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L'edilizia nell'antichità - Cairoli Fulvio Giuliani, Dispense di Restauro

Riassunti del libro L'edilizia nell'antichità di Cairoli Fulvio Giuliani per l'esame di Restauro

Tipologia: Dispense

2018/2019
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Caricato il 09/04/2019

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Scarica L'edilizia nell'antichità - Cairoli Fulvio Giuliani e più Dispense in PDF di Restauro solo su Docsity! L’EDILIZIA NELL’ANTICHITA’ Quella dell’edilizia è il campo che meno si presta alla determinazione della datazione assoluta: basterebbe pensare alla lunghezza del periodo di costruzione, anche ipotizzando che questa sia avvenuta senza interruzioni. Bisogna tenere sempre conto che una costruzione non può risalire a un anno ma un periodo. Datare l’edificio costruito vuol dire collocare nel tempo il quadro tecnologico che lo rese possibile, datare il progetto vuol dire stabilire anche il momento in cui nacquero o erano comunque diffuse le concezioni spaziali che informano la fabbrica. La progettazione ha tempi minimi a fronte della costruzione e potrebbe realmente collocarsi nell’ambito dell’anno. Il difficile è però riuscire a stabilire quali furono le vere caratteristiche del progetto originario dell’edificio. Le vie percorse per arrivare alla cronologia di una architettura sono diverse: - Stilistica: si fonda sul dettaglio decorativo.  non per l’architettura romana, poiché si sa che le decorazioni scindono dalla parte strutturale. - Tecnica: sull’aspetto di superficie delle murature riferito a quello di monumenti di datazione ritenuta certa per altre fonti.  procede su basi stilistiche applicate alle cortine murarie. Si è fatto perciò il “Modulo” del 1912 di Van Deman  misurare un numero stabilito di assise di mattoni e dei relativi letti della malta che le lega e nel riferire poi in una tabella composta dai moduli di edifici che si ritengono di datazione sicura. Ma comunque non è sicuro in quanto su questo modulo incidono moltissimi casi: la maggiore o minore compressione della muratura durante il tiro; la fluidità dell’impasto alla messa in opera; qualità della calce, sabbia, pozzolana, acqua. - Filologica: testimonianza letterario, iconografica, epigrafica.  è il più rischioso perché può portare a conclusioni che hanno la forza della verità in quanto appoggiate su documentazione contemporanea o comunque vicina alla costruzione. - Associativa: procede al “rimbalzo”. (c’è quel tipo di pavimento perché presente in quel periodo). Perciò bisogna usare tutti questi metodi insieme. La logica strutturale permette di verificare l’appartenenza di una certa struttura alla classe di edifici di cui parlano le fonti. Per la logica strutturale è obbligatorio conoscere direttamente i resti archeologici. Problema diverso e più semplice e risolvibile è per la cronologia relativa di un contesto edilizio. Gli accostamenti, le connessioni, i rapporti statici, il tipo di sollecitazione a cui una membratura era sottoposta sono di grande aiuto e di soluzione quasi sempre certa. Analisi tecnica del monumento: stabilisce il carattere, la funzione, l’essenza e la possibilità di ricostruzione (teorica e pratica) dei resti edilizi antichi, in altre parole di capire di che si tratta. Schema trilitico: due elementi verticali dove si appoggia orizzontalmente il terzo elemento (architrave o giogo). La combinazione di più strutture/pareti secondo tre assi di riferimento dello spazio (x, y, z) realizzava il vano la cui moltiplicazione dava luogo all’edificio complesso. Così tutto l’organismo lavorava almeno nelle grandi linee, a presso flessione nelle membrature orizzontali e a compressione in quelle verticali. L’estensione della struttura, implicava problemi di equilibrio nella distribuzione dei carichi e quindi nella ripartizione delle tensioni interne alle membrature. Lo schema trilitico comportava dunque che almeno un elemento lavorasse in parte a trazione-; l’inconveniente maggiore