Scarica L'ebreo inventato. Luoghi comuni, pregiudizi, stereotipi e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! L’EBREO INVENTATO LUOGHI COMUNI, PREGIUDIZI, STEREOTIPI INTRO Numerosi studi e sondaggi segnalano l'antisemitismo come fenomeno crescente oggi in Italia. Gli ebrei sono meno del 2% della popolazione mondiale, si stima che il loro numero sia di 15 milioni. Oggi tendono sempre di più a trasferirsi in Israele e negli Stati Uniti a causa dei fenomeni in aumento di intolleranza: si ripresentano pregiudizi antichi e si fanno strada anche nuove forme di ostilità verbale e fisica. L'obiettivo di questo libro è quello di indicare un metodo: un metodo per rispondere a luoghi comuni, pregiudizi e stereotipi, indicato da Primo Levi. Bisogna riportare alla luce le contraddizioni, le complessità e le trasformazioni dei fenomeni. Pregiudizi antichi e moderni vengono inquadrati, messi a confronto con la realtà dei contesti e dei testi a cui si riferiscono, e fatti esplodere dall’interno del loro stesso punto di vista. L'ebraismo è un'identità composita: religione, popolo, cultura, tradizione, norme di comportamento, in cui si verifica un continuo mutamento, una continua evoluzione, grazie anche alla reciproca influenza con altri popoli. La fondazione dello Stato di Israele nel 1948 trasforma ulteriormente l’identità ebraica. Con questo libro si vuole offrire esempi paradigmatici, utili per delineare i caratteri di un'educazione civica e per rafforzare la cultura e la coscienza civile nel nostro paese. Tutto ciò per affrontare le sfide della democrazia che consistono infatti nella convivenza tra persone, comunità, religioni diverse, nel riconoscimento e nel rispetto reciproco. PREMESSA. ANTISEMITISMO IN ITALIA OGGI: STUDI E DATI Sono numerosi gli studi di ricerca e le agenzie che hanno registrato l'antisemitismo come un fenomeno in netta crescita a tutti i livelli: espressioni verbali, produzione iconografica o vere e proprie minacce fisiche che in diversi casi sono culminate in azioni terroristiche a tutti gli effetti. A ciò si connettono dei fenomeni più generali, come l'intensificazione del discorso d'odio, la violenza razzista xenofoba, le azioni contro la comunità lgbt e la violenza sulle donne. Tutti fenomeni che i sociologi tendono a considerare fortemente connessi tra di loro. In Italia, nel 2020 è stato nominato un Coordinatore nazionale per la lotta contro l'antisemitismo, ruolo ricoperto dalla professoressa Milena Santerini, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Già nel 2016 l’IHRA aveva approvato il documento “Working definition of antisemitism”, ed aveva invitato i parlamenti nazionali a discuterlo ed adottarlo. Successivamente questo documento venne approvato dal Parlamento Europeo e l'Italia scelse di organizzare l'importante International Conference on the Responsibility of States, Institutions and Individuals in the Fight against Anti-Semitism in the OSCE Area. Il pregiudizio antisemita in Italia è presente, è esteso, ed è fondato su elementi ben precisi che possono essere identificati ed efficacemente contrastati, ma rimane difficile ipotizzarne un definitivo sradicamento. La rivista “Sociologia e Ricerca Sociale” propone una sintesi dei 10 anni di indagini sul fenomeno in Italia. Dall'indagine IPSOS/CDEC del 2017 emerge innanzitutto una mancanza di conoscenza e di informazione su chi siano gli ebrei e sulla loro consistenza demografica: oltre l’80% degli intervistati ha una percezione del tutto sovradimensionata della presenza degli ebrei in Italia. Questa indagine offre un quadro di sintesi piuttosto allarmante: •L' 11% degli intervistati viene identificato come “antisemita puro”: persone cioè che in modo sistematico, a priori, hanno un'idea negativa su qualsiasi questione che riguarda gli ebrei; •Il 33% degli intervistati viene definito come “ambivalente”: persone cioè che esprimono pregiudizio antisemita solo su determinati temi, non hanno un atteggiamento generalizzato. Nel complesso, quindi, il 44% del campione registra una presenza visibile ed evidente di forme di pregiudizio antisemita. Negli ultimi anni sono state avviate analisi di questo fenomeno sul web. Sono numerose le piattaforme dei social media che offrono completa libertà di espressione a milioni di iscritti, è quindi logico che il pregiudizio antisemita sia massicciamente presente ed espresso nei modi più svariati. •Il periodo gheonico (VII-XIII sec): le scuole elementari furono rese, dove possibile, obbligatorie. Il popolo ebraico, pur mantenendo gli elementi comuni di religione, cultura e tradizioni, risulta un’entità varia per via dei diversi luoghi di insediamento: sperimenta e vive l'appartenenza alla propria collettività e contemporaneamente a quella più ampia nella quale è inserito. Tale condizione non è pacifica ed è caratterizzata da ostilità che sfociano spesso in discriminazioni, persecuzioni, violenze. La genesi e lo sviluppo dell’idea di nazione L’idea di nazione ebraica portò al riconoscimento di pieni diritti di cittadinanza agli ebrei, cosa che causò innumerevoli misfatti. Il nuovo indirizzo di pensiero, il sionismo, che poneva il diritto all’autoemancipazione del popolo ebraico, si sarebbe man mano affermato: divenne un movimento diffuso e teso alla rinascita culturale del popolo ebraico. Con il sionismo si determinano nel tempo 2 configurazioni dell'ebraismo: la prima legata al recupero di un'identità nazionale, nell'ambito di Israele; la seconda di ridefinizione identitaria nella permanenza in altri paesi, dei quali si condivide la cittadinanza e la cultura. Il sionismo definisce e promuove un contenuto politico culturale di enorme spessore nel connotare in forma nuova l'ebraismo, un'identità inedita, nel ventesimo e nel XXI secolo. Questa identità inedita si realizza poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale con le decisioni assunte sulla fisionomia dello stato ebraico. Il dibattito sul sionismo evidenzia il peso della relazione tra fede religiosa e sfera pubblica, cioè tra valori condivisi e forma delle istituzioni, organizzazione del lavoro, sistema sociale complessivo. I semi di dibattito sono molteplici, come per esempio quale debba essere la lingua nazionale, quale modello economico e societario assumere ecc.. . In questo quadro si colloca la dinamica educativa, legata alla costruzione dell’ebreo nuovo, ed in particolare ai legami tra questo e le proprie società di provenienza. Nella vicenda del sionismo Bensoussan individua tre presupposti: 1.La dimensione della storia: con l'abbandono dei ghetti, gli ebrei cominciano a pensarsi nella storia, a misurarsi con le vicende del proprio tempo, anche partecipandovi; 2.La percezione del proprio ruolo storico: gli ebrei fuori dai ghetti sono attori della storia come gli altri; 3.Il profilo culturale degli attori di cui gli ebrei intendono documentare gli eventi e le scelte: in quest'ultimo presupposto si evidenzia come il sionismo abbia stretti legami con l'idea di tradizione, con il tema della continuità, ma anche con l'idea che le identità e le culture si definiscono e ridefiniscono nella storia e nel divenire di essa. Il sionismo si caratterizza infatti come il risultato di un lungo confronto sia con l'esterno sia con l'interno delle comunità ebraiche. Nel corso del Novecento un tragico evento avrebbe ulteriormente e fortemente marcato l'identità ebraica moderna: la Shoah, il tentato sterminio di tutti gli ebrei. La Shoah Nel 1938 in Italia furono adottati una serie di decreti che miravano alla persecuzione degli ebrei: •Il d.lg del 5.09.1938 n°1390 introduceva “i provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista”, tra i quali vi era l'espulsione degli insegnanti di “razza” ebraica ed il divieto di iscrizione a scuole di qualsiasi ordine e grado per gli studenti ebrei; •Il d.lg del 17.11.1938 n°1728 stabiliva i criteri per individuare gli appartenenti alla razza ebraica e tracciava una netta distinzione con gli altri cittadini, definiti di razza ariana. Venivano anche dichiarati nulli i matrimoni tra cittadini di razza ariana e le persone appartenenti ad altre razze. Parallelamente in Germania si andava rafforzando quel nazismo e razzismo che portarono alla morte di milioni di persone in Europa. Una delle cose sconvolgenti è che le idee delle discriminazioni e dell'annientamento del popolo ebraico si svilupparono in Francia, continente dei valori di libertà, uguaglianza e fratellanza. La messa in pratica di queste ideologie trova luogo in Germania, culminando con l'evento della Shoah, alla quale partecipò tutta la cultura europea e tedesca, andandosi ad insinuare anche nella filosofia, nella letteratura, nella musica, nell’arte ecc… . La Shoah resta per gli ebrei un passaggio che riguarda non solo i pochi superstiti, ma anche le generazioni successive ed il gruppo nel suo insieme: dopo questo evento l'ebraismo ha faticato a ritrovare una propria originale identità, fondata sulla salvaguardia della propria specificità e la partecipazione civile in un contesto democratico più ampio. Oggi la possibilità di nuove tragedie, come quella della Seconda Guerra Mondiale, non è esaurita. La convinzione di potersi e doversi difendere ha assunto un carattere di valore tra gli ebrei. Questo ha portato il rafforzamento di due processi già presenti in passato: la ricerca di ridefinizione di sé in contesti nazionali di cui si ha la cittadinanza; e l’opzione, attraverso il sionismo, di costruire un’entità statale specifica, come condizione della propria liberazione da ogni forma di discriminazione. Lo sviluppo di un autodeterminazione nazionale apre un problema: la nascita di Israele inaugura infatti una differenziazione tra ebrei che, in tale paese, godono di sovranità, residenza e cittadinanza, ed ebrei della diaspora che beneficiano delle stesse condizioni negli