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L'abc della teologia di Raffaele Maiolini, Sintesi del corso di Teologia

Riassunto integrale del libro l'abc della teologia

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 14/10/2021

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Scarica L'abc della teologia di Raffaele Maiolini e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! PARTE PRIMA LE RADICI 1 LA RIBELLIONE ALLA RELIGIONE NOME DELL'UOMO NELLA MODERNITÀ La demanda Perché in Occidente sembra non essere più “spontaneo” credere in Dio? Da un punto di vista storico, il movimento di progressiva protesta/allontanamento/messa in discussione della religione ha avuto il suo grembo scatenante in Europa tra la metà dell'800 e gli inizi del 900;da un punto di vista culturale, sono fondamentalmente due i filoni in cui tale messa in discussione si è espressa. LA RIBELLIONE ALLA RELIGIONE NOME DELLA LIBERTÀ DELL'UOMO È il grido di protesta a cui, sintomaticamente, alcuni grandi pensatosatori hanno dato voce: per essere “veri” uomini, ci si deve allontanare (emancipare) dall'essere credenti (nel senso di appartenere a una religione). 1.1 Radice antropologica della religione: l'intuizione di Feuerbach Il filosofo afferma che «il mistero della teologia» è «l'antropologia». La religione, cioè, in realtà non parla di “Dio”, bensì dell'uomo, dei bisogni più veri dell'umano: Come l'uomo pensa quali sono i suoi principi, tale è il suo dio. La coscienza che l'uomo ha di Dio è la conoscenza che l'uomo ha di sé. Di conseguenza, va capovolta l'affermazione di Genesi 1,27. L'intuizione di Feuerbach si possono raccogliere almeno tre indicazioni: il “religioso” è decisivo nella vita umana, perché antropologicamente indica quel qualcuno/qualcosa che si desidera come il compimento; occuparsi della religione, di conseguenza, è decisivo perché in essa “precipita” il meglio della cultura; la tentazione grande. 1,2. La religione come sovrastruttura politico-economica: la denuncia di Marx K. Marx. adotta in un primo momento la posizione di Feuerbach; si distanzia per una diversa visione antropologica. La concezione di Feuerbach è troppo astratta per Marx l'uomo è condizionato dalle strutture socio-economiche e politiche in cui vive, per questo non è sufficiente identificare la teologia con l'antropologia. Marx sostiene cioè che la religione è il prodotto di (falsi) rapporti sociali, una conoscenza (capovolta) del Mondo; nello stesso tempo è anche «il gemito della creatura oppressa», cioè espressione ella miseria effettiva e (possibile) protesta contro la miseria socioeconomica. Ogni società e ogni economia vanno sempre alla ricerca del religioso'' per legittimare il proprio potere; una religione si valuta per il suo rapporto con il socio-economico. 1.3 La religione come stadio infantile della personalità: la rivoluzione di Freud S. Freud si è occupato di religione in numerosi scritti. Qual è l'intuizione rivoluzionaria del padre della psicoanalisi? Desideri infantili hanno spinto (fisiologicamente) il bambino ad invocare un “Padre” al di là del padre reale e possono spingersi (patologicamente) al di là dell'infanzia (ricerca di un ‘‘’Padre che è proiezione del padre reale), così può succedere ad una cultura mana: dopo le fasi primitive della sua storia, c'è ancora un'umanità non riesce/vuole entrare nell'età adulta. Non serve più, dunque, discutere i singoli contenuti proposti dalle religioni, bensì ci si deve concentrare su una struttura stessa del processo della religione: da infanti, credere in “Dio” come un “grande padre” è fisiologico. Ma se permane da adulti è patologico, bisogna, dunque liberarsene. Si possono raccogliere almeno due indicazioni: il ‘’religioso” affonda le sue radici nei processi primari di identificazione dell'umano; la religione può nascondere una patologia dell'umano, diventando una scorciatoia per compensare disturbi infantili della personalità. 1.4 La drammatica ebbrezza della “morte di Dio": la serietà di Nietzsche Nietzsche celeberrimo aforisma 125 del terzo libro della Gaia Scienza ha la consapevolezza che “uccidere Dio” non è così semplicistico. In questo testo egli racconta di un uomo folle, che in pieno giorno gira con una lanterna per il mercato e grida: «lo cerco Dio!». A chi lo deride egli risponde: Dio è morto! Dio rimane morto! E noi l'abbiamo ucciso! Nietzsche, dunque, ha una duplice lucida consapevolezza. Da una parte la “morte di Dio” apre le porte al nichilismo, nel senso preciso dapatole di Nietzsche: «Che significa nichilismo? Significa valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al: perché?». Dall'altra parte, tutto ciò spinge l'uomo a diventare “oltreuomo”. Dalla serietà di Nietzsche si possono raccogliere almeno tre indicazioni: “uccidere'’ Dio non è una cosa così semplice o banale, perché- letteralmente-è come togliere il sole alla terra; comunque togliendo il sole, la questione non è risolta, perché è facile ricorrere a surrogati (lanterne) più o meno consapevoli; dopo aver ‘ucciso Dio”, la via più coerente è quella di diventare ii “dio” della propria vita. 1.5 Liberarsi di Dio/religione rende l'uomo più libero? L'Occidente si è ribellato nei Confronti di una religione che attraverso dinamismi di proiezioni, in balìa di forze socio-economiche, preda di processi inconsci hanno impedito di progredire ed essere uomini migliori. La religione non è di aiuto al processo di umanizzazione dell'uomo, perché è un permanere in uno stato di è di ventato un orizzonte comune e pacifico, non più frutto di allontanamento consapevole. Questo senso già nel 1 965 la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes del Concilio Vaticano Il trattava in maniera dir poco profetica dell'ateismo del XX secolo. Concilio registra che da un ateismo teoretico n cui si argomentala non esistenza o non conoscibilità di Dio, si è passati ad un ateismo pratico, anche se si riconosce in teoria la “questione Dio”, si vive poi in pratica come se Dio non ci fosse. Da dove viene tutto questo? Di chi è la responsabilità di tale situazione? Interessante che il Concilio addossi espressamente alla Chiesa stessa, all'educazione religiosa e alle carenze della dottrina e della prassi cristiana una parte della responsabilità della nascita del moderno ateismo; che si conferma essere un fenomeno, dunque, spesso e volentieri reattivo rispetto a una modalità ben precisa di vivere la religione e di presentare Dio. 2.2 Le proposte delle altre religioni Ulteriore sfida oggi è posta in modo nuovo al cristianesimo occidentale è la compresenza con altre religioni. Ci sono provocazioni interessanti che la presenza di alcune grandi religioni al modo cristiano di vivere la religione. Ebraismo. Il cristianesimo è legato alla religione ebraica per la sua origine, nonché per la persona stessa dell'ebreo Gesù. Tuttavia la religione ebraica non è confluita nel Cristianesimo e la sua presenza contesta almeno tre punti del cristianesimo: a) l'idea che Gesù sia Dio fatto uomo: Dio è totalmente trascendente ed eterno e non può essere racchiuso nello spazio-tempo di un'esistenza umana; b) il messaggio della redenzione universale nella in croce di Gesù: non è la morte in croce di qualcuno che libera dal peccato; c) la pretesa del cristianesimo di essere compimento e inveramento dell'ebraismo. Islam. Venuta alla luce dopo quella cristiana. | cinque pilastri dell’ìslam indicano i cinque obblighi fondamentali. (1) la professione di fede «Non esiste divinità all’ infuori di Dio (Allah) e Maometto è il Suo profeta»; (2) le preghiere rituali, cinque volte al giorno (3) l'elemosina legale : ogni fedele deve annualmente il 2,5% del capitale in eccesso a quello necessario per i bisogni primari; (4) il digiuno durante il mese di Ramadan. (5) il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita. L'islam assegna una posizione particolare a Gesù nella schiera dei profeti e il Corano è l'unico testo sacro di un'altra religione che parla di Gesù. Religione islamica contesta del cristianesimo: a) la filiazione divina di Gesù b) la sua azione redentrice in croce c) la dottrina trinitaria, perché forma d i paganesimo (affermazione di tre dèi). Induismo. È la religione del subcontinente indiano che non conosce la figura di un fondatore: l'origine è da individuarsi nella migrazione che l'antica popolazione degli Arii intorno al 2200 a.C. La complessa visione induista contesta del cristianesimo: a) la visione della divinità, perché Dio non è un Dio personale;, b) la visione del reale: ciò che si vede non è la realtà, è un'apparenza e solo andando oltre ‘il velo’ c) l'incarnazione di Gesù e la sua storia terrena, perché la carne non è la verità della realtà. Buddhismo. All'origine del buddhismo c'è la figura di Siddharta Gautama Shakyamuni a motivo della sua fondamentale esperienza illuminativa vissuta nella città indiana di Bodh Gaya ricevette il titolo di Buddha. Predica le «quattro nobili verità»: 1) l'insufficienza di questo mondo mutevole; la verità è che tutto è sofferenza; 2) l'origine della sofferenza; data dall'attaccamento al mondo e dal desiderio, 3) il fine della vita come «liberazione perfetta/illuminazione suprema». La «via» per giungere all'emancipazione dal desiderio e, quindi, dalla sofferenza: l'ottuplice sentiero e la retta visione. La massima provocazione del buddhismo al cristianesimo sta nella sua pretesa di essere una religione “senza Dio”. 