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Istituzioni di Diritto Processuale Civile - Prof. Balena - Volume 2 - Capitolo 9 - La conclusione del processo senza decisione - 2010, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Istituzioni di Diritto Processuale Civile - Prof. Balena - Volume 2 - Capitolo 9 - La conclusione del processo senza decisione - 2010

Tipologia: Sintesi del corso

2010/2011

Caricato il 22/07/2011

foca71
foca71 🇮🇹

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Scarica Istituzioni di Diritto Processuale Civile - Prof. Balena - Volume 2 - Capitolo 9 - La conclusione del processo senza decisione - 2010 e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! “La conclusione del processo senza decisione” Istituzioni di Diritto Processuale Civile Prof. Balena — Volume 2° - Capitolo 9° LA CONCILIAZIONE Il processo civile oltre a concludersi con una sentenza definitiva, può concludersi in altri due modi: 1. Conciliazione 2. Estinzione La conciliazione giudiziale, da non confonderla con quella stragiudiziale, che in determinati casi come nel processo del lavoro costituisce condizione di procedibilità, è un esito che si verifica in modo abbastanza raro. Esso presuppone un accordo, solitamente transattivo, diretto a porre fine alla controversia, solo che tale accordo non basta, è necessario che venga formalizzato in un apposito verbale “verbale di conciliazione” dinanzi al giudice, affinché ci si possa munire di titolo esecutivo o per rendere inoppugnabile l’accordo raggiunto sul piano sostanziale. Il tentativo di conciliazione può scaturire o da una richiesta congiunta delle parti, o per iniziativa del giudice e ciò solitamente accade in fase di trattazione della causa, ma questo non toglie che tale tentativo di conciliazione possa essere rinnovato in qualunque momento dell’istruttoria, anche nel giudizio di appello. L'art. 88 disp. att. prevede che la conciliazione nel caso in cui interviene, tra procuratori non autorizzati a conciliare o transigere la controversia , il giudice dopo aver preso atto di tale accordo raggiunto dai procuratori a verbale, fissa una udienza per la comparizione delle parti per la formalizzazione del processo verbale. Sebbene la legge non lo precisi, è opinione diffusa che la redazione del verbale di conciliazione debba essere seguita d un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo, che serve a sancire il definitivo esaurimento del giudizio e il conseguente venir meno della litispendenza. Inoltre il verbale di conciliazione è oggi parificato a sentenza di condanna e pertanto si può con tale titolo dare esecuzione forzata. L'ESTINZIONE DEL PROCESSO Il codice prevede che l'estinzione possa avvenire in due modi: • per rinuncia agli atti del giudizio oppure • per inattività delle parti. Per quanto concerne la rinuncia agli atti, fino a quando la causa non perviene alla fase decisoria, l’attore, colui che ha proposto la domanda giudiziale, può dichiarare di non volere proseguire il giudizio e quindi di rinunciare agli atti del giudizio. Perché la rinuncia agli atti possa condurre all'estinzione, è necessario che sia accettata da tutte le parti costituite, compreso anche gli interventori, che potrebbero avere interesse alla prosecuzione del giudizio (art. 306). L’accettazione è importante in quanto l'estinzione, non pone al riparo il convenuto dal rischio di dover affrontare un nuovo processo, laddove la stessa domanda sia successivamente riproposta. L'accettazione è necessaria quando il convenuto abbia a sua volta proposto una domanda riconvenzionale, mentre non è richiesta né da parte del contumace, né da parte del convenuto che abbia eccependo, un difetto di competenza o giurisdizione, manifestato di non aver interesse ad una pronuncia di merito. Sia la rinuncia che l'accettazione devono provenire dalle parti personalmente o da un loro procuratore speciale, che potrebbe essere lo stesso difensore, solo che è necessario che quest’ultimo sia munito di una procura ad hoc, dato che questo potere non rientra nella procura ad litem. Le relative dichiarazione possono essere rese verbalmente all'udienza, e di ciò, ne verrà preso atto a verbale, come possono essere inserite in atti scritti, sottoscritti e notificati alle altre parti. L'accettazione non può contenere, pena l'inefficacia, riserve o condizioni, anche se è previsto che il rinunciante, che è tenuto al rimborso delle spese del procedimento nei confronti delle altre parti, possa subordinarla ad una determinata proposta di riparazione delle spese. Appurato che la rinuncia e l'accettazione siano regolari, il giudice dichiara l'estinzione e liquida le spese con ordinanza non impugnabile . Cosa ben diversa dalla rinuncia agli atti è: 1. rinuncia al diritto; 2. rinuncia all’azione 3. rinuncia ad una delle domande. Esse si distinguono dalla rinuncia agli atti non solo per presupposti ed effetti; ma anche perché il legislatore non ha previsto una espressa disciplina. a. la rinuncia al diritto, deve avvenire nei limiti consentiti dall’ordinamento; infatti è necessario tener conto della natura del diritto. E’ un atto unilaterale che opera sul piano sostanziale, e non richiede accettazione di soggetti diversi dal titolare da cui promana. L’attore e convenuto regolarmente costituiti, se entrambi “desertano” la prima udienza di comparizione