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L'arte funzionale. Infografica e visualizzazione di Alberto Cairo, Dispense di Comunicazione Grafica

Riassunto del libro, manca la IV parte

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 18/05/2020

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Scarica L'arte funzionale. Infografica e visualizzazione di Alberto Cairo e più Dispense in PDF di Comunicazione Grafica solo su Docsity! PARTE I: FONDAMENTALI CAPITOLO 1: PERCHE VISUALIZZARE, DALL’INFORMAZIONE ALLA SAGGEZZA Chi si occupa del campo dell’infografica e della visualizzazione tende ad avere una curiosità insaziabile e una tendenza a voler cercare di spiegare tutto usando la ragione. OTTIMISMO RAZIONALE Matt Ridley, scrittore scientifico britannico, nel capitolo di un suo libro parla del tasso di fertilità: sostiene che sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, i tassi di fertilità convergeranno intorno al 2,1. Nonostante le argomentazioni convincenti, il grafico presente nel capitolo è insufficiente a sostenerle: esso è un aggregato di dati di tutti i paesi del mondo, il quale inibisce la nostra capacità di vedere i diversi argomenti trattati da Ridley in quanto viene mostrato solo il cambiamento della popolazione su una linea del tempo, mentre non mostra che nei paesi ricchi il tasso di fertilità in lenta ripresa e che nei paesi in via di sviluppo si sta stabilizzando. Il soccorso della visualizzazione low-tech Cercando i dati proposti da Ridley sul tasso di fertilità, appare una tabella da cui è difficile estrarne un significato, anche perché il nostro cervello non si è evoluto per elaborare grandi quantità di dati, memorizzarli, leggerne altri e paragonarli. Realizzando un grafico semplice con i dati dei fogli di calcolo, ottengono invece uno strumento visivo in grado di rispondere per esempio in quali anni tra il 1950 e il 1975 la differenza tra il tasso della fertilità della Spagna e quello della Svezia è aumentata e in quali è diminuita. Dando ai numeri una forma e codificandoli visivamente, si risparmia tempo ed energie rispetto che leggere i numeri in una tabella. Il primo e più importante obiettivo di qualsiasi grafico o visualizzazione è fungere da strumento per gli occhi e il cervello affinché riescano a percepire ciò che è al di là della loro portata naturale. Presentare i dati confrontando due paesi è più semplice però che farlo per cento, che sarebbe la via per verificare alcune delle idee di Ridley, tuttavia se si dovessero rappresentare le linee relative a tutti i paesi nello stesso grafico, si creerebbe confusione e sarebbe inutile rispetto allo scopo che è quello di mostrare la confluenza in proiezione delle linee dei paesi ricchi tendenti verso l’alto, e quelle dei paesi poveri tendenti verso il basso. Per risolvere il problema basta aggiungere qualche gerarchia visiva al miscuglio di linee: non ha senso che tutte siano visibili in quanto in un’infografica ciò che si mostra può essere importante tanto quanto ciò che si nasconde. Un’idea potrebbe essere quella di evidenziare alcuni paesi ricchi, alcuni in via di sviluppo e alcuni poveri, facendo diventare grigie le linee relative agli altri paesi, facendo sì che rimangano in scena senza oscurare il messaggio, senza sbarazzarsene perché forniscono un contesto per i casi evidenziati in quanto mostrano collettivamente un trend al ribasso dei dati, anche se è impossibile vederle come entità indipendenti. Nei dati si annega? Solo se non sai nuotare Le rappresentazioni grafiche ci aiutano a scoprire realtà altrimenti invisibili a occhio nudo, e crearle non è un impegno da poco considerando che la quantità di dati che circola al giorno d’oggi è considerevole. Dall’informazione alla saggezza L’esplosione di questi dati ha richiesto l’intervento di professionisti in grado di organizzare i dati e dedurne un senso chiamati da Wurman, docente di architettura della Carolina del Nord, architetti dell’informazione. La loro sfida più difficile è destreggiarsi tra lo tsunami di dati dell’era moderna. La loro disciplina, definita come architettura dell’informazione, è etichettata come la progettazione strutturale di ambienti di informazione condivisi, la combinazione di sistemi di organizzazione, ricerca e navigazione all’interno dei siti web, l’arte e la scienza di plasmare prodotti ed esperienze dell’informazione in modo da favorirne l’usabilità, una disciplina emergente fatta di pratiche tese a portare i principi del design e dell’architettura nel panorama digitale. Lo scopo principale secondo Wurman dell’architettura dell’informazione è aiutare gli utenti a evitare l’ansia da informazione, ossia il buco nero tra i dati e la conoscenza, l’ansia di come assimilare una quantità di conoscenze che si espande sempre di più. Divario tra ciò che capiamo e quello che pensiamo di dover capire. Tra questi due estremi di Wurman ci sono vari passaggi. L’informazione non strutturata rappresenta la realtà, il mondo esterno in tutta la sua complessità. Ogni fenomeno che può essere percepito o misurato può essere descritto come informazione. Il passaggio successivo sono i dati, che documentano le osservazioni fatte sul mondo reale, e possono essere codificati in simboli. Tra l’informazione non strutturata e i dati, si può vedere un primo livello di codifica in cui i dati saranno le voci che il ricercatore riporta. Il secondo livello di codifica ci porta dai dati all’informazione strutturata: un comunicatore ha dato forma ai dati cosicché i pattern rilevanti diventino visibili, rappresentandoli utilizzando testi, immagini o altri mezzi. Il consumo di questa informazione conduce a una