era che tutti i materiali da costruzione disponibili in antico, erano molto resistenti alla compressione ma assai poco alla trazione se si escludono il ferro e il legno. Il problema perciò era quello di individuare un procedimento costruttivo che assecondasse la resistenza alla compressione comune ai materiali da costruzione. L’elemento adatto era l’arco che permette di sfruttare appieno le qualità di tutti i materiali da costruzione. E lavora solo per compressione. A Roma si usava sin dal III secolo a.C. Abbiamo detto che il limite della copertura delle luci con lo schema trilitico coincideva con quello dell’elasticità del materiale impiegato e che il superamento di questo limite si potè ottenere solo ricorrendo a un diverso modo di scaricare le spinte a terra. I carichi gravanti si distinguono in: - Carichi permanenti (statici): continui perché interni alla costruzione stessa. Sono dovuti al peso proprio della struttura portante e a quello della parte decorativa e di rifinitura. - Carichi accidentali (dinamici): continui perché estranei all’organismo. Determinati dai movimenti del terreno, agenti atmosferici. Si comprendono in loro anche assestamenti da ritiro delle malte, quelli del terreno fondale, le dilatazioni per escursione termica. - Carico di sicurezza: si ha quando la somma dei carichi permanenti e di quelli accidentali resta al di sotto della capacità di resistenza del materiale. - Carico concentrato: esercitato sulla struttura da elementi a sezione ristretta. - Carico ripartito: forze distribuite su larghe superfici - Carico di punta: il peso si esercita su un solido fortemente sproporzionato nel rapporto tra sezione trasversale e altezza. L’iter della progettazione procede dall’alto verso il basso, quindi: copertura, alzati e fondazioni. COPERTURE  sistema non spingente Tutte le strutture capaci di trasmettere carichi verticalmente (trilitico)  schema architravato. Sollecitazione: compressione di elementi verticale presso flessione orizzontale. Architrave sollecitato dalla spinta strutturale e da se stesso  deformazione sezione superiore, compressione a quella inferiore, trazione in mezzo all’asse neutro, tale lesione perpendicolare all’asse si aprirà nel basso. Prisma triangolare  ci permette di capire il carico che grava sull’architrave. Se c’è un solaio sopra l’architrave il carico di questo che grava sull’architrave è solo quella che interseca il prisma. Legno  avendo fibre parallele sua resistenza meccanica dipende dal verso della sollecitazione. Materiale molto utilizzato ma poi sostituito con pietra e marmo. Pietra  più fragile come materiale, si usa per l’arco di scarico oppure si sovrappone un ulteriore architrave curvato  piattabanda di scarico Copertura lignea Solaio ligneo copertura piana a terrazza. Il solaio aveva una pavimentazione a semplici tavole o muratura. Cassettoni mobili  spazio superiore vivibile: controsoffitto. Solaio 2 tipi di vincolo: incastro con le travi collocate in appositi alloggiamenti a parete; appoggio semplice a mensole di pietra. Copertura lignea a falde spioventi Linea dispulvio  concava Linea di compulvio  convesso Linea di colmo  linea di cima Linea di gronda  grondaia - profilarlo a gradoni - realizzarlo in verticale e armarlo con sbadacciature  due pareti contrapposte fatte con un tavolato orizzontale contro terra e travi verticali all’interno. Le fondazioni si dividono in varie categorie: - In base alla profondità  fondazioni immediate: si poggiano su piani consistenti; fondazioni profonde  penetrano molto nel terreno. - In base alla planimetria fondazioni discontinue  limitate a singoli piloni allineati; fondazioni lineari semplici  ripropongono lo schema planimetrico dell’edificio; fondazioni lineari con raccordi  mostrano legamenti al piano fondale senza corrispondenza nell’alzato; fondazioni a piattaforma omogenea  ha un nucleo compatto di calcestruzzo senza vuoti all’interno; fondazioni a telaio  quando il terreno cattivo imponeva la realizzazioni di cassoni in calcestruzzo