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Joel Candau - La memoria e l'identità , Appunti di Antropologia

Riassunto del saggio "La memoria e l'identità" di Joel Candau con alcune riflessioni personali (indicate con asterisco). Gli argomenti trattati sono: retoriche olistiche; i tre tipi di memoria; memoria forte e memoria debole; mnemogenesi e identogenesi; memoria profonda e memoria lunga; la memoria delle origini; il ruolo sociale della memoria; traccia e trasmissione profusa; memoria genealogica e familiare; prosopea; ricerca memoriale e patrimonializzazione; il crollo delle grandi memorie.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 28/03/2018

Volpe.Grigia
Volpe.Grigia 🇮🇹

4.4

(32)

7 documenti

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Scarica Joel Candau - La memoria e l'identità e più Appunti in PDF di Antropologia solo su Docsity! 1 LA MEMORIA E L’IDENTITÀ JOËL CANDAU 2 CAPITOLO I MEMORIA E IDENTITÀ: DALL’INDIVIDUO ALLE RETORICHE OLISTICHE Secondo Buñuel, la memoria è ciò che costituisce tutta la nostra vita (Buñuel, 1994). La conoscenza di sé, come nota Lacoste, «s’incammina necessariamente sui sentieri di una memoria di se stessi» (Lacoste, 1990). Memoria e identità sono strettamente legate fra loro, si fondono per produrre una traiettoria della vita, una storia, un mito, un racconto. Questa correlazione assai complessa è oggetto di studio nel campo delle scienze umane e sociali. Se è vero che l’identità, la memoria e il patrimonio sono le fondamenta della coscienza contemporanea, è altrettanto vero che il patrimonio è una dimensione della memoria, ed è la memoria (sotto forma di rappresentazioni, mito-storie, credenze, riti, saperi, eredità, ecc.) che rafforza l’identità, sia a livello individuale che collettivo. I tre tipi di memoria Le nozioni di «memoria» e «identità» sono ambigue in quanto tutte e due assumono sotto lo stesso termine di rappresentazioni un concetto operativo nel campo delle scienze umane e sociali. Esiste, in una prospettiva antropologica, una tassonomia delle differenti manifestazioni di memoria: 1) La protomemoria, detta anche memoria di basso livello, che, come il «protopensiero», non può essere separata dall’attività in corso e dalle sue circostanze (Dummet, 1991). L’antropologia deve privilegiarla: queste protomemorie – di cui, generalmente, gli individui non possono parlare – costituiscono il sapere e l’esperienza più resistenti e meglio condivisi dai membri di una società (Bloch, 1995). Sotto questo termine si può collocare la cosiddetta «memoria-abitudine» di Bergson, ma anche la «memoria sociale incorporata» (un ottimo esempio è la circoncisione praticata dagli ebrei), i molteplici apprendimenti acquisiti durante la vita, come la memoria del gesto e tutte quelle abitudini nel linguaggio verbale e gestuale che vengono trasmesse dalla società e che l’individuo ripete senza che se ne renda pienamente conto. In altre parole, la protomemoria è alla base del modo di comportarsi, di parlare, e perciò di sentire e pensare (Bordieu, 1980). Questa forma di conoscenza, o 5 pensato o scritto renda conto ell’esistenza di una memoria collettiva. Riassumendo: anche se si suppone che le rappresentazioni relative a questi atti di memoria siano correttamente comunicate e trasmesse, niente permette di affermare che esse siano condivise. Quando una rappresentazione mentale è comunicata da un individuo a un altro, la maggior parte di questa resta propria di un individuo mentre è trasformata in rappresentazione pubblica. Di conseguenza, se le rappresentazioni pubbliche distribuite sono sempre trasformate in rappresentazioni mentali inaccessibili, il grado di pertinenza delle retoriche olistiche, che si suppone descrivano la condivisione delle rappresentazioni, sarà sempre impossibile da valutare. Per esempio la memoria che ciascun abitante di Minot ha di una persona