Stati in cui vivono. È questa la ragione per la quale si è voluto precisare la fondamentale differenza tra nazionalità e cittadinanza: gli ebrei possiedono la cittadinanza dei paesi di residenza, mentre la loro nazionalità ha un contenuto composito, fatto al tempo stesso dell'appartenenza al popolo ebraico e di quella al popolo con cui condividono altre parti di storia, lingua, aspirazioni, forme di convivenza. Dopo la Shoah, nelle democrazie gli ebrei godono di un riconoscimento formale, giuridico e sociale. L'evento della Seconda Guerra Mondiale incide in modo traumatico sull' identità ebraica e allo stesso tempo propone diversi interrogativi sul futuro di tutti: una democrazia egualitaria e sostenibile è garantita da un'elaborazione culturale che fornisca un riferimento etico su cui poggiare forme di scambio, di reciprocità, di riconoscimento, di rispetto, di accettazione delle differenze. La riflessione sulla Shoah può contribuire ad una serie di riflessioni sulle relazioni interculturali, per superare incomprensioni, integralismi, lotte di potere, solleva quesiti e suscita emozioni. Dopo la nascita di Israele Israele ha accolto popolazioni di comunità molto diverse, dando vita ad un complesso processo di integrazione e ad una nuova connotazione dell'ebraismo stesso, in ragione anche di un percorso di ridefinizione culturale. Tale percorso di Israele ha riguardato credenti e laici. Ateo, chi nega l'esistenza di Dio, e credente, sono i due modi antagonisti di porsi di fronte alla fede; laico e clericale indicano due modi antagonisti di porsi di fronte al governo. Idea di rispetto per la coscienza di ogni persona o comunità è caratterizzata da una dinamica che deve coinvolgere interessi particolari ed una visione condivisa in tutto lo stato, e soprattutto nel caso della religione può essere difficile accontentare tutti. Il rispetto si fonda sul riconoscimento delle comuni basi etiche della vita e richiede un ampio e delicato margine di azione affinché ciascuno possa seguire i propri impegni morali, senza che la supremazia di un credo sovrasti altri gli altri, sia sul piano giuridico sia nella definizione delle regole comuni della convivenza. Anche uno stato laico crea problemi ai cittadini religiosi, perchè li pone nella posizione di subordinare e mettere in secondo piano i loro impegni religiosi. Il problema della laicità è presente anche in Israele. In ambito culturale un ruolo fondamentale è dovuto al rinnovamento ed all'utilizzo della lingua, che è uno strumento di identificazione collettiva (non più legata alla dimensione religiosa). Il caso della rinascita della lingua ebraica costituisce un aspetto importante nella formazione delle identità moderne. Yehuda intuisce che solo attraverso l'uso di una lingua comune è possibile rifondare la nazione ebraica. La lingua ebraica ritorna dunque ad essere lingua d'uso, divenendo un altro fattore unificante tra ebrei nelle diverse parti del mondo, indipendentemente dalla loro cittadinanza. Con l'uso dell'ebraico la letteratura cambia i contenuti: si aggiunge la letteratura e l'ebraico che viene tradotta nelle lingue più diverse. Come la lingua, il lavoro è un ulteriore fattore identitario che condiziona la vita. Gli ebrei entrano progressivamente a far parte di strati sociali dai quali erano esclusi. Infatti con la nascita di Israele, si afferma l'idea che l'ebreo possa e debba accedere ad ogni classe sociale, mestiere e professione. Per quanto riguarda lo sviluppo culturale degli ebrei, le sinagoghe vedono la crescita di motivi e rappresentazioni iconiche. La musica si caratterizza in forma specifica in tre forme: musica liturgica (canto nelle sinagoghe), musica folcloristica e musica d’arte. Le forme dell'arte evidenziano la progressiva differenziazione tra Israele e la diaspora. Per concludere L'ebraismo prima della Shoah si caratterizzava sul piano identitario esclusivamente sulla religione, ed in seguito, diverse componenti, hanno assunto un ruolo complementare rispetto alla fede. Da questo deriva una differenziazione tra ebrei residenti in Israele ed ebrei nella diaspora. Nel primo caso, un processo di costruzione della nazione deve regolare i rapporti tra uno Stato che è laico e le comunità religiose, valori tradizionali e principi democratici; nel secondo caso la storia degli ebrei, pur mantenendo una propria specificità, è molto legata alle vicende della collettività più ampia. La Teshuvà è il tentativo di riscrivere la nostra storia e quella degli altri: la mia storia personale e, al tempo stesso, anche quella del mondo che mi circonda. In altre parole: impara ad andare oltre i tuoi limiti. Religione particolare ed universale: il proselitismo Il percorso verso l’ebraismo dovrebbe essere determinato da una spinta interiore verso un’educazione, una cultura, una fede e una prassi; non da considerazioni di natura genealogica, nazionale, sociale, economica o anche culturale. Non è il sangue od il colore della pelle a fare un essere umano: l’uomo si giudica per se stesso e si definisce per le sue convinzioni e le sue azioni, non per le sue origini. Aderire all’ebraismo implica assunzioni di obblighi e di responsabilità. Il valore dell’uomo, per l’ebraismo, non è in ciò che ha o in ciò che è, quanto in ciò che fa, giorno dopo giorno. La tradizione ebraica evidenza l’importanza dell’educazione e della formazione, dello studio e della cultura, anche contro le possibili alternative costituite dal legame biologico. Non esiste, infine, nell’ebraismo alcun obbligo di convertire i non ebrei. 3.<<IL VOSTRO E’ UN DIO DELLA VENDETTA, IL NOSTRO UN DIO DELL’AMORE>>. RELAZIONE TRA EBREI E CATTOLICI Abramo e la cultura della minoranza L’esperienza ebraica presentata dalla Torà è improntata su un profondo sentimento di solitudine: Avraham Haivri “Abramo l’ebreo” viene chiamato così perchè lui era considerato da tutt'altra parte rispetto al resto del mondo. L’essere in minoranza di Avrahàm diventa il paradigma dell’esistenza ebraica. Il capitolo 12 della Genesi si apre con il comando di Dio ad Abramo: <<Vattene via>> che potrebbe significare “va verso la ricerca di te stesso”, “ascolta la voce che ti viene da dentro e non sempre quella che ti proviene dall’esterno”; soltanto attraverso questo processo, Abramo diventa padre di numerose genti. Nella storia della torre di Babele, gli uomini che tentano di raggiungere il cielo sono puniti con la confusione delle lingue. Questo perché usare <<un’unica lingue ed usare le stesse espressioni>> comporta la costruzione di una società in cui vengano a mancare la diversità di parola e di opinione, e di conseguenza l’impossibilità di comunicare, l’omologazione delle idee, il totalitarismo culturale, la mancanza di spazio per il confronto e del proprio modo di essere. La cultura ebraica che s’inaugura con Abramo è l'antitesi della cultura della torre di Babele, caratterizzandosi piuttosto come cultura della diversità e dell’alterità. Il modello a cui attinge è quello proprio della dialettica, del dialogo. Nella Bibbia invece sono del tutto assenti i concetti di alterità e di interazione. Nella Mishna si cita la posizione che viene affermata dalla minoranza (cosa che raramente viene affermata nei codici legali). Tutte le opinioni hanno diritto di cittadinanza e di libertà di espressione: un esempio di equità metodologica e di democrazia. La Torà, per gli ebrei, non è solo libro da leggere e da studiare, ma anche un libro da vivere, che contiene in sé un bagaglio di esperienze, di saggezza umana e, al tempo stesso, di dubbi, interrogativi e interpretazioni. È un testo aperto, in continua evoluzione che rifiuta qualsiasi chiusura interpretativa e rifugge da qualsivoglia conclusione dogmatica. Il dialogo con gli altri Per entrare in un dialogo vero e creativo con l’altro, bisogna innanzitutto saper dialogare con se stessi. Analogamente bisogna ascoltare l’altro nella sua specifica unità, accettandolo secondo la sua stessa autodefinizione. Nel dialogo ebraico-cristiano c’è un punto limite in cui, per il rispetto reciproco, il dialogo deve arrestarsi: i cristiani sostengono che Gesù è il figlio di Dio, mentre per gli ebrei è un figlio di Dio. L’ebraismo non è solo una religione. La Torà è stata data, infatti, quando gli ebrei erano già un popolo affinché entrassero nella Terra di Israele. Fin dal suo inizio è, quindi, insieme religione e storia. La “legge del taglione" Ci sono state pericolose degenerazioni concettuali e culturali. Anche il pregiudizio antiebraico è stato il prodotto di queste devianze. Basti pensare che, nella traduzione in greco della Bibbia il termine “Torà” (insegnamento) è espresso con il sostantivo “nomos” (legge). Il termine nomos, con il suo significato di legge, limita e travisa il significato di «Torà», che indica invece un insieme di norme che regolano il comportamento verso il Signore, gli uomini, le creature e il Creato. L’equivoco, provocato dalla traduzione scorretta e poi amplificato, ha avuto la grave conseguenza di identificare l’ebraismo con la Legge, nel senso di legalismo e vendicatività. Questa tesi, insieme ad altre, nutre le varie teorie antisemite. Esempio di interpretazione sbagliata di una norma è quella del taglione <<occhio per occhio, dente per dente>>, che, erroneamente, sarebbe stata stata stabilita da un Dio estremamente crudele e vendicativo. Solo leggendo le fonti si capisce che il senso di quei versetti non è la ritorsione, ma il risarcimento dei danni, quello che oggi si definisce giuridicamente il lucro cessante (anticipa di secoli le basi del diritto civile). Questa norma pone, infatti, due capisaldi del diritto: l’offesa viene normata in una sfera giuridica pubblica e, in tal modo, viene affermato un principio di proporzionalità fra reato e punizione. Il danno da risarcire dovrebbe essere proporzionale alla cecità totale e non