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L'età Giulio-Claudia, Fedro e Seneca, Appunti di Latino

L'età Giulio-Claudia, Fedro e Seneca

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 27/08/2021

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Scarica L'età Giulio-Claudia, Fedro e Seneca e più Appunti in PDF di Latino solo su Docsity! L'ETÀ GIULIO- CLAUDIA Alla morte di Augusto, nel 14 a.C., quest'ultimo non aveva enunciato espressamente nessuno criterio per la successione. Il princeps non ebbe figli maschi, ma solo una figlia Giulia che gli diede due nipoti maschi, nati dal secondo matrimonio con Agrippa, il primo marito Marcello era morto nel 23 a.C. Nel 39 a.C. Ottaviano Augusto aveva divorziato dalla prima moglie Scribonia per sposare Livia Drusilla, già madre di due figli, Tiberio e Druso, nati dal precedente matrimonio con Tiberio Claudio Nerone. Ma Druso morì precocemente nel 9 a.C, e la stessa sorte toccò ai figli di Giulia, Lucio Cesare e Gaio Cesare (nel 2 d.C e nel 4 d.C): ad Augusto non rimase altra scelta che adottare Tiberio come suo successore, fargli conferire la potestas tribunicia e l'imperium proconsulare maius et infinitum e lasciargli in eredità gran parte dei suoi beni. Nel 14 a.C alla morte di Augusto, il Senato confermò la successione di Tiberio, con lui, discendente per nascita dalla gens Claudia, ebbe origine la dinastia giulio-claudia. | PRINCIPATI DI TIBERIO CALIGOLA E CLAUDIO Tiberio: politica filosenatoria e conservatrice Tiberio, figlio adottivo, della seconda moglie, fu princeps dal 14 al 37 d.C. Apparteneva per nascita alla famiglia dei Claudi, famiglia dell'aristocrazia senatoria conservatrice, sarà anche lui un conservatore. Nella prima fase del suo principato seguì una linea politica moderata. Riuscì ad ottenere l'appoggio dei senatori però attuò anche una politica di risparmio, austerità, rigore. Questa politica non è però ben vista dal popolo. Durante in suo principato si iniziò a parlare del suo successore. Il figlio naturale di Tiberio è Druso Minore, però il figlio di Druso maggiore (il quale ebbe grande fama di condottiero, era molto amato dal popolo e dalle truppe) cominciò ad avere molto seguito a Roma, Germanico (nipote di Tiberio). Le simpatie dell'esercito andavano proprio a Germanico. Nel 19 d.C. muore Germanico, in circostanze non chiare. Molti diedero la responsabilità di questa morte a Tiberio, pensando che egli volesse favorire suo figlio Druso minore. Tiberio (14-37) inizia a vedere complotti ovunque, lesa maestà a chiunque fosse suo nemico. Diventò ossessivo tanto che si ritirò a Capri nel 27 d.C. fino al 37 quando morì, quindi egli non ci fu a Roma per 10 anni. Alla sua morte c'era come erede diretto Druso minore, però continuava l'affetto e la stima verso Druso maggiore. Quindi si indirizzarono verso Gaio Cesare, figlio minore di Germanico soprannominato Caligola (cognomen) per le calzature che portava quando era ragazzo. Il senato dal 37d.C. confermò la nomina di Caligola (37-41) come princeps. Caligola: principato assolutistico di stampo orientale Egli si distaccò dal suo predecessore, voleva creare una monarchia assoluta e orientale aspirando alla divinizzazione del princeps, il suo intento era di arrivare a un culto divino sia per sé che per i suoi familiari. Il comportamento fu sempre più stravagante e perverso, sperperando somme ingenti per donazioni al popolo e per opere di abbellimento edilizio per introdurre i culti orientali. Fece uccidere parenti e amici che considerava a lui poco favorevoli confiscando i loro patrimoni creando un clima di terrore in tutto l'impero. Dopo 4 anni di principato, nel 41 d.C. viene assassinato da un complotto di pretoriani. Questi pretoriani, senza attendere la decisione del senato, acclamano imperatore il fratello di Germanico: Tiberio Claudio Nerone (41d.C. - 54d.C.) a 51 anni. Claudio: politica equilibrata e romanizzazione delle province Egli era lontano dalla scena politica, era dedito alla letteratura, Livio fu il suo precettore. Ebbe come obiettivo quello di ricreare l'equilibrio tra le diverse forze sociali, come nella tradizione. Il suo principato fu uno dei