defunta differirà in proporzione più o meno grande dalla memoria di ogni altro abitante, in funzione della sua storia personale, di quella della sua famiglia, ecc. In queste condizioni è chiaro che l’espressione «memoria della comunità» risulta piuttosto ambiguo. Occorre, in questo caso, distinguere tra rappresentazioni fattuali e rappresentazioni semantiche. Quando una retorica olistica rinvia a delle rappresentazioni fattuali che si suppone siano condivise da un gruppo di individui, c’è una forte probabilità che il suo grado di pertinenza sia elevato. Quando una retorica olistica rinvia a delle rappresentazioni semantiche che si suppone siano condivise da un gruppo di individui (per esempio, rappresentazioni relative a dei dati fattuali), c’è una forte probabilità che il suo grado di pertinenza sia debole e persino nullo. Sorge quindi questa domanda: come valutare il grado di pertinenza delle retoriche olistiche applicate a delle rappresentazioni fattuali e a quelle semantiche? Possiamo dire che quando vi è la condivisione da parte di tutti i membri di un gruppo della credenza in fenomeni derivanti da una constatazione, il grado di pertinenza della retorica olistica è elevato. Tuttavia, il risultato della constatazione non è evidente, ma è spesso relativo a un sistema di valori, di credenze e di teorie diverse (Descombes, 1996). Di conseguenza, ogni volta che si dice «è stato detto», l’unanimità è impossibile, e il presupposto della condivisione (di idee, di credenze, di ricordi) che veicolano le retoriche olistiche diventa problematico. La memoria collettiva segue le leggi delle memorie individuali che, in permanenza, influenzate più o meno dagli schemi di pensiero e di esperienza della società, si riuniscono e si dividono, si ritrovano e si allontanano. 6 Memoria forte e memoria debole Una memoria forte è una memoria organizzatrice, nel senso che è una dimensione importante della strutturazione di un gruppo. La probabilità di riscontrare una memoria simile è tanto più grande quanto più è limitato il gruppo. Un ottimo esempio di memoria forte è rappresentato dai voyageurs franco-canadesi che nel XVIII e XIX secolo lavoravano per conto delle compagnie di pellicce trasportando la merce sulle canoe, attraverso i grandi fiumi del Nord America. Questi uomini trascorrevano la maggior parte dell’anno fuori casa, in mezzo a territori ancora sconosciuti, e ciò dava loro occasione d’intrecciare frequenti rapporti con i nativi americani, tanto che finirono con l’adottare i loro costumi, e addirittura molti di essi sposarono le loro donne. Nonostante i contatti con questi popoli, essi seppero mantenere i valori e le credenze propri del loro mondo: cantavano canzoni tipiche francesi, praticavano riti attinenti alla religione cattolica, e così via.* La memoria debole è invece una memoria senza contorni ben definiti, diffusa e superficiale che è difficilmente condivisa da un insieme di individui la cui identità collettiva è relativamente inafferrabile. Il grado di pertinenza delle retoriche olistiche sarà sempre più elevato in presenza di una memoria forte, vigorosa, piuttosto che di una memoria debole, inconsistente. * C. Podruchny, Making the Voyageur World, 2006. 7 CAPITOLO II DALLA MNEMOGENESI ALLA IDENTOGENESI La memoria individuale e la coscienza La coscienza di sé non sarebbe possibile senza il ricordo o l’attesa. La memoria si muove in tre differenti direzioni: una memoria del passato; una memoria dell’azione; e infine una memoria dell’attesa (quella dei progetti, delle decisioni, delle promesse). Da questo punto di vista, il rapporto che intratteniamo col tempo non è bidirezionale, ma tridirezionale. Memoria e ricordi Grazie alla memoria, l’individuo mira al mondo e continuamente lo cattura, manifesta le sue intenzioni nei suoi confronti, lo struttura, lo mette in ordine e lo fornisce di senso. Si parla a questo proposito