maggiore conoscenza da parte del pubblico, se capace di percepire il pattern o il significato dei dati, assimilando i contenuti e associandoli ai propri ricordi o alle proprie esperienze. Raggiungiamo la saggezza quando non solo capiamo quello che vediamo, ma quando le nuove informazioni si fondono con l’esperienza pregressa in modo da migliorare la nostra capacità di sapere cosa fare in altre situazione, magari legate alle informazioni da cui proveniva la nostra conoscenza originale. Non tutta l’informazione che assorbiamo porta alla conoscenza, non tutta la conoscenza che acquisiamo porta alla saggezza. Ogni passaggio del diagramma implica un ordine superiore: quando vediamo il mondo poniamo inconsciamente un’organizzazione alle informazioni non strutturate che i nostri occhi raccolgono e trasmettono al cervello. Non percepiamo tutto ciò che abbiamo davanti contemporaneamente: un’entità in movimento ad esempio attira l’attenzione più di una statica, perché il movimento può segnalare una minaccia imminente. Il nostro cervello dà significato all’oggetto, anche se non siamo consapevoli della ragione di ciò. Senza uno sforzo cosciente, il cervello cerca sempre di ridurre la distanza tra i fenomeni osservati e la conoscenza che possono aiutarci a sopravvivere. Il ruolo di un architetto dell’informazione è anticipare questo processo di cognizione e generare ordine prima che il cervello delle persone lo faccia da solo. Rendere visibile la realtà Degli architetti dell’informazione fanno parte professioni come chi crea software, sviluppa il web, ecc…che hanno il compito di rendere il mondo fruibile a pubblici e utenti. L’infografica e la visualizzazione sono una forma dell’architettura dell’informazione. Se immaginiamo quest’ultima come un grande cerchio, al suo interno collochiamo il complesso delle discipline che trattano l’informazione. tra le più importanti c’è l’information design, definita da Horn dell’Università di Stanford come l’arte e la scienza del preparare l’informazione in modo che possa essere usata dagli esseri umani in maniera efficiente ed efficace, preparando documenti sia analogici che digitali e spazi in modo che li si possa esplorare senza sforzo. L’infografica è un tipo di information design, che è un ramo dell’architettura dell’informazione. Una parte importante dell’information design sono l’infografica e la visualizzazione: la letteratura accademica a volte le separa e definisce la seconda come l’uso di rappresentazioni visive interattive su supporto informatico per amplificare la cognizione, anche se Costa (docente spagnolo di design) ne dà una definizione più lineare: visualizzare vuol dire rendere certi fenomeni e certe porzioni della realtà visibili e comprensibili in quanto molti fenomeni non sono naturalmente accessibili a occhio nudo, molti non sono nemmeno di natura visiva. Viene fatta quest’ultima precisazione perché le presentazioni grafiche possono essere figurative o non figurative (es. manuale che spiega attraverso le immagini come utilizzare la lavatrice, non c’è una corrispondenza mimetica tra ciò che è rappresentato e la sua rappresentazione. Il rapporto tra le due entità e convenzionale (es. il tasso di disoccupazione non somiglia a una griglia di rettangoli colorati). VISUALIZZAZIONE COME TECNOLOGIA La visualizzazione dovrebbe essere considerata una tecnologia, alla stregua dei lettori Mp3 o di un tagliaerba. Nella loro essenza hanno in comune il fatto di essere: 1)Estensione di noi stessi: il filosofo dei media canadese McLuhan fu il primo a proporre questo concetto. Il tagliaerba ci permette di tenere il giardino senza dover usare le mani, mentre il lettore Mp3 non è un dispositivo che ci aiuta a ricordare le canzoni che definiscono i momenti migliori e peggiori della nostra vita. 2)Sono mezzi per raggiungere scopo, o vari scopi. La funzionalità di un computer per esempio dipende da altre tecnologie, come i software che installiamo. La visualizzazione ha queste caratteristiche, inoltre la parola tecnologia ha significati diversi secondo Arthur: ci sono le tecnologie-singolare che possono essere un oggetto, un processo o un metodo per aiutare in un compito, come il frigorifero, gli algoritmi che eseguono un programma; tecnologie-plurale costituite da pratiche e componenti di tecnologie-singolare che insieme danno vita a qualcosa di nuovo come l’elettronica o la biochimica; infine c’è la tecnologia-generale che costituisce l’intera gamma di dispositivi e pratiche ingegneristiche a disposizione di una cultura. Questo diventa rilevante nel campo delle infografiche e delle visualizzazioni perché sono costituite da un insieme di concetti, metodi e procedura mutati da diversi campi: principi del disegno delle mappe (dalla cartografia), linee guida su come presentare al meglio i dati di un grafico (dalla statistica), regole sulle migliori procedure per l’uso dei caratteri, layout e tavolozza di colori (dalla grafica), principi di stile di scrittura (giornalismo). Inoltre anche le infrografiche sono Dall’altro lato, se la rappresentazione implica una significativa manipolazione concettuale da parte del suo autore, tenderà a essere più astratta (es. nell’infografica della missione su Saturno ridurre il realismo dei pianeti per trasformarli in semplici pallini colorati e sistemarli lungo una scala di distanze). Funzionalità-decorazione Questo asse si riferisce all’inclusione di elementi visivi che non vengono utilizzati direttamente per favorire la comprensione del materiale, quindi non sono funzionali ma decorativi. La decorazione non è negativa di per sé ma, se non gestita bene, può interferire con l’informazione. Densità-leggereza