alla perdita di un singolo occhio. Amore e giustizia La giustizia, in tutta la tradizione ebraica, è chiamata ad arginare l’odio ed i conflitti, ma anche l’amore. Amore e giustizia sono interconnessi: l’amore solleva il problema della giustizia e la giustizia quello dell’amore, l’uno tende a escludere l’altra. La riconciliazione tra amore e giustizia appartiene all’idea messicana: pericolosa tentazione di sostituire la giustizia con l’amore, attraverso il perdono, finendo per diventare conniventi con il male. Vi è anche il rischio di una giustizia talmente innamorata di se stessa, così narcisista, da distruggere il mondo. Per questo la tradizione rabbinica concepisce la necessità di una reciproca correzione tra amore e giustizia: tra l’amore e la giustizia c’è il ponte della misericordia. Il mondo, nell’ottica ebraica, è continuamente attraversato da due grandi correnti: Chesed (Generosità), e l’altra Din (Rigore). La mano destra è quella della generosità e dell’abbraccio, e la mano sinistra rappresenta quella del rigore e del braccio che respinge. Prendiamo ad esempio la nota storia del giudizio del re Salomone. La Bibbia ci racconta di due prostitute che si addormentano con i loro neonati in braccio, uno di questi muore durante la notte e sua madre prende dall’altra donna il bambino vivo sostituendolo con suo figlio morto. Al risveglio la mamma del bambino rimasto vivo si accorge dello scambio. Entrambe le donne si recano davanti al re Salomone, ciascuna pretendendo che il bambino vivo sia il suo. Il Re chiede che gli venga portata una spada per dividere in due parti il bambino e ripartirlo tra le due madri. «Ma la donna del bambino vivo si sentì commuovere le viscere per il suo figliolo». La vera madre implora quindi il Re: «Ti prego Signore sia dato a lei il bambino vivo ma non lo uccidete». L’altra donna invece afferma: «Non deve essere né mio né tuo, dividete il bambino a metà». Il re Salomone a quel punto capisce quale delle due è l’ingannatrice e proclama: «Sia dato il bambino vivo alla prima donna, non lo uccidete, quella è sua madre». Il gesto provocatorio di Salomone, di alzare la spada per dividere in parti uguali il bambino, mima la giustizia intesa come equità. L’amore della vera madre si rivela paradossalmente invocando l’ingiustizia: rinuncia infatti al suo diritto di madre di riavere suo figlio purché questi viva. È viceversa la falsa madre che invoca la giustizia o, meglio l’equa divisione del bambino. È questo uno dei tanti passi biblici in cui sono proprio l’amore e la misericordia a trionfare. La scritta <<la legge è uguale per tutti>>, nei commenti rabbinici si mette in evidenza come, in certe situazioni la differenza comunque esista: accanto a criteri di giustizia applicati a situazioni tra pari, vi deve essere anche una attenzione a condizioni svantaggiate. Per le categorie sfavorite è riconosciuto un di più di diritto (la Torà dunque anticipa di millenni il riconoscimento del passaggio dallo Stato di diritto allo Stato sociale). Il Sabato, l’anno sabbatico ed il Giubileo L’istituzione dell’anno sabbatico e quella del Giubileo, esprime il rifiuto di una visione edonistica della realtà: accanto al sabato di Dio ed al sabato dell’uomo, compare il sabato della terra. Ogni settimo anno la terra deve essere fatta riposare e ciò che eventualmente dovesse germogliare in maniera spontanea andrà a beneficio delle categorie sociali più deboli ed esposte: vedove, orfani, poveri, stranieri. Anno sabbatico e Giubileo appaiono strettamente collegati e complementari fra loro. Dopo sette anni sabbatici viene prescritta la solenne proclamazione del cinquantesimo anno come “anno giubilare”. Tale proclamazione solenne coincideva con quella della «libertà nella terra per tutti i suoi abitanti». Si tratta del significato più caratteristico e rivoluzionario del Giubileo: la liberazione degli schiavi. L’anno sabbatico prevede: •Il divieto di lavorare la terra; •La remissione dei debiti a favore dei debitori: cioè i prestiti erogati nel corso del settennio, con il sopraggiungere dell’anno sabbatico, non sono più esigibili e si intendono dare a vantaggio dei debitori. Il Giubileo prevede: •Il divieto di lavorare la terra; •La liberazione degli schiavi; I quattro Vangeli presentano quattro diversi racconti dell’arresto, della condanna e della morte di Gesù. Ripercorriamo la struttura di questi racconti: A seguito della cattura di Gesù per via del tradimento di Giuda, Gesù viene sottoposto ad un interrogatorio da parte di autorità ebraiche. Il risultato è l'accusa di «blasfemia» a Gesù per essersi definito il messia. Gesù viene poi condotto da Pilato, che lo sottopone a un interrogatorio centrato sulla domanda: «Sei tu il re dei Giudei?». In tutti e tre i Vangeli Gesù risponde: «Tu lo dici» e le autorità ebraiche appaiono accusare Gesù di fronte a Pilato. Mentre Marco e Matteo si limitano a registrare la meraviglia di Pilato per il silenzio di Gesù di fronte alle accuse, in Luca egli dice: «Io non trovo nessuna colpa in quest’uomo». Continuando con il Vangelo di Luca, quando gli accusatori di Gesù menzionarono la Galilea come luogo di partenza dell’attività di Gesù, Pilato manda Gesù da Erode, senza accuse. Anche in questo caso, Gesù non risponde alle domande di Erode. Perciò Pilato ribadisce che non trova motivo per ucciderlo. La versione di Luca mostra qui in modo evidente la tendenza a sminuire la responsabilità delle autorità romane e aggravare quella della parte ebraica. In tutti e 3 i Vangeli, segue la scena in cui Pilato offre la possibilità di scegliere se liberare Gesù od ucciderlo. L’effettiva esistenza di questa pratica è uno degli elementi del processo di Gesù storiograficamente controversi. Comune è la richiesta da parte ebraica di crocifiggere Gesù e l’obiezione di Pilato «che male ha fatto?». Il racconto che Matteo fa di questo episodio contiene due particolari che non ci sono negli altri Vangeli e dobbiamo soffermarci sul secondo per l’enorme peso che ha avuto nello sviluppo dell’antigiudaismo. Dopo che le folle chiesero per due volte la morte di Gesù, Matteo inserisce questo brano: <<Allora Pilato, vedendo che non otteneva nulla, ma che anzi il tumulto cresceva sempre più, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Io sono innocente del sangue di questo giusto; pensateci voi». E tutto il popolo rispondendo disse: «Sia il suo sangue sopra di noi e sopra i nostri figli!»>> L’affermazione del popolo «Sia il suo sangue sopra di noi e sopra i nostri figli!» è una formula usata per indicare che qualcuno deve portare la colpa e la pena per quello che ha commesso. San Girolamo nel suo commento al Vangelo di Matteo dice che l’auto-maledizione debba essere intesa come dannazione eterna. Il racconto dei Vangeli prosegue poi con la dedizione di Gesù da parte dei soldati, il trasferimento al luogo della crocifissione, la crocifissione, la morte, la sepoltura. Nel Vangelo di Giovanni, alla condanna alla croce si giunge per la richiesta dei giudei che gridano «crocifiggilo!»; a loro Gesù viene consegnato «perché fosse crocifisso». A un estremo vi sono studiosi che ritengono che non ci sia stato alcun procedimento formale ebraico che avrebbe portato a una condanna di Gesù. All’estremo opposto, vi è chi ritiene che la condanna romana sarebbe stata preceduta da una iniziativa delle élites di Gerusalemme e che quindi i racconti evangelici conserverebbero un nucleo storico. In conclusione, è un fatto certo che Gesù è stato crocifisso e che questa era una pena inflitta dall’autorità romana e non una pena ebraica. Il resto rimane controverso. Parlare oggi della morte di Gesù La riflessione avviata in seguito alla Shoah sull’antigiudaismo cristiano ha comportato l’esplicita denuncia della totale infondatezza dell’accusa di una perenne responsabilità ebraica per la crocifissione di Gesù. Così la “Dichiarazione Nostra Aetate n°4”: <<Le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. Gli Ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti.>> Il Catechismo degli adulti della chiesa cattolica commenta così la Dichiarazione Nostra Aetate: <<Tutti i peccatori, di tutti i tempi e di tutti i popoli, sono causa della morte di Gesù. La responsabilità della sua morte coinvolge solo una parte delle autorità ebraiche e degli abitanti di Gerusalemme di quel tempo; soprattutto vi hanno un ruolo decisivo anche le autorità romane. Immotivata è l’accusa di deicidio.>> La terza assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (che raggruppa la maggior parte delle chiese protestanti e ortodosse del mondo) dice: <<Nell’insegnamento cristiano i fatti storici che condussero alla crocifissione non dovrebbero essere presentati in modo tale da fissare sul popolo ebraico di oggi responsabilità che appartengono all'umanità nel suo insieme e non a una stirpe o comunità.>> L’idea di una perenne colpevolezza degli ebrei per la morte di Gesù e di una loro maledizione, è entrata a far parte del bagaglio culturale dell’immaginario del cristiano “normale”. In uno studio sottoposto alle chiese dal Consiglio della Chiesa evangelica in Germania, vengono denunciate tre visioni che hanno avuto effetti disastrosi sul rapporto tra ebrei e cristiani: 1.la presentazione caricaturale dei farisei; 2.la riduzione dell’ebraismo a legalismo opprimente; 3.l’attribuzione generalizzante ed esclusiva della colpa della morte di Gesù agli ebrei. Il cristianesimo, dopo la Shoah, viene invitato a rivedere le sue idee: denunciando ed impugnando consolidati stereotipi, ed adottando un approccio non letteralista alle Scritture. 5.