Scarica Lo stigma e la gestione dell'identità: un'analisi di Erving Goffman - Prof. Bontempi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Istituzioni Di Sociologia solo su Docsity! Ervin Goffma Erving Goffman nacque nel 1922 in Canada e compì gli studi accademici tra Toronto (1945) e Chicago (1953). Il principale contributo di Goffman alla teoria sociale è la sua formulazione dell'interazione simbolica nel suo La vita quotidiana come rappresentazione del 1959. Gli indicatori linguistici «Oltre ai classici livelli fonetico, fonemico, morfemico e sintattico, ve ne sono ora altri che si riconnettono ad essi in diversi modi. Sono infatti state isolate nuove caratteristiche semantiche, espressive, paralinguistiche e cinesiche» > sono state isolate nuove caratteristiche semantiche, espressive, paralinguistiche (non strettamente legate alle parole) e cinesiche (hanno a che fare con il movimento come movimenti, gesti, le posizioni, la mimica del corpo, in modo volontario o involontario GESTO La base da cui il gesto parte è il CORPO, ossia la materia di cui il gesto stesso è fatto. La forma del gesto ci richiede di analizzare l’ORBITA MICRO-ECOLOGICA nella quale si trova il soggetto. Per scoprire il significato del gesto dobbiamo introdurre nel discorso l’ambiente umano e materiale nel quale il gesto viene compiuto. LA SITUAZIONE = ambiente fisico + occasione sociale. Per studiate certe proprietà del comportamento linguistico si deve prendere in considerazione: l’AMBIENTE FISICO nel quale colui che parla compie i suoi gesti, perché non si può descrivere a fondo un gesto senza fare riferimento all'ambiente nel quale esso viene compiuto.
D'altro lato, per scoprire quali aspetti della struttura sociale sono connessi all'uso linguistico, si deve prendere in considerazione l’OCCASIONE SOCIALE nella quale un soggetto dotato di certi attributi sociali appare di fronte ad altri. Variabili di status Le variabili sociali che presenta lo status (età, sesso, classe sociale, generazione…) sono molto utili in quanto possono dare una spiegazione sul perché dell’uso di certe parole, frasi o costruzioni, perché sono correlate. La situazione sociale ↧ ORBITA MICRO- ECOLOGICA Orbita micro-biologica nella quale si trova il soggetto, ossia l’ambiente capace di permettere il controllo reciproco, all'interno del quale quest’ultimo, in qualsiasi punto si trovi, è accessibile, senza ricorso a strumenti particolari, ai sensi di tutti gli altri che sono presenti e che sono a loro volta accessibili a lui. Quando siamo soli, non siamo in una situazione perchè non c’è possibilità di CO-PRESENZA. Nel momento in cui entra anche solo una persona cambia la logica della situazione, qualunque essa sia. Coloro che sono in una data situazione per quanto possano essere divisi, muti, distanti o presenti solo per un breve periodo di tempo, possono essere individuati collettivamente col termine RAGGRUPPAMENTO, ossia una COLLETTIVITÀ, qualcosa di cui si fa parte (anche se siamo in due). Esistono norme culturali che prescrivono come i soggetti debbano comportarsi per il fatto di far parte di un raggruppamento; tali norme, quando sono accettate, organizzano socialmente il comportamento di coloro che sono nella situazione. Situato ≠ situazionale Es. furto/lettore (denaro/cose di valore o la minaccia corporea) e (tipo di libro vs chiedere un libro) Per riconoscere cosa nelle situazioni sociali è importante è necessario distinguere: ● SITUATO: usato per riferirsi a cosa accade nei limiti fisici di una situazione. Di conseguenza, la persona che entra in scena come seconda trasforma tutto ciò che fa e ciò che fa la persona che già si trovava lì in un’ATTIVITÀ SITUATA. Il nuovo arrivato, praticamente, trasforma un individuo solo e sé stesso in un raggruppamento. ● Quando si esamina un'attività situata, spesso si trova che un suo elemento avrebbe anche potuto verificarsi al di fuori della situazione, in presenza di una sola persona o senza altri testimoni, ed è l’aspetto MERAMENTE SITUATO dell'attività situata. ** ● SITUAZIONALE: usato per riferirsi a ciò che non potrebbe accedere fuori dalle situazioni, perciò che dipende da esse. Queste condizioni sono oggetto di studio della sociologia di Goffman. INTERAZIONE> ordine situazionale L'ordine situazionale è quell'ordine che si verifica solo negli incontri faccia a faccia. Goffman definisce così l'interazione faccia a faccia: «Nel contesto di questo studiol'interazione faccia a faccia può sommariamente esser definita come l’influenza reciproca che individui che si trovano nell’immediata presenza altrui esercitano gli uni sulle azioni degli altri. INTERAZIONE FACCIA A FACCIA → processo interattivo che ha luogo durante una qualsiasi occasione (incontro). È l’influenza reciproca che individui che si trovano nell’immediata presenza altrui esercitano gli uni sulle azioni degli altri. I tipi di interazioni che possono avvenire sono: - RELAZIONE PRIMARIA: atteggiamento di riguardo, rispetto e interesse verso qualcuno per cui proviamo affetto. - RELAZIONE SECONDARIA: rapporti impersonali con atteggiamento di rispetto per la competenza e la capacità di qualcuno con cui non entra in gioco la nostra vita privata, senza affetto o atteggiamento amichevole. LA PERFORMANCE Goffman definisce così questo concetto: «Una «performance» può essere definita come tutta quell'attività svolta da un partecipante in una determinata occasione e volta in qualche modo ad influenzare uno qualsiasi degli altri partecipanti”. Il modello di azione prestabilito si sviluppa durante una performance e che può esser presentato o rappresentato in altre occasioni, può esser chiamato «parte» o «routine». Nella performance le azioni, linguistiche e corporee, dell'individuo veicolano due tipi di significati:
1) quelli trasmessi intenzionalmente dall'individuo stesso (parole, movimenti del corpo, tono della voce, tipo di abbigliamento...)
2) quelli emessi, che i suoi interlocutori ricavano come sintomi indicatori di informazioni su attributi di quell'individuo, ma che l'individuo stesso non controlla o di cui non è consapevole (accento straniero o locale, colore della pelle, segni sul corpo). Gli interlocutori utilizzano le informazioni emesse come criteri di valutazione della verità di quanto è trasmesso dagli aspetti controllabili intenzionalmente. Consenso operativo «Una volta ammesso che l'individuo proietta una definizione della situazione quando si trova in presenza di terzi, dobbiamo anche considerare che gli altri, per quanto il loro ruolo possa sembrare passivo, proiettano anche essi una definizione della situazione in virtù della loro reazione all'individuo e in virtù della linea d'azione, qualunque essa sia, che essi adottano nei suoi confronti. Generalmente le definizioni della situazione proiettate dai diversi partecipanti sono abbastanza in armonia l'una con l'altra, così che un'aperta contraddizione non avrà mai luogo” (Armonia, adattamento alla situazione). Assieme, i partecipanti contribuiscono ad un'unica e generale definizione della situazione che implica un'effettiva intesa circa le pretese e gli argomenti che verranno presi in considerazione in un determinato momento. Indicherò d'ora innanzi questo tipo di accordo con il termine di consenso operativo. In sintesi, il consenso operativo è quell’ attività di accordo tenuto in piedi dai partecipanti della situazione condivisa. Tale accordo è frutto di un’attenzione reciproca del comportamento delle persone che partecipano alla situazione, comunicando automaticamente la disponibilità a mantenere questo accordo continuamente. Il consenso operativo, raggiunto in un determinato ambito, può essere visto in due tipi di relazioni sociali (primarie e secondarie), ma la forma delle operazioni rimane la stessa. Il carattere morale della definizione della situazione «Poiché l'individuo, trovandosi alla presenza di altri, proietta una definizione della situazione, è facile immaginare che durante il processo interattivo possano accadere fatti che contraddicono, screditano o mettono altrimenti in dubbio la proiezione stessa. Quando tali turbative si verificano, l'interazione stessa può arrestarsi con una certa confusione ed imbarazzo”. L'individuo la cui presentazione è stata screditata, in tali frangenti, può provare vergogna, mentre gli altri presenti magari gli sono ostili, e tutti i partecipanti finiscono per sentirsi a disagio. La società è organizzata sul principio che qualsiasi individuo che possieda certe caratteristiche sociali ha il diritto morale di pretendere che gli altri lo valutino e lo trattino in modo appropriato. Esiste un secondo principio connesso a questo, e cioè che un individuo il quale implicitamente o esplicitamente dichiara di avere certe caratteristiche sociali dovrebbe in effetti essere ciò che pretende di essere. Quando un individuo proietta una definizione della situazione, e perciò implicitamente