La posizione che un’infografica occupa lungo questo asse è legata alla quantità di dati presenti in relazione allo spazio utilizzato. Multidimensionalità-unidimensionalità Asse che misura il numero di livelli di approfondimento in cui un’infografica permette ai lettori di addentrarsi e le diverse forme che utilizza per codificare i dati, guardandoli anche da angolazioni diverse. Originalità-familiarità Alcune forme grafiche sono diventate tanto comuni da essere leggibili come un testo come i grafici a barre, quelli lineari e i diagrammi a torta. Ci sono anche forme grafiche nuove come lo stream graph Novità-ridondanza Un’infografica può spiegare più cose una volta sola (novità) o spiegare le stesse cose più volte con diversi mezzi (ridondanza). Raggiungere un equilibrio tra le due è essenziale: la novità è importante per evitare di annoiare, anche se un certo grado di ridondanza è necessario se si vuole essere capiti. Un testo di un’infografica può ripetere alcune informazioni codificate nell’illustrazione, rafforzando il messaggio e chiarendo cosa l’immagine mostra. Identificare il pubblico La complessità di un’infografica dovrebbe essere adattata alla natura del vostro lettore medio. I due fattori che influenzano la comunicazione tra information designer e pubblico attraverso le infografiche e le visualizzazioni sono: in che misura le forme visive utilizzate per codificare le informazioni sono state adattate alla natura del tema che l’infografica dovrebbe trattare, e la conoscenza pregressa che il lettore ha dell’argomento e di come funzionano quelle forme visive (es. i grafici a barre sono più comuni dei diagrammi a dispersione). Più specializzata è la nicchia di pubblico, più cose si possono dare per scontate, più si può fare affidamento su quello che verosimilmente i lettori già sanno. Se un’infografica è tratta da una rivista accademica, sarà ovviamente poco comprensibile per chi non è del settore di cui tratta. La maggior parte degli information designer lavora però per l’editoria generalista e la domanda che si fanno è se l’infografica è troppo complessa per la maggioranza dei lettori. Di fronte a questo dilemma molti abbassano il livello dei dati, semplificandoli piuttosto che chiarendoli, e li corredano di illustrazioni che secondo loro renderanno la presentazione meno noiosa. Diffidare dell’intelligenza del lettore è il problema principale e limita lo scrivere decentemente. Ingegneri vs designer: Edward Tufte e Nigel Holmes Nel mondo dell’infografica c’è sempre uno scontro tra chi predilige un approccio razionale e scientifico ponendo l’accento sulla funzionalità, a coloro che si considerano artisti e danno maggiore enfasi agli aspetti emotivi ed estetici. I primi hanno una formazione tecnica (statistica, cartografia, informatica) mentre i secondi provengono da studi di grafica, arte e giornalismo. Questa guerra è stata dichiarata da Tufte, professore di scienza politica e statistica a Yale, il teorico più influente nel campo dell’information design e della visualizzazione. Tra i suoi libri c’è “The Visual Display of Quantitative Information”. Mappe e grafici illustrati erano diventati popolari grazie allo stile visivo del Time e di USA Today. Tufte definisce i pittogrammi e le illustrazioni contenuti nei grafici come chartjuk (ciarpame da grafico). Tufte disprezzava l’ideologia decorativa, definendo i fautori del chart junk come soggetti che immaginano che i numeri e i dettagli siano noiosi, e che necessitino di ornamenti per vivacizzarsi. La decorazione cosmetica, che spesso distorce i dati, non compenserà mai una carenza di base nei contenuti. Peggio ancora è il disprezzo per il pubblico, pensando che sia ottuso, mentre i consumatori delle infografiche spesso sanno gestire le informazioni disponibili con più intelligenza di quelli che fabbricano la decorazione dei dati. Il presupposto etico per operare nell’information design è credere che i lettori siano svegli e interessati. Minimalismo ed efficienza Tufte definisce l’efficienza come un progetto di visual design valido che comunica molto con poco. L’eccellenza grafica è la presentazione ben congegnata di dati interessanti (una questione di sostanza, statistica, pianificazione), consiste in idee complesse comunicate con chiarezza/precisione ed efficienza, offre all’osservatore il numero maggiore di idee nel minor tempo con la minor quantità di inchiostro e nello spazio più limitato. Tufte definisce più precisamente questo principio di efficienza come rapporto dati-inchiostro: una misura della quantità di inchiostro utilizzata per rappresentare i dati in un grafico. Tufte definisce come elementi dati-inchiostro quelli che non possono essere eliminati senza distruggere l’integrità della presentazione. Le altre componenti, quelle che costituiscono la decorazione, possono essere eliminate perché o sono superflue o distolgono il lettore da ciò che è veramente importante. Tufte propone persino una formuletta: Rapporto dati-inchiostro = Inchiostro che codifica dati / Totale dell’inchiostro utilizzato per stampare il grafico. Secondo Tufte, più il rapporto dati-inchiostro si avvicina a 1, migliore è il grafico. Meno inchiostro si impiega per gli effetti ornamentali, meglio è. Tufte non considera eliminabile soltanto la mera decorazione. Nel suo primo libro proponeva anche di cancellare griglie e persino porzioni di barre in un grafico a barre. I libri di Tufte imponevano il buonsenso in un periodo in cui l’appariscente prevaleva sul funzionale, e il figurativo e il divertente predominavano sull’astratto e l’intellettuale. Il suo stile di scrittura è austero e sobrio come i grafici che