Scarica Introduzione alla storia della letteratura greca (da Lesky) e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Greca solo su Docsity! LA STORIOGRAFIA LETTERARIA DI FRONTE AI GRECI La letteratura greca e i suoi periodi Friedrich Schegel, nel 1798, spedì a Goethe la prima copia della sua Storia della poesia dei Greci e dei Romani, una trattazione dell’epica tutta e della lirica in parte. L’opera può considerarsi la prima di un genere a noi divenuto scolasticamente abituale, ma Schegel, com’ebbe a dire, aveva come unico intento quello di offrire per la poesia degli antichi quello che trent’anni prima era stato fatto da Winckelmann con la sua Storia dell’arte antica. Dai fratelli Schegel, a Schelling, a Hölderlin, a Hegel, la definizione dei generi poetici pervade la giovane filosofia dell’arte tedesca: nell’articolarsi delle differenti forme della poesia si ritiene di poter scoprire le potenzialità espressive dell’io poetico. Celebre il simmetrico e circolare schema delineato da Hölderlin, secondo cui, in apparenza ideale: - La LIRICA è in apparenza ideale e ingenua quanto al significato; - L’ EPICA è in apparenza ingenua ed eroica quanto al significato; - La TRAGEDIA è d’apparenza eroica e ideale quanto al significato. Diversa è la visione evoluzionistica, rettilinea, della storia della poesia, vista come una progressiva appropriazione della conoscenza, che individua fasi della storia dello spirito: - Epica: oggettiva - Lirica: soggettiva - Tragedia: oggettivo – soggettiva. A questo proposito, Peter Szondi afferma che “l’opera che Schegel voleva scrivere fu scritta da Hegel”. Nell’ Introduzione al Sistema delle singole arti (Estetica) il filosofo sviluppa il seguente schema: - L’epos pone il soggettivo della produzione in secondo piano esattamente nella misura in cui il poeta si immerge completamente nel mondo che egli svolge dinanzi ai nostri occhi; - Nella lirica lo spirito discende in se stesso – la rappresentazione è il contenuto dell’attività stessa della vita interiore; - Il dramma riunisce in sé l’oggettività dell’eèos con il principio soggettivo della lirica. Carmine Ampolo pone delle condizioni per il passaggio dalle teorizzazioni di Schegel ed Hegel alle vere e proprie storie della letteratura greca: - Il superamento della querelle des anciens et des modernes1; - Il necessario arricchimento delle prospettive storiografiche degli strumenti di indagine dei tempi nuovi A queste va aggiunta l’identificazione della letteratura greca con la totalità delle scritture tramandateci, a eccezione dei testi epigrafici: ciò si deve alla progressiva elaborazione di un’organizzazione enciclopedica delle conoscenze antichistiche, culminata nell’Enciclopedia e metodologia delle scienze filologiche di August Böckh. Lo studioso Karl Otfried Muller prende le distanze, rifiutando di introdurre i propri lettori nelle questioni delle scuole filosofiche, nelle teorie de’ grammatici e de’ critici, nel progressivo avanzamento delle scienze naturali fra’ Greci, in nessuna di quelle parti della loro letteratura che furono esclusivamente dei dotti e per i dotti. (esclusione del sapere specialistico/tecnico greco nella storia della letteratura antica). La periodizzazione di ciò che resta annesso alla letteratura che Müller ipotizza è la seguente: - Monarchia – Epica - Repubblica – Lirica - Democrazia ateniese – Dramma. 1 La querelle nacque nell’Académie Française e agitò l’ambiente letterario e artistico francese di fine XVII sec. Secondo gli antichi, capeggiati da Boileau, la creazione artistica era mera imitazione degli autori classici. (Non a caso Racine scrisse tragedie con gli stessi soggetti di quelle antiche e nel rispetto delle regole enunciate nella Poetica di Aristotele). Secondo i Moderni, rappresentati da Charles Perrault, sostenitori delle alte qualità degli artisti del secolo di Luigi XIV, gli autori classici non erano affatto insuperabili e la creazione letteraria doveva pertanto necessariamente rinnovarsi: la letteratura doveva essere interprete dell’epoca contemporanea. (Questi gli aspetti enunciati pubblicamente – in realtà, dal punto di vista politico, gli antichi erano vicini a Port-Royal e alla libertà nella Repubblica delle lettere; i moderni, per contro, erano presi da una sorta di furore normalizzatore). Ciascuno dei tre diversi generi poetici è presentato come l’espressione poetica più appropriata di una differente fase dell’organizzazione sociale o degli uomini che in essa si riconoscono. Il Compendio di Gottfrield