<<AVETE USANZE BARBARE, COME LA CIRCONCISIONE>> REGOLE CONNESSE CON IL CORPO E CON LA VITA Di che cosa si tratta La circoncisione è un intervento di piccola chirurgia sul pene che ha lo scopo di lasciare scoperto il glande attraverso l’escissione del prepuzio, che è la pelle scorrevole che ricopre il glande. La circoncisione rituale maschile CRM, è praticata da millenni nel mondo e si calcola che oggi una parte considerevole dell’umanità maschile sia circoncisa. Questo perché, per motivi religiosi, sono circoncisi i maschi di religione musulmana, i cristiani copti e, per motivi medico culturali, lo sono molti cittadini dei paesi occidentali e in particolare degli Stati Uniti. Sono molti e differenti i motivi per cui nella storia e ancora oggi si pratica la circoncisione rituale maschile. In alcune culture è un rito di iniziazione e di passaggio, una prova di coraggio, una preparazione prematrimoniale, un segno di partecipazione a un gruppo. vi sono molte differenze nei modi di praticare la circoncisione: si può tagliare solo una parte del prepuzio o tagliarlo interamente, lasciando scoperto il solco al di sotto del glande; le tecniche di intervento variano secondo le indicazioni, le finalità e le conoscenze chirurgiche; gli strumenti per il taglio vanno dalle antiche selci al laser. L’età in cui si interviene può essere dai primi giorni di vita, all’infanzia, o in età adulta e persino in età avanzata se è necessario farlo per motivi medici. La circoncisione nell’ebraismo Il motivo per cui questa pratica è diffusa nell’ebraismo è essenzialmente religioso e risale alle prime pagine della Bibbia dove leggiamo che il patriarca Abramo, nel momento in cui stipulò un patto con Dio, ricevette l’ordine di mettere sul suo corpo un segno di questo patto e di trasmettere questo ordine a tutte le generazioni future. Si tratta quindi di un segno di appartenenza a una comunità con dei precisi impegni. Il cristianesimo ha abolito la pratica della circoncisione, a cui anche Gesù fu sottoposto. La circoncisione viene eseguita dagli ebrei sui neonati maschi il prima possibile dopo la nascita, dall’ottavo giorno. Oggi sappiamo che la regola ha la sua giustificazione scientifica, perché prima di quel giorno i sistemi coagulativi del neonato non sono pienamente attivi; da quel momento l’intervento è semplice, mentre più lo si rinvia più diventa complesso tecnicamente ed emotivamente per il bambino e i suoi genitori. le implicazioni sanitarie di questa operazione sono note e ben dimostrate. La circoncisione assicura infatti la maggiore pulizia del glande prevenendo così le sue infezioni e la diffusione delle infezioni per contagio sessuale. È indicata come cura chirurgica per alcune malattie del prepuzio e del glande e quando in chirurgia plastica serve un lembo cutaneo con caratteristiche speciali che solo il prepuzio presenta. I soggetti circoncisi non sono colpiti da cancro del pene e le partner femminili dei circoncisi sono molto meno soggette al tumore della cervice uterina. Nelle campagne contro la diffusione dell’AIDS, la circoncisione è stata consigliata come mezzo efficace per prevenire il contagio. Dall’altra parte, questa pratica ha, come ogni intervento chirurgico, alcune possibili (non certe) complicazioni. Molto discussa è la questione se la circoncisione aumenti o diminuisca il piacere sessuale e gli argomenti addotti in proposito non hanno una serie dimostrazione scientifica. Tutte le correnti ufficiali dell’ebraismo contemporaneo sostengono l’importanza fondamentale della CRM come uno dei simboli più significativi dell’essere ebrei; contrastare questo rito significa pertanto contrastare la libertà di professare pienamente la propria tradizione religiosa. L'evento viene vissuto come un’occasione festiva e celebrato con partecipazione sociale. La circoncisione ed il pregiudizio antiebraico La circoncisione rituale maschile è stata spesso messa in correlazione con pregiudizi antiebraici, dipingendo gli ebrei con stereotipi legati al sangue e ai coltelli. peccatore, la sua fisionomia culturale e la sua storia che diventano esse stesse testimonianze e prove della sua identità. Il tema dell’usura anima il pensiero teologico e civile della Chiesa tra XV e XIX secolo. La questione è se il denaro sia da considerare una merce od abbia invece una sua dimensione specifica e dunque anche una sua natura. Storia del fenomeno Intorno all’anno Mille avvengono due importanti trasformazioni: la prima è di ordine generale, la seconda, strettamente connessa alla prima, coinvolge direttamente e in modo specifico il mondo ebraico. 1. Trasformazione generale. La prima trasformazione riguarda la ripresa e la diffusione della funzione del credito e della moneta. La vera e propria novità è rappresentata dalla nascita delle grandi famiglie finanziarie. Una realtà economica in cui accanto alle grandi famiglie di imprenditori e di finanziatori, sta una realtà del lavoro alquanto povera, caratterizzata da bassi compensi e basso tenore di vita dei salariati. Tali condizioni di povertà sono anche conseguenza del diverso regime monetario tra mondo dell’impresa e mondo del lavoro: mentre, infatti, le aziende manifatturiere incassano i loro benefici in fiorini d’oro zecchino, i salariati delle stesse aziende percepiscono la paga in monete calanti ovvero di minore peso e valore. La società medievale conferma modelli propri di quelle antiche in cui economia e società, attività economica e legame sociale si relaziona strettamente tra loro. Questo perché «il gruppo, in quanto entità duratura, è una comunità i cui membri sono tenuti insieme da legami di reciproca benevolenza». La giustizia, la sua amministrazione e le sanzioni hanno una funzione perché ciò che assicurano, «sia riguardo alla distribuzione dei beni, sia riguardo alla composizione dei conflitti o alla regolamentazione delle prestazioni mutuali, è desiderabile perché necessario al mantenimento del gruppo». Questi aspetti sono essenziali per comprendere la critica dell’usura rivolta al mondo ebraico perché la categoria dei giudizi non è l’usura in sé, ma la comunità di riferimento. L’usura può anche rimanere, ma deve essere accompagnata da pratiche di crescita e di conversione. Senza di questo, l’usura va condannata. Ciò su cui occorre intervenire è la personalità dell’individuo che la pratica, e sul gruppo in cui quell’individuo si riconosce. L’usura diventa il segno di chi non si vuole integrare alla comunità, e, perciò, è percepito come disegregato. La ripresa degli scambi commerciali vede sviluppare una forma rinnovata ed economicamente costruita in cui l’atto del prestito comporta una clausola al portatore. Pratica destinata a crescere dalla fine del XIII secolo, mantenendo come attori principali le grandi famiglie finanziarie locali. Solo nel XVIII secolo questo fenomeno inizia a essere affrontato in relazione allo sviluppo dell’economia. Con l’avvio del processo culturale e politico che apre all’Età delle riforme il tema del prestito perde la sua aura di maledizione ed entra nella discussione come atto economico di cui vanno valutate le conseguenze, svantaggiose e vantaggiose. Per respingere l’identificazione ebrei = denaro, è necessario quindi smontare l’idea che la costruzione del sistema di prestito e del tasso di interesse sia una caratteristica dell’agire economico degli ebrei e che quell’agire sia l'espressione di una perversione. 2. Trasformazioni nel modo ebraico. Nell’affrontare la seconda trasformazione, bisogna considerare prima di tutto la distribuzione degli ebrei, i loro centri di cultura, di discussione e di snodo. Il luogo che maggiormente ci interessa per capire il fenomeno dell’usura è l’area mediterranea e, nello specifico, quella italiana. Gli ebrei si specializzano nella pratica del prestito feneratizio, cioè nella pratica dell’usura, intorno al loro primo insediamento in Inghilterra nel 1066. Poi il fenomeno si espande. Essere ebrei non significa fare usura. Quella dimensione professionale o quella pratica non dipendono dall'identità, ma discendono da una funzione nello spettro sociale, dai sistemi di sviluppo commerciale e produttivo, dalle reti di scambio. Intorno all’anno Mille avviene la transizione da mercanti a prestatori; quella transizione avviene in conseguenza di restrizioni economiche, per divieti giuridici o per vocazione? La compravendita a credito avviene sulla base di alcune competenze: la capacità di leggere e scrivere, di tenere un libro contabile, di interpretare le leggi locali, di stimare il valore della garanzia in caso di insolvenza del debitore. Per poter esercitare quella funzione i prestatori dovevano essere parte di un sistema di relazioni in grado di agire come una rete. Quest’ultima condizione nei momenti persecutori diviene proprio lo strumento principale di propaganda contro gli ebrei: quella rete viene quindi indicata come «inaffidabile», «nemica», «non controllabile». L’attività di prestito non è l’unica funzione né l'unica occupazione che gli ebrei possono svolgere. Agli ebrei, tanto nell’impero romano quanto nell’im- pero persiano, era permesso di: •possedere terra; •svolgere lavori agricoli; •possedere schiavi; •occuparsi di attività artigianali, vendita al dettaglio; •commercio, professione medica insegnamento; prestare denaro. Non era invece consentito di lavorare nell'amministrazione statale. Tre sono gli elementi su cui si costruisce lo stereotipo, nessuno dei quali è storicamente vero: 1.Che i divieti di prestare denaro a interessi, imposti a musulmani e cristiani, siano entrati in vigore prima che gli ebrei entrassero e si specializzassero nel prestito; 2.Che i divieti non fossero soltanto principi giuridici formali, ma venissero applicati e fatti rispettare; 3.Che gli ebrei avessero il monopolio del prestito di denaro a interesse. Essenzialmente errata è anche la tesi secondo cui gli ebrei entrarono nel campo del prestito e vi si specializzarono, perché le persecuzioni cui furono sottoposti fecero della mobilità e del conseguente investimento di capitale umano risorse preziose. Almeno tre sono i motivi: 1. Le persecuzioni sono la conseguenza della specializzazione nel campo del prestito e non la causa. E’ importante richiamare l’attenzione sulla differenza sostanziale che passa tra gli operatori economici cristiani e gli operatori economici ebrei: i primi, possono far leva sul sostegno della città di provenienza oltre che della famiglia, mentre i secondi, al di fuori della rete familiare, non possono contare su nessun elemento pubblico. Questo elemento, che sfugge completamente alla rete pubblica, è fonte della convinzione che non ci sia un sistema per controllare l'operato del prestatore il quale dunque si muoverebbe pericolosamente, in totale autonomia. Questo elemento ha un ruolo non indifferente anche nella costruzione del paradigma del complotto. 