predilige. Ma le invettive di Tufte contro il ridondante e inutile ciarpame visivo sono sempre giuste? Il “chart junk” è tutto da buttare? Il problema con Tufte è che i suoi libri non sono né guide né testi analitici, ma meditazioni o saggi, disorientando qualora si tenti di applicare i suoi principi astratti al mondo reale. Inoltre non indica mai se le sue siano un’opinione o siano basate sulla ricerca. Per quanto si concordi con Tufte sulla serietà nel trattare i dati, sul rispettare l’intelligenza del lettore e sul ridurre il disordine e aumentare l’eleganza, il non differenziare le asserzioni fondate su prove e le intuizioni tutte sue è una debolezza. Il rapporto dati-inchiostro è esemplificativo: l’affermazione che una maggiore efficienza—la minor quantità di risorse visive per trasmettere il maggior volume di contenuti possibile—faciliti sempre la comprensione è discutibile. Ciò non significa che gli information designer debbano sentirsi liberi di cominciare a infarcire i grafici di vignette e illustrazioni, ma di certo significa che le risorse che Tufte considera inchiostro non impiegato per i dati—per esempio le griglie di una serie storica, o le icone discrete e sottili che identificano l’argomento affrontato dal grafico—potrebbero non essere affatto superflue. Lungi da essere un ostacolo alla comprensione, possono invece migliorarla. Studi accademici degli ultimi dieci anni hanno verificato le ipotesi di Tufte: mostrando a degli studenti grafici a barre tradizionali e grafici dal rapporto dati-inchiostro massimizzato, la versione minimalista del grafico a barre è stata bocciata da molti partecipanti, forse perché è una forma grafica molto comune. Quando gli studiosi hanno verificato se i lettori interpretassero il grafico minimalista meglio e più rapidamente di quello più ingombro, non hanno riscontrato differenze significative. In questo caso, la radicale riduzione del grafico ai suoi costituenti principali non era una questione di funzionalità, ma di stile visivo. In un’altra indagine, 20 studenti hanno letto quattro vecchi grafici di Nigel Holmes e le corrispondenti versioni minimaliste disegnate dai ricercatori. Lo studio è stato diviso in tre fasi. Dapprima i ricercatori hanno usato dispositivi per il tracciamento dello sguardo per registrare i movimenti degli occhi quando ognuno dei partecipanti leggeva ciascuna coppia di grafici. Nella seconda fase, a ogni soggetto è stato presentato un questionario sui contenuti dei grafici, e ognuno ha risposto a domande come: 1. Qual è l’argomento centrale? 2. Quali fenomeni e variabili mostra il grafico? 3. Quali cambiamenti evidenzia il grafico nei dati che rappresenta? 4. Il grafico presenta le informazioni in maniera oggettiva o l’autore esprime opinioni sui contenuti? Come nello studio della Ben-Gurion University, i ricercatori non hanno rilevato differenze significative nell’efficacia del grafico abbellito e di quello minimalista. I componenti di ciascuna coppia di grafici trasmettevano il messaggio ugualmente bene. La parte più interessante dell’indagine è stata la terza fase, in cui i ricercatori hanno testato la capacità di ricordare ciascun grafico a breve e a lungo termine. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi di uguali dimensioni. Non sono stati informati del fatto che in seguito sarebbero stati interrogati sui grafici. Il primo gruppo è stato esaminato cinque minuti dopo il termine delle domande della fase due, al secondo è stato chiesto di tornare al laboratorio tre settimane dopo. In tutti i casi, i partecipanti riuscivano a ricordare gli argomenti e i contenuti dei grafici pieni di chartjunk. A quanto pare, il loro humour grossolano aiuta la memoria. Divertimento e funzionalità Questi studi forniscono ragioni convincenti per dubitare del fatto che ridurre i grafici all’osso faciliti sempre la comprensione e la ricordabilità. Dipende dalla natura, dalle conoscenze, dai gusti e dalle aspettative del pubblico. L’influenza di Tufte all’interno delle comunità che si occupano di visualizzazione e infografica ha spinto molte pubblicazioni ad adottare uno stile serioso, freddo, e completamente spogliato di ogni attributo estetico che possa essere ingiustificato per gli statistici ma utile per i lettori. Ciò non vuol dire che non dobbiamo sforzarci di ricercare la parsimonia dello stile e di rispettare l’integrità dei dati, ma che, come ha fatto notare Donald A. Normam in Emotional Design (2003), le cose belle sono più funzionali, e la bellezza è tanto negli occhi dell’information designer come in quelli di chi guarda. Un oggetto che ci trasmette sensazioni positive migliora anche la nostra capacità di utilizzarlo per raggiungere uno scopo. Holmes, grafico e illustratore britannico, ha sempre propugnato l’umanizzazione dell’infografica e l’uso dell’umorismo per infondere nei lettori la simpatia per i numeri e i grafici. Egli sostiene che finché l’artista è cosciente che la funzione primaria è comunicare delle statistiche e rispetta ciò, allora ci si può divertire con l’immagine, cioè la forma in cui quelle statistiche compaiono. La noia è una minaccia nel visual design come negli altri campi del’arte e della comunicazione perché la mente e gli occhi richiedono stimoli e sorprese. L’umorismo aiuta le persone a ricordare l’immagine e quindi lo scopo del grafico. La sua produzione si è avvicinata all’uomo che Holmes identifica come sua maggiore fonte di ispirazione, Otto Neurath, uno dei grandi pensatori del XX secolo. Otto Neurath e l’educazione visiva delle masse Otto Neurath era un filosofo, matematico, sociologo e politologo austriaco nato nel 1882. Si fece un nome nel mondo