o esplicitamente afferma di essere persona di un certo tipo, automaticamente compie una richiesta morale nei confronti degli altri, obbligandoli a valutarlo e trattarlo nel modo in cui persone del suo tipo hanno il diritto ad essere trattate. Egli, sempre implicitamente, rinuncia al diritto ad essere ciò che non appare e quindi rinuncia al trattamento che sarebbe appropriato a tali individui. Gli altri ritengono quindi che l'individuo li abbia informati circa ciò che è e circa ciò che essi devono pensare che egli sia. L’immagine che l’individuo offre del proprio sé agli altri non è una sua costruzione arbitraria ed estemporanea, ma ha le caratteristiche di un “equipaggiamento espressivo standardizzato” che l’individuo impiega, adattandolo agli aspetti meramente-situati della situazione. Ciò significa che la facciata che l’individuo performa è connessa al ruolo sociale che assume in una determinata situazione. una o più categorie sociali), e quella INDIVIDUALE (il soggetto osservato è legato a un’identità che lo distingue unicamente dalle altre persone). - CO-PRESENZA e TERRITORIALITA’ PERSONALE(*): essendo che possiamo partecipare alle situazioni sociali solo se grazie ai nostri corpi e al loro equipaggiamento, risultiamo automaticamente vulnerabili all’assalto fisico e psicologico da parte degli altri, ma anche detenenti della possibilità di rendere vulnerabili gli altri. In tutte le società esiste la territorialità personale, e con lei un fondamentale dualismo d’uso, tale che a seconda del legame che abbiamo con chi svolge un determinato comportamento, esso non risulterà essere una minaccia verso di noi. Quando qualcuno entra nel nostro spazio personale i nostri neuroni del movimento si attivano grazie ad una mappa mentale dello spazio intorno a noi, costruita secondo coordinate egocentriche e rappresentata in formato corporeo. Co-presenza e neuroscienze LO STUDIO DI FREET E MORGAN (2022) Le ricerche sperimentali hanno mostrato che uno stimolo per essere considerato sociale deve essere percepito come se questo possedesse una SOCIAL AGENCY (capacità di azione sociale) o rappresentasse una SOCIAL ENTITY (un qualche tipo di attore sociale). In questo modo lo stimolo agisce come una PRESENZA SOCIALE, introducendo nel partecipante la consapevolezza della presenza di un partner sociale. «Questa percezione può quindi portare uno stimolo ad agire come una "presenza sociale", instillando nel partecipante la consapevolezza della presenza di un partner sociale. Esistono numerosi studi che hanno dimostrato l'importanza della percezione di uno stimolo da parte di un partecipante» ESPERIMENTO FACE, EYES or CAR di RISTIC e KINGSTONE Nella condizione FACE, ai partecipanti è stato presentato un volto schematico che guardava a sinistra o a destra del centro. L'insorgenza del bersaglio (*) avveniva 100-1000 millisecondi dopo lo stimolo del volto e non era correlata alla direzione dello sguardo. Nelle altre due condizioni, ai partecipanti è stato presentato uno stimolo ambiguo. Nella condizione EYES i partecipanti sono stati istruiti che lo stimolo era un'immagine di un cappello calato sugli occhi di un volto. Nella condizione CAR i partecipanti sono stati istruiti che lo stimolo raffigurava un'automobile. A tutti era stato chiesto di cliccare la barra spaziatrice della tastiera per segnalare il momento in cui si percepiva la comparsa del bersaglio sullo schermo. Quando lo stimolo veniva indicato come una faccia i partecipanti hanno mostrato l'effetto di attrazione nel guardare in direzione dello sguardo di altre persone (gaze cueing: la gaze cueing è una tecnica di attenzione e cognizione sociale che spiega perchè le persone sono così attratte nel guardare in direzione dello sguardo di altre persone), cioè si sono concentrati rapidamente sulla posizione indicata, indipendentemente dal fatto che fosse utile o meno per il compito da svolgere. Questo effetto non era presente quando lo stimolo era indicato come auto. Chi vedeva lo stimolo del volto, quando il bersaglio compariva sul lato indicato dagli occhi, impiegava a rispondere un tempo inferiore rispetto a quando il bersaglio compariva sul lato opposto. Chi vedeva lo stimolo degli occhi sotto il cappello ha fatto registrare tempi simili a chi aveva lo stimolo del volto. Chi vedeva lo stimolo dell’auto non aveva tempi di risposta significativamente differenti tra i due lati dello stimolo => L'attenzione veniva spostata in modo involontario verso il lato indicato dagli EYES quando lo stimolo ambiguo veniva percepito per la prima volta come EYES, ma non quando veniva visto inizialmente come CAR. Quando i partecipanti nella condizione CAR sono passati alla condizione EYES, hanno iniziato a spostare l'attenzione in modo involontario. «In secondo luogo, abbiamo scoperto che i partecipanti che hanno ricevuto per primi lo stimolo nella condizione EYES hanno continuato a spostare l'attenzione in modo riflesso anche quando è stata sottoposta loro la condizione CAR. Questo nuovo risultato converge con la scoperta di Bentin e Golland (2002) secondo cui, una volta che uno stimolo ambiguo viene percepito come un volto, continuerà a essere percepito come tale» (Ristic and Kingstone). In sintesi: quando lo stimolo veniva indicato come una faccia i partecipanti hanno mostrato l'effetto di attrazione nel guardare in direzione dello sguardo di altre persone (gaze cueing), cioè si sono concentrati rapidamente sulla posizione indicata, indipendentemente dal fatto che fosse utile o meno per il compito da svolgere. Questo effetto non era presente quando lo stimolo era indicato come auto. ESPERIMENTO LIV LAB di GREGORY E ANTOLIN Gli scienziati hanno condotto uno studio su 132 pazienti neurotipici divisi in 3 gruppi, rilevando che, oltre alla presenza implicita di un partner sociale, a determinare cambiamenti nel comportamento dello sguardo è anche la percezione del potenziale di interazione sociale. A tutti è stato presentato lo stesso video di 1 minuto nel quale si vedeva una persona in attesa in un laboratorio di analisi, con un periodo di 4 secondi, durante i quali questo collaboratore guardava direttamente la webcam, creando la condizione di un "tentativo di contatto visivo" con chi lo stesse guardando in quel momento. Ai partecipanti di ciascuno dei 3 gruppi: - (i) al primo gruppo è stato detto che stavano guardando un flusso di webcam dal vivo in cui non era possibile interagire (unidirezionale); - (ii) al secondo gruppo è stato detto che stavano guardando un flusso di webcam dal vivo in cui era possibile interagire (bidirezionale); - (iii) al terzo gruppo è stato detto che stavano guardando un video preregistrato. Sono stati esclusi i partecipanti che non credevano alla descrizione di ciò che stavano guardando. L’esperimento dimostra che la durata della fissazione sul volto era più breve quando chi guardava il video sapeva che la scena era vista dal vivo, in particolare durante il tentativo di contatto visivo a causa dell’imbarazzo di essere guardato a sua volta. Un fattore decisivo è l’interpretazione della percezione come copresenza, ossia il sentire la presenza sociale. Il concetto di co-presenza «sentirsi abbastanza vicini agli altri tanto da essere percepiti qualsiasi cosa stiano facendo, incluso anche il loro esperire gli altri; e abbastanza vicini da "essere percepiti" in questa situazione di essere percepiti» (Goffman Frame Analysis, 19). La copresenza è la condizione fondamentale dell'interdipendenza delle azioni dei partecipanti di un incontro interazionale. Negli scambi interazionali i corpi in copresenza attivano una ’’nuvola di informazioni’’ che arricchisce di strati differenti l’esperienza comunicativa dei partecipanti. relazione tra lui e loro (richiesta e accettazione dell’essere considerati persone affidabili per entrare in interazione). 2. atti potenzialmente offensivi possono essere riparati dall’attore attraverso spiegazioni e scuse, ma questa riparazione deve essere accettata come appropriata dalla parte potenzialmente offesa prima che l’attività della riparazione stessa termini (riparazione preventiva). 