2. Un prestatore che voglia far profitti deve vivere stabilmente in una comunità. Nel passaggio tra XIII e XV secolo, almeno in Italia si crea un accordo tra le autorità e i banchieri. Le autorità, il comune, la repubblica invitavano gli ebrei a prestare denaro a loro e/o al pubblico e gli ebrei acconsentivano a farlo ad alcune condizioni. Questo processo definisce una diffusione capillare sul territorio, fondata spesso da una rete di singole famiglie che agiscono, ma che si mantengono nel tempo in forza di una rete extrascolastica. La sua diffusione era sempre più capillare e, allo stesso tempo, rispondeva al sostegno economico legato ai consumi, anche a quelli minimi, più che alle forme di anticipo per investimento produttivo. 3. Incidono, inoltre, il processo di investimento nella risorsa istruzione, il processo di urbanizzazione, i nuovi insediamenti nella diaspora e il sistema di protezioni. il processo di alfabetizzazione, cioè la conoscenza ritenuta una risorsa, in un sistema economico e sociale a larga presenza di analfabetismo. Questo avviene all’interno di una trasformazione più generale del mondo ebraico in diaspora che, da gruppo essenzialmente definito da attività agricolo-pastorali, passa a una condizione essenzialmente urbana. Tale trasformazione definisce l’insediamento e la diffusione della popolazione ebraica. Su questo aspetto il processo migratorio, anziché essere una sfortuna, si presenta come un processo di opportunità. Il processo di insediamento e di spostamento degli ebrei produce 3 fenomeni: 1. la rete di relazioni che ogni volta si sposta; 2. il sistema di relazioni che permangono nel luogo da cui si scappa; 3. il sistema di relazioni dei diversi luoghi di destinazione. 8.<<DICHIARARSI ANTISIONISTI NON VUOL DIRE ESSERE ANTISEMITI>> SPIEGARE IL SIONISMO Il sionismo come fenomeno storico, plurale ed ibrido Il sionismo non ha come obiettivo prioritario la costituzione di uno Stato degli ebrei. Si pone prima di tutto il problema di emancipare le donne e gli uomini, dalle condizioni originarie di servitù e di subordinazione giuridica, sociale ed economica. In questo senso va quindi inteso come movimento di liberazione nazionale. La vera sfida è quindi quella di trasformare le tante situazioni di dipendenza degli ebrei in un processo di indipendenza. Testo di Nordau, “L'emancipazione, creazione della ragione pura” del 1948: Il sionismo è un movimento politico poiché incorpora al suo interno il pluralismo ideologico e culturale che attraversa la modernità e la contemporaneità. E’ cornice con una pluralità di posizioni, anche in palese competizione. Nessuna società può dirsi libera se non riesce a contemplare la molteplicità di visioni e la capacità di mediarle, evitando di provocare conflitti distruttivi. Il sionismo è un movimento culturale poiché il tema della rigenerazione nazionale ed etica, costituisce l’obiettivo più importante. Rigenerarsi vuol dire essere capaci di vivere la propria identità senza essere subalterni ad altri ma, al medesimo tempo, senza renderli dipendenti da se stessi. Il sionismo è un movimento sociale poiché si pone il problema di non concepire la società, la nazione e lo Stato come «essenze» astoriche, vale a dire asettiche ed immobili, ma in costante confronto e trasformazione. Il sionismo è un movimento civile in quanto risponde non solo all’antisemitismo, ma anche ai rischi dell’assimilazionismo. L’assimilazione, il rendersi cioè uguali agli altri, era apparsa come la risposta ai problemi generati da una «diversità» inconciliabile, che sembrava alimentare la stessa reazione antisemita. Il termine “nazionalismo” rimanda ad un percorso di rivalsa e di risarcimento a danno di terzi, dove le persone non vengono unite, bensì separate in base a una appartenenza fittizia. Per questo, più che di «nazionalismo ebraico», sarebbe meglio concentrarsi sulla ricomposizione nazionale: fenomeno autonomo che è una moderna costruzione di un’identità collettiva, destinata a coesistere con altre soggettività. Il tema della nazione non va cristallizzato, ma messo in tensione con il pluralismo dei soggetti collettivi. Il sionismo, come processo culturale e politico complesso, stratificato, composto di una pluralità di storie, va quindi storicizzato. Ciò implica essenzialmente due ordini: 1.contestualizzare la sua evoluzione rispetto alle società non ebraiche, collocandolo all’interno delle più ampie dinamiche cronologiche e logiche dell’Otto-Novecento; 2.costruire una breve intelaiatura di transiti storicamente rilevanti per periodizzare l’evoluzione del sionismo. I fattori di costanza e quelli di mutamento che costruiscono l’identità politica, sociale e culturale del sionismo, si sviluppano in forma dinamica dalla fine dell’Ottocento a oggi, dando luogo, in ambito ebraico, a processi variegati di coscienza di sé e del ruolo attribuito al passato. Oggi, con la nascita e il consolidamento di Israele, è in atto un processo di riformulazione del rapporto tra la diaspora e la nuova configurazione dell'ebraismo in un contesto statale: si tratta di un processo dialettico con adesioni incondizionate e conflitti. Sionismo, antisemiti- smo, Stato d’Israele e Shoah si presentano, di fatto fortemente legati, in un difficile incastro tra eventi, memorie e cognizione del passato. La riformulazione del modo in cui le società ebraiche percepiscono a tutt’oggi il loro modo di condividere spazi, pratiche e relazioni con gli altri da sé è anche frutto del sionismo: di quanto esso ha concretamente offerto all’impegno comune di formulare in chiave moderna il problema di un’identità nazionale, e non solo religiosa, degli ebrei medesimi. Riflettere sulla nozione di sionismo aiuta quindi a comprendere cosa voglia dire «essere ebrei» al presente. Argomentazioni dell’antisionismo Il fondamento dell’antisionismo si basa sull'affermazione che il movimento nazionale ebraico, e lo Stato d'Israele siano storicamente illegittimi e quindi da contrastare. Dell’antisionismo si possono isolare alcune argomentazioni di fondo: •Vi è il convincimento che gli ebrei non siano un popolo, ancorché disperso, e che quindi non abbiano diritto ad avanzare rivendicazioni di ricomposizione nazionale; •Si ritiene che i problemi degli ebrei non siano affrontabili e risolvibili con il ricorso all’indipendenza nazionale; •Il sionismo sarebbe solo la nuova forma di un vecchio problema, il falso messianismo, che da Gesù a oggi produrrebbe illusioni e lesioni nel corpo stesso dell'ebraismo. Rientra in questo novero la manifestazione odierna espressa dal movimento Neturei Karta, i cosiddetti guardiani della città; •Israele appare come una realizzazione storica che crea più problemi di quanti ne possa risolvere; •il sionismo si identifica con una forma virulenta di razzismo, assecondando un crescendo di condanne che fatica a fermarsi. Secondo quest’ottica nell’ebraismo c’è un senso di superiorità rispetto alle altre comunità umane, sulle quali ha e vuole il dominio. Ad oggi l’antisemitismo è tornato a fare parte del vocabolario di diverse forze politiche, che usano un linguaggio che cerca colpevoli da stigmatizzare in merito alle trasformazioni che stanno accompagnando le società europee. Il pregiudizio ebraico è sottilmente inteso, non esplicitato direttamente, ma evocato tra le righe. Se gli ebrei sono stati raffigurati per secoli come gli assassini del messia e gli israeliani vengono oggi paragonati ai nazisti,l’immagine corrente dell’ebraismo concorre ad accentuare l’antisemitismo classico. Si ha a che fare con la raffigurazione maniacale dell’ebreo di sempre, quindi portato all’avidità, assetato di potere e di denaro, straniero in patria, fedele, sleale, egoista ed anima delle cospirazioni mondiali. 9.