dell’infografica nella Vienna del primo quarto del XX secolo. Neurath combinava le virtù di una mente rigorosa, razionale e logica con gli interessi umanitari. Neurath non voleva comunicare soltanto con i suoi pari, voleva proporre l’istruzione di massa. Difendeva l’idea che il pensiero astratto e quello matematico potessero essere trasmessi chiaramente e facilmente alle persone a prescindere dal contesto sociale, culturale ed economico di provenienza. Intorno al 1925, come direttore del Museo della Società e dell’Economia di Vienna, Neurath concepì Isotype (International System of Typographic Picture Education), un linguaggio universale basato su pittogrammi i cui scopi erano l’“umanizzazione della conoscenza” e il superamento delle barriere culturali. Per molti anni lavorò con Gerd Arntz, un grafico tedesco, e Marie Reidemeister (che sarebbe diventata la signora Neurath negli anni Quaranta) per creare svariate presentazioni di informazioni, grafici e mappe dalla squisita semplicità e chiarezza. Neurath spiegava quali fossero gli obiettivi del suo linguaggio pittografico: cercare di sviluppare un nuovo tipo di mostra che attiri le masse. Il soggetto della mostra deve essere serio ma va combinato con un fascino e un richiamo diretto per tutti. L’istruzione deve competere con il divertimento: sarebbe pericoloso se l’istruzione dovesse diventare una mera questione occupazionale e qualcosa di intrinsecamente noioso.Queste parole risuonano intensamente nei lavori di Nigel Holmes, che, come quelli di Neurath, tendono a essere rigorosamente editati e a trasmettere poche idee con chiarezza e vigore. Questo obiettivo non è opposto all’approccio di Tufte, è diverso. Tufte predilige le presentazioni molto dettagliate che permettono un’attenta esplorazione da parte del lettore. Ci illudiamo che la nostra vista sia ugualmente acuta in tutto il campo visivo, ma non è così: sebbene ciascun occhio sia capace di assimilare tutto quello che si trova nell’arco di un angolo di 180 gradi, vediamo a livello massimo di acutezza solo ciò che si trova in un campo molto ristretto di fronte a noi, un angolo di circa due gradi. Questo angolo ha il suo vertice intorno a una regione retinica chiamata fovea, la quale contiene soltanto coni, che si diradano man mano che ci spostiamo dalla fovea alla piccola regione che la circonda, la parafovea. Fuori da questa zona, la retina è ricoperta solo da bastoncelli. Questo limite ha conseguenze che incidono sulla percezione, perché affinché si possa identificare un oggetto, i fasci di luce che rimbalzano su di esso devono stimolare i coni della fovea, altrimenti vedremmo solo una massa indistinta. Quello che ci porta a credere di vedere tutto nel nostro campo visivo come se fosse un’immagine è il fatto che i nostri occhi non restano fermi, ma vorticano intorno alle scene a grande velocità compiendo movimenti chiamati saccadi, fissandosi su diversi punti di qualsiasi cosa abbiano di fronte. Ogni pausa che i nostri occhi fanno su un punto si chiama fissazione. La visione è il risultato della mappatura del nostro ambiente basata sulle informazioni aggregate che i nostri occhi ottengono attraverso molteplici fissazioni. Ma i nostri occhi sono attratti da certe caratteristiche del paesaggio prima di altre, stabilendo delle priorità (es. quando siamo di fronte alla testa di una persona, i nostri occhi si fissano su quei tratti che meglio possono aiutarci a identificare l’individuo al quale appartengono e il suo stato emotivo, tendendo a concentrarsi sugli occhi e sulla bocca). È il cervello che mette insieme i pezzi del puzzle saccadico per formare un’illusoria ma coerente immagine mentale. I movimenti saccadici e le fissazioni sono inconsci ma non casuali, in quanto se la nostra specie si è evoluta fino a oggi in parte è perché è riuscita a identificare efficacemente i pericoli, in quanto attratti da oggetti in movimenti e dalle chiazze di colore brillante di fronte a noi, anche se si trovano nel campo visivo periferico. Come si traduce tutto questo nell’ambito dell’infografica e del design? Se si sta lavorando a un’infografica animata sui rover per l’esplorazione di Marte, non bisogna mai collocare un’animazione del robot sul lato destro dello schermo e un box di testo sul sinistro, perché i lettori non sapranno su cosa concentrarsi. È meglio far vedere il rover che si apre e solo ad azione conclusa far apparire il testo. Per quanto riguarda i colori, ciò che disorienta i lettori è farcire l’infografica di oggetti colorati con tonalità pure, non comuni in natura, perciò esse dovranno essere utilizzate solo per evidenziare gli elementi importanti della vostra infografica, scegliendo tinte tenui come grigio o verde per il resto. Sapere che il cervello stabilisce un ordine di priorità per ciò a cui deve prestare attenzione, precedetelo stabilendolo voi. IL CERVELLO BUGIARDO Il nostro cervello crea delle illusioni. Nel caso di due quadrati sovrapposti, uno grigio e uno nero, in realtà quello grigio dietro a quello nero non è un quadrato ma una L al contrario. Nel caso invece di un quadrato bianco che copre parzialmente quattro cerchi e un triangolo bianco rivolto verso il basso sopra un triangolo nero che punta verso l’alto, non è stato usato un inchiostro bianco per dipingerli. Se si cancellano i quattro cerchi parzialmente coperti, il quadrato bianco sparirà. Il cervello efficiente Siamo vittime di illusioni ottiche e il nostro cervello non vede semplicemente quello che c’è fuori per ragioni di efficienza e velocità di risposta: se vediamo qualcosa di simile a chiazze irregolari di pelo brunastro nell’erba della savana, non ci fermiamo per capire coscientemente