2.3 Un cristianesimo diviso | discepoli di Gesù rimasero uniti solo per i primi secoli, perché dal V secolo in poi avvennero molteplici divisioni. Chiese nestoriane e non calcedonesi. Alla luce delle discussioni due concili nel rapporto fra divinità e umanità in Gesù, lo definirono ‘vero Dio e vero uomo”, alcune Chiese d'Oriente non accettarono le formulazioni linguistiche questi concili e si separarono. Lo scisma fra Oriente e Occidente: Chiesa “cattolica” e Chiesa ortodossa. Le differenze fra queste due grandi aree, quella latina e quella greca, andarono accentuandosi col tempo per una molteplicità di complesse ragioni storiche, culturali e politiche che concorsero ad allontanare sempre più la Chiesa greca da quella latina. Chiese nate dalla Riforma protestante. Il Il secondo millennio è segnato da un'altra divisione che avviene all'interno della Chiesa d'occidente nel 1500, e poi ulteriormente, all'interno delle stesse comunità nate dalla Riforma. M. Lutero e poi in G. Calvino furono i promotori della riforma, si proponeva di “riformare” la Chiesa, non di fondarne di nuove; il contrasto con la Chiesa di si fece ben presto netto e radicale. Le vicende successivamente portarono allo scontro aperto e alla scissione fra la Chiesa che mantenne il titolo di cattolica e quei le dette comunemente protestanti. (1) Le Chiese luterane e Chiese riformate. Come detto, due furono le principali correnti del la Riforma: sulla linea di Lutero si formare no le Chiese dette luterane, sulla linea di Calvino quelle dette riformate (o calvinista). Pur differendo in alcuni aspetti, hanno in comune i principi fondamentali, riassumibili nella triplice formula sola fide, solus Christus, sola Scriptura. Concordano anche nel riconoscimento del Battesimo e della Cena del Signore come unici sacramenti istituiti da Gesù. (2) La Chiesa valdese fa ora parte del mondo protestante, anche se la sua origine è più antica, perché il movimento valdese sorse Francia per opera di Pietro Valdo. Venuto a conflitto con la Chiesa cattolica e condannato come eretico, il movimento sopravvisse, clandestinamente rifugiandosi nelle vai li intorno a Pinerolo per sfuggire alle persecuzioni . (3) La Comunione anglicana. La Chiesa d'Inghilterra nasce nel 1534 per volontà del re Enrico VIII, che con l'Atto di supremazia rifiutò di sottomettersi al l'autorità del Papa. Pur accogliendo vari elementi luterani e calvinisti, per alcuni aspetti è rimasta molto imparentata con la Chiesa cattolica. (4) Le Chiese battiste storicamente si ricollegano ad un movimento religioso e sociale sviluppatosi nel contesto della Riforma, ma con tendenze più radicali e contestatrici: i suoi seguaci erano stati chiamati anabattisti perché non ritenevano valido il battesimo ricevuto da bambini. (5) La Chiesa metodista ha origine in un movimento di risveglio religioso sorto in Inghilterra nel secolo XVIII ad opera dei pastore religioso sorto in che proponeva lo studio metodico della Scrittura, la pratica assidua della beneficenza, la frequenza settimanale alla Santa Cerna-Caratteristici sono il richiamo alla conversione personale e l'impegno morale e sociale in favore dei più poveri. (6) La Chiesa avventista. Sorta negli Stati Uniti nel XIX secolo in ambiente battista, il movimento degli avventisti è caratterizzato da una attesa dell'imminente venuta finale di Gesù dal rifiuto del fumo e degli alcolici, da un forte impegno in attività sociali. Tra le varie formazioni a cui il movimento diede origine, ha acquistato rilievo la Chiesa cristiana avventizia del settimo giorno, fedele alla rigorosa osservanza del sabato come giorno del Signore (7) Il Pentecostalismo. Nato negli Stati Uniti, all'inizio del ‘900, da un movimento di risveglio religioso sviluppatosi soprattutto fra neri il pentecostalismo è caratterizzato da una fervida spiritualità, dalla preghiera comune, dall’invocazione allo Spirito Santo dal parlare lingue sconosciute durante la preghiera, dal guarire i malati con l'imposizione delle mani. Quale cristianesimo è più fedele/corrispondente alla volontà di Gesù? 2.4. Conclusione: la questione di Dio è anche storicamente legata alla questione dell'uomo L'Occidente vive un ateismo pratico, certo, ma la questiona religiosa è questione radicale e complessa dell'esperienza umana. Oggi? In Occidente, sono in crisi Dio e la religione . o è in crisi l'uomo? Il vero problema è antropologico o teologico? Quale, cioè, la causa e quale la soluzione In Occidente è in crisi Dio perché l'uomo ha trovato la salvezza lontano da Lui oppure l'uomo è in crisi perché ha abbandonato Dio ? 3.4 La catechesi, cioè la comunicazione come dimensione della religione cristiana Se da una parte è chiaro che - si voglia fare “eco” al testo sacro con parole umane. La questione aperta è quale sia il modo più adeguato per parlare di quale stile/modello? Cristianesimo contemporaneo non esiste un'unica modalità di risposta a come si possa vedere la catechesi. Catechesi è: *spiegazione della dottrina della Chiesa el'annuncio “kerigmatico” della fede, cioè quella predicazione dell'annuncio fondamentale «l'esplorazione preliminare dell'esperienza di vita «la preparazione al discernimento e all'azione socio-politica. Questa pluralità di interpretazioni del compito della catechesi dice di una tensione (feconda?) tra un momento maggiormente conoscitivo (e oggettivo) e un momento maggiormente esperienziale (e soggettivo): per parlare di Dio e della religione, quali sono le condizioni necessarie perché non si tradisca l'identità del cristianesimo? 3.5 La liturgia, cioè il rito come dimensione della religione cristiana Come ogni altra esperienza religiosa, anche il cristianesimo ha da sempre affermato la centralità del momento rituale. Alla luce di quanto espresso nel concilio Vaticano Il sulla liturgia si precisala concezione cristiana cattolica della liturgia che ancora prima di essere azione del popolo per il suo Dio, è essenzialmente azione di Dio per il suo popolo secondo il cristianesimo (tanto più cattolico), dunque, vivere la religione significa partecipare alla liturgia, perché è un tempo-spazio in cui la presenza di Dio (invisibile) si fa presente (visibilmente) agli uomini gratuitamente attraverso dei segni concreti. 3.6 La carità, cioè la relazione come dimensione della religione cristiana Per comprendere cosa intenda il cristianesimo con carità è utile fare riferimento al la lettera enciclica Deus caritas est (DC) di Benedetto XVI. Il punto di partenza è definire i vari sensi con cui attualmente si usa parola amore, partendo dal greco. Tra i più importanti si ricordano: èros, che indica quel tipo di amore che nasce da un desiderio/bisogno ed è capace di soddisfare desideri e bisogni; stéfge, che indica quel tipo di amore familiare/ parentale che nasce dal fatto di appartenere allo stesso sangue o allo stesso gruppo; philia, che indica quel tipo di amore che nasce dalla scelta libera di legarsi con affetto/tenerezza a qualcuno in quanto c'è qualcosa di simile in cui ci si riconosce; agàpe, al tempo parola poco connotata contenutisticamente indicava normalmente un tipo di amore non particolarmente impegnativo o impegnato. Quale scegliere per nominare quel tipo di amore particolare incontrato nell'esperienza con Gesù? Riuscire a salvaguardare la novità della prospettiva cristiana, che si manifesta soprattutto in due punti: l'immagine di Dio come Colui che si rivela-con gesti e parole e l'immagine dell'uomo che, per dono di Dio, è reso anch'egli capace di amare secondo misura di Dio. Che cosa ha fatto il cristianesimo? Ha letteralmente inventato una parola, per indicare il nuovo tipo di amore incontrato in Gesù ha preso il vocabolo meno compromesso e più easy (agape) e io ha “riempito” del contenuto proprio dell'esperienza cristiana: da quel giorno in poi agape (tradotto in latino caritas) sarà una parola che indica un preciso modo di amare, cioè quel tipo di amore oblativo che continua a dare amore al di là della passione e dei bisogni (èros), dei legami di sangue o di gruppo (stòrge) e dei meriti o dell'interesse (philia). In seguito anche il cristianesimo ha iniziato a parlare (genericamente) del comandamento dell'amore, ma l'operazione compiuta dai primi cristiani con la ridefinizione di agape è stata un'operazione culturale notevole, perché ha precisato quale tipo di relazione d'amore richieda il cristianesimo. PARTE SECONDA LA BIBBIA E LA TEOLOGIA 4 LA TEOLOGIA CRISTIANA COME FIDES QUAERENS INTELLECTUM La domanda Che cosa significa esattamente teologia? LA VICENDA SEMANTICA DEL VOCABOLO TEOLOGIA Il vocabolo greco theologia unisce logos (parola/discorso) e theés (Dio): è parola/discorso di Dio, dove il Genitivo “di Dio” potrebbe avere un valore sia oggettivo sia soggettivo. Unendo due significati, come primissima descrizione riassuntiva, si potrebbe dire che, nel cristianesimo, la teologia è la parola che il pensiero umano dice a Dio e su Dio. 4.1 Teologia nei pensiero greco-romano Nella tradizione greco-romana, si trovano tre distinte accezioni del vocabolo teologia: mitologica, filosofica e cultuale. *-Accezione mitologica, teologia come discorso “mitico” sulla divinità. *Accezione filosofica’, teologia come scienza prima. In questo contesto teologia è sinonimo di anelli che si potrebbe definire (con dizione posteriore) teologia filosofica, cioè il parlare principio primo. *Accezione cultuale’, teologia come servizio cultuale. Soprattutto lo Stoicismo (300ca. a.C.) impiega, invece, teologia per indicare il «parlare agli dèi nel culto». 4.2 Teologia nel cristianesimo Per quanto riguarda l'impiego del vocabolo theologia nel cristianesimo si possono distinguere due momenti: *-Agli inizi: assenza del vocabolo teologia alla luce della polisemia che la cultura greca e romana consegna e alla luce di una novità che il cristianesimo vuole salvaguardare, troppo fraintendibile e gli si preferiscono altri termini come gnésis (conoscenza), sophia (sapienza), phrénesis (pensiero). Per il cristianesimo, infatti, la cosa fondamentale è che la stessa Parola (Logos) dì Dio in Gesù si è fatto uomo. *Medioevo: teologia come disciplina che parla di Dio. La tradizione cristiana occidentale esiterà molto a impiegare il vocabolo su Dio, preferendo altre designazioni come doctrina Christiana o sacra doctrina. L'introduzione del vocabolo e del concetto cristiano «di teologìa è legata, tra il XII e il XIII secolo a due fattori: l'ingresso dì Aristotele nella cultura cristiana e la fondazione e l'organizzazione delle prime università . COSA INTENDE IL CRISTIANESIMO CON TEOLOGIA 1 cristianesimo ha sempre visto come possibile e necessario l'approfondimento razionale della fede? È il cuore stesso della fede cristiana che lo motiva: (1) un Dio che si fa presente nel tempo e nello spazio e parla con la lingua degli uomini dice che Dio è una realtà incontrata e incontra tale come reale, e quindi anche indagatolo e pensabile; (2) la natura umana non è distrutta, ma è perfezionata dall'incontro con Dio:; (3) la dimensione veritativa della fede deve essere pensabile per salvaguardare e approfondire la fede stessa e non rischiare o il dogmatismo (è così e non si può capirne il perché) o il soggettivismo (è così perché lo dico io). 