di «pregnanza simbolica» (Cassirer, 1989). In questo si trova una differenza radicale tra la memoria umana e quella dei computer i quali, ricorda Claude Simon, hanno una memoria ma sono privi di ricordi. Essi non integrano in un significato gli avvenimenti memorizzati, non ne fanno l’oggetto di rappresentazioni che, nell’uomo, solo il risultato di un’interazione che consiste nella congiunzione tra il mondo e l’anima. La memoria, quindi, si appoggia sull’immaginazione. La memoria umana è rappresentativa, quella dei computer semplicemente presentativa, incapace di scegliere di ricordare o di decidere di dimenticare. Il ricordo non «contiene» la coscienza, ma «la sostiene, e la manifesta». Il ricordo del tempo passato non è il ricordo del tempo che passa, poiché la coscienza della durata tra il momento della rimemorazione e l’evento rimembrato è fluttuante (secondo i casi, ci sarà contrazione o estensione) e approssimativa («tempo fa», «l’altro giorno», ecc.) (Finley, 1965). L’atto memoriale ha una dimensione «teologica». Da questo punto di vista, si può considerare la memoria bachelardiana come una risposta alle interrogazioni aristoteliche o agostiniane sul passato che non è più, sul futuro che non è ancora e sul presente che si annulla nell’attimo stesso in cui si produce. Ricordarsi permette di tenere insieme queste tre dimensioni temporali, come aveva osservato Kant, per il quale la facolta timemorativa e la facoltà di previsione servono «a legare in una 10 CAPITOLO III PENSARE, CLASSIFICARE: MESSA IN MEMORIA E MESSA IN ORDINE DEL MONDO Per conservare il ricordo, e più in generale per pensare, è necessario memorizzare un mondo messo precedentemente in ordine. Secondo Claude Lévi-Strauss, la classificazione «salvaguarda la ricchezza e la diversità dell’inventario; decidendo che bisogna tenere conto di tutto, essa facilita la costituzione di una “memoria”». Pertanto, ricordare (come dimenticare) è classificare, secondo modalità storiche, culturali, sociali. Le rappresentazioni dell’identità sono inseparabili dal sentimento di continuità temporale (identità narrativa, richiamo alla tradizione, illusione della permanenza, fedeltà maggiore o minore ai propri impegni, messa in atto di caratteristiche storicamente radicate nel gruppo di appartenenza). Memoria profonda e memoria lunga La prima operazione di messa in ordine consiste nel distinguere il passato dal presente. L’ampiezza della memoria del tempo passato avrà un effetto diretto sulle rappresentazioni dell’identità. La scoperta del «tempo profondo» (il tempo geologico, poi astronomico), cambiò la rappresentazione che l’uomo si faceva del proprio posto nell’universo. La memoria del tempo profondo può essere opprimente perché significa la rovina della concezione antrpocentrica dell’identità difesa da Aristotele, quando affermava che «ciò che la natura ha fatto, l’ha fatto per gli uomini». Mentre la memoria del tempo profondo tende a indebolire la coscienza identitaria, la memoria lunga la rafforza. Quest’ultima è la percezione di un passato senza dimensioni. Essa è una «visione del mondo» specifica di una collettività e dipende dalle memorie forti. Così, ogni evocazione del passato prende l’andamento di cose viste, s’immerge a una stessa durata, rinvia a uno stesso tempo, quello della comunità. Un esempio di memoria lunga è dato dall’antropologo Claude Cockburn, che riporta il racconto di alcuni ebrei incontrati in Bulgaria i quali gli riferirono di certi avvenimenti riguardanti la loro origine accaduti molto tempo fa (quasi cinquecento anni) in un modo che però sembrava fossero accaduti soltanto un paio d’anni prima. In questo caso troviamo conferma che il tempo nella sua durata non è percepito come una quantità misurabile, ma come una qualità associativa ed 11 emozionale, che rinvia alle rappresentazioni che i membri di un gruppo si fanno della loro identità e della