<<GLI ISRAELIANI STANNO FACENDO AI PALESTINESI QUELLO CHE I NAZISTI HANNO FATTO AGLI EBREI>> LA “DEMONIZZAZIONE” AL POSTO DEL GIUDIZIO POLITICO La parola sionismo Il termine “sionismo” è tanto usato quanto privo di costrutti fondati. L’uso di questo termine è improprio e non risponde all'esigenza di conoscere o indagare una realtà storica, bensì di etichettare un fenomeno in modo semplicistico, per poi manipolarlo anche per cause politiche. L’uso che si fa di questo termine è legato da un lato alla stigmatizzazione, dall'altro all’ enfatizzazione-sacralizzazione. In entrambi i casi si ha a che fare con un percorso di decontestualizzazione e destoricizzazione del sionismo che, in parte, è il risultato di ignoranza storica e di falsa coscienza. La sua demonizzazione Il sionismo è collegato al colonialismo del passato (il dominio europeo) come del presente (Israele). Secondo l’idea comune dei fatti la sua particolare velenosità e dannosità risiederebbe nel fatto di essersi affermato nel momento in cui le potenze coloniali stavano avviando un processo di revisione, ristrutturazione e ridimensionamento della loro presenza in Africa e Asia. In quest’ottica, Israele sarebbe entrata al posto loro per colonizzare e dominare le comunità locali. Capire come si arrivi a una tale distorsione dei fatti implica tenere in conto la storia tra l’Ottocento ed il Novecento con l’emancipazione ebraica, la partecipazione degli ebrei ai movimenti politici collettivi, il declino e la scomparsa degli imperi transnazionali, sostituiti dagli Stati nazionali, i mutamenti delle società mediterranee. Date queste premesse, il sionismo è associato al nazismo. Poiché costituirebbe la teorizzazione (e la conseguente messa in pratica) del suprematismo ebraico: se i nazisti esaltavano la superiorità razzista degli «ariani», gli ebrei, attraverso il sionismo, si adopererebbero per dominare il modo in quanto razza che si considera al di sopra del resto dell’umanità. Del nazismo il sionismo recupererebbe i seguenti aspetti: •Il rapporto reificato con la terra (boden), intesa come dimensione astorica e materia primigenia; •L’esasperata etnicizzazione dei rapporti sociali; •La gerarchizzazione, su base razziale, delle relazioni di potere e la giustificazione del ricorso alla forza in quanto espressione di un «diritto naturale» alla sopraffazione; L’ideologia del «sangue» (blut) come, al medesimo tempo, vincolo di reciprocità assoluta tra omologhi, tali poiché appartenenti a una comunità organica, dalla quale i non ebrei sono esclusi; •La concezione del proprio ruolo storico nella realizzazione di una missione di espansione fisica (la conquista della terra) e di repressione/vassallaggio/soppressione delle identità non ebraiche (i palestinesi come nuovi apolidi e popolo paria); •La visione dei rapporti tra ebrei (ossia tra appartenenti al proprio gruppo) e non ebrei (la parte restante della società umana) come costante subalternizzazione dei secondi, anche attraverso l’inganno. Per smontare questa visione distorta, è necessario riflettere criticamente sui seguenti punti: -Israele è raffigurato come “ebreo collettivo”, un raggruppamento indifferenziato: tutti gli ebrei pensano nel medesimo modo e hanno gli stessi obiettivi; quella israeliana non sarebbe quindi una società pluralista, ma lo strumento per stabilire e consolidare la supremazia ebraica; -Israele è giudicato come paese innaturale, abusivo, illegittimo e pertanto contro la storia; -Poiché Israele sarebbe un prodotto del colonialismo occidentale e del dominio degli ebrei sui non ebrei, nessuna fratellanza tra gli oppressi può prescindere dalla lotta contro il paese che rappresenta il peggiore imperialismo; -La storia è il prodotto di poteri occulti: Israele non nascerebbe da un processo storico al pari delle altre nazioni, ma sarebbe il risultato di una manipolazione e di una cospirazione degli ebrei, ai danni del mondo intero; -Accusa di deicidio: come gli ebrei sarebbero stati i responsabili della messa a morte di Gesù, così oggi ucciderebbero il popolo palestinese, portatore di un messaggio universale di liberazione; La sovrapposizione e la decontestualizzazione sono 2 criteri con i quali si trasla il pregiudizio dall’antisemitismo all’antisionismo. Sovrapporre implica legare tra loro fatti completamente diversi e stabilire una equivalenza (come se avessero qualcosa in comune). In questo caso c’è la barriera di Auschwitz che divide Israele e i Territori palestinesi. Decontestualizzare implica sottrarre una cosa dal suo contesto, e qui si vuole intendere che la tragedia della Shoah si ripete su altri popoli, a prescindere da qualsiasi riscontro oggettivo. La svastica, disegnata come un fos- sato, e la bandiera palestinese che sta a indicare le vittime di oggi: ossia i palestinesi equiparati agli ebrei vittime della Shoah. La fossa a forma di svastica evoca il seppellimento in massa dei cadaveri: a volere dire che Israele ripeterebbe la tragedia delle fosse comuni; luoghi anonimi nei quali i nazisti fucilavano e gettavano gli ebrei, trasformati in masse di corpi senza nome. Nell’immagine 3 vi sono: due teschi, di cui uno è anche una bomba, una mano, delle scritte redatte con un font volutamente brutalizzante, tese ad accostare Israele e omicidio di massa. Nell’immagine 4 troviamo: la foto di un militare, equiva- lente a potenza, forza, coercizione, sia pure in una posa poco marziale, laddove però lo stare seduti, con il mitra in mano, indica l’occupazione della terra altrui. Vi è poi il ragazzino, che esprime la gioventù, la spontaneità e l'innocenza dei palestinesi, gli occupati, anche attraverso il rimando a Davide e Golia, intesi come due condizioni esistenziali contrapposte. Le foto sopra riportate sono di repertorio dello Yishuv: l’insediamento ebraico in Palestina prima della nascita dello Stato di Israele. Sono immagini di documentazione. Nella foto 5 si possono individuare alcuni elementi costitutivi tra i quali: comunità, fucile-autodifesa, maschi lavoratori della terra, condivisione e così via. Interessante è anche la contrapposizione tra l’immagine 5 dove compaiono solo uomini, dediti alla difesa e al lavoro, e l’immagine 6, dove tutte le donne allattano. Si tratta di simbolismi molto diffusi. Nell’immagine 7, il cartello di pericolo/divieto generico si trasforma in pericolo/divieto/rifiuto dell’ebraismo, con la sovrapposizione alternata dei due triangoli che vanno a formare la Stella di David. Nell’immagine 8, dentro la cornice Zionism and Children, troviamo la giustapposizione e la contrapposizione tra l’educazione alla violenza e alla sopraffazione, che sarebbe impartita agli ebrei/israeliani fin da giovani, tramite il proiettile alla cui sommità c’è la tettarella del biberon, e l’impedimento all’infanzia palestinese, simboleggiata invece dal latte contenuto in un biberon al cui vertice c’è la punta di un proiettile. Dhimma. Il Millet regolamentava a livello giuridico i rapporti tra l’Islam ottomano e le tre nazioni presenti sul territorio imperiale. ● È opinione diffusa che la cosiddetta “tolleranza islamica” sia stata smarrita, dopo millenni, per colpa del colonialismo europeo: sarebbero stati gli abusi, lo sfruttamento e le malefatte del colonialismo occidentale ad averne generato la fine. Si sente spesso ripetere che l’antigiudaismo arabo “non è mai esistito”, che è un fenomeno generato appunto dal colonialismo. Non è così. Si tratta di un luogo comune, di un falso mito. L’antigiudaismo arabo è un fenomeno antico, che risale alla Dhimma: la legislazione che prevedeva il pagamento di una tassa, la gyza, in cambio della protezione delle autorità governative. Protezione da che cosa? Da violenza, abusi, conversioni forzate, saccheggi e ruberie da parte delle autorità e della popolazione, che periodicamente avvenivano nei confronti dei non-musulmani. Parlando inoltre di colonialismo, va ricordato che la data ufficiale con cui inizia l’epoca delle colonie europee nelle terre d’Islam è il 1798, con Napoleone Bonaparte. Con l’arrivo degli europei in Nord Africa e Medioriente, si fecero largo in queste terre gli ideali dell’Illuminismo che contribuirono ad emancipare le minoranze oppresse, concedendo libertà, uguaglianza, diritti fino ad allora impensabili. Perciò il colonialismo sarà vissuto in modo diametralmente opposto da ebrei e arabi: l’arrivo degli europei e l’esportazione degli ideali dei Lumi coincise, per gli ebrei, con l'emancipazione mentre, per gli arabi, si trattò di un tradimento. Per gli ebrei, l’arrivo di francesi e inglesi segnò la fine di un destino di abiezione, la possibilità finalmente di un libero accesso agli studi, l’alfabetizzazione, la parità di diritti, il non essere più sudditi di serie C, tassati, vessati, testa e profilo basso. Dagli arabi fu vissuta invece come una pugnalata, un’onta, una vergogna. Il risentimento verso i nuovi colonizzatori si incanalò verso gli ebrei. Per decenni, il mondo arabo si è chiesto come fosse stato possibile che l’umiliato, l’inferiore di ieri potesse diventare l’uguale di oggi. In definitiva, fu proprio questa vicenda storica dell’emancipazione ad eccitare il risentimento arabo verso gli ebrei: L’equilibrio secolare di un tempo, costituito dal rapporto dominatore-dominato veniva infranto dal Codice Napoleone, da una moderna Costituzione e dai Diritti dell’uomo. La sottomissione non era più consentita. Tutto questo era difficile da accettare. ● Si afferma che l’Islam, a differenza del cristianesimo, non abbia sviluppato la cosiddetta “Teologia della sostituzione” né un antigiudaismo teologico. Sì, è così. L’Islam non ha mai formulato l’accusa di deicidio verso gli ebrei. Inoltre sono numerosi gli elementi di tradizione ebraica poi arrivati nell’Islam (Bibbia ebraica→Corano): sembra che Maometto sia ispirato al modello di leadership di Mosè; e nel racconto biblico del sacrificio di Isacco, l’Islam sostituisce la figura di Isacco con quella di Ismaele; è Ismaele a salire sul Monte Morià per venire sacrificato dal pugnale del padre Abramo. Sebbene quindi l’Islam non sia mai arrivato a formulare contro gli ebrei l’accusa di deicidio, tuttavia interpreta se stesso come la forma più compiuta, giovane e ultima (in datata) tra le 3 grandi religioni rivelate, quindi pensa di essere il più evoluto e vigoroso. ● Quando le accuse tipiche del mondo cristiano (omi- cidio rituale, avvelenamento dei pozzi, usura...) iniziarono a penetrare nei domini dell’Islam che per secoli non aveva conosciuto queste accuse? Insomma, quando e in che modo si è prodotto l’uso dell’armamentario teologico-politico antiebraico di matrice cristiana anche da parte delle istituzioni religiose e politiche islamiche? Emblematico in questo senso è l’Affare di Damasco. È accaduto con l’inizio del periodo delle colonie, ossia durante l’Ottocento, quando francesi e inglesi hanno portao il loro pensiero e le loro politiche nel mondo musulmano. Il mondo cattolico, in particolare Papa Giovanni, ha accusato gli ebrei di essere dei demoni, dei ribelli contro dio. Queste antiche accuse cristiane rivivono nella visione dell’Islam odierno: ebrei associati ai djinn, a demoni. ● Si sente spesso dire che lo Stato d’Israele sia nato a causa del senso di colpa europeo