4.7 Che cos'è intelligenza e scienza in rapporto alla fede? Occorre da ultimo riflettere su cosa intendere con intelligenza (e scienza) e specificamente con intelligenza (scienza) della fede. Se si intendesse intelligenza e scienza in un senso empiristico puramente storico-critico la teologia non potrebbe essere detta scienza. Ma se, invece, con intelligenza e scienza si intendesse un tipo di conoscenza che approfondisce criticamente e sistematicamente l'esperienza, costituendone un perfezionamento intellettuale, allora si potrà dire che la teologia è una forma di intelligenza della fede, anzi una scienza. Si chiama teologia la riflessione critico sistematica dell'esperienza del credente e sull'esperienza credente, quel particolare esercizio dell'intelligenza che si esercita nella fede e a partire dalla fede, cioè a partire e all'interno di un'esperienza di vita connotata dal rincontro con la rivelazione di Gesù Cristo. L'ORIGINALITÀ DELLA TEOLOGIA CRISTIANA RISPETTO ALLE ALTRE RELIGIONI Se da un lato, bisogna rispondere certamente di sì, perché ogni religione si esprime anche in un complesso di dottrine e di lavoro di riflessione sui contenuti centrali dell'esperienza; dall'altro, bisogna anche riconoscere che la teologia cristiana è qual cosa di assolutamente originale. Nell'ebraismo, pur essendoci diverse scuole di lettura del testo sacro e del significato del parlare di Dio agli uomini, non esiste, però, una riflessione sistematica, organizzata e critica né del testo biblico, né dei contenuti della fede: si può parlare di Dio, ma Egli rimane essenzialmente ineffabile. Nell'islam, la ragione che ha un suo ambito specifico nella filosofia non ha propriamente competenza a proposito del la rivelazione di Dio, ma non ulteriormente interpretato ed espresso la distanza tra Dio e l'uomo resta infinita e la rivelazione scende unicamente da pio senza assumere qualcosa che venga dall'uomo. Nelle grandi religioni orientali induismo e buddhismo in particolare - l'Assoluto, per definizione, non può essere conosciuto e espresso dalla parola umana, perché è infinitamente Altro. 5 LA LUNGA STORIA DEL LIBRO CHIAMATO BIBBIA La domanda Da dove viene il testo chiamato “Bibbia” e come è arrivato a oggi? IL TESTO CHIAMATO BIBBIA 5.1 Uno strano libro... Testo sacro dei cristiani non ha un titolo e non ha nemmeno un unico nome con cui viene indicato, un insieme di libri raccolti in un unico testo. Questi i tre normalmente usati: (1)Bibbia è il più comune: dal greco bìblos significa libri, (2) Antico Testamento (AT) e Nuovo Testamento (NT) designano il contenuto di tal i libri; (3)Scritture o Scrittura qualifica la differenza e la centralità di questo testo rispetto a tutti i altri. La Bibbia cristiana, dunque, è un “libro di libri'’, una specie di biblioteca: si compone di 73 libri (46 dell'ATe27 del NT) scritti da autori diversi, in epoche differenti e in lingue diverse. 5.2 L'organizzazione della Bibbia Essendo 73 i libri così diversi, si è dovuto organizzarli secando un criterio: la Bibbia non ha scelto un ordine cronologico, ma tematico i libri in due grandi parti: *L'organizzazione dell'AT. | 46 libri dell'AT sono stati raggruppati dal cristianesimo in 4 gruppi «L'organizzazione del NT. 27 libri del NT sono raggruppati seguendo (grossomodo) lo schema dell'AT. Per facilitare il reperimento preciso dei passi biblici, nel tempo si è pensato di ripartire i testi in versetti. Per citare un testo biblico: abbreviazione libro, numero del capitolo, numero del/i verso/i. LA LUNGA STORIA DEL TESTO DELLA BIBBIA 5.3 Senza originale È noto che nessun testo antico ci è pervenuto nell'originale, ma solo attraverso copie di copie; così anche per i libri della Bibbia che hanno una lunga storia passata attraverso una serie di copie fatte mano. «Il supporto materiale. 1 testi dell'antichità erano scritti o su fogli d i papiro o su pergamene. Papiro è il materiale usato nei tempi più antichi, ma per la sua fragilità i papiri si sono conservati solo in ambienti estremamente asciutti e spesso in modo frammentario. Venne sostituito a partire dal IV secolo dalla pergamena fatta di una pelle di animali. *La forma del supporto. Due sono le forme adottate: soprattutto per i papiri, quella del rotolo (yolumerì), fogli incollati l'uno accanto all'altro (anche per parecchi metri); quella del codex, fogli di pergamena (più raramente di papiro) piegati in quattro e rilegati insieme. 5.41 manoscritti più antichi dell'Antico Testamento Storia dei manoscritti antichi dell'AT si divide nettamente in due fasi. *Fino a poche decine di anni fa, i codici più antichi del testo ebraico risalivano al X secolo d.C. voleva dire che tra il testo iniziale e la prima copia erano trascorsi quasi 2000 anni! Per avere maggiore attendibilità testuale sull'AT, si confrontavano quei codici in ebraico con la traduzione greca dell'Addetta Septuaginta di cui sono stati ritrovati manoscritti risalenti al 325ca. d.C.: la considerevole somiglianza fra i codici e la LXX conferma’ va una particolare cura nel processo di copiatura dei testi ebraici durante i secoli. eTutto è cambiano nel ‘900 in una serie di grotte di Khirbèt Qumràn sono stati scoperti circa 800 manoscritti (- di cui 225 di testi biblici. Il fattore decisivo è stata che, confrontando i codici ebraici più antichi fino allora conosciuti Qumran si sono trovate solo piccole varianti testuali: ciò ha confermato ulteriormente che il processo copiatura dell’AT è stato particolarmente accurato. 5.5 I manoscritti più antichi del Nuovo Testamento Rispetto all'’AT, molto più numerosi e antichi sono i manoscritti del NT così ripartiti: 98 papiri, 301 manoscritti maiuscoli, 2818 manoscritti minuscoli, 2211 lezionari. *Papiri. Il testimone più antico del NT è un frammento di Gv del 120ca. d.C.; la sigla usata per identificare i papiri è “P" seguita da un numero arabo (a volte messo in apice). *Manoscritti maiuscoli. Sono stati ritrovati preziosissimi manoscritti su pergamena con la scrittura maiuscoli più antichi dei quali risalgono al IV secolo *Manoscritti minuscoli. Per rendere più veloce la trascrizione e per risparmiare spazio, si passò alla scrittura minuscola corsiva, che diventa comune dal IX secolo; tali manoscritti sono identificati con numeri arabi: *Lezionari. A partire soprattutto dal IV secolo invalse l’uso di copiare i testi della Bibbia per uso liturgico in appositi volumi detti lezionarì; 6,2 L'ispirazione dei testi biblici Fondamentalmente ci sono stati tre modelli di comprensione: «L'ispirazione come “dettato divino”. Nei primi secoli della riflessione teologica cristiana si pensa ad una ispirazione verbale per cui Dio avrebbe inspirato la Bibbia al la lettera, con un ruolo puramente passivo dell'autore umano; eL'ispirazione come lo strumento umano che “lascia il segno” Tommaso d'Aquino afferma che Dio si serve dello scrittore umano come di uno strumento “che lascia il segno”, nel senso che l'uomo mantiene la sua natura di essere libero, responsabile e intelligente. *L'ispirazione come collaborazione tra due veri autori Concilio Vaticano l'ha rinnovato la concezione dell'ispirazione nella costituzione dogmatica Dei Verbum. La novità di questo modo di pensare l'ispirazione è che l'autore umano non è più semplice esecutore passivo o mero strumento nelle mani di Dio, bensì attivo e co- protagonista. * Una riflessione ancora in corso... In che modo Dio e l'uomo collaborato concretamente nel processo di ispirazione, neppure il concilio lo spiegherà. Sono chiari i due estremi da evitare: (1) da una parte, il ricadere in concezioni che pensano l'uomo solo come passivo o strumento inerte; (2) dall'altra parte, immaginare che l'uomo abbia pensato e scritto lui da solo il testo e poi Dio si sia limitato ad approvare. Evitando tali estremi, oggi, la bensì come a un processo che riguarda sia evento originario sia la testimonianza orale sia l'attestazione scritta. LA VERITÀ DEL TESTI BIBLICI La tematica dell'ispirazione è intrinsecamente legata alla questione della verità del testo biblico: se, infatti, questo testo ha l'uomo come autore, ci possono essere errori nella Bibbia? La Bibbia se è “parola di Dio”, può sbagliare? 6.3 Testi inerranti o veri? Anche autori che cercavano di negare l'evidenza della presenza di errori e contraddizioni che fin dall'inizio il cristianesimo ha avuto la consapevolezza che la Bibbia non insegna infallibilmente tutte le verità, ma di sicuro non sbaglia sulla verità in ordine al rincontro con Dio. Ricorda che l'intenzione delio Spirito Santo nelle Bibbia è quella di insegnarci «come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo», la Bibbia contiene errori ad esempio di tipo geografico, astronomico, sono dovuti alla cultura e alla conoscenza dell'autore umano che scrive «come vero autore». Ma è anche altrettanto chiaro che non sbagli a proposito della verità che Dio voleva comunicare, quella cioè inerente la salvezza dell'uomo; proprio questo l'ispirazione intende dire: Dio garantisce che gli autori umani non hanno fatto errori “di sostanza” riguardo alla verità su Dio e sull'uomo; sul resto, invece, si può e si deve verificare. QUALI LIBRI SONO ISPIRATI? LA QUESTIONE DEL CANONE Si chiama canone della Bibbia l'elenco preciso dei libri ispirati. 