loro storia. Infatti, il più delle volte, la memoria sembra incapace di restituire fedelmente la durata. L’atto della memoria isola gli avvenimenti e li svuota della loro durata, li schematizza in qualche modo. La memoria del «buon tempo antico» Le memorie mitiche delle origini hanno una funzione sociale. Infatti, manifestando spesso nostalgia per un passato dipinto con i colori del «buon tempo antico», il narratore s’impegna in una critica della società odierna che può far trasparire l’esigenza sottostante di cambiamenti per l’avvenire. Il contenuto della narrazione è in questo caso una transizione tra una certa rappresentazione del passato e un orizzonte d’attesa. Per questa stessa ragione, questa memoria portatrice di una struttura possibile del futuro è sempre una memoria vivente. Tuttavia vi sono dei casi, come tra i contadini della Vandea, in cui questa memoria del buon tempo antico non funziona secondo gli schemi classici. La memoria delle origini Il momento dell’origine, la causa prima è sempre un nucleo centrale per la memoria e per l’identità, tanto che il riferimento all’origine è un’invariante culturale. Ciò che è vero per l’individuo, lo è ancora di più sul piano dei gruppi: viaggi, racconti e testi fondatori, ecc. Il «punto zero del computo» avrà un ruolo tanto più grande nella definizione delle identità individuali e collettive quanto più esso sarà spostato indietro nel tempo come, per esempio, quando i franchi sostenevano di discendere dai troiani. L’effetto massimo si ha con i miti dell’origine che hanno come caratteristica di essere situati «fuori dal tempo», ma che tuttavia condizionano «l’oggi del narratore». Tra i legami primordiali che sono alla base dell’etnicità, si trova sempre il riferimento a un origine comune. L’essenziale è che questi elementi comuni siano vissuti dal gruppo interessato (in ogni caso da una parte dei suoi membri). Lo stesso succede con il tentativo di costruzione di un’identità nazionale. Così, in Norvegia, il riferimento alle origini mitiche della nazione, in questo caso il glorioso passato costituito dall’epoca vichinga e dall’inizio del Medioevo, ha svolto una funzione essenziale nella genesi dell’identità della nazione norvegese. 12 Nei racconti collettivi, i membri del gruppo presentano, a proprio so e consumo, l’immagine del loro passato più conveniente per i loro bisogni comuni. Da qui lo schema della purezza della trasmissione e dell’autenticità di ciò che è trasmesso a partire dalle origini. La memoria degli eventi Il punto d’origine non è sufficiente perché la memoria possa organizzare le rappresentazioni identitarie. È necessario anche un asse temporale, una traiettoria segnata da quei riferimenti che sono gli eventi. Il ricordo dell’esperienza individuale deriva in questo modo da un processo di «selezione mnemonica e simbolica», di certi fatti reali o immaginari, definiti come eventi. Sono come tanti atomi dell’identità narrativa del soggetto di cui assicurano la struttura, sempre in divenire poiché essa dovrà integrare gli eventi successivi. 15 oppongono alla memoria inventiva, non trasmettono ordine, né valori o messaggi, poiché l’immagine non si nutre che della perdita, nel senso che sempre, senza tregua, un’immagine caccia l’altra, proibendone la riflessione ed eliminandone, di conseguenza, la capacità di trasformare il nostro rapporto con il passato e le rappresentazioni che elaboriamo di noi stessi. Né mediatrici né creatrici del legame sociale, le memorie artificiali, per questo stesso fatto non permettono alla tradizione di sopravvivere e di rinnovarsi. Un esempio di memoria «creatrice e mediatrice» è quello presente tra le comunità francofone dell’isola di Terranova nel periodo compreso tra la prima metà del XIX secolo – quando, cioè, le prime comunità si insediarono stabilmente nell’isola – e gli anni quaranta di quello successivo. Fra queste comunità