periodi più felici della prima età imperiale per la sua politica di govemo e economica. Fece un notevole ampliamento del dominio romano, con l'annessione della Mauritania, Tracia, Licia e Britannia Meridionale. Si occupò del governo delle provincie romanizzandole, consenti la cittadinanza ai provinciali e aprì agli stranieri soprattutto orientali le porte della vita politica romana (concedere il diritto di voto, partecipare alla vita pubblica...). Rese più efficiente l'apparato burocratico, con l'assegnazione degli incarichi finanziari e giudiziari ai liberti della casa imperiale spesso di origine greca. Questi provvedimenti suscitarono il malcontento dell'aristocrazia e cominciarono degli “intrighi” di corte a causa della circolazione di molti soldi. La sua quarta moglie Agrippina lo indusse ad adottare Nerone (figlio di Agrippina, nato dalle sue precedenti nozze) e dargli in moglie la figlia di Claudio: Ottavia. Essi si sposano e nel 54 d.C. Claudio morì improvvisamente forse avvelenato da Agrippina. Il prefetto pretoriano Burro probabilmente l'aveva aiutata nella congiura contro Claudio, affiancò nei primi 5 anni del principato di Nerone. Il principato assolutistico di Nerone e la fine della dinastia giulio-claudia Il principato di Nerone (54 d.C.-68 d.C.) si divide in due fasi: | primi 5 anni furono molto illuminati, anni molto sereni per l'impero, con una politica moderata, anche se c'erano spiccati punti assolutisti (verso l'imperatore che il princeps) fino al 58 d.C. Seneca era il precettore. Nel 59 d.C. inizia una nuova fase, c'è una mutazione di orientamento verso l'assolutismo dispotico (dispotico= instaura un clima di terrore). Iniziato con l'assassinio del fratello, della madre Agrippina e Burro, morto in circostanze non chiare e lo fa sostituire da Tigellino, un altro prefetto molto ostile a Seneca. Seneca era un filosofo stoico (senza passioni) era stato un consigliere di Nerone, anche per questo probabilmente la politica fu moderata. Anche Seneca venne allontanato e morì. Nerone si libererà anche della moglie Ottavia facendola prima relegare e poi uccidere. Tacito, storiografo di età imperiale e della letteratura latina di orientamento filo senatorio, descrive Nerone come un tiranno molto sanguinario. Nerone fece una riforma monetaria. Le monete erano coniate in oro “aurei" e argento “denari”. Egli alleggerisce le monete d'oro, coniandoli più sottili e dando più valore alle monete d'argento. Questo diede più forza ai piccoli risparmiatori che avevano più monete d'argento, potevano investire e ci fu un notevole ristoro nelle casse dello stato. Politica estera di consolidamento delle province: in occidente fu sedata una rivolta dei Fedro ribadisce di aver preso spunto da Esòpo ma inserisce qualcosa di suo, per arricchire e diversificare gli argomenti. Inoltre assicura che continuerà ad attenersi al criterio della brevitas. La varietas e la brevitas sono i capisaldi della poetica fedriana. La varietas serve per superare gli schemi ripetitivi e un po' angusti della favola animalesca, e si manifesta chiaramente nel passaggio dal | libro, quasi interamente dominato dagli animali parlanti, ai successivi, in cui compaiono spesso altri personaggi (Esòpo, Socrate, divinità dell'Olimpo, la vedova, il soldato). Fedro, pur adottando uno stile semplice e piano, adeguato agli argomenti non elevati, non rinuncia affatto alla cura e all'elaborazione stilistica, ma si attiene al criterio della brevitas. La brevitas si manifesta specialmente nei dialoghi, scritti in un linguaggio colloquiale che talvolta assume movenze efficacemente realistiche. Essa ottiene inoltre risultati assai felici in alcuni brevissimi componimenti che si presentano come rapide e vivaci istantanee. (Applicazione del criterio della brevitas) Nei detti proverbiali si attua una forte concentrazione espressiva. Caratteristica della favola è la presenza della “morale”, spiegandone il significato allegorico o simbolico. La visione e l'interpretazione della vita che emergono dalle favole corrispondono in generale al punto di vista degli umili, dei poveri, degli esclusi dal potere. Fedro è consapevole della carica di