aperti in alto e riempiti di materiale di riporto; fondazioni a telaio con copertura massiva  come prima ma con raccordi di archi o volte in serie; fondazioni a pozzi e barulle  quando si scavano pozzi profondi e si riempivano di muratura e i plinti raccordati da archi di scarico affogati in una struttura continua di calcestruzzo. - In base alla struttura fondazioni a secco di pietrame irregolare  fatte con materiale di scarto. Tipiche di scarsissimo impegno statico o dei muretti di recinzione; fondazioni a secco di blocchi squadrati  piano di spiccato più stretto di quello di appoggio; fondazioni in calcestruzzo  riempivano il cavo di fondazioni di calcestruzzo. - In base al modo di costruzione Fondazioni con cortina a faccia vista; fondazioni in cavo libero  il calcestruzzo si immetteva nella trincea priva di armatura, quando il terreno era sufficientemente affidabile e lo scavo poco profondo; fondazioni in cavo armato  sistema più diffuso soprattutto per le fondazioni profonde; fondazione mista di conglomerato con o senza cortina  la parte inferiore delle fondazioni era fatta in calcestruzzo in cavo armato fino alla quota di interro del momento, la parte superiore con le cortine come se fosse una faccia vista; fondazioni su palafitta; fondazioni subacquee  dovendo gettare fondazioni in acqua era necessario realizzare un dispositivo capace di impedire il dilavamento della malta. I procedimenti differivano se si disponeva di malta idraulica (pozzolanica) oppure no. Stabilito il luogo delle fondazioni si calavano in acqua dei cassoni fatti con travi di quercia incatenate con traverse e si ancoravano saldamente sul fondale con saettoni. Poi si gettava la muratura fino a riempire completamente la cassaforma. Si espelleva acqua e la malta idraulica assicurava il tiro. Lo spessore dei pavimenti fu sempre ragguardevole. Lo spessore complessivo era di due piedi; a partire dal basso si disponeva un primo strato inclinato di pietrisco o di cocciame. Al di sopra si stendeva uno strato di carboni ben costipati e poi ancora un masso di conglomerato formato di calce e sabbione misto a carbonella e ben livellato. Il pavimento aveva un colore nerastro e assorbiva i liquidi. Dopo aver fatto il tavolato superiore bisognava proteggerlo con uno strato di felci dai danni che avrebbe potuto arrecare la calce del masso steso al di sopra. Esso era fatta di malta mista a pietrame. Sopra si poneva un battuto di calce e pietrisco di pezzatura. Sopra si disponeva un ulteriore strato composto da 1 parte di calcestruzzo e 3 di frantumi di laterizio a formare il nucleus che serviva da supporto al pavimento vero. Aveva bisogno di cure anche il pavimento delle terrazze su solaio, così per ridurre gli inconvenienti, dopo aver fatto un primo tavolato occorreva farne un altro tessuto ortogonalmente inchiodandoli insieme creando una doppia fodera. Poi si disponeva un conglomerato di 3 parti di caementa e 2 di calce  statuminatio a cui andava sovrapposto il cocciopesto. Per l’umidità, la parete veniva impermeabilizzata dando una sgrossatura di cocciopesto. Per gli intonaci si cominciava a intonacare dall’alto. Alle pareti si dava la sgrossatura e mentre induriva si aggiungeva la malta di calce e arena; poi si applicava un terzo strato e si passava alla rifinitura e poi altre due. Quando la rifinitura era ancora umida, andavano applicati i colori. Il pietrame destinato al nucleo poteva essere grezzo o lavorato. Grezzo a pezzatura naturale: brecciame derivato dalla frantumazione delle rocce dovuta agli agenti atmosferici. Grezzo a pezzatura artificiale: ricavato dalla frantumazione di pietre locali o lavorazione di blocchi di cava. A partire dal I secolo a.C. nelle volte massive si adoperava il tufo. Tra i pietrami da muratura vi erano la pomice. Le pietre si dividono in: - Argillose  mediocre per le murature - Calcaree  adattissime per ricavarne calce - Gessose  fragili quindi inadatte per la muratura - Silicee  impiego diffuso - Tufi  apprezzabili caratteristiche meccaniche