6.4 Canone «Il vocabolo. La parola canone deriva dal greco kanén., letteralmente canna, giunco, da cui - più generalmente - l'indicazione di un'asta diritta e rigida che, impiegata per drizzare altre cose o per verificare che altre cose fossero diritte. Canone diventa il modo per indicare un criterio, un modello, la norma/regola di qualche cosa. *Nel cristianesimo. Per questo motivo il NT chiama canone il comportamento cristiano esemplare. Il senso teologico di canone biblico è: l'elenco ufficiale dei libri ispirati che compongono la Bibbia (AT e NT) e che, per questo, sono la regola della fede cristiana. 6.5 | criteri di canonicità, i libri canonici e deuterocanonici Il cristianesimo ha definito i testi che dovevano essere considerati ispirati. Questi i quattro criteri di canonicità usati: *l'apostolicità: sono ispirati/canonici testi attribuiti agli apostoli, cioè ai testimoni più vicini e diretti del rincontro con Gesù; «la vicinanza cronologica agli eventi narrati: sono ispirati/canonici i testi storicamente e cronologicamente più vicini agli eventi accaduti; «la fedeltà agli insegnamenti di Gesù sono ispirati/canonici i testi che non sono in disaccordo radicale o in aperta contraddizione con testi che sono stati verificati come ispirati. *il consenso delle Chiese: sono ispirati/canonici i testi accolti e letti in (quasi) tutte le comunità cristiane, perché la canonicità di un testo non può essere decisa dall'esperienza di una singola comunità. 6.6 | libri apocrifi Tutti i testi non ispirati chiamati apocrifi. «Il vocabolo. La parola apocrifo fu usato nella tradizione filosofica greca per indicare scritti che dovevano esserci tenuti nascosti ai non iniziati, che non potevano pienamente comprenderli. Nel cristianesimo, il vocabolo andò acquistando anche l'accezione di falso. eGli apocrifi dell'AT. Sono 33 scritti, di vario genere, databili generalmente tra il Il secolo a.C. e Il secolo d.C., esclusi dal canone biblico sia da parte dell'ebraismo che del cristianesimo; comprendono scritti di varia natura. *Gli apocrifi del NT. Sono ben 48 scritti, appartenenti a tutti i generi letterari del NT risalenti ai sec II-VIII. 7 L'ERMENEUTICA BIBLICA E | METODI DI INTERPRETAZIONE La domanda Perché la Bibbia può e deve essere interpretata? E quali sono i modi che permettono di leggere, nelle parole umane, la parola che Dio vuole comunicare? LA QUESTIONE ERMENEUTICA (BIBLICA) 7.1 Ermeneutica: dall'etimologia alla filosofia «Il vocabolo. La parola ermeneutica? dal greco hermenèuein indica ( 1) ad intra interpretare, far emergere il significato e (2) ad extra esprimere/comunicare un significato. Da qui l'originaria qualificazione di “arte dell'interpretazione”. *La riflessione sull'ermeneutica. Da Aristotele con ermeneutica si intendono le teorie sulle regole interpretative e sulle metodologie che permettono di accedere al senso, con Schleierinacher si comincia a intendere anche la teoria filosofica del l'interpretazione: bensì di un approccio antropologico complessivo, poiché il lettore deve entrare in relazione con lo spirito con cui un testo è stato scritto. Con M. Heidegger si giunge a riconoscere, ancor di più, che l'ermeneutica di un testo è possibile solo se preceduta dall'ermeneutica del soletto: davanti a un testo non è tanto il soggetto ad essere il primo protagonista dell'atto interpretativo, perché il soggetto stesso è posto nella condizione di interrogare e interpretare la sua esistenza grazie al testo. Qui la proposta di H.-G. Gadamer la comprensione di un uomo è sempre culturale lui e spesso implicita e siccome ogni testo propone una comprensione di mondo, un orizzonte di senso da offrire al lettore; la meta dell'ermeneutica è la “fusione degli orizzonti”: l'orizzonte del lettore e l'orizzonte del testo si incontrano, si contaminano, si purificano. 7.2 L'ermeneutica biblica Consapevolezze del cristianesimo: (1) non solo la parola di Dio è traducibile ma la Bibbia stessa dà per scontata l'esistenza e la necessità di un processo ermeneutico Luca annota che Gesù, dopo la risurrezione, «cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro ciò che si riferiva a lui in tutte le Scritture, va interpretata e spiegala. (2) Se la Bibbia è parola umana e divina, per poter essere ad varar mente compresa, è necessario, da una parte, seguire tutte le regole interpretative che versioni dei sinottici al centro Mc, che, essendo il più antico, fa da punto di riferimento/confronto. *Confronto tra Mt e Mc. Quando Mt scrive non conosce Mc; eppure tra i due ci sono numerose concordanze di termini, espressione frasi io esistenza di una tradizione, si suppone comune orale.se Me è più fedele alla fonte orale riportandola con anacoluti, si riconosce, invece, che Mt sia più volte intervenuto sul testo con miglioramenti stilistici che permettono di riconoscere una capacità di scrittura migliore di Mc: ma soprattutto? Ci sono modifiche interpretative e sviluppi teologici che ci dicono la sua sensibilità teologica. «Confronto tra Lc e Mc. Le concordanze tra le due sono inferiori rispetto a quelle tra Mt e Mc; tuttavia esistono molte somiglianze di termini ed espressioni che permettono di pensare a un rapporto di relazione letteraria, che (come per Mt), non conoscendosi a livello testuale, conferma l'esistenza di una tradizione precedente. Sono importanti miglioramenti stilistici, abbreviazioni con omissione di particolari secondari o ripetitivi e col legamenti più precisi che fanno di Luca il miglior scrittore tra i tre; ma ci sono anche peculiari aggiunte che aprono alla visione di fede propria di Luca. PARTE TERZA GESÙ DI NAZARET 8 LA QUESTIONE STORICA La domanda Ci sono documenti attendibili per ricostruire storicamente la vicenda dì Gusù? E tale lavoro storiografico è importante per la fede cristiana? Di Gesù, anche al di fuori del cristianesimo, sono state date le interpretazioni più diverse, tanto più nel ‘900: esiste una immagine ebraica di Gesù, che lo rilegge come il “fratello ebreo'' che in carne esiste una laico umanista, che individua Gesù come il modello migliore di umanità di tutta la storiarne esiste una neo- marxista, secondo cui l'appello morale di Gesù in favore dei poveri è la “causa” stessa del marxismo; ma anche una psicologistica, per cui Gesù è l'insuperabile modello di equilibrio psichico che permette una «cristoterapia» vera e propria. Ci sono due apporti decisivi: (1) si fanno emergere aspetti reali spesso dimenticati o (2) si mostra che Gesù è molto più contemporaneo. Ci sono, però, due difetti fondamentali® (1) si separa il messaggio dalla sua persona (2) si fa di Gesù un precursore ante lìtteram di aspetti che si vogliono confermare. . Ma è possibile storicamente avere un'immagine realistica di Gesù? 8.1 La questione del Gesù storico Fino all'illuminismo, nessuno aveva mai messo in dubbio l'esistenza di Gesù; con la fine del ‘700 nasce la questione del Gesù storico. Tale ricerca ha vissuto 4 momenti. *Old (o First) Quest (1718-1906): sostenendo che lo scopo della vita di Gesù non coincide con quello dei suoi discepoli: mentre egli sarebbe stato un Messia politico che voleva liberare gli ebrei dal dominici romano i suoi discepoli, inventato l'annuncio della risurrezione, avrebbero dato vita una nuova religione. eNo Quest (1919-1953): l'esclusione fra il Gesù storico e il Cristo della fede. Già verso latine ‘800, si propose di distinguere il “Gesù storico” ricostruibile storiograficamente dal la scienza, dal Cristo autentico dal salvatore predicato dalla Chiesa; trent'anni dopo il più grande esegeta del primo ‘900, accentuò la divaricazione: non è più possibile ricostruire storicamente la vita di Gesù ma questo lavoro non serve (alla fede cristiana), perché lo scopo dei vangeli è annunciarlo come Figlio di Dio. eNew Quest (1953-1985): la continuità tra il Gesù storico e il Cristo della fede. Agli inizi degli anni ‘50, il discepolo migliore di Bultmann si espresse contro le posizioni del maestro per tre motivi (1) se non vi fosse relazione tra il “Cristo della fede” e il “Gesù storico”, il cristianesimo diverrebbe mito storico, ma i vangeli dicono di raccontare una storia avvenuta in un preciso tempo e spazio; (2) se alla fede interessasse così poco la storia di Gesù, perché le prime comunità produssero i vangeli considerandoli poi punto di vista storico: bisogna elaborare criteri che permettano di impiegare i vangeli nella ricostruzione storica della vita di Gesù. eThird Quest (1985): l'ebraicità del Gesù storico. Alla luce di un miglior studio di documenti già noti e della scoperta di nuove testimonianze, inserendo meglio Gesù nell'ebraismo del suo tempo, si può conoscere moltissimo di lui. 8.2 Le fonti storiche per ricostruire la vita di Gesù Sono state trovate fonti (A) dirette su Gesù (B) indirette. Qui ci si concentra sulle fonti dirette più importanti. A Le fonti non cristiane. L'esistenza di Gesù è documentata da fonti non cristiane sia (1) giudeo-palestinesi che (2) romane. *Giuseppe Flavio, parlando di Giovanni Battista, che con il suo enorme successo crea problemi a Erode Antipa. Abbiamo un documento falso: copisti cristiani hanno deliberatamente interpolato il testo mettendo sulla penna di Giuseppe Flavio la loro fede come palesano facilmente le frasi in “corsivo”. È stato possibile ricostruire il testo primitivo: effettivamente Giuseppe Flavio scrisse di Gesù, ma il suo testo è stato interpolato. *Talmùd di Babilonia (I-Il sec.), riportando testi antichi (III sec.), dà un'idea dell'opinione dell'ebraismo dei primi secoli su Gesù. Le fonti romane più significative sono di Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane. *Tacito il più grande storico romano, scrisse gli Annales per descrivere gli eventi dal 14 al 68 (dalla morte di Augusto a Nerone). Parlando dell'incendio del luglio del 64, spiega come Nerone desse la colpa ai cristiani, dedicando un accentuo a Gesù con precisi riferimenti sulla sua crocifissione. *Svetonio nel De vita Caesarum i primi 12 imperatori | la vita di dio (41 -54), racconta che nel 49 scaccia i giudei da Roma perché alla base dei tumulti c'era un certo “Cresto”. *Plinio il Giovane n una lettera del 112 chiede all'imperatore Traiano come comportarsi con i cristiani, descritti come persone che si riuniscono in un giorno stabilito della settimana, riconoscono Cristo come Dio e condividono una cena in comune, si impegnano poi a vivere una vita esemplare. Queste prove comprovano l'esistenza storica di Gesù: un certo “Cresto” capace d operare “miracoli”, sorprendenti. , fu giustiziato dal procuratore Ponzio Pilato durante il principato di Tiberio nell'anno 64 Nerone perseguitò e giustizi ò i suoi seguaci verso il 93/94 esisteva la comunità dei “cristiani” che si riferivano a Cristo. B. Le fonti dirette cristiane. - Dio è re perché è creatore dell'universo e Signore della storia. - Dio è re perché è giudice universale ed escatologico; Dio «giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti» perché solo Egli sa giudicare. L'AT esprime, dunque, il modo con cui Dio è in relazione con gli uomini. *Regno di Dio al tempo dì Gesù. Quando Gesù visse, molti ebrei attendevano il Regno di Dio, con sottolineature diverse, a secondo dei filoni dell'AT che si privilegiavano: - Dio è re perché tutti obbediscono alla sua legge + Dio è re perché la Legge diventa anche legge socio-politica + Dio è re perché nel mondo nuovo i giusti saranno premiati e i malvagi condannati Gesù si posiziona con un suo modo originale di concepire il Regno di Dio pensa a un cambiamento nella storia anche se il Regno non coincide con i “regni del mondo”. 