era usanza comune invitare a casa propria i vicini per una serata in compagnia, quasi sempre con un cantastorie presente. Queste riunioni familiari, conosciute come veillées (“veglie”), occupavano tutta la serata e spesso duravano fino alle tre del mattino. Di solito il primo a essere invitato era proprio il cantastorie (conteur); se costui accettava, allora l’invito veniva esteso anche ai vicini e agli amici più stretti. Nella prima parte della serata il tempo veniva impiegato giocando a carte; poi, dopo cena, giungeva il momento più importante, il vero cuore della serata: quello del conteur. Il racconto da lui scelto durava di solito tre ore o più, ma capitava che certe storie erano così lunghe che occorrevano anche due sere consecutive per terminarle. Se il conteur non era presente, allora veniva chiesto a uno degli invitati di “sostituirlo”; ma la classica veillée prevedeva che fosse presente, essendo lui l’attrazione principale della serata*. Queste riunioni cominciarono a cadere in disuso con il diffondersi della televisione, e già negli anni Cinquanta la veillée era cosa di altri tempi. La televisione prese così il posto del conteur, depositario di una memoria inventiva, una memoria che era «creatrice e mediatrice» del legame sociale, per cui lo stesso legame sociale ne risultava sensibilmente deteriorato. Le società moderne hanno probabilmente una minore capacità di trasmettere la memoria rispetto alle comunità francofone dell’isola di Terranova, e più in generale a quelle società con una minore espansione memoriale. Non a caso Hervieu-Léger e Joelle Bahloul sottolineano nei loro lavori l’importanza di quadri sociali per la trasmissione delle memoria domestica: quando questi svaniscono, la trasmissione s’interrompe, spesso in modo irrimediabile, provocando una mancanza, un bisogno di memoria. * G. Thomas, The Two Traditions: The Art of Storytelling amongst French Newfoundlanders (1993) 16 Le vie della trasmissione Oggi si tende a sostenere che non esiste identità, collettiva e personale, che non si forgi senza il ricorso allo scritto. Senza dubbio questo è vero, ma alcune forme di trasmissione dell’identità meno esplicite conservano tutta la loro efficacia. È stato dimostrato che i fondamenti della durata di una discendenza domestica si situano nei segni memorativi (i ricordi intimi, i luoghi e il paesaggio che circondano la proprietà, filmini e fotografie di famiglia) piuttosto che nelle carte di famiglia. Questi segni memorativi servono ad affermare il carattere durevole del legame familiare che a veicolare delle informazioni o a ricordare degli avvenimenti. È probabile che l’invenzione della fotografia abbia favorito la costruzione e il mantenimento di una memoria di determinati dati fattuali – avvenimenti storici, ma anche fatti familiari – offrendo, simultaneamente, maggiori possibilità di manipolazioni di questa memoria. Ciò che conta è la capacità della memoria di creare dei legami tra gli uomini. Per questo bisogna che essa sia creatrice e mediatrice. Ma oggi la memoria è sempre meno questo. La tecnica, in effetti, ci disinveste dal compito di essere proprio noi i depositari viventi della memoria: e noi ci riferiamo sempre più a queste memorie sempre disponibili, benché morte – o disponibili proprio perché morte. 17 CAPITOLO V IL RUOLO SOCIALE DELLA MEMORIA E DELL’IDENTITÀ: FONDARE, COSTRUIRE Memoria genealogica e familiare È senza dubbio all’interno della memoria genealogica e familiare che il ruolo della memoria e dell’identità si mostra più facilmente. L’insieme dei ricordi che i membri della stessa famiglia condividono partecipa all’identità particolare di questa stessa famiglia. Malgrado i diversi tentativi di fissazione di questa memoria (registri, alberi genealogici, ecc.), la ricerca identitaria scompiglia e rimodella regolarmente le discendenze più precise, utilizzando in permanenza la genealogia