Mattoni cotti: i primi esempi di cortina laterizia furono confezionati con frammenti di tegole smarginate e furono preceduti da strutture di tegole intere legate con malta di argilla. I laterizi erano fabbricati con argilla impastata con acqua, sabbia, paglia o pozzolana. Di solito veniva fatta di forma quadrata. I mattoni venivano fatti asciugare al sole, poi l’essiccamento proseguiva al coperto, infine cuocevano a 800 gradi. La loro qualità dipendeva oltre che dall’impasto anche dalla cottura. Ogni cottura dava qualità diverse di mattoni: - Ferrigno  troppo cotto, legava male con le malte e veniva usato nelle fondazioni e nei nuclei murari; - Forte  adatto per gli archi, volte, punti di maggiore sollecitazione e in acqua; - Dolce  qualità discreta adatto alle cortine esterne ma non in ossature sollecitate né in acqua; - Albasio  non risultava cotto a sufficienza. Si usava per lavori provvisori o per muri interni o per muri interni, comunque non soggetti a carichi o spinte. Le caratteristiche positive che favoriscono la diffusione del laterizio furono: la forma regolare, il peso minore di quello di pari resistenza e la struttura è controllabile. I romani usavano il mattone per le facce esterne dell’edificio (cortine). La calce: si otteneva attraverso la cottura di una delle tante varietà di pietra calcarea. I tipi di calce sono due: - Aerea  capace di far presa solo a contatto con l’aria; - Idraulica  faceva presa sia nell’aria sia nell’acqua; alla cottura si liberava anidride carbonica con contrazione del peso iniziale. Restava ossido di calce detto “calce viva”. La calce viva veniva messa in vasche di spegnimento e immersa nell’acqua. Una parte dell’acqua evaporava e il resto veniva assorbito dalla calce. A ciclo concluso si aveva la calce spenta. Dalla calce spenta con aggiunte di acqua si ottiene: - Grassello - Latte di calce - L’acqua di calce Poi la calce si distingue in due tipi: - Calce grassa  deriva dal calcare puro. Adatta per gli impieghi in luoghi coperti o per gli intonaci. Tirava molto lentamente. - Calce magra  deriva dal calcare impuro e non si gonfiava troppo durante lo spegnimento. La malta: la malta comune è un impasto di sabbia, grassello e acqua. Si ha la malta grassa quando nell’impasto c’è poca sabbia e magra (presa più rapida) nel caso contrario. La presa o tiro è l’insieme dei fenomeni presentati dalla malta dopo la messa in opera e che determinava la saldatura con le varie pietre del conglomerato. La presa avveniva per fasi: - Periodo di essiccamento  la malta perdeva l’acqua d’impasto; - Periodo di carbonatazione  calce spenta si convertiva in carbonato di calcio combinandosi con l’anidride carbonica dell’aria. - Periodi di cristallizzazione del carbonato di calcio con la quale si raggiunge la saldatura e il consolidamento del composto. Il calcestruzzo: opus caementicium. Da solo l’impasto è usato quasi sempre nelle fondazioni ma di regola era adoperato come nucleo interno dei muri. Il cocciopesto: impasto di calce, sabbia o pozzolana e frantumi di laterizio. Caratteristiche idrauliche favorite dalla pozzolana sia dal tritume di laterizio. Utilizzato come rivestimento di murature o masso pavimentale. L’opus signinum: viene considerato una malta, differentemente dal cocciopesto che è compreso tra i calcestruzzi. È resistente all’azione dell’acqua  grazie alla battitura che conferiva all’impasto una compattezza elevatissima. Ha calce molto forte, arena, pietrame duro, sabbia, calce. Muratura di pietrame naturale a pezzatura irregolare: rientra l’opera cementizia pura e semplice, incerta, a ciottoli  forma degli scapoli. Muratura di pietrame a pezzatura irregolare: rientra il reticolato, la spinapesce verticale, muratura a blocchetti. Standardizzazione del materiale che rendeva più fluido il lavoro di tessitura delle cortine. Muratura di pietrame naturale e artificiale a pezzatura varia: cortine composte di assise di blocchetti di tufo. Muratura a secco: in questa categoria rientra l’opera poligonale e quella quadrata.