9.3 Regno di Dio secondo Gesù *Pars destruens. Gesù inizia la sua predicazione con una sua interpretazione. L'episodio delle cosiddette “tentazioni” infatti, intende assolvere esattamente a questo intento: il Regno di Dio non è (1) soddisfazione dei bisogni materiali, (2) relazione; di potere e forza come “i regni” di questo mondo colpi sensazionali o miracolistici, perché Dio ricerca l'adesione libera dell'uomo. *Pars construens. Se parlare del regno di Dio è dire chi sia Dio, ciò significa che Gesù aveva a cuore innanzi tutto l'annuncio della sua immagine e relazione con Dio. secondo Gesù, Dio è Dio perché è amore misericordioso, cioè capace di generare e rigenerare ogni uomo all'altezza di essere figlio amato. per Gesù Dio è Dio perché si avvicina ciascun uomo (va incontro a entrambi i figli, figlio cattivo e figlio buono). Si possono evincere almeno tre caratteristiche/conseguenze evidenti del Regno di Dio secondo Gesù: è un Regno di salvezza, perché Dio è capace di offrire salvezza e perdono sempre, è un Regno che lavora nel nascondimento ,nell' umiltà. Perché Dio non amai trionfalismi, ma semina con pazienza è un Regno che è motivo di scandalo per i “religiosi” del tempo e di sorpresa per gli stessi peccatori, perché nessuno si aspettava/immaginava un Dio che arrivasse a riversare così tanto amore sui peccatori. Per questo, non è facile “entrare nel Regno di Dio” perché richiede di accogliere e vivere la vita nell'amore con cui Dio stesso ama il mondo: non basta dirsi credenti a parole e neppure un'osservanza solo materiale dei comandamenti di Dio, cioè accogliere con fiducia l'amore del Padre vivere la vita dentro questo orizzonte di grazia. Da qui, chiaramente;, il distanziamento di Gesù da ogni interpretazione del Regno di Dio come prestazione etico religiosa. 9.4 annuncio del Regno di Dio in parabole «La parabola. Il vocabolo parabola fa riferimento ad un particolare tipo di racconto che intende coinvolgere l'interlocutore nel dinamismo dell'insegnamento proposto: l'autore della parabola mette in scena una vicenda per coinvolgere gli ascoltatori nel dinamismo del racconto, al fine di far prendere coscienza della loro realtà. Lo scopo è quello di modificare il punto di vista dell'ascoltatore senza costringerlo, perché il racconto è costruito per sollecitare una libera adesione a un giudizio che altrimenti non avrebbe formulato. Non potendo parlare apertamente subito del contenuto del messaggi attraverso il passaggio nel racconto si mette in condizione all’interlocutore di osservare e giudicare con maggiore libertà e imparzialità. L'effetto parabola, che consiste nel far emettere una valutazione; un giudizio rispetto all'evento narrato, così da “convertire”, cambiare la propria situazione. «Il Regno di Dio e le parabole. Da quanto detto, allora è chiaro che Gesù ha parlato in parabole non tanto perché amasse i paragoni, ne perché si rivolgesse a gente illetterata bensì per una precisa esigenza teologica legata al messaggio del Regno di Dio. Perché non si può parlare di Dio senza lasciarsi coinvolgere in prima persona: senza conversione non è possibile vedere e intendere e il suo modo di operare, perché la questione non sta in una supposta difficoltà di comprensione o enigmaticità intellettuale, ma in una disposizione esistenziale intendere la parabola come un “raccontino” banale per semplificare un discorso su Dio, perché è una strategia linguistica molto sofisticata che mira a coinvolgere direttamente la vita dell'interlocutore in una azione inaspettata e sorprendente di Dio. Infatti, (1) per parlare di Dio non si può che parlare anche dell'uomo coinvolgendolo direttamente nel modo di agire e di pensare propri di Dio stesso incontrare Dio è incontrare un modo nuovo di vedere le cose; (3) parlare/incontrare Dio non è una chimera, una visione fantastica o illusoria, ma è una realtà dell'oggi e della storia. 9.5 Regno di Dio e la persona di Gesù Gesù ha mostrato che il centro di tuttala sua esistenza era Dio stesso. Chi è questo messaggero del Regno di Dio? è quanto è accaduto ai contemporanei di Gesù, i quali, dopo averlo ascoltatosi interrogavano sulla sua persona. Da dove viene l'autorità con cui parla di Dio? quale relazione, cioè, esiste tra Gesù e il Regno di Dio? Egli non solo parla del Regno a nome di Dio, ma con la sua parola/persona lo rende presenta Egli è coinvolto profondamente in ciò che annuncia, perché dice del Regno di Dio ed è l'inizio del Regno di Dio, per questo Origene colpì nel segno definendo Gesù l'autobasileia cioè il Regno di Egli in persona. E ciò spiega, allora, perché i suoi discepoli non annunciarono il Regno di Dio. ma Gesù, perché parlare di Gesù è parlare del modo con cui il regnare di Dio si è reso presente. 10 LE AZIONI E | MIRACOLI La domanda È possibile conoscere storicamente in modo attendibile quali fossero le azioni più caratterizzanti il ministero pubblico di Gesù? E se si, quale relazione hanno con l'annuncio del Regno di Dio? 10.1 «Tu vieni e seguimi». La presenza del Regno nella chiamata al discepolato Uno dei dati incontestabili della vita di Gesù è il fatto che egli sia stato visto come un maestro nel senso preciso di scegliersi dei discepoli affinché lo seguissero nell'educazione e comprensione del suo annuncio sul Regno di pio; all’interno di questi discepoli, poi, distinse una cerchia ristretta di compagni più vicini con i quali diviso gli ultimi anni della sua vita. *Le caratteristiche della chiamata dì Gesù. Il modo dì essere di Gesù si differenzia totalmente dal modo in cui era impostato il rapporto tra maestro e discepolo presso i rabbini giudaici; il motivo è dovuto alla sua diversa interpretazione del Regno di Dio: — prende l'iniziativa chiamando lui i discepoli a seguirlo (di regola avveniva il contrario) - è un maestro itinerante non sedentario e non parla di Dio commentando il testo della Toràh — pensa al maestro come colui che serve il discepolo perché Dio è Dio in quanto serve l'uomo — il discepolo di Gesù resta sempre e solo discepolo perché l'unico Maestro è Dio. «I destinatari della chiamata al discepolato dì Gesù. Anche i destinatari della chiamata di Gesù dicono la sua modalità di intendere il Regno di Dio: non solo è per tutti perché Dio vuol farsi incontrare da tutti gli uomini; non solo chiama anche le donne. Interessante notare che viene chiamato a far parte di questi Dodici: insieme a nomi di chiara origine ebraica origine greca perché Dio è davvero vicino e accessibile a tutti. 10.2 . «Amico dei pubblicani dei peccatori». La presenza del Regno nelle azioni di accoglienza e di perdono Pur avendo avuto innumerevoli e continui contatti con i gruppi detentori del potere religioso e politico del tempo nota caratteristica del modo di vivere di 11.2 Tre azioni simboliche «L'ingresso a Gerusalemme a dorso di un'asina. La prima azione simbolica che Gesù compie si rifà alla profezia di Zc 9,9; Gesù si dichiara esplicitamente re, non arriva a cavallo ma su un'asina. * La protesta al Tempio. Subito dopo essere entrato a Gerusalemme Gesù si dirige al Tempio, dove compie una clamorosa protesta che' ebbe grande risonanza. *La cena d'addio. Dopo la protesta al Tempio Gesù esce da Gerusalemme e per alcuni giorni si rifugia Betània: è pienamente consapevole che ormai è un ricercato da parte delle autorità religiose ebraiche. Rientrerà nella città santa solo per compiere la terza azione simbolica, la cena d'addio con i suoi discepoli, durante la quale anticipa ed esplicita, nel gesto dello spezzare il pane e far passare il calice. 11.3 L'esperienza del Getzèmani Attraverso le tre azioni simboliche Gesù esprime la sua chiara consapevolezza di essere “dalla parte di Dio": Dio Padre non l'avrebbe lasciato solo, sarebbe intervenuto, anche se Gesù non sapeva esattamente come. Si reca nel Getzèmani e prega, momento dell’agonia, richiede esplicitamente se sia possibile evitare la passione per rendere presente il Regno di Dio; ma se così non potesse essere eli è pronto. Giuda avrebbe consegnato Gesù perché, ladro, voleva la cassa del gruppo dei discepoli, desiderando intascarsi anche la somma che le autorità religiose ebraiche avevano promesso a chi avrebbe consegnato loro questa spiegazione non è realistica, in quanto tutti i vangeli ci dicono che Giuda, una volta ricevuta la somma dei 30 denari non li tenne per sé, ma li gettò nella cassa dei Tempio. Uda Iscariota, non comprendendo i | suo maestro e volendosi assicurare se fosse davvero il Messia , si rivolse al le autorità religiose, quando si accorse che Gesù veniva condannato dalle autorità religiose tolse la vita. 11.4 | due processi *Processo religioso ebraico. Gesù subisce un processo religioso da parte delle autorità religiose ebraiche, in due fasi subito dopo arresto l'indomani, in prima mattinata, avviene l'istruttoria vera e propria davanti al Sinedrio. *Processo politico romano. Volendo, però, arrivare alla condanna a morte, il Sinedrio doveva ricorrere all'autorità romana. Gesù è portato da Ponzio Pilato prefetto della Giudea che normalmente risiedeva a Cesarea Marittima. Le autorità religiose ebraiche riescono a persuadere Ponzio Pilato della pericolosità di Gesù come rivoluzionario politico e potenziale sobillatore delle folle alternando, in chiave politica, il suo messaggio. 