protesta sociale insita nel genere (riferimento implicito allo schiavo Esòpo). Il tono non è satirico ma moralistico, l'intento moralistico e pedagogico è rivolto contro i difetti e gli errori umani, denunciando i vizi e attaccando i colpevoli. La “morale” che si ricava dal complesso delle favole è infatti piuttosto amara e pessimistica (il più forte schiaccia il più debole). Il povero e il debole se vogliono sopravvivere devono saper stare al loro posto, accettando le regole del gioco e cercando nella prudenza e nell'astuzia i mezzi per difendersi dall'ingiustizia e dalla prepotenza. L'atteggiamento disincantato è espressione della saggezza popolare. Il male è inevitabile e difficilmente si contrasta. Fedro inserisce spunti diatribaci come l'affermazione del valore della libertà (bene più prezioso, da anteporre ad ogni vantaggio materiale). La parte del leone La favola, narra che un giorno una mucca, una capra e una pecora fecero un'alleanza con il leone, perché speravano di trame vantaggio nella caccia. Tutti insieme catturarono un cervo di grandi proporzioni. Il leone fece quattro parti e poi disse ai suoi alleati: «La prima parte la prendo io, perché sono il re; mi darete la seconda perché sono uno dei soci; la terza mi spetta perché sono il più forte; capiterà un grosso guaio poi a chi oserà toccare la quarta». E così il prepotente leone prese per sé tutte le quattro parti. | tre deboli alleati, invece, dal momento che non osavano replicare di fronte alla forza del leone, rimasero a bocca asciutta. Morale: la favola vuole dimostrare che l'alleanza con i potenti non è mai conveniente, visto che si è immancabilmente sopraffatti da loro. La volpe e la cicogna Un giorno una volpe invitò a cena una cicogna e le offrì del cibo liquido contenuto in un piatto. La cicogna, sebbene avesse molto appetito, non potè gustare nulla. Dopo qualche giorno, la cicogna invitò la volpe; preparò un vaso dal collo lungo pieno di cibo triturato. La cicogna, introducendo il becco si saziava, ma la povera volpe, sebbene affamata, non potè toccare cibo. E poiché la volpe continuava inutilmente a leccare il collo del vaso, la cicogna le disse: «Ognuno deve sopportare con rassegnazione ciò di cui ha dato l'esempio». Morale: se uno fa del male, c'è pericolo che lo subisca in egual misura. SENECA La vita Lucio Anneo Seneca figlio del Retore Lucio Anneo Seneca, apparteneva a una ricca famiglia provinciale di rango equestre. Nacque a Cordoba, in Spagna, nel 4 a.C; fu condotto a Roma dove si svolse la sua istruzione retorica e filosofia. Pur avendo fatto con entusiasmo e convinzione, la scelta della vita contemplativa, egli l'abbandonò per non dispiacere a suo padre; intraprese infatti il cursus honorum e rivestì la questura. Le sue eccezionali qualità oratorie, subito riconosciute e ammirate, lo destinavano a una brillante carriera. Tuttavia i suoi rapporti con gli imperatori furono difficili fin dall'inizio. Caligola gli fu talmente ostile da progettare di farlo uccidere e da desistere dal suo proposito soltanto perchè convinto da una donna, che Seneca era malato gravemente e che sarebbe morto in breve tempo. Claudio, nell’anno 41 a.C. istigato dalla moglie Messalina, lo accusò di adulterio con Giulia Livilla (sorella di Caligola, odiata da Messalina) e lo condannò all'esilio in Corsica. Nel 49 d.C. Agrippina, la madre di Nerone, lo richiama perché faccia da precettore al figlio; a svolgere una funzione di guida è pure il prefetto del pretorio Afranio Burro. Nel 54 d.C, alla morte di Claudio, Seneca si trova di fatto a reggere le sorti dell'Impero con Agrippina, nelle vesti di consigliere del nuovo imperatore Nerone, non ancora diciottenne. Dopo alcuni anni di buon governo, la situazione a corte si fa insostenibile. Nel 59 Nerone, già da tempo in rotta con Agrippina, fece uccidere la madre. Seneca rimase al fianco di Nerone anche dopo il matricidio Tuttavia la sua posizione si fece sempre più debole per l'insofferenza di ogni freno da parte del principe. Numerosi sono i segni della fine di un periodo: la morte di Afranio Burro avvenuta nel 62; il ruolo sempre più importante svolto da Poppea (sposata da Nerone