3. le parti offese sono obbligate a stimolare una riparazione nonostante la rottura, mostrandosi accondiscendenti al codice rituale (riparazioni richieste). La presentazione del sé nell’interazione Per Goffman il sé non è creato semplicemente da performance individuali, ma da come queste performance, costituite da numerosi comportamenti significanti, vengono interpretate da un pubblico in una particolare situazione. In questa visione, il sé è una realtà virtuale, una realtà di fatto. Secondo Gustav Albert Schwalbe i sé che gli altri ci attribuiscono hanno una grande importanza, perché è in base ad essi che gli altri considerano come decidono come trattarci, dando vita al nostro significato come oggetti sociali, per usare i termini dell'interazionismo simbolico. I sé possono quindi essere le nostre creazioni più importanti, simili a strumenti che nascono in occasioni d'uso e sui quali gli utenti non hanno mai un controllo completo. Il sé che conta, secondo Goffman, è quello imputato agli attori in base al comportamento espressivo nell'interazione faccia a faccia. Ma c'è qualcosa di più nell'individuo di un sé esibito? La risposta è chiaramente sì: secondo Goffman, esiste un’entità psicobiologica, l'ego, che attribuisce sentimenti forti alle concezioni di sé e alle immagini di sé create nell’interazione, ed è per proteggere questi sentimenti che le persone fanno un lavoro di facciata. Non c'è dubbio che Goffman abbia concepito l'individuo come qualcosa di più di un insieme di immagini create attraverso performance situate. Queste ultime, nel loro insieme, costituiscono la nostra IDENTITÀ SOCIALE VIRTUALE, cioè la persona che gli altri ci considerano. Ma come individui siamo più di questo, siamo conoscitori attivi che decidono come inquadrare le situazioni e difensori strategici del nostro equilibrio cognitivo ed emotivo, nonché soggetti di sentimento consapevoli della nostra continuità biografica. Stigm , ’identità degradat Nella sua altra grande opera Asylum, Goffman fa un’analisi approfondita delle interazioni nelle ISTITUZIONI TOTALI (carceri, ospedali psichiatrici, campi di concentramento), dove la persona viene rinchiusa e separata da un confine esterno. In diversi contesti circoscritti o edifici, ma sempre chiusi, dove avviene un disamoramento rispetto alle risorse esterne, Goffman descrive il mondo che ha vissuto in tali ambienti, terribilmente violenti, ricchi di abusi e violenza, e la sua ricerca della vera identità dei rinchiusi stessi. In Stigma, invece, Goffman compie uno studio dei processi di stigmatizzazione in qualunque spazio, situazione o condizione che riguardano qualsiasi persona. Egli studia la logica dell’interazione faccia a faccia, quella definibile come “comune” e “normale” che avviene quando in una situazione c’è qualcosa che fa sì che qualcuno venga additato a causa di un attributo che gli altri ritengono screditante. Quando Stigma uscì nel ’63, negli USA era ancora in vigore la segregazione razziale, è per questo che il testo poteva esser facilmente inteso come uno di critica alla cultura dominante. A distanza di anni però, il tema della diversità è entrato nelle politiche sociali e culturali di tutti i paesi d’occidente. Goffman porta il lettore nell’intimità delle sofferenze di chi deve affrontare atteggiamenti stigmatizzanti e mostra come i processi di questo tipo siano molto legati alle logiche sociali. CAPITOLO PRIMO: STIGMA E IDENTITÀ SOCIALE. È la società che stabilisce come dividere le persone in categorie e che attribuisce loro determinati attributi. L’aspetto esteriore ha un ruolo fondamentale in quanto ci permette di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene un individuo e la sua identità sociale. IDENTITÀ SOCIALE → attribuzione di un individuo ad una categoria sociale e agli attributi, personali, e relativi alla collocazione nella struttura sociale, a questa socialmente collegati. Essa, per Goffman si sviluppa attraverso due momenti: - identità VIRTUALE: quando percepisco l’aspetto di qualcuno, in me si evoca un’esperienza pregressa che genera delle SUPPOSIZIONI della categoria sociale a cui potrebbe appartenere l’altro, creando in me delle aspettative (anche in base allo STEREOTIPO). - identità EFFETTIVA: la categoria sociale di effettiva appartenenza della persona e gli attributi che si può dimostrare siano in suo possesso. Lo STIGMA sorge quando c’è una FRATTURA fra gli attributi previsti dall’identità sociale virtuale e quelli effettivamente posseduti dall’identità sociale effettiva. Se la frattura non avviene vuol dire che le aspettative sono state attese. Con il sorgere dello stigma, il problema dello stigmatizzato è la riduzione delle aspettative verso di lui rispetto a quelle socialmente attribuite alla categoria sociale a cui viene assegnato: l’identità sociale come membro di quella categoria sociale viene cosi DEGRADATA (SPOILED). L’essere ritenuto un membro regolare di una categoria sociale è, infatti, solitamente associato ad una disponibilità tipica della STIMA CATEGORIALE, cioè ad aspettative di capacità ed efficacia fondate non su verificate capacità di quell’individuo, ma sul suo essere membro di quella categoria sociale stessa. Nel caso dello stigmatizzato questa stima categoriale viene appunto compromessa (spoiled) dalla valutazione negativa data dall’attributo non previsto. La parola spoil ha numerosi significati e in italiano si può tradurre con molti termini (frustare, alterare, deteriorare, depredare, bloccare, deviare, deludere, scombinare). Il concetto di fondo è di qualcosa di alternato, degradato, corrotto, putrefatto. Per Goffman ciò che conta davvero nelle interazioni è il processo di elaborazione del significato di un attributo che lo rende il fattore discreditante, piuttosto che l’attributo stesso. Questo vuol dire che un medesimo attributo che stigmatizza un tipo di portatore può confermare la regolarità di un altro (non è detto che sia sempre negativo per tutti nello stesso modo). Lo stigma, dunque, ha effetto di degradazione dell’identità sociale perché è un problema di significato e non di attributi. Se gli attributi stigmatizzanti fossero oggettivamente tali, l’essere stigmatizzato sarebbe uno status sociale, che definisce in modo durevole una posizione sociale e gli stigmatizzati sarebbero un gruppo sociale (operai, studenti, classi sociali, ogni aggregazione basata sul medesimo status). L’essere uno stigmatizzato non è uno status, non riguarda le posizioni nella struttura sociale: stigmatizzato è l’essere definito da un punto di vista che SQUALIFICA l’identità di ruolo, cioè le aspettative di ruolo e le aspettative sul sé di quel ruolo agito da una persona nell’interazione. Se nella stigmatizzazione ciò che conta è il linguaggio delle relazioni, allora anche la condizione di individuo NORMALE non sarà permanente, né uno status, ma sarà definita in base alle relazioni, cioè in riferimento alla situazione sociale e all’interazione faccia a faccia nella quale compare un attributo ritenuto screditante. È normale chi, in quella situazione, non ha l’attributo screditante, ma appunto la normalità è definita in termini situazionali e non assoluti. Lo stesso attributo, infatti, può essere stigmatizzante in riferimento ad uno e confermare la normalità di un altro, perché ciò che fa la differenza è la definizione della situazione e i significati condivisi in quella situazione stessa. NORMALITÀ → costrutto immaginario in riferimento al quale le persone comuni concepiscono se stesse e si definiscono in relazione all’altro. Senza di esso, avremmo problemi ad identificarci. È il presentarsi come persone meritevoli di fiducia dagli altri e per ricevere la cosiddetta stima categoriale anche in via ipotetica. La condizione di normalità è definita in base al contesto, è cioè situazionale e generata nell’interazione faccia a faccia. Chiunque aspira ad essere considerato normale e quando performiamo qualsiasi ruolo vogliamo essere percepiti come normali. Anche lo stigma vive sulla fiducia, ma al contrario, sul fatto che essa però venga limitata, producendo un effetto di abbassamento (spoil) su quella persona. La tesi fondamentale di Stigma è che i normali e gli stigmatizzati non sono persone, ma, piuttosto, punti di vista. Questi vengono generati in situazioni sociali durante i contatti misti in virtù di norme non realizzate che probabilmente influenzano l’incontro. L’identità non è qualcosa che si ha in modo permanente, è piuttosto una performance. L’identità è per Goffman un flusso d’azione che emerge nella CO-PRESENZA FISICA, ossia il lavoro di identità che facciamo gli uni sugli altri, come attività. Questo flusso d’azione è orientato su due binari: - il binario STRUTTURALE delle aspettative connesse ai ruoli, che hanno a che fare con una certa stabilità se sono legati a status. - Il binario SITUAZIONALE dei setting spaziali, della definizione della situazione e significati del sè. L’identità emerge come un effetto composto da queste due dimensioni e da libere elaborazioni di significati generati dai partecipanti in quello specifico incontro interazionale. Nella dinamica dell’abbassamento sociale che caratterizza lo stigma, infatti, sono in gioco: - aspetti STRUTTURALI della situazione, come la definizione di essa o determinate aspettative. - aspetti SOGGETTIVAMENTE sentiti dai partecipanti come emozioni di imbarazzo o disagio. Nelle INTERAZIONI MISTE (stigmatizzato + normale), quando lo stigma è conosciuto dai partecipanti, sono presenti disagio ed imbarazzo, che influiscono sulla possibilità di condivisione della definizione della situazione: I. per lo STIGMATIZZATO disagio e imbarazzo sorgono di fronte all’incertezza rispetto a quali attributi