cosa sia. Il nostro cervello visualizzerebbe immediatamente la seconda immagine e vi suggerirebbe che siamo di fronte a qualcosa che potrebbe mangiarci, completando le informazioni ricevute dalle nostre retine. Ciò che la retina riceve non è ciò che il cervello percepisce. Vedere è un fenomeno che comprende almeno tre operazioni: vista, percezione e cognizione. Non tutto quello che stimola le cellule della nostra retina viene elaborato nello stesso dettaglio dal cervello e non tutto ciò che il cervello percepisce raggiunge il livello cosciente e diventa comprensione razionale: sarebbe impossibile se dovessimo pensare a tutto quello che stimola i nostri occhi in ogni momento. Un nuovo diagramma per la visione Ricapitolando, una volta che la retina ha codificato i pattern luminosi in segnali elettrici, il cervello procede a discernere le caratteristiche di base dell’oggetto come la forma complessiva, le chiazze di colore, ecc.. solo successivamente il cervello procede a un’analisi più approfondita di ciò che stiamo vedendo e lo identifica coscientemente basandosi su una grande quantità di contenuti recuperati dalla nostra memoria. CAPITOLO 6: VISUALIZZARE PER LA MENTE Sapere di quali trucchi e scorciatoie si serve il cervello per interpretare le informazioni raccolte attraverso i sensi, potete usare quella conoscenza a vostro vantaggio. I meccanismi di percezione delle caratteristiche di base sono chiamate caratteristiche pre-attentive. La capacità di prevedere il comportamento del cervello può migliorare moltissimo le infografiche e le visualizzazioni. IL CERVELLO AMA LE DIFFERENZE Una delle prime cose che il cervello fa è distinguere tra primo piano e sfondo, identificando i confini degli oggetti e degli essere viventi nel nostro campo visivo. L’individuazione dei confini di un oggetto si basa sulle variazioni di colore e dell’intensità della luce, e su quanto sono definiti i suoi margini. Maggiore è il contrasto tra due macchie di colore contigue, maggiore è la probabilità che verranno identificate come appartenenti a entità diverse. Minore è il contrasto (o più indistinti sono i margini), più il cervello deve lavorare per distinguerle. Il cervello riesce a percepire più velocemente le variazioni di tonalità che le differenze nella forma. Supponete di dover creare una tabella il cui scopo sia permettere ai lettori di fare una rapida stima del numero di sei presenti nella sequenza. Mettere in evidenza il numero 6 rispetto agli altri presenti nella tabella è un metodo più efficace rispetto che inserirlo in mezzo agli altri numeri mantenendo la loro stessa tonalità. Se create una mappa che localizza due diversi tipi di fabbriche negli USA e far sì che i lettori facciano una stima del numero per tipologia in maniera pre-attentiva, l’uso di due colori diversi è una strategia ottima per raggiungere lo scopo. La psicologia della Gestalt e il riconoscimento di schemi Il cervello visivo è un sistema che si è evoluto per individuare degli schemi, ossia regioni del campo visivo che condividono la stessa natura o appartengono a entità diverse. Ci sono diversi elementi di cui il cervello si serve senza sforzo per distinguere gli oggetti: per risparmiare tempo nell’elaborazione, raggruppa gli oggetti simili (i rettangoli delle stesse dimensioni e tonalità) e li separa da quelli che appaiono diversi. Poi si concentra sulle forme. La caratteristica della percezione pre-attentiva, che classifica istantaneamente le differenze e le somiglianze, è una delle armi più potenti a disposizione dell’information designer. La psicologia della Gestalt studia questi meccanismi: il cervello segue alcuni principi per l’organizzazione della percezione. Vicinanza Quando gli oggetti sono vicini tra loro tendono a essere percepiti come gruppi naturali. In un’infografica gli oggetti correlati dovrebbero essere collocati l’uno accanto all’altro e allineati secondo l’asse verticale o orizzontale. Se l’infografica si compone di più sezioni, assicurarsi che gli oggetti che costituiscono ciascuna di esse siano vicini tra loro, in modo tale da vedere la separazione delle diverse sezioni. Somiglianza Gli oggetti identici saranno percepiti come appartenenti a un gruppo. Può esserci anche una combinazione tra somiglianza e vicinanza: il primo livello di raggruppamento individuato sarà basato sulla natura comune degli oggetti, l’altro sulla reciproca vicinanza delle barre. Connessione Oggetti collegati attraverso espedienti grafici come una linea, saranno percepiti come membri di un gruppo naturale. Quando si presentano solo figure geometriche, il cervello le raggruppa per colore e forma, ma quando si aggiunge una linea nera dietro alcune di esse, la connessione prevale sugli indizi di raggruppamento precedenti. Continuità È più facile percepire la forma approssimativa di un oggetto come una totalità coerente quando i suoi contorni sono piani e tondeggianti rispetto a quando sono spigolosi e duri. Se si usano linee rette e perpendicolari che si incrociano, l’operazione è più difficile da svolgere. Chiusura Gli oggetti all’interno di una zona con confini netti e chiari saranno percepiti come appartenenti a un gruppo. In un grafico se le barre sono dello stesso colore e la distanza tra loro rimane invariata, quando vengono racchiuse in confini netti il cervello le identifica come sezioni diverse di un’unica serie di dati. Il principio della chiusura è utile quando create un’infografica con più sezioni, ma solo se combinato con il principio della vicinanza per separare i dati contestuali e di spazi bianchi per definire la configurazione delle parti. Non abusare di riquadri con sfondi colorati