per la Shoah. L’idea è che Israele sia sorto «sulla pelle degli arabi», i quali si sono così ritrovati a dover pagare un conto che non era il loro, visto che con la Shoah non c’entravano nulla. L’Occidente, per lavare il proprio senso di colpa, avrebbe concesso la Palestina agli ebrei, dando così qualcosa che non spettava loro. Da qui l’idea che quella israeliana sia una usurpazione. A proposito di questo, ci si dovrebbe chiedere perchè il mondo arabo si svuota dei suoi ebrei nel corso di appena una generazione, dopo millenni di presenza ebraica in terra d’Islam. E’ una situazione iniziata ben prima del sionismo. L’odio per gli ebrei e per lo stato di Israele viene da lontano, non nasce con il 1948. Quello che vediamo oggi è l’eco, anzi il rimbombo, di un odio antico che ha solo cambiato aspetto, più che altro scatenato dalla fine dei rapporti di forza secolari servo-padrone: ma come, lo schiavo di ieri, oggi osa ribellarsi? Giunge persino a pretendere un suo Stato indipendente? Vuole l’autodeterminazione? C’è inoltre un altro importante aspetto: il problema della restituzione dei beni. La difficoltà ad ammettere le proprie colpe ha come origine l’eventuale restituzione dei beni mobili e immobili sottratti agli ebrei. Nessuno oggi vuole correre il rischio di restituire ciò che per decenni ha considerato proprio, seppure acquisito con una razzia o requisizione. Gli effetti del colonialismo sul mondo arabo Ufficialmente, la data di inizio del colonialismo occidentale nei territori musulmani è il 1798 e coincide con l’arrivo di Napoleone Bonaparte in Egitto. Dopo secoli di alienazione e sottomissione alla Dhimma o al Millet, non c’è da stupirsi se molti ebrei e cristiani d’Oriente iniziarono a simpatizzare per le potenze coloniali. Gli umiliati e gli offesi di sempre erano diventati, grazie alle potenze coloniali e all’Illuminismo, uguali e con pari diritti. Il risentimento islamico crebbe con il crescere dell’influenza dei poteri inglesi, francesi e russi e con la conseguente emancipazione dalla Dhimma: così, la nuova condizione di ebrei e cristiani venne percepita dai musulmani come intollerabile. Come se non bastasse, a rendere il tutto inaccettabile e persino offensivo, era il fatto che i nuovi occupanti stranieri affidassero proprio a cristiani ed agli ebrei ruoli di leadership e di comando sugli stessi musulmani nell’amministrazione e nella burocrazia. Ciononostante continuarono a verificarsi episodi di violenza, in particolare nel 1890, durante il quale l’intera comunità ebraica di Tuggurt fu convertita con violenza all’Islam e molte sinagoghe nelle città vennero distrutte. Malgrado qualche reale tentativo di riforme, l’obbligo di esercitare mestieri degradanti come la pulitura dei gabinetti, la pratica di sottrarre gli orfani ebrei a nonni o zii per islamizzarli a forza, erano pratiche diffuse in molti paesi dell’Impero ottomano e soprattutto nello Yemen. Non sempre tuttavia, il contatto con l’Occidente portò fortuna al mondo ebraico. Con le idee dell’Illuminismo, nel Medioriente, sbarcarono anche i tipici pregiudizi europei maturati in due millenni di antigiudaismo cristiano. In particolare, fu con l’Affare di Damasco che un terribile pregiudizio prese piede in Medioriente. Si trattava dell’ omicidio del frate francescano Tommaso da Calangianus e del suo assistente, in seguito al quale furono arrestati sette ebrei di Damasco, torturati fino alla morte. Nel 1890, un arabo cristiano pubblicò un libro infame sui presunti sacrifici umani e crimini rituali attribuiti agli ebrei. È quindi a partire dalla fine dell’Ottocento che le calunnie più ossessive e le dicerie più infamanti iniziarono a diffondersi anche nella società araba. Con queste premesse, risulta più facile capire come la nascita dello Stato d’Israele, nel 1948, abbia rappresentato per la coscienza araba qualcosa di difficilmente accettabile, e come sia una questione risalente a prima di questa data. Come leggere il ventunesimo secolo alla luce di tutto ciò? Il XIX e il XX secolo vedono inanellarsi una serie infinita di episodi violenti contro gli ebrei nel mondo arabo. Nel 1927, in Egitto, erano già state adottate forti misure restrittive nei loro confronti: la legge egiziana aveva proibito agli ebrei l’accesso agli impieghi pubblici e fu ribadito l’antico divieto teologico di imparare l’arabo scritto e letto per un non-musulmano. Questo implicava l’impossibilità, per gli ebrei, di far parte dell’amministrazione pubblica, di accedere ad insegnamenti in lingua araba ed a qualsiasi ruolo o libera professione che implicasse l’uso dell’arabo scritto. Della violenza antiebraica in Siria dopo il 1945 che portò fino a cancellare la presenza ebraica, si è persa ogni traccia e memoria ufficiale. Cancellare la storia e riscriverla ad uso politico sembra essere, ancora adesso, l’orientamento prevalente delle istituzioni culturali arabe. Sempre nel XX secolo, l’Iraq mise in atto quello che resta il peggior esempio di spoliazione in terra araba: licenziamenti generalizzati, attacchi contro sedi ebraiche, attentati contro persone fisiche ed interessi economici, il congelamento e la confisca di beni mobili ed immobili da parte delle autorità. Il parlamento votò la spoliazione di centotrentamila ebrei. In pochissimo tempo, tutti gli ebrei d’Iraq abbandonarono quelle terre. In tanti paesi, il nazionalismo arabo del XX secolo ha espulso ogni memoria ebraica, ha escluso gli ebrei dal loro millenario mondo di origine, privandoli di beni appartenuti loro da generazioni. Come spiegare tutto questo odio? La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo: risiede nella secolare “educazione araba al disprezzo” nei confronti del non-musulmano, dell’ebreo in particolare, e con la legittimazione istituzionale e politica nel permettere pratiche umiliative e abusanti verso chiunque adotti comportamenti violenti nei confronti della minoranza ebraica. Gli anni in cui si afferma il panarabismo e il diritto all’autodeterminazione nazionale del mondo arabo, sono gli stessi anni in cui si fa strada il più forte degli antisemitismi. È nel 1950 che Hassan el-Banna, leader dei Fratelli Musulmani, pubblica “La nostra battaglia contro gli ebrei”. L’esito finale sarà il rifiuto dell’ebreo ed il rifiuto della modernità occidentale e del suo stile di vita. Risulta più facile così capire perché il mondo arabo negli anni 30 abbia deciso di allinearsi con la Germania nazista. I nemici erano gli stessi: gli ebrei ovviamente, le potenze coloniali inglesi, francesi ed infine i russi. Sponsorizzando i vari movimenti anticoloniali e le loro dirigenze, furono gli stessi nazisti a presentarsi come amici e difensori dell’Islam e dei musulmani. Questa politica era già stata avviata anche da Benito Mussolini, tanto che nel 1937 il Duce si era proclamato “spada dell’Islam”. Spesso si tende a sottovalutare questa connessione tra nazifascismo e mondo arabo, non gli viene dato il giusto peso, viene ritenuta irrilevante perché lontana nel tempo. Non è così: l’islamismo radicale dei nostri giorni ed il jihadismo sarebbero figli dell’unione tra il mondo arabo ed i regimi genocidari della Seconda guerra mondiale. Una storia emblematica. Editore, uomo politico, intellettuale, Toufic Mizrahi fu accusato nel 1960 di essere una spia di Israele, condannato da innocente, il suo giornale requisito. Sui giornali i titoli erano in prima pagina “Chiesta la condanna a morte per il giornalista Toufic Mizrahi.” accusato dal tribunale militare di spionaggio a favore di Israele nonché di alto tradimento dal governo del Generale Cheab. Era l’editore e direttore del settimanale economico-politico “Le commerce du Levant”. Il fatto era clamoroso: la richiesta di condanna a morte, il sequestro del suo giornale, la falsità delle accuse montate durante un processo-farsa, con il solo scopo di acquistare il giornale con una cifra bassa. Quella di quest'uomo non è una storia come tante: persona elegante e raffinata, profondamente integrata nel tessuto sociale e politico del suo paese, ne era un esponente rispettato, un uomo la cui lealtà non fu mai messa in discussione dei molti amici arabi che aveva. Addirittura, nel 1948, il primo presidente dello Stato di Israele gli chiese di far parte del primo governo del paese e di diventare responsabile per gli Affari arabi del nuovo stato ebraico: <<tu conosci il mondo arabo meglio di nessun altro, tu ami la loro civiltà, tu che come ebreo e come letterato in lingua araba sei stato capace di conquistare il loro rispetto ed ossequio.