naturalizzata (riferita al sangue e al suolo) e la genealogia simbolizzata (in riferimento a un racconto fondatore). La genealogia è definita come una «ricerca ossessiva dell’identità», quanto più vigorosa quanto più le persone hanno la sensazione di essersi allontanate dalle loro «radici». Poiché la profondità della propria memoria non va al di là di due o tre generazioni, la paura dell’oblio investe ogni individuo. Questa paura dell’oblio si manifesta maggiormente nelle popolazioni urbane, tagliate fuori dai «luoghi di memoria» tradizionali, rispetto alle società rurali dove l’interconoscenza assicurava il mantenimento, almeno per un certo tempo, della memoria degli scomparsi. La reminescenza comune e la ripetizione di certi rituali (pasti, feste familiari) e la conservazione collettiva dei saperi, dei riferimenti, dei momenti familiari e dei simboli (fotografie, luoghi, oggetti, documenti di famiglia, canzoni, ricette di cucina) sono dimensioni essenziali del sentimento d’appartenenza e dei legami familiari che fanno sì che i membri del parentado si considerino come una famiglia. La memoria generazionale La memoria generazione è anche una memoria di fondazione che ha il suo posto nel gioco identitario. Essa è la coscienza di appartenere a una catena di generazioni successive delle quali il gruppo o l’individuo si sentono più o meno eredi. È la coscienza di essere i continuatori dei nostri predecessori. Questa coscienza del peso delle generazioni precedenti si manifesta in espressioni a forte carica identitaria: «i 20 Ricerca memoriale e patrimonializzazione La società francese contemporanea manifesta un gran desiderio di memoria che si traduce in un gigantesco sforzo d’inventario, di salvaguardia, di conservazione e di valorizzazione dei presunti indizi del proprio passato, al punto di fare dell’intero paese un immenso museo. Il patrimonio funziona come un «apparato ideologico della memoria»: la conservazione sistematica di vestigia, reliquie, testimonianze, simboli, tracce serve da contenitore per alimentare i racconti storici che sono stati costruiti a proposito del passato. Come le commemorazioni, questa febbre patrimoniale tradisce una certa incapacità a vivere il tempo presente, risponde a una domanda sociale in direzione del passato, nata da un profondo malessere nei confronti del presentismo della nostra società. L’effervescenza patrimoniale è l’espressione di un modo di pensare nel quale il passato è valorizzato, persino venerato, spesso da coloro che percepiscono come più allentati i legami con le proprie origini. Il «male d’archivio» è l’espressione dell’impazienza assoluta di un desiderio di memoria, e ogni perdita d’archivio è vissuta come una perdita di sé. Tutte queste tracce, sia prodotte sia registrate, sono delle «illusioni di eternità». Manipolare, dominare, differenziare Le società hanno bisogno in alcuni momenti di ricostruirsi un passato. Questo bisogno può essere soddisfatto poiché il passato è modellabile, come il futuro (mentre il presente, aggiunge Borges, non lo è mai). La modificazione della memoria istituzionale (costruzione di falsi, revisione, correzione, ecc.) permette di costruire dei passati alternativi, generalmente un passato più utile e più conveniente. Colui che manipola il passato nello stesso tempo personale, familiare e regionale, crea se stesso nel momento stesso in cui crea i suoi avversari. Una manipolazione troppo brutale della memoria (per esempio la distruzione di luoghi santi o sacri) può produrre un effetto contrario a quello perseguito. In Brasile, la manipolazione della memoria da parte dei bianchi consiste nel mantenere la memoria della schiavitù perché questa è concepita come un mezzo per rendere inferiori i neri. Negli Stati Uniti, la ricerca di un’identità da parte di determinati gruppi di neri è uno sforzo per darsi un passato. Essendo disponibili soltanto i modelli dei gruppi bianchi, i neri impegnati in questa ricerca prenderanno in prestito, manipoleranno e metteranno insieme questi modelli per creare qualcosa di nuovo. 