Bernhardy del 1836, più volte ampliato e riedito, divenne sussidio di riferimento dei filologi tedeschi dei secoli scorsi. Lo studioso si pone in polemica con le compilazioni enciclopediche settecentesche, rivendicando il carattere di intrinsecità della propria trattazione. La partizione di Bernhardy è in sostanza quella cui siamo avvezzi: - Un primo periodo giunge da Omero alle guerre persiane; - Un secondo abbraccia gli anni tra le guerre persiane e l’avvento di Alessandro Magno - Un’età che chiamiamo ellenistica - Un’età che chiamiamo imperiale. Tale periodizzazione non è di forte rigore cronologico, ma tiene conto della specificità qualitativa dei generi e del loro ordinato concatenamento: Pindaro e Bacchilide, operanti nel V secolo e quindi contemporaneamente, ad esempio, ai tragediografi, vengono trattati insieme con i poeti del periodo precedente. Nel 1813 anche Schöll scrive un Compendio. Rispetto alle precedenti partizioni, la differenza sta nella collocazione della linea di passaggio dall’età che oggi definiamo arcaica a quella dell’affermarsi della polis, non più le guerre persiane, ma la legislazione di Solone. Nessuna periodizzazione può pretendere alcun diritto di esistenza oggettiva. La tradizione e i suoi filtri Müller apre la sua storia della letteratura greca affermando che la sopravvivenza di tutti i testi greci non avrebbe lasciato posto a nuove creazioni. Sono molte le biblioteche distrutte già nel corso della storia antica, a partire da quella della biblioteca di Alessandria nel 48 a.C. fino ad arrivare a quella del Palazzo di Costantinopoli nel 1204, a opera dei Crociati alla conquista della capitale bizantina. Il progetto di racchiudere tutto lo scibile umano negli scaffali di una biblioteca presenta un’aporia: la selezione fatta inevitabilmente, talvolta inconsapevolmente, dai fondatori e dagli ordinatori della biblioteca non tarda a presentarsi come universo compiuto, condannando a scomparire tutto ciò che non ne fa parte. Ad Alessandria giunge il testo ufficiale, stabilito dalla città di Atene, delle opere dei tre grandi tragediografi del V secolo, Eschilo, Sofocle ed Euripide: nel conservare con la dovuta solennità i testi dei tre, si condannavano di fatto a una progressiva dimenticanza tutti gli altri numerosissimi che nel corso di due secoli avevano rappresentato tragedie e spesso vinto l’annuale concorso ateniese (si suppone, sulla base di calcoli matematici riferiti all’occasione delle grandi Dionisie, che, al netto di dodici drammi prodotti attualmente, si arrivi a circa 3000 drammi, dei quali oggi possiamo leggere per intero solo 33). Altri canoni si sono andati affermando nel corso del tempo: due triadi comiche, una per la commedia antica (Eupoli, Cratino, Aristofane), una per la commedia nuova (Menandro, Difilo, Filemone); la corona dei 9 poeti melici ricordati dall’epigramma dell’ Antologia Palatina (Pindaro, Saffo, Bacchilide, Anacreonte, Stesicoro, Simonide, Ibico, Alceo, Alcmane); il catalogo dei dieci oratori (Anifonte, Andocide, Lisia, Isocrate, Iseo, Eschine, Licurgo, Demostene, Iperide, Dinarco) che pare risalga al I a.C. Della storiografia si è calcolato che ci sopravviva circa 1/43 di quanto fosse noto in età tardoantica. Perduta è andata la maggior parte della lirica arcaica e la quasi totalità della cosiddetta filosofia presocratica. Nell’analisi di motivi e modalità di queste scomparse, si delineano due tendenze esplicative: - La perdita di libri, o spesso di interi autori, è cieca opera del caso - La perdita di libri e/o autori risponde a precise scelte. Casuali si rivelano le perdite per traumi violenti; non casuale deve considerarsi la perdita dovuta a grandi progetti selettivi. rotolo. Su di esso gli autori abbozzavano le proprie opere e le portavano alla redazione definitiva, a meno che per l’abbozzo non preferissero il blocco per appunti di tavolette di legno colorate con pece: la caducità di questo supporto ci spiega perché non possiamo mai risalire fino all’originale di un autore. Conosciamo molte notizie sul modo in cui i poeti classici producevano i loro manoscritti: adoperavano tutte maiuscole, senza separazione fra le parole, spiriti, accenti; anche l’interpunzione si riduceva a poco. Sulla data in cui le opere letterarie cominciarono ad arrivare fra le mani della gente sotto forma di libri possiamo fare solo delle ipotesi: l’origine del libro greco va forse ricercata nell’ambito della giovane scienza ionica. Verso la metà del V secolo è accertata ad Atene l’esistenza di una