11.5 La crocifissione Gesù viene condannato a morte attraverso la crocifissione, una tortura talmente infamante da non potersi comminare a un cittadino romano, ma inflitta solo agli schiavi e agli stranieri. Così Gesù viene condotto al Gòlghota. La crocifissione venne eseguita ad operaci i un centurione e alcuni soldati; quel giorno, altri due vengono giustiziati con lui, la ricostruitone della crocifissione di Gesù ricavabile dalle narrazioni evangeliche appare alquanto aderente a quanto emerso dagli studi storici condotti sulla pratica della crocifissione presso i romani: la croce consisteva di due pali, uno verticale e l'altro orizzontale. Una volta fissato il condannato al braccio orizzontale comi le? Braceia distese lo si inseriva nel pillo verticale in modo da formare una crux commissa (a forma di T) o una crux immìssa (a forma di +). L'agonia del condannato era lenta, potendo durare anche più di dodici ore. 11.6 La sepoltura La regola romana prevedeva di lasciare che i crocifissi, una volta morti, rimanessero appesi al patibolo, per una serie motivi quel tardo pomeriggio si aveva particolarmente fretta di staccare i cadaveri dalle crociera la Parascève, cioè “la vigilia del sabato” un sabato speciale. Il cadavere di Gesù, dunque, venne staccato dalla croce e sepolto la sera stessa dell'esecuzione da un tale chiamato Giuseppe di Arimatèa, un membro del Sinedrio. 12 LA RISURREZIONE La domanda Che cosa è successo dopo la morte e sepoltura di Gesù? 12.1 All'origine del cristianesimo *Lo iato della morte. Sulla croce Gesù termina la sua vita in modo ignominioso e increscioso. Discepoli leggono la sua stessa morte come un abbandono da parte di Dio e tutto sembrerebbe sancire la sconfitta della sua predicazione del Regno di Dio: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele». La morte di Gesù in croce, perciò, lascia aperta la questione della sua identità. *La risurrezione è l'evento decisivo per la nascita del cristianesimo. Tutto cambia per i discepoli quando accade loro di incontrare Gesù vivo dopo la morte in croce, se Dio stesso interviene risuscitando Gesù dai morti, allora Gesù aveva ragione nella sua predicazione circa il Regno di Dio. Formulando l'ipotesi che le informazioni su Gesù finiscano con la notizia della sua morte, (1) Gesù sarebbe stato ricordato al massimo come si ricordano Socrate; (2) la morte infamante continuerebbe a gettare un'ombra di sospetto sulla sua persona e sul suo messaggio; (3) avremmo pochissimi documenti su Gesù, perché tutto il NT parte, infatti, dal la convinzione che Gesù è risorto da morte; (4) sarebbe “solo” un uomo in più assassinato dall’ ingiustizia umana. 12.2 denegazioni delia risurrezione di Gesù Risurrezione di Gesù, infatti è un'esperienza che si sottrae alle esperienze abituali: quando il cristianesimo parla di risurrezione, sta dicendo non solamente che quel tal Gesù sia ritornato in vita dalla morte ma che, ritornando in vita, entra in una condizione di esistenza non più determinata/soggiacente alle dimensioni spazio-temporali. Quale la spiegazione più plausibile e ragionevole? Da teorie più celebri che cercano di spiegare quei fatti, negando che la spiegazione sia la “risurrezione”: «la teorìa della frode o dell'inganno sostiene che l'annuncio della risurrezione è una falsificazione volutamente perseguita dai discepoli, i quali, delusi dalla morte di Gesù e frustrati nelle loro speranze, ne avrebbero rubato il cadavere, mettendo poi in circolazione la falsa notizia della sua risurrezione, appellandosi al sepolcro vuoto; *teoria della sottrazione sostiene che i discepoli effettivamente non trovarono più nel sepolcro il cadavere di Gesù e l'inspiegabile (per i discepoli) scomparsa del cadavere avrebbe fatto sorgere in loro l'idea della risurrezione; «la teoria dell'evoluzione sostiene che, dopo la tragica fine di Gesù, i discepoli si sarebbero a poco a poco ripresi dallo shock, scoprendo la validità del suo messaggio in un clima di entusiasmo religioso, giungendo ad affermare la sua risurrezione in base alle promesse dell'AT e sotto l'influsso di altre religioni. ela teoria delle visioni sostiene che la risurrezione di Gesù sarebbe il frutto di visioni indotte o da sostanze oppiacee o da un clima di delirio religioso. Che dire di queste ipotesi/teorie? La cosa curiosa che si può riconoscere è che tutte, per negare la risurrezione di Gesù, sono costrette fare dei discepoli dei “super-credenti”. 12.3 Il linguaggio del Nuovo Testamento Risurrezione in greco non esiste, sebbene lo si trovi nelle traduzioni nelle lingue correnti, il NT usa due tipi di linguaggio molto semplici per tentare di esprimere l'avvenimento capitato a Gesù dopo la sua morte, quello dell'alzarsi/svegliarsi e quello dell'innalzarsi. Se i discepoli avessero inventato tali esperienze, le avrebbero inventate meglio, trovando delle parole e un linguaggio molto più tecnico e preciso, ma i discepoli non ebbero né il tempo, né la cultura per giungere a una tale elaborazione e lo narrarono parlando semplicemente. *Sacrificio. Il vocabolo deriva dal latino sacrum facere. Rendere sacro e nella storia delle religioni indica l'azione con cui l'uomo offre qualcosa/qualcuno a Dio per ottenere l'accesso allo spazio del divino. Per comprendere il significato della morte di Gesù come sacrificio per gli uomini, occorre ritornarceli l'uso del popolo ebreo e al linguaggio dell’AT, dove si distinguono diversi tipi di sacrifici: (1)olocausto (2) oblazione (3) sacrificio dì comunione (4) sacrificio di espiazione. Quando il NT parla della morte di Gesù come sacrificio per i nostri peccati e quando parla di Gesù come «agnello dì Dio che toglie i peccati del mondo» raccoglie il meglio di tutta questa tradizione biblica, affermando però “qui la nostra vita" che Dio non è tanto colui a cui si sacrifica, bensì il soggetto del sacrificio, perché è il Figlio che dà la sua vita sulla croce. «Redenzione. Il vocabolo deriva dal latino redimere, che significa acquistare a prezzo, riacquistare, quindi riscattare, corrispondendo fondamentalmente alla figura biblica del go ‘el, che nell’AT era il parente che operava il riscatto o di una proprietà di famiglia alienata o di parente ridotto in schiavitù. «Riscatto. Il vocabolo lytron significa riscatto, pagare al posto di un altro; Gesù, dunque, darebbe se stesso come prezzo per liberare l'uomo. Perché la morte di Gesù paga un pegno a vantaggio/motivo del diavolo che avrebbe (avuto) una signoria sul mondo. *Soddisfazione vicaria. Il vocabolo soddisfazione deriva, dal latino satis facere, fare abbastanza, fare a sufficienza. Anselmo d'Aosta nell'opera Cur Deus l'omo? (Perché Dio si è fatto uomo?) questo il suo ragionamento: 1) il peccato del l'uomo rompe ordine (rectitudé) della creazione voluta da Dio 2) l'uomo non avrebbe mai potuto da solo ripagare il debito per il peccato commesso, 3) occorreva, però, qualcuno che fosse allo stesso tempo di natura divina e di natura umana. *Sostituzione penale. È la versione più nota nel mondo protestante, in particolare degli evangelici che si rifiatino a Lutero: Gesù muore per l'uomo, ma al posto suo, nel senso che a Gesù sono imputati i peccati degli uomini, mentre a quo sti è imputata la sua giustizia. IL REGNO DI DIO E LA RISURREZIONE DI GESÙ 13.5 risurrezione di Gesù come conferma e partecipazione al regnare stesso di Dio | discepoli percepirono nella risurrezione la risposta divina all'ingiustizia umana che aveva condannato Gesù. Con la risurrezione, cioè, Dio mostra pubblicamente e con potenza come colui, che veniva accusato di essere maestro di falsità, si rivela quale l'inviato definitivo del Padre, colui che era indicato come menzognero e bestemmiatore, è con la risurrezione di Gesù che Dio mostra il suo regno. 13.6 Risurrezione di Gesù come primizia del compimento finale e fondamento della speranza Nondimeno riguarda anche tutta la vicenda umana, in quanto ciò che è avvenuto in Gesù risorto è - secondo il NT - un segno anticipatore: «Cristo è resuscitato dai morti, primizia di coloro che sono anticipatori: «Cristo è resuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti». L'uomo, dunque, non è fatto “solo” per la vita su questa terra e con la morte non finisce semplicemente tutto o non si cade nel baratro del nulla: il peccato, il male, il dolore, la morte, pur continuando purtroppo a esserci nella storia del l'umanità, non ne sono “signori”. Conseguenza il NT intravede nella risurrezione di Gesù il senso del “paradiso” e del compimento finale di Dio sul mondo. Per questo la risurrezione di Gesù è il fondamento della speranza del cristianesimo: se Gesù è davvero risorto, la “guerra” è già vinta. 14 IL COMANDAMENTO DELL'AMORE, | TITOLI CRISTOLOGICI E IL NOME CRISTIANO DI DIO La domanda È possibile trovare delle formule sintetiche, per ridire il contenuto centrale della missione di Gesù e, soprattutto, l'identità della sua persona e della sua visione di Dio? Il cristianesimo ha sempre provato a ridire il cuore della sua esperienza con modalità linguistiche differenti anche rispetto a quelle codificate nel testo sacro; anzi, l'esigenza di una riflessione critico sistematica ha spinto verso forme di espressione e di pensiero che potessero rendere idonee del motivo per cui Gesù, nella sua vita e nella sua testimonianza, avesse detto e agito proprio in quel modo. IL COMANDAMENTO DELL'AMORE A motivo del fatto che Gesù afferma che la verità di Dio è suo essere incondizionatamente a favore della vita dell'uomo, il cristianesimo ha da sempre indicato nel comandamento dell'amore la sintesi del suo messaggio. 