o una delle successive, il giudice con ordinanza fissa una nuova udienza ai sensi dell’art. 309 c.p.c. che a cura della cancelleria viene comunicata alle parti, se a questa udienza nessuna delle parti compare, il giudice con ordinanza non solo ordinerà la cancellazione della causa dal ruolo, ma dichiarerà la estinzione del processo. b. Mancato compimento di atti d’impulso La estinzione immediata del processo oltre ai casi precedentemente indicati può avvenire a seguito di mancato compimento di atti nel termine perentorio stabilito dalla legge (di regola 3 mesi), oppure dallo stesso giudice quando la legge lo autorizza (oscilla da 1 mese a 3 mesi) Esempio di atti di impulso sono: • Riassunzione (rimessione causa ad altro giudice) • Prosecuzione (sospensione – interruzione) • Integrazione del giudizio (chiamata in causa del litisconsorzio necessario) • Rinnovazione della citazione o della notificazione della citazione che sia affetta da nullità. L'art. 307 stabilisce che l'estinzione opera di diritto ed è dichiarata anche d'ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio. La pronuncia spetta al giudice del processo estinto non potendo richiederla con una azione autonoma in un diverso giudizio; anche se la giurisprudenza prevalente ritiene che il maturare di una fattispecie estintiva possa essere accertato dal giudice di un diverso processo incidenter tantum, al solo scopo di valutare gli effetti che l'estinzione potrebbe determinare sul processo del quale egli è attualmente investito. La estinzione può essere dichiarata tanto dal giudice istruttore, che dal collegio. Dal collegio, quando l’evento estintivo si è verificato nel momento in cui la causa è stato rimessa per la decisione, dal giudice istruttore quando l’evento estintivo si verifica nella fase ad esso riguardante. Il provvedimento emesso dal giudice istruttore, ha la forma dell’ordinanza eccezionalmente irrevocabile, ma avverso la quale è ammesso reclamo al collegio entro 10 giorni dalla pronuncia. Collegio che a seguito di reclamo, decide in camera di consiglio con: a. Ordinanza non impugnabile, se accoglie il reclamo, se ritiene che l’estinzione non si è verificata e che il giudizio deve pertanto proseguire. b. Sentenza impugnabile, con il mezzo dell’appello, se il reclamo viene rigettato confermando la estinzione. Nelle cause che invece spettano alla decisione del giudice istruttore in funzione di giudice unico, la pronuncia di estinzione, riveste in caso di accoglimento, la forma della sentenza, sia perché egli è qui investito di tutti i poteri del collegio, sia perché, trattandosi di un provvedimento definitivo del processo, alle parti deve esser dato il diritto di impugnarlo. Nel caso in cui invece l’eccezione di estinzione viene rigettata, dato che, questa circostanza non è prevista e pertanto disciplinata dal legislatore ecco, che il provvedimento deve assumere la forma della ordinanza, dato che i provvedimenti dati dal giudice unico hanno la forma della ordinanza non soggetta a reclamo o ad altro mezzo di impugnazione, ma revocabile e modificabile. L’aver negato la estinzione, erroneamente, non impedisce alla parte di poter dedurre il vizio attraverso l’impugnazione della sentenza di mertio pronunciata a seguito di prosecuzione del giudizio. L'art. 310 disciplina alcuni effetti dell'estinzione del giudizio di primo grado: - l 'estinzione del processo non estingue l'azione, non osta alla riproposizione della stessa domanda in un nuovo processo, né può direttamente pregiudicare il diritto che era stato dedotto nel giudizio estinto; - la domanda giudiziale produce un effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione, che riprende a decorrere, di regola, dal momento in cui passa in giudicato la sentenza definitiva del giudizio. Se però il processo non arriva alla sentenza definitiva e si estingue prima, l'effetto sospensivo viene cancellato e sopravvive il solo effetto interruttivo: il nuovo periodo di prescrizione prende a decorrere dalla data in cui quell'effetto interruttivo si era verificato, dal giorno stesso della domanda giudiziale. Non è quindi escluso che l'estinzione del processo provochi, anche solo di riflesso, l'estinzione del diritto che vi era stato fatto valere; - la decadenza invece no può essere interrotta né sospesa, ma solamente impedita mediante il compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto. L'effetto impeditivo della decadenza, prodotto dalla domanda giudiziale, opera, in linea di principio, solo all'interno del processo in cui la domanda stessa è proposta, restando caducato ogni volta il processo si concluda senza una decisione di merito. Fanno eccezione le ipotesi in cui per evitare la decadenza non sia indispensabile una domanda giudiziale, ma sia sufficiente un atto stragiudiziale. L'art. 310 co 2° prevede che le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza conservino l'efficacia, pur dopo l'estinzione. Al co 3° stabilisce che l'efficacia delle prove raccolte nel processo estinto, qualora la domanda venga successivamente riproposta, è valutata dal giudice a norma dell'art. 116 co 2° (meri argomenti di prova), con allusione alle sole prove costituende, giacché quelle precostituite mantengono l'efficacia loro propria. Tale declassamento non riguarda la confessione.
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