gli altri lo identificheranno di più: dal ruolo connesso alla situazione o quelli dell’attributo stigmatizzante screditante. Quando l’attributo stigmatizzante non è noto ai partecipanti, allora la condizione di chi lo ha è quella di SCREDITABILE: nell’interazione non c’è imbarazzo: solo lo stigmatizzato sa del proprio attributo, gli altri no, quindi si c’è asimmetria di informazione. II. per il NORMALE possono sorgere disagio ed imbarazzo sull’incertezza di definizione della situazione e dell’atteggiamento da avere nei confronti dello stigmatizzato stesso. L’imbarazzo dei normali è tra due alternative inconciliabili, particolarmente chiare nei casi di stigmi fisici, ma non esclusive di questi: - da un lato intervenire sull’attributo, voler dimostrare comprensione verso lo stigma, ma temere che questa comprensione potrebbe essere percepita dallo stigmatizzato come discriminazione. - dall’altro lato non intervenire sull’attributo, voler mostrare di non farsi condizionare dallo stigma nell’interagire con lo stigmatizzato, mostrando disattenzione, ma temere di spingerlo così ad azioni che potrebbe non riuscire a fare cosi da mettere in difficoltà entrambi. L’uso sociale degli stigmi si concentra principalmente in tre categorie: 1. discredito connesso a deformazioni fisiche (malattie o conseguenze di traumi fisici, tratti somatici, nel volto, nella pelle, nella forma del corpo). 2. il discredito connesso ad aspetti del carattere, criticati dalla collettività come mancanza di volontà (che può essere connessa con stigmi come disoccupazione, tossicodipendenze, alcolismo, malattie mentali, comportamenti di suicidio); passioni sfrenate o innaturali (che possono essere connesse con stigmi come omosessualità, gioco d’azzardo, pedofilia ecc); credenze malefiche e dogmatiche (connesse a stigmi come estremismo politico, terrorismo, appartenenza a sette sataniche, ecc.). 3. il discredito connesso ad appartenenze collettive (razza, nazione, religione) attribuito a tutti i membri del gruppo, stigmatizzando l’appartenenza a una determinata collettività (stigmi tribali). CARRIERA MORALE → lo stigmatizzato tende ad avere simili esperienze di apprendimento per quel che riguarda la sua difficile condizione e cambiamenti simili nella concezione del sé, i quali sfociano in fasi dell’adattamento differenti del corso della sua vita. La carriera morale dello stigmatizzato si sviluppa in relazione all’interdipendenza di due fasi fondamentali della socializzazione: a. l’interiorizzazione da parte dello stigmatizzato del punto di vista dei normali e delle credenze sull’identità presenti in quella società sull’avere uno stigma e sulle sue implicazioni in generale; b. l’apprendimento da parte dello stigmatizzato di avere uno stigma e delle conseguenze che comporta nei dettagli. È un processo complesso che si svolge lungo i due binari del sentimento di sé in relazione ai membri della comunità informale dei suoi in cui la persona può, non senza incertezze, trovarsi spinto ad o voler entrare, e della relazione con associazioni, organizzazioni, istituzioni di persone con il suo stesso attributo. I modelli di carriera morale dello stigmatizzato variano in base al tempo in cui si connettono l’interiorizzazione del punto di vista dei normali sull’identità e l’apprendere di avere uno stigma: ↳ lo stigmatizzato comprende coloro che sono nati con uno stigma e che sono stati socializzati nella loro condizione svantaggiata: il sentimento del sé è elaborato insieme alla conoscenza di cosa comporta l’avere uno stigma simultaneamente. ↳ lo stigmatizzato vive in una campana protettiva da bambino, tramite il controllo dell’informazione da parte di terzi. Il bambino crede considerandosi normale, finché non scoprirà la verità, anche in modo accidentale. Il sentimento di sé deve essere rielaborato di fronte alla scoperta di avere avuto sempre lo stigma. ↳ diventa stigmatizzato in età avanzata oppure apprende tardi di essere sempre stato screditabile, con la possibilità di non riuscire più ad accettarsi, oltre che a sentirsi in dovere di ripercorrere tutto il suo passato: il sentimento di sé viene rielaborato con fatica e disagio. Stigma e grado di intimità Ora, noi potremmo pensare che la stigmatizzazione sia un processo che possa avvenire solo all'interno della sfera pubblica, nella quale gli individui sono in parte autorizzati a compiere una categorizzazione nei confronti di coloro che incontrano, mettendo a volte in luce il loro attributo screditante; secondo questa logica si pensa che al contrario nella sfera privata e intima composta da familiari, partner e amici particolarmente stretti, allora il peso dello stigma si senta molto meno dal momento che viene sostituito dalla solidarietà e dalla comprensione: se io ho un'imperfezione fisica, se sono invalido, potrei essere allontanato da un estraneo, ma una persona che mi vuole bene mi accoglierebbe a braccia aperte e mi tratterebbe come persona assolutamente normale. Giusto? Sebbene sia sicuramente vero che spesso e volentieri il livello di intimità e familiarità riducono il disprezzo, non è sempre così: Goffman sostanzialmente spiega che la società, con tutte le sue pressioni e le sue aspettative, penetra anche all'interno della vita privata influenzandola fortemente, motivo per cui anche due coniugi sono soggetti a una serie continua di esami su come svolgono il loro ruolo: pensiamo ai vicini che guardano come il marito si comporta con la moglie o viceversa, ma anche come loro due si percepiscono vicendevolmente e fanno riferimento a tutti quegli attributi che il membro della categoria opposta deve possedere per essere considerato degno di essere lì. Questo vuol dire che conoscere profondamente una persona e avere una relazione molto stretta con essa non significa automaticamente essere compresi più facilmente, anzi a volte è più difficile spiegare e raccontare i propri segreti oscuri in casa: spostando la sua attenzione sugli screditabili, Goffman fa riferimento agli omosessuali, i quali hanno paura di raccontare il loro stigma ai familiari in quanto questi, che sanno benissimo che l'eterosessualità è la normalità all'interno della società bigotta nella quale viviamo, potrebbero cacciarli di casa se non concordi con il loro modo di essere, mentre la reazione di un estraneo sarebbe sicuramente meno impattante nei confronti della persona. Poi possiamo anche dire che esistono degli stigmi che per natura pesano in maniera minore per dei semplici conoscenti rispetto a un intimo: pensiamo alla sterilità, alla frigidità e all'impotenza. Quindi anche all'interno del nostro luogo sicuro abbiamo bisogno di occultare informazioni al fine di mantenere pulita la nostra immagine: se io faccio forca a scuola evito di dirlo ai miei, potrei essere visto come un figlio inutile e svogliato. I tre tipi di identità secondo Goffman 1. Identità sociale, che si acquisisce mediante la categorizzazione dell'attributo: il modo in cui percepiamo qualcuno, le caratteristiche che riusciamo a raccogliere, sono elementi che ci consentono di inquadrarli all'interno di una categoria sociale. Se però l'identità sociale virtuale e quella effettiva non coincidono, allora emerge lo stigma: quando parliamo di identità sociale si fa quindi riferimento allo screditato, a colui il cui stigma è riconosciuto da tutti. 2. Identità personale: non parliamo di come si sente il soggetto, ma dell'identificazione personale, cioè del processo attraverso il quale gli altri mi identificano non tanto attraverso la mia categoria sociale, ma attraverso informazioni biografiche che mi distinguono dagli altri, come il mio nome, la mia altezza, il numero di esami che ho dato, il mio voto di laurea. In questo caso lo stigma non è noto o è noto solo ad alcuni, quindi si parla del caso dello screditabile. 