in quello stesso anno dopo l'uccisione di Ottavia) e da Tigellino, il nuovo prefetto del pretorio. Seneca, accortosi di non poter più giocare alcun ruolo nella vita politica, nel 62, si ritira dall'attività pubblica per dedicarsi agli affetti famigliari e agli studi. Nell'aprile del 65 d.C. è accusato di aver partecipato alla congiura dei Pisoni e gli è imposto di uccidersi. Egli affrontò la morte, secondo il racconto di Tacito, con coraggio, serenità e nobiltà d'animo, ispirandosi all'esempio delle “morti filosofiche” di Socrate e di altri grandi sapienti del passato. Seneca è autore di opere filosofiche, politiche, scientifiche e drammatiche. | Dialoghi Le caratteristiche Un gruppo di testi di argomento filosofico ci è pervenuto sotto il titolo complessivo di Dialoghi. Si tratta di dieci opere per un totale di dodici libri (nove sono in un libro solo; una, il De Ira, è in tre libri). In realtà quelli di Seneca non sono veri dialoghi, nei dialoghi senecani, l'autore parla sempre in prima persona, avendo come unico interlocutore il dedicatario dell'opera. L'impianto dei cosiddetti dialoghi di Seneca non corrisponde dunque a quello dei dialoghi veri e propri, ma risente l'influsso di un'altra tradizione, quella della diatriba cinico-stoica, con cui condivide l'impostazione vivacemente discorsiva, la tendenza a rivolgersi direttamente al destinatario immaginando di avviare con lui una discussione, e specialmente la frequente introduzione delle domande e delle obiezioni di un interlocutore fittizio, che non sempre di identifica con il dedicatario. | dialoghi di impianto consolatorio - Consolatio ad Marciam ("Discorso consolatorio rivolto a Marcia") Seneca si propone di consolare Marcia, una donna dell'alta società romana, sofferente già da tre anni per la perdita del figlio Metilio. L'opera si inserisce nella tradizione della “consolazione” filosofica. Seneca si impegna nella dimostrazione che la morte non è un male, svolgendo sia la tesi della morte come fine di tutto sia quella della morte come passaggio a una vita migliore. Conclude infine l'ampia trattazione con l'elogio di Metilio e con la sua apoteosi, immaginando che il nonno Cremuzio lo accolga in cielo, nella sede riservata alle anime degli uomini grandi. L'opera ha carattere spiccatamente retorico sia nei temi, sia nello stile molto elaborato e sostenuto. - Consolatio ad Helviam (“Discorso consolatorio rivolto alla madre Elvia") L'opera ha come destinataria la madre dell'autore, che soffre per la sua condanna e per la sua lontananza. Il filosofo si propone di consolarla dicendo che l'esilio non è un male, nonostante le apparenze, infatti il saggio ha come patria l'intero mondo. Successivamente il poeta introduce la questione introducendo dei temi più personali: esorta la madre a vivere serena nell'affetto dei suoi famigliari e a pensare che il figlio vive sereno in esilio con la sua filosofia. - Consolatio ad Polybium L'opera è rivolta a un liberto dell'imperatore Claudio, in occasione della morte di un fratello. Trattandosi di una consolatio mortis, la parte argomentativa ricalca i luoghi comuni della letteratura consolatoria già sviluppati da Seneca nella “Consolatio ad Marciam”. La clemenza contraddistingue il rex iustus (il re giusto e buono) rispetto al tiranno. Il re buono e clemente instaura infatti con i sudditi un rapporto paterno: punisce malvolentieri, solo quando è indispensabile, e sempre per il bene dei sottoposti, che lo contraccambiano con sincero affetto, devozione e fedeltà. Seneca sostituisce alla giustizia la clemenza come principale virtù politica e legittima la costituzione di uno Stato monarchico che è più corrispondente alla concezione stoica; in un tale regime, però, l'importante è avere un buon sovrano e dunque si rivela fondamentale la filosofia come base della direzione dello Stato. La figura di Nerone è idealizzata. E' altrettanto evidente, tuttavia, il carattere astratto e utopistico di tale programma politico, perché identifica l'imperatore con il saggio storico. - Il De beneficiis Il De beneficiis è un trattato in 7 libri dedicato all'amico Ebuzio Liberale. Seneca dà precetti particolareggiati