perché l’infografica sembrerà sovraccarica. Scegliere la forma grafica in base alle dinamiche della visione Gli statistici Cleveland e McGill hanno pubblicato un saggio i cui contenuto sono ancora validi per la comprensione razionale dell’infografica e della visualizzazione, dove vengono proposte delle linee guida per la scelta della forma grafica più adatta alla codifica dei dati in base alla funzione della rappresentazione. Hanno stilato una lista di 10 attività percettive elementari, dove ciascuna costituisce un metodo per rappresentare i dati, e le hanno classificate in base all’accuratezza con cui il cervello umano riesce a individuare le differenze e metterle a confronto. Includono, partendo da quelle che permettono valutazioni più accurate, troviamo: posizione lungo una scala comune, posizione lungo scale non allineate, lunghezza/direzione/angolazione, area, volume/curvatura, tonalità/intensità del colore. Una forma grafica che coinvolge attività percettive elementari che conducono a valutazioni più accurate rispetto a un’altra forma grafica (con la stessa quantità di informazione) avrà come risultato una migliore organizzazione e un aumento delle possibilità di una corretta percezione di schemi e comportamenti. Più è accurata la valutazione che il lettore è chiamato a fare sui dati, più in alto sulla scala deve essere la forma grafica. Un grafico a barre è sempre superiore a un diagramma a bolle o a una mappa di calore se lo scopo del grafico è facilitare raffronti precisi. Quando lo scopo è permettere ai lettori di effettuare confronti accurati, un grafico basato su barre o linee poggiate su un unico asse orizzontale o verticale batte le altre forme di rappresentazione. aree e intensità di colore. Più si sale lungo la scala di Cleveland e McGrill, più accurate sono le valutazioni che i lettori riusciranno a fare basandosi sui vostri grafici. La classificazione delle attività percettive è uno strumento adatto per fondare le proprie decisioni su fatti e ragionamenti. Il criterio importante da seguire per i grafici non è semplicemente la velocità con cui riusciamo a vedere i risultati, ma piuttosto la possibilità di vedere, servendoci del grafico, qualcosa che sarebbe stato difficile vedere altrimenti, o che non avremmo potuto vedere affatto. La scala delle attività percettive come guida per i grafici Grafico su legame tra istruzione e obesità, che dimostra che le persone meglio istruite hanno meno probabilità di essere obese. Raccolta percentuale per ogni stato di persone con laurea o titolo superiore, e la percentuale di individui obesi, calcolata correlazione tra le due serie di dati la quale ha avuto un coefficiente negativo, mostrando come vi sia una correlazione negativa tra obesità e istruzione. Gli information designer quando vedono dati legati a luoghi geografici tendono a usare una mappa per mostrarli, utilizzando le bolle per indicare i dati e grandi proporzionalmente in base ai numeri che codificano. Ma questo tipo di grafica non funziona perché il confronto tra le aree è in basso nella scala di Cleveland e McGill, e le aree tendono a minimizzare le differenze tra i valori, e dato che la gamma di valori non era ampia, gli USA sembrano un mare di cerchi di quasi tutte le stesse dimensioni. L’addensarsi delle bolle nel nord-est degli USA suggerisce indirettamente un’elevata concentrazione di laureati e di obesi nella regione. Un’altra opzione sarebbe scegliere una mappa coropleta, ossia un tipo di rappresentazione che codifica i valori attraverso le sfumature e i colori, ma anche questa non funziona perché la tonalità e in basso alla scala di Cleveland e McGill e ciò indica che non è il massimo per i confronti, benché possa essere appropriata se vuole offrire una panoramica sui dati. Per consentire ai lettori la possibilità di classificare e confrontare il tasso di obesità, un grafico a barre o a punti sarebbero delle valide opzioni, in modo tale a notare le differenze tra gli Stati USA. Altre caratteristiche pre-attentive: vedere in profondità Visione tridimensionale: vediamo così perché abbiamo due occhi e quello che vede l’occhio destro non è uguale a quello che vede il sinistro. Se fissiamo una matita a pochi centimetri davanti a noi e chiudiamo l’occhio destro, apparirà leggermente spostata verso destra. Questo non è l’unico modo di vedere in 3D: il cervello usa altri espedienti per creare l’illusione della profondità. Il cervello dà per scontato che la luce provenga dall’alto, quindi se un oggetto verrà colpito dalla luce dall’alto apparirà concavo, altrimenti se la luce colpisce dal basso l’oggetto apparirà convesso. Anche le dimensioni degli oggetti (si percepiscono meglio se sono vicini a noi) e la loro interposizione fanno percepire la profondità. Infine, anche identificare i margini degli oggetti aiuta nel percepire la profondità. Tutto quello trattato in questo capitolo riguarda la Meglio si comprendono le scorciatoie di cui la mente si serve per capire il mondo, più siamo capaci di anticiparle e sfruttarle per i nostri scopi: la visualizzazione non è qualcosa che ha luogo su una pagina o uno schermo, ma avviene nella mente. La rappresentazione sulla pagina non è che un sussidio per facilitare quell’intuizione. PARTE III: PRATICA CAPITOLO 8: CREARE UN’INFOGRAFICA Va definito l’argomento centrale del progetto, quale storia si vuole raccontare e i punti cardine da esporre, cosa potranno ottenere i lettori servendosene. Va poi raccolta la maggior quantità possibile di informazioni sull’argomento che si affronta: intervistare le fonti, ricercare set di dati e scrivere o schizzare qualche idea. Va scelta poi la presentazione grafica