3. Identità dell'ego, che ha a che fare con noi stessi: qua ci chiediamo come lo stigmatizzato pensa al suo stigma, come ci convive, quindi affronta i consigli che vengono dati allo stigmatizzato per imparare ad accettarsi. Ma chi dà questi consigli? Altri che hanno il suo stigma o dei normali specialisti come medici o psicologi. Le prime due identità fanno riferimento alla serie di aspettative che una persona ha nei confronti dell'individuo e rispondono alla domanda "chi sei tu" nel senso di "a che categoria sociale appartieni?" "come ti identifichi?", mentre la terza identità ha a che fare con le modalità attraverso le quali lo stigmatizzato riflette sulla sua condizione chiedendosi "ma chi sono io?" Identità sociale: carriera morale dello stigmatizzato Le persone che posseggono lo stesso stigma tendono ad avere anche esperienze simili riguardo l'apprendimento del loro attributo screditante: in che senso apprendimento? Se prendiamo per esempio l'omosessualità, quasi nessuno nasce pensando di non essere eterosessuale, ma col tempo impara a conoscersi meglio e, dopo un lungo e tortuoso percorso di accettazione e di comprensione nei confronti di sé stesso, capisce davvero come stanno le cose: questo è un percorso comune a molti. Goffman dice che chi condivide queste esperienze ha una carriera morale simile: viene usato questo termine peculiare perché il percorso graduale che ci porta alla conoscenza del nostro stigma è scandito da una serie di step che hanno a che fare con la modalità attraverso la quale il nostro sé si scopre. Due sono le fasi fondamentali della socializzazione: 1. Interiorizzazione da parte dello stigmatizzato del punto di vista delle persone normali: Goffman ci dice che anche se la persona nasce con lo stigma, riesce ad assorbire dentro di sé cosa pensano gli altri che non posseggono il suo stigma, conosce perfettamente l'idea diffusa di normalità all'interno della società e a questo lo porterà, come tutti noi, a cercare la normalità perché sa benissimo cosa significhi essere considerato normale → apprende il punto di vista dei normali 2. Questa consapevolezza di ciò che è normale, lo porta ad apprendere di avere uno stigma: se l'ideale di normalità è quello di essere eterosessuale, il mio essere diverso, il mio non provare attenzione per il mio stesso sesso, mi porta automaticamente a capire che sono omosessuale, capisco di non rientrare nell'ideale di normalità→ apprende di essere escluso dall'idea di normalità In che modo la carriera morale varia da individuo a individuo? A seconda di come comunicano questi due elementi, varia anche la carriera morale: le due fasi possono essere simultanee nel senso che subito appena viene assorbito l'ideale di normalità, si capisce di avere uno stigma (bambino orfano che vede un padre e una madre che tengono per mano un altro bambino per esempio), oppure possono essere regolate in modo da essere disgiunte, anche se teoricamente potrebbero essere cronologicamente coerenti e questo avviene per esempio quando i genitori sanno che il bambino ha dei problemi e non glielo vogliono fare vedere, quindi gli altri lo sanno, ma lui no e la cosa tragica è che lui ha già interiorizzato la normalità degli altri pensando di rientrarci, quindi scoprire di non essere mai parte di questa normalità porta il suo sé a ridefinirsi: Goffman in Stigma fa riferimento alla ragazza cieca, la quale è sempre stata abituata a credere che la cecità non fosse un attributo che le avrebbe impedito di realizzarsi in ogni aspetto della vita, fino al momento in cui, in spieggia con dei suoi coetanei, si sente dire da uno di loro "lei è davvero una bella ragazza, ma non uscirei mai con una cieca"; queste due fasi possono avvenire in due momenti cronologicamente molto distanti tra di loro: questo può accadere se divento stigmatizzato in una fase avanzata della vita, oppure se ho capito solo dopo molto tempo di aver sempre posseduto un attributo screditabile; nel primo caso non c'è una rivalutazione del proprio sé, ma nel secondo caso invece sì: io per esempio sono lesbica e prima di capirlo ritenevo che gli omosessuali fossero contro natura, nel momento in cui ho capito di essere come loro, la mia identità è andata in frantumi "io ho sempre avuto disprezzo nei loro confronti e ora che sono come loro devo disprezzare me stessa?" Infine le due fasi sono separate sia a livello cronologico che spaziale: fa riferimento a tutte quelle persone che nascono in una determinata comunità e che poi si trasferiscono, dovendo interiorizzare nuovamente ciò che all'interno del nuovo contesto è considerato normale; quello che è interessante notare è che il disagio iniziale dell'individuo che acquisisce un nuovo self stigmatizzato in età matura prova nei confronti della nuova comunità lascia molto presto spazio a un disagio che viene invece avvertito nei confronti dei vecchi compagni: le persone che fanno parte della sua realtà lo vedranno semplicemente come persona con un deficit, ma quelle della sua vecchia realtà saranno incapaci di trattarlo con familiarità, in quanto ancora legate all'immagine passata che avevano di lui. Nel momento in cui una persona non ha nel suo corpo dei simboli che possano far intuire agli altri che possiede un attributo screditante e nel momento in cui il suo stigma non è visibile, allora lo screditabile può gestire tranquillamente le informazioni riguardo lo stigma? Beh dipende se le persone con le quali interagisce sono a conoscenza della sua identità personale, concetto particolare che adesso introduciamo. Identità personale: cosa è l'unicità di una persona? È il punto da cui esplode la nostra creatività? È in senso romantico il nucleo intimo che noi dobbiamo tirare fuori? L'identità personale di un individuo viene ricostruita a partire da segni assertivi (il documento di identità, lo spid, il nome e il cognome, il numero di matricola, il codice fiscale, in sintesi da elementi che mi danno una validità legale) e dalla combinazione unica degli elementi della sua storia di vita attribuiti all'individuo proprio grazie a questi supporti per la sua identità: segni assertivi servono alle istituzioni per capire che persone siamo, che diritti abbiamo, cosa devono fare con noi, se attraverso la mia carta di identità o il mio codice fiscale emerge che io sono uno straniero, non posso richiedere la cittadinanza, se io studentessa all'università non ho dato tutti gli esami, dopo un controllo fatto dalla segreteria riguardo il mio percorso di studi, non posso laurearmi. Chiaramente a seconda del contesto verrà richiesta solo una parte di questi documenti identificativi: se sono a scuola mi chiederanno solo la matricola, se devono vedere se ho l'abbonamento del bus, allora mi chiederanno il codice fiscale. L'identità personale ha dunque a che fare col modo che hanno gli altri di identificarci combinando gli elementi che hanno a disposizione: questi supporti per l'identità sono come delle chiavi che ci consentono di aprire un mondo di significati e che indirizzano chi cerca informazioni sulla storia della vita di quella persona. Il discorso è che questi segni di riconoscimento, in particolar modo i documenti, possono essere contraffatti e utilizzati per azioni criminali illecite: ma è ovvio che sia così...del resto io non sono Nicole Salcito perché lo dico io e basta, ma perché il mio documento di identità attesta che io lo sono, quindi se io prendo il documento di qualcun altro, non è difficile ingannare il prossimo: Goffman ci sta quindi dicendo che ciò che ci rende unici non è l'insieme delle caratteristiche intrinseche dell'individuo, ma il riconoscimento legale di esse: .l'unicità è definita dagli elementi informativi che si hanno sulla persona e che la distinguono dagli altri. In ultima analisi,i segni sul corpo, quindi le informazioni sociali, non sono elementi che creano la nostra identità personale, ma sociale e pertanto sono diversi dai documenti di cui abbiamo parlato in precedenza. Anche se molto spesso elementi che fanno riferimento all'identità personale consolidano e rinforzano quella sociale: pensiamo al documento dove è riportato il lavoro che faccio. La biografia Parlando di biografia chiamiamo un attimo in causa Mead: a inizio corso, quando ci siamo chiesti se venisse prima l'individuo o la società, abbiamo appurato che viene prima la seconda...ecco tenendo questa cosa in mente, è più semplice comprendere perché Goffman definisce l'individuo come oggetto di una biografia e non come soggetto: essa non è primariamente una proprietà della vita dell'individuo, ma è utilizzata da lui e dagli altri come uno strumento utile per creare un'immagine completa che giustifichi la presenza di pesanti fratture identitarie che hanno caratterizzano la sua persona nel corso degli anni; questo vuol dire che l'individuo può anche assumere tanti self, ma ha una sola biografia: se prendiamo il caso di Dr Jekyll e Mr Hyde, vediamo come i self sociali che presentano sono completamente diversi, ma la vicenda biografica è unica perché la persona è la stessa e i fatti biografici concreti non possono essere in alcun modo disgiunti. La biografia può essere contenuta all'interno di un archivio, ma anche nelle menti delle persone che sono vicine a noi e che ci conoscono. Legato al concetto di biografia c'è quello di connettività informativa, ovvero la probabilità che due fatti biografici della vita di una persona potranno essere collegati da qualcuno che ne conosce solamente uno: dunque questa persona guarda sempre dei cartoni che molti considerano "da femminucce"...non è che lo fa perché è omosessuale? Oppure io so che questa persona esce spesso la notte e torna la mattina...