sul retto modo di fare e di ricevere benefici, da lui presentati come il fondamento della convivenza civile e della vita sociale. Sono svolti, i temi dell'aiuto reciproco, dei doveri del superiore verso gli inferiori, della liberalità, della riconoscenza e dell’ingratitudine. - Le Naturales quaestiones Negli anni del ritiro furono scritte le Naturale quaestiones, un trattato di scienze naturali in sette libri, dedicato a Lucilio. In particolare, l'opera senecana tratta di argomenti meteorologici (fuochi celesti, tuoni, fulmini, le acque, le inondazioni del Nilo). Seneca si propone uno scopo essenzialmente morale, esplicito nelle prefazioni, negli epiloghi e nelle digressioni; egli mira infatti a liberare gli uomini dai timori che nascono dall'ignoranza dei fenomeni atmosferici e a insegnare loro il retto uso dei beni messi a disposizione dalla natura. Egli deplora più volte che la stragrande maggioranza degli uomini trascuri lo studio della natura per darsi a occupazioni moralmente utili e nocive. Viene esaltata più volte la ricerca scientifica, considerata come il mezzo con cui l'uomo può innalzarsi al di sopra di ciò che è puramente umano ed elevarsi fino alla conoscenza delle realtà divine. Nel concludere l'opera, Seneca si augura che gli uomini si impegnino maggiormente nello studio dei fenomeni naturali ed esprime la certezza che in un futuro, il progresso scientifico porterà alla luce verità ancora ignote. Le Epistole a Lucilio Le caratteristiche Le Epistulae morales ad Lucilium sono l'opera filosofica più importante di Seneca, in cui egli esprime la sua visione della vita e dell'uomo. Si tratta di una raccolta di lettere scritte dopo il ritiro dall'attività politica, dal 62 al 65. Si sono conservate 124 lettere distribuite in venti libri. Il destinatario è Lucilio luniore, amico di Seneca. Egli assume nei confronti dell'amico più giovane l'atteggiamento del consigliere e del maestro, per aiutarlo a raggiungere la sapienza che tuttavia ammette egli stesso di non possedere ancora, ma di cercare faticosamente giorno per giorno, in un incessante processo di autoeducazione. In realtà egli scrive per giovare non solo all'amico e a se stesso, ma anche e soprattutto ai posteri. E' il primo epistolario letterario, nel senso che sono state scritte con il preciso scopo di essere pubblicate. Ciò non significa tuttavia che le lettere senecane siano fittizie: scrive realmente dialogando con l'amico, ma sa già che tutte queste lettere comporranno un'opera. Uno dei tratti caratterizzanti del genere epistolare era il riferimento personale a fatti, circostanze e occasioni della vita quotidiana usati in funzione morale. Un altro tratto tipico del genere epistolografico è il tono dell'esposizione colloquiale e informale. Tipica del sermo è l'assenza di sistematicità nella trattazione della materia, evidente sia all'interno delle lettere, sia nella disposizione di esse all'interno della raccolta. Il filo conduttore nello sviluppo è la progressiva crescita del destinatario, rende merito al suo amico di una buona crescita intellettuale. La scelta dell'’otium rappresenta una meta da raggiungere, il filosofo infatti esorta Lucilio, a lasciare le occupazioni politiche e i relativi doveri sociali, per dedicarsi esclusivamente allo studio e alla pratica della sapienza. | contenuti Otium e secessus sono i temi conduttori dell'epistolario e costituiscono alcuni elementi essenziali del messaggio morale che l'autore vuole trasmettere. Seneca ha capito infatti che solo nella sapientia risiedono la vera gioia e i veri valori e che essa si può realizzare soltanto impegnandosi totalmente nella lotta contro le “passioni”, cioè gli impulsi e i desideri irrazionali che da ogni parte aggrediscono e minacciano l'uomo, privandolo della pace dell'anima. La dottrina filosofica che segue è quella stoica però non esita a criticare alcuni aspetti dello stoicismo e ad appoggiare l'epicureismo. Il tempo e la morte sono altri temi dominanti, Seneca si prepara a morire, convinto che liberarsi della paura della morte sia compito precipuo del filosofo: chi ha realizzato il vero scopo dell'esistenza, ossia la virtù, è pronto a