21 CAPITOLO VI L’ESAURIMENTO E IL CROLLO DELLE GRANDI MEMORIE ORGANIZZATRICI La capacità di organizzare delle identità collettive dipende in parte dall’attitudine di una società a proporre ai propri membri strutture memorizzabili sufficientemente esplicite e comprensibili. Queste memorie fortemente strutturate sono da molto tempo oggetto di studio da parte degli antropologi. Sperber vede nei racconti e nei miti degli oggetti ottimali per la memoria umana: è alla struttura del racconto che essi devono per buona parte la possibilità di essere memorizzabili. Racconti, narrazioni, miti inscritti in una trama narrativa sono le chiavi di volta di memorie fortemente strutturate che contribuiscono, all’interno di un gruppo o di una società, a orientare in modo durevole le rappresentazioni, le credenze, le opinioni e a mantenere l’illusione della loro condivisione assoluta e unanime. Queste grandi categorie organizzatrici delle rappresentazioni identitarie collettive, sono tanto più efficaci in quanto dispongono di numerosi collegamenti in tutto il corpo sociale sotto forma di «luoghi della memoria»: la Scuola, lo Stato, la Famiglia. All’origine di pratiche e riti diversi, questi diffonderanno e faranno vivere le grandi memorie organizzatrici. In Francia, dalla fine del XIX fino alla metà del XX secolo, fu il caso della scuola laica che attraverso manuali e riviste rese popolare la memoria repubblicana. L’antifona della regressione memoriale e identitaria L’arretramento e anche la perdita dei grandi punti di riferimento memoriale è un leitmotiv di ogni letteratura consacrata alle scienze umane e sociale. Il discorso meta memoriale dominante sembra ammettere l’idea della scomparsa delle grandi memorie collettive a vantaggio di una sorta di «balcanizzazione memoriale» (Leniaud, 1994), constatazione che è spesso espressa in forma di rimpianto. Nelle società moderne non ci sarebbero più memorie prevalenti che avrebbe il ruolo di forme organizzatrici della società: ogni memorie sarà «babelica», essendo ognuna estranea alle altre. Le memorie contemporanee sarebbero dei mosaici senza unità, costituite dalle macerie delle grandi memorie organizzatrice che sono andate in frantumi. Ciò è attestato da numerosi segni indicatori, i quali 22 mostrano come oggi lo spazio abbandonato da queste grandi memorie sia progressivamente occupato da memorie «in briciole». È significativo, per esempio, che si siano moltiplicati i lavori etnografici la cui ambizione è di scandagliare nei loro minimi dettagli le innumerevoli particolarità della società francese. La disciplina etnografica, da questo punto di vista, è un ottimo specchio della Francia contemporanea nella quali coesistono e si sovrappongono memorie e identità plurali. Si può osservare un altro sintomo dell’arretramento delle grandi memorie organizzatrici nella scomparsa della cultura religiosa: molte persone oggi lasciano trasparire un’assenza di conoscenze bibliche senza dubbio inimmaginabile fino a qualche decennio prima. D’altro canto, non si dovrebbe parlare tanto della scomparsa dei centri di memoria quanto della loro trasformazione: mentre per molto tempo certi membri della società (il conteur dell’isola di Terranova, per esempio) erano riconosciuti come i soli portatori legittimi, autorizzati, della memoria e dell’identità collettive, questi hanno successivamente perduto il loro monopolio. Sono sempre più numerosi gli individui che si autoproclamano custodi della memoria del loro gruppo di appartenenza o del loro gruppo di affiliazione. Per questo stesso fatto, la produzione delle memorie diventa più profusa, più dispersiva, più frammentata, spesso meno visibili e meno spettacolare nel tempo delle grandi «società-memoria».