14.1 La tridimensionalità del comandamento dell'amore «l'amore di Dio è il «primo» e il «più grande» rispetto all'amore al prossimo, anche se il secondo è «simile» primo nello stesso tempo si deve amaro «il tuo prossimo come te stesso» *L'amore a Dio e al prossimo è l'interpretazione sintetica e compiuta di tutta la Legge e i profeti *Gesù fa di sé il canone dell'amore: dice si deve amare «come io ho amato voi» cioè dando la vita agli altri «l'origine del poter amare è essere stati amati: «in questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» *l'amore è un comandamento nel senso che è la “legge della vita”, l'abc dell'esistenza: l'origine e il compimento della realtà è amore. 14.2 La dedizione incondizionata di Dio come radice del cornac (lamento dell'amore) Il comandamento dell'amore è nuovo non tanto materialmente bensì qualitativamente: Gesù rende presente un amore del Padre cosi grande fonda un modo nuovo di amaro. Questa prospettiva spiega il motivo per cui i vangeli contengano pagine in cui Gesù raccomanda di odiare il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle... e infine se stessi, per poter guadagnare la vita e non perderla, per sapere che essi non sono la vita, ma lo è Dio. | TITOLI CRISTOLOGICI Già il NT fa uso di innumerevoli titoli cristologici, cioè nomi sintetici per indicare la sua identità profonda. 14.3 | titoli cristologici più importanti del Nuovo Testamento «I titoli dei contemporanei più significativi sono due: (1) profeta, identificazione che afferma la consapevolezza che Gesù è un inviato che parla a nome di Dio e manifesta la sua volontà; (2) figlio di David - Messia/Cristo. *il titolo risale da Gesù stesso, più significativo è figlio dell'uomo, enigmatica espressione che può essere compresa solo rifacendosi all'AT, pur assomigliando “solo a un uomo”, ha la gloria e il potere di Dio *i titoli dei discepoli dopo la risurrezione di Gesù più significativi sono due: ( 1 ) figlio/figlio di Dio;(2) Signore, perché kyrios-che in greco può anche semplicemente esprimere un tratto di cortesia e di rispetto: il titolo per qualificare Gesù DIO È PADRE, FIGLIO E SPIRITO SANTO 14.4 La relazione tra Gesù e il Padre nel Nuovo Testamento *i sinottici raccontano che Gesù distinguesse il padre vostro dal Padre mio chiaro indice di una relazione unica, non paragonabile rispetto a quella di tutti gli altri uomini. *La tradizione giovannea ricordando spesso che le polemiche tra Gesù e gli ebrei suoi contemporanei in fondo vertevano proprio sul fatto che chiamasse Dio suo «ciò che viene compreso all‘improvviso, si dice rivelazione quei tipo di illuminazione che sperimenta chi coglie il significato di un teorema «la divulgazione di un segreto, si dice rivelazione el’indizio, il segno, il sintomo si dice rivelazione ciò che permette di accedere ad un significato più profondo «l’esperienza di fronte all’onera d’arte; si dice rivelazione l’esperienza estetica nella quale l’opera d’arte apre la verità della realtà non ancora e non altrimenti accessibile; «la scoperta del senso dell’esistenza, si dice rivelazione quell’ sperienza che illumina l’itinerario di una vita. 15.2 La rivelazione nell'Antico Testamento Il vocabolo rivelazione nella cultura medio-orientale indicava determinate tecniche impiegate per cercare di scoprire i segreti degli dei. Per questa ragione nell’AT non impiega il vocabolo rivelazione quando vuole parlare dell’esperienza che sta vivendo con Dio. La famiglia di significato fondamentale è quella che fa capo a comunicare, Dio parla il modo con cui viene espressa la volontà (libera) di Dio di entrare in rivelazione con l’uomo. In tale fenomeno (1) si mette al centro contemporaneamente Dio e l’uomo; (2) si assicura una maggiore libertà; (3) si permette di esprimere la profondità della persona; (4) si ricerca una relazione di alleanza reciproca. Da qui l’esigenza struggente del credente che Dio continui a parlare, perché, se Dio non parla, l’uomo è come colui che scende nella fossa e non c’ è peggior castigo del silenzio di Dio. 15.3 Li rivelazione nel Nuovo Testamento «Il corpus paolino. Paolo esprime la ricchezza dell’incontro tra Dio e uomo avvenuto in Gesù attraverso il vocabolo mistero, indica la volontà di Dio, prima nascosta e inaccessibile, ma ora resasi presente in modo unico e sorprendente in Gesù. «La tradizione sinottica. I sinottici non si sono preoccupati d trovare un vocabolo perdine sinteticamente il significato dell’opera di Gesù, ma si prodigano nel descrivere il suo predicare e agire come capace di rendere presente Dio. «La tradizione giovannea. Giovanni, soprattutto nel celebre prologo del suo vangelo fa un’operazione interessante, perché esprime la novità di Gesù impiegando in modo rinnovato alcuni termini deln linguaggio della cultura greca sostantivandoli: la persona concreta di Gesù è la Vita, la Parola, la Luce, la Verità e la Gloria di Dio, fatta carne umana. Il testo rimarca la novità accaduta con Gesù, affermando che in lui c’è la pienezza della Legge che non lo sforzo del l’uomo permettono di accedere all’invisibile Dio, bensì Gesù, che è la Parola di Dio, che viene da Dio. 15.4 Rivelazione come concetto teologico. Il testo di Dei Verbum Nei testi biblici, dunque, il vocabolo rivelazione non ha particolare importanza. Il vocabolo rivelazione è divenuto per l'Occidente il modo normale per indicare l’apertura di Dio verso l’uomo e la realtà: senza l’idealismo tedesco. Difficilmente rivelazione sarebbe divenuto in teologia il vocabolo chiave per indicare l’agire di Dio. Tant'è che solo nel 1 965 un documento ufficiale della Chiesa cattolica spiega che cosa intendere con tale vocabolo: è il primo capitolo della costituzione dogmatica Dei Verbum. 15.5 Natura e oggetto della rivelazione «l’oggetto della rivelazione è Dio stesso e il mistero della sua volontà «Lo scopo della rivelazione è espresso con tre forme: accesso al Padre, partecipazione alla natura divina, comunione con Dio *L’origine della rivelazione è la bontà e sapienza di Dio: la rivelazione, cioè, non è esigibile da parte dell’uomo, ma si tratta di un dono del tutto libero e gratuita da parte di Dio «modalità della rivelazione è l’incontro, il dialogo che Dio intende intrattenere con l’uomo. *La forma della rivelazione avviene, perciò, in una “economia” mediante eventi e parole «Il mediatore (per eccellenza) e la pienezza della rivelazione è Gesù: svolgendosi secondo una dinamica storica graduale, la rivelazione trova nella persona di Gesù il mediatore e la pienezza della rivelazione. Per questo il testo afferma che Gesù non è una tappa qualsiasi della rivelazione, ma è la Parola ultima di Dio sull’intima verità di Dio e dell’uomo. 15.6 Inizi della rivelazione Avendo indicato che la rivelazione è una storia di rivelazione che culmina in Gesù, il testo presenta sinteticamente in tre tappe come si sia giunti al compimento. * Testimonianza di sé nella creazione. Da sempre ha detto/dato qualcosa di sé attraverso la creazione: (1) non è un atto puntuale (concluso) del passato, ma un’azione (continua) Dio che accompagna (anche) nel presente (2) è un gesto cristologico (3) seppur nomi si classificabile come rivelazione la creazione dà una testimonianza di Dio. *Manifestazione di sé ai progenitori e costante cura per il genere umano, Dio ha ricercato fin dall’inizio dell’esistenza dell’uomo sulla terra un dialogo con lui. Quattro sono le cose degne di nota: se è vero che (1) Dio ha concreta cura di tutta l’umanità e che questa cura è incessante, allora (2)lutti gli uomini possono trovarlo, a condizione che lo cerchino e pratichino il bene (3)è la vita eterna, cioè la salvezza come partecipazione alla vita di Dio; neppure (4) il peccato ha distolto Dio dal perseguire il Suo disegno. «Chiamata di Abramo, È per questo che, ad un certo punto, Dio chiamato ad un’alleanza particolare l’umanità: per essere reale, il dialogo doveva avvenire nello spazio e nel tempo. 15.7 Rivelazione in Cristo Il testo ritorna a parlare del compimento della rivelazione in Gesù con maggiore diffusione. *Gesù compimento della rivelazione. Dio Padre da sempre desiderava un incontro personale con l’uomo, incontro che avviene in Gesù, che è il compimento della rivelazione in forza della sua duplice natura di vero Dio e vero uomo. «Oggetto della rivelazione di Gesù. Verso la fine si precisa che l’oggetto della rivelazione di Gesù non è solo teologico , ma anche antropologico, rivelando Dio, Gesù ha rivelato l’uomo all‘uomo. *Nessun’altra rivelazione pubblica. Le ultime righe esplicitano quanto già contenuto implicitamente: se la rivelazione di Gesù è definitiva e conclusa, non c’è da aspettarsi un gesto divino più rivelazione salvifico dell’incarnazione e della morte e risurrezione di Gesù. 16 LA FEDE DELL'UOMO La domanda Secondo il cristianesimo, che cosa significa esattamente l’espressione “credere in Dio”? 16.1 . Si fa presto a dire credere... «credo che...per esprimere un pensiero di cui non si è sicuri «credo a te che... per esprimere la fiducia in qualcuno di affidabile, per cui si accetta come vero quanto detto, anche se non verificato personalmente. eci credo a quanto faccio...per esprimere una sicurezza assolutamente certa e comprovata dall’evidenza di una vita. È facile comprendere che, in basca tali possibili li accezioni, parlare di credere in Dio potrebbe avere, di conseguenza, ventaglio di significati: enon sono ben sicuro (dell’esistenza) di Dio, nella prima accezione credere esprime una impossibilità a sapere di Dio, a tal punto che si rimane in una continua oscillazione che può portare al massimo alla “scommessa”, all’azzardo” di puntare su di Lui, senza però prove definitive; «accetto (l’esistenza di) Dio, perché mi fido di chi me lo ha testimoniato: nella seconda accezione, credere dice di una accettazione di Dio sulla testimonianza di qualcuno che fa da “intermediario”. *sono così sicuro di Dio che è la mia stessa vita: nella terza accezione, credere esprime una sicurezza totalmente “soggettiva” e “oggettiva”. Credere, cioè, è un verbo creato per esprimere un’esperienza molto peculiare: un atto molto personale nei confronti del divino che è talmente affidabile e convincente da avere la certezza di “guadagnarci”. 