è una prostituta? Capiamo come questa connettività informativa sia un rischio per uno stigmatizzato: sei un immigrato? Ovviamente hai compiuto un crimine: c'era da aspettarselo. Questo è un punto focale: la gestione che una persona può attuare riguardo l'informazione legata allo stigma è direttamente proporzionale alla connettività dei suoi fatti biografici...meno le persone conoscono di lui più è capace di nascondere il proprio attributo stigmatizzante attraverso la tecnica del passing. Il passing è un tecnica di controllo dell'informazione attraverso la quale lo stigmatizzato mistifica la realtà al fine di occultare il suo stigma: se in passato questa persona ha compiuto un atto illecito, allora tenterà di mostrarsi come persona estremamente onesta e genuina per evitare di venire scoperto; tuttavia, più tempo cerco di presentare un self prefabbricato e basato su false premesse, più diventa costoso farlo: non è facile rimanere coerenti con l'immagine che noi creiamo di noi stessi mostrando un altro volto che può essere smascherato in ogni momento, in questo caso semplicemente prendendo in mano un documento che attesti che sono finito in prigione per colpa di un assassinio; e quando questo attributo screditante viene scoperto c'è un'ulteriore difficoltà dovuta al fatto che io devo giustificare il mio averlo nascosto e delle volte è peggio il fatto di averlo occultato piuttosto che il motivo per il quale mi è stato dato quello stigma, perché posso essere visto come un traditore dalle persone a cui faccio questa rivelazione. Goffman inoltre dice che siamo più inclini a fare rivelazioni, a volte anche molto pesanti, agli estranei piuttosto che a persone intime, questo perché con le prime non c'è il rischio di rompere completamente un rapporto: se riveliamo un fatto del passato di cui un estraneo non era a conoscenza, non ci sono problemi perché comunque questa persona non conosce il self che io ho presentato proprio per occultare questo fatto, se invece un amico viene a scoprire un fatto del passato che prima non sapeva e che crea una spaccatura nell'idea che aveva di me, allora il rapporto futuro viene pregiudicato. Se io dico a un medico che sono omosessuale, la cosa non lo 3. Passing per divertimento: lo stigmatizzato pensa "forse posso davvero occultare il mio stigma, visto che lo hanno considerato normale" e allora asseconda gli altri biografici che lo considerano normale. 4. Passing in momenti di separazione dalla vita quotidiana: quando svolgiamo questa attività di occultamento in contesti diversi da quello quotidiano, come in vacanza o all'estero. 5. Passing nella vita quotidiana: compiere il passing nei luoghi della mia vita quotidiana, come il lavoro o altri luoghi pubblici (le persone non mi devono conoscere personalmente ovviamente). 6. Passing completo: mi trasferisco in un ambiente nel quale non mi conosce nessuno per ricominciare da zero e quindi pratico il passing in ogni singolo aspetto della mia vita, perché a questo punto a sapere del mio stigma all'interno di quel contesto sono solo e soltanto io. Noi abbiamo analizzato le fasi come se dopo una ci fosse l'altra, tuttavia il ciclo del passing può interrompersi in qualsiasi punto per poi o ripartire da capo o fermarsi del tutto. Goffman, riprendendo il mano la carriera morale dello stigmatizzato, dice che dopo le prime due fasi, quello che lo stigmatizzato deve imparare è gestire la propria discrezione: il titolare dell'attributo screditante deve capire che sicuramente il punto di vista degli altri deve essere tenuto sotto controllo, ma senza che questo ci provochi un'ansia ingiustificata. Se il mio stigma non è per nulla visibile, allora basta mantenerlo segreto, come fanno le ragazze che hanno perso la verginità e come fanno gli uomini che hanno avuto la loro prima esperienza omosessuale: del resto se mi sento in soggezione ogni volta che parlo con una persona che conosco perché ho paura che il mio attributo possa saltare fuori, risulterò sicuramente sospetto. La gestione dell’identità sociale e dell’identità personale da parte dello stigmatizzato nei luoghi nei quali lo stigma può essere conosciuto o meno. Per quanto riguarda la gestione dell'identità sociale, chi ha un attributo screditante può trovarsi nel corso della sua vita ad entrare in tre ambienti molto diversi tra di loro: 1. Luoghi proibiti, dove non possono entrare le persone che posseggono quell'attributo screditante...pensiamo per esempio, ai tempi del covid, a tutti coloro che non avevano il green pass e non potevano entrare nei ristoranti. Molto spesso però, entrambe le parti possono cooperare: quindi la persona con lo stigma viene fatta entrare ugualmente a patto che dissimuli la sua condizione. 2. Luoghi accoglienti o civili, all'interno dei quali i normali cercano di far sentire accettati gli stigmatizzati trattandoli come se effettivamente non avessero alcun tipo di impedimento, anche se li hanno e sono molto palesi: entrambe le parti qui cercano di dissimulare il disagio e l'imbarazzo nati dallo sforzo di mostrarsi a loro agio. 3. Luoghi riservati, nei quali le persone con uno stigma non devono nasconderlo e non si sentono a disagio a mostrarlo: questi individui possono scegliere volontariamente di stare in compagnia di persone che hanno il loro stesso attributo oppure possono essere stati portati a farlo contro la loro volontà, ma a prescindere dalle modalità trovano degli spazi estremamente stimolanti dove conoscono nuove persone e imparano ad apprezzarsi maggiormente. Così come il mondo si divide in tre zone in base alla sua identità sociale, allo stesso modo si divide anche in base alla sua identità personale: 1. Luoghi dove è molto difficile che lo stigmatizzato incontri qualcuno che lo conosca: all'interno di questi, salvo imprevisti (se è famoso o malfamato anche se non è conosciuto personalmente, è ugualmente noto), esso può rimanere anonimo, senza suscitare alcun tipo di attenzione. 2. Luoghi in cui lo stigmatizzato è conosciuto personalmente: all'interno di questi lo stigmatizzato può essere conosciuto da chi vi lavora e da chi li frequenta. Il gioco vale la candela? Ansia e incertezza di chi fa il passing 1. C'è la paura di rivelare informazioni screditanti su noi stessi: pensiamo a chi deve ritirare il reddito di cittadinanza, oppure Goffman parla della moglie di un paziente psichiatrico che cerca di riscuotere l'indennità di disoccupazione del marito (che viene data a coloro che hanno perso il proprio lavoro involontariamente). 2. Lo screditabile soffre di "sprofondismo", ovvero l'impulso a dire bugie sempre più articolate e complesse per evitare di dire qualcosa: più grossa è la bugia, più poi è difficile tenervi fede: pensiamo a chi nasconde a tutti che il proprio figlio è disabile...le persone potrebbero vedere la madre comprare una sedia a rotelle e lei, se interrogata, si troverebbe in una situazione di disagio. 3. Il nascondere un proprio limite può portare all'emergere di altri: io appunto decido di non dire che ho seri problemi alle orecchie e allora il mio non sentire può essere percepito come una mia mancanza di rispetto nei confronti di chi mi parla...allora al posto di non udente divento disattento, distante. 4. Esporsi a sentire ciò che gli altri biografici pensano davvero delle persone con il nostro attributo, sia quando nell’interazione capiscono di lui e cambiano atteggiamento nei suoi confronti, sia quando credono al passing e parlano liberamente con lui, ritenendolo come loro e facendo anche nei commenti negativi sulla categoria di cui fa parte. 5. Non sa fino a che punto gli altri sanno del suo stigma e questo è un motivo di forte ansia perché può essere in ogni momento, anche quando meno se lo aspetta, oggetto di ricatto: qualcuno può aver sentito un pettegolezzo oppure può averlo visto in un contesto in cui non stava nascondendo il suo stigma. 6. Essere continuamente esposti al rischio di rivelare involontariamente il proprio stigma: pensiamo all'ansia che provano tutti coloro che sono balbuzienti o che hanno altri problemi a parlare. 7. Dover spiegare per quale motivo ha nascosto il proprio stigma, sapendo che spesso può essere più grave il fatto di averlo nascosto per così tanto tempo, piuttosto che lo stigma in sé. 8. Provare un senso di ambivalenza nei confronti dei suoi: da una parte un sordo può essere infastidito da una persona che fa uso di apparecchi acustici, ostentando di fatto il suo stigma, ma dall'altra si sente in colpa perché sente di starla tradendo dal momento che differentemente da lei, lui si nasconde L'impatto del passing sulle relazioni che lo stigmatizzato intrattiene con altri 1. All'interno di relazioni superficiali, le domande dell'altro possono mettermi in una condizione di forte disagio perché possono fare riferimento al mio stigma: pensiamo quando a una vedova viene chiesta la professione del marito. 2. Lo stigmatizzato che compie il passing dovrà dare attenzione ad aspetti della vita sociale che gli altri non considerano: quello che per gli altri è sfondo, per lui è la figura; sembra scontato ma rendiamoci conto dell'attenzione che pone sempre il balbuziente che voglia nascondere questo suo problema sull'uso delle parole all'interno di un discorso: seguendo una testimonianza riportata da Goffman, chi ha problemi a parlare evita le così dette parole "Giona", quelle troppo difficili da pronunciare e che potrebbero far emergere il loro attributo stigmatizzante. 