Scarica L'idea del tempo nella letteratura greca e latina e più Tesine di Maturità in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! L'idea del tempo nella letteratura greca e latina Indice 1. Origini del tempo 1.1 Parole per descrivere il tempo 1.2 Teogonia 1.3 Opere e Giorni 2. Concezioni filosofiche del tempo 2.1 Anassimandro, Eraclito 2.2 Platone, Aristotele 2.3 Scuola stoica 3. Marco Aurelio 3.1 Vita 3.2 A se stesso 3.3 Testo e traduzione 4. Sant’ Agostino 4.1 Vita 4.2 Confessiones 4.3 Testo e traduzione S. Seneca S.1 Vita 5.2 De brevitate vitae 6. Considerazioni personali 1. Origini del tempo 1.1 Parole per descrivere il tempo Gli antichi greci utilizzavano diverse espressioni per descrivere l’idea del tempo, aventi ognuno un’accezione diversa: ypévoc, ka1péc, adv e eviavtds. Xpovog si riferisce al tempo cronologico e sequenziale in una dimensione quantitativa, un tempo empirico. L'immagine che ci fornisce Esiodo di Crono è quella di un Dio potente e distruttore ma che è al contempo custode dell’ordine del mondo, come se l'armonia e la civiltà fossero in grado di andare oltre il tempo. Kaipòg è il tempo nel mezzo, un momento in un periodo di tempo indeterminato in cui qualcosa accade. La sua natura, a differenza di yp6voc, è puramente qualitativa. Iconograficamente viene raffigurato come un giovane con ali ai piedi, un lungo ciuffo e calvo sulla nuca. Il tempo da lui rappresentato sembra fugace, come se rimandasse azioni che vanno colte senza esitazioni. A1òv descrive il tempo eterno, trascendente e assoluto. Eviavtéc indica, invece, un tempo fisso e definito. 1.2 Teogonia L'idea del tempo viene introdotta per la prima volta da Esiodo nella Teogonia, la quale narra miti e leggende sulla nascita dell'universo. Al principio vi era solo Caos, un abisso senza fondo; nacque improvvisamente Gea, la terra, e successivamente apparvero Eros, l'amore, Tartaro, luogo di punizione, ed Erebo, la notte. Gea generò da sola Urano, il cielo, con il quale si unì e nacquero dodici Titani, tre Ecatonchiri e tre Ciclopi. Iniziò così il regno di Urano. Egli però odiava i suoi figli e li fece sprofondare al centro della terra. Gea istigò loro di ribellarsi e così fece Crono, il tempo, il più giovane dei Titani: attaccò ed evirò il padre. Urano fuggì via e iniziò il regno di Crono. Egli generò numerose divinità con Rea, sua sorella. Però capì che il suo regno avrebbe avuto una fine per mano dei suoi figli, così li teneva prigionieri nelle sue viscere. Rea riuscì a salvare Zeus e questo, cresciuto, si ribellò al padre. Iniziò una guerra tra divinità e Titani, la quale termino con la vittoria del dio. Sulla sorte che Zeus fece fare al padre vi sono due pareri: il primo è che gli fu concesso di regnare sulle isole dei Beati, ai confini del mondo; per il secondo Crono fu condotto a Tule e sprofondato in un lungo sonno. importanti ma senza la compagnia di coetanei. Il padre morì quando aveva circa nove anni così fu adottato dall'imperatore Antonino e gli successe nel 161. 3.2 A se sti SO Appassionato intellettuale, ci ha lasciato uno scritto in dodici libri intitolato A se stesso o Ricordi: una sorta di diario interiore in cui Marco Aurelio esprime l’anelito a comprendere le cose al di là della loro apparenza. Difatti ciò spiega anche l’utilizzo della lingua greca, che egli riteneva adeguata a esprimere l’interiorità, una sorta di rifugio rispetto alla lingua latina che rappresentava la formalità. L’imperatore-filosofo fa proprie le tesi stoiche dell’ordine divino del mondo e afferma che l’uomo è parte imprescindibile del flusso incessante