla guerra del mondo greco in cui era essenziale la partecipazione delle altre città della Grecia. Iniziamo la storia della guerra di Tebe, ovvero con le vicende che sono quelle di Edipo che uccide il padre Laio che erano narrate nel poema chiamato Edipodia, dove Edipo alla fine si risposa e ha i figli dalla seconda moglie; poi seguiva la Tebaide, ovvero la storia della lotta fratricida tra i due eroi e con la spedizione dei 7 contro Tebe (che è la formula più popolare, i sette eroi erano tutti cattivi, curiosamente e alcuni verranno ripresi da Dante nella Divina Commedia – Dante non conosceva il greco e non erano ancora arrivati questi frammenti, ma conosceva alcuni autori latini e quindi viene a sapere di questi personaggi tramite Stazio). Nei sette a Tebe trovate una commistione di magico, di favoloso. Che cosa succede? Vi racconto un episodio che rispecchia un antico desiderio dell’uomo: nel corso della battaglia finale, uno degli eroi piu violenti Tideo (padre di quell’Diomede che combatte a Troia) viene ferito a morte, ma riesce con le ultime forze a uccidere l’avversario Menalippo (che abbiamo visto con Clistene di sicione), lo uccide, lo decapita e ingoia il cervello di Menlippo, una scena bruta, che nasconde un rito primitivo: se noi andiamo in Etruria e fronteggiamo sul Mar Tirreno il tempio di Pyrgi, troviamo sul frontone la scena che rappresenta questo mito (popolarità dei miti greci nel mondo etrusco). Tideo era protetto di Atena nel ciclo tebano (Omero lo era nel ciclo troiano), che decide di soccorrerlo donandogli l’immortalità, e nel frontone del tempio A di Pyrgi voi vedete Atena che arriva dall’alto con una ampolla, col farmaco dell’immortalità, ma vedete questa strana posizione semirovesciata di Atene che, nel momento in cui arriva, lo vede compiere questo gesto disgustoso e inorridita ritira il dono, che trasferirò sul figlio di Tideo, Diomede. È un rito animista che se tu ingoi il cervello dell’avversario riesci ad avere una seconda vita; quindi Tideo con quel gesto terribile cercava di sopravvivere. Altri elementi magici: il cavallo sul quale fugge Arione sul quale fugge il re Adrasto che non poteva essere raggiunto da nessuno e altri... Il motivo forte, comunque, è questa lotta fratricida, che raccoglierà grande interesse nel mondo della tragedia, perché rappresenta un altro aspetto di questa problematica, di come succedere al trono del padre: anche Eteocle e Polinice esprimono questo desiderio, sempre più problematico perché loro hanno anche la maledizione del padre sulla propria testa, e quindi questa rappresentazione dell’uno che uccide l’altro cosa esprime? Le irriducibili tensioni familiari tra padre, tra madre, quindi una forte componente simbolica che, non a casa, viene poi ripresa nei sarcofagi etruschi di età posteriore, in cui trovate questo mito popolare. La Tebaide è un poema unico perché gli assedianti che muovono contro le mura di Tebe (e qui vedete un parallelismo con le mura di Troia) non sono aiutati dal favore degli dei, questo lo dice già Omero in una breve allusione nel IV canto. Gli dei erano contro, di conseguenza, muoiono tutti e sei, meno Adrasto il capo della spedizione, che fugge. Questo poema comunque era straordinariamente popolare e bene giudicato dagli antichi. C’è uno storico antiquario, Pausania, studioso dell’arte antica, che dice “io giudico la Tebaide il più bel poema epico dopo Iliade e Odissea”. È interessante il terzo poema del ciclo epico tebano (noi diciamo ciclo epico per includere quello tebano e quello troiano che compongono un’unica serie), che è “gli Epigoni”. Cosa significa “epigoni”? i successori, quelli nati dopo, sono i figli dei sette a Tebe. Dal punto di vista del genere storico letterario noi abbiamo il primo esempio di poema seriale: (se fosse un film si chiamerebbe “i sette a tebe II la vendetta”) perché i figli mossi da un sentimento di vendetta di vendicare l’onore dei padri, come dicono le fonti antiche, per istigazione del figlio di Polinice, cioè il nipote di Edipo, Persandro, muovono contro Tebe per la seconda volta e questa volta la spedizione riesce, e i sette epigoni riescono a