3. Le relazioni strette che la persona aveva prima dell'inizio del processo del passing subiscono un forte arresto, dal momento che diminuisce drasticamente il numero di informazioni che possiamo fornire: sappiamo quanto, all'interno di un rapporto sia fondamentale scambiarsi un numero cospicuo di informazioni intime per dimostrare di fidarsi reciprocamente l'uno dell'altro. 4. Nelle relazioni strette iniziate dopo lo stigma, la rivelazione viene continuamente rinviata e questo porta un senso di grande disagio da parte dello stigmatizzato perché più il momento si rinvia, più poi sarà difficile risolvere la tensione che si andrà a creare a causa della rivelazione; molto spesso, quando si trova finalmente il coraggio di parlare apertamente dell'attributo screditante lo stigmatizzato cerca di intavolare un discorso commovente e sentito che abbia la duplice funzione di farsi perdonare per lo stigma in sé e per é per la sua disonestà. 5. Prova un forte senso di ambivalenza nei confronti dei suoi, dal momento che da una parte si sente lontano da loro perché possiede, come tutti del resto, il desiderio di voler essere considerato normale, dall'altra però hanno sente di tradirli quando deve necessariamente condividere i pregiudizi che hanno i normali nei loro confronti: pensiamo agli omosessuali che devono ridere di fronte alle classiche battute che fanno su di loro. Routine quotidiana La routine quotidiana, ovvero l'insieme delle attività che collegano l'individuo alle varie situazioni sociali, è un elemento di studio fondamentale che ci consente di ricavare informazioni preziose sia, per quanto concerne l'identità sociale, riguardo l'insieme delle limitazioni e delle problematiche che affronta lo screditato a causa del suo stigma (pensiamo sempre al nostro amico con la deformazione facciale che cerca sempre un escamotage ideale per far sì che le persone che lo vedono non si spaventino troppo), sia, per quanto concerne l'identità personale, riguardo l'insieme di tecniche utilizzate dallo screditabile per nascondere il suo stigma a chi non ha sufficienti informazioni su di lui. Tecniche di controllo dell'informazione Goffman sostanzialmente aggiunge che i mezzi del passing possono essere materiali o immateriali: nel primo caso parliamo di strumenti atti a cancellare i simboli di stigma, come per esempio i capelli lunghi per nascondere delle cicatrici presenti nel volto (anche se è necessario fare attenzione perché a volte questi strumenti che vengono usati per nascondere uno stigma possono divenire a loro volta simboli di stigma, pensiamo per esempio alle lenti bifocali usate per attenuare la miopia), mentre nel secondo caso si fa riferimento a elementi relazionali che possano rendere meno palese il nostro attributo screditante, parliamo per esempio del boia che nasconde la corda da qualche parte e che gira con la moglie e con i figli quando è in viaggio per compiere la sua esecuzione. Una tecnica che possono usare gli stigmatizzati è quella di mostrare volontariamente attributi che possano essere degradanti, ma che comunque lo sono meno di quello che sta nascondendo attraverso questi: una persona sorda per esempio può modellare la sua condotta in modo tale da far pensare agli altri di essere una sognatrice, una persona distratta, ma non una persona che non ci sente. Lo stigmatizzato può poi decidere di dividere il suo mondo in due macro categorie: coloro che non sanno del suo attributo screditante e coloro che invece sanno e cooperano con lui per mantenere il segreto; pensiamo in questo caso a una coppia di coniugi all'interno della quale uno di loro possiede uno stigma: se il marito è un tossico, allora la moglie, anche per il suo bene, dal momento che se questa cosa venisse scoperta acquisirebbe uno stigma onorario, gli offre tutto l'aiuto possibile per nasconderlo; pensiamo per esempio anche all'aiuto che si possono dare due persone che condividono lo stesso stigma: due ex carcerati che si conoscono e che si incontrano fuori quando uno dei due è in compagnia di normali possono tacitamente decidere di fare finta di non conoscersi, oppure, qualora si salutino e vengano chieste spiegazioni, si rimane vaghi e non si esplicita il contesto nel quale si sono conosciuti. Capiamo come in questa circostanza potrebbe essere attuata anche una forma di ricatto, dal momento che non tutti sono intenzionati a mantenere il segreto se in qualche modo non ottengono alcun beneficio. Lo stigmatizzato può inoltre decidere di troncare i contatti con tutte le persone che possono venire a conoscenza del suo segreto: del resto più si è in una relazione di intimità più è probabile trovarsi nella condizione di dover rivelare il proprio segreto; pensiamo in questo caso alle vedove che a lavoro si limitano a trattare ossequiosamente i colleghi per non ricevere domande scomode. Noi sottovalutiamo il fatto che nascondere uno stigma nelle miriadi di situazioni nelle quali siamo coinvolti è estremamente dispendioso a livello mentale, quindi molto spesso è la stessa volontà della persona a rendere concreto il passaggio da screditabile e screditato: essa può rivelare il suo attributo indossando simboli di stigma (stella di David per gli ebrei, tagli lungo il braccio, i ciechi con il loro bastone pieghevole), attraverso lapsus intenzionali (un cieco che fa azioni maldestre volontariamente, oppure un omosessuale che fa un commento sul suo orientamento sessuale). Secondo Goffman, il punto più alto della crescita morale di uno stigmatizzato, nonché ultima fase della sua carriera morale, si tocca nel momento in cui questo capisce che se accetta sé stesso e inizia a vedersi come persona rispettabile, allora non ci sarà più bisogno di occultare il suo attributo screditante: dopo aver imparato a nascondere lo stigma, deve disimparare tutto ciò. Covering L'obiettivo dello stigmatizzato in questo contesto non è quello di occultare il suo stigma, ma quello di diminuire la sua interferenza, ovvero il grado di intrusione che il suo attributo screditante possiede all'interno di una specifica situazione: lo stigma in questo caso è conosciuto da tutti (questo perché esso è particolarmente visibile, o perché gli attori presenti all'interno della cornice interazionale erano già a conoscenza del fatto che la suddetta persona possedeva un attributo degradante), motivo per cui il suo titolare cerca di utilizzare una serie di espedienti per distogliere l'attenzione da esso e spostarla verso il contenuto esplicito dell'interazione. Il covering normalmente è preferito al passing semplicemente per il fatto che, dal momento che lo stigma è già noto a tutti, non c'è quel peso psicologico che invece devono sopportare tutti coloro che vogliono gestire le informazioni riguardo il proprio attributo screditante. Però passing e covering un'analogia la posseggono, ovvero che in entrambi i casi la persona cui è stato attribuito lo stigma deve fare attenzione a elementi dell'interazione che i normali ignorano: per esempio una persona sorda, per cercare di non creare problemi col suo attributo screditante, dovrà trovare degli espedienti che possono essere per esempio il mettersi accanto a una persona con la voce squillante, proporre un argomento di richiesta intromissione nella loro privata. Come se già questa condizione non fosse abbastanza sfavorevole, gli stigmatizzati sono persone normali che come tali vengono accettate per come sono, ma è meglio se capiscono che, pur essendo vero che spesso in virtù della loro cortesia i normali considerano il loro stigma come non importante, non sempre questo può avvenire e nel caso in cui non vengano accolti, non solo devono accettarlo, ma devono essere i primi a sottrarsi da quelle situazioni nelle quali effettivamente il loro attributo screditante possa causare problemi: Goffman parla per esempio dell'uomo in sedia a rotelle che, mentre cercava di salire le scale, viene fermato dai camerieri non per ricevere aiuto, ma per essere cacciato dal locale perché in un posto in cui le persone si recano per divertirsi, un uomo così misero non può che portare tristezza. Capiamo come una normalità che venga offerta facendo questi sacrifici è una normalità fantasma: i normali chiedono sostanzialmente allo stigmatizzato di vivere come se il suo attributo screditante non fosse un fardello che grava sulla sua esistenza e lo fa soffrire, così da non vedere con i propri occhi quanto sia chiusa la loro mente e poco abbondante la loro tolleranza. Allo stigmatizzato si dice che è come chiunque altro e nello stesso tempo che non lo è: questa contraddizione, una vera e propria beffa, è il suo destino ineluttabile e costituisce una sfida permanente per chi rappresenta gli stigmatizzati; viene