delle cose: “La realtà è come un fiume che scorre perennemente, le forze mutano, le cause si trasformano vicendevolmente, e nulla rimane immobile”. I pensieri A se stesso sono soprattutto una riflessione sul valore delle azioni; agli interrogativi posti dello scorrere del tempo e della fragilità umana, solo la filosofia poteva offrire qualche risposta. Come se Marco Aurelio si mettesse a nudo, mostrando la propria interiorità, ed è in questo conflitto interiore fra le ragioni del potere e un senso effimero delle cose umane che risiere il singolare e struggente fascino di queste pagine, che racchiudono i concetti fondamentali dello stoicismo: la morte che avviene giorno dopo giorno, la ciclicità del tempo, l’importanza di vivere il presente. Quindi l’imperatore Marco Aurelio sostiene che la vita segue un percorso ciclico in cui gli eventi, qualunque sia il momento storico in cui viviamo, si ripetono allo stesso modo continuamente: hanno un inizio con la nascita ed una fine con la morte; perciò, l’esistenza di ogni uomo è posta sullo stesso piano e non c’è differenza tra colui che vive una vita lunga e chi ne vive una breve. Non conta la lunghezza dell’esistenza, ma come si vive il presente che è l’unica cosa che ci appartiene e su cui abbiamo potere perché il passato è già stato vissuto ed è ormai perduto, mentre il futuro è imponderabile e non può essere modificato né controllato dall’uomo. Bisogna custodire e dare valore al presente perché esso ci può essere tolto, mentre non ha senso preoccuparci del passato e del futuro che non possediamo, per cui non possono nemmeno esserci sottratti. 3.3 Testo e traduzione II, 14 Kàv tpic yiX1a È Proceodat ueXrdns, Kùv Ttocavtàkic pòpia, —Éuog péuvnoo dt oddeic dov drropdiher Biov Î) todtov dv Cfi, oddè dArov Ci fi dv dmoBdMe1. Eic tadtdv odv Kadiotatar = TÒ = uixiotov TO Bpayotdto. TÒ yùp rapòv rdorv ioov iai tò dmodMiuevov odv ioov kai Tò droPariéuevov obTtog dikapratov dvagaivertar. Obte yYàùp tò Tapoyniòg obte Ttò LEdov drtopddor div TIG Ò Yùp oòk Eye, mòg dv TIC TodTo abdtod dpédorto, Tobtov odv tév Sto dei peuvifodar Évòg pév, dt mévta éÉ didiov duoeiò fi kai dvarviiovueva oi odéèv Siapéper métepov év ékatòv Eteov Î év dlarxocioig Î) év TO drsipo tà abdtà TIG Oyetar étepov dé, Òm kai Ò TOAVYPOVIDTATOG Kai è TiXioTa teOméduevog tò ioov drmoBdAher. TÒ fùp rapév éon uévov, od otepioxeoda1 perder, cimep ye Èyer Kai todto uévov Kai Ò pi) Éyer Tg Od dtoRoriet. 4. Sant’ Agostino 4.1 Vita Anche se fossi destinato a vivere se non quella che perde. La vita più breve va verso lo stesso fine con la vita più lunga. Infatti, il presente è uguale per tutti e perciò ciò che perisce è uguale e ciò che si perde appare brevissimo. Nessuno potrebbe perdere infatti né il passato né il futuro: perché ciò che uno non ha, come qualcuno potrebbe toglierglielo? Dunque, bisogna ricordarsi di queste due cose: in primo luogo che tutte le cose (sono) uguali dall’eternità e ripercorrono lo stesso ciclo, non c’è differenza se qualcuno vedrà le stesse cose in cento anni o in duecento o in un tempo infinito; in secondo luogo colui che è destinato a morire vecchissimo e colui che è destinato a morire giovanissimo subito subiscono la stessa perdita. Infatti, il presente è l’unica cosa di cui può essere privato, dato che è l’unica che possiede e nessuno perde ciò che non possiede. Saranno soprattutto con le teorie dei filosofi come Sant'Agostino che avverrà la delineazione di una vera e propria concezione spiritualistica del tempo. Aurelio Agostino nacque a Tagaste, in Numidia, l’attuale Algeria, nel 354 d.C. Il padre era