16.2 Credere nell’ Antico Testamento Da qui sono comprensibili alcune caratteristiche tipiche della visione biblica del credere: «è un cammino: l’AT ne parla più volentieri come forma verbale (credere) più che sostantivata (fede) Centrale non più tanto il rapporto ragione-fede rispetto a coscienza-fiducia è quindi la relazione di fede e ragione rispetto a coscienza-fiducia. Una conoscenza senza una “fiducia originaria” che tiene collegati con tale realtà; a livello psicoanalitico, alla lezione freudiana, con tutto quanto si è scoperto circa la decisività della fiducia nei legami con la madre e il padre per l’identificazione del neonato. 17.2 origine la fiducia: la coscienza credente *L’atto fisico del nascere è segnato dalla traumatica interruzione/ separazione della precedente ed originaria unità: il neonato vive, da una parte, il trauma di non essere (più) un’unità, in quanto mancante (per sempre) del corpo della madre di cui era una uni-totalità; dall’altra, è impossibilitato a cogliere il proprio corpo come una uni totalità per le difficoltà motorie che impediscono di coordinare adeguatamente le membra. «La condizione di possibilità dell’accendersi della coscienza di sé è l’appello affidabile di un “tu” che ama il neonato: nessuno si sveglia all’amore se non è amato da altri (madre/padre), inquanto 1’“io” emerge nel “sorriso” «Questa dinamica ha una forma essenzialmente pratica e corporea, perché il neonato, soltanto attraverso le forme del contatto sensibile del suo corpo con il corpo di altri, giunge a percezione di sé. «La coscienza, allora, ha originariamente la forma di un radicale affidamento, prima ancora di poter/voler decidere di fidarsi o meno, il neonato è posto in una dinamica di fiducia, affidato a sé dalla fiducia di colei/colui che si prende cura di questa nuova vita come quella di una persona che è degna di esistere. 17.3 La drammatica della relazione fiduciale madre-neonato-padre * Il primo passaggio è il tempo della seduzione reciproca tra madre e neonato: nel tentativo insopprimibile e impossibile di essere un tutt'uno con il corpo della madre, il neonato desidera essere riconosciuto come l’oggetto del suo (di lei) desiderio; ma anche la madre desidera essere apprezzata dal neonato come l’oggetto del suo (di lui) desiderio. La relazione duale madre-neonato, dunque, è nello stesso tempo necessaria e tendenzialmente mortifera, perché entrambi rilanciano esponenzialmente il desiderio di godimento e entrambi rilanciano esponenzialmente il desiderio di godimento e di riconoscimento assoluto rifiutando di non essere il tutto per l’altro; da qui la tendenza assimilatrice verso un’unità indistinta «è questo il secondo passaggio, il tempo dell’apparizione del padre, che interviene nella relazione duale madre-neonato pronunciando due moniti distinti: il primo indirizzato alla madre, non puoi divorare il tuo frutto! Secondo indirizzato al neonato, non puoi ritornare da dove sei venuto! *Qui si apre il terzo massaggio: il padre non solo “castra” il godimento (incestuoso) imponendogli un limite, ma compensa tale rinuncia al godimento più immediato con l’offerta di una “promessa” di un’identificazione compiuta, che avviene nel diritto/possibilità di desiderare un proprio desiderio. 17.4 La dimensione “sacra” della coscienza filiale «Ogni neonato, dunque, giunge all’accendersi della coscienza filiale? Solo all’interno di fedeli legami affettivi con la madre e con il padre, un’affezione che è l’anticipazione a se della propria, unicità/bontà che accende il desiderio di una promessa di compimento che né mamma, né papà, però, sono in grado di onorare fino in fondo. Il dinamismo della coscienza non solo porta a scoprire una referenza “trascendente” (Altro dell’altro) insita nel dinamismo della promessa che il legame materno e paterno accendono nel rincontro con il figlio, ma ne chiariscono anche la qualità, perché la coscienza umana non può venire svegliata semplicemente da un altro contingente «Per questo tale dinamica co-originante la coscienza appare normativa perché il neonato sa che altrimenti non sarebbe divenuto figlio: è così che ogni uomo ha imparato la Legge, il carattere incondizionato e universale di ciò che è giusto, il modo per riconoscere e giudicare la verità dei legami che danno vita o morte. Ed anche evidente come tale legge che ogni figlio riceve sia la fedele dedizione amorosa della-madre-e-del-padre che si prendono cura di lui, ponendo così un limite ai bisogni di godimento. 17.5 Il cammino della decisione come compimento della coscienza filiale *L’umanità dell’uomo si gioca nella decisioni di corrispondere liberamente a quella struttura primigenia che ha permesso e permette la possibilità dell’esistenza cioè l’affidarsi alla promessa buona donata. C’è pur essendo all’origine della sua umanità. «La coscienza non è mai, dunque, un ero dato bensì legame da decidere e ri-decidere di fronte alla vita: l’identità del l’uomo è sempre un cammino, perché ci saranno nell’esistenza momenti particolari in cui tale struttura si apre/riapre e si è chiamati a (ri)decidere di sé in modo singolare. 17.6 La “fede in Dio” alla luce della coscienza filiale «In questa prospettiva (da un punto di vista fenomenologico), “Dio” è il nome ultimo del dinamismo umano del “sacro”, verità di quell’altro di cui si va sempre alla ricerca in ogni altro. *”fede in Dio”, allora, sempre da un punto di vista fenomenologico, è il nome della riappropriazione consapevole, libera e fedele di quell’affidarsi che struttura la coscienza. 17.7 La fede nel Dio di Gesù alla luce della coscienza filiale Come detto fin dall’ inizio, l’esperienza cristiana muove dall’esperienza fondamentale che Dio stesso si sia rivelato, abbia cioè voluto farsi incontrare dall’uomo, compiendo tale sua volontà nella storia della libertà dì Gesù, che rende presente la verità. La fede in “Dio” è fede cristiana quando Dio, come incontro interpersonale è riconosciuto e nominato alla luce della singolare esperienza di Gesù di Nazaret. Perché proprio tale fede rivela, porta a compimento. Rinvera e corregge la verità dì Dio e dell’uomo? Porta a compimento, Origine nella relazione filiale con l’Origine buona-giusta-vera-bella in quanto dedizione incondizionata: il dare la vita per gli uomini (la pro-esistenza) è la forma precisa dell’identità di Gesù, perché è la forma precisa dell’identità di Dio. 17.8 Il racconto di Genesi 2-3 come paradigma della coscienza credente Una più attenta conoscenza e ri lettura della fenomenologia dell’umano, dunque, ci consegnala coscienza come originariamente e intrinsecamente credente: il riconoscimento di sé avviene solo nell’affidamento a relazioni riconosciute affidabile. «Il testo è chiaro nell’affermare che all'origine c’è sempre una promessa benevola di Dio da premessa all’umano perché in forza della disposizione divina l’uomo dispone di tutto quello che serve alla vita vi è un giardino convenientemente offerto perché l’uomo vi possa vivere, con alberi, animali e soprattutto la compagnia della donna, un aiuto che gli corrisponde, pur non essendo semplicemente omologo. *(3,1-4) Il lavoro del serpente, figura dell’astuta falsa sapienza, è quello di insinuare il sospetto attraverso una domanda, la quale, però, nel modo stesso di essere posta, subdolamente falsifica la realtà, perché non è vero che Dio ha detto che non si deve mangiare di nessun albero del giardino. L’astuzia del serpente è quella di (far) sospettare dell’origine del dono: invece di continuare a fidarsi dell’esperienza buona della bontà di Dio che badato un giardino l’uomo comincia a dubitare dì tale bontà, prestando credilo a chi suscita il sospetto. *(3.6-“7) La suggestione del serpente diventa efficace e quando cambia l’occhio della donna, il suo modo di vedere e percepire la realtà: prima della domanda del serpente, la donna sembrava non avvertire neppure la presenza nel giardino di quell’albero, perché godeva tutti gli altri ma ora invece quell’albero diventa il centro polarizzante della sua attenzione, perché non si fida più di Dio. Del comando di Dio la certezza della vita non avviene attraverso il fidarsi di ciò che soddisfa il bisogno di occhi e bocca, ma soltanto attraverso il fidarsi della promessa di Colui che permette all’uomo di vivere nel giardino. *(3,8-13.21) A fronte dell’inaffidabilità dell’uomo e della sua non-fiducia in Dio, Dio non smette di prendersi cura dell’uomo va a cercare, lo aiuta a rileggere quanto vissuto, a rendersi conto delle conseguenze che la sfiducia ha portato; è ancora Dio a propiziare un faticoso percorso per suscitare una rinnovata fiducia dell’uomo in Lui, negli altri, in se stesso, nella realtà. 18 LA QUESTIONE DELLA RELAZIONE TRARAGIONE E FEDE La domanda Se la fiducia è così decisivo nell’esperienza umana, per quale motivo in Occidente la ragione è vista non solo come un’altra cosa rispetto alla fede, ma anche come unico vero accesso alla verità della realtà? 18.1 Una questione di paradigma della conoscenza L’impianto antropologico-gnoseologico occidentale ha individuato nel la ragione l'organo di accesso(più) chiaro e (più) distinto (per fare il verso alla celebre impostazione cartesiana) alla verità, giungendo surrettiziamente, ma inevitabilmente, a identificare l'umano tout court con la ragione: la definizione dell’uomo come animal rationale. «Quando dalla modernità in poi, la ragione viene identificata progressivamente con la ragione tecnico- scientifica sono state squalificate nella loro pretesa veritativa, perché incapaci a raggiungere il livello oggettivo della ragione tecnico-scientifica che funge paradigma della certezza. *Da qui anche la sostanziale teorizzazione dell’esteriorità della verità rispetto alla storia e alla libertà, interpretate come una specie di campo di “applicazione” e “assimilazione” occidentale.