distruggere la città di Tebe. Il tema epico dell’assedio e della distruzione della città va felicemente in porto con gli Epigoni. Un accenno per dimostrare la permeabilità del mito e storia: trenta anni fa, nell’agorà di Argo che rappresenta l’identità politica e sociale della città, è stato recuperato un cippo, una colonna bassa, che reca l’iscrizione dei sette eroi contro Tebe. Cosa significa? In pieno arcaismo, nel VI secolo a.C., Argo celebra i propri eroi e il mito si fonde nella storia e viene utilizzato come arma di propaganda, allora capite perché Clistene di Sicione aveva difficoltà a combattere con una città ricca di miti potentissimi come Argo. La Tebaide, nonostante racconti uno scacco, diventa un poema estremamente famoso e gli eroi sono caratterizzati molto bene: Anfiarao che è un indovino e sa che incontrerà la morte in quella spedizione e non ci vuole andare, ma interviene Erifile la moglie, corrotta da Polinice con un oggetto fortemente simbolico, la collana della dea Armonia che aveva ricevuto durante le nozze di Cadmo e a quella festa parteciparono gli dei. Quindi abbiamo un eroe arrabbiatissimo per dover partecipare alla spedizione; poi abbiamo Tideo violento e tracotante che ingoia il cervello del nemico decapitato; abbiamo Capaneo, citato da Dante come esempio di arroganza, che sale sulle mura di Tebe con la scala proclamando che neanche Zeus lo potrà fermare e Zeuso puntualmente gli lancia una folgore che lo riconduce a cenere. Ognuno di questi eroi è connotato in un modo forte e per questo diventano popolari, nonostante falliscono. Curiosamente di quegli eroi che vincono non sappiamo nulla. Cosa succede con gli Epigoni? Sono figure molto più incolore, nessuno di loro emerge con un tratto particolare, ma noi capiamo da vari motivi che vincono, non muore nessuno dei figli di sette a Tebe, tranne uno, guarda caso proprio il figlio Egialeo dell’unico sopravvissuto della spedizione precedente Adrasto, che fugge con il cavallo magico. Cosa ci dice questo? Che gli Epigoni sono attentamente strutturati tenendo conto della Tebaide, c’è una sorte di contrappasso. Da questo fatto capiamo che questo poema è un po’ più tardo e che il vero poema della spedizione a Tebe era la Tebaide. Però nel momento in cui vi dico questo, vi ricordo che già nell’Iliade, il poema che consideriamo più antico, già nel IV libro al verso 376 trovate il figlio di quel Capaneo che verrà folgorato, Stenelo che dice, in un momento di crisi in cui i greci non sanno se tornare a casa perché Achille non vuole più combattere: “noi rimaniamo e vogliamo combattere. Agamennone non far le bige, perché noi Epigoni abbiamo già preso Tebe (quindi abbiamo già un passato glorioso)”. Davanti a questa cosa noi abbiamo un grande interrogativo perché dobbiamo pensare che il poeta dell’Iliade sembra conoscere questa versione che sembra essere più recente della Tebaide, ma Omero allude a quel mito, fa vedere che conosce anche i miti della storia di Tebe, ma ci sta raccontando la guerra di Troia, quindi collega due mondi, due storie e due tradizioni. In qualche modo noi capiamo che quel poema “Epigoni” è quello che viene creato, tra il nono-ottavo secolo, per collegare quelle vicende con le vicende della guerra di Troia. Diciamo questo perché una volta che gli Epigoni hanno terminato la vendetta, distrutto Tebe e riportato il nipotino di Edipo sul trono di Tebe, dieci anni dopo alcuni di loro vanno a combattere a Troia, perché sono tra i pretendenti di Elena. Allora capite che questa storia degli Epigoni che partono e che sono gli unici che possono vantarsi di aver distrutto sia Tebe che Troia è stata creata, si è forgiato un anello di congiunzione tra tradizioni epiche che erano molto distanti l’uno dall’altro, che erano indipendenti. In effetti, nessuno di questi tre epigoni che noi ritroviamo a Troia combinano alcunchè, cioè restano figure alquanto banalotte rispetto ai grandi Achille, Aiace, Odisseo e Agamennone. Quindi questo ciclo epico è importante perché noi nei vuoti, nei buchi, nelle riprese, nelle analogie e nelle contraddizioni vediamo qualcosa. Chiudo sugli epigoni e sulle vicende di