un piccolo proprietario agricolo, pagano, mentre la madre nella piena maturità decise di voler ricevere il battesimo, divenendo cristiana. Egli poté avviare il suo percorso di studi di retorica a Cartagine, nonostante la situazione non agiata della famiglia, grazie al sostegno di un ricco proprietario terriero del paese che apprezzava molto l’intelligenza di Agostino. Conclusi gli studi, tornò nella città natale e iniziò l’ insegnamento di grammatica. Cominciarono i primi contrasti con la madre e le prime manifestazioni di un animo in realtà ribelle, difatti convisse con una ragazza e da questa relazione ebbe un figlio. Fu un adepto del manicheismo, una dottrina fondata sul principio del conflitto tra bene e male. In esso credeva di aver trovato una spiegazione razionale alle domande che egli si poneva, soprattutto sul male che esisteva nel mondo. Leggeva allo stesso tempo Cicerone, sviluppando una profonda crisi spirituale; insegnò poi retorica. Decise di trasferirsi a Roma e poi a Milano e qui incontrò il vescovo Ambrogio. Ascoltando le sue prediche, Agostino iniziò un percorso spirituale in contrasto con il manicheismo e che lo portò alla conversione al cristianesimo. Sarà poi battezzato dallo stesso Ambrogio. Tornò in Africa, dove venne ordinato sacerdote a Ippona e successivamente vescovo della città. Morì nel 430 d.C. 4.2 Confessiones Il corpus agostiniano è molto vasto, una delle opere più importanti sono le Confessiones. Partendo dal nome stesso, il titolo potrebbe essere equivocabile in quanto il termine confessione rivela una materia intima e autobiografica, in realtà per Agostino ha più un aspetto religioso della sua vita, nel quale egli proclama la sua fede. Le Confessioni racchiudono tre aspetti fondamentali: la preparazione immediata a ricevere il perdono di Dio (Confessio fidei); la celebrazione della bontà di Dio (Confessio laudis); la proclamazione dei propri peccati così da poterne essere liberati (Confessio peccatorum). Si può parlare quindi una vera e propria storia dell’anima dell’autore. Il contenuto dell’opera è in tredici libri: con il primo si comincia con i ricordi dell’infanzia; dal libro due al sei dell’adolescenza; dal settimo al nono libro della giovinezza; nel decimo libro Agostino parla dell’importanza della memoria e della forza che possono avere le passioni; l'undicesimo libro si sofferma sul tempo; gli ultimi due libri sono dedicati all’esegesi biblica. L’opera si conclude con l’invocazione della pace eterna. Ci soffermiamo quindi sull’undicesimo libro, in cui, dopo aver letto il primo versetto del Genesi, “In principio Dio creò il cielo e la terra”, Agostino si chiede che cosa facesse Dio prima di creare il cielo e la terra e a riflessione su questo problema diventa oggetto dello stesso libro. La prima conclusione a cui il filosofo giunge nella sua disamina è la distinzione fra l'eternità, che è propria di Dio, e il tempo, che è una categoria ascrivibile solo alla creatura, dunque all'uomo. Si chiede poi che cosa sia il tempo: il tempo contempla passato, presente e futuro, come viene spiegato in XI, 20: «Tempora sunt tria, praeteritum, praesens sua salute. Due anni dopo, nel 41, il successore di Caligola, Claudio, lo condannò all'esilio in Corsica con l'accusa di adulterio con la giovane Giulia Livilla, sorella di Caligola. In Corsica Seneca restò fino al 49, quando Agrippina lo scelse come tutore del figlio Nerone. Seneca accompagnò l'ascesa al trono del giovane Nerone e lo guidò durante il suo governo. La speranza di fare del giovane principe un sovrano esemplare si rivelò ben presto un’ illusione: nel 59 Nerone face uccidere la madre, Seneca rimase al fianco di Nerone anche dopo il matricidio. La sua posizione si fece sempre più debole a causa dell’insofferenza del principe e, temendo per la propria vita, Seneca nel 62 si ritirò a vita privata adducendo ragioni di età e di salute, donando a Nerone tutti i suoi averi e dedicandosi interamente ai suoi studi ed insegnamenti. Nel 65 fu accusato di complicità nella congiura pisoniana e ricevette l'ordine di togliersi la vita. 5.2 De brevitate vitae Nel De brevitate vitae, dedicato a Paolino, prefetto dell'annona, affronta il problema del tempo, muovendo da una forte e profonda percezione della sua fugacità. L'uomo spesso si lamenta per la brevità del tempo che gli è concesso di vivere, ma questo scontento nasce da un errore di valutazione: non si deve considerare il tempo in base alla sua quantità, ma alla sua qualità. Infatti, il tempo è sufficiente per compiere le cose importanti e vivere una vita virtuosa, mentre gli uomini lo sprecano in attività banali, per poi lamentarsi con la natura della brevità dell'esistenza. Eppure «Vita, si uti scias, longa est... Exigua pars est vitae qua vivimus. Ceterum quidem omne spatium non vita, sed tempus est» “la vita, se la si sa impiegare bene, è lunga... Esigua è quella parte di vita che noi viviamo davvero. Tutto il resto dell'esistenza in realtà non è vita vera, ma solo tempo”. Purtroppo, la maggior parte degli uomini è affaccendata in una miriade di occupazioni futili, eternamente occupata a ricercare ricchezze o successo 0 divertimenti: «Nihil refert quantum temporis detur, si non est ubi subsidat; per quassos foratosque animos transmittitur» “Non ha alcuna importanza la quantità del tempo che viene assegnato, se non c'è una base su cui poggi; essa passa via attraverso animi sconnessi e bucati”. La tesi fondamentale, basata sulla qualità del tempo che viviamo e non sulla sua quantità, è espressa da Seneca nelle righe iniziali: il resto del dialogo approfondisce il problema, in particolare attraverso un'efficace e angosciante rappresentazione degli occupati, coloro che, opponendosi alla prospettiva del saggio, sprecano in mille affanni e attività inutili il tempo della loro vita. Il saggio, invece, sa scegliere e vivere l'unica dimensione temporale che è sotto il suo controllo, cioè il presente, perché passato e futuro, per i quali spesso stiamo inutilmente in ansia, non sono in nostro potere. 6. Considerazioni personali Le riflessioni dei filosofi presi in esame, pur essendo temporalmente molto lontani da noi, sono ancora oggi molto attuali: perdiamo, infatti, molto tempo in attività futili, ad esempio sui social network o su internet in generale, non accorgendoci che non potremo mai riavere indietro ore e minuti; si spera di poter vivere abbastanza a lungo da poter rimediare al tempo speso non al meglio; si ha paura della morte ma, al contempo, non si fa nulla per evitare che sopraggiungano, assieme alla fine della nostra vita, dei rimpianti per ciò che non si è fatto. Questo periodo doloroso di pandemia, in cui il tempo ci passa accanto e sembra non appartenerci, ci fa pensare al vero valore del tempo. Crediamo costantemente in una vita che ci illude di essere padroni del nostro tempo e della nostra vita, di poter raggiungere un successo immortale ma al contrario siamo obbligati ad un ozio forzato, dimostrandoci giorno dopo giorno sempre più fragili. Possiamo riacquisire l’importanza del tempo nella routine che è ormai vuota, non più scandita da impegni e scadenze; non un tempo futile da riempire ma da far germogliare.