morire in qualsiasi momento, senza rimpianti né timori; egli infatti ha raggiunto la perfetta libertà da ogni condizionamento esteriore, ha conquistato l'autarkeia propria del saggio. La morte poi non è temibile; è la liberazione dei mali. Uno dei temi ricorrenti è la ricerca dell'essenza della divinità e la sua presenza nella natura e nell'uomo, in accordo con la filosofia stoica che concepisce la divinità come intelligenza dell'universo (logos). Lo stile della prosa senecana Il tono e il linguaggio sono colloquiali. Seneca mira al coinvolgimento emotivo del lettore a fini persuasivi. Lo Stile è concettoso, pregnante e gnomico (concentrato sulla sententia). Prevalgono la paratassi e l'asindeto, sono frequenti le figure della ripetizione. Sono presenti anche le figure proprie della concinnitas (antitesi, parallelismo e altre figure retoriche). Le frasi spesso sono corte: minimo di parole con il massimo di significato. Caligola e Quintiliano giudicano negativamente lo stile di Seneca. Le Tragedie | contenuti Sono composte per le recitationes, non per le rappresentazioni teatrali vere e proprie. Sono 10 (9 di argomento mitologico), di cui 2 spurie (attribuite a lui ma non realmente scritte da lui). 2 spurie: 1-"Octavia" è una praetexta di argomento latino e contiene un riferimento alle circostanze della morte di Nerone che avviene dopo quella di Seneca. 2-“Ercole sull'Eta”, spuria perché molto lunga. Le altre 8 tragedie riprendono miti già trattati dai grandi tragici greci del 5 secolo: Agamennone, Ercole furioso, Medea, Edipo, Fedra (innamorata del figliastro Ippolito), Fenicie, Tieste (trama parla del tiranno Atreo adirato contro il fratello Tieste che gli ha sedotto la moglie),Le Troiane. Quelle più riuscite sono: Fedra, Medea, Tieste e Le Troiane. Le caratteristiche La cronologia dei testi di Seneca è incerta, molto probabilmente le scrive nel periodo in cui affiancava Nerone come precettore e poi come consigliere. Il problema cronologico era legato al significato che Seneca dava alle sue opere. Tirana, principale critico di Seneca, afferma che in ogni tragedia c'è un tiranno raffigurato con termini negativi, e deduce che il suo “o è un teatro di opposizione, o di esortazione”. Seneca però non è mai stato un contestatore politico tanto da piegarsi a Claudio nonostante l'avesse esiliato”; le parti antitetaniche venivano approvate solo se rivolte al potere come paradigmi negativi di un discorso di ammonizione. L'unico modo per giustificare le sue tragedie era di attribuire alla poesia uno scopo pedagogico, di fame uno strumento di ammaestramento morale. Le tragedie venivano composte per far vedere al principe gli effetti deleteri del potere dispotico e delle passioni sregolate, bisogna allontanarsi il più possibile dalle passioni. Le tragedie sono state scritte per essere lette nelle sale di recitazione (case private per un pubblico selezionato); scelte in base alle loro caratteristiche tecniche, contrastanti con quelle del teatro antico (i delitti orribili si fingevano compiuti direttamente sulla scena). Gli imperatori non consentivano la rappresentazione, dinanzi ad un pubblico vasto e indiscriminato, di drammi, come questi in qui i sovrani venivano rappresentati come odiosi tiranni AI centro di tutte le trame tragedie c'era lo scatenarsi delle passioni, non dominate dalla ragione, che ci portano a drastiche conclusioni (es. Medea, es. Tieste). Il significato pedagogico e morale si individua nell'intenzione di proporre esempi paradigmatici dello scontro nell'animo umano di impulsi contrastanti, positivi e negativi: -la ragione, di cui portavoce sono i personaggi secondari (nutrici) che provano a dissuadere il personaggio principale in preda al furor; -furor: (impulso irrazionale, passione incontrollata) che, in accordo con la dottrina morale stoica, viene presentata come una manifestazione di pazzia poiché stravolge l'animo. Viene dato molto spazio al furor e questo va oltre le esigenze imposte dal genere tragico. Seneca nelle sue tragedie da' molta importanza agli aspetti più macabri e rappresentanti, che sono più funzionali al valore di esemplarità negativa che i personaggi tragici