letteratura tecnica, in vari campi, che doveva circolare in forma di libri – a introdurli avrebbe contribuito il filosofo Anassagora. La parodia di Aristofane, che presuppone nel pubblico la conoscenza dei grandi tragici, era possibile solo se i tragici erano largamente letti. Il libro più antico che conosciamo è il Papiro di Derveni, (Lete, Macedonia) datato tra il 340 e il 320 a.C. e contenente un trattato di natura religiosa, filosofiche rituale, principalmente sotto forma di un commento a un inno Orfico. Nel IV secolo la diffusione del libro ebbe un grande incremento, e Platone nel Fedro parla della comunicazione scritta del sapere come potenziale danneggiamento delle capacità mnemoniche. Inoltre, in mancanza di tutela dei beni culturali, era inevitabile che i testi largamente diffusi si guastassero: è significativo che l’oratore e statista Licurgo cercasse di proteggere l’opera dei grandi tragici imponendo il deposito di un esemplare di Stato – senza dubbio ad alterare i testi contribuivano molto anche le interpolazioni degli attori. Il lavoro compiuto per la letteratura greca dalla scienza alessandrina fu assolutamente decisivo. Già Tolomeo I fondò ad Alessandria il Museo, sede centrale del lavoro scientifico, che doveva disporre di una grandiosa biblioteca. Tolomeo II filadelfo completò la Biblioteca con l’intenzione di raccogliervi tutta la letteratura greca: 500mila volumi, che al momento della catastrofe del 47 a.C. dovevano essere saliti a 700mila. Il gigantesco catalogo di Callimaco, i Pinakes, divenne un inventario degli scritti allora conservati. Sotto il secondo Tolomeo si aggiunse la biblioteca del Serapeo. Il Museo divenne il luogo in cui, con le edizioni critiche, si dava una sicura protezione ai testi dei grandi autori. Dopo l’incendio ad Alessandria, nella tradizione occupa un posto importante anche la biblioteca del ginnasio Ptolemaion di Atene, i cui depositi passarono nella biblioteca di Adriano, costruita ad Atene nel 131-32. L’atticismo, con la sua predilezione per le forme classicistiche, e il fiorire della seconda sofistica nell’età degli Antonini suscitarono interesse per i grandi autori del passato; ma la vita intellettuale si era sempre più ristretta all’attività scolastica, che significò l’avvento delle antologie. Fu allora che si decise quali opere dovessero arrivare fino a noi. Un secondo fenomeno importante di selezione è rappresentato dal passaggio dal rotolo al codice, più comodo sia per la scrittura sia per la lettura. Per un certo tempo il papiro fu impiegato anche per i codici, ma fu sostituito sempre più largamente dalla pergamena. Quando la forma nuova ebbe soppiantato la vecchia, andò perduto tutto ciò che non era passato per quella trasformazione. La nostra storia della tradizione tocca i punti più bassi nei secoli “oscuri”, VII e VIII, nei quali la scomparsa della letteratura sarebbe stata quasi totale, se nel IX secolo Fozio con quel movimento che si suole chiamare deuteros Hellenismos. Abbiamo imparato a conoscere un po’ meglio questa figura con il ritrovamento, nel 1959 a opera di Linos Politis un codice del XIII secolo contenente, fra le altre cose, il lessico completo di Fozio. Fu con la conquista di Costantinopoli da parte dei crociati nel 1204 che andarono perduti autori che ancora Fozio aveva letto: Ipponatte, molto di Callimaco, Gorgia e Iperide, molto degli storici. Ciò che ha arricchito solo in tempi relativamente recenti alle nostre conoscenze nel campo della letteratura antica sono state le scoperte di papiri: fatta eccezione per i resti carbonizzati della biblioteca di Filodemo a Ercolano (la “villa dei papiri”), soltanto la sabbia del deserto egiziano, principalmente ad Ossirinco (Turner ci spiega perché) ci ha regalato di questi testi, importanti perché pervenuti solo su questo supporto alcuni, e per il raffronto con quelli contenuti nei codici altri (questi ultimi ci hanno dato la certezza che la tradizione medievale ha conservato i nostri testi con grande fedeltà). Gli inizi della letteratura greca La letteratura greca comincia per noi, nei poemi epici, con opere di matura perfezione. Le ricerche del secolo scorso, alle quali aprirono le strade gli scavi finanziati dallo Schliemann, hanno fatto apparire, dietro la luce radiosa di questi poemi, gli incerti lineamenti di circa un millennio di storia greca. L’epoca i cui le prime ondate migratorie di stirpi greche si spinsero dal nord nella parte meridionale della penisola balcanica sarebbe da collocare al principio del II