>> Mizrahi rifiutò: si sentiva sionista, ma nel Società globalizzata, crisi delle politiche nazionali, nascita di soggetti mediani Lo stato nazionale, con la sua politica esterna ed interna, per via della globalizzazione oggi ha in gran parte esaurito le sue potenzialità per soddisfare i bisogni dei suoi cittadini in quanto entrambe condizionate e governate da fatti che raggiungono una dimensione mondiale. I cittadini di ogni Stato democratico occidentale sono tendenzialmente consapevoli del declino del loro status: si rendono cioè conto che i governi non sono più capaci di garantire loro un futuro di serenità, benessere, prosperità e pace. Altiero Spinelli aveva elaborato una critica allo Stato moderno, mettendo in evidenza come non fosse all’altezza di prestare idonei servizi pubblici e promuovere quindi il benessere economico e ambientale, la giustizia e la sicurezza sociale. Lo Stato nazionale non è più il primo referente per i cittadini, in quanto non è in grado di risolvere i problemi della vita quotidiana. A fronte di una società cosiddetta globale, caratterizzata da individui interconnessi e residenti in parti opposte del pianeta, si registra una realtà politica sempre più ghettizzata, segnata da intolleranza e fanatismo. In mancanza di adeguate risposte da parte dello Stato, e in assenza di idonei servizi ai cittadini, ecco nuovi attori affacciarsi sulla scena del panorama mondiale: privati o pubblici. Multietnicità e multiculturalità, diritti umani A seguito della globalizzazione e della diffusa mobilità di tanti individui e gruppi, comunità che un tempo potevano definirsi omogenee, tanto culturalmente quanto linguisticamente, si ritrovano oggi composte da gruppi di diversa origine, cultura, tradizioni, lingua, religione: assistiamo così alla nascita ed alla diffusione delle società multietniche e multiculturali. Così facendo, la vecchia Nazione entra in crisi di identità. Per creare un nuovo concetto di cittadinanza, veramente universale, occorre dunque volgere lo sguardo verso una politica transnazionale, dotata di una visione orizzontale e capace di sviluppare reti globali. Prospettiva Europa Nel corso degli ultimi decenni, L’Europa si è purtroppo troppo sbilanciata sul profilo economico finendo per trascurare i profili sociali e culturali dei suoi cittadini. Occorre quindi urgentemente riprendere gli ideali d’un tempo e puntare su un’effettiva unificazione culturale e, contestualmente, su un’effettiva politica comune di dimensione europea. In un’Europa multiculturale e multietnica sarà possibile riaffermare la ferma difesa dei diritti individuali dei cittadini e di ogni minoranza etnica, culturale, linguistica, religiosa, in un quadro di maggior coesione e di solidarietà sociale, in grado di garantire la pace, in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso. L’attualità del Manifesto di Ventotene L’isola di Ventotene può essere considerata un elemento paradigmatico dello Stato italiano e dell’intera Europa: da luogo scelto dall’Italia fascista per esiliare coloro che venivano ritenuti nemici e pericolosi per la patria, esso è divenuto, nel dopoguerra, simbolo del rilancio e della speranza. Tra alcuni dei confinati antifascisti, infatti, sorse l’esigenza di elaborare un progetto proiettato ad un futuro federalista ed europeo che pose i principi base per la costituzione dell’Europa del domani. Era il 1941 e sull’isola di Ventotene tre uomini redassero un documento lungimirante che avrebbe tracciato le linee della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea: si trattava di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, i quali diedero vita al cosiddetto “Manifesto di Ventotene”. Secondo questo testo superare la divisione dell’Europa in Stati nazionali, era un’urgenza. L’esperienza traumatica della guerra aveva posto davanti agli occhi di tutti il potenziale distruttivo di tale divisione. L’Europa sognata a Ventotene era un’Europa federale, in cui tutti gli Stati membri si sarebbero dovuti impegnare in una lotta costante alla disuguaglianza ed ai privilegi sociali. Le basi imprescindibili avrebbero dovuto essere: un'adeguata istruzione che potesse raggiungere gli strati più poveri della popolazione, la formazione di una vita economica comune, il supporto ad una classe operaia finalmente liberata dall’oppressione da parte di politiche economiche sempre più spietate. FONTI: 1.La costituzione italiana -Principi fondamentali: Art.1._ L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Art. 2._ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 3._ Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni per- sonali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art.4._ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Art.5._ La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. Art.6._ La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. Art.7._ Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale. Art.8._ Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. Art.9._ La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Art.10._ L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici. Art.11._ L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Art.12._ La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. -Diritti e doveri dei cittadini: rapporti civili rapporti etico-sociali rapporti economici rapporti politici 2.Manifesto di Ventotene Per un'Europa libera ed unita _1941 1.La crisi della civiltà moderna La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui. Con questo codice: 1. Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo doveva trovare nell’organismo statale, creato secondo la sua particolare concezione della politica. L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un grande progresso; ha promosso un maggior senso di solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti intralci che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere alle popolazioni più arretrate, le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. La nazione non è più ora considerata come il prodotto della convivenza degli uomini, che trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva. E’ invece divenuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possono risentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo spazio vitale territori sempre più vasti che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno. In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima la sua efficienza bellica. Anche nei periodi di pace, la volontà dei ceti militari predomina ormai su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la scienza, la produzione, l’organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e dell’odio per gli stranieri; le libertà individuali si riducono a nulla dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi ed a sacrificare la vita stessa. Gli stati totalitari sono quelli che si sono mostrati più adatti a questo odierno ambiente internazionale. 4.La situazione rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti La caduta dei regimi totalitari significherà per interi popoli l’avvento della libertà. Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature che vanno da un liberalismo molto conservatore, fino al socialismo e all’anarchia. Auspicano la fine delle dittature, restituendo al popolo il diritto di autodeterminazione. I democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità. Tuttavia, nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni devono essere create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa democrazia russa, tedesca, spagnola, sono dei 3 più recenti esempi. In tali situazioni, ci sono molte assemblee e rappresentanze popolari in cui si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo però non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di teste non riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta tra loro. Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarrirti perchè non hanno un solo spontaneo consenso popolare, pensano quindi che il loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori, come capi che devono seguire uno scopo; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma le confuse volontà regnanti in tutte le menti. Il principio secondo il quale la lotta di classe è il principale problema politico, ha costituito la direttiva specialmente degli operai delle fabbriche. Ma questo pensiero si converte in uno strumento di isolmento del proletariato, in quanto non considera come connettere le loro particolari rivendicazioni di classe con gli interessi degli altri ceti. Questa politica quindi, riesce a far presa su nessun altro strato fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze progressive del loro sostegno, e le lasciano cadere in balia della reazione. Delle varie tendenze proletarie i comunisti hanno riconosciuto la difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e perciò si sono trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta i sistemi russi per organizzare gli operai. Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma la loro dipendenza allo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati senza scrupoli per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di perseguire una politica con un minimo di continuità. Una situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante significherebbe non uno sviluppo non in senso rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo. Larghissime masse restano ancora influenzate o influenzabili dalle vecchie tendenze democratiche e comuniste, perché non scorgono nessuna prospettiva di metodi e di obiettivi nuovi. Tali tendenze sono però formazioni politiche del passato; da tutti gli sviluppi storici recenti non hanno appreso nulla; incanalano le forze lungo strade che non possono serbare che delusioni e sconfitte; di fronte alle esigenze più profonde costituiscono un ostacolo e devono quindi modificarsi o sparire. Il partito rivoluzionario non può essere improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi. Esso non deve rappresentare una coalizione di tendenze, ma deve invece essere costituito di uomini che si trovino d’accordo sui principali problemi del futuro. Deve penetrare ovunque ci siano degli oppressi e mostrare come esso si connetta con altri problemi e quale possa esserne la vera soluzione. Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo alla classe operaia ed ai ceti intellettuali. Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze è condannato ad essere inutile, poiché, se ha movimento di soli intellettuali, sarà privo di quella forza di massa necessaria per schiacciare le resistenze reazionarie, sarà diffidente la classe operaia ed incline ad andare contro di essa. Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che può venire solo dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e finirà sulla soluzione comunista. Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari in cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie in attesa di essere guidate. Esso deve rappresentare le esigenze profonde della società moderna.