migliore: quali tipi di grafici, mappe e diagrammi sono più adatti agli scopi fissati nel primo step? Completare poi la ricerca e tirare fuori schizzi e bozze. Pensare allo stile visivo (scegliere caratteri, tavolozze di colori). Trasferire poi il progetto al pc e completare la grafica con i software appropriati. Due parole su struttura, colore e carattere Importante tenere sotto controllo caratteri e colori, e creare un layout solido, immaginando le nostre infografiche come gruppi di rettangoli. La limitazione della quantità di colori e font diversi nell’infografica vi aiuta a conferire un senso di unità alla composizione: scegliere solo uno o due colori e giocare con le loro sfumature. Tonalità neutra per gli elementi di sfondo (grigio-azzurro) e un tocco di colore per evidenziare gli elementi più importanti (giallo). Lo stesso vale per i font: sceglierne uno pieno e massiccio per i titoli e uno leggibile per il corpo del testo. Per quanto riguarda la struttura, quasi tutte le parti possono essere racchiuse in rettangoli in modo tale da trovare una gerarchia chiara e guidare i lettori lungo un percorso di lettura logico, prima ancora di iniziare a disegnare grafici e mappe. CAPITOLO 9: L’ALBA DELLA GRAFICA INTERATTIVA “The Design of Everyday Things” di Norman è un ottimo punto di partenza: spiega come ci rapportiamo a oggetti comuni come le macchinette del caffè. Norman sostiene la pro priorità dei bisogni dell’utente rispetto alle preoccupazioni estetiche del designer. I principi di lui proposti sono traducibili in linee guida per l’infografica. Visibilità Più un oggetto è visibile, più facile sarà per gli utenti crearsi un modello mentale di ciò che si può ricavarne. Se un elemento dell’infografica è importante, evidenziarlo in modo che i lettori possano percepire la sua pertinenza e il suo funzionamento: se state realizzando dei pulsanti, fate in modo che imitino dei pulsanti concreti, simulando giochi di luci e ombre degli oggetti in rilievo. La forma di un oggetto deve suggerire visivamente cosa permette di fare. Il principio di visibilità è rilevante anche per l’organizzazione degli elementi visivi nella grafica: se un’informazione è indispensabile alla comprensione dell’intero resoconto, dovrebbe essere sempre visibile, non nascosta sotto uno strato di interattività. I lettori non dovrebbero essere costretti a cliccare e ricliccare per visualizzare dati che dovrebbero essere sempre visibili. Feedback Per ogni azione i lettori dovrebbero percepire una reazione, che indichi il buon esito dell’operazione che hanno cercato di compiere, come un segnale visivo, un suono sottile o una risposta che appare istantanea sullo schermo. Il lettore clicca su un pulsante e nulla accade, sembrerà che esso non stia funzionando come dovrebbe. Vincoli Chi progetta un’infografica interattiva deve pensare non solo a cosa vuole offrire ai propri lettori, ma anche a come orientare la loro navigazione, offrendo una quantità limitata di possibilità interattive. Una barra di scorrimento per esempio può essere mossa fino a un certo punto e in un solo senso, verticale o orizzontale. Un altro esempio di vincolo si applica quando disabilitiamo dei pulsanti affinché i lettori non possano cliccarli per sbaglio e perdersi così informazioni importanti. Uniformità Entità di natura analoga dovrebbero assomigliarsi: elementi dello stesso tipo come titoli, corpo del testo, note a piè di pagina dovrebbero essere realizzati con gli stessi caratteri, dimensioni e stili. È consigliabile collocare i pulsanti nella stessa posizione sullo schermo, perché imparare il funzionamento di un’interfaccia richiede tempo. STRUTTURE INFOGRAFICHE INTERATTIVE E ANIMATE Principio di Shneiderman per le rappresentazioni grafiche: prima presentare i dati più importanti o i più rilevanti, poi permettere ai lettori di addentrarsi nelle informazioni, di esplorarle e darne una lettura propria. Alcune delle vostre infografiche dovranno essere lineari, cioè ogni passaggio dipenderà dalla comprensione di quello precedente (es. ricostruzione visiva di un attacco terroristico o alla presentazione di un nuovo dispositivo scientifico). Altre infografiche saranno non lineari: e offriranno ai lettori delle scelte per muoversi tra le informazioni usando pulsanti, barre di scorrimento e altri strumenti. Tecniche di esplorazione e navigazione delle infografiche: scorrimento e panning, zoom, apertura e chiusura. L’impiego più comune della tecnica di scorrimento e panning è lo scorrimento verticale di un sito web, che permette di vedere quella parte della pagina che non rientra nello schermo. Su una mappa interattiva, il panning permette di spostarsi finché non si trova la zona d’nteresse, lo zoom avanti e indietro per vedere bene un punto della zona. Apertura e chiusura: cliccare su un punto della mappa o di una tabella per far comparire un box di testo che contiene maggiori dettagli. DIVERSI TIPI DI INTERAZIONE Ci sono quattro stili di interazione Istruzione L’utente dice all’infografica di fare qualcosa, schiacciando pulsanti, digitando comandi o facendo doppio clic (es. infografica in cui è possibile vedere come funziona uno strumento musicale, e suonarlo) Dialogo Interazione che permette all’utente di dialogare con la presentazione, come s Manipolazione Lettore può cambiare la struttura e l’aspetto di ciò che viene loro presentato per raggiungere certi obiettivi (es. vedere come è difficile arredare un appartamento piccolo, selezionando i mobili che si vogliono acquistare e spostandoli). Esplorazione Lettore dirige personalmente l’azione (es. muoversi all’interno di edifici presenti in un’infografica con visuale a 360°).