millennio. I Greci non furono i primi abitatori di questo terreno: i ritrovamenti che esso ci ha dato indicano che gli immigrati trovano antiche civiltà preesistenti, considerevolmente evolute. I moderni sono soliti parlare di uno strato egeo. In una luce che in tempi recenti ha cominciato ad apparirci più chiara ci appare, a partire dalla metà del XVI secolo, quella civiltà che chiamiamo micenea e che si manifesta nelle rocche dell’Argolide, nel Peloponneso occidentale e nel bacino della Beozia. I ritrovamenti mostrano quanto questo mondo greco primitivo subisse l’influenza di quella ricca e singolare civiltà che nella prima metà del II millennio si irradiava dalla potenza marittima di Creta. Il fresco apporto di nuove stirpi greche fu il presupposto di quella nuova ascesa che nell’VIII secolo diede la perfezione dello stile geometrico e l’altezza della poesia epica. Le peculiarità di alcuni generi letterari greci, legati a una stirpe o a un dialetto hanno imposto un’articolazione del popolo greco, almeno a grandi tratti: - Popolazioni eoliche: Beozia, Tessaglia, parte della costa occidentale dell’Asia Minore e lesbo. - Popolazioni doriche: Peloponneso, Creta, Rodi, Asia Minore (parte sud-occidentale) - Popolazioni arcadico-cipriote. In età storica la distribuzione dei dialetti è in generale chiara, a tal punto da poter esser rappresentata su carta geografica (grammatica di Schyzer I,83). Per la storia più arcaica dei dialetti sussiste una serie di problemi: - da quando possiamo parlare di gruppi etnici e dialetti stabili nel senso poi divenuto comune? - Che rapporto c’è tra il greco miceneo delle tavole scritte in lineare B e i dialetti conosciuti? - Come si deve giudicare il rapporto dell’arcadico-cipriota con gli stessi? Ad ogni modo, non è possibile far discendere direttamente le singole lingue da un’originaria unità indo-europea: al posto di una ipotetica unità si parla di una molteplicità di isoglosse – Risch ha mostrato che le singole caratteristiche linguistiche oltrepassano di volta in volta i confini dei diversi dialetti. Lo ionico e il dorico avrebbero assunto la loro forma propria soltanto nelle emigrazioni e stratificazioni che seguirono all’età micenea. Egli suppone poi per il secondo millennio un antico greco meridionale da cogliere nella forma più pura nell’arcadico-cipriota, distinguendolo da un altro gruppo genuinamente rappresentato nella Tessaglia orientale. Il Risch, in linea con la concezione sulla formazione dei dialetti, scorge nella lingua micenea un pezzo della protostoria del greco che nelle tavolette in lineare B non ha raggiunto ancora il suo aspetto caratteristico specialmente per quel che riguarda la tipologia dei suoni e la declinazione. Georgiev considera la forma linguistica in oggetto come il risultato della sovrapposizione di elementi ionici più antichi con elementi eolici successivi. In tal modo sarebbe sorta una lingua eolico-ionica, l’ “arcaico”, da cui è derivata la koiné cretico-micenea delle tavole. Una soluzione pare profilarsi nella direzione indicata dal Risch. Due processi, risalenti entrambi al periodo preomerico, crearono presupposti decisivi per la letteratura greca: - Il sorgere della scrittura; - Il formarsi del mito greco. La conoscenza del sistema di scrittura, tuttora non decifrato, della Lineare A, a Cnosso, dovette andare perduta con la catastrofe della migrazione dorica. I greci dovettero ricominciare da capo: un geniale anonimo introdusse nella scrittura consonantica nord-semitica quei cambiamenti che permettevano di scrivere anche le vocali e condussero così alla scrittura alfabetica greca. Il suo documento più antico è contenuto nella coppa di Nestore (VIII sec.)che riporta un’iscrizione metrica. Poiché sul vaso del Dipilo si ha una forma di scrittura già differenziata e corrente, l’invenzione della scrittura alfabetica è fatta risalire a una data di lmeno cento anni anteriore all’epoca di questo documento. Nilsson sostiene che il mito greco si sia formato in età micenea, ma è molto più verosimile che il patrimonio di saghe eroiche dei Greci abbia assunto i tratti che noi conosciamo nel periodo dei cosiddetti secoli oscuri. È sintomatico per le caratteristiche di questa problematica il fatto che, quando dalla lineare B emersero diversi nomi già conosciuti nel mito, come Aiace, Achille, Ettore, Teseo, si scoprì che erano nomi d’uso nella vita di ogni giorno. Il mito greco, come il popolo greco in quanto tale, è il prodotto dell’unione di elementi indoeuropei e mediterranei.