accolto nell'idea di normalità, ma al contempo gli è sconsigliato di abbandonare o tradire il gruppo dei suoi. CAPITOLO QUARTO: IL SELF E IL SUO ALTRO. Nel capitolo quattro Goffman si chiede il collegamento tra la devianza e lo stigma: secondo l'opinione pubblica un deviante è chi non è in grado di socializzare perché non è stato sufficientemente a contatto con altri sé organizzati, chi dunque non segue le aspettative normative che sono alla base della cultura della società. Perché Goffman, come ci saremmo potuti aspettare, non ha studiato le minoranze che hanno una lunga storia di stigmatizzazione? Goffman dice che non ha studiato la stigmatizzazione delle minoranze che da sempre vengono calunniate perché esse sono categorie che sono stigmatizzate non solo all'interno di un'interazione faccia a faccia, ma a livello strutturale, nel senso che sono gli Stati stessi che propugnano un atteggiamento di disprezzo e distanza nei confronti di questi gruppi: quindi il loro stigma non può essere compreso solo osservando la cornice interazionale nella quale sorge, ma anche facendo riferimento alla storia e allo sviluppo politico. Allora Goffman poteva studiare stigmi particolarmente pervasivi che interferiscono con molte situazioni interattive, come per esempio la balbuzie, ma ha preferito trattare anche attributi screditanti che danno meno fastidio, scelta dovuta alla natura isomorfica delle situazioni umane: il sociologo qui intende dire che a prescindere da quanto pervasivo possa essere il nostro stigma, tutti e dico tutti gli esseri umani, anche quello che sembra il più normale di tutti, necessariamente si troveranno in una situazione nella quale c'è uno scarto tra la loro identità sociale virtuale e la loro identità sociale effettiva e quindi questo li porta a comprendere chi ha degli stigmi più invadenti, che vive una situazione identica alla propria, l'unica differenza è che la vive in numerose situazioni; con questo Goffman vuole dire che noi esseri umani siamo abituati a calarci nelle situazioni altrui non perché siamo empatici e sensibili, ma perché noi sappiamo, perché le abbiamo in primo luogo vissute, che tipo di situazioni sono: ecco perché una persona che non sa giocare a tennis tranquillamente può capire la situazione di una persona che a cui è stata amputata una gamba. Studiando l’esperienza ordinaria della stigmatizzazione si comprende meglio l’importanza svolta dalle norme sociali e in particolare dall’idea di normalità nei processi di stigmatizzazione: Goffman dice che è necessario che all'interno della società ci siano dei valori comuni che le persone seguono non in virtù della loro obbedienza ma del loro desiderio, dal momento che esse non sono sottomesse, non sono obbligate ad obbedire, sono loro a voler obbedire per essere accettate dagli altri, per raggiungere un ideale di conformità all'interno della struttura sociale. Tuttavia Goffman dice che l'adesione a queste norme, quindi il raggiungimento della normalità, non deriva dalla nostra volontà, ma dalla nostra condizione: del resto, se il modello di normalità dice di essere bianchi e io sono nero perché sono nato con questo colore della pelle, come faccio, anche desiderandolo, ad obbedire a questa aspettativa normativa? Allora di fronte a queste norme c'è chi si conforma e chi invece decide di separarsi dalla comunità che sostiene quella norma e di trovare un luogo differente nel quale poter esprimere la sua diversità, sia questo fisico (un altra città) o spirituale (l'arte): vediamo quindi come queste aspettative normative alimentino in egual misura il conformismo e la devianza. Goffman parla di una terza prospettiva che processi come il passing e il covering, grazie ai quali una persona che per il suo stigma è deviante, può ugualmente aderire ad una norma: la cosa può sembrare incredibilmente contraddittoria, tuttavia ha un senso nel momento in cui pensiamo che un individuo che nasconde il suo attributo screditante automaticamente è incluso all'interno dell'idea di normalità che propugna la società. Questo tipo di processo presuppone una collaborazione tacita tra stigmatizzato e normale: è grazie al fatto che il secondo custodisce il suo segreto, passa sopra con leggerezza alla sua rivelazione, oppure decido scientemente di ignorare delle prove che potrebbero smascherare il titolare dell'attributo screditante, d'altra parte lo stigmatizzato aderirà all'idea di normalità e non cercherà mai di presentarsi in una maniera che potrebbe mettere a disagio il normale (accetta la normalità condizionata che gli viene offerta); nel capitolo precedente abbiamo analizzato i processi di passing e di covering dal punto di vista dello stigmatizzato, ma forse non abbiamo specificato a sufficienza che questi non funzionano solo perché c'è una persona che dissimula, ma anche perché ci sono gli altri che collaborano per la sua buona realizzazione. Lo stigmatizzato, dal momento che pur essendo un deviante rimane, grazie al supporto degli altri, all'interno della conformità, viene considerato come un deviante normale. Stigmatizzati e normali: due facce della stessa medaglia. Quello che potremmo chiederci è, ma per quale motivo i normali dovrebbero aiutare gli stigmatizzati? Lo fanno in virtù della loro bontà? Perché sono individui sensibili? La risposta è no: lo fanno perché, come abbiamo anche detto nel primo capitolo, i normali e gli stigmatizzati non sono persone, ma piuttosto punti di vista che vengono generati in situazioni sociali durante i contatti misti in virtù di norme di cui non si è consapevoli, ma che possono esercitare un’influenza su tale incontro; normale e stigmatizzato sono dunque due semplici etichette, due ruoli di cui tutte le persone fanno esperienza all'interno dello spettacolo chiamato vita: ciò che rende plausibile il fatto che gli individui siano in grado di assumere entrambe le parti è il fatto che stigmatizzati e normali hanno la stessa identica costituzione mentale, dal momento che entrambi hanno interiorizzato l'ideale di normalità presente all'interno della società e per questo sono benissimo in grado di capire le caratteristiche dell'altro ruolo (io da normale so benissimo per quale motivo l'altro è stigmatizzato, ma vale tranquillamente anche il contrario); a dimostrazione di questa tesi in Stigma sono riportati due esempi opposti: da una parte vediamo come una persona che sia stigmatizzata per qualche deformazione al volto, dopo un'operazione chirurgica pensi di aver acquisito una personalità più accettabile, e dall'altra vediamo come chi abbia acquisito un difetto si preoccupi di come potrà essere trattato all'interno dell'interazione e del fatto che la sua identità potrebbe venire degradata; in entrambe le casistiche, gli stati d'animo che le due persone dimostrano di capire alla perfezione cosa li aspetterà. Partendo da questo presupposto possiamo capire perché per esempio i normali sono facilmente in grado di scimmiottare le persone che hanno uno stigma, pensiamo per esempio a chi fa finta di avere la sindrome di Tourette o chi cerca di ripetere il comportamento di un omosessuale e possiamo anche capire perché nello psicodramma i pazienti psichiatrici siano in grado di recitare il ruolo dei normali con grande competenza e destrezza. Da qui emerge la complementarità (se uno è stigmatizzato vuol dire che automaticamente non è normale) dei due ruoli, ma in realtà stigmatizzati e normali presentano anche moltissime analogie: - stare con il gruppo dei suoi ed evitare il contatto con gli altri è un modo di fare comune a entrambi, ma anche ritenere imbarazzanti delle richieste che ci fa l'altro e sentirci non compresi o attaccati è una posizione che accomuna entrambi i ruoli. Inoltre le asimmetrie che esistono tra i due ruoli vengono spesso appiattite dal lavoro svolto dai partecipanti all'interazione: se per esempio uno stigmatizzato non riesce a presentarsi come individuo uguale a tutti gli altri, allora, come dicevamo anche sopra, ci penserà il normale a venire in suo soccorso e dall'altra parte i titolari di un attributo screditante, quando viene offerto loro un aiuto, possono, pur con i denti stretti, accettarlo in virtù della buona fede con la quale è stata fatta la richiesta; in entrambi i casi si cerca di mantenere la situazione sociale in corso, che potrebbe venire spezzata se le due parti non collaborano. In ultima analisi, è interessante notare come anche chi possegga degli stigmi particolarmente pervasivi come la cecità o la mancanza di un arto, non sia automaticamente sempre uno stigmatizzato all'interno delle varie cornici interazionali: in molti casi chi è stigmatizzato per certi aspetti può tranquillamente dimostrate tutti i normali pregiudizi nei confronti di coloro che sono stigmatizzati per altri aspetti: per intenderci, uno storpio può tranquillamente essere omofobo o razzista, adottando quindi il punto di vista dei normali.